Deposizione dei fiori e Cerimonia al Monumento della Libertà
Preghiera ecumenica nella Cattedrale luterana di Santa Maria (Rigas Doms)
Deposizione dei fiori e Cerimonia al Monumento della Libertà a Riga
Alle ore 10.00 locali (9.00 ora di Roma), il Santo Padre Francesco è giunto al Monumento della Libertà a Riga.
Al suo arrivo, il Papa è stato accolto all’inizio del ponte dal Presidente della Repubblica, il Sig. Raimonds Vējonis, e insieme hanno raggiunto a piedi il Monumento.
Dopo gli onori alle bandiere, il Santo Padre ha ricevuto da una guardia d’onore una corona di fiori che ha deposto davanti al Monumento. Quindi il Papa e il Presidente si sono avvicinati al Monumento, dove si sono soffermati per alcuni istanti in silenzio.
Dopo l’esecuzione degli inni, prima di tornare alla vettura papale, il Santo Padre ha salutato una decina di persone in rappresentanza di bambini, giovani e famiglie.
Al termine, si è trasferito in papamobile alla Cattedrale luterana di Santa Maria (Rigas Doms).
[01452-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Preghiera ecumenica nella Cattedrale luterana di Santa Maria (Rigas Doms)
Discorso del Santo Padre
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Alle ore 10.40 locali (9.40 ora di Roma), il Santo Padre è giunto alla Cattedrale luterana di Santa Maria (Rigas Doms), dove lo attendevano alcune migliaia di persone.
Al Suo arrivo il Papa è stato accolto all’ingresso principale dall’Arcivescovo luterano di Riga, Jānis Vanags, quindi ha salutato 10 capi delle principali denominazioni cristiane e vestito i paramenti sacri nella Cappella di Santa Maria. Erano presenti anche il Metropolita ortodosso Aleksandrs Kudrjasovs e l’Arcivescovo di Riga, S.E. Mons. Zbigņevs Stankevičs.
Subito dopo l’esecuzione dei canti d’ingresso e la venerazione alla tomba di San Meinardo, l’Arcivescovo Jānis Vanags ha rivolto al Papa un indirizzo di saluto. Dopo le letture, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.
La Preghiera ecumenica è poi continuata con il canto e la processione dei bambini con le candele al fonte battesimale, con la preghiera dei fedeli, la recita del Padre Nostro e il segno della pace.
Dopo la benedizione finale, il Santo Padre si è trasferito alla Cattedrale cattolica di San Giacomo.
Pubblichiamo di seguito il discorso che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della preghiera ecumenica:
Discorso del Santo Padre
Sono lieto di potermi incontrare con voi, in questa terra che si caratterizza per realizzare un cammino di rispetto, collaborazione e amicizia tra le diverse Chiese cristiane, che sono riuscite a generare unità mantenendo la ricchezza e la singolarità proprie di ciascuna. Oserei dire che è un “ecumenismo vivo” e costituisce una delle caratteristiche peculiari della Lettonia. Senza alcun dubbio, un motivo di speranza e rendimento di grazie.
Grazie all’Arcivescovo Jānis Vanags per averci aperto la porta di questa casa per realizzare il nostro incontro di preghiera. Casa Cattedrale che da più di 800 anni ospita la vita cristiana di questa città; testimone fedele di tanti nostri fratelli che vi si sono accostati per adorare, pregare, sostenere la speranza in tempi di sofferenza e trovare coraggio per affrontare periodi colmi di ingiustizia e di dolore. Oggi ci ospita perché lo Spirito Santo continui a tessere artigianalmente legami di comunione tra noi e, così, renda anche noi artigiani di unità tra la nostra gente, così che le nostre differenze non diventino divisioni. Lasciamo che lo Spirito Santo ci rivesta con le armi del dialogo, della comprensione, della ricerca del rispetto reciproco e della fraternità (cfr Ef 6,13-18).
In questa Cattedrale si trova uno degli organi più antichi d’Europa e che è stato il più grande del mondo al tempo della sua inaugurazione. Possiamo immaginare come abbia accompagnato la vita, la creatività, l’immaginazione e la pietà di tutti coloro che si lasciavano avvolgere dalla sua melodia. È stato strumento di Dio e degli uomini per elevare lo sguardo e il cuore. Oggi è un emblema di questa città e di questa Cattedrale. Per il residente di questo luogo rappresenta più di un organo monumentale, è parte della sua vita, della sua tradizione, della sua identità. Invece, per il turista, è naturalmente un oggetto artistico da conoscere e fotografare. E questo è un pericolo che sempre si corre: passare da residenti a turisti. Fare di ciò che ci identifica un oggetto del passato, un’attrazione turistica e da museo che ricorda le gesta di un tempo, di alto valore storico, ma che ha cessato di far vibrare il cuore di quanti lo ascoltano.
Con la fede ci può succedere esattamente la stessa cosa. Possiamo smettere di sentirci cristiani residenti per diventare dei turisti. Di più, potremmo affermare che tutta la nostra tradizione cristiana può subire la stessa sorte: finire ridotta a un oggetto del passato che, chiuso tra le pareti delle nostre chiese, cessa di intonare una melodia capace di smuovere e ispirare la vita e il cuore di quelli che la ascoltano. Tuttavia, come afferma il Vangelo che abbiamo ascoltato, la nostra fede non è destinata a stare nascosta, ma ad esser fatta conoscere e risuonare in diversi ambiti della società, perché tutti possano contemplare la sua bellezza ed essere illuminati dalla sua luce (cfr Lc 11,33).
Se la musica del Vangelo smette di essere eseguita nella nostra vita e si trasforma in una bella partitura del passato, non saprà più rompere le monotonie asfissianti che impediscono di animare la speranza, rendendo così sterili tutti i nostri sforzi.
Se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati.
Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna di qualunque provenienza, rinchiudendoci nel “mio”, dimenticandoci del “nostro”: la casa comune che ci riguarda tutti.
Se la musica del Vangelo smette di suonare, avremo perso i suoni che condurranno la nostra vita al cielo, trincerandoci in uno dei mali peggiori del nostro tempo: la solitudine e l’isolamento. La malattia che nasce in chi non ha alcun legame, e che si può riscontrare negli anziani abbandonati al loro destino, come pure nei giovani senza punti di riferimento e opportunità per il futuro (cfr Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014).
Padre, «che tutti siano una sola cosa, […] perché il mondo creda» (Gv 17,21). Queste parole continuano a risuonare con forza in mezzo a noi, grazie a Dio. È Gesù che prima del suo sacrificio prega il Padre. È Gesù, Gesù Cristo che, guardando in faccia la sua croce e la croce di tanti nostri fratelli, non cessa di implorare il Padre. È il mormorio costante di questa preghiera che traccia il sentiero e ci indica la via da seguire. Immersi nella sua preghiera, come credenti in Lui e nella sua Chiesa, desiderando la comunione di grazia che il Padre possiede da tutta l’eternità (cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 9), troviamo lì l’unica strada possibile per ogni ecumenismo: nella croce della sofferenza di tanti giovani, anziani e bambini esposti spesso allo sfruttamento, al non senso, alla mancanza di opportunità e alla solitudine. Mentre guarda al Padre e a noi suoi fratelli, Gesù non smette di implorare: che tutti siano uno.
La missione oggi continua a chiederci e a reclamare da noi l’unità; è la missione che esige da noi che smettiamo di guardare le ferite del passato ed ogni atteggiamento autoreferenziale per incentrarci sulla preghiera del Maestro. È la missione a reclamare che la musica del Vangelo non cessi di suonare nelle nostre piazze.
Alcuni possono arrivare a dire: sono tempi difficili, sono tempi complessi quelli che ci capita di vivere. Altri possono arrivare a pensare che, nelle nostre società, i cristiani hanno sempre meno margini di azione e di influenza a causa di innumerevoli fattori come ad esempio il secolarismo o le logiche individualiste. Questo non può portare a un atteggiamento di chiusura, di difesa e nemmeno di rassegnazione. Non possiamo fare a meno di riconoscere che certamente non sono tempi facili, specialmente per molti nostri fratelli che oggi vivono nella loro carne l’esilio e persino il martirio a causa della fede. Ma la loro testimonianza ci conduce a scoprire che il Signore continua a chiamarci e invitarci a vivere il Vangelo con gioia, gratitudine e radicalità. Se Cristo ci ha ritenuti degni di vivere in questi tempi, in questa ora – l’unica che abbiamo –, non possiamo lasciarci vincere dalla paura né lasciare che passi senza assumerla con la gioia della fedeltà. Il Signore ci darà la forza per fare di ogni tempo, di ogni momento, di ogni situazione un’opportunità di comunione e riconciliazione con il Padre e con i fratelli, specialmente con quelli che oggi sono considerati inferiori o materiale di scarto. Se Cristo ci ha ritenuti degni di far risuonare la melodia del Vangelo, smetteremo di farlo?
L’unità a cui il Signore ci chiama è un’unità sempre in chiave missionaria, che ci chiede di uscire e raggiungere il cuore della nostra gente e delle culture, della società postmoderna in cui viviamo, «là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 74). Questa missione ecumenica riusciremo a realizzarla se ci lasceremo impregnare dallo Spirito di Cristo che è capace di «rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (ibid., 11).
Cari fratelli e sorelle, continui a suonare la musica del Vangelo in mezzo a noi! Non cessi di risuonare ciò che permette al nostro cuore di continuare a sognare e a tendere alla vita piena a cui il Signore, tutti, ci chiama: essere suoi discepoli missionari in mezzo al mondo in cui viviamo.
[01439-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Je suis heureux de pouvoir vous rencontrer sur cette terre qui se distingue par son parcours de respect, de collaboration et d’amitié entre les diverses Eglises chrétiennes, qui ont réussi à créer de l’unité en gardant la richesse et la singularité propres à chacune. J’oserai dire qu’il s’agit d’un “œcuménisme vivant” qui est une des caractéristiques particulières de la Lettonie. Sans aucun doute, un motif d’espérance et d’action de grâce.
Merci à l’Archevêque Jānis Vanags pour nous avoir ouvert la porte de cette maison afin de réaliser notre rencontre de prière. Maison Cathédrale qui accueille depuis plus de 800 ans la vie chrétienne de cette ville; témoin fidèle de nombreux de nos frères qui y sont venus pour adorer, prier, soutenir leur espérance en des temps de souffrance, et trouver du courage pour affronter des époques marquées par l’injustice et la douleur. Elle nous accueille aujourd’hui pour que l’Esprit Saint continue de tisser, de manière artisanale, des liens de communion entre nous et ainsi nous rende aussi artisans d’unité parmi nos gens, de sorte que nos différences ne deviennent pas des divisions. Laissons le Saint-Esprit nous revêtir des armes du dialogue, de la compréhension, de la recherche du respect réciproque et de la fraternité (cf. Ep 6, 13-18).
Dans cette cathédrale se trouve l’un des orgues les plus anciens d’Europe, et qui a été le plus grand du monde au moment de son inauguration. Nous pouvons imaginer comment il a accompagné la vie, la créativité, l’imagination et la piété de tous ceux qui se sont laissés envelopper par sa mélodie. Il a été un instrument de Dieu et des hommes pour élever le regard et le cœur. Il est aujourd’hui un emblème de cette ville et de cette cathédrale. Pour le «résident» de ce lieu, il est plus qu’un orgue monumental, il fait partie de sa vie, de sa tradition, de son identité. En revanche, pour le touriste, il est naturellement un objet artistique qu’il faut connaître et photographier. Et c’est un danger qu’on court toujours: de résidents, devenir touristes. Faire de ce qui nous identifie un objet du passé, une attraction touristique et de musée qui rappelle les faits d’une époque, d’une haute valeur historique, mais qui a cessé de faire vibrer le cœur de ceux qui l’écoutent.
Il peut nous arriver exactement la même chose s’agissant de la foi. Nous pouvons cesser de nous sentir chrétiens résidents pour devenir des touristes. De plus, nous pouvons affirmer que toute notre tradition chrétienne risque de subir le même sort: finir par être réduite à un objet du passé qui, enfermé dans les murs de nos églises, cesserait d’entonner une mélodie capable de remuer et d’inspirer la vie et le cœur de ceux qui l’écoutent. Cependant, comme l’affirme l’Evangile que nous avons entendu, notre foi n’est pas faite pour être cachée mais pour être connue, pour qu’elle résonne dans les différents secteurs de la société, pour que tous puissent contempler sa beauté et être éclairés par sa lumière (cf. Lc 11, 33).
Si la musique de l’Evangile cesse d’être jouée dans notre vie et se transforme en une belle partition du passé, elle ne saura plus rompre les monotonies asphyxiantes qui empêchent de susciter l’espérance, rendant ainsi stériles tous nos efforts.
Si la musique de l’Evangile cesse de vibrer dans nos entrailles, nous aurons perdu la joie qui jaillit de la compassion, la tendresse qui naît de la confiance, la capacité de la réconciliation qui trouve sa source dans le fait de se savoir toujours pardonnés et envoyés.
Si la musique de l’Evangile cesse de retentir dans nos maisons, sur nos places, sur nos lieux de travail, dans la politique et dans l’économie, nous aurons éteint la mélodie qui nous pousse à lutter pour la dignité de tout homme et de toute femme de toute provenance, nous renfermant dans notre «à moi», oubliant le «à nous»: la maison commune qui nous concerne tous.
Si la musique de l’Evangile cesse de retentir, nous aurons perdu les sonorités qui conduisent notre vie au ciel, nous retranchant dans l’un des pires maux de notre temps: la solitude et l’isolement; la maladie qui naît chez celui qui n’a aucun lien, et que l’on peut rencontrer aussi chez les personnes âgées abandonnées à leur destin, comme aussi chez les jeunes sans points de référence ni opportunités pour l’avenir(cf. Discours au Parlement européen, 25 novembre 2014).
Père, «que tous soient un[…] pour que le monde croie » (Jn 17, 21). Ces paroles continuent à résonner avec force au milieu de nous, grâce à Dieu. C’est Jésus qui, avant son sacrifice, prie le Père. C’est Jésus, Jésus Christ qui, regardant en face sa croix et la croix de tant de nos frères, ne cesse d’implorer le Père. C’est le murmure constant de cette prière qui trace le chemin et nous indique la voie à suivre. Plongés dans sa prière, croyant en lui et en son Eglise, désirant la communion de grâce qui correspond au dessein du Père depuis toute éternité (cf. S. Jean-Paul II, Lett. enc. Ut unum sint, n. 9), nous trouvons là l’unique voie possible de tout œcuménisme: dans la croix de la souffrance de beaucoup de jeunes, de personnes âgées et d’enfants souvent exposés à l’exploitation, au non-sens, au manque d’opportunité et à la solitude. Pendant qu’il regarde le Père et nous ses frères, Jésus ne cesse d’implorer: que tous soient un.
La mission aujourd’hui continue à nous demander et à réclamer de nous l’unité; c’est la mission qui exige de nous que nous cessions de regarder les blessures du passé, et toute attitude autoréférentielle, pour nous centrer sur la prière du Maître. C’est la mission qui demande que la musique de l’Evangile ne cesse de retentir sur nos places.
Certains peuvent en arriver à dire: ce sont des temps difficiles, ce sont des temps compliqués que nous avons à vivre. D’autres peuvent en arriver à penser que, dans nos sociétés, les chrétiens ont toujours moins de marges de manœuvre et d’influence, à cause d’innombrables facteurs comme, par exemple, le sécularisme ou les logiques individualistes. Cela ne peut pas conduire à une attitude de fermeture, de défense, ni même de résignation. Nous ne pouvons pas ne pas reconnaître que, certainement, ce ne sont pas des temps faciles, spécialement pour beaucoup de nos frères qui vivent aujourd’hui dans leur chair l’exil, et même le martyre à cause de la foi. Mais leur témoignage nous conduit à découvrir que le Seigneur continue à nous appeler et à nous inviter à vivre l’Evangile avec joie, gratitude et radicalité. Si le Christ nous a trouvés dignes de vivre en ces temps, à cette heure – la seule que nous ayons – nous ne pouvons pas nous laisser vaincre par la peur ni la laisser passer sans l’assumer avec la joie de la fidélité. Le Seigneur nous donnera la force de faire de chaque temps, de chaque moment, de toute situation, une chance de communion et de réconciliation avec le Père et avec les frères, spécialement ceux qui sont aujourd’hui considérés comme inférieurs ou objet de rejet. Si le Christ nous a trouvés dignes de faire résonner la mélodie de l’Evangile, cesserons-nous de le faire?
L’unité à laquelle le Seigneur nous appelle est toujours une unité de caractère missionnaire, qui nous demande de sortir et de rejoindre le cœur de nos gens et des cultures, de la société postmoderne dans laquelle nous vivons, «là où se forment les nouveaux récits et paradigmes, d’atteindre avec la Parole de Jésus les éléments centraux les plus profonds de l’âme de la ville» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 74). Nous parviendrons à réaliser cette mission œcuménique, si nous nous laissons imprégner de l’Esprit du Christ qui est capable de «rompre les schémas ennuyeux dans lesquels nous prétendons l’enfermer, et il nous surprend avec sa constante créativité divine. Chaque fois que nous cherchons à revenir à la source pour récupérer la fraîcheur originale de l’Evangile, surgissent de nouvelles voies, des méthodes créatives, d’autres formes d’expression, des signes plus éloquents, des paroles chargées de sens renouvelé pour le monde d’aujourd’hui» (ibid., n. 11).
Chers frères e chers soeurs, que continue à résonner la musique de l’Evangile au milieu de nous! Que ne cesse de résonner ce qui permet à notre cœur de continuer à rêver et à rechercher la vie pleine à laquelle le Seigneur nous appelle tous: être ses disciples missionnaires au milieu du monde où il nous est donné de vivre.
[01439-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
It is a great pleasure for me to meet with you in this land marked by a journey of recognition, cooperation and friendship between the different Christian churches, which have succeeded in building unity while preserving the unique and rich identity of each. I might say that this is a “lived ecumenism” that is one of Latvia’s special traits. Without a doubt, it is a reason for hope and thanksgiving.
I thank Archbishop Jānis Vanags for having opened his doors to us for this prayer meeting. For over eight hundred years, this cathedral has been home to the Christian life of this city, a faithful witness to all those brothers and sisters of ours who have come here to worship and pray, to sustain their hope in moments of trial and to find the courage to face times of great injustice and suffering. Today it welcomes us, so that the Holy Spirit can continue to weave bonds of communion between us and so make us weavers of unity in our cities, lest our differences turn into divisions. May the Holy Spirit arm us with the weapons of dialogue, understanding and desire for mutual recognition and fraternity (cf. Eph 6:13-18).
This cathedral is also home to one of the oldest organs in Europe, which at the time of its inauguration was the largest in the world. We can imagine how it accompanied the life, the creativity, the imagination and the devotion of all those who were moved by its sound. It has been the instrument of God and of men for lifting of eyes and hearts to heaven. Today it is a symbol of this city and its cathedral.
For those who live here, it is more than a monumental organ; it is part of the life, traditions and identity of this place. For tourists, though, it is a work of art to look at and to photograph. This is a recurring danger for all of us: from “residents” we can become “tourists”. We can take what gives us our very identity and turn it into a curio from the past, a tourist attraction, a museum piece that recalls the achievements of earlier ages, an object of great historical value, but no longer one capable of thrilling the hearts of those who encounter it.
The same thing can happen with faith. We can stop feeling like “resident” Christians and become tourists. We could even say that our whole Christian tradition can run the same risk. The risk of ending up as a museum piece, enclosed within the walls of our churches, and no longer giving out a tune capable of moving the hearts and inspiring the lives of those who hear it. Nonetheless, as the Gospel we just heard tells us, our faith is not to be hidden away, but to be made known and to resound in the various sectors of society, so that all can contemplate its beauty and be illumined by its light (cf. Lk 11:33).
If the music of the Gospel is no longer heard in our lives, or becomes a mere period piece, it will no longer be capable of breaking through the monotony that stifles hope and makes all our activity fruitless.
If the music of the Gospel ceases to resonate in our very being, we will lose the joy born of compassion, the tender love born of trust, the capacity for reconciliation that has its source in our knowledge that we have been forgiven and sent forth.
If the music of the Gospel ceases to sound in our homes, our public squares, our workplaces, our political and financial life, then we will no longer hear the strains that challenge us to defend the dignity of every man and woman, whatever his or her origin. We will become caught up in what is “mine”, neglecting what is “ours”: our common home, which is also our common responsibility.
If the music of the Gospel is no longer heard, we will lose the sounds that guide our lives to heaven and become locked into one of the worst ills of our day: loneliness and isolation. That illness takes hold in those who have no relationships; it can be seen in elderly persons abandoned to their fate, but also in young people lacking points of reference or opportunities for the future (cf. Address to the European Parliament, 25 November 2014).
“Father, that all may be one… so that the world may believe” (Jn 17:21). These words, thank God, continue to echo in our midst. They are those of Jesus praying to the Father before his passion. As he looked ahead to his own cross, and the crosses of so many of our brothers and sisters, Jesus continued to pray to the Father. This constant and quiet prayer marks out a path for us; it shows us the way to follow. Immersed in this prayer, as believers in him and in his Church, we desire the communion of grace that corresponds to the Father’s plan from all eternity (cf. SAINT JOHN PAUL II, Encyclical Ut Unum Sint, 9). And we discover the only path possible for all ecumenism: that of confronting the cross of suffering experienced by so many young people, elderly persons and young children all too often exploited, lacking meaning in life, deprived of opportunities and suffering from loneliness. Jesus turning to his Father, and to us his brothers and sisters, continues to pray: “that all may be one”.
Unity is something that our mission today continues to demand of us. This mission requires us to stop looking at past injuries and self-referential approaches in order to focus on the Master’s prayer. Our mission is to ensure that the music of the Gospel continues to be heard in our public squares.
Some may well say that the times in which we live are complex, the times in which we live are difficult. Others may think that in our societies Christians have less and less margins of action or influence for any number of reasons, such as secularism or individualism. This no may lead to a closed and defensive mentality, even an attitude of resignation. Certainly, we have to admit that these are not easy times, especially for our many brothers and sisters who today, in their flesh, experience exile and even martyrdom for the faith. Yet their witness makes us realize that the Lord continues to call us, asking us to live the Gospel radically, in joy and gratitude. If Christ deemed us worthy to live in these times, at this hour – the only hour we have – we cannot let ourselves be overcome by fear, nor allow this time to pass without living it fully with joyful fidelity. The Lord will give us the strength to make every age, every moment, every situation, an opportunity for communion and reconciliation with the Father and with our brothers and sisters, especially those nowadays considered inferior, worthy of being discarded. If Christ considered us worthy to ensure that the melody of the Gospel be heard, can we fail to do so?
The unity to which the Lord calls us is always a “missionary” unity. It summons us to reach out to the heart of our peoples and cultures, to the postmodern society in which we live, “where new narratives and paradigms are being formed”, and in this way “to bring the word of Jesus to the inmost soul of our cities” (Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 74). We will carry out this ecumenical mission if we let ourselves be imbued by the Spirit of Jesus. He can “break through the dull categories with which we would enclose him; he constantly amazes us by his divine creativity. Whenever we make the effort to return to the source and to recover the original freshness of the Gospel, new avenues arise, new paths of creativity open up, with different forms of expression, more eloquent signs and words with new meaning for today’s world” (ibid., 11).
Dear brothers and sisters, may the music of the Gospel continue to resound in our midst. May its music never cease to inspire our hearts to dream and our eyes to contemplate the life that the Lord calls us, all of us, to live to the full. And to be his disciples in the midst of the world in which we are called to live.
[01439-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Ich freue mich, euch in diesem Land begegnen zu können, das von einem Weg der Anerkennung, Zusammenarbeit und Freundschaft zwischen den verschiedenen christlichen Kirchen geprägt ist. Sie waren in der Lage, Einheit zu schaffen und gleichzeitig ihren jeweiligen Reichtum und ihre Einzigartigkeit zu bewahren. Ich glaube, man kann sagen, dass dies „gelebte Ökumene“ ist, und dies stellt eines der besonderen Merkmale Lettlands dar. Ohne Zweifel ein Grund zur Hoffnung und zum Dank.
Ich danke Erzbischof Jānis Vanags, dass er uns die Tür dieses Hauses für unser Gebetstreffen geöffnet hat, dieses Domes, der seit mehr als achthundert Jahren das christliche Leben dieser Stadt beherbergt. Er ist ein treuer Zeuge so vieler unserer Brüder und Schwestern, die hierhergekommen sind, um Anbetung zu halten, ihre Bitten vor Gott zu bringen, die Hoffnung in Zeiten des Leidens aufrechtzuerhalten und Ermutigung zu finden, um Momenten großer Ungerechtigkeit und schweren Leids zu begegnen. Heute beherbergt er uns, damit der Heilige Geist weiterhin kunstvoll Verbindungen der Gemeinschaft unter uns knüpfen kann und so auch uns zu Handwerkern der Einheit unter unseren Mitmenschen mache, damit unsere Unterschiede nicht zu Spaltungen führen. Lassen wir zu, dass der Heilige Geist uns mit den Waffen des Dialogs, des Verständnisses, der Suche nach gegenseitigem Respekt und Brüderlichkeit bekleidet (vgl. Eph 6,13-18).
In dieser Kathedrale befindet sich eine der ältesten Orgeln Europas, die zur Zeit ihrer Einweihung die größte der Welt war. Wir können uns vorstellen, wie sie das Leben, die Kreativität, die Phantasie und die Frömmigkeit all jener begleitete, die sich von ihrem Klang berühren ließen. Sie war ein Werkzeug Gottes und der Menschen, um den Blick und das Herz zu erheben. Heute ist sie ein Wahrzeichen dieser Stadt und dieser Kathedrale. Für den, der an diesem Ort heimisch ist, ist sie mehr als eine monumentale Orgel, sie ist Teil seines Lebens, seiner Tradition, seiner Identität. Für den Touristen hingegen ist sie freilich nur ein weiteres Kunstwerk, das man anschauen und fotografieren kann. Und das ist eine Gefahr, der man immer ausgesetzt ist: dass man vom Einheimischen zum Touristen wird. Dass wir aus dem, was uns Identität verleiht, ein Objekt der Vergangenheit machen, eine Touristenattraktion, ein Museum, das uns an die Geschehnisse einer früheren Zeit erinnert, von hohem historischen Wert, das aber aufgehört hat, das Herz derer zu bewegen, die es hören.
Mit dem Glauben kann uns genau das Gleiche passieren. Es kann geschehen, dass wir uns im Glauben nicht mehr „heimisch“ fühlen und dann zu „Touristen“ werden. Man könnte sogar sagen, dass unserer gesamten christlichen Tradition dasselbe passieren kann: dass sie auf ein Stück Vergangenheit reduziert wird und – eingeschlossen in den Mauern unserer Gotteshäuser – keine Melodie mehr zu hören ist, die in der Lage wäre, das Leben und das Herz derjenigen, die sie hören, zu bewegen und zu inspirieren. Das Evangelium, das wir gehört haben, bekräftigt indes, dass unser Glaube nicht versteckt werden soll, sondern in den verschiedenen Bereichen der Gesellschaft bekannt zu machen und zum Klingen zu bringen ist, so dass alle seine Schönheit betrachten und von seinem Licht beschienen werden können (vgl. Lk 11,33).
Wenn die Musik des Evangeliums nicht mehr in unserem Leben gespielt wird und zu einer schönen Partitur der Vergangenheit wird, wird sie nicht mehr die Monotonie durchbrechen können, welche die Hoffnung erstickt und all unsere Bemühungen steril werden lässt.
Wenn die Musik des Evangeliums nicht mehr unser Inneres in Schwingung versetzt, werden wir die Freude verlieren, die aus dem Mitgefühl entsteht, die Zartheit, die aus dem Vertrauen kommt, die Fähigkeit zur Versöhnung, die ihre Quelle in dem Wissen hat, dass uns vergeben wurde und dass auch wir vergeben sollen.
Wenn die Musik des Evangeliums in unseren Häusern, in der Öffentlichkeit, an unseren Arbeitsplätzen, in der Politik und der Wirtschaft nicht mehr zu hören ist, dann haben wir wohl die Melodie abgeschaltet, die uns herausfordert, für die Würde jedes Mannes und jeder Frau ungeachtet ihrer Herkunft zu kämpfen. Dann verschließen wir uns im „Eigenen“ und vergessen darüber „das Unsere“: das gemeinsame Haus, das uns alle angeht.
Wenn die Musik des Evangeliums nicht mehr ertönt, werden wir die Klänge verlieren, die unser Leben in den Himmel geleiten, was uns in eines der schlimmsten Übel unserer Tage führt: in die Einsamkeit und die Isolation. Diese Krankheit, die bei denjenigen entsteht, die keine Bindungen haben, kann man bei den älteren Menschen antreffen, die ihrem Schicksal überlassen sind, sowie bei den jungen Menschen ohne Bezugspunkte und Möglichkeiten für die Zukunft (vgl. Rede vor dem Europäischen Parlament, 25. November 2014).
Vater, »alle sollen eins sein, […] damit die Welt glaubt« (Joh 17,21). Diese Bitte erklingt weiterhin kraftvoll in unserer Mitte, Gott sei Dank. Es ist Jesus, der vor seiner Selbsthingabe den Vater darum bittet. Es ist Jesus, Jesus Christus, der im Blick auf sein Kreuz und das Kreuz so vieler unserer Brüder und Schwestern nicht aufhört, den Vater anzuflehen. Das andauernde ruhige Wiederholen dieses Gebetes markiert den Pfad und weist uns den Weg, den wir gehen sollen. Eingetaucht in sein Gebet finden wir – als die an ihn und seine Kirche Glaubenden, die »die Gnadengemeinschaft wollen, die dem Plan des Vaters von Ewigkeit her entspricht« (Hl. Johannes Paulus II., Enzyklika Ut unum sint, 9) – den einzig möglichen Weg jeder Ökumene: im Kreuz des Leidens so vieler junger und alter Menschen, so vieler Kinder, die oft der Ausbeutung, der Sinnlosigkeit, einem Mangel an Möglichkeiten und der Einsamkeit ausgesetzt sind. Während Jesus auf seinen Vater und auf uns, seine Brüder und Schwestern, schaut, hört er nie auf zu flehen, dass alle eins sein sollen.
Unsere christliche Sendung erfordert und verlangt auch heute Einheit von uns; es ist die Sendung, dass wir die Betrachtung der Wunden der Vergangenheit und jedes selbstbezogene Verhalten aufgeben und uns stattdessen auf das Gebet des Meisters konzentrieren. Es ist die Mission, die danach verlangt, dass die Musik des Evangeliums nicht aufhört, auf unseren Straßen zu erklingen.
Einige werden vielleicht sagen: Das sind schwierige Zeiten, das sind komplexe Zeiten, in denen wir heute leben. Andere werden denken, dass Christen in unseren Gesellschaften aufgrund einer Vielzahl von Faktoren wie dem Säkularismus oder einer individualistischen Denkweise immer weniger Handlungsspielraum oder Einfluss haben. Dies kann nicht zu einer Haltung der Schließung, Verteidigung oder Resignation führen. Freilich kommen wir nicht umhin anzuerkennen, dass dies bestimmt keine einfachen Zeiten sind, besonders für viele unserer Brüder und Schwestern, die heute am eigenen Leib das Schicksal der Verbannung und sogar das Martyrium aufgrund ihres Glaubens erleiden. Aber ihr Zeugnis führt uns zu der Erkenntnis, dass der Herr uns weiterhin ruft und uns einlädt, das Evangelium mit Freude, Dankbarkeit und Entschlossenheit zu leben. Wenn Christus uns für würdig hält, in dieser Zeit, in dieser Stunde – der einzigen, die wir haben – zu leben, können wir uns nicht von der Angst besiegen lassen oder diese Stunde vorübergehen lassen, ohne sie mit der Freude der Treue anzunehmen. Der Herr wird uns die Kraft geben, jede Zeit, jeden Augenblick, jede Situation zu einer Gelegenheit der Gemeinschaft und Versöhnung mit dem Vater und mit unseren Brüdern und Schwestern zu machen, besonders mit denen, die heute als geringer oder als Abfallmaterial angesehen werden. Wenn Christus uns für würdig hielt, die Melodie des Evangeliums zum Klingen zu bringen, werden wir dann damit aufhören?
Die Einheit, zu der uns der Herr beruft, ist immer eine Einheit unter missionarischem Vorzeichen und dazu müssen wir hinausgehen, um das Herz unserer Völker und Kulturen zu erreichen, in der postmodernen Gesellschaft, in der wir leben, »wo die neuen Geschichten und Paradigmen entstehen, und mit dem Wort Jesu den innersten Kern der Seele der Städte zu erreichen« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 74). Wir werden diesen ökumenischen Auftrag verwirklichen können, wenn wir uns vom Geist Christi durchdringen lassen. Er kann »die langweiligen Schablonen durchbrechen, in denen wir uns anmaßen, ihn gefangen zu halten, und überrascht uns mit seiner beständigen göttlichen Kreativität. Jedes Mal, wenn wir versuchen, zur Quelle zurückzukehren und die ursprüngliche Frische des Evangeliums wiederzugewinnen, tauchen neue Wege, kreative Methoden, andere Ausdrucksformen, aussagekräftigere Zeichen und Worte reich an neuer Bedeutung für die Welt von heute auf« (ebd., 11).
Liebe Brüder und Schwestern, möge die Musik des Evangeliums weiterhin in unserer Mitte ertönen! Möge nie verklingen, was unseren Herzen erlaubt zu träumen und nach dem Leben in Fülle Ausschau zu halten, zu dem der Herr uns alle beruft, seine missionarischen Jünger zu sein inmitten der Welt, in der wir leben.
[01439-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Me alegra poder encontrarme con vosotros, en esta tierra que se caracteriza por realizar un camino de reconocimiento, colaboración y amistad entre las diversas iglesias cristianas, que han logrado generar unidad manteniendo la riqueza y la singularidad que les es propia. Me animaría a decir que es “un ecumenismo vivo”, siendo una de las características particulares de Letonia. Sin ninguna duda, una razón para la esperanza y la acción de gracias.
Gracias al señor arzobispo Jānis Vanags por abrirnos las puertas de esta casa para realizar este encuentro de oración. Casa catedral que por más de 800 años alberga la vida cristiana de esta ciudad; testimonio fiel de tantos hermanos nuestros que se han acercado para adorar, rezar, sostener la esperanza en tiempos de sufrimiento y tomar coraje para enfrentar tiempos de mucha injusticia y sufrimiento. Hoy nos hospeda para que el Espíritu Santo siga tejiendo artesanalmente lazos de comunión entre nosotros y, así, volvernos también nosotros artesanos de unidad en nuestros pueblos, haciendo que nuestras diferencias no se conviertan en división. Dejemos que el Espíritu Santo nos revista con las armas del diálogo, del entendimiento, de la búsqueda del reconocimiento mutuo y de la fraternidad (cf. Ef 6,13-18).
En esta catedral se encuentra uno de los órganos más antiguos de Europa, y que fue el más grande del mundo en el tiempo de su inauguración. Podemos imaginar cómo acompañó la vida, la creatividad, la imaginación y la piedad de todos aquellos que se dejaban acariciar por su melodía. Ha sido instrumento de Dios y de los hombres para elevar la mirada y el corazón. Hoy es un emblema de esta ciudad y de esta catedral. Para el “residente” en este lugar significa más que un órgano monumental, es parte de su vida, de su tradición, de su identidad. En cambio, para un turista, es lógicamente una pieza más de arte a conocer y fotografiar. Y ese es uno de los peligros que siempre se corre: pasar de residentes a turistas. Hacer de aquello que nos identifica una pieza del pasado, una atracción turística y de museo que recuerda las gestas de antaño, de alto valor histórico, pero que ha dejado de movilizar el corazón de aquellos que lo escuchan.
Con la fe nos puede pasar exactamente lo mismo. Podemos dejar de sentirnos cristianos residentes para volvernos turistas. Es más, podríamos afirmar que toda nuestra tradición cristiana puede correr la misma suerte: quedar reducida a una pieza del pasado que, encerrada en las paredes de nuestros templos, deja de entonar una melodía capaz de movilizar e inspirar la vida y el corazón de aquellos que la escuchan. Sin embargo, como afirma el evangelio que hemos escuchado, nuestra fe no es para ocultarla sino para darla a conocer y hacerla resonar en diferentes ámbitos de la sociedad, para que todos puedan contemplar su belleza y ser iluminados con su luz (cf. Lc 11,33).
Si la música del evangelio deja de ejecutarse en nuestra vida y se convierte en una bella partitura del pasado, dejará de romper las monotonías asfixiantes que impiden movilizar la esperanza, volviendo así estériles todos nuestros esfuerzos.
Si la música del evangelio deja de vibrar en nuestras entrañas, habremos perdido la alegría que brota de la compasión, la ternura que nace de la confianza, la capacidad de reconciliación que encuentra su fuente en sabernos siempre perdonados-enviados.
Si la música del evangelio deja de sonar en nuestras casas, en nuestras plazas, en los trabajos, en la política y en la economía, habremos apagado la melodía que nos desafiaba a luchar por la dignidad de todo hombre y mujer, sea cual sea su proveniencia, encerrándonos en “lo mío”, olvidándonos de “lo nuestro”: la casa común que nos atañe a todos.
Si la música del evangelio deja de sonar, habremos perdido los sonidos que conducirán nuestras vidas al cielo, encerrándonos en uno de los peores males de hoy en día: la soledad y el aislamiento. Esa enfermedad que nace en quien no tiene vínculos, y que puede verse en los ancianos abandonados a su destino, como también en los jóvenes sin puntos de referencia y de oportunidades para el futuro (cf. Discurso al Parlamento Europeo, 25 noviembre 2014).
Padre, «que todos sean uno, […] para que el mundo crea» (Jn 17,21). Estas palabras siguen resonando con fuerza en medio nuestro, gracias a Dios. Es Jesús que antes de su entrega reza al Padre. Es Jesús, Jesucristo que, mirando de frente su cruz y la cruz de tantos hermanos nuestros, no deja de implorar al Padre. Es el susurro de esta oración la que nos marca el sendero y nos indica el camino a seguir. Sumergidos en su oración, como creyentes en él y en su Iglesia, deseando la comunión de gracia que el Padre tiene desde toda la eternidad (cf. Juan Pablo II, Enc. Ut unum sint, 9), encontramos allí el único camino posible para todo ecumenismo: en la cruz del sufrimiento de tantos jóvenes, ancianos y niños expuestos muchas veces a la explotación, al sin sentido, a la falta de oportunidades y a la soledad. Mirando Jesús a su Padre y a nosotros sus hermanos no deja de implorar: que todos sean uno.
La misión hoy nos sigue pidiendo y reclamando la unidad, es la misión la que nos exige dejar de mirar las heridas del pasado o toda actitud autorreferencial para centrarnos en la oración del Maestro. Es la misión la que reclama que la música del evangelio no deje de sonar en nuestras plazas.
Algunos pueden llegar a decir: son tiempos difíciles, son tiempos complejos los que nos tocan vivir. Otros pueden llegar a pensar que, en nuestras sociedades, los cristianos tienen cada vez menos márgenes de acción o de influencia debido a un sinfín de componentes como puede ser el secularismo o las lógicas individualistas. Esto no nos puede conducir a una actitud de encierro, de defensa, e incluso de resignación. No podemos dejar de reconocer que ciertamente no son tiempos fáciles, especialmente para muchos hermanos nuestros que hoy viven en su carne el destierro e inclusive el martirio a causa de la fe. Pero su testimonio nos lleva a descubrir que el Señor nos sigue llamando e invitando a vivir el evangelio con alegría, gratitud y radicalidad. Si Cristo nos consideró dignos de vivir en estos tiempos, en esta hora —la única que tenemos—, no podemos dejarnos vencer por el miedo ni dejarla pasar sin asumirla con la alegría de la fidelidad. El Señor nos dará la fuerza para hacer de cada tiempo, de cada momento, de cada situación una oportunidad de comunión y reconciliación con el Padre y con nuestros hermanos, especialmente con aquellos que hoy son considerados inferiores o material de descarte. Si Cristo nos consideró dignos de hacer sonar la melodía del evangelio, ¿dejaremos de hacerlo?
La unidad a la que el Señor nos llama es una unidad siempre en clave misionera, que nos pide salir y llegar al corazón de nuestros pueblos y culturas, a la sociedad posmoderna en la que vivimos, «allí donde se gestan los nuevos relatos y paradigmas [para] alcanzar con la Palabra de Jesús los núcleos más profundos del alma de las ciudades» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 74). Lograremos realizar esta misión ecuménica si nos dejamos empapar por el Espíritu de Jesucristo que es capaz de «romper los esquemas aburridos en los cuales pretendemos encerrarlo y nos sorprende siempre con su constante creatividad divina. Cada vez que intentamos volver a la fuente y recuperar la frescura original del evangelio brotan nuevos caminos, métodos creativos, otras formas de expresión, signos más elocuentes, palabras cargadas de renovado significado para el mundo actual» (ibíd., 11).
Queridos hermanos y hermanas: Que siga sonando entre nosotros la música del evangelio, que no deje de sonar lo que permite que nuestro corazón siga soñando y mirando la vida plena a la que el Señor nos llama a todos: a ser sus discípulos misioneros en medio del mundo que nos toca vivir.
[01439-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Sinto-me feliz por poder encontrar-me convosco nesta terra que se carateriza por realizar um caminho de respeito, colaboração e amizade entre as diferentes Igrejas cristãs, que conseguiram gerar unidade mantendo a riqueza e a singularidade próprias de cada uma. Atrevo-me a dizer que é um «ecumenismo vivo», sendo uma das caraterísticas peculiares da Letónia. É, sem dúvida alguma, um motivo de esperança e ação de graças.
Obrigado ao Arcebispo Jānis Vanags por nos ter aberto a porta desta casa para realizar o nosso encontro de oração: casa-catedral que, há mais de 800 anos, hospeda a vida cristã desta cidade; testemunha fiel de muitos irmãos nossos que dela se abeiraram para adorar, rezar, sustentar a esperança em tempos de tribulação e encontrar coragem para enfrentar períodos cheios de injustiça e sofrimento. Hoje hospeda-nos para que o Espírito Santo continue a tecer artesanalmente laços de comunhão entre nós e, assim, faça também de nós artesãos de unidade no meio do nosso povo, para que as nossas diferenças não se tornem divisões. Deixemos que o Espírito Santo nos revista com as armas do diálogo, da compreensão, da busca do respeito mútuo e da fraternidade (cf. Ef 6, 13-18).
Nesta catedral, encontra-se um dos órgãos mais antigos da Europa e que, no momento da sua inauguração, era o maior do mundo. Podemos imaginar como acompanhou a vida, a criatividade, a imaginação e a piedade de todos aqueles que se deixavam envolver pela sua melodia. Foi instrumento de Deus e dos homens, para elevar o olhar e o coração. Hoje é um emblema desta cidade e desta catedral. Para o «residente» neste lugar, representa mais do que um órgão monumental, faz parte da sua vida, da sua tradição, da sua identidade; ao passo que, para o turista, é naturalmente um objeto artístico a ser conhecido e fotografado. E este é um perigo que se corre sempre: passar de residentes a turistas, fazendo daquilo que nos identifica um objeto do passado, uma atração turística e de museu que recorda os feitos de outrora, de alto valor histórico, mas que deixou de fazer vibrar o coração de quantos o escutam.
Com a fé, pode acontecer exatamente a mesma coisa. Podemos deixar de nos sentir cristãos residentes, para nos tornarmos turistas. Mais, é possível afirmar que toda a nossa tradição cristã pode sofrer a mesma sorte: acabar reduzida a um objeto do passado que, fechado dentro das paredes das nossas igrejas, deixa de produzir uma melodia capaz de mover e inspirar a vida e o coração daqueles que a ouvem. Porém, como afirma o evangelho que escutamos, a nossa fé não é para ficar oculta, mas para se dar a conhecer fazendo-a ressoar nos diferentes setores da sociedade, a fim de que todos possam contemplar a sua beleza e ser iluminados com a sua luz (cf. Lc 11, 33).
Se a música do Evangelho deixar de ser executada na nossa vida e se transformar numa bela partitura do passado, já não conseguirá romper as monotonias asfixiadoras que impedem de animar a esperança, tornando estéreis todos os nossos esforços.
Se a música do Evangelho parar de vibrar nas nossas entranhas, perderemos a alegria que brota da compaixão, a ternura que nasce da confiança, a capacidade da reconciliação que encontra a sua fonte no facto de nos sabermos sempre perdoados-enviados.
Se a música do Evangelho cessar de repercutir nas nossas casas, nas nossas praças, nos postos de trabalho, na política e na economia, teremos extinguido a melodia que nos desafiava a lutar pela dignidade de todo o homem e mulher, independentemente da sua proveniência, encerrando-nos no «meu» e esquecendo-nos do «nosso»: a casa comum que a todos nos diz respeito.
Se a música do Evangelho deixar de soar, teremos perdido os sons que hão de levar a nossa vida ao céu, entrincheirando-nos num dos piores males do nosso tempo: a solidão e o isolamento. A doença que surge em quem não possui qualquer laço, e que se pode encontrar também nos idosos abandonados ao seu destino, bem como nos jovens sem pontos de referência nem oportunidades de futuro (cf. Discurso ao Parlamento Europeu, 25 de novembro de 2014).
As palavras – Pai, «que todos sejam um só, (…) para que o mundo creia» (Jo 17, 21) – continuam a ressoar intensamente no meio de nós, graças a Deus. É Jesus, Jesus Cristo que, antes do seu sacrifício, reza ao Pai. É Jesus Cristo que, encarando a sua cruz e a cruz de muitos dos nossos irmãos, não cessa de implorar ao Pai. É o murmúrio constante desta oração, que traça a senda e nos indica o caminho a seguir. Imersos na sua oração, como crentes n’Ele e na sua Igreja, desejando a comunhão de graça que o Pai possui desde toda a eternidade (cf. São João Paulo II, Carta enc. Ut unum sint, 9), encontramos lá a única estrada possível para todo o ecumenismo na cruz do sofrimento de tantos jovens, idosos e crianças, frequentemente expostos à exploração, ao absurdo, à falta de oportunidades e à solidão. Enquanto fixa o olhar no Pai e em nós, seus irmãos, Jesus não cessa de implorar: que todos sejam um só.
Hoje, a missão continua a pedir-nos e a reclamar de nós a unidade; é a missão que nos exige que paremos de olhar as feridas do passado e acabemos com todas as atitudes autorreferenciais para nos centrarmos na oração do Mestre. É a missão que reclama que a música do Evangelho não cesse de soar nas nossas praças.
Alguns podem chegar a dizer: são tempos difíceis, são tempos complexos estes que nos cabe viver. Outros podem chegar a pensar que, nas nossas sociedades, os cristãos têm cada vez menor margem de ação e influência devido a inúmeros fatores, como, por exemplo, o secularismo ou as lógicas individualistas. Isto não pode levar a uma atitude de fechamento, de defesa, nem de resignação. Não podemos deixar de reconhecer que certamente os tempos não são fáceis, sobretudo para muitos dos nossos irmãos que hoje vivem na sua carne o exílio e até o martírio por causa da fé. Mas o seu testemunho leva-nos a descobrir que o Senhor nos continua a chamar convidando-nos a viver o Evangelho com alegria, gratidão e radicalidade. Se Cristo nos considerou dignos de viver nestes tempos, nesta hora – a única que temos –, não nos podemos deixar vencer pelo medo nem deixar que ela passe sem a assumir com a alegria da fidelidade. O Senhor dar-nos-á a força para fazer de cada tempo, de cada momento, de cada situação uma oportunidade de comunhão e reconciliação com o Pai e com os irmãos, especialmente com aqueles que hoje são considerados inferiores ou matéria de descarte. Se Cristo nos considerou dignos de fazer ecoar a melodia do Evangelho, deixaremos de o fazer?
A unidade, a que o Senhor nos chama, é uma unidade sempre em chave missionária, que nos pede para sair e alcançar o coração do nosso povo e das culturas, a sociedade pós-moderna em que vivemos «onde são concebidas as novas histórias e paradigmas, alcançar com a Palavra de Jesus os núcleos mais profundos da alma das cidades» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 74). Conseguiremos realizar esta missão ecuménica, se nos deixarmos impregnar pelo Espírito de Cristo que é capaz de «romper também os esquemas enfadonhos em que pretendemos aprisioná-Lo, e surpreende-nos com a sua constante criatividade divina. Sempre que procuramos voltar à fonte e recuperar o frescor original do Evangelho, despontam novas estradas, métodos criativos, outras formas de expressão, sinais mais eloquentes, palavras cheias de renovado significado para o mundo atual» (Ibid., 11).
Amados irmãos e irmãs, que a música do Evangelho continue a repercutir entre nós! Não cesse de ressoar aquilo que permite ao nosso coração continuar a sonhar e a tender para a vida plena a que o Senhor nos chama a todos: sermos seus discípulos-missionários no meio deste mundo onde nos toca viver.
[01439-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Cieszę się, że mogę spotkać się z wami, na tej ziemi charakteryzującej się urzeczywistnianiem drogi szacunku, współpracy i przyjaźni między różnymi Kościołami chrześcijańskimi, którym udało się stworzyć jedność, zachowując charakterystyczne dla siebie bogactwo i to, co je wyróżnia. Odważę się powiedzieć, że jest to „ekumenizm żywy” i stanowi jedną z cech charakterystycznych Łotwy. Bez wątpienia jest to powód do nadziei i dziękczynienia.
Dziękuję arcybiskupowi Jānisowi Vanagsowi, że otworzył nam drzwi tego domu, aby mogło się odbyć nasze spotkanie modlitewne. Ten dom katedralny od ponad 800 lat gości życie chrześcijańskie tego miasta. Jest on wiernym świadkiem naszych braci, którzy tutaj przybywali, by oddawać cześć Bogu, modlić się, podtrzymywać nadzieję w chwilach cierpienia i znaleźć odwagę, aby stawić czoła okresom pełnym niesprawiedliwości i cierpienia. Dziś nas gości, ponieważ Duch Święty stale tworzy osobiście między nami więzi komunii, a tym samym czyni także i nas budowniczymi jedności pośród naszego ludu, aby nasze różnice nie stawały się podziałami. Pozwólmy, aby Duch Święty przyoblekł nas orężem dialogu, zrozumienia, dążeniem do wzajemnego szacunku i braterstwa (por. Ef 6, 13-18).
W tej katedrze znajdują się jedne z najstarszych organów Europy, które w czasie swej inauguracji były największe na świecie. Możemy sobie wyobrazić jak towarzyszyły one życiu, kreatywności, wyobraźni i pobożności wszystkich, którzy dali się ogarnąć ich muzyką. Były narzędziem Boga i ludzi, by wznieść spojrzenie i serce. Dziś są symbolem tego miasta i tej katedry. Dla mieszkańca tego miejsca są to nie tylko monumentalne organy, ale są częścią jego życia, jego tradycji, jego tożsamości. Natomiast dla turysty, są w sposób naturalny obiektem artystycznym, który trzeba poznać i sfotografować. Zawsze jednak istnieje pewne niebezpieczeństwo - zamieniania się mieszkańców w turystów. Czynienie z tego, co jest naszą tożsamością, przedmiotu z przeszłości, muzealnej atrakcji turystycznej, przypominającej dawne czyny, o wielkiej wartości historycznej, ale który przestał poruszać serce słuchaczy.
Dokładnie to samo może stać się z wiarą. Możemy przestać czuć się chrześcijanami będącymi u siebie i stać się turystami. Co więcej, możemy powiedzieć, że całą naszą tradycję chrześcijańską może spotkać ten sam los: może być w końcu sprowadzona do obiektu z przeszłości, zamkniętego w murach naszych kościołów. Przestaje nadawać ton melodii zdolnej do poruszenia i inspirowania życia i serca tych, którzy jej słuchają. Jednak, jak stwierdza usłyszana przez nas Ewangelia, nasza wiara nie ma być ukryta, ale upowszechniana i powinna rozbrzmiewać w różnych dziedzinach życia społecznego, aby wszyscy mogli podziwiać jej piękno i być oświeconymi jej światłem (por. Łk 11, 33).
Jeśli muzyka Ewangelii stanie się tylko piękną partyturą przeszłości, a nie będzie rozbrzmiewała, nie będzie wykonywana w naszym życiu, to nie będzie już umiała przerwać, zakłócić zanudzających monotonii, uniemożliwiających ożywianie nadziei, czyniąc w ten sposób wszystkie nasze wysiłki bezowocnymi.
Jeśli muzyka Ewangelii przestanie rozbrzmiewać w naszych wnętrzach, to utracimy radość wypływającą ze współczucia, czułość, rodzącą się z ufności, zdolność pojednania, mającą swoje źródło w świadomości, że jesteśmy tymi, którym przebaczono, i tymi, którzy są posłani.
Jeśli muzyka Ewangelii przestaje rozbrzmiewać w naszych domach, na naszych ulicach, w miejscach pracy, w polityce i w gospodarce, to wyłączymy melodię, która pobudzała nas do walki o godność każdego człowieka, niezależnie od pochodzenia, zamykając się w tym co „moje”, zapominając o tym, co „nasze”: o wspólnym domu, będącym udziałem nas wszystkich.
Jeśli muzyka Ewangelii przestaje rozbrzmiewać, to tracimy dźwięki, które poprowadzą nasze życie ku niebu, okopując się w jednym z najgorszych nieszczęść naszych czasów: samotności i izolacji. Jest to choroba, która pojawia się u tych, którzy nie mają żadnych więzi, i którą można spotkać u osób starszych pozostawionych swojemu losowi, jak również u młodych pozbawionych punktów odniesienia i szans na przyszłość (por. Przemówienie do Parlamentu Europejskiego, 25 listopada 2014).
Ojcze, „aby wszyscy byli jedno, [...] aby świat uwierzył” (J 17, 21). Dzięki Bogu te słowa wciąż mocno rozbrzmiewają pośród nas. To słowa Jezusa, który przed złożeniem swojej ofiary modli się do Ojca. To Jezus, Jezus Chrystus, patrząc na swój krzyż oraz krzyż wielu naszych braci, nie przestaje błagać Ojca. To nieustanny szept tej modlitwy wytycza szlak i wskazuje drogę, którą mamy pójść. Zanurzeni w Jego modlitwie, jako wierzący w Niego i w Jego Kościół, pragnąc komunii łaski, którą od wieczności ma Ojciec (por. Św. Jan Paweł II, Enc. Ut unum sint, 9), znajdziemy jedyną możliwą drogę dla każdego ekumenizmu: w krzyżu cierpienia wielu młodych, osób starszych i dzieci, często narażonych na wyzysk, brak sensu, na brak szans i samotność. Patrząc na Ojca i na nas, swoich braci, Jezus nigdy nie przestaje błagać: aby wszyscy stanowili jedno.
Misja wciąż wzywa nas do jedności i domaga się od nas jedności. Jest to misja wymagająca od nas zaprzestania spoglądania na rany przeszłości i zaniechania każdej postawy autoreferencyjnej, aby skupić się na modlitwie Nauczyciela. To misja domaga się, aby muzyka Ewangelii nie przestała rozbrzmiewać na naszych placach.
Niektórzy mogą posunąć się do stwierdzenia: przyszło nam żyć w czasach trudnych, przyszło nam żyć w czasach złożonych. Inni mogą nawet pomyśleć, że w naszych społeczeństwach chrześcijanie mają coraz mniej miejsca do działania i wpływania, ze względu na wiele czynników, takich jak sekularyzm lub logika indywidualistyczna. Nie może to prowadzić do postawy bliskości, obrony i rezygnacji Nie można nie przyznać, że na pewno nie są to czasy łatwe, zwłaszcza dla wielu naszych braci, którzy na własnym ciele doświadczają wygnania, a nawet męczeńskiej śmierci z powodu swej wiary. Ale ich świadectwo prowadzi nas do odkrycia, że Pan nadal nas wzywa i zaprasza do przeżywania Ewangelii z radością, wdzięcznością i radykalizmem. Jeśli Chrystus uznał nas za godnych, aby żyć w tych czasach, w tej godzinie – jedynych, jakie mamy - nie możemy dać się pokonać przez strach lub pozwolić, by przeminęły bez wzięcia na siebie odpowiedzialności z radością i wiernością. Pan da nam siłę, by uczynić z każdego czasu, z każdej chwili, każdej sytuacji okazję do komunii i pojednania z Ojcem i z braćmi, zwłaszcza tymi, którzy są obecnie uważani za gorszych lub za materiał do odrzucenia. Jeśli Chrystus uznał nas za godnych, abyśmy śpiewali melodię Ewangelii, czy przestaniemy to czynić?
Jedność, do której wzywa nas Pan jest zawsze jednością w kluczu misyjnym, wymagającą od nas wyjścia i dotarcia do serca naszych ludzi i kultur, postmodernistycznego społeczeństwa, w którym żyjemy, „tam, gdzie kształtują się nowe narracje i paradygmaty, dotrzeć ze słowem Bożym do najgłębszych zakamarków duszy miasta” (Adhort. ap. Evangelii gaudium, 74). Uda nam się zrealizować tę misję ekumeniczną, jeśli pozwolimy, aby przeniknął nas duch Chrystusa, który jest w stanie „rozbić uciążliwe schematy, w których zamierzamy Go uwięzić, i zaskakuje nas swą nieustanną boską kreatywnością. Za każdym razem, gdy staramy się powrócić do źródeł i odzyskać pierwotną świeżość Ewangelii, pojawiają się nowe drogi, twórcze metody, inne formy wyrazu, bardziej wymowne znaki, słowa zawierające nowy sens dla dzisiejszego świata” (tamże, 11).
Drodzy bracia i siostry, niech nie przestaje brzmieć pośród nas muzyka Ewangelii! Niech nie przestaje rozbrzmiewać to, co pozwala naszemu sercu, by nadal marzyło i dążyło do pełnego życia, do którego Pan powołuje nas wszystkich: bycia Jego uczniami-misjonarzami pośród świata, w którym żyjemy.
[01439-PL.02] [Testo originale: Italiano]
[B0684-XX.02]