Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Incontro del Santo Padre Francesco con i Capi delle Chiese e delle Comunità cristiane del Medio Oriente a Bari (7 luglio 2018) (II), 07.07.2018


Parole del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Al termine del Dialogo a porte chiuse nella Basilica di San Nicola, il Santo Padre Francesco e i Patriarchi sono usciti sul sagrato e, alla presenza dei fedeli in attesa sulla piazza, il Papa ha letto alcune parole di saluto. Quindi il Santo Padre e i Patriarchi si sono recati in pullman all’Arcivescovado per il pranzo.

Alle ore 14.50, Papa Francesco si è congedato dai Patriarchi e, prima di ripartire, ha compiuto una breve visita nella Cattedrale. Giunto all’eliporto, ha salutato le Autorità che lo avevano accolto al Suo arrivo. Quindi l’elicottero con a bordo il Santo Padre è decollato alle 15.45 per far ritorno in Vaticano.

Pubblichiamo di seguito le parole di saluto di Papa Francesco, a conclusione del Dialogo:

Parole del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

Sono molto grato per la condivisione che abbiamo avuto la grazia di vivere. Ci siamo aiutati a riscoprire la nostra presenza di cristiani in Medio Oriente, come fratelli. Essa sarà tanto più profetica quanto più testimonierà Gesù Principe della pace (cfr Is 9,5). Egli non impugna la spada, ma chiede ai suoi di rimetterla nel fodero (cfr Gv 18,11). Anche il nostro essere Chiesa è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr Mt 26,56) o la spada (cfr Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore.

La buona notizia di Gesù, crocifisso e risorto per amore, giunta dalle terre del Medio Oriente, ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce. Il Vangelo ci impegna a una quotidiana conversione ai piani di Dio, a trovare in Lui solo sicurezza e conforto, ad annunciarlo a tutti e nonostante tutto. La fede dei semplici, tanto radicata in Medio Oriente, è sorgente da cui attingere per abbeverarci e purificarci, come avviene quando torniamo alle origini, andando pellegrini a Gerusalemme, in Terra Santa o nei santuari dell’Egitto, della Giordania, del Libano, della Siria, della Turchia e degli altri luoghi sacri di quelle regioni.

Incoraggiati gli uni dagli altri, abbiamo dialogato fraternamente. È stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace.

Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente!

La guerra è la piaga che tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia di Deraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti. Non si dimentichi il secolo scorso, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli!

Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti.

Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli.

La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fanciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità.

Pensando ai bambini – non dimentichiamo i bambini! –, tra poco faremo librare in aria, insieme ad alcune colombe, il nostro desiderio di pace. L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). E il Medio Oriente non sia più un arco di guerra teso tra i continenti, ma un’arca di pace accogliente per i popoli e le fedi. Amato Medio Oriente, si diradino da te le tenebre della guerra, del potere, della violenza, dei fanatismi, dei guadagni iniqui, dello sfruttamento, della povertà, della disuguaglianza e del mancato riconoscimento dei diritti. «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” [ripetono] –, in te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen.

[01144-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs,

je suis très heureux du partage que nous avons eu la grâce de vivre. Nous nous sommes aidés à redécouvrir notre présence de chrétiens au Moyen-Orient, comme frères. Celle-ci sera d’autant plus prophétique qu’elle témoignera de Jésus Prince de la paix (cf. Is 9, 5). Il ne prend pas l’épée, mais il demande aux siens de la remettre au fourreau (cf. Jn 18, 11). Notre manière d’être l’Eglise est, elle aussi, tentée par les logiques du monde, logiques de pouvoir et de profit, logiques hâtives et de convenances. Et il y a notre péché, l’incohérence entre la foi et la vie qui obscurcit notre témoignage. Nous sentons que nous devons nous convertir encore une fois à l’Evangile, garant d’une liberté authentique, et que nous devons le faire maintenant avec urgence, dans la nuit du Moyen-Orient en agonie. Comme dans la nuit angoissante de Gethsémani, ce ne sont ni la fuite (cf. Mt 26, 56) ni l’épée (cf. Mt 26, 52) qui hâteront l’aube radieuse de Pâques, mais le don de soi, à l’imitation du Seigneur.

La bonne nouvelle de Jésus, crucifié et ressuscité par amour, qui est venue des terres du Moyen-Orient, a conquis le cœur des hommes au cours des siècles car elle était liée, non pas aux pouvoirs du monde, mais à la force sans défense de la croix. L’Evangile nous engage à une conversion quotidienne aux plans de Dieu, à trouver en lui seul sécurité et réconfort, à l’annoncer à tous et malgré tout. La foi des personnes simples, qui est tellement enracinée au Moyen-Orient, est une source d’où nous pouvons puiser pour nous y abreuver et nous purifier, comme cela se produit quand nous revenons aux origines en allant comme pèlerins à Jérusalem, en Terre Sainte ou dans les sanctuaires d’Egypte, de Jordanie, du Liban, de Syrie, de Turquie ou en d’autres lieux sacrés de ces régions.

Nous encourageant mutuellement, nous avons dialogué fraternellement. Cela a été un signe que la rencontre et l’unité doivent toujours être recherchées sans peur de la diversité. Et de même la paix: elle doit être cultivée, y compris sur les terrains arides des oppositions, car aujourd’hui, quoi qu’il en soit, il n’y a pas d’alternative possible à la paix. Les trêves assurées par les murs ou les épreuves de force n’apporteront pas la paix; mais c’est la volonté réelle d’écoute et de dialogue qui le fera. Nous nous engageons à marcher, à prier et à travailler, et nous demandons que l’art de la rencontre prévale sur les stratégies de l’affrontement, qu’au déploiement des signes de pouvoir menaçants succède le pouvoir des signes d’espérance: hommes de bonne volonté et de credo divers qui n’ont pas peur de se parler, d’accueillir les raisons des autres et de s’occuper les uns des autres. C’est seulement ainsi, en veillant à ce que personne ne manque de pain ni de travail, de dignité ni d’espérance, que les cris de guerre se transformeront en chants de paix.

À cet effet, il est essentiel que celui qui détient le pouvoir se mette enfin et résolument au vrai service de la paix, et non pas de ses propres intérêts. Cela suffit, les avantages de quelques-uns sur le dos d’un grand nombre! Cela suffit, l’occupation de terres qui lacèrent les peuples! Cela suffit, la domination des vérités de parti, sur les espérances des gens! Cela suffit, l’utilisation du Moyen-Orient à des profits étrangers au Moyen-Orient!

La guerre est le fléau qui frappe tragiquement cette région bien-aimée. En sont victimes surtout les pauvres gens. Nous pensons à la Syrie martyrisée, en particulier à la province de Deraa. Là ont repris de rudes combats qui ont provoqué l’évacuation d’un nombre considérable de personnes, exposées à de terribles souffrances. La guerre est fille du pouvoir et de la pauvreté. Elle se jugule en renonçant aux logiques de suprématie et en éradiquant la misère. Beaucoup de conflits ont été fomentés aussi par des formes de fondamentalisme et de fanatisme qui, revêtus de prétextes religieux, ont en réalité blasphémé le nom de Dieu, qui est paix, et ont persécuté le frère qui vit à côté depuis toujours. Mais la violence est toujours alimentée par les armes. On ne peut pas élever la voix pour parler de paix pendant qu’en cachette se poursuivent des courses effrénées à l’armement. C’est une très grave responsabilité qui pèse sur la conscience des nations, en particulier les plus puissantes. Qu’on n’oublie pas le siècle dernier, qu’on n’oublie pas les leçons d’Hiroshima et de Nagasaki; que les terres d’Orient où est né le Verbe de la paix, ne se transforment pas en sombres étendues de silence. Cela suffit, les oppositions obstinées! Cela suffit, la soif de profit qui ne prend personne en compte, cherchant uniquement à accaparer les gisements de gaz et de combustible, sans égard pour la maison commune et sans scrupules sur le fait que le marché de l’énergie dicte la loi de la cohabitation entre les peuples!

Pour ouvrir des chemins de paix, que les regards se tournent vers celui qui ne demande qu’à cohabiter fraternellement avec les autres. Que tous ceux qui sont présents soient défendus, et pas seulement ceux qui sont majoritaires. Que la route vers le droit à la citoyenneté commune soit largement ouverte, également au Moyen-Orient, route vers un avenir renouvelé. Les chrétiens aussi sont et doivent être des citoyens à part entière, avec des droits identiques.

Très angoissés, mais jamais sans espérance, tournons le regard vers Jérusalem, ville de tous les peuples, ville unique et sacrée pour les chrétiens, les juifs et les musulmans du monde entier, ville dont l’identité et la vocation doivent être préservées au-delà des différentes disputes et des tensions, et dont le status quo exige d’être respecté selon ce qui a été décidé par la Communauté internationale et sans cesse demandé par les communautés chrétiennes de Terre Sainte. Seule une solution négociée entre Israéliens et Palestiniens, voulue fermement et favorisée par la Communauté des nations, pourra conduire à une paix stable et durable, et garantir la coexistence de deux Etats pour deux peuples.

L’espérance a le visage des enfants. Au Moyen-Orient, depuis des années, un nombre effrayant de petites gens déplorent des morts violentes dans leur famille et voient leur terre natale prise au piège, n’ayant souvent pour seule possibilité que celle de devoir fuir. Cela, c’est la mort de l’espérance. Les yeux de trop d’enfants ont passé la plus grande partie de leur vie à voir des ruines au lieu d’écoles, à entendre le grondement sourd des bombes au lieu du vacarme festif des jeux. Que l’humanité entende – je vous en prie – le cri des enfants dont la bouche proclame la gloire de Dieu (cf. Ps 8, 3). C’est en essuyant leurs larmes que le monde retrouvera la dignité.

En pensant aux enfants – n’oublions pas les enfants! –, c’est notre désir de paix que nous allons bientôt lancer dans les airs avec quelques colombes. Que le souffle de paix s’élève, plus haut que tous les nuages sombres. Que nos cœurs restent unis et tournés vers le ciel dans l’attente que, comme au temps du déluge, revienne le tendre rameau de l’espérance (cf. Gn 8, 11). Et que le Moyen Orient ne soit plus un arc de guerre tendu entre les continents, mais une arche de paix accueillante pour les peuples et les croyances. Moyen-Orient bien-aimé, que se dissipent chez toi les ténèbres de la guerre, du pouvoir, de la violence, des fanatismes, des profits iniques, de l’exploitation, de la pauvreté, de l’inégalité et du manque de reconnaissance des droits. «Que la paix soit sur toi» (Ps 121, 8) – ensemble: “Que la paix soit sur toi” [ils répètent] –, en toi la justice, que sur toi repose la bénédiction de Dieu. Amen.

[01144-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

I am most grateful for this graced moment of sharing. As brothers and sisters, we have helped one another to appreciate anew our presence as Christians in the Middle East. This presence will be all the more prophetic to the extent that it bears witness to Jesus, the Prince of Peace (cf. Is 9:5). Jesus does not draw a sword; instead, he asks his disciples to put it back in its sheath (cf. Jn 18:11). Our way of being Church is also tempted by worldly attitudes, by a concern for power and profit, for quick and convenient solutions. Then too, there is the reality of our sinfulness, the disconnect between faith and life that obscures our witness. We sense our need for renewed conversion to the Gospel, the guarantee of authentic freedom, and our need to do so urgently, as the Middle East endures a night of agony. As in the agony of Jesus in the garden of Gethsemane, it will not be flight (cf. Mt 26:56) or the sword (cf. Mt 26:52) that will lead to the radiant dawn of Easter. Instead, it will be our gift of self, in imitation of the Lord.

The Good News of Jesus, crucified and risen out of love, came from the Middle East and has won over human hearts down the centuries because it is bound not to the powers of this world, but to the unarmed power of the cross. The Gospel invites us to daily conversion to God’s plans; it invites us to find our safety and consolation in him alone, and to make him known to everyone despite all obstacles. The faith of the lowly, so deeply rooted in the Middle East, is the wellspring from which we can draw water to drink and to be purified. This is always the case whenever we return to our origins and go as pilgrims to Jerusalem, the Holy Land or the shrines of Egypt, Jordan, Lebanon, Syria, Turkey and the other holy places in the region.

Encouraged by one another, we have engaged in fraternal dialogue. It has been a sign of our need to pursue encounter and unity without being afraid of our differences. So it is with peace: it too must be cultivated in the parched soil of conflict and discord, because today, in spite of everything, there is no real alternative to peacemaking. Truces maintained by walls and displays of power will not lead to peace, but only the concrete desire to listen and to engage in dialogue. We commit ourselves to walking, praying and working together, in the hope that the art of encounter will prevail over strategies of conflict. In the hope that the display of threatening signs of power will yield to the power of signs: men and women of good will of different beliefs, unafraid of dialogue, open to the ideas of others and concerned for their good. Only in this way, by ensuring that no one lacks bread and work, dignity and hope, will the cries of war turn into songs of peace.

If this is to happen, it is essential that those in power choose finally and decisively to work for true peace and not for their own interests. Let there be an end to the few profiting from the sufferings of many! No more occupying territories and thus tearing people apart! No more letting half-truths continue to frustrate people’s aspirations! Let there be an end to using the Middle East for gains that have nothing to do with the Middle East!

War is the scourge that tragically assails this beloved region. The poor are its principal victims. Let us think only of war-torn Syria, especially the Daraa region, where bitter conflicts have started again, displacing a large number of people who are now subjected to terrible suffering. War is the daughter of power and poverty. It is defeated by renouncing the thirst for supremacy and by eradicating poverty. So many conflicts have been stoked too by forms of fundamentalism and fanaticism that, under the guise of religion, have profaned God’s name – which is peace – and persecuted age-old neighbours. Violence is always fueled by weapons. You cannot speak of peace while you are secretly racing to stockpile new arms. This is a most serious responsibility weighing on the conscience of nations, especially the most powerful. Let us not forget the last century. Let us not forget the lessons of Hiroshima and Nagasaki. Let us not turn the Middle East, where the Word of peace sprang up, into dark stretches of silence. Let us have enough of stubborn opposition! Enough of the thirst for profit that surreptitiously exploits oil and gas fields without regard for our common home, with no scruples about the fact that energy market now dictates the law of coexistence among peoples!

To blaze paths of peace, let us turn our gaze instead to those who beg to live with others as brothers and sisters. May every community be protected, not simply the majority. Let the way to the right of common citizenship be opened in the Middle East, as the path to a renewed future. Christians too are, and ought to be, full citizens enjoying equal rights.

With deep anguish, but with constant hope, we turn our gaze to Jerusalem, a city for all peoples, a unique and sacred city for Christians, Jews and Muslims the world over. A city whose identity and vocation must be safeguarded apart from various disputes and tensions, and whose status quo demands to be respected, as decided by the international community and repeatedly requested by the Christian communities of the Holy Land. Only a negotiated solution between Israelis and Palestinians, firmly willed and promoted by the international community, will be able to lead to a stable and lasting peace, and guarantee the coexistence of two states for two peoples.

Hope has the face of children. In the Middle East, for years, an appalling number of young people mourn violent deaths in their families and see their native land threatened, often with their only prospect being that of flight. This is the death of hope. All too many children have spent most of their lives looking at rubble instead of schools, hearing the deafening explosion of bombs rather than the happy din of playgrounds. May humanity listen – this is my plea – to the cry of children, whose mouths proclaim the glory of God (cf. Ps 8:3). Only by wiping away their tears will the world recover its dignity.

With this concern for the children – let us not forget the children! – we will shortly let our desire for peace take wing by releasing some doves. May the longing for peace rise higher than any dark cloud. May our hearts remain united and turned to heaven, as in the days of the Flood (cf. Gen 8:11), in expectation of a fresh twig of hope. And may the Middle East no longer be an ark of war lying between continents, but an ark of peace that welcomes peoples of different backgrounds and beliefs. Beloved Middle East, may you see dispelled the darkness of war, power, violence, fanaticism, unfair gains, exploitation, poverty, inequality and lack of respect for rights. “May peace be upon you” (Ps 122:8) – all together: “May peace be upon you” – may justice dwell within your borders, and may God’s blessing come to rest upon you. Amen!

[01144-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern,

ich bin sehr dankbar für die Gnade dieses Austauschs, den wir erleben durften. Wir haben uns gegenseitig geholfen, unsere Präsenz als Christen im Nahen Osten als Brüder und Schwestern wiederzuentdecken. Sie wird umso prophetischer sein, je mehr sie Jesus, den Fürst des Friedens (vgl. Jes 9,5), bezeugt. Er greift nicht zum Schwert, sondern verlangt von seinen Jüngern, es wieder in die Scheide zu stecken (vgl. Joh 18,11). Auch unser Kirche-Sein wird von der Logik der Welt, der Logik der Macht und des Gewinnstrebens, der Logik eines oberflächlichen Opportunismus. Und dann ist da unsere Sünde, der Widerspruch zwischen Glaube und Leben, der das Zeugnis verdunkelt. Wir spüren, dass wir uns einmal mehr wieder zum Evangelium bekehren müssen, der Garantie echter Freiheit, und das muss unbedingt jetzt geschehen, in der Nacht des Nahen Ostens, der mit dem Tode ringt. Wie in der quälenden Nacht von Getsemani wird nicht die Flucht (vgl. Mt 26,56) oder das Schwert (vgl. Mt 26,52) den strahlenden Ostermorgen vorwegnehmen, sondern die Selbsthingabe in der Nachfolge des Herrn.

Die gute Nachricht des aus Liebe gekreuzigten und auferstandenen Jesus, die aus den Ländern des Nahen Ostens zu uns gelangt ist, hat das Herz des Menschen durch die Jahrhunderte ergriffen, weil sie nicht mit den Mächten der Welt, sondern mit der Ohnmacht des Kreuzes verbunden ist. Das Evangelium verpflichtet uns zu einer täglichen Umkehr zu den Plänen Gottes, dazu, allein in ihm Sicherheit und Bestärkung zu finden und es allen und trotz allem zu verkünden. Der Glaube der einfachen Menschen, der im Nahen Osten sehr tief verwurzelt ist, ist ein Quell, aus dem wir schöpfen können, um unseren Durst zu stillen und uns zu reinigen. So geschieht es, wenn wir zu den Ursprüngen zurückkehren und uns als Pilger nach Jerusalem, ins Heilige Land oder zu den Heiligtümern in Ägypten, Jordanien, im Libanon, in Syrien, in der Türkei und zu den anderen heiligen Orten in dieser Region begeben.

Unter gegenseitiger Ermutigung haben wir einen brüderlichen Dialog geführt. Er war ein Zeichen dafür, dass Begegnung und Einheit immer gesucht werden müssen, ohne Angst vor den Unterschieden. So ist es auch mit dem Frieden: Er muss selbst auf dem dürren Boden der Gegensätze gepflegt werden, denn trotz allem gibt es heute keine Alternative zum Frieden. Nicht die durch Mauern und Machtdemonstrationen garantierten Waffenstillstände werden Frieden bringen, sondern echter Wille zum Zuhören und zum Dialog. Wir verpflichten uns dazu, diesen Weg zu gehen, dafür zu beten und zu arbeiten, und wir bitten darum, dass die Kunst der Begegnung sich gegenüber den Strategien der Konfrontation durchsetzt, dass auf die Zurschaustellung bedrohlicher Zeichen der Macht die Macht der Zeichen der Hoffnung folgt: Menschen guten Willens und verschiedenen Glaubens, die keine Angst davor haben, miteinander zu sprechen, fremde Gedanken zuzulassen und sich umeinander zu kümmern. Nur so, wenn dafür gesorgt ist, dass niemand ohne Brot und Arbeit, dass niemand ohne Würde und Hoffnung ist, werden sich die Schreie des Krieges in Lieder des Friedens verwandeln.

Dazu ist es unerlässlich, dass sich die Machthabenden endlich entschlossen in den Dienst des Friedens stellen und nicht ihren eigenen Interessen dienen. Es muss damit Schluss sein, dass die Gewinne einiger weniger auf Kosten so vieler erwirtschaftet werden. Schluss mit Landbesetzungen, die die Völker auseinanderreißen! Schluss damit, dass parteiische Wahrheiten über den Hoffnungen der Menschen stehen! Schluss damit, dass der Nahe Osten für Profite außerhalb des Nahen Ostens benutzt wird!

Der Krieg ist die Plage, die diese geliebte Region auf tragische Weise heimsucht. Die Hauptopfer sind arme Menschen. Denken wir an das gemarterte Syrien, vor allem an die Provinz Daraa. Dort finden wieder heftige Kämpfe statt und sind Ursache für eine hohe Zahl von Menschen auf der Flucht, die schrecklichen Leiden ausgesetzt sind. Krieg wird von Macht und Armut gezeugt. Er wird durch den Verzicht auf die Logik der Vorherrschaft und durch die Beseitigung der Wurzeln der Armut überwunden. Viele Konflikte sind auch durch Formen des Fundamentalismus und Fanatismus geschürt worden, die unter der Tarnung religiöser Vorwände in Wirklichkeit den Namen Gottes, der Friede ist, lästerten und den Bruder verfolgten, mit dem man immer in Nachbarschaft gelebt hat. Doch Gewalt wird immer durch Waffen angeheizt. Man kann nicht seine Stimme erheben, um über den Frieden zu sprechen, während man heimlich ein ungezügeltes Wettrüsten veranstaltet. Das ist eine sehr ernste Verantwortung, die schwer auf dem Gewissen der Nationen, insbesondere der mächtigsten Länder, lastet. Man vergesse nicht das letzte Jahrhundert, man vergesse nicht die Lehren aus Hiroshima und Nagasaki, man verwandle die Länder des Orients, aus denen das Wort des Friedens hervorging, nicht in dunkle Wüsten der Stille. Schluss mit sturen Gegensätzen, Schluss mit der Profitgier, die niemandem ins Gesicht sieht, nur um sich Gas- und Brennstoffvorkommen zu ergattern, ohne Rücksicht auf das gemeinsame Haus und ohne Skrupel davor, dass der Energiemarkt das Gesetz des Zusammenlebens der Völker diktiert!

Um Wege des Friedens zu erschließen, möge man stattdessen den Blick auf diejenigen richten, die voller Sehnsucht danach sind, brüderlich mit anderen zusammenzuleben. Man schütze das Daseinsrecht aller, nicht nur das der Mehrheit. Auch im Nahen Osten möge der Weg zum Recht auf eine gemeinsame Staatsbürgerschaft, der Weg in eine neue Zukunft eröffnet werden. Auch Christen sind und sollen gleichberechtigte Bürger sein.

Sehr bedrückt, aber nie ohne Hoffnung, richten wir unseren Blick auf Jerusalem, eine Stadt für alle Völker, eine einzigartige und heilige Stadt für Christen, Juden und Muslime auf der ganzen Welt. Jerusalems Identität und Berufung muss über die verschiedenen Streitigkeiten und Spannungen hinaus bewahrt werden und es ist unerlässlich, dass sein Status quo eingehalten wird gemäß den Beschlüssen der internationalen Gemeinschaft, was von den christlichen Gemeinschaften des Heiligen Landes wiederholt gefordert wurde. Nur eine Verhandlungslösung zwischen Israelis und Palästinensern, die von der Gemeinschaft der Nationen nachdrücklich gewollt und gefördert wird, kann zu einem stabilen und dauerhaften Frieden führen und die Koexistenz zweier Staaten für zwei Völker gewährleisten.

Die Hoffnung hat das Gesicht von Kindern. Im Nahen Osten beweinen seit Jahren erschreckend viele Kinder gewaltsame Todesfälle in ihren Familien und sehen ihre Heimat bedroht, oft bleibt ihnen keine andere Perspektive als die Flucht. Das ist der Tod der Hoffnung. Die Augen zu vieler Kinder haben die meiste Zeit ihres Lebens damit verbracht, Trümmer statt Schulen zu sehen, das ohrenbetäubende Getöse von Bomben zu vernehmen anstatt des fröhlichen Lärmens beim Spiel. Möge die Menschheit – darum bitte ich euch – auf den Schrei der Kinder hören, deren Mund die Herrlichkeit Gottes verkündet (vgl. Ps 8,3). Wenn sie die Tränen der Kinder trocknet, wird die Welt ihre Würde wiedererlangen.

Wir denken an die Kinder – vergessen wir die Kinder nicht! – und werden so gleich zusammen mit einigen Tauben unseren Wunsch nach Frieden in die Lüfte aufsteigen lassen. Die Sehnsucht nach Frieden möge sich über alle dunklen Wolken hinaus erheben. Mögen unsere Herzen vereint bleiben, auf den Himmel gerichtet sein und wie in den Tagen der Flut darauf warten, dass der zarte Zweig der Hoffnung zurückkehrt (vgl. Gen 8,11). Der Nahe Osten möge nicht länger ein Bogen des Krieges sein, der sich über die Kontinente spannt, sondern eine Arche des Friedens, die Völker und Religionen willkommen heißt. Geliebter Naher Osten, möge sich über dir die Dunkelheit von Krieg, Macht, Gewalt, Fanatismus, unfairen Gewinnen, Ausbeutung, Armut, Ungleichheit und fehlender Anerkennung von Rechten lichten. »In dir sei Friede« (Ps 122,8) – gemeinsam: »In dir sei Friede« [alle wiederholen] –, in dir sei Gerechtigkeit, über dir ruhe der Segen Gottes. Amen.

[01144-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas

Estoy muy agradecido por este encuentro que hemos tenido la gracia de vivir. Nos hemos ayudado a redescubrir nuestra presencia como cristianos en Oriente Medio, como hermanos. Y será tanto más profética cuanto más manifieste a Jesús, el Príncipe de la paz (cf. Is 9,5). Él no empuña la espada, sino que le pide a los suyos que la metan de nuevo en la vaina (cf. Jn 18,11). También nuestro modo de ser iglesia se ve tentado por la lógica del mundo, lógica de poder y de ganancia, lógica apresurada y de conveniencia. Y está nuestro pecado, la incoherencia entre la fe y la vida, que oscurece el testimonio. Sentimos una vez más que debemos convertirnos al Evangelio, garantía de auténtica libertad, y hacerlo con urgencia ahora, en la noche del Oriente Medio en agonía. Como en la noche angustiosa de Getsemaní, no será la huida (cf. Mt 26,56) o la espada (cf. Mt 26,52) lo que anticipe el radiante amanecer de la Pascua, sino el don de sí a imitación del Señor.

La buena noticia de Jesús, crucificado y resucitado por amor, que nos llegó desde las tierras de Oriente Medio, ha conquistado el corazón del hombre a lo largo de los siglos porque no está ligada a los poderes del mundo, sino a la fuerza inerme de la Cruz. El Evangelio nos obliga a una conversión diaria a los planes de Dios, a que encontremos solo en él seguridad y consuelo, para anunciarlo a todos y a pesar de todo. La fe de las personas sencillas, tan profundamente arraigada en Oriente Medio, es la fuente en la que debemos saciarnos y purificarnos, como sucede cuando volvemos a los orígenes, yendo como peregrinos a Jerusalén, a Tierra Santa o a los santuarios de Egipto, Jordania, Líbano, Siria, Turquía y de otros lugares sagrados de esa región.

Alentándonos mutuamente, hemos dialogado fraternalmente. Ha sido un signo de que el encuentro y la unidad hay que buscarlos siempre, sin temer las diferencias. Así también la paz: hay que cultivarla también en las áridas tierras de las contraposiciones, porque hoy, a pesar de todo, no hay alternativa posible a la paz. La paz no vendrá gracias a las treguas sostenidas por muros y pruebas de fuerza, sino por la voluntad real de escuchar y dialogar. Nosotros nos comprometemos a caminar, orar y trabajar, e imploramos que el arte del encuentro prevalezca sobre las estrategias de confrontación, que la ostentación de los amenazantes signos de poder deje paso al poder de los signos de esperanza: hombres de buena voluntad y de diferentes credos que no tienen miedo de hablarse, de aceptar las razones de los demás y de cuidarse unos a otros. Solo así, cuidando que a nadie le falte pan y trabajo, dignidad y esperanza, los gritos de guerra se transformarán en cantos de paz.

Para ello es esencial que quien tiene el poder se ponga decidida y sin más dilaciones al servicio verdadero de la paz y no al de los propios intereses. ¡Basta del beneficio de unos pocos a costa de la piel de muchos! ¡Basta de las ocupaciones de las tierras que desgarran a los pueblos! ¡Basta con el prevalecer de las verdades parciales a costa de las esperanzas de la gente! ¡Basta de usar a Oriente Medio para obtener beneficios ajenos a Oriente Medio!

La guerra es la plaga que trágicamente asalta esta amada región. Quien lo sufre es sobre todo la gente pobre. Pensemos en la martirizada Siria, especialmente en la provincia de Deraa, donde se han reanudado intensos combates que han provocado un gran número de personas desplazadas, expuestas a terribles sufrimientos. La guerra es hija del poder y la pobreza. Se vence renunciando a la lógica de la supremacía y erradicando la miseria. Muchos conflictos han sido fomentados también por formas de fundamentalismo y fanatismo que, disfrazados de pretextos religiosos, han blasfemado en realidad el nombre de Dios, que es paz, y han perseguido al hermano que desde siempre ha vivido al lado. Pero la violencia se alimenta siempre de las armas. No se puede levantar la voz para hablar de paz mientras a escondidas se siguen desenfrenadas carreras de rearme. Es una gravísima responsabilidad que pesa sobre la conciencia de las naciones, especialmente de las más poderosas. No olvidemos el siglo pasado, no dejemos de lado las lecciones de Hiroshima y Nagasaki, no convirtamos las tierras de Oriente, donde apareció el Verbo de paz, en oscuras extensiones de silencio. Basta de contraposiciones obstinadas, basta de la sed de ganancia, que no se detiene ante nadie con tal de acaparar depósitos de gas y combustible, sin ningún cuidado por la casa común y sin ningún escrúpulo en que el mercado de la energía dicte la ley de la convivencia entre los pueblos.

Que para abrir caminos de paz, se vuelva la mirada en cambio hacia quien suplica poder vivir fraternalmente con los demás. Que se proteja la presencia de todos no solo de los que son mayoría. Que se abra también de par en par en Oriente Medio el camino del derecho a una común ciudadanía, camino para un futuro renovado. También los cristianos son y ha de ser ciudadanos a título pleno, con los mismos derechos.

Profundamente angustiados, pero nunca privados de esperanza, volvemos la mirada a Jerusalén, ciudad para todos los pueblos, ciudad única y sagrada para los cristianos, judíos y musulmanes de todo el mundo, cuya identidad y vocación ha de ser preservada más allá de las distintas disputas y tensiones, y cuyo status quo exige que sea respetado de acuerdo con lo deliberado por la Comunidad internacional y repetidamente formulado por las comunidades cristianas de Tierra Santa. Solo una solución negociada entre israelíes y palestinos, firmemente deseada y favorecida por la Comunidad de naciones, podrá conducir a una paz estable y duradera, y asegurar la coexistencia de dos Estados para dos pueblos.

La esperanza tiene el rostro de los niños. En Oriente Medio, durante años, un número aterrador de niños llora a causa de muertes violentas en sus familias y ve amenazada su tierra natal, a menudo con la única posibilidad de tener que huir. Esta es la muerte de la esperanza. Son demasiados los niños que han pasado la mayor parte de sus vidas viendo con sus ojos escombros en lugar de escuelas, oyendo el sordo estruendo de las bombas en lugar del bullicio festivo de los juegos. Que la humanidad – os ruego – escuche el grito de los niños, cuya boca proclama la gloria de Dios (cf. Sal 8,3). Solo secando sus lágrimas el mundo encontrará la dignidad.

Pensando en los niños -¡No nos olvidemos de los niños!-, dentro de poco lanzaremos al aire, junto con algunas palomas, nuestro deseo de paz. Que el anhelo de paz se eleve más alto que cualquier nube oscura. Que nuestros corazones se mantengan unidos y vueltos al cielo, esperando que, como en los tiempos del diluvio, regrese el tierno brote de la esperanza (cf. Gn 8,11). Y que Oriente Medio no sea más un arco de guerra tensado entre los continentes, sino un arca de paz acogedora para los pueblos y los credos. Amado Oriente Medio, que desaparezcan de ti las tinieblas de la guerra, del poder, de la violencia, de los fanatismos, de los beneficios injustos, de la explotación, de la pobreza, de la desigualdad y de la falta de reconocimiento de los derechos. «Que la paz descienda sobre ti» (Sal 122,8) - repitamos juntos: «Que la paz descienda sobre ti»-, en ti la justicia, sobre ti descienda la bendición de Dios. Amén.

[01144-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Amados irmãos e irmãs!

Sinto-me muito grato pela partilha que tivemos a graça de viver. Ajudamo-nos a redescobrir a nossa presença de cristãos no Médio Oriente, como irmãos. Esta presença será tanto mais profética quanto mais testemunhar Jesus, Príncipe da paz (cf. Is 9, 5). Ele não empunha a espada; antes, pede aos seus que a reponham na bainha (cf. Jo 18, 11). Também o nosso ser Igreja é tentado pelas lógicas do mundo, lógicas de poder e lucro, lógicas resolutivas e de conveniência. E temos o nosso pecado, a incoerência entre a fé e a vida, que obscurece o testemunho. Mais uma vez sentimos que temos de nos converter ao Evangelho, garantia de liberdade autêntica, e de o fazer urgentemente agora, na noite do Médio Oriente em agonia. Como na noite angustiante do Getsémani, não serão a fuga (cf. Mt 26,56) nem a espada (cf. Mt 26,52) que antecipam a aurora radiosa de Páscoa, mas o dom de si mesmo à imitação do Senhor.

A boa nova de Jesus, crucificado e ressuscitado por amor, chegada das terras do Médio Oriente, conquistou o coração do homem ao longo dos séculos, porque está ligada, não aos poderes do mundo, mas à força inerme da cruz. O Evangelho compromete-nos numa conversão diária aos planos de Deus, a encontrar segurança e conforto apenas n’Ele, a anunciá-Lo a todos e apesar de tudo. A fé dos simples, tão enraizada no Médio Oriente, é fonte donde tirar água para saciar a sede e nos purificar, como acontece quando voltamos às origens, indo peregrinos a Jerusalém, à Terra Santa ou aos santuários do Egito, Jordânia, Líbano, Síria, Turquia e dos outros lugares sagrados daquelas regiões.

Encorajados uns pelos outros, dialogamos fraternalmente. Foi um sinal de que se deve buscar sempre o encontro e a unidade, sem medo das diferenças. E o mesmo se diga da paz: deve ser cultivada mesmo nos terrenos áridos das contraposições, porque hoje, apesar de tudo, não há alternativa possível à paz. Não são as tréguas garantidas por muros e provas de força que trarão a paz, mas a vontade real de escuta e diálogo. Comprometemo-nos a caminhar, rezar e trabalhar, e imploramos que a arte do encontro prevaleça sobre as estratégias do conflito, que a ostentação de ameaçadores sinais de poder seja substituída pelo poder de sinais esperançosos: homens de boa vontade e de credos diferentes que não têm medo de se falar, acolher as razões alheias e cuidar uns dos outros. Só assim, tendo cuidado para que a ninguém falte o pão e o trabalho, a dignidade e a esperança, os gritos de guerra se transformarão em cânticos de paz.

Para se conseguir isto, é essencial que os detentores do poder se ponham, final e decididamente, ao serviço autêntico da paz e não dos interesses próprios. Basta com os lucros de poucos à custa da pele de muitos! Basta com as ocupações de terras que dilaceram os povos! Basta com fazer prevalecer verdades de parte sobre as esperanças da gente! Basta com usar o Médio Oriente para lucros alheios ao Médio Oriente.

A guerra é o flagelo que acomete tragicamente esta amada região. E as suas vítimas são sobretudo a gente humilde. Pensemos na martirizada Síria, em particular na província de Deraa. Lá recomeçaram duros combates que provocaram um número enorme de deslocados, expostos a tribulações terríveis. A guerra é filha do poder e da pobreza. Vence-se renunciando às lógicas de supremacia e erradicando a miséria. Muitos conflitos foram fomentados também por formas de fundamentalismo e fanatismo que, disfarçados sob pretextos religiosos, na realidade blasfemaram do nome de Deus, que é paz, e perseguiram o irmão que vive desde sempre ao seu lado. Mas a violência é sempre alimentada pelas armas. Não se pode levantar a voz para falar de paz, enquanto, às escondidas, se perseguem desenfreadas corridas ao rearmamento. É uma gravíssima responsabilidade, que pesa sobre a consciência das nações, em particular das mais poderosas. Não se esqueça o século passado, não se esqueçam as lições de Hiroxima e Nagasaki, não se transformem as terras do Oriente, onde nasceu o Verbo da paz, em escuras vastidões de silêncio. Basta com contraposições obstinadas; basta com a sede de lucro que passa por cima de todos para se apoderar de jazidas de gás e combustíveis, sem respeito pela casa comum nem escrúpulos pelo facto de ser o mercado da energia a ditar a lei da convivência entre os povos!

Para abrir sendas de paz, volte-se o olhar para o lado contrário, ou seja, para quem suplica poder conviver fraternalmente com os outros. Tutelem-se todas as presenças, e não apenas as maioritárias. Abra-se também no Médio Oriente a estrada para o direito à cidadania comum, estrada para um futuro renovado. Os próprios cristãos sejam, e são, cidadãos a todos os títulos, com direitos iguais.

Fortemente angustiados, mas nunca sem esperança, voltamos o olhar para Jerusalém, cidade para todos os povos, cidade única e sagrada para cristãos, judeus e muçulmanos de todo o mundo, cuja identidade e vocação devem ser preservadas, independentemente das várias disputas e tensões, e cujo status quo exige ser respeitado como foi deliberado pela Comunidade Internacional e repetidamente solicitado pelas comunidades cristãs da Terra Santa. Só uma solução negociada entre israelitas e palestinenses, firmemente desejada e favorecida pela Comunidade das Nações, poderá levar a uma paz estável e duradoura e garantir a coexistência de dois Estados para dois povos.

A esperança tem o rosto das crianças. Há anos que, no Médio Oriente, um número terrível de pequeninos chora mortes violentas em família e vê ameaçada a sua terra natal, restando-lhes muitas vezes como única perspetiva ter de fugir. Esta é a morte da esperança. Os olhos de demasiadas crianças passaram a maior parte da vida a ver escombros em vez de escolas, ouvir o estrondo surdo de bombas em vez da alegre algazarra dos jogos. Que a humanidade escute – peço-vos – o clamor das crianças, cuja boca proclama a glória de Deus (cf. Sal 8, 3). É enxugando as suas lágrimas que o mundo reencontrará a dignidade.

Pensando nas crianças – não esqueçamos as crianças –, daqui a pouco faremos voar no ar, junto com algumas pombas, o nosso desejo de paz. O anseio de paz suba mais alto que todas as nuvens escuras. Os nossos corações permaneçam unidos e voltados para o Céu, à espera que torne, como nos tempos do dilúvio, o tenro ramo da esperança (cf. Gn 8, 11). E o Médio Oriente seja, já não um arco de guerra estendido entre os continentes, mas uma arca de paz acolhedora dos povos e dos credos. Querido Médio Oriente, desapareçam de ti as trevas da guerra, do poder, da violência, dos fanatismos, dos ganhos iníquos, da exploração, da pobreza, da desigualdade e do não-reconhecimento dos direitos. «Para ti, haja paz» (Sal 122, 8) – juntos: «Para ti, haja paz» [repetem] –, em ti habite a justiça, sobre ti repouse a bênção de Deus. Amen.

[01144-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Jestem bardzo wdzięczny za wspólnotę, jaką dane nam było przeżywać. Pomogliśmy sobie w ponownym odkryciu naszej obecności chrześcijan na Bliskim Wschodzie jako bracia. Będzie ona tym bardziej prorocza, im bardziej będzie świadczyła o Jezusie, Księciu pokoju (por. Iz 9,5). Nie dzierży On miecza, lecz prosi swoich uczniów, aby włożyli go z powrotem do pochwy (por. J 18,11). Także nasze bycie Kościołem doznaje pokus ze strony logiki świata, logiki władzy i zysku, logiki pochopnej i dążenia do wygody. I jest w tym nasz grzech niespójności między wiarą a życiem, który zaciemnia świadectwo. Odczuwamy, że musimy jeszcze raz nawrócić się na Ewangelię, która jest gwarancją prawdziwej wolności i uczynić to teraz pilnie, w nocy dogorywającego Bliskiego Wschodu. Jak w udręce nocy Getsemani, nie ucieczka (por. Mt 26,56), lub miecz (por. Mt 26,52), będą poprzedzały jaśniejącą jutrzenkę Wielkanocy, ale dar z siebie, na wzór Pana.

Dobra Nowina Jezusa, który został ukrzyżowany i zmartwychwstał ze wzglądu na miłość, dotarłszy z terenów Bliskiego Wschodu, zdobyła ludzkie serce na przestrzeni wieków, ponieważ nie była powiązana z możnymi świata, ale z bezbronną mocą krzyża. Ewangelia zobowiązuje nas do codziennego nawracania się na plany Boga, aby znaleźć w Nim jedynie bezpieczeństwo i pociechę, aby głosić Go wszystkim i mimo wszystko. Wiara ludzi prostych, tak głęboko zakorzeniona na Bliskim Wschodzie, jest źródłem, z którego można czerpać, aby ugasić pragnienie i aby się oczyścić, jak to ma miejsce, kiedy powracamy do korzeni, udając się jako pielgrzymi do Jerozolimy, Ziemi Świętej lub do sanktuariów Egiptu, Jordanii, Libanu, Syrii, Turcji oraz do innych miejsc świętych w tych regionach.

Wspierani jedni przez drugich prowadziliśmy braterski dialog. Był to znak, że do spotkania i jedności zawsze trzeba dążyć nie lękając się różnorodności. Podobnie pokój: trzeba o niego dbać także na jałowych terenach przeciwieństw, ponieważ dzisiaj, mimo wszystko, nie ma żadnej alternatywy dla pokoju. Ani rozejmy zagwarantowane murami, ani próby sił nie przyniosą pokoju, ale rzeczywista wola wysłuchania i dialogu. Zobowiązujemy się do pielgrzymowania, modlitwy i działań. Żarliwie błagamy, aby sztuka spotkania zwyciężyła nad strategiami konfliktu, aby przechwalanie się złowrogimi oznakami mocy zastąpiła moc znaków pełnych nadziei: ludzie dobrej woli, o różnych wyznaniach wiary, którzy nie boją się ze sobą rozmawiać, akceptować motywów innych osób i troszczyć się jedni o drugich. Tylko w ten sposób, dbając o to, aby nikomu nie zabrakło chleba i pracy, godności i nadziei, okrzyki wojny zamienią się w pieśni pokoju.

Aby to uczynić, konieczne jest, by rządzący w końcu i stanowczo poświęcili się prawdziwej służbie pokoju, a nie swoim własnym interesom. Dość własnych korzyści nielicznych kosztem wielu! Dość okupowania ziem rozdzierających narody! Dość panowania półprawd nad nadziejami ludzi! Dość wyzyskiwania Bliskiego Wschodu dla korzyści obcych Bliskiemu Wschodowi!

Wojna jest plagą, która tragicznie owładnęła tym umiłowanym regionem. Jej ofiarą są zwłaszcza ludzie ubodzy. Pomyślmy o udręczonej Syrii, a zwłaszcza o prowincji Deraa. Tam wznowiono zacięte walki, które spowodowały ogromną liczbę uchodźców, narażonych na straszliwe cierpienia. Wojna rodzi się z żądzy władzy i z ubóstwa. Pokonuje się ją wyrzekając się logiki panowania i wykorzeniając ubóstwo. Wiele konfliktów było podsycanych również przez formy fundamentalizmu i fanatyzmu, które pod przykrywką rzekomej religijności były w istocie bluźnierstwem wobec Boga, który jest pokojem, i prześladowały brata, który od wieków mieszka tuż obok. Ale przemoc jest zawsze napędzana przez broń. Nie można podnosić głosu, by mówić o pokoju, gdy w ukryciu trwa nieokiełznany wyścig zbrojeń. Jest to bardzo poważna odpowiedzialność, która ciąży na sumieniu państw, zwłaszcza tych najpotężniejszych. Nie zapominajmy o ubiegłym wieku, nie zapomnijmy o lekcjach Hiroszimy i Nagasaki, niech ziemie Wschodu, gdzie narodziło się Słowo Pokoju nie zmieniają się w mroczne pustynie milczenia. Dość zawziętych konfliktów, dość pragnienia zysku, które nie patrzy nikomu w twarz, byle by tylko zyskać złoża ropy naftowej i paliw, nie mając względu na wspólny dom i nie mając skrupułów co do faktu, że rynek energii dyktuje prawa współistnienia między narodami!

Aby otworzyć drogi pokoju trzeba natomiast skierować spojrzenie na tych, którzy błagają o współistnienie z innymi po bratersku. Niech będzie chroniona każda obecność, a nie tylko grup większościowych. Niech również na Bliskim Wschodzie otwiera się na oścież droga do wspólnego obywatelstwa, droga do odnowionej przyszłości. Także chrześcijanie są i niech będą pełnoprawnymi obywatelami, z równymi prawami.

Mocno zaniepokojeni, ale nigdy nie pozbawieni nadziei, kierujemy spojrzenie ku Jerozolimie, miastu dla wszystkich narodów, miastu wyjątkowemu i świętemu dla chrześcijan, wyznawców judaizmu i muzułmanów całego świata, którego tożsamość i powołanie musi być zachowane niezależnie od różnych sporów i napięć, a którego status quo wymaga respektowania, zgodnie z postanowieniami wspólnoty międzynarodowej i wielokrotnych postulatów wspólnot chrześcijańskich Ziemi Świętej. Jedynie rozstrzygnięcie wynegocjowane między Izraelczykami a Palestyńczykami, mocno wspierane i wspomagane przez wspólnotę narodów, może doprowadzić do stabilnego i trwałego pokoju oraz zagwarantować współistnienie dwóch państw dla dwóch narodów.

Nadzieja ma oblicze dzieci. Na Bliskim Wschodzie od lat przerażająco wiele maleństw opłakuje gwałtowną śmierć członków rodziny i widzi ojczyznę osaczoną, mając często jedynie perspektywę konieczności ucieczki. To jest śmierć nadziei. Oczy nazbyt wielu dzieci przez większość życia widzą gruzy, zamiast szkół, słyszą grzmot ryku bomb, a nie świąteczny harmider zabaw. Proszę was, niech ludzkość usłyszy wołanie dzieci, których usta głoszą chwałę Boga (por. Ps 8,3). Ocierając ich łzy świat na nowo odnajdzie godność.

Myśląc o dzieciach – nie zapominajmy o dzieciach! -, niebawem wspólnie wypuścimy w powietrze wraz gołębiami nasze pragnienie pokoju. Niech tęsknota za pokojem wzniesie się ponad wszelkie ciemne chmury. Niech nasze serca trwają w jedności i będą skierowane ku niebu, oczekując, że jak w czasach potopu, powróci świeża gałązka nadziei (por. Rdz 8,11). Niech Bliski Wschód nie będzie już łukiem wojennym napiętym między kontynentami, ale gościnną dla ludów i religii arką pokoju. Umiłowany Bliski Wschodzie, niech oddalą się od ciebie ciemności wojny, żądzy władzy, przemocy, fanatyzmu, niesprawiedliwych zarobków, wyzysku, ubóstwa, nierówności i braku uznania praw. „Niech będzie w tobie pokój!” (Ps 122 [122], 8) – razem: „Niech będzie w tobie pokój” [powtarzają] –, niech będzie w tobie sprawiedliwość, niech spoczywa nad tobą Boże błogosławieństwo! Amen

[01144-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

إني ممتنّ للغاية على المشاركة التي أُعطيِت لنا النعمةُ بأن نعيشها. لقد ساعدنا بعضنا البعض على إعادة اكتشاف حضورنا المسيحيّ في الشرق الأوسط، كإخوة. ويحمل هذا الحضور طابعًا نبويًّا على قدر ما يشهد ليسوع رَئيسَ السَّلام (را. أش 9، 5). فهو لا يمسك السيف، إنّما يطلب من ذويه أن يضعوه في غمده (را. يو 18، 11). إننا مُعرضّون، في كوننا كنيسة أيضًا، لتجربة منطق العالم، منطق السلطة والربح، منطق السرعة والراحة. وهناك أيضًا خطيئتنا، عدم التوافق بين الإيمان والحياة، التي تعتم الشهادة. نحن نشعر بأنّه علينا العودة مرّة أخرى إلى الإنجيل، ضمانة لحرّية أصيلة، وأن نقوم به الآن على وجه السرعة، في ليل الشرق الأوسط المحتضر. وكما في ليلة الجسمانية المؤلمة، فلن يكون الهرب (را. متى 26، 56) أو السيف (را. متى 26، 52) ليستبقا فجر الفصح المجيد، إنما هبة الذات تشبّهًا بالربّ.

إن بشارة يسوع الذي صُلب وقام محبّة بنا، والتي وصلت من أرض الشرق الأوسط، قد اجتاحت قلب الإنسان على مرّ القرون لأنها ترتبط، لا بسلطة العالم، بل بسلطة الصليب الواهنة. والإنجيل يُلزمنا بتوبةٍ يوميّة وبعودةٍ إلى تدابير الله، وبإيجاد الأمان والعزاء فيه وحده، وبحمل البشارة للجميع وبالرغم من كلّ شيء. فإيمان البسطاء، المتجذّر في الشرق الأوسط، هو مورد نستمدّ منه لنرتوي ولنتنقّى، كما يحدث عندما نعود إلى الجذور، فنذهب إلى أورشليم، في الأرض المقدّسة أو في معابد مصر والأردنّ ولبنان وسوريا وتركيا والأماكن الأخرى المقدّسة في هذه المنطقة.

لقد تحاورنا بأخوّة مشجّعين بعضنا البعض. وقد شكّل هذا علامة بأنّه علينا أن نبحث عن اللقاء والوحدة معًا على الدوام، دون الخوف من الاختلاف. هكذا السلام أيضًا: يجب زرعه في أرض المعارضة القاحلة، لأنه ما من بديل ممكن للسلام اليوم، بالرغم من كلّ شيء. ليست الهدنات المضمونة بالجدران ولا اختبارات القوّة هي التي تحمل السلام، إنما الإرادة الحقّة بالإصغاء والحوار. نحن نلتزم بالسير، والصلاة والعمل، ونرجو أن يتغلّب فنّ اللقاء على استراتيجيات الصراع، وأن تتفوّق سلطة علامات الرجاء على المباهاة المتوعّدة لعلامات السلطة: رجال ذوي الإرادة الصالحة ومذاهب مختلفة لا يخافون من التحاور، ومن استيعاب دوافع الآخرين ومن الاعتناء بعضهم ببعض. بهذه الطريقة فقط، ساهرين على ألّا يحتاج أحد الخبز والعمل، والكرامة والرجاء، تتحوّل صرخات الحرب إلى أناشيد سلام.

وبهدف تحقيق هذا الأمر، من الضروريّ أن يضع كلُّ مَن له السلطة، نفسَه أخيرًا وقطعًا في خدمة السلام، لا في خدمة مصالحه الشخصيّة. كفى للمصالح الشخصيّة لقلّة من الناس على حساب الكثيرين! كفى لسيادة حقائق البعض على آمل الناس! كفى استخدامًا للشرق الأوسط لأرباح غريبة عن الشرق الأوسط!

إن الحرب هي الجرح الذي يضرب مأساويًا هذه المنطقة الحبيبة. وضحيّتها الأولى هم الفقراء. نفكّر في سوريا المعذّبة، وفي منطقة درعا على وجه الخصوص. فقد استؤنف هناك القتال المرير، مما تسبّب في عدد هائل من النازحين، الذين تعرّضوا لمعاناة رهيبة. الحرب هي ابنة السلطة والفقر. وتُهزم بالتخلّي عن منطق التفوّق وباقتلاع البؤس. فقد غذّت الكثيرَ من الصراعات أنواعٌ من الأصوليّة والتعصّب التي تتخفّى وراء ذرائع دينيّة، وجدّفت على اسم الله، الذي هو سلام، واضطهدت الأخ الذي طالما ما عاش بالقرب. لكن العنف يتغذّى دومًا بالأسلحة. ولا يمكننا أن نرفع صوتنا للتكلّم عن السلام فيما يستمرّ سرّا سباق متهوّر للتسلّح. إنها مسؤوليّة خطيرة، تلقي بثقلها على ضمير الأمم، ولاسيما على ضميرِ أعظم الأمم قوّة. لا تنسوا القرن الماضي، لا تنسوا دروس هيروشيما وناغازاكي، لا يجب أن تتحوّل أراضي الشرق، حيث أشرقت كلمة السلام، إلى مساحات أعتمها الصامت. كفى للمعارضات العنيدة، وكفى للتعطّش للربح، الذي لا يوفّر أحدًا من أجل الحصول على ودائع الغاز والوقود، ودون كابح تجاه البيت المشترك، ودون رادع حول حقيقة أن سوق الطاقة هو الذي يملي قانون المعايشة بين الشعوب!

كي نفتح سبل سلام، يجب النظر، بدلا من ذلك، إلى أولئك الذين يرجون العيش مع الآخرين بشكل أخويّ. ينبغي حماية وجود الجميع، ليس فقط الأكثرية. يجب أن تنفتح الطريق في الشرق الأوسط أيضًا أمام الحقّ في المواطنة المشتركة، سبيل نحو مستقبل متجدّد. وينبغي أن يكون المسيحيّون أيضًا مواطنين بالكامل، مع المساواة في الحقوق.

إننا ننظر، ونحن بغاية القلق ولكن دون أن نفقد الرجاء أبدًا، إلى أورشليم، مدينة جميع الشعوب، مدينة فريدة ومقدّسة للمسيحيّين، والعبرانيّين والمسلمين من العالم أجمع، والتي يجب المحافظة على هويّتها ورسالتها أبعد من مختلف النزاعات والتوتّرات، ويتطلّب وضعها الراهن أن يُحترم وفقًا لقرار المجتمع الدولي وللطلب المتكرّر للطوائف المسيحيّة في الأراضي المقدّسة. وحده الحلّ التفاوضيّ بين إسرائيليّين وفلسطينيّين، وهو ما يطلبه المجتمع الأمميّ بشدّة ويدعمه، يمكنه أن يقود إلى سلام ثابت ودائم، وأن يضمن التعايش بين دولتين لشعبين.

الرجاء يحمل وجه الأطفال. هناك عدد مخيف من الأطفال في الشرق الأوسط ومنذ سنوات، يبكون موتًا عنيفًا في أسرهم ويرون الأرض الأمّ مهدّدة، وغالبًا ما يملكون منظورًا واحدًا: الاضطرار على الهروب. هذا هو موت الرجاء. فأعين الكثير من الأطفال قد أمضت معظم أوقاتها في مشاهدة الأنقاض بدل المدارس، وسماع صخب القنابل الأصمّ بدل ضوضاء الألعاب الفرحة. لتسمع البشريّة -أرجوكم- صرخة الأطفال، التي تمجّد أفواهها الله (را. مز 8، 3). فالعالم يجد مجدّدا الكرامة بمسحه دموعهم.

وإذ نفكّر في الأطفال –لا تنسوا الأطفال!-، سوف نطلق في الجوّ بعد قليل، مع بعض الحمائم، رغبتنا في السلام. وليرتفع التوق إلى السلام فوقَ أيّة غمامة مظلمة. ولتبقَ قلوبنا متّحدة تنظر نحو السماء، في انتظار أن يعود، كما في أيام الطوفان، غصن الرجاء الطريّ (را. تك 8، 11). لا يجب أن يبقى الشرق الأوسط أداة حرب تُستخدم بين القارات، إنما أداة سلام مضيافة للشعوب والأديان. أيها الشرق الأوسط الحبيب، فلتخرج منك ظلمة الحرب، والسلطة، والعنف، والتعصّب، والمكاسب غير الشرعية، والاستغلال، والفقر، والفشل في الاعتراف بالحقوق. "لأَدْعُوَنَّ لَكِ بِالسَّلام" (مز 122، 8) كلّنا سويّا: "لأَدْعُوَنَّ لَكِ بِالسَّلام" [يردّدون] وبالعدل فيك، بحلول بركة الله عليك. آمين.

[01144-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0524-XX.02]