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Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 14 nuovi Cardinali, 28.06.2018


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 16 di oggi, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha tenuto un Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 14 nuovi Cardinali, per l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo o Diaconia.

La celebrazione è iniziata con il saluto, l’orazione e la lettura di un passo del Vangelo secondo Marco (10, 32-45). Quindi il Papa ha pronunciato la sua omelia.

Il Santo Padre ha letto poi la formula di creazione e ha proclamato solennemente i nomi dei nuovi Cardinali, annunciandone l’Ordine presbiterale o diaconale. Il Rito è proseguito con la professione di fede dei nuovi Cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza a Papa Francesco e ai Suoi successori.

I nuovi Cardinali, secondo l’ordine di creazione, si sono inginocchiati dinanzi al Santo Padre che ha imposto loro lo zucchetto e la berretta cardinalizia, ha consegnato l’anello e ha assegnato a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Papa nell’Urbe.

Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia, il Santo Padre Francesco ha scambiato con ciascun neo Cardinale l’abbraccio di pace.

Riportiamo di seguito il testo dell’Omelia che il Santo Padre Francesco ha pronunciato nel corso del Concistoro:

Omelia del Santo Padre

«Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti[1] a loro» (Mc 10,32).

L’inizio di questo paradigmatico passo di Marco ci aiuta sempre a vedere come il Signore si prende cura del suo popolo con una pedagogia impareggiabile. In cammino verso Gerusalemme, Gesù non trascura di precedere (primerear) i suoi.

Gerusalemme rappresenta l’ora delle grandi determinazioni e decisioni. Tutti sappiamo che, nella vita, i momenti importanti e cruciali lasciano parlare il cuore e mostrano le intenzioni e le tensioni che ci abitano. Tali incroci dell’esistenza ci interpellano e fanno emergere domande e desideri non sempre trasparenti del cuore umano. E’ quello che rivela, con grande semplicità e realismo, il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. A fronte del terzo e più duro annuncio della passione, l’Evangelista non teme di svelare certi segreti del cuore dei discepoli: ricerca dei primi posti, gelosie, invidie, intrighi, aggiustamenti e accordi; una logica che non solo logora e corrode da dentro i rapporti tra loro, ma che inoltre li chiude e li avvolge in discussioni inutili e di poco conto. Gesù però non si ferma su questo, ma va avanti, li precede (primerea) e con forza dice loro: «Tra voi non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10,43). Con tale atteggiamento, il Signore cerca di ricentrare lo sguardo e il cuore dei suoi discepoli, non permettendo che le discussioni sterili e autoreferenziali trovino spazio in seno alla comunità. A che serve guadagnare il mondo intero se si è corrosi all’interno? A che serve guadagnare il mondo intero se si vive tutti presi da intrighi asfissianti che inaridiscono e rendono sterile il cuore e la missione? In questa situazione – come qualcuno ha osservato – si potrebbero già intravedere gli intrighi di palazzo, anche nelle curie ecclesiastiche.

«Tra voi però non è così»: risposta del Signore che, prima di tutto, è un invito e una scommessa per recuperare il meglio che c’è nei discepoli e così non lasciarsi rovinare e imprigionare da logiche mondane che distolgono lo sguardo da ciò che è importante. «Tra voi non è così»: è la voce del Signore che salva la comunità dal guardare troppo sé stessa invece di rivolgere lo sguardo, le risorse, le aspettative e il cuore a ciò che conta: la missione.

E così Gesù ci insegna che la conversione, la trasformazione del cuore e la riforma della Chiesa è e sarà sempre in chiave missionaria, perché presuppone che si cessi di vedere e curare i propri interessi per guardare e curare gli interessi del Padre. La conversione dai nostri peccati, dai nostri egoismi non è e non sarà mai fine a sé stessa, ma mira principalmente a crescere in fedeltà e disponibilità per abbracciare la missione. E questo in modo tale che, nell’ora della verità, specialmente nei momenti difficili dei nostri fratelli, siamo ben disposti e disponibili ad accompagnare e accogliere tutti e ciascuno, e non ci trasformiamo in ottimi respingenti, o per ristrettezza di vedute[2] o, peggio ancora, perché stiamo discutendo e pensando tra di noi chi sarà il più importante. Quando ci dimentichiamo della missione, quando perdiamo di vista il volto concreto dei fratelli, la nostra vita si rinchiude nella ricerca dei propri interessi e delle proprie sicurezze. E così cominciano a crescere il risentimento, la tristezza e il disgusto. A poco a poco viene meno lo spazio per gli altri, per la comunità ecclesiale, per i poveri, per ascoltare la voce del Signore. Così si perde la gioia e il cuore finisce per inaridirsi (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 2).

«Tra voi però non è così; – ci dice il Signore – […] chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43.44). È la beatitudine e il magnificat che ogni giorno siamo chiamati a intonare. È l’invito che il Signore ci fa perché non dimentichiamo che l’autorità nella Chiesa cresce con questa capacità di promuovere la dignità dell’altro, di ungere l’altro, per guarire le sue ferite e la sua speranza tante volte offesa. È ricordare che siamo qui perché siamo inviati a «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).

Cari fratelli Cardinali e neo-Cardinali! Mentre siamo sulla strada verso Gerusalemme, il Signore cammina davanti a noi per ricordarci ancora una volta che l’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli altri per servire Cristo. È quella che viene dal non dimenticare che Gesù, prima di chinare il capo sulla croce, non ha avuto paura di chinarsi davanti ai discepoli e lavare loro i piedi. Questa è la più alta onorificenza che possiamo ottenere, la maggiore promozione che ci possa essere conferita: servire Cristo nel popolo fedele di Dio, nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente, nell’abbandonato, in persone concrete con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite. Solo così l’autorità del pastore avrà il sapore del Vangelo e non sarà «come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita» (1 Cor 13,1). Nessuno di noi deve sentirsi “superiore” ad alcuno. Nessuno di noi deve guardare gli altri dall’alto in basso. Possiamo guardare così una persona solo quando la aiutiamo ad alzarsi.

Vorrei ricordare con voi una parte del testamento spirituale di San Giovanni XXIII, che avanzando nel cammino ha potuto dire: «Nato povero, ma da onorata ed umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha nutrito, quanto mi venne fra mano — in misura assai limitata del resto — durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di agiatezza velarono, sovente, nascoste spine di affliggente povertà e mi impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici» (29 giugno 1954).

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[1] Il verbo proago è lo stesso con cui Gesù risorto fa annunciare ai discepoli che li “precederà” in Galilea (cfr Mc 16,7).

[2] Cfr Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los Obispos españoles, 2006.

[01080-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Les disciples étaient en route pour monter à Jérusalem; Jésus marchait devant[1] eux» (Mc 10, 32).

Le début de ce passage caractéristique de Marc nous invite à toujours voir comment le Seigneur prend soin de son peuple grâce à une pédagogie incomparable. En route vers Jérusalem, Jésus ne manque pas de précéder (primerear) les siens.

Jérusalem représente l’heure des grandes déterminations et décisions. Nous savons tous que, dans la vie, les moments importants et cruciaux font parler le cœur et révèlent les intentions ainsi que les tensions qui nous habitent. Ces carrefours de l’existence nous interpellent et font émerger des questions ainsi que des désirs pas toujours transparents du cœur humain. Voilà ce que révèle, avec une grande simplicité et réalisme, le passage de l’Évangile que nous venons d’écouter. Face à la troisième et plus dure annonce de la passion, l’Évangéliste ne craint pas de révéler certains secrets du cœur des disciples: recherche des premières places, jalousies, convoitises, intrigues, arrangements et accords; une logique qui non seulement mine et corrode de l’intérieur les relations entre eux, mais qui en outre les enferme et les engage dans des discussions inutiles et de peu d’intérêt. Cependant Jésus ne s’arrête pas à cela, mais va de l’avant; il les devance (primerea) et avec force il leur dit: «Parmi vous, il ne doit pas en être ainsi. Celui qui veut devenir grand parmi vous sera votre serviteur» (Mc 10, 43). Par ce comportement, le Seigneur cherche à recentrer le regard et le cœur de ses disciples, en empêchant que les discussions stériles et autoréférentielles trouvent place au sein de la communauté. À quoi sert-il de gagner le monde entier si l’on est corrompu à l’intérieur? À quoi sert-il de gagner le monde entier si l’on vit tous pris dans les intrigues asphyxiantes qui font dessécher et rendent stérile le cœur et la mission? Dans cette situation – comme quelqu’un l’a fait observer – on pourrait déjà entrevoir les intrigues de palais, y compris dans les curies ecclésiastiques.

«Parmi vous, il ne doit pas en être ainsi»: une réponse du Seigneur qui est, avant tout, une invitation et un effort pour récupérer ce qu’il y a de meilleur chez les disciples et ainsi pour ne pas se laisser corrompre et emprisonner par des logiques mondaines qui détournent le regard de l’essentiel. «Parmi vous, il ne doit pas en être ainsi»: c’est la voix du Seigneur qui fait éviter à la communauté de se regarder trop elle-même au lieu de diriger le regard, les ressources, les attentes et le cœur vers ce qui compte: la mission.

Et ainsi Jésus nous enseigne que la conversion, la transformation du cœur et la réforme de l’Église sont et seront toujours d’un point de vue missionnaire, car cela présuppose que l’on cesse de voir et de rechercher ses propres intérêts pour regarder et rechercher les intérêts du Père. La conversion de nos péchés, de nos égoïsmes n’est pas et ne sera jamais une fin en soi, mais vise principalement à faire grandir dans la fidélité et dans la disponibilité pour embrasser la mission. Et cela de manière que, à l’heure de vérité, surtout dans les moments difficiles pour nos frères, nous soyons bien disposés et disponibles pour les accompagner et accueillir tous et chacun, et que nous ne devenions pas de très bons repoussoirs, ou par étroitesse de vue[2], ou bien, pire encore, parce que nous discutons et pensons entre nous à celui qui sera le plus important. Quand nous oublions la mission, quand nous perdons de vue le visage concret des frères, notre vie se renferme dans la recherche de nos propres intérêts et de nos propres sécurités. Et ainsi, commencent à grandir le ressentiment, la tristesse et le dégoût. Peu à peu, disparaît l’espace pour les autres, pour la communauté ecclésiale, pour les pauvres, pour écouter la voix du Seigneur. De cette manière, on perd la joie et le cœur finit par se dessécher (cf. Exhort. Ap. Evangelii gaudium, n. 2).

«Parmi vous, il ne doit pas en être ainsi, nous dit le Seigneur, […] celui qui veut être parmi vous le premier sera l’esclave de tous» (Mc 10, 43.44). C’est la béatitude et le magnificat que nous sommes appelés chaque jour à entonner. C’est l’invitation que le Seigneur nous adresse pour que nous n’oublions pas que l’autorité dans l’Église grandit avec cette capacité de promouvoir la dignité de l’autre, d’oindre l’autre, pour guérir ses blessures et son espérance tant de fois offensée. C’est nous souvenir que nous sommes ici parce que nous sommes invités à «porter la Bonne Nouvelle aux pauvres, annoncer aux captifs leur libération, et aux aveugles qu’ils retrouveront la vue, remettre en liberté les opprimés, annoncer une année favorable accordée par le Seigneur» (Lc 4, 18-19).

Chers frères Cardinaux et nouveaux Cardinaux, tandis que nous sommes en route vers Jérusalem, le Seigneur marche devant nous pour nous rappeler encore une fois que l’unique autorité crédible est celle qui naît du fait de se mettre aux pieds des autres pour servir le Christ. C’est celle qui vient du fait de ne pas oublier que Jésus, avant d’incliner la tête sur la croix, n’a pas eu peur de s’incliner devant ses disciples et de leur laver les pieds. C’est la plus haute distinction que nous puissions obtenir, la plus grande promotion qui nous puisse être accordée: servir le Christ dans le peuple fidèle de Dieu, dans celui qui est affamé, dans celui qui est oublié, dans le prisonnier, dans le malade, dans le toxicodépendant, dans la personne abandonnée, dans les personnes concrètes avec leurs histoires et leurs espérances, avec leurs attentes et leurs déceptions, avec leurs souffrances et leurs blessures. Ce n’est qu’ainsi que l’autorité du pasteur aura la saveur de l’Évangile et ne sera pas «qu’un cuivre qui résonne, une cymbale retentissante» (1 Co 13, 1). Personne parmi nous ne doit se sentir ‘‘supérieur’’ à quelqu’un. Personne parmi nous ne doit regarder les autres de haut. Nous pouvons regarder ainsi une personne uniquement quand nous l’aidons à se relever.

Avec vous, je voudrais rappeler une partie du testament spirituel de saint Jean XXIII, qui en avançant sur le chemin a pu dire: «Né pauvre, mais de gens humbles et honorables, je suis particulièrement heureux de mourir pauvre, en ayant distribué, selon les diverses exigences et circonstances de ma vie simple et modeste, au service des pauvres et de la Sainte Église qui m’a nourri, ce que j’ai eu entre les mains – par ailleurs, dans une mesure assez limitée – durant les années de mon sacerdoce et de mon épiscopat. Des apparences de bien-être ont souvent caché des épines d’une pauvreté affligeante et qui m’ont empêché de donner toujours avec la largesse que j’aurai souhaitée. Je remercie Dieu de cette grâce de la pauvreté dont j’ai fait vœu dans ma jeunesse, pauvreté d’esprit, comme prêtre du Sacré Cœur, et pauvreté réelle, et qui m’a aidé à ne jamais rien demander: ni des postes, ni de l’argent, ni des faveurs, jamais, ni pour moi, ni pour mes parents ou des amis» (29 juin 1954).

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[1] Le verbe proago est le même avec lequel Jésus ressuscité fait annoncer à ses disciples qu’il les ‘‘précèdera’’ en Galilée (cf. Mc 16, 7).

[2] Cf. Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los Obispos espagnoles, 2006.

[01080-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“They were on the road, going up to Jerusalem, and Jesus was walking ahead of them” (Mk 10:32). [1]

The beginning of this typical passage in Mark always helps us realize how the Lord cares for his people with a pedagogy all his own. Journeying to Jerusalem, Jesus is careful to walk ahead of his disciples.

Jerusalem represents the defining and decisive moment of his life. All of us know that at important and crucial times in life, the heart can speak and reveal the intentions and tensions within us. These turning points in life challenge us; they bring out questions and desires not always evident to our human hearts. This is what is presented, with great simplicity and realism, in the Gospel passage we have just heard. At the third and most troubling announcement of the Lord’s passion, the Evangelist does not shrink from disclosing secrets present in the hearts of the disciples: their quest of honours, jealousy, envy, intrigue, accommodation and compromise. This kind of thinking not only wears and eats away at their relationship, but also imprisons them in useless and petty discussions. Yet Jesus is not concerned with this: he walks ahead of them and he keeps going. And he tells them forcefully: “But it shall not be so among you; whoever would be great among you must be your servant” (Mk 10:43). In this way, the Lord tries to refocus the eyes and hearts of his disciples, so that there will be no fruitless and self-referential discussions in the community. What does it profit us to gain the whole world if we are corroded within? What does it profit us to gain the whole world if we are living in a stifling atmosphere of intrigues that dry up our hearts and impede our mission? Here, as someone has observed, we might think of all those palace intrigues that take place, even in curial offices.

“But it shall not be so among you”. The Lord’s response is above all an encouragement and a challenge to his disciples to recoup their better part, lest their hearts be spoiled and imprisoned by a worldly mentality blind to what is really important. “But it shall not be so among you”. The voice of the Lord saves the community from undue introspection and directs its vision, resources, aspirations and heart to the only thing that counts: the mission.

Jesus teaches us that conversion, change of heart and Church reform is and ever shall be in a missionary key, which demands an end to looking out for and protecting our own interests, in order to look out for and protect those of the Father. Conversion from our sins and from selfishness will never be an end in itself, but is always a means of growing in fidelity and willingness to embrace the mission. At the moment of truth, especially when we see the distress of our brothers and sisters, we will be completely prepared to accompany and embrace them, one and all. In this way, we avoid becoming effective “roadblocks”, whether because of our short-sightedness[2] or our useless wrangling about who is most important. When we forget the mission, when we lose sight of the real faces of our brothers and sisters, our life gets locked up in the pursuit of our own interests and securities. Resentment then begins to grow, together with sadness and revulsion. Gradually we have less and less room for others, for the Church community, for the poor, for hearing the Lord’s voice. Joy fades and the heart withers (cf. Evangelii Gaudium, 2).

“But it shall not be so among you”. Jesus goes on to say. “Whoever would be first among you must be slave of all” (Mk 10:43.44). This is the Beatitude and the Magnificat that we are called to sing daily. It is the Lord’s invitation not to forget that the Church’s authority grows with this ability to defend the dignity of others, to anoint them and to heal their wounds and their frequently dashed hopes. It means remembering that we are here because we have been asked “to preach good news to the poor…to proclaim release to the captives and recovering of sight to the blind, to set at liberty those who are oppressed, to proclaim the acceptable year of the Lord” (Lk 4:18-19).

Dear brother Cardinals and new Cardinals! In our journey towards Jerusalem, the Lord walks ahead of us, to keep reminding us that the only credible form of authority is born of sitting at the feet of others in order to serve Christ. It is the authority that comes from never forgetting that Jesus, before bowing his head on the cross, did not hesitate to bow down and wash the feet of the disciples. This is the highest honour that we can receive, the greatest promotion that can be awarded us: to serve Christ in God’s faithful people. In those who are hungry, neglected, imprisoned, sick, suffering, addicted to drugs, cast aside. In real people, each with his or her own life story and experiences, hopes and disappointments, hurts and wounds. Only in this way, can the authority of the Shepherd have the flavour of Gospel and not appear as “a noisy gong or a clanging symbol” (1 Cor 13:1). None of us must feel “superior” to anyone. None of us should look down at others from above. The only time we can look at a person in this way is when we are helping them to stand up.

I would like now to share with you a part of the spiritual testament of Saint John XXIII. Progressing in his own journey, he could say: “Born poor, but of humble and respectable folk, I am particularly happy to die poor, having distributed, in accordance with the various needs and circumstances of my simple and modest life in the service of the poor and of Holy Church which has nurtured me, whatever came into my hands – and it was very little – during the years of my priesthood and episcopate. Appearances of wealth have frequently disguised thorns of frustrating poverty, which prevented me from giving to others as generously as I would have wished. I thank God for this grace of poverty to which I vowed fidelity in my youth; poverty of spirit, as a priest of the Sacred Heart, and material poverty, which has strengthened me in my resolve never to ask for anything – money, positions or favours – never, either for myself, or for my relations and friends” (29 June 1954).

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[1] Jesus uses the same verb, proago, when he tells his disciples that he will “precede” them into Galilee (cf. Mk 10:32).

[2] Cf. JORGE MARIO BERGOGLIO, Ejercicios Espirituales a los Obispos españoles, 2006.

[01080-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Während sie auf dem Weg hinauf nach Jerusalem waren, ging Jesus voraus[1]« (Mk 10,32).

Der Beginn dieses paradigmatischen Abschnitts des Markusevangeliums hilft uns immer zu sehen, wie der Herr mit einer unvergleichlichen Pädagogik für sein Volk sorgt. Auf seinem Weg nach Jerusalem hat Jesus es nicht versäumt, den seinen voranzugehen (primerear).

Jerusalem steht für die Stunde bedeutender Bestimmungen und Entscheidungen. Wir wissen alle, dass die wichtigen und entscheidenden Momente des Lebens das Herz sprechen lassen und die uns innewohnenden Absichten und Spannungen sichtbar machen. Diese existenziellen Wegkreuzungen beschäftigen uns und lassen Fragen und Sehnsüchte des menschlichen Herzens aufkommen, die sonst oft verborgen sind. Das ist es, was der eben gehörte Abschnitt des Evangeliums mit großer Einfachheit und sehr realistisch offenbart. Angesichts der dritten und nachdrücklichsten Leidensankündigung scheut sich der Evangelist nicht, bestimmte Geheimnisse des Herzens der Jünger zu enthüllen: das Streben nach den ersten Plätzen, Eifersüchteleien, Neid, Intrigen, Beschönigungen und Mauscheleien. Diese Gesinnung zermürbt und zersetzt nicht nur ihre gegenseitige Beziehung von innen her, sondern macht sie verschlossen und verwickelt sie in unnütze und belanglose Diskussionen. Jesus aber hält sich nicht damit auf, sondern er geht weiter, geht darüber hinaus (primerea) und sagt ihnen mit Nachdruck: »Bei euch aber soll es nicht so sein, sondern wer bei euch groß sein will, der soll euer Diener sein« (Mk 10,43). Mit dieser Haltung versucht der Herr, den Blick und das Herz seiner Jünger wieder neu auf das Wesentliche auszurichten und zu verhindern, dass unfruchtbare und selbstbezogene Diskussionen sich innerhalb der Gemeinschaft ausbreiten. Was nützt es, die ganze Welt zu gewinnen, wenn man innerlich korrodiert ist? Was nützt es, die ganze Welt zu gewinnen, wenn man in den Fängen erstickender Intrigen lebt, die das Herz austrocknen und die Mission unfruchtbar machen? In dieser Situation könnte man bereits – wie jemand bemerkt hat – die Palastintrigen, auch innerhalb der kirchlichen Kurien, angedeutet sehen.

»Bei euch aber soll es nicht so sein.« Die Antwort des Herrn ist in erster Linie Einladung und Ansporn zur Wiederbelebung des Guten in den Jüngern, damit sie sich nicht von einer weltlichen Gesinnung ruinieren und gefangen nehmen lassen, die den Blick von dem ablenkt, was wichtig ist. »Bei euch aber soll es nicht so sein.« Hier erklingt die Stimme des Herrn, der die Gemeinschaft davor bewahrt, zu sehr auf sich selbst zu schauen, anstatt den Blick, die Ressourcen, die Erwartungen und das Herz auf das zu richten, was zählt: die Mission.

Und so lehrt uns Jesus, dass die Bekehrung, die Verwandlung des Herzens und die Reform der Kirche immer unter missionarischen Gesichtspunkten erfolgt und erfolgen wird, denn sie setzt voraus, dass man damit aufhört, eigene Interessen in den Blick zu nehmen und zu verfolgen, um die Interessen des Vaters zu wahren und zu pflegen. Die Bekehrung von unseren Sünden, von unseren Egoismen, ist und bleibt kein Selbstzweck, sondern zielt vor allem darauf hin, in Treue und Bereitschaft zu wachsen, um die uns aufgetragene Sendung anzunehmen. Und zwar soll das in einer Weise geschehen, dass wir in der Stunde der Wahrheit, besonders dann, wenn sich unsere Brüder und Schwestern in Schwierigkeiten befinden, bereit und verfügbar sind, alle und jeden einzelnen von ihnen zu begleiten und anzunehmen – und uns nicht in ausgezeichnete Verweigerer verwandeln, weder aus Engstirnigkeit[2] oder schlimmer noch, weil wir darüber diskutieren und nachdenken, wer der Wichtigste sei. Wenn wir nicht mehr an die Mission denken, wenn wir das konkrete Antlitz unserer Brüder und Schwestern aus den Augen verlieren, dann verschließt sich unser Leben in der Suche nach den eigenen Interessen und Sicherheiten. Und so beginnen Groll, Traurigkeit und Widerwillen zu wachsen. Nach und nach gibt es keinen Raum mehr für die anderen, für die kirchliche Gemeinschaft, für die Armen, für das Hören auf die Stimme des Herrn. So geht die Freude verloren und das Herz versiegt (vgl. Evangelii gaudium, 2).

»Bei euch aber soll es nicht so sein« – sagt uns der Herr – » […] wer bei euch groß sein will, der soll euer Diener sein« (Mk 10, 43.44). Dies ist die Seligpreisung und das Magnificat, die wir jeden Tag gerufen sind anzustimmen. Dies ist die Einladung des Herrn an uns, damit wir nicht vergessen, dass die Autorität in der Kirche mit der Fähigkeit wächst, die Würde des anderen zu fördern, den anderen mit Salbe zu behandeln, um seine Verletzungen und seine oft verwundete Hoffnung zu heilen. Dies ist eine Erinnerung daran, dass wir hier sind, weil wir gesandt sind, den Armen eine frohe Botschaft zu bringen, den Gefangenen die Entlassung zu verkünden und den Blinden das Augenlicht, die Zerschlagenen in Freiheit zu setzen und ein Gnadenjahr des Herrn auszurufen (vgl. Lk 4,18-19).

Liebe Brüder Kardinäle und Neu-Kardinäle! Während wir auf dem Weg nach Jerusalem sind, geht der Herr uns voraus, um uns noch einmal daran zu erinnern, welche die einzig glaubwürdige Autorität ist: Es ist diejenige, die sich zu den Füßen des Nächsten herabbegibt, um Christus zu dienen; es ist diejenige, die nicht vergisst, dass Jesus, bevor er sein Haupt am Kreuz neigte, keine Angst hatte, sich vor den Jüngern niederzubeugen und ihnen die Füße zu waschen. Das ist die höchste Ehre, die wir erlangen können, die größte Beförderung, die uns zuteilwerden kann: Christus zu dienen im gläubigen Volk Gottes, in den Hungrigen, in den Vergessenen, in den Gefangenen, in den Kranken, in den Drogenabhängigen, in den Verlassenen, in den konkreten Menschen mit ihren Geschichten und Hoffnungen, mit ihren Erwartungen und Enttäuschungen, mit ihren Leiden und Wunden. Nur so wird die Autorität des Hirten den Geschmack des Evangeliums haben und nicht wie »dröhnendes Erz oder eine lärmende Pauke« sein (1 Kor 13,1). Keiner von uns darf sich „für etwas Besseres“ halten. Keiner von uns darf auf die anderen herabschauen. So dürfen wir einen Menschen nur ansehen, um ihm aufzuhelfen.

Ich möchte uns nun noch einen Abschnitt des geistlichen Testaments des heiligen Johannes XXIII. in Erinnerung rufen, der in einem fortgeschrittenen Stadium seines Lebensweges sagen konnte: »Arm, aber als Kind ehrbarer und bescheidener Leute geboren, bin ich besonders froh, arm zu sterben, nachdem ich das, was mir – übrigens in sehr bescheidenem Maß – im Laufe der Jahre als Priester und Bischof zur Verfügung stand, nach den verschiedenen Umständen und Erfordernissen meines einfachen und bescheidenen Lebens an die Armen und an die heilige Kirche, die mich ernährt hat, verteilt habe. Scheinbarer äußerer Wohlstand verbarg oft schmerzlich empfundene Armut und hinderte mich, mit der Freigebigkeit auszuteilen, wie ich gewollt hätte. Ich danke Gott für diese Gnade der Armut, die ich schon in meiner Jugend gelobt habe: Armut im Geiste, als Priester des Heiligsten Herzens, und wirkliche Armut. Sie hat mir die Kraft gegeben, nie etwas zu erbitten, weder Posten noch Geld, noch Gunsterweise, niemals, weder für mich noch für meine Angehörigen oder meine Freunde« (29. Juni 1954).

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[1] Das Verb proago ist dasselbe Wort, mit dem der auferstandene Jesus den Jüngern verkünden lässt, dass er ihnen nach Galiläa vorausgehen wird. (vgl. Mk 16,7).

[2] Vgl.: Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los Obispos españoles, 2006.

[01080-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Estaban subiendo por el camino hacia Jerusalén y Jesús iba delante de ellos» (Mc 10,32).[1]

El comienzo de este paradigmático pasaje en Marcos siempre nos ayuda a ver cómo el Señor cuida de su pueblo con una pedagogía sin igual. De camino a Jerusalén, Jesús no deja de primerear a los suyos.

Jerusalén es la hora de las grandes determinaciones y decisiones. Todos sabemos que los momentos importantes y cruciales en la vida dejan hablar al corazón y muestran las intenciones y las tensiones que nos habitan. Tales encrucijadas de la existencia nos interpelan y logran sacar a la luz búsquedas y deseos no siempre transparentes del corazón humano. Así lo revela, con toda simplicidad y realismo, el pasaje del Evangelio que acabamos de escuchar. Frente al tercer y más cruel anuncio de la pasión, el evangelista no teme desvelar ciertos secretos del corazón de los discípulos: búsqueda de los primeros puestos, celos, envidias, intrigas, arreglos y acomodos; una lógica que no solo carcome y corroe desde dentro las relaciones entre ellos, sino que además los encierra y enreda en discusiones inútiles y poco relevantes. Pero Jesús no se detiene en ello, sino que se adelanta, los primerea y enfáticamente les dice: «No será así entre vosotros: el que quiera ser grande entre vosotros, que sea vuestro servidor» (Mc 10,43). Con esa actitud, el Señor busca recentrar la mirada y el corazón de sus discípulos, no permitiendo que las discusiones estériles y autorreferenciales ganen espacio en el seno de la comunidad. ¿De qué sirve ganar el mundo entero si se está corroído por dentro? ¿De qué sirve ganar el mundo entero si se vive atrapado en intrigas asfixiantes que secan y vuelven estéril el corazón y la misión? En esta situación —como alguien hacía notar— se podrían vislumbrar ya las intrigas palaciegas, también en las curias eclesiásticas.

«No será así entre vosotros», respuesta del Señor que, en primer lugar, es una invitación y una apuesta a recuperar lo mejor que hay en los discípulos y así no dejarse derrotar y encerrar por lógicas mundanas que desvían la mirada de lo importante. «No será así entre vosotros» es la voz del Señor que salva a la comunidad de mirarse demasiado a sí misma en lugar de poner la mirada, los recursos, las expectativas y el corazón en lo importante: la misión.

Y así Jesús nos enseña que la conversión, la transformación del corazón y la reforma de la Iglesia siempre es y será en clave misionera, pues supone dejar de ver y velar por los propios intereses para mirar y velar por los intereses del Padre. La conversión de nuestros pecados, de nuestros egoísmos no es ni será nunca un fin en sí misma, sino que apunta principalmente a crecer en fidelidad y disponibilidad para abrazar la misión. Y esto de modo que, a la hora de la verdad, especialmente en los momentos difíciles de nuestros hermanos, estemos bien dispuestos y disponibles para acompañar y recibir a todos y a cada uno, y no nos vayamos convirtiendo en exquisitos expulsivos o por cuestiones de estrechez de miradas[2] o, lo que sería peor, por estar discutiendo y pensando entre nosotros quién será el más importante. Cuando nos olvidamos de la misión, cuando perdemos de vista el rostro concreto de nuestros hermanos, nuestra vida se clausura en la búsqueda de los propios intereses y seguridades. Así comienza a crecer el resentimiento, la tristeza y la desazón. Poco a poco queda menos espacio para los demás, para la comunidad eclesial, para los pobres, para escuchar la voz del Señor. Así se pierde la alegría, y se termina secando el corazón (cf. Exhort. Ap. Evangelii Gaudium, 2).

«No será así entre vosotros —nos dice el Señor—, […] el que quiera ser primero, sea esclavo de todos» (Mc 10,43-44). Es la bienaventuranza y el magníficat que cada día estamos invitados a entonar. Es la invitación que el Señor nos hace para no olvidarnos que la autoridad en la Iglesia crece en esa capacidad de dignificar, de ungir al otro, para sanar sus heridas y su esperanza tantas veces dañada. Es recordar que estamos aquí porque hemos sido enviados a «evangelizar a los pobres, a proclamar a los cautivos la libertad, y a los ciegos, la vista; a poner en libertad a los oprimidos; a proclamar el año de gracia del Señor» (Lc 4,18-19).

Queridos hermanos Cardenales y neo-Cardenales: Mientras vamos de camino a Jerusalén, el Señor se nos adelanta para recordarnos una y otra vez que la única autoridad creíble es la que nace de ponerse a los pies de los otros para servir a Cristo. Es la que surge de no olvidarse que Jesús, antes de inclinar su cabeza en la cruz, no tuvo miedo ni reparo de inclinarse ante sus discípulos y lavarles los pies. Esa es la mayor condecoración que podemos obtener, la mayor promoción que se nos puede otorgar: servir a Cristo en el pueblo fiel de Dios, en el hambriento, en el olvidado, en el encarcelado, en el enfermo, en el tóxico-dependiente, en el abandonado, en personas concretas con sus historias y esperanzas, con sus ilusiones y desilusiones, sus dolores y heridas. Solo así, la autoridad del pastor tendrá sabor a Evangelio, y no será como «un metal que resuena o un címbalo que aturde» (1 Co 13,1). Ninguno de nosotros debe sentirse “superior” a nadie. Ningunos de nosotros debe mirar a los demás por sobre el hombro, desde arriba. Únicamente nos es lícito mirar a una persona desde arriba hacia abajo, cuando la ayudamos a levantarse.

Quisiera recordar con vosotros parte del testamento espiritual de san Juan XXIII que adelantándose en el camino pudo decir: «Nacido pobre, pero de honrada y humilde familia, estoy particularmente contento de morir pobre, habiendo distribuido según las diversas exigencias de mi vida sencilla y modesta, al servicio de los pobres y de la santa Iglesia que me ha alimentado, cuanto he tenido entre las manos —poca cosa por otra parte— durante los años de mi sacerdocio y de mi episcopado. Aparentes opulencias ocultaron con frecuencia espinas escondidas de dolorosa pobreza y me impidieron dar siempre con largueza lo que hubiera deseado. Doy gracias a Dios por esta gracia de la pobreza de la que hice voto en mi juventud, como sacerdote del Sagrado Corazón, pobreza de espíritu y pobreza real; que me ayudó a no pedir nunca nada, ni puestos, ni dinero, ni favores, nunca, ni para mí ni para mis parientes o amigos» (29 junio 1954).

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[1] El verbo proago es el mismo con el que Cristo resucitado anuncia a sus discípulos que los “precederá” en Galilea (cf. Mc 16,7).

[2] Cf. Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los obispos españoles, 2006.

[01080-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Iam a caminho, subindo para Jerusalém, e Jesus seguia à frente[1] deles» (Mc 10, 32). O início desta passagem paradigmática de Marcos sempre nos ajuda a ver como o Senhor cuida do seu povo com uma pedagogia incomparável. No caminho para Jerusalém, Jesus não Se esquece de preceder os seus.

Jerusalém representa a hora das grandes resoluções e decisões. Todos sabemos que, na vida, os momentos importantes e cruciais deixam falar o coração e manifestam as intenções e as tensões que vivem em nós. Tais encruzilhadas da existência interpelam-nos e fazem surgir questões e desejos nem sempre transparentes do coração humano; é o que nos mostra, com grande simplicidade e realismo, o texto do Evangelho que acabamos de ouvir. Em contraponto ao terceiro e mais duro anúncio da Paixão, o Evangelista não teme desvendar alguns segredos do coração dos discípulos: busca dos primeiros lugares, ciúmes, invejas, intrigas, ajustes e acordos; esta lógica não só desgasta e corrói a partir de dentro as relações entre eles, mas ainda os fecha e envolve em discussões inúteis e de pouca importância. Entretanto Jesus não Se detém nisso, mas continua para diante, precede-os e diz-lhes vigorosamente: «Não deve ser assim entre vós. Quem quiser ser grande entre vós, faça-se vosso servo» (Mc 10, 43). Com este comportamento, o Senhor procura centrar de novo o olhar e o coração dos seus discípulos, não permitindo que discussões estéreis e autorreferenciais tenham espaço na comunidade. Que adianta ganhar o mundo inteiro, se se fica corroído por dentro? Que adianta ganhar o mundo inteiro, se todos vivem prisioneiros de asfixiantes intrigas que secam e tornam estéril o coração e a missão? Nesta situação – como alguém observou –, poder-se-iam já vislumbrar as intrigas de palácio, mesmo nas cúrias eclesiásticas.

«Não deve ser assim entre vós»: é a resposta do Senhor, que constitui primariamente um convite e uma aposta para recuperar o que há de melhor nos discípulos e, assim, não se deixarem arruinar e prender por lógicas mundanas que afastam o olhar daquilo que é importante. «Não deve ser assim entre vós»: é a voz do Senhor que salva a comunidade de se fixar demasiado em si mesma, em vez de dirigir o olhar, os recursos, as expectativas e o coração para o que conta, a missão.

Deste modo, Jesus ensina-nos que a conversão, a transformação do coração e a reforma da Igreja são feitas, e sempre o devem ser, em chave missionária, pois pressupõem que se deixe de olhar e cuidar dos interesses próprios para olhar e cuidar dos interesses do Pai. A conversão dos nossos pecados, dos nossos egoísmos não é nem será jamais um fim em si mesma, mas visa principalmente crescer em fidelidade e disponibilidade para abraçar a missão; e isto de tal maneira que na hora da verdade, especialmente nos momentos difíceis dos nossos irmãos, estejamos claramente dispostos e disponíveis para acompanhar e acolher a todos e cada um e não nos transformemos em ótimos repelentes por termos vistas curtas[2] ou, pior ainda, por estarmos pensando e discutindo entre nós quem será o mais importante. Quando nos esquecemos da missão, quando perdemos de vista o rosto concreto dos irmãos, a nossa vida fecha-se na busca dos próprios interesses e seguranças. E, assim, começam a crescer o ressentimento, a tristeza e a aversão. Pouco a pouco diminui o espaço para os outros, para a comunidade eclesial, para os pobres, para escutar a voz do Senhor. Deste modo perde-se a alegria, e o coração acaba na aridez (cf. Francisco, Exort. ap.Evangelii gaudium, 2).

«Não deve ser assim entre vós – diz o Senhor – (…) e quem quiser ser o primeiro entre vós, faça-se o servo de todos» (Mc10, 43.44). É a bem-aventurança e o magnificat que somos chamados a entoar todos os dias. É o convite que o Senhor nos faz, para não esquecermos que a autoridade na Igreja cresce com esta capacidade de promover a dignidade do outro, ungir o outro, para curar as suas feridas e a sua esperança tantas vezes ofendida. É lembrar que estamos aqui porque fomos enviados para «anunciar a Boa-Nova aos pobres, proclamar a libertação aos cativos e, aos cegos, a recuperação da vista; para mandar em liberdade os oprimidos, para proclamar um ano favorável da parte do Senhor» (Lc 4, 18-19).

Amados irmãos Cardeais e neo-Cardeais! Estando nós na estrada para Jerusalém, o Senhor caminha à nossa frente para nos lembrar uma vez mais que a única autoridade crível é a que nasce de se colocar aos pés dos outros para servir a Cristo. É a que deriva de não esquecer que Jesus, antes de inclinar a cabeça na cruz, não teve medo de Se inclinar diante dos discípulos e lavar-lhes os pés. Esta é a mais alta condecoração que podemos obter, a maior promoção que nos pode ser dada: servir Cristo no povo fiel de Deus, no faminto, no esquecido, no recluso, no doente, no toxicodependente, no abandonado, em pessoas concretas com as suas histórias e esperanças, com os seus anseios e deceções, com os seus sofrimentos e feridas. Só assim a autoridade do pastor terá o sabor do Evangelho e não será «como um bronze que soa ou um címbalo que retine» (1 Cor 13, 1). Nenhum de nós se deve sentir «superior» a outrem. Nenhum de nós deve olhar os outros de cima para baixo; só podemos olhar assim uma pessoa, quando a ajudamos a levantar-se.

Gostava de recordar convosco uma parte do testamento espiritual de São João XXIII que, já adiantado no caminho, pôde dizer: «Nascido pobre, mas de gente honrada e humilde, sinto-me particularmente feliz por morrer pobre, tendo distribuído, segundo as várias exigências e circunstâncias da minha vida simples e modesta ao serviço dos pobres e da Santa Igreja que me alimentou, tudo o que me chegou às mãos – em medida, aliás, muito limitada – durante os anos do meu sacerdócio e do meu episcopado. Aparências de fartura encobriram, muitas vezes, espinhos ocultos de aflitiva pobreza que me impediram de dar sempre com toda a largueza que gostaria. Agradeço a Deus por esta graça da pobreza, de que fiz voto na minha juventude, pobreza de espírito, como Padre do Sagrado Coração, e pobreza real; e por me sustentar para nunca pedir nada, nem lugares, nem dinheiro, nem favores, nunca, nem para mim nem para os meus parentes ou amigos» (29 de junho de 1954).

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[1] O verbo proago é o mesmo com que Jesus ressuscitado faz anunciar aos discípulos que os «precederá» na Galileia (cf. Mc 16, 7).

[2] Veja-se Jorge Mario Bergoglio, Ejercicios Espirituales a los Obispos españoles, 2006.

[01080-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Kiedy byli w drodze, zdążając do Jerozolimy, Jezus wyprzedzał ich” (Mk 10,32).

Początek tego paradygmatycznego fragmentu Marka pomaga nam zawsze dostrzegać, jak Pan troszczy się o swój lud, posługując się niezrównaną pedagogiką. W drodze do Jerozolimy Jezus nie zaniedbuje uprzedzania swoich uczniów (primerear).

Jerozolima przedstawia godzinę wielkich determinacji i decyzji. Wszyscy wiemy, że w życiu chwile ważne i kluczowe pozwalają mówić sercu oraz ukazują istniejące w nas intencje i napięcia. Te rozdroża życiowe stawiają nam wyzwanie i sprawiają, iż ujawniają się pytania i pragnienia, które nie zawsze są czytelne dla ludzkiego serca. I to właśnie z wielką prostotą i realizmem ujawnia nam usłyszany właśnie fragment Ewangelii. W obliczu trzeciej i najtrudniejszej zapowiedzi męki ewangelista nie boi się ujawniać pewnych tajemnic serca uczniów: dążenie do pierwszych miejsc, zazdrość, intrygi, kompromisy i układy; logika, która nie tylko niszczy i przeżera relacje między nimi, ale także zamyka ich i pochłania w bezużytecznych i nie liczących się dyskusjach. Jezus jednak na tym się nie zatrzymuje, ale idzie naprzód, uprzedza ich (primerea) i stanowczo im mówi: „Nie tak będzie między wami. Lecz kto by między wami chciał się stać wielkim, niech będzie sługą waszym” (Mk 10,43). Poprzez taką postawę Pan stara się skoncentrować spojrzenie i serce swoich uczniów, nie pozwalając, aby jałowe i zamykające się w sobie dyskusje znalazły miejsce w łonie wspólnoty. Cóż znaczy zyskać cały świat, skoro jesteśmy przeżarci wewnątrz? Cóż znaczy zyskać cały świat, jeśli żyjemy wszyscy ogarnięci dławiącymi intrygami, które znieczulają i powodują bezowocność serca misji? W tej sytuacji – jak ktoś zauważył – można by już przewidywać intrygi pałacowe, nawet w kuriach kościelnych.

„Nie tak będzie między wami”: odpowiedź Pana jest przede wszystkim zachętą i wyzwaniem, by odzyskać to, co najlepsze w uczniach, i w ten sposób nie dać się zniszczyć i uwięzić przez logiki światowe, które odwracają spojrzenie od tego, co ważne. „Nie tak będzie między wami”: to głos Pana, który ocala wspólnotę, by nie patrzyła zbytnio na siebie, zamiast skierować spojrzenie, zasoby, oczekiwania i serce na to, co się liczy: na misję.

Zatem Jezus uczy nas, że nawrócenie, przemiana serca i reforma Kościoła jest i zawsze będzie w kluczu misyjnym, ponieważ wymaga zaprzestania patrzenia i troski o własne interesy, aby wpatrywać się i dbać o interesy Ojca. Nawrócenie z naszych grzechów, z naszych skłonności egoistycznych nie jest i nigdy nie będzie celem samym w sobie, ale przede wszystkim ma na celu wzrost wierności i gotowości do podjęcia misji. I to w taki sposób, abyśmy w godzinie prawdy, zwłaszcza w chwilach trudnych naszych braci, byli gotowi i dyspozycyjni, żeby towarzyszyć i przyjąć wszystkich i każdego, a nie zamieniali się w doskonałe bufory, czy to ze względu na ograniczoność spojrzenia, czy co gorsza, dlatego, że spieramy się czy też myślimy między sobą, kto jest najważniejszy. Kiedy zapominamy o misji, gdy tracimy z oczu konkretną twarz naszych braci, nasze życie zamyka się w poszukiwaniu własnych korzyści i naszych własnych zabezpieczeń. I tak zaczynają narastać urazy, smutki i niesmak. Krok po kroku brakuje miejsca dla innych, dla wspólnoty kościelnej, dla ubogich, aby słuchać głosu Pana. W ten sposób zatraca się radość a serce w końcu wysycha (por. Adhort. ap. Evangelii gaudium, 2).

„Nie tak będzie między wami” – mówi nam Pan [...] A kto by chciał być pierwszym między wami, niech będzie niewolnikiem wszystkich” (Mk 10, 43. 44). Jest to błogosławieństwo i Magnificat do którego wznoszenia codziennie jesteśmy powołani. To zaproszenie, jakie Pan kieruje do nas, abyśmy nie zapominali, że władza w Kościele rozwija się wraz z ową zdolnością do krzewienia godności drugiego, namaszczenia drugiego, aby uleczyć jego rany i jego wielokrotnie zranioną nadzieję. I pamiętać, że jesteśmy tutaj, ponieważ zostaliśmy posłani, aby „ubogim nieść dobrą nowinę, więźniom głosić wolność, a niewidomym przejrzenie; aby uciśnionych odsyłać wolnymi, aby obwoływać rok łaski od Pana” (Łk 4, 18-19).

Drodzy bracia, kardynałowie i nowi kardynałowie! Gdy jesteśmy na drodze do Jerozolimy, Pan idzie przed nami, aby przypomnieć nam raz jeszcze, że jedyną wiarygodną władzą jest ta, która rodzi się ze stawania u stóp innych, aby służyć Chrystusowi. To ta, która wypływa z pamięci, że Jezus, zanim pochylił głowę na krzyżu, nie bał się schylić przed uczniami i umył im stopy. To najwyższy zaszczyt, jaki możemy uzyskać, najwspanialszy awans, jaki może nam przypaść w udziale: służyć Chrystusowi w wiernym ludzie Bożym, w głodnym, zapomnianym, w uwięzionym, chorym, uzależnionym, opuszczonym, w konkretnych osobach z ich historiami i nadziejami, z ich oczekiwaniami i rozczarowaniami, z ich cierpieniami i urazami. Tylko w ten sposób autorytet pasterza będzie miał smak Ewangelii, a nie będzie jak „miedź brzęcząca albo cymbał brzmiący” (1 Kor 13,1). Nikt z nas nie powinien czuć się „lepszy” od nikogo. Nikt z nas nie powinien patrzeć na innych z góry. Możemy w ten sposób patrzeć na jakąś osobę tylko wtedy, gdy pomagamy jej wstać.

Chciałbym przypomnieć wam fragment testamentu duchowego św. Jana XXIII, który postępując w pielgrzymowaniu mógł powiedzieć: „Urodziłem się biedny, lecz ze godnej i skromnej rodziny, i jestem szczególnie szczęśliwy, że umieram biedny, rozdawszy, wedle potrzeb i okoliczności mego prostego i skromnego życia, na rzecz ubogich i Kościoła św., który mnie żywił, wszystko, co mi wchodziło w ręce – zresztą w bardzo ograniczonej mierze – podczas lat mego kapłaństwa i biskupstwa. Pozory dostatku często zasłaniały ukryte ciernie dotkliwego ubóstwa i uniemożliwiały mi dawanie zawsze z taką hojnością, jakiej byłbym pragnął. Dziękuję Bogu za tę łaskę ubóstwa, które ślubowałem w młodości, ubóstwa ducha, jako kapłan Serca Bożego, i ubóstwa rzeczywistego, co mi dopomogło, by nigdy o nic nie prosić, ani o stanowiska, ani o pieniądze, ani o względy, nigdy, ani dla siebie, ani dla mojej rodziny czy przyjaciół” (29 czerwca 1954 r.).

[01080-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0494-XX.02]