Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Pellegrinaggio Ecumenico del Santo Padre Francesco a Ginevra in occasione del 70° anniversario della fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (21 giugno 2018) – Santa Messa nel Palexpo di Ginevra, 21.06.2018


 

Omelia del Santo Padre

Parole del Santo Padre al termine della Celebrazione Eucaristica

Alle ore 17.00 di questo pomeriggio il Santo Padre è arrivato al Palexpo di Ginevra. Dopo un giro tra i fedeli con una macchina elettrica, il Papa ha presieduto la Santa Messa.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre ha pronunciato l’omelia.

Al termine, dopo il dono del Papa, il saluto del Vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo e Presidente della Conferenza Episcopale Svizzera, S.E. Mons. Charles Morerod, O.P., e la benedizione finale, il Santo Padre ha salutato brevemente i Vescovi della Conferenza Episcopale e si è congedato dai collaboratori della Nunziatura Apostolica a Berna e della Missione presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra. Quindi si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale di Ginevra per far rientro in Italia.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa e le parole di saluto al termine della Celebrazione Eucaristica:

Omelia del Santo Padre

Testo in lingua originale

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

 

Testo in lingua originale

Padre, pane, perdono. Tre parole, che il Vangelo di oggi ci dona. Tre parole, che ci portano al cuore della fede.

«Padre». Così comincia la preghiera. Può proseguire con parole diverse, ma non può dimenticare la prima, perché la parola “Padre” è la chiave di accesso al cuore di Dio; perché solo dicendo Padre preghiamo in “lingua cristiana”. Preghiamo “in cristiano”: non un Dio generico, ma Dio che è anzitutto Papà. Gesù, infatti, ci ha chiesto di dire «Padre nostro che sei nei cieli», non “Dio dei cieli che sei Padre”. Prima di tutto, prima di essere infinito ed eterno, Dio è Padre.

Da Lui discende ogni paternità e maternità (cfr Ef 3,15). In Lui è l’origine di tutto il bene e della nostra stessa vita. «Padre nostro» è allora la formula della vita, quella che rivela la nostra identità: siamo figli amati. È la formula che risolve il teorema della solitudine e il problema dell’orfanezza. È l’equazione che indica cosa fare: amare Dio, nostro Padre, e gli altri, nostri fratelli. È la preghiera del noi, della Chiesa; una preghiera senza io e senza mio, tutta volta al tu di Dio («il tuo nome», «il tuo regno», «la tua volontà») e che si coniuga solo alla prima persona plurale. «Padre nostro», due parole che ci offrono la segnaletica della vita spirituale.

Così, ogni volta che facciamo il segno della croce all’inizio della giornata e prima di ogni attività importante, ogni volta che diciamo «Padre nostro», ci riappropriamo delle radici che ci fondano. Ne abbiamo bisogno nelle nostre società spesso sradicate. Il «Padre nostro» rinsalda le nostre radici. Quando c’è il Padre, nessuno è escluso; la paura e l’incertezza non hanno la meglio. Riemerge la memoria del bene, perché nel cuore del Padre non siamo comparse virtuali, ma figli amati. Egli non ci collega in gruppi di condivisione, ma ci rigenera insieme come famiglia.

Non stanchiamoci di dire «Padre nostro»: ci ricorderà che non esiste alcun figlio senza Padre e che dunque nessuno di noi è solo in questo mondo. Ma ci ricorderà pure che non c’è Padre senza figli: nessuno di noi è figlio unico, ciascuno si deve prendere cura dei fratelli nell’unica famiglia umana. Dicendo «Padre nostro» affermiamo che ogni essere umano ci appartiene, e di fronte alle tante cattiverie che offendono il volto del Padre, noi suoi figli siamo chiamati a reagire come fratelli, come buoni custodi della nostra famiglia, e a darci da fare perché non vi sia indifferenza nei riguardi del fratello, di ogni fratello: del bambino che ancora non è nato come dell’anziano che non parla più, del conoscente che non riusciamo a perdonare come del povero scartato. Questo il Padre ci chiede, ci comanda: di amarci con cuore di figli, che sono tra loro fratelli.

Pane. Gesù dice di domandare ogni giorno al Padre il pane. Non serve chiedere di più: solo il pane, cioè l’essenziale per vivere. Il pane è anzitutto il cibo sufficiente per oggi, per la salute, per il lavoro di oggi; quel cibo che purtroppo a tanti nostri fratelli e sorelle manca. Per questo dico: guai a chi specula sul pane! Il cibo di base per la vita quotidiana dei popoli dev’essere accessibile a tutti.

Chiedere il pane quotidiano è dire anche: “Padre, aiutami a fare una vita più semplice”. La vita è diventata tanto complicata. Vorrei dire che oggi per molti è come “drogata”: si corre dal mattino alla sera, tra mille chiamate e messaggi, incapaci di fermarsi davanti ai volti, immersi in una complessità che rende fragili e in una velocità che fomenta l’ansia. S’impone una scelta di vita sobria, libera dalle zavorre superflue. Una scelta controcorrente, come fece a suo tempo san Luigi Gonzaga, che oggi ricordiamo. La scelta di rinunciare a tante cose che riempiono la vita ma svuotano il cuore. Fratelli e sorelle, scegliamo la semplicità, la semplicità del pane per ritrovare il coraggio del silenzio e della preghiera, lievito di una vita veramente umana. Scegliamo le persone rispetto alle cose, perché fermentino relazioni personali, non virtuali. Torniamo ad amare la fragranza genuina di quel che ci circonda. Quando ero piccolo, a casa, se il pane cadeva dalla tavola, ci insegnavano a raccoglierlo subito e a baciarlo. Apprezzare ciò che di semplice abbiamo ogni giorno, custodirlo: non usare e gettare, ma apprezzare e custodire.

Il «Pane quotidiano», poi, non dimentichiamolo, è Gesù. Senza di Lui non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5). È Lui l’alimento base per vivere bene. A volte, però, Gesù lo riduciamo a un contorno. Ma se non è il nostro cibo di vita, il centro delle giornate, il respiro della quotidianità, tutto è vano, tutto è contorno. Domandando il pane chiediamo al Padre e diciamo a noi stessi ogni giorno: semplicità di vita, cura di quel che ci circonda, Gesù in tutto e prima di tutto.

Perdono. È difficile perdonare, portiamo sempre dentro un po’ di rammarico, di astio, e quando siamo provocati da chi abbiamo già perdonato, il rancore ritorna con gli interessi. Ma il Signore pretende come dono il nostro perdono. Fa pensare che l’unico commento originale al Padre nostro, quello di Gesù, si concentri in una frase sola: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). L’unico commento che fa il Signore! Il perdono è la clausola vincolante del Padre nostro. Dio ci libera il cuore da ogni peccato, Dio perdona tutto, tutto, ma una cosa chiede: che noi non ci stanchiamo di perdonare a nostra volta. Vuole da ciascuno di noi un’amnistia generale delle colpe altrui. Bisognerebbe fare una bella radiografia del cuore, per vedere se dentro di noi ci sono blocchi, ostacoli al perdono, pietre da rimuovere. E allora dire al Padre: “Vedi questo macigno, lo affido a te e ti prego per questa persona, per questa situazione; anche se fatico a perdonare, ti chiedo la forza per farlo”.

Il perdono rinnova, il perdono fa miracoli. Pietro sperimentò il perdono di Gesù e diventò pastore del suo gregge; Saulo diventò Paolo dopo il perdono ricevuto da Stefano; ciascuno di noi rinasce creatura nuova quando, perdonato dal Padre, ama i fratelli. Solo allora immettiamo nel mondo novità vere, perché non c’è novità più grande del perdono, questo perdono che cambia il male in bene. Lo vediamo nella storia cristiana. Perdonarci tra noi, riscoprirci fratelli dopo secoli di controversie e lacerazioni, quanto bene ci ha fatto e continua a farci! Il Padre è felice quando ci amiamo e perdoniamo di vero cuore (cfr Mt 18,35). E allora ci dona il suo Spirito. Chiediamo questa grazia: di non arroccarci con animo indurito, pretendendo sempre dagli altri, ma di fare il primo passo, nella preghiera, nell’incontro fraterno, nella carità concreta. Così saremo più simili al Padre, che ama senza tornaconto. Ed egli riverserà su di noi lo Spirito di unità.

[00995-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Père, pain, pardon. Trois paroles, que l’Evangile d’aujourd’hui nous donne. Trois paroles, qui nous conduisent au cœur de la foi.

«Père». Ainsi commence la prière. On peut poursuivre avec des paroles différentes, mais on ne peut pas oublier la première, parce que la parole “Père” est la clé d’accès au cœur de Dieu; parce que c’est seulement en disant Père que nous prions en langue chrétienne. Nous prions “en chrétien” : non un Dieu générique, mais Dieu qui est surtout Papa. Jésus, en effet, nous a demandé de dire «Notre Père qui es aux Cieux», non “Dieu des cieux qui es Père”. Avant tout, avant d’être infini et éternel, Dieu est Père.

De lui vient toute paternité et maternité (cf. Ep 3 15). En lui est l’origine de tout le bien et de notre vie-même. «Notre Père» est alors la formule de la vie, celle qui révèle notre identité: nous sommes des enfants bien-aimés. C’est la formule qui résout le théorème de la solitude et le problème d’être orphelin. C’est l’équation qui indique que faire: aimer Dieu, notre Père, et les autres, nos frères. C’est la prière du nous, de l’Eglise; une prière sans je et sans mien, toujours au tu de Dieu («ton nom», «ton règne», «ta volonté») et qui se conjugue seulement à la première personne du pluriel. «Notre Père», deux paroles qui nous offrent la signalétique de la vie spirituelle.

Ainsi, chaque fois que nous faisons le signe de la croix au début de la journée et avant toute activité importante, chaque fois que nous disons «notre Père», nous nous réapproprions les racines qui nous fondent. Nous en avons besoin dans nos sociétés souvent déracinées. Le «notre Père» fortifie nos racines. Quand il y a le père, personne n’est exclu; la peur et l’incertitude n’ont pas le dessus. La mémoire du bien réapparaît, parce que dans le cœur du Père nous ne sommes pas des figurants virtuels, mais des enfants aimés. Il ne nous rassemble pas en groupes de partage, mais il nous régénère ensemble comme famille.

Ne nous fatiguons pas de dire «notre Père»: cela nous rappellera qu’il n’existe aucun enfant sans Père et donc qu’ aucun de nous n’est seul dans ce monde. Mais cela nous rappellera aussi qu’il n’y a pas de Père sans enfants: aucun de nous est enfant unique, chacun doit prendre soin des frères de l’unique famille humaine. En disant «notre Père» nous affirmons que tout être humain nous appartient, et devant les méchancetés si nombreuses qui offensent le visage du Père, nous ses enfants, sommes appelés à réagir comme des frères, comme de bons gardiens de notre famille, et à faire en sorte qu’il n’y ait pas d’indifférence envers le frère, envers chaque frère: de l’enfant qui n’est pas encore né comme de la personne âgée qui ne parle plus, de celui qu’on connaît et à qui on n’arrive pas à pardonner comme du pauvre rejeté. Le Père nous demandecela, il nous commande: de nous aimer avec des cœurs d’enfants, qui sont entre eux des frères.

Pain. Jésus dit de demander chaque jour au Père le pain. Cela ne sert à rien de demander plus: seulement le pain, c’est-à-dire l’essentiel pour vivre. Le pain est d’abord la nourriture suffisante pour aujourd’hui, pour la santé, pour le travail d’aujourd’hui; cette nourriture qui malheureusement manque à tant de nos frères et sœurs. Pour cela je dis: attention à qui spécule sur le pain! La nourriture de base pour la vie quotidienne des peuples doit être accessible à tous.

Demander le pain quotidien c’est dire aussi: “Père, aide-moi à avoir une vie plus simple”. La vie est devenue si compliquée. Je voudrais dire qu’aujourd’hui, pour beaucoup elle est comme “droguée”: on court du matin au soir, parmi mille appels et messages, incapables de s’arrêter devant les visages, immergés dans une complexité qui rend fragiles et dans une rapidité qui alimente l’anxiété. Un choix de vie sobre, libre des boulets superflus s’impose. Un choix à contre-courant, comme le fit en son temps saint Louis de Gonzague, dont nous rappelons le souvenir aujourd’hui. Le choix de renoncer à tant de choses qui remplissent la vie mais vident le cœur. Frères et sœurs, choisissons la simplicité, la simplicité du pain pour retrouver le courage du silence et de la prière, levain d’une vie véritablement humaine. Choisissons les personnes par rapport aux choses, parce qu’elles suscitent des relations personnelles, non virtuelles. Revenons à aimer le parfum naturel de qui nous entoure. Quand j’étais petit, à la maison, si le pain tombait de la table, on nous apprenait à le ramasser tout de suite et à l’embrasser. Apprécier ce que nous avons de simple chaque jour: ne pas prendre et jeter, mais apprécier et garder.

Le «Pain quotidien», ensuite, ne l’oublions pas, c’est Jésus. Sans lui nous ne pouvons rien faire (cf. Jn 15, 5). C’est Lui l’aliment de base pour bien vivre. Parfois, cependant, nous réduisons Jésus à une garniture. Mais s’il n’est pas notre nourriture de vie, le centre de nos journées, la respiration de notre quotidien, tout est vain, tout est garniture. En demandant le pain nous demandons au Père et nous nous disons à nous-même chaque jour: simplicité de vie, souci de ceux qui nous entourent , Jésus en tout et avant tout.

Pardon. Il est difficile de pardonner, nous portons toujours en nous un peu de regret, de rancune, et quand nous sommes provoqués par celui à qui nous avons déjà pardonné, la rancœur revient avec les intérêts. Mais le Seigneur exige comme don notre pardon. Cela fait penser que l’unique commentaire original du Notre Père, celui de Jésus, se concentre en une seule phrase: «Si vous pardonnez aux hommes leurs fautes, votre Père céleste vous pardonnera aussi. Si vous ne pardonnez pas aux hommes, votre Père non plus ne pardonnera pas vos fautes» (Mt 6, 14-15). L’unique commentaire que fait le Seigneur! Le pardon est la clause contraignante du Notre Père. Dieu nous libère le cœur de tout péché, Dieu pardonne tout, tout, mais il demande une chose: que nous ne nous fatiguions pas de pardonner à notre tour. Il veut de la part de chacun de nous une amnistie générale des fautes d’autrui. Il faudrait faire une belle radiographie du cœur, pour voir si en nous, il y a des blocages, des obstacles au pardon, des pierres à enlever. Et alors dire au Père: “Vois ce bloc de pierre, je te le confie et je te prie pour cette personne, pour cette situation; même si j’ai de la peine à pardonner, je te demande la force de le faire”.

Le pardon renouvelle, le pardon fait des miracles. Pierre a fait l’expérience du pardon de Jésus et il devint pasteur de son troupeau; Saul est devenu Paul après le pardon reçu d’Etienne; chacun de nous renaît créature nouvelle quand, pardonné par le Père, il aime ses frères. Alors seulement nous introduisons dans le monde de vraies nouveautés, parce qu’il n’y a pas de nouveauté plus grande que le pardon, ce pardon qui change le mal en bien. Nous le voyons dans l’histoire chrétienne. Nous pardonner entre nous, nous redécouvrir frères après des siècles de controverses et de déchirures, que de bien cela nous a fait et continue à nous faire! Le Père est heureux quand nous nous aimons et nous pardonnons d’un cœur sincère (cf. Mt 18, 35) Et alors, il nous donne son Esprit. Demandons cette grâce: de ne pas nous retrancher avec un cœur endurci, en exigeant toujours des autres, mais de faire le premier pas, dans la prière, dans la rencontre fraternelle, dans la charité concrète. Ainsi nous serons plus semblables au Père, qui nous aime sans rechercher son avantage; et il répandra sur nous l’Esprit d’unité.»

[00995-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Father, bread, forgiveness. Three words that the Gospel offers us today. Three words that take us to the very heart of our faith.

“Father”. The prayer begins with this. We can continue with other words, but we cannot forget this first one, for the word “Father” is the key to opening God’s heart. Simply by saying Father, we are already praying in the language of Christianity. As Christians, we do not pray to some generic deity, but to God who is, before all else, our Father. Jesus told us to say “Our Father, who are in heaven”, not “God of heaven, who are Father”. Before all else, even before his being infinite and eternal, God is Father.

All fatherhood and motherhood are derived from him (cf. Eph 3:15). In him is the origin of all goodness and life itself. The words “Our Father” reveal our identity, our life’s meaning: we are God’s beloved sons and daughters. Those words solve the problem of our isolation, our sense of being orphans. They show us what we have to do: love God, our Father, and others, our brothers and sisters. The “Our Father” is the prayer of us, of the Church. It says nothing about me and mine; everything is caught up in the you of God (“your name”, “your kingdom”, “your will”). It speaks in the first person plural. “Our Father”: these two simple words offer us a roadmap for the spiritual life.

Every time we make the sign of the cross at the start of the day or before any other important activity, every time we say “Our Father”, we reclaim our roots. We need those roots in our often rootless societies. The “Our Father” strengthens our roots. Where the Father is present, no one is excluded; fear and uncertainty cannot gain the upper hand. Suddenly we remember all the good things, because in the Father’s heart we are not strangers but his beloved sons and daughters. He does not group us together in little clubs, but gives us new life and makes us one large family.

Let us never tire of saying “Our Father”. It will remind us that just as there are no sons or daughters without a Father, so none of us is ever alone in this world. It will also remind us that there is no Father without sons or daughters, so none of us is an only child. Each of us must care for our brothers and sisters in the one human family. When we say “Our Father”, we are saying that every human being is part of us, and that, in the face of all the wrongs that offend our Father, we, as his sons and daughters, are called to react as brothers and sisters. We are called to be good guardians of our family, to overcome all indifference towards our brothers or sisters, towards any of our brothers or sisters. This includes the unborn, the older person who can no longer speak, the person we find hard to forgive, the poor and the outcast. This is what the Father asks us, indeed commands us, to do: to love one another from the heart, as sons and daughters in the midst of their brothers and sisters.

Bread. Jesus tells to ask our Father for bread each day. Nothing else: just bread, in other words, what is essential for life. Before all else, bread is what we need this day to be healthy and to do our work; tragically, so many of our brothers and sisters do not have it. Here I would say: Woe to those who speculate on bread! The basic food that people need for their daily lives must be accessible to everyone.

To ask for our daily bread is also to say: “Father, help me lead a simpler life”. Life has become so complicated. Nowadays many people seem “pumped up”, rushing from dawn to dusk, between countless phone calls and texts, with no time to see other people’s faces, full of stress from complicated and constantly changing problems. We need to choose a sober lifestyle, free of unnecessary hassles. One that goes against the tide, like that of Saint Aloysius Gonzaga, whose feast we celebrate today. It would involve giving up all those things that fill our lives but empty our hearts. Brothers and sisters, let us choose simplicity, the simplicity of bread and so rediscover the courage of silence and of prayer, the leaven of a truly human life. Let us choose people over things so that personal, not virtual, relationships may flourish. Let us learn once more to love the familiar smell of life all around us. When I was a child at home, if a piece of bread fell from the table, we were taught to pick it up and kiss it. Let us value the simple things of everyday life: not using them and throwing them away, but appreciating them and caring for them.

Our “daily bread”, we must not forget, is Jesus himself. Without him, we can do nothing (cf. Jn 15:5). He is our regular diet for healthy living. Sometimes, however, we treat Jesus as a side dish. Yet if he is not our daily bread, the centre of our days, the very air we breathe, then everything else is meaningless, everything else is secondary. Each day, when we pray for our daily bread, let us ask the Father, and keep reminding ourselves: simplicity of life, care for what is all around us, Jesus in everything and before everything.

Forgiveness. It is not easy to forgive. We always retain a dram of bitterness or resentment, and whenever those we have forgiven annoy us, it rises to the surface once again. Yet the Lord wants our forgiveness to be gift. It is significant that the only really original commentary on the Our Father is Jesus’ own. He tells us simply: “If you forgive others their trespasses, your heavenly Father also will forgive you; but if you do not forgive others, neither will your Father forgive your trespasses” (Mt 6:14-15). That’s the only commentary the Lord makes! Forgiveness is the catch phrase of the Our Father. God frees our hearts of all sin, God forgives every last thing. Yet he asks only one thing of us: that we in turn never tire of forgiving. He wants every one us to issue a general amnesty for the sins of others. We should take a good x-ray of our heart, to find out if there are blockages within us, obstacles to forgiveness, stones needing to be removed. Then we can say to the Father: “You see this stone? I hand it over to you and I pray for this person, for that situation; even if I struggle to forgive, I ask you for the strength to do it”.

Forgiveness renews, forgiveness works miracles. Peter experienced Jesus’ forgiveness and became the shepherd of his flock. Saul became Paul after the forgiveness he received from Stephen. Forgiven by our Father, each of us is born again as a new creation when we love our brothers and sisters. Only then do we bring true newness to our world, for there is no greater novelty than forgiveness; this is the forgiveness that turns evil into good. We see it in the history of Christianity. Forgiving one another, rediscovering after centuries of disagreements and conflicts that we are brothers and sisters, how much good this has done us and continues to do! The Father is pleased when we love one another and we forgive each other from the heart (cf. Mt 18:35). Then, he gives us his Spirit. Let us ask for the grace not to be entrenched and hard of heart, constantly demanding things of others. Instead, let us take the first step, in prayer, in fraternal encounter, in concrete charity. In this way, we will be more like the Father, who loves without counting the cost. And he will pour out upon us the Spirit of unity.

[00995-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Vater, Brot, Vergebung. Drei Worte, die uns das heutige Evangelium schenkt. Drei Worte, die uns in die Mitte des Glaubens führen.

»Vater«. So beginnt das Gebet. Es kann sich dann in anderen Worten fortsetzen, aber das erste Wort bleibt immer gegenwärtig, weil das Wort »Vater« der Schlüssel zum Herzen Gottes ist; denn nur wenn wir Vater sagen, beten wir in christlicher Sprache. Beten wir „auf christlich“: nicht zu irgendeinem vagen Gott, sondern zu Gott, der vor allem „Papa“ ist. Jesus hat uns aufgetragen, »Vater unser im Himmel« zu sagen und nicht „Gott des Himmels, der du Vater bist“. Gott ist, bevor er unendlich und ewig ist, zunächst einmal Vater.

Von ihm kommt jede Vaterschaft und jede Mutterschaft (vgl. Eph 3,15). In ihm liegt der Ursprung alles Guten und unseres eigenen Lebens. »Vater unser« ist also die Formel des Lebens, die uns offenbart, wer wir sind: Wir sind geliebte Kinder. Es ist die Formel, die das Theorem der Einsamkeit und das Problem des Verwaistseins löst. Es ist die Gleichung, die angibt, was zu tun ist: Gott, unseren Vater, und die anderen, unsere Geschwister, zu lieben. Es ist das Gebet des Uns, der Kirche; ein Gebet ohne ich und ohne mein. Ganz dem Du Gottes zugewandt (»dein Name«, »dein Reich«, »dein Wille«), kennt es sonst nur noch die erste Person Plural. »Vater unser«, zwei Worte, die Wegweisung bieten für unser geistliches Leben.

Jedes Mal, wenn wir das Kreuzzeichen am Anfang des Tages und vor jeder wichtigen Unternehmung machen, jedes Mal, wenn wir »Vater unser« sagen, schlagen wir neu tiefe Wurzeln. Das brauchen wir in unseren oft entwurzelten Gesellschaften. »Unser Vater« stärkt unsere Wurzeln. Wenn der Vater da ist, ist niemand ausgeschlossen; Angst und Unsicherheit gewinnen nicht die Oberhand. Die Erinnerung an das Gute kommt wieder auf, denn im Herzen des Vaters sind wir keine virtuellen Statisten, sondern geliebte Kinder. Er verbindet uns nicht zu Interessengruppen, sondern erneuert uns gemeinsam als Familie.

Lasst uns nicht müde werden, »Vater unser« zu sagen: das wird uns daran erinnern, dass es keinen Sohn ohne Vater gibt und dass deshalb keiner von uns alleine ist in dieser Welt. Aber es wird uns zugleich daran erinnern, dass es keinen Vater ohne Kinder gibt: Keiner von uns ist Einzelkind, jeder muss sich um seine Brüder und Schwestern in der einen Menschheitsfamilie kümmern. Wenn wir »Vater unser« sagen, bekräftigen wir, dass jeder Mensch zu uns gehört, und angesichts des vielen Bösen, welches das Antlitz des Vaters beleidigt, sind wir, seine Kinder, aufgerufen, geschwisterlich und als gute Hüter unserer Familie zu handeln und alles zu tun, damit es keine Gleichgültigkeit gegenüber unseren Brüdern und Schwestern, gegenüber jedem Bruder und jeder Schwester gibt: weder gegenüber dem Kind, das noch nicht geboren ist, noch gegenüber dem alten Menschen, der nicht mehr spricht; weder gegenüber dem Bekannten, dem wir nicht vergeben können, noch gegenüber dem Armen, dessen man sich entledigt hat. Um das bittet uns der Vater, das befiehlt er uns: einander mit dem Herzen von Kindern zu lieben, die einander Geschwister sind.

Brot. Jesus sagt uns, dass wir den Vater jeden Tag um Brot bitten sollen. Wir brauchen nicht um mehr zu bitten: nur um Brot, also um das Lebensnotwendige. Brot meint vor allem ausreichend Nahrung für den heutigen Tag, für die Gesundheit, für die tägliche Arbeit; Nahrung, die vielen unserer Brüder und Schwestern leider fehlt. Deshalb sage ich: Wehe dem, der aus dem täglichen Brot Kapital schlagen will! Grundnahrungsmittel für den Alltag der Menschen müssen für jedermann zugänglich sein.

Wenn wir um das tägliche Brot bitten, sagen wir damit auch: „Vater, hilf mir, mein Leben einfacher zu gestalten“. Das Leben ist sehr kompliziert geworden. Ich möchte sagen, dass viele es in einer Art Trancezustand verbringen: Man rennt von morgens bis abends umher, zwischen tausend Anrufen und Nachrichten, unfähig, dem Blick des Nächsten Beachtung zu schenken, eingetaucht in eine Komplexität, die alles brüchig macht, und in eine Geschwindigkeit, die Spannung erzeugt. Eine Entscheidung für einen nüchternen Lebensstil ohne allen überflüssigem Ballast legt sich nahe. Eine Entscheidung gegen den Strom zu schwimmen, so wie damals der heilige Aloisius von Gonzaga, dessen wir heute gedenken. Es geht um die Entscheidung, auf viele Dinge zu verzichten, die das Leben voll, aber das Herz leer machen. Brüder und Schwestern, entscheiden wir uns für die Einfachheit, für die Einfachheit des Brotes, um den Mut zur Stille und zum Gebet wiederzuentdecken, den Sauerteig eines wahrhaft menschlichen Lebens. Entscheiden wir uns für die Menschen und nicht für die Dinge, damit persönliche Beziehungen gedeihen, nicht virtuelle. Fangen wir wieder an, den unverfälschten Duft dessen zu lieben, was uns umgibt. Wenn damals, als ich klein war, zu Hause etwas Brot vom Tisch fiel, wurde uns beigebracht, es sofort aufzuheben und es zu küssen. Das Einfache, das uns jeden Tag zu Teil wird, wertschätzen und bewahren: nicht benutzen und wegwerfen, sondern wertschätzen, um es zu bewahren.

Das »tägliche Brot« ist schließlich, vergessen wir das nicht, Jesus. Ohne ihn können wir nichts tun (vgl. Joh 15,5). Er ist das Grundnahrungsmittel für ein gutes Leben. Manchmal jedoch wird Jesus von uns zu einer Beilage degradiert. Aber wenn er nicht unser Lebensmittel ist, der Mittelpunkt des Tages, der Atem des Alltags, dann ist alles umsonst, ist alles nur Beilage. Wenn wir um Brot bitten, wollen wir den Vater bitten und uns das auch selbst immer wieder vorsagen: Einfachheit des Lebens, Sorge für das, was uns umgibt, Jesus in allem und vor allem.

Vergebung. Es ist schwer zu verzeihen, wir tragen immer ein wenig Bedauern und Groll in uns, und wenn wir von denen provoziert werden, denen wir bereits vergeben haben, kehrt der Groll verstärkt wieder. Aber der Herr erhebt Anspruch auf das Geschenk unserer Vergebung. Es gibt zu denken, dass der einzige ursprüngliche Kommentar zum Vaterunser, nämlich der von Jesus, sich auf einen einzigen Satz konzentriert: »Denn wenn ihr den Menschen ihre Verfehlungen vergebt, dann wird euer himmlischer Vater auch euch vergeben. Wenn ihr aber den Menschen nicht vergebt, dann wird euch euer Vater eure Verfehlungen auch nicht vergeben« (Mt 6,14-15). Das ist der einzige Kommentar, den der Herr macht! Vergebung ist die verbindliche Klausel des Vaterunsers. Gott befreit unser Herz von aller Sünde, Gott vergibt alles, alles; aber eines verlangt er: dass wir nicht müde werden, unsererseits zu vergeben. Er verlangt von jedem von uns eine Generalamnestie für die Schuld anderer. Wir sollten unser Herz mit Röntgenaugen betrachten, um zu sehen, ob es in uns Blockaden und Hindernisse für die Vergebung gibt, Steine, die entfernt gehören. Und um dann zum Vater zu sagen: „Du siehst diesen Steinblock, ich vertrau ihn dir an, und ich bitte dich für diese Person, für diese Situation; auch wenn mir das Vergeben schwerfällt, ich bitte dich um die Kraft, es zu tun“.

Vergebung erneuert, Vergebung wirkt Wunder. Petrus erlebte die Vergebung Jesu und wurde der Hirte seiner Herde; Saulus wurde zu Paulus, nachdem Stephanus ihm vergeben hatte; jeder von uns wird als neues Geschöpf wiedergeboren, wenn er, nach der Vergebung durch den Vater, seine Brüder liebt. Erst so bringen wir wahrhaft Neues in die Welt, denn es gibt keine größere Neuheit als die Vergebung, diese Vergebung, die das Böse zum Guten wandelt. Das sehen wir an der Geschichte des Christentums. Dass wir einander vergeben, dass wir uns nach Jahrhunderten der Kontroversen und Spaltungen als Brüder und Schwestern wiederentdeckt haben – wie gut hat uns das getan und wie gut tut uns das weiterhin! Der Vater ist glücklich, wenn wir einander lieben und aus ganzem Herzen vergeben (vgl. Mt 18,35). Und dann schenkt er uns seinen Geist. Bitten wir um diese Gnade: dass wir uns nicht mit verhärteter Gesinnung verschanzen und immer von anderen etwas verlangen, sondern dass wir den ersten Schritt tun, im Gebet, in der brüderlichen Begegnung, in konkreter Nächstenliebe. Auf diese Weise werden wir dem Vater ähnlicher, der ohne Gegenleistung liebt. Und er wird den Geist der Einheit über uns ausgießen.

[00995-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

Padre, pan, perdón. Tres palabras que nos regala el Evangelio de hoy. Tres palabras que nos llevan al corazón de la fe.

«Padre» —así comienza la oración—. Puede ir seguida de otras palabras, pero no se puede olvidar la primera, porque la palabra “Padre” es la llave de acceso al corazón de Dios; porque solo diciendo Padre rezamos en lenguaje cristiano. Rezamos “en cristiano”: no a un Dios genérico, sino a un Dios que es sobre todo Papá. De hecho, Jesús nos ha pedido que digamos «Padre nuestro que estás en el cielo», en vez de “Dios del cielo que eres Padre”. Antes de nada, antes de ser infinito y eterno, Dios es Padre.

De él procede toda paternidad y maternidad (cf. Ef 3,15). En él está el origen de todo bien y de nuestra propia vida. «Padre nuestro» es por tanto la fórmula de la vida, la que revela nuestra identidad: somos hijos amados. Es la fórmula que resuelve el teorema de la soledad y el problema de la orfandad. Es la ecuación que nos indica lo que hay que hacer: amar a Dios, nuestro Padre, y a los demás, nuestros hermanos. Es la oración del nosotros, de la Iglesia; una oración sin el yo y sin el mío, toda dirigida al de Dios («tu nombre», «tu reino», «tu voluntad») y que se conjuga solo en la primera persona del plural: «Padre nuestro», dos palabras que nos ofrecen señales para la vida espiritual.

Así, cada vez que hacemos la señal de la cruz al comienzo de la jornada y antes de cada actividad importante, cada vez que decimos «Padre nuestro», renovamos las raíces que nos dan origen. Tenemos necesidad de ello en nuestras sociedades a menudo desarraigadas. El «Padre nuestro» fortalece nuestras raíces. Cuando está el Padre, nadie está excluido; el miedo y la incertidumbre no triunfan. Aflora la memoria del bien, porque en el corazón del Padre no somos personajes virtuales, sino hijos amados. Él no nos une en grupos que comparten los mismos intereses, sino que nos regenera juntos como familia.

No nos cansemos de decir «Padre nuestro»: nos recordará que no existe ningún hijo sin Padre y que, por tanto, ninguno de nosotros está solo en este mundo. Pero nos recordará también que no hay Padre sin hijos: ninguno de nosotros es hijo único, cada uno debe hacerse cargo de los hermanos de la única familia humana. Diciendo «Padre nuestro» afirmamos que todo ser humano nos pertenece, y frente a tantas maldades que ofenden el rostro del Padre, nosotros sus hijos estamos llamados a actuar como hermanos, como buenos custodios de nuestra familia, y a esforzarnos para que no haya indiferencia hacia el hermano, hacia ningún hermano: ni hacia el niño que todavía no ha nacido ni hacia el anciano que ya no habla, como tampoco hacia el conocido que no logramos perdonar ni hacia el pobre descartado. Esto es lo que el Padre nos pide, nos manda que nos amemos con corazón de hijos, que son hermanos entre ellos.

Pan. Jesús nos dice que pidamos cada día el pan al Padre. No hace falta pedir más: solo el pan, es decir, lo esencial para vivir. El pan es sobre todo la comida suficiente para hoy, para la salud, para el trabajo diario; la comida que por desgracia falta a tantos hermanos y hermanas nuestros. Por esto digo: ¡Ay de quien especula con el pan! El alimento básico para la vida cotidiana de los pueblos debe ser accesible a todos.

Pedir el pan cotidiano es decir también: “Padre, ayúdame a llevar una vida más sencilla”. La vida se ha vuelto muy complicada. Diría que hoy para muchos está como “drogada”: se corre de la mañana a la tarde, entre miles de llamadas y mensajes, incapaces de detenernos ante los rostros, inmersos en una complejidad que nos hace frágiles y en una velocidad que fomenta la ansiedad. Se requiere una elección de vida sobria, libre de lastres superfluos. Una elección contracorriente, como hizo en su tiempo san Luis Gonzaga, que hoy recordamos. La elección de renunciar a tantas cosas que llenan la vida, pero vacían el corazón. Hermanos y hermanas: Elijamos la sencillez, la sencillez del pan para volver a encontrar la valentía del silencio y de la oración, fermentos de una vida verdaderamente humana. Elijamos a las personas antes que a las cosas, para que surjan relaciones personales, no virtuales. Volvamos a amar la fragancia genuina de lo que nos rodea. Cuando era pequeño, en casa, si el pan se caía de la mesa, nos enseñaban a recogerlo rápidamente y a besarlo. Valorar lo sencillo que tenemos cada día, protegerlo: no usar y tirar, sino valorar y conservar.

Además, el «Pan de cada día», no lo olvidemos, es Jesús. Sin él no podemos hacer nada (cf. Jn 15,5). Él es el alimento primordial para vivir bien. Sin embargo, a veces lo reducimos a una guarnición. Pero si él no es el alimento de nuestra vida, el centro de nuestros días, el respiro de nuestra cotidianidad, nada vale, todo es guarnición. Pidiendo el pan suplicamos al Padre y nos decimos cada día: sencillez de vida, cuidado del que está a nuestro alrededor, Jesús sobre todo y antes de nada.

Perdón. Es difícil perdonar, siempre llevamos dentro un poco de amargura, de resentimiento, y cuando alguien que ya habíamos perdonado nos provoca, el rencor vuelve con intereses. Pero el Señor espera nuestro perdón como un regalo. Nos debe hacer pensar que el único comentario original al Padre nuestro, el que hizo Jesús, se concentre sobre una sola frase: «Porque si perdonáis a los hombres sus ofensas, también os perdonará vuestro Padre celestial, pero si no perdonáis a los hombres, tampoco vuestro Padre perdonará vuestras ofensas» (Mt 6,14-15). El único comentario que hace el Señor. El perdón es la cláusula vinculante del Padre nuestro. Dios nos libera el corazón de todo pecado, Dios perdona todo, todo, pero nos pide una cosa: que nosotros, al mismo tiempo, no nos cansemos de perdonar a los demás. Quiere que cada uno de nosotros otorgue una amnistía general a las culpas ajenas. Tendríamos que hacer una buena radiografía del corazón, para ver si dentro de nosotros hay barreras, obstáculos para el perdón, piedras que remover. Y entonces decir al Padre: “¿Ves este peñasco?, te lo confío y te ruego por esta persona, por esta situación; aun cuando me resulta difícil perdonar, te pido la fuerza para poder hacerlo”.

El perdón renueva, el perdón hace milagros. Pedro experimentó el perdón de Jesús y llegó a ser pastor de su rebaño; Saulo se convirtió en Pablo después de haber sido perdonado por Esteban; cada uno de nosotros renace como una criatura nueva cuando, perdonado por el Padre, ama a sus hermanos. Solo entonces introducimos en el mundo una verdadera novedad, porque no hay mayor novedad que el perdón, este perdón que cambia el mal en bien. Lo vemos en la historia cristiana. Perdonarnos entre nosotros, redescubrirnos hermanos después de siglos de controversias y laceraciones, cuánto bien nos ha hecho y sigue haciéndonos. El Padre es feliz cuando nos amamos y perdonamos de corazón (cf. Mt 18,35). Y entonces nos da su Espíritu. Pidamos esta gracia: no encerrarnos con un corazón endurecido, reclamando siempre a los demás, sino dar el primer paso, en la oración, en el encuentro fraterno, en la caridad concreta. Así seremos más semejantes al Padre, que ama sin esperar nada a cambio. Y él derramará sobre nosotros el Espíritu de la unidad.

[00995-ES.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

Pai, pão, perdão: três palavras, que encontramos no Evangelho de hoje; três palavras, que nos levam ao coração da fé.

«Pai»: começa assim a oração. Pode-se continuar com palavras diferentes, mas não é possível esquecer a primeira, porque a palavra «Pai» é a chave de acesso ao coração de Deus; com efeito, só dizendo Pai é que rezamos em língua cristã, é que rezamos «cristão»: não um Deus genérico, mas Deus que é, antes de mais nada, Papá. De facto, Jesus pediu-nos para dizer «Pai nosso que estais nos céus»; não «Deus dos céus, que sois Pai». Antes de tudo, antes de ser infinito e eterno, Deus é Pai.

D’Ele provém toda a paternidade e maternidade (cf. Ef 3, 15). N’Ele está a origem de todo o bem e da nossa própria vida. Então «Pai nosso» é a fórmula da vida, aquela que revela a nossa identidade: somos filhos amados. É a fórmula que resolve o teorema da solidão e o problema da orfandade. É a equação que indica o que se deve fazer: amar a Deus, nosso Pai, e aos outros, nossos irmãos. É a oração do nós, da Igreja; uma oração sem o eu nem o meu, mas toda voltada para o vós de Deus («o vosso nome», «o vosso reino», «a vossa vontade») e que se conjuga apenas na primeira pessoa do plural. «Pai nosso»: duas palavras que nos oferecem a sinalética da vida espiritual.

Desta forma, sempre que fazemos o sinal da cruz no princípio do dia e antes de cada atividade importante, sempre que dizemos «Pai nosso», reapropriamo-nos das raízes que nos servem de fundamento. Precisamos de o fazer nas nossas sociedades frequentemente desenraizadas. O «Pai nosso» revigora as nossas raízes. Quando está o Pai, ninguém fica excluído; o medo e a incerteza não levam a melhor. Prevalece a memória do bem, porque, no coração do Pai, não somos personagens virtuais, mas filhos amados. Ele não nos une em grupos de partilha, mas gera-nos juntos como família.

Não nos cansemos de dizer «Pai nosso»: lembrar-nos-á que não existe filho algum sem Pai e, por conseguinte, nenhum de nós está sozinho neste mundo; mas lembrar-nos-á também que não há Pai sem filhos: nenhum de nós é filho único, cada um deve cuidar dos irmãos na única família humana. Ao dizer «Pai nosso», afirmamos que cada ser humano é parte nossa e, face aos inúmeros malefícios que ofendem o rosto do Pai, nós, seus filhos, somos chamados a reagir como irmãos, como bons guardiões da nossa família e a trabalhar para que não haja indiferença perante o irmão, cada irmão: tanto do bebé que ainda não nasceu como do idoso que já não fala, tanto dum nosso conhecido a quem não conseguimos perdoar como do pobre descartado. Isto é o que o Pai nos pede, nos manda: amar-nos com coração de filhos, que são irmãos entre si.

Pão: Jesus diz para pedir cada dia, ao Pai, o pão. Não é preciso pedir mais: só o pão, isto é, o essencial para viver. O pão é, antes de mais nada, o alimento suficiente para hoje, para a saúde, para o trabalho de hoje; aquele alimento que, infelizmente, falta a muitos dos nossos irmãos e irmãs. Por isso digo: ai daqueles que especulam sobre o pão! O alimento básico para a vida quotidiana dos povos deve ser acessível a todos.

Pedir o pão de cada dia é dizer também: «Pai, ajuda-me a fazer uma vida mais simples». A vida tornou-se tão complicada; apetece-me dizer que hoje, para muitos, a vida de certo modo está «drogada»: corre-se de manhã à noite, por entre mil chamadas e mensagens, incapazes de parar fixando os rostos, mergulhados numa complexidade que fragiliza e numa velocidade que fomenta a ansiedade. Impõe-se uma opção de vida sóbria, livre de pesos supérfluos. Uma opção contracorrente, como outrora fez São Luís Gonzaga que hoje recordamos. A opção de renunciar a muitas coisas que enchem a vida, mas esvaziam o coração. Irmãos e irmãs, optemos pela simplicidade, a simplicidade do pão, para voltar a encontrar a coragem do silêncio e da oração, fermento duma vida verdadeiramente humana. Optemos pelas pessoas em vez das coisas, para que levedem relações, não virtuais, mas pessoais. Voltemos a amar a genuína fragrância daquilo que nos rodeia. Em casa, quando eu era criança, se o pão caísse da mesa, ensinavam-nos a apanhá-lo imediatamente e a beijá-lo. Apreciar o que temos de simples cada dia e guardá-lo: não usar e jogar fora, mas apreciar e guardar.

E não esqueçamos também que «o Pão de cada dia» é Jesus. Sem Ele, nada podemos fazer (cf. Jo 15, 5). Ele é o alimento básico para viver bem. Às vezes, porém, reduzimos Jesus a um condimento; mas, se não for o nosso alimento vital, o centro dos nossos dias, o respiro da vida quotidiana, tudo é vão, temos condimento e nada mais. Ao suplicar o pão, pedimos ao Pai e dizemos para nós mesmos cada dia: simplicidade de vida, cuidado por aquilo que nos rodeia, Jesus em tudo e antes de tudo.

Perdão: é difícil perdoar, dentro trazemos sempre um pouco de queixume, de ressentimento e, quando somos provocados por quem já tínhamos perdoado, o rancor volta e… com juros. Mas, como dom, o Senhor pretende o nosso perdão. Impressiona o facto de o único comentário original ao Pai nosso, o de Jesus, se concentrar numa única frase: «Porque, se perdoardes aos outros as suas ofensas, também o vosso Pai celeste vos perdoará a vós. Se, porém, não perdoardes aos homens as suas ofensas, também o vosso Pai vos não perdoará as vossas» (Mt 6, 14-15). O único comentário que faz o Senhor! O perdão é a cláusula vinculante do Pai nosso. Deus liberta-nos o coração de todo o pecado, Deus perdoa tudo, tudo; mas pede uma coisa: que nós, por nossa vez, não nos cansemos de perdoar. De cada um de nós pretende uma amnistia geral das culpas alheias. Seria preciso fazer uma boa radiografia do coração, para ver se, dentro de nós, há bloqueios, obstáculos ao perdão, pedras a remover. E então dizer ao Pai: «Vede este penedo! Confio-o a Vós e peço-Vos por esta pessoa, por esta situação; embora sinta dificuldade em perdoar, peço-Vos a força de o fazer».

O perdão renova, o perdão faz milagres. Pedro experimentou o perdão de Jesus e tornou-se pastor do seu rebanho; Saulo tornou-se Paulo depois do perdão que recebeu de Estêvão; cada um de nós renasce como nova criatura quando, perdoado pelo Pai, ama os irmãos. Só então introduzimos uma novidade verdadeira no mundo, porque não há novidade maior do que o perdão, este perdão que muda o mal em bem. Vemo-lo na história cristã. Como nos fez e continua a fazer bem o facto de nos perdoarmos uns aos outros, de voltar a descobrir-nos irmãos depois de séculos de controvérsias e lacerações! O Pai é feliz, quando nos amamos e perdoamos verdadeiramente de coração (cf. Mt 18, 35); e então dá-nos o seu Espírito. Peçamos esta graça: de não nos fecharmos com ânimo endurecido, sempre a reivindicar dos outros, mas de dar o primeiro passo, na oração, no encontro fraterno, na caridade concreta. Assim seremos mais parecidos com o Pai, que ama sem esperar reembolso. E Ele derramará sobre nós o Espírito de unidade.

[00995-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Ojciec, chleb, przebaczenie. Trzy słowa, które daje nam dzisiejsza Ewangelia. Trzy słowa, które prowadzą nas do serca wiary.

„Ojcze”. Tak zaczyna się modlitwa. Może rozwijać się różnymi słowami, ale nie może zapomnieć o pierwszym, ponieważ słowo „Ojciec” jest kluczem, by uzyskać dostęp do serca Boga. Jedynie bowiem mówiąc Ojcze modlimy się w języku chrześcijańskim. Modlimy się „po chrześcijańsku”: nie do Boga ogólnikowego, ale Boga, który jest przede wszystkim tatą. Jezus prosił nas  bowiem, byśmy mówili „Ojcze nasz, któryś jest w niebie”, a nie „Boże niebieski, który jesteś Ojcem”. Bóg, zanim jest nieskończonym i wiecznym, jest przede wszystkim Ojcem.

Od Niego pochodzi wszelkie ojcostwo i macierzyństwo (por. Ef 3, 15). W Nim jest źródło wszelkiego dobra i naszego życia. „Ojcze nasz” jest zatem formułą życia, która ujawnia naszą tożsamość: jesteśmy ukochanymi dziećmi. Jest to formuła, która rozwiązuje twierdzenie o samotności i problem osierocenia. To równanie wskazujące, co czynić: kochać Boga, naszego Ojca i innych, naszych braci. Jest to modlitwa nas, Kościoła; modlitwa bez ja i bez moje, cała skierowana do ty Boga („imię Twoje”, „królestwo Twoje”, „wola Twoja”) i łączy się wyłącznie z pierwszą osobą w liczbie mnogiej. „Ojcze nasz”, dwa słowa, które wyznaczają kierunek życia duchowego.

Tak więc za każdym razem, gdy czynimy znak krzyża na początku dnia i przed każdą ważną czynnością, za każdym razem, gdy odmawiamy „Ojcze nasz”, przyswajamy sobie korzenie, na których opiera się nasze życie. Potrzebujemy tego w naszych często wykorzenionych społeczeństwach. „Ojcze nasz” umacnia nasze korzenie. Kiedy jest Ojciec, nikt nie jest wykluczony; nie dominują lęk i niepewność. Powraca pamięć o dobru, ponieważ w sercu Ojca nie jesteśmy wirtualnymi statystami, ale umiłowanymi dziećmi. Nie łączy On nas w grupach dzielenia się, ale odradza nas razem jako rodzinę.

Niestrudzenie odmawiajmy „Ojcze nasz”. Modlitwa ta przypomni nam, że żadne dziecko nie istnieje bez Ojca, a zatem nikt z nas nie jest sam na tym świecie. Ale przypomni nam również, że nie ma Ojca bez dzieci: nikt z nas nie jest jedynakiem, każdy musi zatroszczyć się o braci w jednej ludzkiej rodzinie. Odmawiając „Ojcze nasz”, stwierdzamy, że należy do nas każda istota ludzka, i w obliczu wielu niegodziwości, które obrażają oblicze Ojca, my Jego dzieci jesteśmy wezwani, by reagować jako bracia, jako dobrzy opiekunowie naszej rodziny i dawać z siebie wszystko, aby nie było obojętności wobec brata, każdego brata: dziecka, które jeszcze się nie urodziło, podobnie jak starca, który już nie mówi, znajomego, któremu nie potrafimy wybaczyć, jak ubogiego odrzuconego. Tego żąda od nas Ojciec, wzywa nas, byśmy się miłowali sercem dzieci, które są między sobą braćmi i siostrami.

Chleb. Jezus mówi, aby każdego dnia prosić Ojca o chleb. Nie trzeba prosić o więcej: tylko o chleb, to znaczy o to, co jest niezbędne do życia. Chleb jest przede wszystkim pożywieniem wystarczającym na dziś, dla zdrowia, na dzisiejszą pracę. Niestety tego pokarmu brakuje wielu naszym braciom i siostrom. Dlatego mówię: biada tym, którzy spekulują na chlebie! Podstawowy pokarm, niezbędny dla codziennego życia narodów, musi być dostępny dla wszystkich.

Proszenie o chleb powszedni to także stwierdzenie: „Ojcze, pomóż mi uczynić moje życie prostszym”. Życie stało się bardzo skomplikowane. Chciałbym powiedzieć, że dziś dla wielu jest jakby „narkotyczne”: biega się od rana do wieczora, pośród tysięcy rozmów telefonicznych i sms-ów, niezdolni do zatrzymania się przed twarzami, zanurzeni w złożoności, która czyni kruchymi i w szybkości, która wznieca niepokój. Konieczny jest wybór życia wstrzemięźliwego, wolnego od zbędnych balastów. Wybór wbrew dominującym nurtom, podobnie jak to czynił w swoim czasie św. Ludwik Gonzaga, którego dziś wspominamy. Wybór, aby odrzucić wiele rzeczy, które wypełniają życie, ale opróżniają serce. Bracia i siostry, wybierajmy prostotę, prostotę chleba, by odzyskać odwagę milczenia i modlitwy, będących zaczynem życia prawdziwie ludzkiego. Wybierajmy osoby, a nie rzeczy, abyśmy rozwijali relacje osobowe, a nie wirtualne. Pokochajmy na nowo prawdziwą woń tego, co nas otacza. Kiedy byłem dzieckiem, w domu, gdy chleb spadł ze stołu, uczono nas, abyśmy go podnosili natychmiast i ucałowali. Doceńmy to, co proste, które mamy każdego dnia, strzeżmy tego: nie używajmy i wyrzucajmy, ale doceńmy i strzeżmy.

Nie zapominajmy, że „Chlebem powszednim” jest także Jezus. Bez Niego nic nie możemy uczynić (por. J 15,5). On jest podstawowym pokarmem, aby żyć dobrze. Czasami jednak sprowadzamy Jezusa do dodatku. Ale jeśli nie jest On naszym pokarmem życia, centrum dni, tchnieniem codzienności, to wszystko jest próżne, wszystko jest przystawką. Prosząc o chleb, zwracajmy się do Ojca i mówmy samym sobie codziennie: prostota życia, troska o to, co nas otacza, Jezus we wszystkim i ponad wszystko.

Przebaczenie. Trudno jest przebaczać. Zawsze nosimy w naszym sercu trochę żalu, urazy, a kiedy jesteśmy sprowokowani przez tych, którym już odpuściliśmy, uraza wraca wraz z zaległym oprocentowaniem. Ale Pan domaga się naszego przebaczenia jako daru. Zastanawiające, że jedyny komentarz oryginalny do Ojcze nasz, komentarz ​​Jezusa, skupia się tylko w jednym zdaniu: „Jeśli bowiem przebaczycie ludziom ich przewinienia, i wam przebaczy Ojciec wasz niebieski. Lecz jeśli nie przebaczycie ludziom, i Ojciec wasz nie przebaczy wam waszych przewinień”  (Mt 6, 14-15). Jedyny komentarz, jaki daje Pan! Przebaczenie jest wiążącym warunkiem ​​Ojcze nasz. Bóg uwalnia nasze serce od wszelkiego grzechu, przebacza wszystko, wszystko, ale prosi nas tylko o jedno: abyśmy ze swej strony niestrudzenie przebaczali. Chce, aby każdy z nas udzielił powszechnej amnestii w odniesieniu do win innych osób. Należałoby dokonać dobrego prześwietlenia serca, aby zobaczyć, czy są w nas zablokowania, przeszkody do przebaczenia, kamienie, które trzeba usunąć. A wówczas powiedzieć Ojcu: „Zobacz ten głaz, powierzam go Tobie i modlę się za tę osobę, za tę sytuację; chociaż trudno mi przebaczyć, proszę cię o siłę, aby to uczynić”.

Przebaczenie odnawia, przebaczenie działa cuda. Piotr doświadczył przebaczenia Jezusa i stał się pasterzem Jego owczarni. Szaweł został Pawłem, gdy otrzymał przebaczenie od Szczepana. Każdy z nas rodzi się jako nowe stworzenie, gdy otrzymawszy przebaczenie od Ojca miłuje swoich braci. Tylko wtedy możemy wprowadzić w  świat prawdziwe nowości, bo nie ma większej nowości niż przebaczenie, to przebaczenie, które przemienia zło w dobro. Widzimy to w historii chrześcijaństwa. Jakże dobrze nam zrobiło i nadal czyni przebaczenie między nami, odkrycie siebie na nowo jako braci po wiekach sporów i rozdarć! Ojciec jest szczęśliwy, gdy miłujemy się nawzajem i z serca sobie przebaczamy (por. Mt 18, 35). A wówczas daje nam swego Ducha. Prośmy o tę łaskę: by nie barykadować się z zatwardziałym sercem wymagając zawsze od innych, ale by uczynić pierwszy krok, w modlitwie, w braterskim spotkaniu, w konkretnej miłości. W ten sposób będziemy bardziej podobni do Ojca, który kocha nie oczekując niczego w zamian. I wyleje na nas Ducha jedności.

[00995-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

أبانا، الخبز، المغفرة. ثلاث كلمات يهبنا إياها اليوم الإنجيل. ثلاث كلمات تقودنا إلى محور الإيمان.

"أبانا". هكذا تبدأ الصلاة. يمكنها المتابعة بكلمات مختلفة، ولكن لا يمكنها أن تنسى الكلمة الأولى، لأن كلمة "أبانا" هي مفتاح الوصول إلى قلب الله؛ لأننا بقولنا "أبانا" فقط نصلّي بلغة مسيحيّة. نصلّي "كمسيحيّين": لا إلهًا عامًّا، إنما الله الذي هو أب قبل كلّ شيء. فقد طلب منّا يسوع في الواقع أن نقول "أبانا الذي في السماوات"، وليس "يا إله السماوات الذي هو أب". إن الله قبل كلّ شيء، وقبل أن يكون لامتناهي وأبدي، هو أب.

منه نستمدّ كلّ أبوّة وكلّ أمومة (را. أف 3، 15). وبه كلّ صلاح ومنه حياتنا نفسها. "أبانا" هي إذا "صيغة الحياة"، تلك التي تكشف عن هويّتنا: إننا أبناء محبوبون. إنها الصيغة التي تحلّ نظرية الوحدة ومشكلة اليتم. إنها المعادلة التي تشير إلى ما يجب صنعه: أن نحبّ الله، أبينا، والآخرين، إخوتنا. إنها صلاة الـ "نحن"، صلاة الكنيسة: صلاة من دون "أنا" ومن دون "لي"، إنما كلّها موجّهة إلى "أنت" الله ("اسمك"، "ملكوتك"، "مشيئتك") ويتمّ تصريفها فقط في أوّل ضمير منفصل من صيغة الجمع (نحن). "أبانا"، كلمة تعطينا اتّجاهات الحياة الروحيّة.

وهكذا، كلّ مرّة نرسم فيها إشارة الصليب في بداية النهار وقبل أيّ نشاط مهمّ، وكلّ مرّة نقول فيها "أبانا"، نسترجع الجذور التي تكوّننا. إننا بحاجة إليها في مجتمعاتنا التي غالبًا ما فقدت جذورها. الـ "أبانا" يقوّي جذورنا. عندما يكون الآب حاضرًا، ما من أحد يُستبعد؛ ولا يتغلّب الخوف وعدم اليقين. بل تعود ذاكرة الصلاح، لأننا لسنا، في قلب الآب، أشياء افتراضية، إنما أبناء محبوبين. وهو لا يجمعنا في فرق مشاركة، بل يولّدنا معًا من جديد كأسرة.

لا نتعبنّ بالتالي من القول "أبانا": فسوف يذكّرنا أنّه لا يوجد ابن من دون أب، وأن لا أحد منّا هو وحيد في هذا العالم. بل سيذكّرنا حتى أنّه ما من أب دون أبناء: لا أحد منّا هو ابن وحيد، على كلّ منّا أن يعتني بالإخوة في الأسرة البشريّة الواحدة. فحين نقول "أبانا" نحن نؤكّد أن كلّ كائن بشريّ ينتمي إلينا، وإزاء العديد من الأمور الشرّيرة التي تسيء إلى وجه الآب، إنّنا مدعوّون، نحن أبنائه، إلى التفاعل كإخوة، كحرّاس صالحين لأسرتنا، وإلى العمل كيما لا يكون هناك لامبالاة تجاه الأخ، أيّ أخ: الطفل الذي لم يولد بعد، كما والمسنّ الذي توقّف عن الكلام، والأشخاص المعروفين الذين لا يمكن أن نغفر لهم، والفقير المهمّش. هذا ما يطلبه الآب منّا، يوصينا به: أن نحبّ بعضنا بعضًا بقلب أخوة، إخوة فيما بينهم.

الخبز. يقول يسوع أنه علينا أن نطلب من الآب الخبز اليومي. لا ينفع طلب المزيد: الخبز فقط، أي ما هو أساسيّ للعيش. فالخبز هو الغذاء الكافي لليوم، للعافية، لعمل اليوم؛ هذا الغذاء الذي، وللأسف، ينقص لدى الكثيرين من إخوتنا وأخواتنا. لذا أقول: الويل لمن يتاجر بالخبز! فالغذاء الأساسيّ لحياة الشعوب اليوميّة يجب أن يكون بمتناول الجميع.

أن نطلب الخبز اليومي يعني أن نقول أيضًا: "أبي، ساعدني على عيش حياة أبسط". فالحياة أصبحت أكثر تعقّدا. أريد أن أقول إنها، بالنسبة للكثيرين، وكأنها "مخدّرة": فالمرء يعدو من الصباح إلى المساء، بين اتصالات ورسائل، غير قادر على الوقوف أمام الوجوه، غارق في تعقيد يجعله هشّا، وفي سرعة تثير القلق. إن خيار حياة رصينة وحرّة من الأحمال الزائدة، يفرض ذاته. خيار ضدّ اتّجاه التيار، كما صنع القدّيس لويس دي غونزاغا في زمانه، والذي نذكره اليوم. خيار التخلّي عن الكثير من الأمور التي تملأ الحياة ولكنها تفرغ القلب. أيها الإخوة والأخوات، لنختر البساطة، بساطة الخبز كي نعود فنجد شجاعة الصمت والصلاة، خميرة حياة إنسانيّة حقّا. لنختر الأشخاص بحسب الأمور كيما تولد علاقات شخصيّة لا فرضيّة. ولنعد فنحبّ العطر الحقيقي لما يحيط بنا. عندما كنت صغيرًا، في البيت، إذا وقع الخبز عن الطاولة، كانوا يعلّموننا أن نلتقطه فورًا ونقبّله. وأن نقدّر الأمور البسيطة التي هي لدينا كلّ يوم: لا أن نستعملها ونرميها، بل أن نقدّرها ونحافظ عليها.

ثمّ "الخبز اليومي"، لا ننسى أنّه يسوع. من دونه لا نستطيع أن نعمل شيئا (را. يو 15، 5). إنه هو الغذاء الأساسي كي نحيا جيّدًا. ولكنّنا أحيانا، نجعل من يسوع مجرّد غذاء ثانوي. لكن إن لم يكن يسوع غذاء حياتنا، محور نهارنا، نَفَس يوميّاتنا، فكلّ شيء باطل، كلّ شيء كفاف. ونحن نطلب الخبز، فلنسأل الآب ولنقل لأنفسنا كلّ يوم: بساطة الحياة، اعتناء بكلّ ما يحيط بنا، يسوع في كلّ شيء وقبل كلّ شيء.

المغفرة. من الصعب المغفرة، فنحن نحمل في داخلنا قليلًا من التأسّف، من الحقد، وعندما يستفزّنا شخص كنّا قد غفرنا له، يعود الحقد مع المصالح. ولكن الربّ يطلب منّا المغفرة كهبة. وهذا يجعلنا نفكّر أن التعليق الوحيد الأصيل على صلاة الـ "أبانا"، صلاة يسوع، يتركّز في جملة واحدة: "إِن تَغفِروا لِلنَّاسِ زلاتِهِم يَغْفِرْ لكُم أَبوكُمُ السَّماوِيّ، وإِن لَم تَغفِروا لِلنَّاس لا يَغْفِرْ لكُم أَبوكُم زلاَّتِكُم" (متى 6، 14- 15). إنه التعليق الوحيد الذي يقوم به الربّ! المغفرة هي الشرط الملزم لصلاة الـ "أبانا". الله يحرّر قلبنا من كلّ خطيئة، الله يغفر كلّ شيء، كلّ شيء، ولكنّه يسأل أمرًا واحدًا: ألّا نتعب نحن من المغفرة بدورنا. يريد من كلّ منّا عفوًا عامًّا عن خطايا الآخرين. يجب إجراء تصوير شعاعي جيّد للقلب، كي نرى إن كان هناك موانع أو حواجز تعيق المغفرة، حجارة يجب إزالتها. ونقول للآب: "أترى هذه الصخرة، إني أعهد بها إليك وأتضرّع إليك من أجل هذا الشخص، من أجل هذا الوضع؛ حتى وإن كان يصعب عليّ الغفران، أسألك القوّة لأغفر".

المغفرة تجدّد، المغفرة تصنع العجائب. لقد اختبر بطرس مغفرة يسوع وأصبح راعٍ لقطيعه؛ شاوول أصبح بولس بعد أن نال الغفران من اسطفانوس؛ وكلّ منّا يولد خليقة جديدة، بعد أن ينال المغفرة من الآب، عندما يحبّ الإخوة. حينها فقط نُدخِل في العالم جدّة حقّة، لأنه ما من جدّة أكبر من المغفرة، هذه المغفرة التي تحوّل الشرّ إلى خير. ونراه في التاريخ المسيحي. كم كان خيّرا لنا أن نغفر لبعضنا البعض، وأن نعود فنكتشف أنّنا إخوة بعد عقود من الخلافات والتمزقات، وما زال خيّرًا! الآب يفرح عندما نحبّ بعضنا البعض ونغفر بعضنا لبعض من كلّ القلب (را. متى 18، 35). ويمنحنا عندها روحه القدوس. لنطلب هذه النعمة: ألّا نسير بصعوبة وبقلب قاس، متطلّبين دومًا حيال الآخرين، بل أن نقوم نحن بالخطوة الأولى، في الصلاة، واللقاء الأخويّ، وفي المحبّة الملموسة. فنكون هكذا أكثر تشبّها بالآب، الذي يحبّ دون أن ينتظر شيئًا بالمقابل. وسوف يفيض هو علينا روح الوحدة.

[00995-AR.01] [Testo originale: Italiano]

 

Parole del Santo Padre al termine della Celebrazione Eucaristica

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

 

Testo in lingua italiana

Ringrazio di cuore Mons. Morerod e la Comunità diocesana di Losanna-Ginevra-Friburgo. Grazie per la vostra accoglienza, per la preparazione e per la preghiera, che vi chiedo per favore di continuare. Anch’io pregherò per voi, perché il Signore accompagni il vostro cammino, in particolare quello ecumenico. Estendo il mio grato saluto a tutti i Pastori delle diocesi svizzere e agli altri Vescovi presenti, come pure ai fedeli venuti da varie parti della Svizzera, dalla Francia e da altri Paesi.

Saluto i cittadini di questa bella città, dove esattamente 600 anni or sono soggiornò il Papa Martino V, e che è sede di importanti Istituzioni internazionali, tra cui l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, di cui ricorrerà l’anno prossimo il centenario di fondazione.

Ringrazio vivamente il Governo della Confederazione Svizzera per il gentile invito e la squisita collaborazione. Grazie!

Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Arrivederci!

[01005-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Je remercie de tout cœur Monseigneur Morerod et la Communauté diocésaine de Lausanne-Genève-Fribourg. Merci pour votre accueil, pour la préparation et pour la prière, que je vous demande, s’il vous plaît, de continuer. Moi aussi, je prierai pour vous, afin que le Seigneur accompagne votre cheminement, en particulier votre cheminement œcuménique. J’étends ma salutation reconnaissante à tous les Pasteurs des diocèses suisses et aux autres Évêques présents, ainsi qu’aux fidèles venus de divers endroits de la Suisse, de la France et d’autres pays.

Je salue les citoyens de cette belle ville, où il y a exactement 600 ans a séjourné le Pape Martin V et qui est le siège d’importantes institutions internationales, parmi lesquelles l’Organisation Internationale du Travail, qui célèbrera l’année prochaine le centenaire de sa fondation.

Je remercie vivement le Gouvernement de la Confédération Suisse pour l’aimable invitation et pour la précieuse collaboration. Merci!

S’il vous plaît, n’oubliez pas de prier pour moi. Au revoir!

[01005-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

I wholeheartedly thank Bishop Morerod and the diocesan community of Lausanne-Geneva-Fribourg. I thank you for your welcome, your preparations and your prayers, which I ask you please to continue. I will also pray for you, that the Lord will accompany you at every step, particularly on the journey of ecumenism. I also greet with gratitude the Swiss bishops and all the other bishops present, as well as the faithful coming from various parts of Switzerland and France, and from other countries.

I likewise greet the citizens of this lovely city, where exactly six hundred years ago Pope Martin V stayed, and which serves as headquarters for important international institutions, including the International Labour Organization, now celebrating the hundredth anniversary of its establishment.

I am deeply grateful to the Government of the Swiss Federation for its kind invitation and unfailing help and cooperation. Thank you!

Please, do not forget to pray for me. Until we meet again!

[01005-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Von Herzen danke ich Bischof Morerod und der ganzen Diözese Lausanne-Genf-Freiburg. Danke für eure Gastfreundschaft, für die Vorbereitung und das Gebet, um das ich euch weiterhin bitte. Auch ich werde für euch beten, dass der Herr euch auf eurem Weg begleite, besonders auf dem ökumenischen. Des Weiteren grüße ich dankbar alle Hirten der Schweizer Diözesen und die anderen anwesenden Bischöfe sowie die Gläubigen aus den verschiedenen Teilen der Schweiz, aus Frankreich und anderen Ländern.

Ich grüße die Bürger dieser schönen Stadt, in der Papst Martin V. vor genau 600 Jahren zu Besuch war und in der wichtige internationale Institutionen ihren Sitz haben, darunter auch die Internationale Arbeitsorganisation, die nächstes Jahr ihr 100-jähriges Gründungsjubiläum begeht.

Mein herzlicher Dank gilt der Regierung der Schweizer Eidgenossenschaft für die freundliche Einladung und die ausgezeichnete Zusammenarbeit. Danke.

Bitte vergesst nicht, für mich zu beten. Auf Wiedersehen.

[01005-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Quiero dar las gracias de corazón a Mons. Morerod y a la comunidad diocesana de Lausana-Ginebra-Friburgo. Gracias por vuestra acogida, por la preparación y por la oración, que os pido, por favor, la sigáis haciendo. Yo rezaré también por vosotros, para que el Señor os acompañe en vuestro camino, en particular el ecuménico. Extiendo mi saludo con gratitud a todos los Pastores de las diócesis suizas y a los demás Obispos presentes, así como a los fieles venidos de diferentes partes de Suiza, Francia y de otros países.

Saludo a los habitantes de esta hermosa ciudad, donde hace 600 años residió el Papa Martín V, y que es sede de importantes instituciones internacionales, como la Organización Internacional del Trabajo, que el próximo año conmemorará el centenario de su fundación.

Agradezco sinceramente al Gobierno de la Confederación Suiza por la amable invitación y la exquisita colaboración. Gracias.

Por favor, no os olvidéis de rezar por mí. Hasta la próxima vez.

[01005-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Agradeço cordialmente a D. Morerod e à comunidade diocesana de Lausanne-Genebra-Friburgo. Obrigado pela vossa receção, preparação e oração! Oração, que peço, por favor, para continuardes. Também eu rezarei por vós, para que o Senhor vele sobre o vosso caminho, especialmente o ecuménico. A minha saudação agradecida estende-se a todos os Pastores das dioceses suíças e aos outros Bispos presentes, bem como aos fiéis vindos de várias partes da Suíça, da França e doutros países.

Saúdo os habitantes desta bela cidade, onde exatamente há seiscentos anos se hospedou o Papa Martinho V e que é sede de importantes instituições internacionais, nomeadamente a Organização Internacional do Trabalho, cujo centenário de fundação terá lugar no próximo ano.

Agradeço vivamente ao Governo da Confederação Suíça pelo amável convite e a excelente colaboração. Obrigado!

Por favor, não vos esqueçais de rezar por mim. Adeus até à próxima!

[01005-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Serdecznie dziękuję księdzu biskupowi Morerod i wspólnocie diecezjalnej Lozanny-Genewy-Fryburga. Dziękuję za waszą gościnność, za przygotowanie i za modlitwę. Proszę was bardzo, abyście ją nadal kontynuowali. Będę się także modlił za was, aby Pan towarzyszył waszej drodze, zwłaszcza ekumenicznej. Moim pełnym wdzięczności pozdrowieniem obejmuję wszystkich pasterzy diecezji szwajcarskich oraz innych obecnych tu biskupów, a także wiernych, którzy przybyli z różnych stron Szwajcarii, z Francji i z innych krajów.

Pozdrawiam mieszkańców tego pięknego miasta, gdzie dokładnie 600 lat temu przebywał papież Marcin V, a które jest siedzibą ważnych instytucji międzynarodowych, w tym Międzynarodowej Organizacji Pracy, której setna rocznica założenia przypadnie w przyszłym roku.

Serdecznie dziękuję Rządowi Konfederacji Szwajcarskiej za miłe zaproszenie i znakomitą współpracę. Dziękuję!

Proszę, nie zapominajcie modlić się za mnie. Do widzenia!

[01005-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in língua araba

أعبّر عن شكري القلبيّ لمونسنيور مريرود ولأبرشيّة لوزانا-جينيفرا-فريبورغو. شكرًا على ضيافتكم، وعلى التحضيرات وعلى الصلاة، التي أسألكم من فضلكم أن تستمرّوا بها. أنا أيضًا سوف أصلّي من أجلكم، كيما يرافق الربّ مسيرتكم، ولا سيّما المسيرة المسكونيّة. أقدّم تحيّاتي الممتنّة لجميع أساقفة أبرشيّات سويسرا ولباقي الأساقفة الحاضرين، كما وإلى المؤمنين الذين أتوا من مختلف مناطق سويسرا، ومن فرنسا ومن بلدان أخرى.

أحيّي سكان هذه البلدة الجميلة، حيث أقام منذ ستّمائة عام بالتحديد البابا مارتين الخامس، والتي هي مركز لمؤسّسات عالميّة مهمّة، ومن بينها المنظمة العالميّة للعمل، والتي يصادف العام المقبل مرور مائة عام على تأسيسها.

أشكر شكرّا جزيلًا حكومة الاتّحاد السويسري على دعوتها اللطيفة وعلى التعاون الممتاز. شكرًا!

من فضلكم، لا تنسوا أن تصلّوا من أجلي. إلى اللقاء!

[01005-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0467-XX.02]