Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa nella Festa della Presentazione del Signore e XXII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 02.02.2018


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 17.30 di oggi, Festa della Presentazione del Signore e XXII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Santa Messa con i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica.

Hanno concelebrato con il Santo Padre Cardinali, Vescovi e sacerdoti appartenenti a Ordini, Congregazioni e Istituti religiosi.

Nel corso del rito, che si è aperto con la benedizione delle candele e la processione ed è proseguito con la celebrazione eucaristica, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

Quaranta giorni dopo Natale celebriamo il Signore che, entrando nel tempio, va incontro al suo popolo. Nell’Oriente cristiano questa festa è detta proprio “Festa dell’incontro”: è l’incontro tra il Dio bambino, che porta novità, e l’umanità in attesa, rappresentata dagli anziani nel tempio.

Nel tempio avviene anche un altro incontro, quello tra due coppie: da una parte i giovani Maria e Giuseppe, dall’altra gli anziani Simeone e Anna. Gli anziani ricevono dai giovani, i giovani attingono dagli anziani. Maria e Giuseppe trovano infatti nel tempio le radici del popolo, ed è importante, perché la promessa di Dio non si realizza individualmente e in un colpo solo, ma insieme e lungo la storia. E trovano pure le radici della fede, perché la fede non è una nozione da imparare su un libro, ma l’arte di vivere con Dio, che si apprende dall’esperienza di chi ci ha preceduto nel cammino. Così i due giovani, incontrando gli anziani, trovano sé stessi. E i due anziani, verso la fine dei loro giorni, ricevono Gesù, senso della loro vita. Questo episodio compie così la profezia di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1). In quell’incontro i giovani vedono la loro missione e gli anziani realizzano i loro sogni. Tutto questo perché al centro dell’incontro c’è Gesù.

Guardiamo a noi, cari fratelli e sorelle consacrati. Tutto è cominciato dall’incontro col Signore. Da un incontro e da una chiamata è nato il cammino di consacrazione. Bisogna farne memoria. E se faremo bene memoria vedremo che in quell’incontro non eravamo soli con Gesù: c’era anche il popolo di Dio, la Chiesa, giovani e anziani, come nel Vangelo. Lì c’è un particolare interessante: mentre i giovani Maria e Giuseppe osservano fedelmente le prescrizioni della Legge – il Vangelo lo dice quattro volte – e non parlano mai, gli anziani Simeone e Anna accorrono e profetizzano. Sembrerebbe dover essere il contrario: in genere sono i giovani a parlare con slancio del futuro, mentre gli anziani custodiscono il passato. Nel Vangelo accade l’inverso, perché quando ci si incontra nel Signore arrivano puntuali le sorprese di Dio. Per lasciare che accadano nella vita consacrata è bene ricordare che non si può rinnovare l’incontro col Signore senza l’altro: mai lasciare indietro, mai fare scarti generazionali, ma accompagnarsi ogni giorno, col Signore al centro. Perché se i giovani sono chiamati ad aprire nuove porte, gli anziani hanno le chiavi. E la giovinezza di un istituto sta nell’andare alle radici, ascoltando gli anziani. Non c’è avvenire senza questo incontro tra anziani e giovani; non c’è crescita senza radici e non c’è fioritura senza germogli nuovi. Mai profezia senza memoria, mai memoria senza profezia; e sempre incontrarsi.

La vita frenetica di oggi induce a chiudere tante porte all’incontro, spesso per paura dell’altro – sempre aperte rimangono le porte dei centri commerciali e le connessioni di rete –; ma nella vita consacrata non sia così: il fratello e la sorella che Dio mi dà sono parte della mia storia, sono doni da custodire. Non accada di guardare lo schermo del cellulare più degli occhi del fratello, o di fissarci sui nostri programmi più che nel Signore. Perché quando si mettono al centro i progetti, le tecniche e le strutture, la vita consacrata smette di attrarre e non comunica più; non fiorisce perché dimentica “quello che ha di sotterrato”, cioè le radici.

La vita consacrata nasce e rinasce dall’incontro con Gesù così com’è: povero, casto e obbediente. C’è un doppio binario su cui viaggia: da una parte l’iniziativa d’amore di Dio, da cui tutto parte e a cui dobbiamo sempre tornare; dall’altra la nostra risposta, che è di vero amore quando è senza se e senza ma, quando imita Gesù povero, casto e obbediente. Così, mentre la vita del mondo cerca di accaparrare, la vita consacrata lascia le ricchezze che passano per abbracciare Colui che resta. La vita del mondo insegue i piaceri e le voglie dell’io, la vita consacrata libera l’affetto da ogni possesso per amare pienamente Dio e gli altri. La vita del mondo s’impunta per fare ciò che vuole, la vita consacrata sceglie l’obbedienza umile come libertà più grande. E mentre la vita del mondo lascia presto vuote le mani e il cuore, la vita secondo Gesù riempie di pace fino alla fine, come nel Vangelo, dove gli anziani arrivano felici al tramonto della vita, con il Signore tra le mani e la gioia nel cuore.

Quanto ci fa bene, come Simeone, tenere il Signore «tra le braccia» (Lc 2,28)! Non solo nella testa e nel cuore, ma tra le mani, in ogni cosa che facciamo: nella preghiera, al lavoro, a tavola, al telefono, a scuola, coi poveri, ovunque. Avere il Signore tra le mani è l’antidoto al misticismo isolato e all’attivismo sfrenato, perché l’incontro reale con Gesù raddrizza sia i sentimentalisti devoti che i faccendieri frenetici. Vivere l’incontro con Gesù è anche il rimedio alla paralisi della normalità, è aprirsi al quotidiano scompiglio della grazia. Lasciarsi incontrare da Gesù, far incontrare Gesù: è il segreto per mantenere viva la fiamma della vita spirituale. È il modo per non farsi risucchiare in una vita asfittica, dove le lamentele, l’amarezza e le inevitabili delusioni hanno la meglio. Incontrarsi in Gesù come fratelli e sorelle, giovani e anziani, per superare la sterile retorica dei “bei tempi passati” – quella nostalgia che uccide l’anima –, per mettere a tacere il “qui non va più bene niente”. Se si incontrano ogni giorno Gesù e i fratelli, il cuore non si polarizza verso il passato o verso il futuro, ma vive l’oggi di Dio in pace con tutti.

Alla fine dei Vangeli c’è un altro incontro con Gesù che può ispirare la vita consacrata: quello delle donne al sepolcro. Erano andate a incontrare un morto, il loro cammino sembrava inutile. Anche voi andate nel mondo controcorrente: la vita del mondo facilmente rigetta la povertà, la castità e l’obbedienza. Ma, come quelle donne, andate avanti, nonostante le preoccupazioni per le pesanti pietre da rimuovere (cfr Mc 16,3). E come quelle donne, per primi incontrate il Signore risorto e vivo, lo stringete a voi (cfr Mt 28,9) e lo annunciate subito ai fratelli, con gli occhi che brillano di gioia grande (cfr v. 8). Siete così l’alba perenne della Chiesa: voi, consacrati e consacrate, siete l’alba perenne della Chiesa! Vi auguro di ravvivare oggi stesso l’incontro con Gesù, camminando insieme verso di Lui: e questo darà luce ai vostri occhi e vigore ai vostri passi.

[00191-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Quarante jours après Noël, nous célébrons le Seigneur qui, en entrant dans le temple, va à la rencontre de son peuple. Dans l’Orient chrétien, cette fête est précisément désignée comme la ‘‘Fête de la rencontre’’: c’est la rencontre entre le Divin Enfant, qui apporte la nouveauté, et l’humanité en attente, représentée par les anciens du temple.

Dans le temple se produit également une autre rencontre, celle entre deux couples: d’une part les jeunes gens Marie et Joseph, d’autre part les anciens Siméon et Anne. Les anciens reçoivent des jeunes gens, les jeunes gens se ressourcent auprès des anciens. Marie et Joseph retrouvent en effet dans le temple les racines du peuple, et c’est important, car la promesse de Dieu ne se réalise pas individuellement et d’un seul coup, mais ensemble et tout au long de l’histoire. Et ils trouvent aussi les racines de la foi, car la foi n’est pas une notion à apprendre dans un livre, mais l’art de vivre avec Dieu, qui s’apprend par l’expérience de ceux qui nous ont précédés sur le chemin. Ainsi, les deux jeunes, en rencontrant les anciens, se retrouvent eux-mêmes. Et les deux anciens, vers la fin de leurs jours, reçoivent Jésus, le sens de leur vie. Cet épisode accomplit ainsi la prophétie de Joël: «Vos anciens seront instruits par des songes, et vos jeunes gens par des visions» (3, 1). Dans cette rencontre, les jeunes voient leur mission et les anciens réalisent leurs rêves. Tout cela parce qu’au centre de la rencontre se trouve Jésus.

Regardons-nous, chers frères et sœurs consacrés. Tout a commencé par la rencontre avec le Seigneur. D’une rencontre et d’un appel, est né le chemin de consécration. Il faut en faire mémoire. Et si nous faisons bien mémoire, nous verrons que dans cette rencontre nous n’étions pas seuls avec Jésus: il y avait également le peuple de Dieu, l’Église, les jeunes et les anciens, comme dans l’Évangile. Il y a là un détail intéressant: tandis que les jeunes gens Marie et Joseph observent fidèlement les prescriptions de la Loi – l’Évangile le dit quatre fois – ils ne parlent jamais; les anciens Siméon et Anne arrivent et prophétisent. Ce devrait être le contraire : en général, ce sont les jeunes qui parlent avec enthousiasme de l’avenir, tandis que les anciens gardent le passé. Dans l’Evangile c’est l’inverse qui se passe, car quand on rencontre le Seigneur, les surprises de Dieu arrivent à point nommé. Pour leur permettre d’avoir lieu dans la vie consacrée, il convient de se rappeler qu’on ne peut pas renouveler la rencontre avec le Seigneur sans l’autre: ne jamais laisser quelqu’un derrière, ne jamais faire de mise à l’écart générationnelle, mais s’accompagner chaque jour, mettant le Seigneur au centre. Car si les jeunes sont appelés à ouvrir de nouvelles portes, les anciens ont les clefs. Et la jeunesse d’un institut se trouve dans le ressourcement aux racines, en écoutant les anciens. Il n’y a pas d’avenir sans cette rencontre entre les anciens et les jeunes; il n’y a pas de croissance sans racines et il n’y a pas de floraison sans de nouveaux bourgeons. Jamais de prophétie sans mémoire, jamais de mémoire sans prophétie; et il faut toujours se rencontrer.

La vie frénétique d’aujourd’hui conduit à fermer de nombreuses portes à la rencontre, souvent par peur de l’autre. - Les portes des centres commerciaux et les connexions de réseau demeurent toujours ouvertes -. Mais que dans la vie consacrée ceci ne se produise pas: le frère et la sœur que Dieu me donne font partie de mon histoire, ils sont des dons à protéger. Qu’il n’arrive pas de regarder l’écran du téléphone portable plus que les yeux du frère ou de s’attacher à nos programmes plus qu’au Seigneur. Car quand on place au centre les projets, les techniques et les structures, la vie consacrée cesse d’attirer et ne communique plus; elle ne fleurit pas, parce qu’elle oublie ‘‘ce qu’elle a sous terre’’, c’est-à-dire les racines.

La vie consacrée naît et renaît de la rencontre avec Jésus tel qu’il est: pauvre, chaste et obéissant. Il y a une double voie qu’elle emprunte: d’une part l’initiative d’amour de Dieu, d’où tout part et à laquelle nous devons toujours retourner; d’autre part, notre réponse, qui est la réponse d’un amour authentique quand il est sans si et sans mais, quand il imite Jésus pauvre, chaste et obéissant. Ainsi, tandis que la vie du monde cherche à accaparer, la vie consacrée renonce aux richesses qui passent pour embrasser Celui qui reste. La vie du monde poursuit les plaisirs et les aspirations personnelles, la vie consacrée libère l’affection de toute possession pour aimer pleinement Dieu et les autres. La vie du monde s’obstine à faire ce qu’elle veut, la vie consacrée choisit l’obéissance humble comme une liberté plus grande. Et tandis que la vie du monde laisse rapidement vides les mains et le cœur, la vie selon Jésus remplit de paix jusqu’à la fin, comme dans l’Évangile, où les anciens arrivent heureux au soir de leur vie, avec le Seigneur entre les mains et la joie dans le cœur.

Que de bien cela nous fait, comme à Siméon, de tenir le Seigneur «dans les bras» (Lc 2, 28)! Non pas seulement dans la tête et dans le cœur, mais dans les mains, en tout ce que nous faisons: dans la prière, au travail, à table, au téléphone, à l’école, auprès des pauvres, partout. Avoir le Seigneur dans les mains, c’est l’antidote contre le mysticisme isolé et l’activisme effréné, car la rencontre réelle avec Jésus redresse aussi bien les sentimentalistes dévots que les affairistes frénétiques. Vivre la rencontre avec Jésus, c’est aussi le remède à la paralysie de la normalité, c’est s’ouvrir au remue-ménage quotidien de la grâce. Se laisser rencontrer par Jésus, faire rencontrer Jésus: c’est le secret pour maintenir vivante la flamme de la vie spirituelle. C’est la manière de ne pas se faire absorber par une vie morne, où les plaintes, l’amertume et les inévitables déceptions prennent le dessus. Se rencontrer en Jésus comme frères et sœurs, comme jeunes et anciens, pour surmonter la rhétorique stérile des ‘‘beaux temps passés’’ – cette nostalgie qui tue l’âme -, pour faire taire le ‘‘ici plus rien ne va’’. Si on rencontre chaque jour Jésus et les frères, le cœur ne se polarise pas vers le passé ou vers l’avenir, mais il vit l’aujourd’hui de Dieu en paix avec tous.

À la fin des Évangiles, il y a une autre rencontre avec Jésus qui peut inspirer la vie consacrée: celle des femmes au tombeau. Elles étaient allées rencontrer un mort, leur chemin semblait inutile. Vous aussi, vous allez à contre-courant dans le monde: la vie du monde rejette facilement la pauvreté, la chasteté et l’obéissance. Mais, comme ces femmes, vous allez de l’avant, malgré les préoccupations concernant les lourdes pierres à enlever (cf. Mc 16, 3). Et comme ces femmes, les premiers, vous rencontrez le Seigneur ressuscité et vivant, vous l’étreignez (cf. Mt 28, 9) et vous l’annoncez immédiatement aux frères, les yeux pétillants d’une grande joie (cf. v. 8). Vous êtes aussi l’aube sans fin de l’Église: vous, personnes consacrées, vous êtes l’aube sans fin de l’Eglise! Je vous souhaite de raviver aujourd’hui même la rencontre avec Jésus, en marchant ensemble vers lui: et cela donnera de la lumière à vos yeux et de la vigueur à vos pas.

[00191-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Forty days after Christmas, we celebrate the Lord who enters the Temple and comes to encounter his people. In the Christian East, this feast is called the “Feast of Encounter”: it is the encounter between God, who became a child to bring newness to our world, and an expectant humanity, represented by the elderly man and woman in the Temple.

In the Temple, there is also an encounter between two couples: the young Mary and Joseph, and the elderly Simeon and Anna. The old receive from the young, while the young draw upon the old. In the Temple, Mary and Joseph find the roots of their people. This is important, because God’s promise does not come to fulfilment merely in individuals, once for all, but within a community and throughout history. There too, Mary and Joseph find the roots of their faith, for faith is not something learned from a book, but the art of living with God, learned from the experience of those who have gone before us. The two young people, in meeting the two older people, thus find themselves. And the two older people, nearing the end of their days, receive Jesus, the meaning of their lives. This event fulfils the prophecy of Joel: “Your old men shall dream dreams, and your young men shall see visions” (2:28). In this encounter, the young see their mission and the elderly realize their dreams. All because, at the centre of the encounter, is Jesus.

Let us look to our own lives, dear consecrated brothers and sisters. Everything started in an encounter with the Lord. Our journey of consecration was born of an encounter and a call. We need to keep this in mind. And if we remember aright, we will realize that in that encounter we were not alone with Jesus; there was also the people of God, the Church, young and old, just as in today’s Gospel. It is striking too, that while the young Mary and Joseph faithfully observe the Law – the Gospel tells us this four times – and never speak, the elderly Simeon and Anna come running up and prophesy. It seems it should be the other way around. Generally, it is the young who speak enthusiastically about the future, while the elderly protect the past. In the Gospel, the very opposite occurs, because when we meet one another in the Lord, God’s surprises immediately follow.

For this to occur in the consecrated life, we have to remember that we can never renew our encounter with the Lord without others; we can never leave others behind, never pass over generations, but must accompany one another daily, keeping the Lord always at the centre. For if the young are called to open new doors, the elderly hold the keys. An institute remains youthful by going back to its roots, by listening to its older members. There is no future without this encounter between the old and the young. There is no growth without roots and no flowering without new buds. There is never prophecy without memory, or memory without prophecy. And constant encounter.

Today’s frantic pace leads us to close many doors to encounter, often for fear of others. Only shopping malls and internet connections are always open. Yet that is not how it should be with consecrated life: the brother and the sister given to me by God are a part of my history, gifts to be cherished. May we never look at the screen of our cellphone more than the eyes of our brothers or sisters, or focus more on our software than on the Lord. For whenever we put our own projects, methods and organization at the centre, consecrated life stops being attractive; it no longer speaks to others; it no longer flourishes because it forgets its very foundations, its very roots.

Consecrated life is born and reborn of an encounter with Jesus as he is: poor, chaste and obedient. We journey along a double track: on the one hand, God’s loving initiative, from which everything starts and to which we must always return; on the other, our own response, which is truly loving when it has no “ifs” or “buts”, when it imitates Jesus in his poverty, chastity and obedience. Whereas the life of this world attempts to take hold of us, the consecrated life turns from fleeting riches to embrace the One who endures forever. The life of this world pursues selfish pleasures and desires; the consecrated life frees our affections of every possession in order fully to love God and other people. Worldly life aims to do whatever we want; consecrated life chooses humble obedience as the greater freedom. And while worldly life soon leaves our hands and hearts empty, life in Jesus fills us with peace to the very end, as in the Gospel, where Simeon and Anna come happily to the sunset of their lives with the Lord in their arms and joy in their hearts.

How good it is for us to hold the Lord “in our arms” (Lk 2:28), like Simeon. Not only in our heads and in our hearts, but also “in our hands”, in all that we do: in prayer, at work, at the table, on the telephone, at school, with the poor, everywhere. Having the Lord “in our hands” is an antidote to insular mysticism and frenetic activism, since a genuine encounter with Jesus corrects both saccharine piety and frazzled hyperactivity. Savouring the encounter with Jesus is also the remedy for the paralysis of routine, for it opens us up to the daily “havoc” of grace. The secret to fanning the flame of our spiritual life is a willingness to allow ourselves to encounter Jesus and to be encountered by him; otherwise we fall into a stifling life, where disgruntlement, bitterness and inevitable disappointments get the better of us. To encounter one another in Jesus as brothers and sisters, young and old, and thus to abandon the barren rhetoric of “the good old days” – a nostalgia that kills the soul – and to silence those who think that “everything is falling apart”. If we encounter Jesus and our brothers and sisters in the everyday events of our life, our hearts will no longer be set on the past or the future, but will experience the “today of God” in peace with everyone.

At the end of the Gospels, there is another encounter with Jesus that can inspire the consecrated life. It is that of the women before the tomb. They had gone to encounter the dead; their journey seemed pointless. You too are journeying against the current: the life of the world easily rejects poverty, chastity and obedience. But like those women, keep moving forward, without worrying about whatever heavy stones need to be removed (cf. Mk 16:3). And like those women, be the first to meet the Lord, risen and alive. Cling to him (cf. Mt 28:9) and go off immediately to tell your brothers and sisters, your eyes brimming with joy (cf. v. 8). In this way, you are the Church’s perennial dawn. You, dear consecrated brothers and sisters, are the Church’s perennial dawn! I ask you to renew this very day your encounter with Jesus, to walk together towards him. And this will give light to your eyes and strength to your steps.

[00191-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Vierzig Tage nach Weihnachten feiern wir den Herrn, der durch sein Eintreten in den Tempel seinem Volk entgegengeht. Im christlichen Osten wird dieses Fest gerade deshalb „Fest der Begegnung“ genannt: Es ist die Begegnung zwischen dem göttlichen Kind, das Neuheit bringt, und der Menschheit in Erwartung, die von den Alten im Tempel dargestellt wird.

Im Tempel geschieht auch eine andere Begegnung, nämlich zwischen zwei Paaren: einerseits die jungen Maria und Josef und andererseits die alten Simeon und Anna. Die Alten empfangen von den Jungen, die Jungen schöpfen von den Alten. Denn Maria und Josef finden im Tempel die Wurzeln des Volkes, und dies ist wichtig, weil die Verheißung Gottes sich nicht individuell und auf einen Schlag verwirklicht, sondern gemeinsam und im Lauf der Geschichte. Und sie finden auch die Wurzeln des Glaubens, weil der Glaube nicht ein Begriff ist, den man aus einem Buch lernt, sondern die Kunst, mit Gott zu leben. Man erlernt sie man aus der Erfahrung dessen, der uns auf dem Weg vorausgegangen ist. So finden die zwei jungen Menschen in ihrer Begegnung mit den Alten sich selbst. Und die zwei Alten empfangen gegen Ende ihrer Tage Jesus, den Sinn ihres Lebens. Diese Begebenheit erfüllt so die Prophezeiung des Joël: »Eure Alten werden Träume haben und eure jungen Männer haben Visionen« (3,1). In dieser Begegnung sehen die jungen Menschen ihre Sendung und die Alten verwirklichen ihre Träume. All dies, weil im Mittelpunkt der Begegnung Jesus steht.

Schauen wir auf uns, liebe gottgeweihte Brüder und Schwestern. Alles hat mit der Begegnung mit dem Herrn begonnen. Aus einer Begegnung und aus einem Ruf ist der Weg des gottgeweihten Lebens entstanden. Man muss sich daran erinnern. Und wenn wir deren gut gedenken, werden wir sehen, dass wir in dieser Begegnung nicht allein mit Jesus waren: Es war auch das Volk Gottes, die Kirche, da, die Jungen und Alten, wie im Evangelium. Dort gibt es ein interessantes Detail: Während die jungen Maria und Josef die Vorschriften des Gesetzes treu befolgen – das Evangelium sagt es uns viermal – und nie sprechen, kommen Simeon und Anna herbei und machen Weissagungen. Eigentlich müsste es umgekehrt sein: Normalerweise sind es die Jungen, die mit Elan von der Zukunft sprechen, während die Alten die Vergangenheit bewahren. Im Evangelium geschieht das Umgekehrte, weil, wenn man sich im Herrn begegnet, die Überraschungen Gottes prompt eintreffen. Um zuzulassen, dass sie im gottgeweihten Leben geschehen, ist es gut, sich zu erinnern, dass man die Begegnung mit dem Herrn nicht ohne den anderen erneuern kann: niemand zurücklassen, niemals Generationen ausgrenzen, sondern einander jeden Tag begleiten, mit dem Herrn im Mittelpunkt. Denn wenn die Jungen gerufen sind, neue Türen zu öffnen, so haben die Alten die Schlüssel dazu. Und die Jugendlichkeit einer Ordensgemeinschaft besteht darin, zu den Wurzeln zu gehen, indem man den Alten zuhört. Es gibt keine Zukunft ohne diese Begegnung zwischen Alten und Jungen; es gibt kein Wachstum ohne Wurzeln, und es gibt keine Blüte ohne neue Triebe. Niemals Prophetie ohne Erinnerung, niemals Erinnerung ohne Prophetie; und sich immer begegnen.

Das hektische Leben von heute führt dazu, viele Türen für die Begegnung zu schließen, oftmals aus Angst vor dem anderen. Immer offen bleiben nur die Portale der Einkaufszentren und der Internet-Verbindungen. Im gottgeweihten Leben soll es hingegen nicht so sein: Der Bruder und die Schwester, die Gott mir gibt, sind Teil meiner Geschichte, sie sind Gaben, die bewahrt werden müssen. Es möge nicht geschehen, dass man mehr auf den Bildschirm des Handys schaut als auf die Augen des Bruders oder dass wir uns mehr auf unsere Pläne fixieren als auf den Herrn. Denn wenn man die Projekte in den Mittelpunkt stellt, die Techniken und die Strukturen, hört das gottgeweihte Leben auf anzuziehen und vermittelt nichts mehr; es blüht nicht, weil es das vergisst, was es „unter der Erde hat“, also die Wurzeln.

Das gottgeweihte Leben entspringt und erneuert sich aus der Begegnung mit Jesus so, wie er ist: arm, keusch und gehorsam. Es fährt zweigleisig: einerseits die Liebesinitiative Gottes, von der alles ausgeht und zu der wir immer zurückkehren müssen; andererseits unsere Antwort, die immer eine Antwort wahrer Liebe sein wird, wenn sie ohne Wenn und Aber ist, wenn sie den armen, keuschen und gehorsamen Jesus nachahmt. Während so das Leben der Welt versucht anzuhäufen, lässt das gottgeweihte Leben von den Reichtümern, die vorübergehen, um denjenigen zu umarmen, der bleibt. Das Leben der Welt folgt den Freuden und den Lüsten des Ich, das gottgeweihte Leben befreit von der Anhänglichkeit an jeden Besitz, um Gott und die anderen voll und ganz zu lieben. Das Leben der Welt beharrt darauf, das zu tun, was es will, das gottgeweihte Leben wählt den demütigen Gehorsam als größere Freiheit. Und während das Leben der Welt die Hände und das Herz bald leer zurücklässt, erfüllt das Leben nach dem Vorbild Jesu mit Frieden bis zum Ende, wie im Evangelium, wo die Alten froh bis zum Lebensabend gelangen, mit dem Herrn in den Händen und der Freude im Herzen.

Wie gut tut es uns, wie Simeon den Herrn »in die Arme zu nehmen« (Lk 2,28)! Nicht nur im Kopf und im Herzen, sondern in den Händen, in jeder Sache, die wir tun: im Gebet, bei der Arbeit, am Tisch, am Telefon, in der Schule, mit den Armen, überall. Den Herrn in den Händen zu halten ist das Gegengift gegen den isolierten Mystizismus und den zügellosen Aktivismus, weil die wirkliche Begegnung mit Jesus sowohl die zur Sentimentalität neigenden Frommen wie auch die ruhelosen Aktivisten zurechtrückt. Die Begegnung mit Jesus leben ist auch das Heilmittel für die Lähmung durch die Normalität; sie bedeutet, sich dem täglichen Durchschütteln der Gnade zu öffnen. Die Begegnung mit Jesus zulassen, Jesus begegnen lassen: Das ist das Geheimnis, um die Flamme des geistlichen Lebens lebendig zu erhalten. Es ist die Weise, um sich nicht von einem erstickenden Leben aufsaugen zu lassen, wo die Klagen, die Bitterkeit und die unvermeidbaren Enttäuschungen die Oberhand gewinnen. Sich in Jesus als Brüder und Schwestern, als Junge und Alte, zu begegnen, um die unfruchtbare Rhetorik von den „guten alten Zeiten“ zu überwinden – jene Nostalgie, welche die Seele tötet – und um das „hier ist nichts mehr in Ordnung“ zum Schweigen zu bringen. Wenn man jeden Tag Jesus und den Brüdern begegnet, richtet sich das Herz nicht auf die Vergangenheit oder die Zukunft aus, sondern es lebt das Heute Gottes im Frieden mit allen.

Am Ende der Evangelien gibt es eine andere Begegnung mit Jesus, die das gottgeweihte Leben anregen kann: die von den Frauen am Grab. Sie waren gegangen, einem Toten zu begegnen, ihr Weg schien nutzlos. Auch ihr schwimmt in der Welt gegen den Strom: Das Leben der Welt verwirft einfach die Armut, die Keuschheit und den Gehorsam. Aber geht wie jene Frauen voran, trotz der Sorgen um die schweren Steine, die weggewälzt werden müssen (vgl. Mk 16,3). Und wie jene Frauen begegnet ihr als Erste dem auferstandenen und lebendigen Herrn, ihr drückt ihn an euch (vgl. Mt 28,9) und ihr verkündet ihn sofort den Geschwistern, mit vor Freude funkelnden Augen (vgl. V. 8). Ihr seid so die immerwährende Morgenröte der Kirche: Ihr, gottgeweihte Männer und Frauen, ihr seid die immerwährende Morgenröte der Kirche! Ich wünsche euch, heute selbst die Begegnung mit Jesus neu zu beleben, indem ihr gemeinsam ihm entgegengeht; und dies wird eure Augen erstrahlen lassen und euren Schritten Kraft verleihen.

[00191-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Cuarenta días después de Navidad celebramos al Señor que, entrando en el templo, va al encuentro de su pueblo. En el Oriente cristiano, a esta fiesta se la llama precisamente la «Fiesta del encuentro»: es el encuentro entre el Niño Dios, que trae novedad, y la humanidad que espera, representada por los ancianos en el templo.

En el templo sucede también otro encuentro, el de dos parejas: por una parte, los jóvenes María y José, por otra, los ancianos Simeón y Ana. Los ancianos reciben de los jóvenes, y los jóvenes de los ancianos. María y José encuentran en el templo las raíces del pueblo, y esto es importante, porque la promesa de Dios no se realiza individualmente y de una sola vez, sino juntos y a lo largo de la historia. Y encuentran también las raíces de la fe, porque la fe no es una noción que se aprende en un libro, sino el arte de vivir con Dios, que se consigue por la experiencia de quien nos ha precedido en el camino. Así los dos jóvenes, encontrándose con los ancianos, se encuentran a sí mismos. Y los dos ancianos, hacia el final de sus días, reciben a Jesús, que es el sentido a sus vidas. En este episodio se cumple así la profecía de Joel: «Vuestros hijos e hijas profetizarán, vuestros ancianos tendrán sueños y visiones» (3,1). En ese encuentro los jóvenes descubren su misión y los ancianos realizan sus sueños. Y todo esto porque en el centro del encuentro está Jesús.

Mirémonos a nosotros, queridos hermanos y hermanas consagrados. Todo comenzó gracias al encuentro con el Señor. De un encuentro y de una llamada nació el camino de la consagración. Es necesario hacer memoria de ello. Y si recordamos bien veremos que en ese encuentro no estábamos solos con Jesús: estaba también el pueblo de Dios —la Iglesia—, jóvenes y ancianos, como en el Evangelio. Allí hay un detalle interesante: mientras los jóvenes María y José observan fielmente las prescripciones de la Ley —el Evangelio lo dice cuatro veces—, y no hablan nunca, los ancianos Simeón y Ana acuden y profetizan. Parece que debería ser al contrario: en general, los jóvenes son quienes hablan con ímpetu del futuro, mientras los ancianos custodian el pasado. En el Evangelio sucede lo contrario, porque cuando uno se encuentra en el Señor no tardan en llegar las sorpresas de Dios. Para dejar que sucedan en la vida consagrada es bueno recordar que no se puede renovar el encuentro con el Señor sin el otro: nunca dejar atrás, nunca hacer descartes generacionales, sino acompañarse cada día, con el Señor en el centro. Porque si los jóvenes están llamados a abrir nuevas puertas, los ancianos tienen las llaves. Y la juventud de un instituto está en ir a las raíces, escuchando a los ancianos. No hay futuro sin este encuentro entre ancianos y jóvenes; no hay crecimiento sin raíces y no hay florecimiento sin brotes nuevos. Nunca profecía sin memoria, nunca memoria sin profecía; y, siempre encontrarse.

La vida frenética de hoy lleva a cerrar muchas puertas al encuentro, a menudo por el miedo al otro —las puertas de los centros comerciales y las conexiones de red permanecen siempre abiertas—. Que no sea así en la vida consagrada: el hermano y la hermana que Dios me da son parte de mi historia, son dones que hay que custodiar. No vaya a suceder que miremos más la pantalla del teléfono que los ojos del hermano, o que nos fijemos más en nuestros programas que en el Señor. Porque cuando se ponen en el centro los proyectos, las técnicas y las estructuras, la vida consagrada deja de atraer y ya no comunica; no florece porque olvida «lo que tiene sepultado», es decir, las raíces.

La vida consagrada nace y renace del encuentro con Jesús tal como es: pobre, casto y obediente. Se mueve por una doble vía: por un lado, la iniciativa amorosa de Dios, de la que todo comienza y a la que siempre debemos regresar; por otro lado, nuestra respuesta, que es de amor verdadero cuando se da sin peros ni excusas, y cuando imita a Jesús pobre, casto y obediente. Así, mientras la vida del mundo trata de acumular, la vida consagrada deja las riquezas que son pasajeras para abrazar a Aquel que permanece. La vida del mundo persigue los placeres y los deseos del yo, la vida consagrada libera el afecto de toda posesión para amar completamente a Dios y a los demás. La vida del mundo se empecina en hacer lo que quiere, la vida consagrada elige la obediencia humilde como la libertad más grande. Y mientras la vida del mundo deja pronto con las manos y el corazón vacíos, la vida según Jesús colma de paz hasta el final, como en el Evangelio, en el que los ancianos llegan felices al ocaso de la vida, con el Señor en sus manos y la alegría en el corazón.

Cuánto bien nos hace, como Simeón, tener al Señor «en brazos» (Lc 2,28). No sólo en la cabeza y en el corazón, sino en las manos, en todo lo que hacemos: en la oración, en el trabajo, en la comida, al teléfono, en la escuela, con los pobres, en todas partes. Tener al Señor en las manos es el antídoto contra el misticismo aislado y el activismo desenfrenado, porque el encuentro real con Jesús endereza tanto al devoto sentimental como al frenético factótum. Vivir el encuentro con Jesús es también el remedio para la parálisis de la normalidad, es abrirse a la cotidiana agitación de la gracia. Dejarse encontrar por Jesús, ayudar a encontrar a Jesús: este es el secreto para mantener viva la llama de la vida espiritual. Es la manera de escapar a una vida asfixiada, dominada por los lamentos, la amargura y las inevitables decepciones. Encontrarse en Jesús como hermanos y hermanas, jóvenes y ancianos, para superar la retórica estéril de los «viejos tiempos pasados» - esa nostalgia que mata el alma -, para acabar con el «aquí no hay nada bueno». Si Jesús y los hermanos se encuentran todos los días, el corazón no se polariza en el pasado o el futuro, sino que vive el hoy de Dios en paz con todos.

Al final de los Evangelios hay otro encuentro con Jesús que puede ayudar a la vida consagrada: el de las mujeres en el sepulcro. Fueron a encontrar a un muerto, su viaje parecía inútil. También vosotros vais por el mundo a contracorriente: la vida del mundo rechaza fácilmente la pobreza, la castidad y la obediencia. Pero, al igual que aquellas mujeres, vais adelante, a pesar de la preocupación por las piedras pesadas que hay que remover (cf. Mc 16,3). Y al igual que aquellas mujeres, las primeras que encontraron al Señor resucitado y vivo, os abrazáis a Él (cf. Mt 28,9) y lo anunciáis inmediatamente a los hermanos, con los ojos que brillan de alegría (cf. v. 8). Sois por tanto el amanecer perenne de la Iglesia: vosotros, consagrados y consagradas, sois el alba perenne de la Iglesia. Os deseo que reavivéis hoy mismo el encuentro con Jesús, caminando juntos hacia Él; y así se iluminarán vuestros ojos y se fortalecerán vuestros pasos.

[00191-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Quarenta dias depois do Natal, celebramos o Senhor que, entrando no templo, vem ao encontro do seu povo. No Oriente cristão, esta festa é chamada precisamente «Festa do Encontro»: é o encontro entre o Deus Menino, que traz vida nova, e a humanidade à sua espera, representada pelos anciãos no templo.

No templo, verifica-se ainda outro encontro: o encontro entre dois pares humanos, ou seja, os jovens Maria e José, por um lado, e os anciãos Simeão e Ana, por outro. Os anciãos recebem dos jovens, os jovens aprendem dos anciãos. Com efeito, no templo, Maria e José encontram as raízes do povo, o que é importante pois a promessa de Deus não se realiza individualmente e duma vez só, mas conjuntamente e ao longo da história. E encontram também as raízes da fé, porque a fé não é uma noção que se deve aprender num livro, mas a arte de viver com Deus, que se recebe da experiência de quem nos precedeu no caminho. Assim, encontrando os anciãos, os dois jovens encontram-se a si mesmos. E os dois anciãos, caminhando já para o fim dos seus dias, recebem Jesus, sentido da sua vida. Assim, este episódio cumpre a profecia de Joel: «Os vossos anciãos terão sonhos, e os vossos jovens terão visões» (3, 1). Naquele encontro, os jovens veem a sua missão e os anciãos realizam os seus sonhos; e tudo isto porque, no centro do encontro, está Jesus.

Olhemos o nosso caso, amados irmãos e irmãs consagrados! Tudo começou pelo encontro com o Senhor. Dum encontro e duma chamada, nasceu o caminho de consagração. É preciso recordá-lo. E, se nos recordarmos bem, veremos que, naquele encontro, não estávamos sozinhos com Jesus: estava também o povo de Deus, a Igreja, jovens e anciãos, como no Evangelho. Neste, há um detalhe interessante: enquanto os jovens Maria e José observam fielmente as prescrições da Lei – o Evangelho repete-o quatro vezes – e nunca falam, os anciãos Simeão e Ana acorrem e profetizam. Parece que devia ser o contrário! Geralmente são os jovens que falam com entusiasmo do futuro, enquanto os anciãos guardam o passado. No Evangelho, sucede o contrário, porque, quando nos encontramos no Senhor, chegam pontualmente as surpresas de Deus. Para permitir que as mesmas aconteçam na vida consagrada, convém lembrar-nos que não se pode renovar o encontro com o Senhor sem o outro: nunca o deixes para trás, nunca faças descartes geracionais, mas diariamente caminhai lado a lado, com o Senhor no centro. Porque, se os jovens são chamados a abrir novas portas, os anciãos têm as chaves. E a juventude dum instituto [de vida consagrada] encontra-se indo às raízes, ouvindo as pessoas anciãs. Não há futuro sem este encontro entre anciãos e jovens; não há crescimento sem raízes, e não há florescimento sem novos rebentos. Jamais profecia sem memória, jamais memória sem profecia; mas que sempre se encontrem!

A vida agitada de hoje induz-nos a fechar muitas portas ao encontro e, com frequência, por medo do outro. As portas dos centros comerciais e as conexões de rede estão sempre abertas. Mas, na vida consagrada, não deve ser assim: o irmão e a irmã que Deus me dá são parte da minha história, são presentes que devo guardar. Que não nos aconteça olhar mais para o ecrã do telemóvel do que para os olhos do irmão, ou fixarmo-nos mais nos nossos programas do que no Senhor. Com efeito, quando se colocam no centro os projetos, as técnicas e as estruturas, a vida consagrada deixa de atrair e comunicar-se a outros; não floresce, porque esquece «aquilo que tem debaixo da terra», isto é, as raízes.

A vida consagrada nasce e renasce do encontro com Jesus assim como é: pobre, casto e obediente. A linha sobre a qual caminha é dupla: por um lado, a amorosa iniciativa de Deus, da qual tudo começa e à qual sempre devemos retornar, e, por outro, a nossa resposta, que é de amor verdadeiro quando não há «se» nem «mas», quando imita Jesus pobre, casto e obediente. Deste modo, enquanto a vida do mundo procura acumular, a vida consagrada deixa as riquezas que passam, para abraçar Aquele que permanece. A vida do mundo corre atrás dos prazeres e ambições pessoais, a vida consagrada deixa o afeto livre de qualquer propriedade para amar plenamente a Deus e aos outros. A vida do mundo aposta em poder fazer o que se quer, a vida consagrada escolhe a obediência humilde como liberdade maior. E, enquanto a vida do mundo depressa deixa vazias as mãos e o coração, a vida segundo Jesus enche de paz até ao fim, como no Evangelho, onde os anciãos chegam felizes ao ocaso da vida, com o Senhor nos seus braços e a alegria no coração.

Como nos faz bem ter o Senhor «nos braços» (Lc 2, 28), à semelhança de Simeão! Não só na mente e no coração, mas também nas mãos, ou seja, em tudo o que fazemos: na oração, no trabalho, à mesa, ao telefone, na escola, com os pobres, por todo o lado. Ter o Senhor nas mãos é o antídoto contra o misticismo isolado e o ativismo desenfreado, porque o encontro real com Jesus endireita tanto os sentimentalistas devotos como os ativistas frenéticos. Viver o encontro com Jesus é o remédio também contra a paralisia da normalidade, abrindo-se ao rebuliço diário da graça. Deixar-se encontrar por Jesus, fazer encontrar Jesus: é o segredo para manter viva a chama da vida espiritual. É o modo para não ser absorvido numa vida asfixiadora, onde prevalecem as queixas, a amargura e as inevitáveis deceções. Encontrar-se em Jesus como irmãos e irmãs, jovens e anciãos, para superar a retórica estéril dos «bons velhos tempos» – aquela nostalgia que mata a alma –, para silenciar o «aqui nada funciona». O coração, se encontrar cada dia Jesus e os seus irmãos, não se polariza para o passado nem para o futuro, mas vive o «hoje» de Deus em paz com todos.

No final dos Evangelhos, há outro encontro com Jesus que pode inspirar a vida consagrada: o das mulheres no sepulcro. Foram para encontrar um morto, o seu caminho parecia inútil. Também vós caminhais, no mundo, contra corrente: a vida do mundo facilmente rejeita a pobreza, a castidade e a obediência. Mas, como aquelas mulheres, continuai para diante, não obstante as preocupações com as pedras pesadas a remover (cf. Mc 16, 3). E, como aquelas mulheres, primeiro encontrai o Senhor ressuscitado e vivo, estreitai-O ao coração (cf. Mt 28, 9) e, logo a seguir, anunciai-O aos irmãos, com olhos que brilham de grande alegria (cf. Mt 28, 8). Sois, assim, a alvorada perene da Igreja: vós, consagrados e consagradas, sois a alvorada perene da Igreja! Desejo que hoje mesmo possais reavivar o encontro com Jesus, caminhando juntos para Ele: isto dará luz aos vossos olhos e vigor aos vossos passos.

[00191-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Czterdzieści dni po Bożym Narodzeniu oddajemy cześć Panu, który wkraczając do świątyni, idzie na spotkanie ze swoim ludem. Na chrześcijańskim Wschodzie jest ono nazywane „świętem spotkania Pańskiego”: spotkanie między Bogiem-Dzieciątkiem, który przynosi nowość, a oczekującą ludzkością, reprezentowaną przez starców w świątyni.

W świątyni ma miejsce jeszcze inne spotkanie, między dwiema parami: z jednej strony młodymi Maryją i Józefem, a z drugiej strony starcami Symeonem i Anną. Starcy otrzymują od młodych, młodzi czerpią od osób starszych. Maryja i Józef znajdują bowiem w świątyni korzenie ludu, i jest to ważne, ponieważ Boża obietnica nie wypełnia się indywidualnie i za jednym zamachem, ale razem i na przestrzeni dziejów. Znajdują także korzenie wiary, ponieważ wiara nie jest pojęciem, którego należy się nauczyć w podręczniku, ale sztuką życia z Bogiem, której uczymy się z doświadczenia tych, którzy nas poprzedzili w drodze. W ten sposób dwoje młodych spotyka starców. I dwoje starców u kresu swoich dni przyjmuje Jezusa, który jest sensem ich życia. Wydarzenie to wypełnia zatem proroctwo Joela: „starcy wasi będą śnili, a młodzieńcy wasi będą mieli widzenia” (3,1). W tym spotkaniu młodzi widzą swoją misję, a starcy realizują swoje marzenia. Wszystko to ma miejsce, ponieważ w centrum spotkania znajduje się Jezus.

Spójrzmy na nas, drodzy konsekrowani bracia i siostry. Wszystko zaczęło się od spotkania z Panem. Od spotkania i od powołania rozpoczęła się droga konsekracji. Trzeba o tym pamiętać. A jeśli dobrze sobie przypomnimy, to zobaczymy, że na tym spotkaniu z Jezusem nie byliśmy sami: był także lud Boży, Kościół, młodzi i starzy, jak w Ewangelii. Jest tam interesujący szczegół: podczas gdy młodzi Maria i Józef wiernie przestrzegają przepisów Prawa – Ewangelia mówi o tym czterokrotnie – i wcale nie mówią, to starcy Symeon i Anna śpieszą i prorokują. Mogłoby się wydawać, że powinno być odwrotnie: zazwyczaj młodzi mówią z zapałem o przyszłości, podczas gdy starsi strzegą przeszłości. W Ewangelii dzieje się odwrotnie, ponieważ kiedy spotykamy się w Panu, natychmiast pojawiają się Boże niespodzianki. By pozwolić, żeby wydarzały się w życiu konsekrowanym, warto pamiętać, że nie możemy odnowić spotkania z Panem bez drugiej osoby: nigdy nie wolno pozostawiać jej w tyle, nigdy nie dokonywać odrzuceń pokoleniowych, ale towarzyszyć sobie na co dzień z Panem w centrum. Jeśli bowiem młodzi są wezwani do otwierania nowych drzwi, to starsi mają klucze. A młodość danego instytutu polega na udaniu się do korzeni, słuchając starszych. Bez tego spotkania między osobami starszymi a młodymi nie ma przyszłości; nie ma rozwoju bez korzeni i nie ma rozkwitu bez nowych pędów. Nigdy nie wolo prorokować, pomijając pamięć, nigdy nie można kultywować pamięci bez proroctwa; zawsze konieczne jest spotkanie.

Dzisiejszy gorączkowy rytm życia prowadzi nas do zamknięcia wielu drzwi na spotkanie, często z obawy przed drugim. Stale otwarte są drzwi centrów handlowych i połączeń sieciowych. Ale w życiu konsekrowanym tak nie jest: brat i siostra, których daje mi Bóg, są częścią mojej historii, są darem, którego należy strzec. Niech się nie zdarza, by patrzeć bardziej na ekran telefonu komórkowego niż w oczy brata, lub skupiać się bardziej na naszych programach niż na Panu. Kiedy bowiem w centrum umieszcza się projekty, techniki i struktury, to życie konsekrowane przestaje przyciągać i już nie przekazuje nic światu; nie rozkwita, ponieważ zapomina o tym „co ma zakopane”, to jest o swoich korzeniach.

Życie konsekrowane rodzi się i odradza ze spotkania z Jezusem takim, jaki jest: ubogim, czystym i posłusznym. Porusza się po podwójnym torze: z jednej strony inicjatywa miłości Boga, od której wszystko się zaczyna i do której zawsze musimy powracać; z drugiej – nasza odpowiedź, która jest prawdziwą miłością, kiedy jest bez ja i bez ale, kiedy naśladuje Jezusa ubogiego, czystego i posłusznego. Tak więc, gdy życie świata stara się gromadzić, życie konsekrowane porzuca przemijające bogactwa, aby objąć Tego, który stale trwa. Gdy życie świata dąży do przyjemności i zachcianek swego „ja”, to życie konsekrowane uwalnia uczucia od wszelkiego posiadania, aby w pełni kochać Boga i innych. Gdy życie świata upiera się, by czynić to, co się chce, to życie konsekrowane wybiera pokorne posłuszeństwo jako największą wolność. I kiedy życie świata szybko zostawia ręce i serce pustymi, to życie według Jezusa napełnia pokojem aż do końca, jak w Ewangelii, gdzie starcy szczęśliwi docierają do schyłku życia, z Panem w swych rękach i radością w sercu.

Jak nam dobrze, gdy podobnie jak Symeon trzymamy Pana „na swych rękach” (Łk 2, 28)! Nie tylko w głowie i sercu, ale na rękach, we wszystkim, co czynimy: w modlitwie, w pracy, przy stole, przy telefonie, w szkole, z ubogimi, wszędzie. Mieć Pana w rękach to antidotum na wyizolowany mistycyzm i nieokiełznany aktywizm, ponieważ prawdziwe spotkanie z Jezusem koryguje zarówno pobożnych sentymentalistów, jak i szalonych działaczy. Przeżywanie spotkania z Jezusem jest również lekarstwem na paraliż normalności i otwarciem się na codzienny chaos łaski. Dać się spotkać Jezusowi, spotkać Jezusa: to jest tajemnica, aby utrzymywać przy życiu płomień życia duchowego. To sposób, aby nie dać się wciągnąć w życie niejakie, w którym przeważają narzekania, gorycz i nieuniknione rozczarowania. Trzeba spotkać się w Jezusie jako bracia i siostry, młodzi i starzy, aby przezwyciężyć jałową retorykę „starych dobrych czasów” – tę nostalgię, która zabija duszę –, aby uciszyć „tutaj nie ma nic dobrego”. Jeśli każdego dnia spotykamy Jezusa i braci, to serce nie koncentruje się na przeszłości lub przyszłości, lecz żyje dniem dzisiejszym Boga w pokoju ze wszystkimi.

Pod koniec Ewangelii jest inne spotkanie z Jezusem, które może zainspirować życie konsekrowane: spotkanie kobiet przy grobie. Poszły na spotkanie z umarłym, ich droga zdawała się bezużyteczna. Również wy idziecie na świat pod prąd: życie świata łatwo odrzuca ubóstwo, czystość i posłuszeństwo. Ale, podobnie jak te kobiety, idźcie dalej, pomimo obawy o ciężkie kamienie, które trzeba odwalić (por. Mk 16, 3). I podobnie jak te kobiety, jako pierwsi spotkacie zmartwychwstałego i żyjącego Pana, przytulając Go do siebie (por. Mt 28, 9) i natychmiast głosicie Go braciom, z oczyma jaśniejącymi wielką radością (por. w. 8). W ten sposób będziecie nieustanną jutrzenką Kościoła: wy, konsekrowani i konsekrowane, jesteście nieustanną jutrzenką Kościoła! Życzę wam, abyście już dziś ożywili spotkanie z Jezusem, idąc razem ku Niemu: a to przyda światła waszym oczom i energii waszym krokom.

[00191-PL.02] [Testo originale: Italiano]

[B0097-XX.02]