Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messaggio del Santo Padre Francesco per la 52ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24.01.2018


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace è il tema scelto dal Santo Padre Francesco per la 52ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Papa per la Giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 13 maggio, Solennità dell’Ascensione del Signore:

Messaggio del Santo Padre

«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace

Cari fratelli e sorelle,

nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del Creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’ capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene. Oggi, in un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale, assistiamo al fenomeno delle “notizie false”, le cosiddette fake news: esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito di dedicare questo messaggio al tema della verità, come già hanno fatto più volte i miei predecessori a partire da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: “Le comunicazioni sociali al servizio della verità”). Vorrei così offrire un contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle notizie false e per riscoprire il valore della professione giornalistica e la responsabilità personale di ciascuno nella comunicazione della verità.

1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?

Fake news è un termine discusso e oggetto di dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o nei media tradizionali. Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici.

L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.

La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.

2. Come possiamo riconoscerle?

Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le iniziative istituzionali e giuridiche impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech e media company, atte a definire nuovi criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali.

Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da smascherare c’è infatti quella che si potrebbe definire come “logica del serpente”, capace ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news” (cfr Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna» (Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nel racconto del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). Ciò che Dio aveva detto ad Adamo non era in realtà di non mangiare di alcun albero, ma solo di un albero: «Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). La donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla sua provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,2). Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato credibilità al falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, la donna si fa sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua rassicurazione: «Non morirete affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del tentatore assume una parvenza credibile: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (v. 5). Infine, si giunge a screditare la raccomandazione paterna di Dio, che era volta al bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico: «La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (v. 6). Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale per il nostro discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi.

In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.

3. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)

La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).

Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).

Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua.

4. La pace è la vera notizia

Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace.

Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale.

Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così rivolgerci alla Verità in persona:

Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2018, memoria di san Francesco di Sales

FRANCESCO

[00120-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

« La vérité vous rendra libres » (Jn 8, 32). Fake news et journalisme de paix

Chers frères et sœurs,

dans le dessein de Dieu, la communication humaine est un moyen essentiel de vivre la communion. L'être humain, image et ressemblance du Créateur, est capable d'exprimer et de partager le vrai, le bien, le beau. Il est capable de raconter sa propre expérience et le monde, et de construire ainsi la mémoire et la compréhension des événements. Mais l'homme, s'il suit son propre égoïsme orgueilleux, peut faire un usage déformé de la faculté de communiquer, comme l’illustrent dès l’origine les épisodes bibliques de Caïn et Abel et de la tour de Babel (cf. Gn 4,1-16; 11,1-9). La manipulation de la vérité est le symptôme typique d'une telle distorsion, tant au niveau individuel que collectif. Au contraire, dans la fidélité à la logique de Dieu, la communication devient un lieu d'expression de sa propre responsabilité dans la recherche de la vérité et dans la réalisation du bien. Aujourd'hui, dans un contexte de communication toujours plus rapide et au sein d'un système numérique, nous voyons le phénomène des «fausses nouvelles», les soi-disant fake news: cela nous invite à réfléchir et m’a suggéré de consacrer ce message au thème de la vérité, comme l’ont déjà fait plusieurs fois mes prédécesseurs depuis Paul VI (cf. Message 1972: « Les communications sociales au service de la vérité »). Je voudrais ainsi contribuer à l'engagement commun pour prévenir la diffusion de fausses nouvelles et pour redécouvrir la valeur de la profession journalistique et la responsabilité personnelle de chacun dans la communication de la vérité.

1. Qu'est-ce qui est faux dans les "fausses nouvelles"?

Fake news est un terme discuté et qui fait l’objet de débat. Il s'agit généralement de la désinformation diffusée en ligne ou dans les médias traditionnels. Cette expression fait référence à des informations non fondées, basées sur des données inexistantes ou déformées et visant à tromper voire à manipuler le lecteur. Leur propagation peut répondre à des objectifs fixés, influencer les choix politiques et favoriser des gains économiques.

L'efficacité des fake news est due principalement à leur nature mimétique, à la capacité d'apparaître plausibles. En second lieu, ces nouvelles, fausses mais vraisemblables sont fallacieuses, dans leur habilité à focaliser l'attention des destinataires, en se fondant sur des stéréotypes et des préjugés diffus dans un tissu social, en exploitant les émotions immédiates et faciles à susciter, comme la peur, le mépris, la colère et la frustration. Leur diffusion peut compter sur une utilisation manipulatrice des réseaux sociaux et des logiques qui en garantissent le fonctionnement: ainsi les contenus, bien que non étayés, gagnent une telle visibilité que même les dénégations de sources fiables peinent à en limiter les dégâts.

La difficulté de dévoiler et d'éradiquer les fake news ou fausses nouvelles est également due au fait que les gens interagissent souvent dans des environnements numériques homogènes et imperméables à des perspectives et opinions divergentes. La conséquence de cette logique de la désinformation est que, au lieu d'avoir une confrontation saine avec d'autres sources d'information, ce qui pourrait mettre positivement en discussion les préjugés et ouvrir à un dialogue constructif, on risque de devenir des acteurs involontaires dans la diffusion d’opinions partisanes et infondées. Le drame de la désinformation est la discréditation de l'autre, sa représentation comme ennemi, jusqu'à une diabolisation susceptible d’attiser des conflits. Les fausses nouvelles révèlent ainsi la présence d'attitudes en même temps intolérantes et hypersensibles, avec pour seul résultat le risque d’expansion de l'arrogance et de la haine. En fin de compte, cela mène au mensonge.

2. Comment pouvons-nous les reconnaître?

Aucun d'entre nous ne peut être exonéré de la responsabilité de contrecarrer ces faussetés. Ce n'est pas une tâche facile, parce que la désinformation est souvent basée sur des discours variés, délibérément évasifs et subtilement trompeurs, et use parfois de mécanismes raffinés. Il convient donc de louer les initiatives éducatives qui permettent d'apprendre à lire et à évaluer le contexte communicatif, enseignant à ne pas être des propagateurs inconscients de la désinformation, mais des acteurs de son dévoilement. Il faut également louer les initiatives institutionnelles et juridiques visant à définir des réglementations pour freiner le phénomène, ainsi que celles entreprises par les sociétés de Technologies et de Média, afin de définir de nouveaux critères pour la vérification des identités personnelles qui se cachent derrière les millions de profils numériques.

Mais la prévention et l'identification des mécanismes de la désinformation nécessitent également un discernement profond et attentif. Il faut démasquer en effet ce qui pourrait être défini comme "la logique du serpent", capable partout de se dissimuler et de mordre. C'est la stratégie utilisée par le «serpent rusé», dont parle le Livre de la Genèse, celui qui, au commencement de l'humanité, est devenu l'auteur de la première “fake news” (cf. Gn 3,1-15), qui a conduit aux conséquences tragiques du péché, mises en acte ensuite dans le premier fratricide (cf. Gn 4) et dans d'autres formes innombrables du mal contre Dieu, le prochain, la société et la création. La stratégie de cet habile "père du mensonge" (Jn 8,44) est précisément le mimétisme, une séduction rampante et dangereuse qui fait son chemin dans le cœur de l'homme avec des arguments faux et attrayants. Dans le récit du péché originel, le tentateur, en fait, s'approche de la femme feignant d'être son ami, de s’intéresser à son bien, et commence le discours avec une affirmation vraie, mais seulement partiellement: « Alors, Dieu vous a vraiment dit : “Vous ne mangerez d’aucun arbre du jardin”?» (Gn 3,1). Ce que Dieu avait dit à Adam n'était pas en réalité de ne manger d’aucun arbre, mais seulement d'un arbre : « Mais l’arbre de la connaissance du bien et du mal, tu n’en mangeras pas » (Gn 2,17). La femme, répondant, l'explique au serpent, mais elle se fait attirer par sa provocation : « Mais, pour le fruit de l’arbre qui est au milieu du jardin, Dieu a dit: “ Vous n’en mangerez pas, vous n’y toucherez pas, sinon vous mourrez. ” » (Gn 3,2). Cette réponse sait se faire légaliste et pessimiste: ayant donné crédibilité au faussaire, se laissant séduire par son arrangement des faits, la femme se fait corrompre. Ainsi, de prime abord elle prête attention à son assurance: « Vous ne mourrez pas du tout » (v. 4). Puis la déconstruction du tentateur assume une apparence crédible : « Dieu sait que, le jour où vous en mangerez, vos yeux s’ouvriront, et vous serez comme des dieux, connaissant le bien et le mal. » (v. 5). Finalement on en vient à discréditer la recommandation paternelle de Dieu, qui visait le bien, pour suivre l’incantation séduisante de l'ennemi: « La femme vit que le fruit de l’arbre devait être savoureux, qu’il était agréable à regarder et qu’il était désirable » (v. 6). Cet épisode biblique révèle donc un fait essentiel pour notre discours: aucune désinformation n'est inoffensive; de fait, se fier à ce qui est faux, produit des conséquences néfastes. Même une distorsion apparemment légère de la vérité peut avoir des effets dangereux.

L’enjeu en fait, c’est notre avidité. Les fake news deviennent souvent virales, en réalité elles se répandent rapidement et de manière difficilement contrôlable, non pas en raison de la logique de partage qui caractérise les médias sociaux, mais plutôt pour leur emprise sur l'avidité insatiable qui s’allume facilement dans l'être humain. Les mêmes motivations économiques et opportunistes de la désinformation ont leur racine dans la soif du pouvoir, de l’avoir et du plaisir, qui, finalement, nous rend victimes d'un imbroglio beaucoup plus tragique que chacune de ses manifestations singulière: celui du mal, qui se meut de mensonge en mensonge pour nous voler la liberté du cœur. C'est pourquoi éduquer à la vérité signifie éduquer à discerner, évaluer et pondérer les désirs et les inclinations qui s’agitent en nous, pour ne pas nous retrouver privés de bien «en mordant» à toute tentation.

3. «La vérité vous rendra libres» (Jn 8,32)

La contamination continuelle par un langage trompeur finit en fait par embrumer l'intériorité de la personne. Dostoïevski a écrit quelque chose de remarquable dans ce sens : « Celui qui se ment à soi-même et écoute ses propres mensonges arrive au point de ne plus pouvoir distinguer la vérité ni en soi ni autour de soi ; ainsi il commence à ne plus avoir l’estime de soi ni des autres. Ensuite, n’ayant plus l’estime de personne il cesse aussi d’aimer, et alors en manque d’amour, pour se sentir occupé et se distraire, il s’adonne aux passions et aux plaisirs vulgaires ; et dans ses vices il va jusqu’à la bestialité; et tout cela dérive du mensonge continuel aux autres et à soi-même.» (Les frères Karamazov, II, 2).

Comment nous défendre? L'antidote le plus radical au virus du mensonge est de se laisser purifier par la vérité. Dans la vision chrétienne, la vérité n'est pas seulement une réalité conceptuelle, qui concerne le jugement sur les choses, les définissant vraies ou fausses. La vérité ne consiste pas seulement à porter à la lumière des choses obscures, à "dévoiler la réalité", comme l’ancien terme grec qui le désigne, aletheia (de a-lethès, "non caché"), conduit à penser. La vérité a à voir avec la vie entière. Dans la Bible, la notion porte en soi le sens de soutien, de solidité, de confiance, comme le donne à comprendre la racine 'aman, dont provient également l'Amen liturgique. La vérité est ce sur quoi l’on peut s’appuyer pour ne pas tomber. Dans ce sens relationnel, le seul vraiment fiable et digne de confiance, sur lequel on peut compter, et qui est «vrai», est le Dieu vivant. Et c’est l'affirmation de Jésus: « Je suis la vérité » (Jn 14,6). L'homme, alors, découvre et redécouvre la vérité quand il en fait l’expérience en lui-même comme fidélité et fiabilité de celui qui l'aime. C’est seulement cela qui libère l’homme : "La vérité vous rendra libres" (Jn 8,32).

Libération du mensonge et recherche de la relation: voici les deux ingrédients qui ne peuvent pas manquer pour que nos paroles et nos gestes soient vrais, authentiques, fiables. Pour discerner la vérité, il est nécessaire d’examiner ce qui favorise la communion et promeut le bien et ce qui, au contraire, tend à isoler, diviser et opposer. La vérité, par conséquent, ne s’acquiert pas vraiment quand elle est imposée comme quelque chose d'extrinsèque et d’impersonnel; elle découle au contraire de relations libres entre les personnes, de l’écoute réciproque. En outre, on ne cesse jamais de chercher la vérité, parce que quelque chose de faux peut toujours s'insinuer, même en disant des choses vraies. Un argument impeccable peut en fait reposer sur des faits indéniables, mais s'il est utilisé pour blesser quelqu’un et pour le discréditer aux yeux des autres, aussi juste qu'il apparaisse, il n'est pas habité par la vérité. A partir des fruits, nous pouvons distinguer la vérité des énoncés: s'ils suscitent la controverse, fomentent les divisions, insufflent la résignation ou si, au contraire, ils conduisent à une réflexion consciente et mûre, au dialogue constructif, à une dynamique fructueuse.

4. La paix est la vraie nouvelle

Le meilleur antidote contre les faussetés, ce ne sont pas les stratégies, mais les personnes : des personnes qui, libres de l’avidité, sont prêtes à l’écoute et à travers l’effort d’un dialogue sincère laissent émerger la vérité ; des personnes qui, attirées par le bien, se sentent responsables dans l'utilisation du langage. Si la façon de sortir de la propagation de la désinformation est la responsabilité, cela concerne particulièrement celui qui est responsable par devoir d'informer, c’est-à-dire le journaliste, gardien des nouvelles. Celui-ci, dans le monde contemporain, n’exerce pas seulement un métier, mais une véritable mission. Il a la tâche, dans la frénésie des nouvelles et dans le tourbillon des scoop, de rappeler qu'au centre des informations ce n’est pas la rapidité dans la transmission et l'impact sur l’audience, mais ce sont les personnes. Informer c’est former, c’est avoir affaire avec la vie des personnes. C’est pourquoi, l'exactitude des sources et le soin de la communication sont de véritables processus de développement du bien, qui génèrent la confiance et ouvrent des voies de communion et de paix.

Je voudrais donc adresser une invitation à promouvoir un journalisme de paix, n'ayant toutefois pas l'intention avec cette expression d’évoquer un journalisme «débonnaire» qui nie l'existence de graves problèmes et assume des tonalités mielleuses. J’entends, au contraire, un journalisme sans duperies, hostile aux faussetés, aux slogans à effet et aux déclarations emphatiques; un journalisme fait par des personnes pour les personnes, et qui se comprenne comme un service à toutes les personnes, spécialement à celles-là – qui sont la majorité au monde - qui n'ont pas de voix; un journalisme qui ne brûle pas les nouvelles, mais qui s'engage dans la recherche des véritables causes des conflits, pour en favoriser la compréhension à partir des racines et le dépassement à travers la mise en route de processus vertueux; un journalisme engagé à indiquer des solutions alternatives à l'escalade de la clameur et de la violence verbale.

C’est pourquoi, nous inspirant d’une prière franciscaine, nous pourrions ainsi nous adresser à la Vérité en personne:

Seigneur, fais de nous des instruments de ta paix.
Fais-nous reconnaitre le mal qui s'insinue dans une communication qui ne crée pas la communion.
Rends-nous capables d'ôter le venin de nos jugements.
Aide-nous à parler des autres comme de frères et de sœurs.
Tu es fidèle et digne de confiance; fais que nos paroles soient des semences de bien pour le monde:
Là où il y a de la rumeur, que nous pratiquions l'écoute;
Là où il y a confusion, que nous inspirions l'harmonie;
Là où il y a ambiguïté, que nous apportions la clarté;
Là où il y a exclusion, que nous apportions le partage;
Là où il y a du sensationnalisme, que nous usions de la sobriété;
Là où il y a de la superficialité, que nous posions les vraies questions;
Là où il y a des préjugés, que nous suscitions la confiance;
Là où il y a agressivité, que nous apportions le respect;
Là où il y a la fausseté, que nous apportions la vérité.
Amen.

Du Vatican, le 24 janvier 2018, mémoire de Saint François de Sales

FRANÇOIS

[00120-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“The truth will set you free” (Jn 8:32). Fake news and journalism for peace

Dear Brothers and Sisters,

Communication is part of God’s plan for us and an essential way to experience fellowship. Made in the image and likeness of our Creator, we are able to express and share all that is true, good, and beautiful. We are able to describe our own experiences and the world around us, and thus to create historical memory and the understanding of events. But when we yield to our own pride and selfishness, we can also distort the way we use our ability to communicate. This can be seen from the earliest times, in the biblical stories of Cain and Abel and the Tower of Babel (cf. Gen 4:4-16; 11:1-9). The capacity to twist the truth is symptomatic of our condition, both as individuals and communities. On the other hand, when we are faithful to God’s plan, communication becomes an effective expression of our responsible search for truth and our pursuit of goodness.

In today’s fast-changing world of communications and digital systems, we are witnessing the spread of what has come to be known as “fake news”. This calls for reflection, which is why I have decided to return in this World Communications Day Message to the issue of truth, which was raised time and time again by my predecessors, beginning with Pope Paul VI, whose 1972 Message took as its theme: “Social Communications at the Service of Truth”. In this way, I would like to contribute to our shared commitment to stemming the spread of fake news and to rediscovering the dignity of journalism and the personal responsibility of journalists to communicate the truth.

1. What is “fake” about fake news?

The term “fake news” has been the object of great discussion and debate. In general, it refers to the spreading of disinformation on line or in the traditional media. It has to do with false information based on non-existent or distorted data meant to deceive and manipulate the reader. Spreading fake news can serve to advance specific goals, influence political decisions, and serve economic interests.

The effectiveness of fake news is primarily due to its ability to mimic real news, to seem plausible. Secondly, this false but believable news is “captious”, inasmuch as it grasps people’s attention by appealing to stereotypes and common social prejudices, and exploiting instantaneous emotions like anxiety, contempt, anger and frustration. The ability to spread such fake news often relies on a manipulative use of the social networks and the way they function. Untrue stories can spread so quickly that even authoritative denials fail to contain the damage.

The difficulty of unmasking and eliminating fake news is due also to the fact that many people interact in homogeneous digital environments impervious to differing perspectives and opinions. Disinformation thus thrives on the absence of healthy confrontation with other sources of information that could effectively challenge prejudices and generate constructive dialogue; instead, it risks turning people into unwilling accomplices in spreading biased and baseless ideas. The tragedy of disinformation is that it discredits others, presenting them as enemies, to the point of demonizing them and fomenting conflict. Fake news is a sign of intolerant and hypersensitive attitudes, and leads only to the spread of arrogance and hatred. That is the end result of untruth.

2. How can we recognize fake news?

None of us can feel exempted from the duty of countering these falsehoods. This is no easy task, since disinformation is often based on deliberately evasive and subtly misleading rhetoric and at times the use of sophisticated psychological mechanisms. Praiseworthy efforts are being made to create educational programmes aimed at helping people to interpret and assess information provided by the media, and teaching them to take an active part in unmasking falsehoods, rather than unwittingly contributing to the spread of disinformation. Praiseworthy too are those institutional and legal initiatives aimed at developing regulations for curbing the phenomenon, to say nothing of the work being done by tech and media companies in coming up with new criteria for verifying the personal identities concealed behind millions of digital profiles.

Yet preventing and identifying the way disinformation works also calls for a profound and careful process of discernment. We need to unmask what could be called the "snake-tactics" used by those who disguise themselves in order to strike at any time and place. This was the strategy employed by the "crafty serpent" in the Book of Genesis, who, at the dawn of humanity, created the first fake news (cf. Gen 3:1-15), which began the tragic history of human sin, beginning with the first fratricide (cf. Gen 4) and issuing in the countless other evils committed against God, neighbour, society and creation. The strategy of this skilled "Father of Lies" (Jn 8:44) is precisely mimicry, that sly and dangerous form of seduction that worms its way into the heart with false and alluring arguments.

In the account of the first sin, the tempter approaches the woman by pretending to be her friend, concerned only for her welfare, and begins by saying something only partly true: "Did God really say you were not to eat from any of the trees in the garden?" (Gen 3:1). In fact, God never told Adam not to eat from any tree, but only from the one tree: "Of the tree of the knowledge of good and evil you are not to eat" (Gen 2:17). The woman corrects the serpent, but lets herself be taken in by his provocation: "Of the fruit of the tree in the middle of the garden God said, “You must not eat it nor touch it, under pain of death" (Gen 3:2). Her answer is couched in legalistic and negative terms; after listening to the deceiver and letting herself be taken in by his version of the facts, the woman is misled. So she heeds his words of reassurance: "You will not die!" (Gen 3:4).

The tempter’s “deconstruction” then takes on an appearance of truth: "God knows that on the day you eat it your eyes will be opened and you will be like gods, knowing good and evil" (Gen 3:5). God’s paternal command, meant for their good, is discredited by the seductive enticement of the enemy: "The woman saw that the tree was good to eat and pleasing to the eye and desirable" (Gen 3:6). This biblical episode brings to light an essential element for our reflection: there is no such thing as harmless disinformation; on the contrary, trusting in falsehood can have dire consequences. Even a seemingly slight distortion of the truth can have dangerous effects.

What is at stake is our greed. Fake news often goes viral, spreading so fast that it is hard to stop, not because of the sense of sharing that inspires the social media, but because it appeals to the insatiable greed so easily aroused in human beings. The economic and manipulative aims that feed disinformation are rooted in a thirst for power, a desire to possess and enjoy, which ultimately makes us victims of something much more tragic: the deceptive power of evil that moves from one lie to another in order to rob us of our interior freedom. That is why education for truth means teaching people how to discern, evaluate and understand our deepest desires and inclinations, lest we lose sight of what is good and yield to every temptation.

3. "The truth will set you free" (Jn 8:32)

Constant contamination by deceptive language can end up darkening our interior life. Dostoevsky’s observation is illuminating: "People who lie to themselves and listen to their own lie come to such a pass that they cannot distinguish the truth within them, or around them, and so lose all respect for themselves and for others. And having no respect, they cease to love, and in order to occupy and distract themselves without love they give way to passions and to coarse pleasures, and sink to bestiality in their vices, all from continual lying to others and to themselves.” (The Brothers Karamazov, II, 2).

So how do we defend ourselves? The most radical antidote to the virus of falsehood is purification by the truth. In Christianity, truth is not just a conceptual reality that regards how we judge things, defining them as true or false. The truth is not just bringing to light things that are concealed, "revealing reality", as the ancient Greek term aletheia (from a-lethès, "not hidden") might lead us to believe. Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32).

Freedom from falsehood and the search for relationship: these two ingredients cannot be lacking if our words and gestures are to be true, authentic, and trustworthy. To discern the truth, we need to discern everything that encourages communion and promotes goodness from whatever instead tends to isolate, divide, and oppose. Truth, therefore, is not really grasped when it is imposed from without as something impersonal, but only when it flows from free relationships between persons, from listening to one another. Nor can we ever stop seeking the truth, because falsehood can always creep in, even when we state things that are true. An impeccable argument can indeed rest on undeniable facts, but if it is used to hurt another and to discredit that person in the eyes of others, however correct it may appear, it is not truthful. We can recognize the truth of statements from their fruits: whether they provoke quarrels, foment division, encourage resignation; or, on the other hand, they promote informed and mature reflection leading to constructive dialogue and fruitful results.

4. Peace is the true news

The best antidotes to falsehoods are not strategies, but people: people who are not greedy but ready to listen, people who make the effort to engage in sincere dialogue so that the truth can emerge; people who are attracted by goodness and take responsibility for how they use language. If responsibility is the answer to the spread of fake news, then a weighty responsibility rests on the shoulders of those whose job is to provide information, namely, journalists, the protectors of news. In today’s world, theirs is, in every sense, not just a job; it is a mission. Amid feeding frenzies and the mad rush for a scoop, they must remember that the heart of information is not the speed with which it is reported or its audience impact, but persons. Informing others means forming others; it means being in touch with people’s lives. That is why ensuring the accuracy of sources and protecting communication are real means of promoting goodness, generating trust, and opening the way to communion and peace.

I would like, then, to invite everyone to promote a journalism of peace. By that, I do not mean the saccharine kind of journalism that refuses to acknowledge the existence of serious problems or smacks of sentimentalism. On the contrary, I mean a journalism that is truthful and opposed to falsehoods, rhetorical slogans, and sensational headlines. A journalism created by people for people, one that is at the service of all, especially those – and they are the majority in our world – who have no voice. A journalism less concentrated on breaking news than on exploring the underlying causes of conflicts, in order to promote deeper understanding and contribute to their resolution by setting in place virtuous processes. A journalism committed to pointing out alternatives to the escalation of shouting matches and verbal violence.

To this end, drawing inspiration from a Franciscan prayer, we might turn to the Truth in person:

Lord, make us instruments of your peace.
Help us to recognize the evil latent in a communication that does not build communion.
Help us to remove the venom from our judgements.
Help us to speak about others as our brothers and sisters.
You are faithful and trustworthy; may our words be seeds of goodness for the world:
where there is shouting, let us practise listening;
where there is confusion, let us inspire harmony;
where there is ambiguity, let us bring clarity;
where there is exclusion, let us offer solidarity;
where there is sensationalism, let us use sobriety;
where there is superficiality, let us raise real questions;
where there is prejudice, let us awaken trust;
where there is hostility, let us bring respect;
where there is falsehood, let us bring truth.
Amen.

From the Vatican, 24 January 2018, the Memorial of Saint Francis de Sales.

FRANCIS

[00120-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Die Wahrheit wird euch befreien« (Joh 8,32). Fake News und Journalismus für den Frieden

Liebe Brüder und Schwestern,

im Plan Gottes ist die Kommunikation eine wesentliche Art und Weise, Gemeinschaft zu leben. Der Mensch, Abbild und Ebenbild des Schöpfers, hat die Fähigkeit, das Wahre, das Gute und das Schöne zum Ausdruck zu bringen und es mit den anderen zu teilen. Er hat die Fähigkeit, von seiner Erfahrung und von der Welt zu erzählen, und so die Grundlagen für das Gedächtnis und das Verständnis der Ereignisse zu schaffen. Wenn sich der Mensch aber von Hochmut und Egoismus leiten lässt, kann es passieren, dass er seine Kommunikationsgabe auf eine entstellte Weise nutzt, wie schon die biblischen Erzählungen von Kain und Abel oder vom Turm zu Babel zeigen (vgl. Gen 4,1-16; 11,1-9). Diese Entstellung kommt in einer Verdrehung der Wahrheit auf individueller wie auch kollektiver Ebene zum Ausdruck. Dabei wird die Kommunikation doch erst in der Treue zur Logik Gottes zum Raum, in dem die eigene Verantwortung für die Wahrheitssuche und den Aufbau des Guten zum Ausdruck kommt! In einem zusehends von Schnelllebigkeit geprägten und in ein digitales System eingebetteten Kommunikationskontext, können wir heute das Phänomen der „Falschmeldungen“ beobachten, der sogenannten Fake News: ein Phänomen, das nachdenklich stimmt und mich dazu veranlasst hat, diese Botschaft dem Thema der Wahrheit zu widmen, wie es meine Vorgänger seit Paul VI. schon mehrere Male getan haben (vgl. Botschaft 1972: Die sozialen Kommunikationsmittel im Dienst der Wahrheit). So möchte ich einen Beitrag zu unserer gemeinsamen Verpflichtung bringen, der Verbreitung von Falschmeldungen zuvorzukommen, den Wert des Journalistenberufes neu zu entdecken und uns wieder auf die persönliche Verantwortung zu besinnen, die ein jeder von uns bei der Mitteilung der Wahrheit trägt.

1. Was ist an „Falschmeldungen“ falsch?

Fake News ist ein umstrittener, vieldiskutierter Begriff. Normalerweise ist damit die im Internet oder in den traditionellen Medien verbreitete Desinformation gemeint: gegenstandslose Nachrichten also, die sich auf inexistente oder verzerrte Daten stützen und darauf abzielen, den Adressaten zu täuschen, wenn nicht gar zu manipulieren. Die Verbreitung solcher Nachrichten kann gezielt erfolgen, um politische Entscheidungen zu beeinflussen oder Vorteile für wirtschaftliche Einnahmen zu erlangen.

Die Wirksamkeit der Fake News liegt vor allem in ihrer mimetischen Natur, in ihrer Fähigkeit der Nachahmung also, um glaubhaft zu erscheinen. Darüber hinaus sind solche Meldungen, die zwar falsch, aber plausibel sind, verfänglich: indem sie sich Stereotype und Vorurteile zunutze machen, die in einem bestimmten sozialen Gefüge vorherrschen, ist es ihnen nämlich ein Leichtes, die Aufmerksamkeit ihrer Zielgruppen auf sich zu lenken und Gefühle anzusprechen, die schnell und unmittelbar ausgelöst werden können: Angst, Verachtung, Wut und Frustration. Die Verbreitung solcher Meldungen erfolgt durch manipulative Nutzung der sozialen Netzwerke und dank deren spezifischer Funktionsweise: so erhalten auch Inhalte, die eigentlich jeder Grundlage entbehren, eine so große Sichtbarkeit, dass der Schaden selbst dann nur schwer eingedämmt werden kann, wenn von maßgeblicher Seite eine Richtigstellung erfolgt.

Die Schwierigkeit, Fake News aufzudecken und auszumerzen, hat auch mit dem Umstand zu tun, dass die Interaktion der Personen oft innerhalb homogener digitaler Räume erfolgt, zu denen divergierenden Meinungen oder Blickwinkel nicht durchdringen können. Diese Logik der Desinformation führt also nicht nur dazu, dass es zu keiner gesunden Auseinandersetzung mit anderen Informationsquellen kommt, welche Vorurteile in Frage stellen und einen konstruktiven Dialog entstehen lassen könnte, sondern dass man sogar riskiert, sich zum unfreiwilligen Verbreiter parteiischer Meinungen zu machen, die jeder Grundlage entbehren. Das Drama der Desinformation ist die Diskreditierung des anderen, seine Stilisierung zum Feindbild bis hin zu einer Dämonisierung, die Konflikte schüren kann. Falschmeldungen gehen also mit intoleranten und zugleich reizbaren Haltungen einher und führen nur zur Gefahr, dass Arroganz und Hass eine immer weitere Verbreitung finden. Denn das ist es, wozu die Falschheit letztlich führt.

2. Wie erkennt man Fake News?

Niemand von uns kann sich der Verantwortung entziehen, solchen Unwahrheiten entgegenzutreten. Das ist kein leichtes Unterfangen, da sich die Desinformation oft auf sehr gemischte Inhalte stützt, die gewollt evasiv und unterschwellig irreführend sind, und sich mitunter raffinierter Mechanismen bedienen. Lobenswert sind daher Bildungsinitiativen, die lehren, wie man den Kommunikationskontext einordnen und beurteilen kann, ohne sich dabei zum ungewollten Verbreiter von Desinformation zu machen, sondern diese stattdessen aufdeckt. Lobenswert sind ebenso institutionelle und rechtliche Initiativen, die die Eindämmung dieses Phänomens durch entsprechende normative Maßnahmen vorantreiben, wie auch das Bestreben seitens der Technologie- und Medienunternehmen, mit Hilfe neuer Kriterien nachzuweisen, wer sich hinter den Millionen von digitalen Profilen versteckt.

Der Schutz vor den Mechanismen der Desinformation und das Erkennen derselben macht jedoch auch eine sorgfältige Unterscheidung erforderlich. Es geht hier nämlich darum, das aufzudecken, was man als die „Logik der Schlange“ bezeichnen könnte, die sich überall verstecken und jederzeit zubeißen kann. Es handelt sich um die Strategie der »schlauen Schlange«, von der das Buch Genesis spricht und die sich an den Anfängen der Menschheit zum Urheber der ersten „Fake News“ (vgl. Gen 3,1-15) gemacht hat. Die tragische Konsequenz war der Sündenfall, der dann den ersten Brudermord zur Folge hatte (vgl. Gen 4) und zahllose andere Formen des Bösen gegen Gott, den Nächsten, die Gesellschaft und die Schöpfung. Die Strategie dieses gerissenen »Vaters der Lüge« (Joh 8,44) ist nichts anderes als eben die Mimesis: eine gefährliche Verführung, die sich mit vielversprechenden, aber unwahren Argumenten ins Herz des Menschen schleicht. So wird im Bericht vom Sündenfall ja auch erzählt, wie sich der Verführer der Frau nähert und vorgibt, ein Freund zu sein und ihr Wohl am Herzen zu haben. Das Gespräch mit ihr beginnt er mit einer Aussage, die zwar wahr ist, aber doch nur zum Teil: »Hat Gott wirklich gesagt: Ihr dürft von keinem Baum des Gartens essen?« (Gen 3,1). In Wahrheit hatte Gott dem Adam aber nicht gesagt, dass er von keinem Baum essen dürfe, sondern nur von einem nicht: »Vom Baum der Erkenntnis von Gut und Böse darfst du nicht essen« (Gen 2,17). Das stellt die Frau der Schlange gegenüber zwar richtig, auf ihre Provokation geht sie aber dennoch ein: »Nur von den Früchten des Baumes, der in der Mitte des Gartens steht, hat Gott gesagt: Davon dürft ihr nicht essen und daran dürft ihr nicht rühren, sonst werdet ihr sterben!« (Gen 3,3). Diese Antwort hat einen legalistischen, pessimistischen Beigeschmack: Nachdem die Frau dem Fälscher Glauben geschenkt hat, lässt sie sich von seiner Darlegung der Fakten anziehen und wird in die Irre geführt. So schenkt sie ihm zunächst Aufmerksamkeit, als er ihr versichert: »Nein, ihr werdet nicht sterben!« (Gen 3,4). Danach erhält die Dekonstruktion des Verführers einen glaubhaften Anstrich: »Gott weiß vielmehr: Sobald ihr davon esst, gehen euch die Augen auf; ihr werdet wie Gott und erkennt Gut und Böse« (Gen 3,5). Und so wird die väterliche Ermahnung Gottes, die das Gute zum Ziel hatte, am Ende diskreditiert, um der verlockenden Versuchung des Feindes nachgeben zu können: »Da sah die Frau, dass es köstlich wäre, von dem Baum zu essen, dass der Baum eine Augenweide war und begehrenswert war …« (Gen 3,6). Diese biblische Erzählung lässt uns also eine Tatsache erkennen, die für unser Thema wesentlich ist: keine Desinformation ist harmlos. Im Gegenteil: dem zu vertrauen, was falsch ist, hat unheilvolle Folgen. Schon eine scheinbar leichte Verdrehung der Wahrheit kann gefährliche Auswirkungen haben.

Was hier ins Spiel kommt, ist nämlich unsere Gier. Fake News verbreiten sich oft rasend schnell, wie ein Virus, der nur schwer eingedämmt werden kann. Und der Grund dafür liegt nicht so sehr in der für die sozialen Netzwerke typischen Logik der Weitergabe, sondern eher in der unersättlichen Gier, von der sich der Mensch nur allzu leicht beherrschen lässt. Die wahre Wurzel der wirtschaftlichen und opportunistischen Hintergründe der Desinformation ist unser Hunger nach Macht und Besitz, unsere Vergnügungssucht – eine Gier, die uns letztlich auf einen Schwindel hereinfallen lässt, der noch viel tragischer ist als jede seiner Ausdrucksformen: den Schwindel des Bösen, der sich von Falschheit zu Falschheit seinen Weg bahnt in unser Herz und es seiner Freiheit beraubt. Und das ist auch der Grund, warum Erziehung zur Wahrheit Erziehung zur Unterscheidung bedeutet: Erziehung dazu, das Verlangen und die Neigungen, die uns bewegen, einordnen und abwägen zu lernen, damit es uns nie an Gutem fehlen möge, sodass wir dann auf die erstbeste Versuchung hereinfallen.

3. »Die Wahrheit wird euch befreien« (Joh 8,32)

Durch die ständige Verunreinigung mit einer irreführenden Sprache wird die Innerlichkeit des Menschen letztendlich verdunkelt. Dostojewski hat hierzu etwas Bemerkenswertes geschrieben: »Wer sich selbst belügt und an seine eigene Lüge glaubt, der kann zuletzt keine Wahrheit mehr unterscheiden, weder in sich noch um sich herum; er achtet schließlich weder sich selbst noch andere. Wer aber niemand achtet, hört auch auf zu lieben und ergibt sich den Leidenschaften und rohen Genüssen, um sich auch ohne Liebe zu beschäftigen und zu zerstreuen. Er sinkt unweigerlich auf die Stufe des Viehs hinab, und all das, weil er sich und die Menschen unaufhörlich belogen hat« (Die Brüder Karamasow, II, 2).

Was also tun? Das radikalste Mittel gegen den Virus der Falschheit ist es, sich von der Wahrheit reinigen zu lassen. Aus christlicher Sicht ist die Wahrheit nicht nur eine begriffliche Realität, die das Urteil über die Dinge betrifft und sie als wahr oder falsch definiert. Bei der Wahrheit geht es nicht nur darum, verborgene Dinge ans Licht zu bringen, „die Realität zu enthüllen“, wie der altgriechische Begriff für die Wahrheit nahelegt: aletheia (von a-lethès, das „Unverborgene“). Wahrheit hat mit dem ganzen Leben zu tun. In der Bibel hat sie auch die Bedeutung von Stütze, Beständigkeit, Zuversicht, worauf schon die Wurzel ‘aman schließen lässt, von der sich auch das liturgische Amen herleitet. Die Wahrheit ist das, worauf man sich stützen kann, um nicht zu fallen. In diesem relationalen Sinn ist das einzig Zuverlässige und Vertrauenswürdige; das einzige, worauf wir zählen können; das einzig „Wahre“ der lebendige Gott. So kann Jesus ja auch sagen: »Ich bin die Wahrheit« (Joh 14,6). Der Mensch entdeckt nun die Wahrheit immer wieder neu, wenn er sie in sich selbst als Treue und Zuverlässigkeit dessen, der ihn liebt, erfährt. Das allein befreit den Menschen: »Die Wahrheit wird euch befreien« (Joh 8,32).

Befreiung von der Falschheit und Suche nach Beziehung: das sind die zwei Elemente, die nicht fehlen dürfen, wenn unsere Worte, unsere Gesten wahr, authentisch und glaubwürdig sein sollen. Wenn wir die Wahrheit erkennen wollen, müssen wir zwischen dem unterscheiden, was der Gemeinschaft und dem Guten zuträglich ist, und dem, was dagegen dazu neigt zu isolieren, zu spalten, Gegensätze zu schüren. Die Wahrheit erlangt man also nicht, wenn man sie als etwas auferlegt, das fremd und unpersönlich ist; sie entspringt vielmehr den freien Beziehungen zwischen den Personen, im gegenseitigen Zuhören. Zudem muss die Wahrheit immer wieder neu aufgespürt werden, weil sich überall etwas Falsches einschleichen kann, auch wenn man Dinge sagt, die wahr sind. So mag eine schlüssige Argumentation zwar auf unleugbare Fakten gestützt sein – wird sie aber dazu genutzt, den anderen zu verletzten, ihn in den Augen Dritter abzuwerten, dann wohnt ihr nicht die Wahrheit inne, wie richtig diese Argumentation auch erscheinen mag. Die Wahrheit der Aussagen erkennt man an ihren Früchten: daran also, ob sie Polemik, Spaltung und Resignation auslösen – oder eine gewissenhafte und reife Diskussion, einen konstruktiven Dialog und ein fruchtbares Schaffen.

4. Der Friede liegt in der wahren Nachricht

Das beste Mittel gegen die Falschheit sind nicht die Strategien, sondern die Personen: Personen, die frei von Begierde sind und daher die Bereitschaft haben, zuzuhören und die Wahrheit durch die Mühe eines ehrlichen Dialogs zutage treten lassen. Personen, die – vom Guten angezogen – bereit sind, die Sprache verantwortungsvoll zu gebrauchen. Wenn der Ausweg aus der Verbreitung von Desinformation also die Verantwortung ist, dann sind hier vor allem jene auf den Plan gerufen, denen die Verantwortung beim Informieren schon von Berufs wegen auferlegt ist: die Journalisten, die die Hüter der Nachrichten sind. In der Welt von heute übt der Journalist nicht nur einen Beruf aus: er hat eine Mission. Trotz der Kurzlebigkeit der Nachrichten und im Strudel der Sensationspresse darf er nie vergessen, dass im Zentrum der Nachricht der Mensch steht – und nicht, wie schnell eine Nachricht verbreitet wird und welche Wirkung sie auf das Publikum hat. Informieren hat mit „formen“ zu tun, betrifft das Leben der Menschen. Das ist auch der Grund, warum die Sorgfalt bei den Quellen und der Schutz der Kommunikation eigenständige Prozesse sind, die wirklich zur Entwicklung des Guten beitragen, Vertrauen schaffen und Wege der Gemeinschaft und des Friedens erschließen.

Ich möchte daher alle dazu einladen, einen Journalismus für den Frieden voranzutreiben, womit ich nicht einen Journalismus meine, dem es nur um „Schönfärberei“ geht, der das Vorhandensein schwerwiegender Probleme leugnet und einen süßlichen Tonfall annimmt. Nein, ich meine einen Journalismus, der sich nicht verstellt; der der Unwahrheit, der Effekthascherei und dem prahlerischen Reden den Kampf ansagt; ein Journalismus, der von Menschen und für Menschen gemacht ist; der sich als ein Dienst versteht, der allen Menschen zugutekommt, vor allem jenen – und das ist in unserer heutigen Welt der Großteil –, die keine Stimme haben; ein Journalismus, dem es nicht nur darum geht, Nachrichten so schnell und lukrativ wie möglich „an den Mann zu bringen“, sondern der die tatsächlichen Ursachen der Konflikte zu erforschen sucht, um ihre Wurzeln verstehen und durch die Anregung guter Handlungsweisen überwinden zu können; ein Journalismus, der sich nicht vom Strudel der Sensationsgier und der verbalen Gewalt mitreißen lässt, sondern lieber nach alternativen Lösungen sucht.

Lassen wir uns also von einem Gebet im Geiste des heiligen Franziskus inspirieren und wenden wir uns an Den, der die Wahrheit selbst ist:

Herr, mache uns zum Werkzeug deines Friedens.
Lass uns das Böse erkennen, das sich in eine Kommunikation einschleicht, die nicht Gemeinschaft schafft.
Gib, dass wir das Gift aus unseren Urteilen zu entfernen wissen.
Hilf uns, von den anderen als Brüder und Schwestern zu sprechen.
Du bist treu und unseres Vertrauens würdig; gib, dass unsere Worte Samen des Guten für die Welt sein mögen:
wo Lärm ist, lass uns zuhören;
wo Verwirrung herrscht, lass uns Harmonie verbreiten;
wo Zweideutigkeit ist, lass uns Klarheit bringen;
wo es Ausschließung gibt, lass uns das Miteinander schaffen;
wo Sensationssucht herrscht, lass uns Mäßigung wählen;
wo Oberflächlichkeit ist, lass uns wahre Fragen stellen;

wo es Vorurteile gibt, lass uns Vertrauen verbreiten;
wo Aggressivität herrscht, lass uns Respekt bringen;
wo es Falschheit gibt, lass uns Wahrheit schenken.
Amen.

Aus dem Vatikan, am 24. Januar 2018, dem Gedenktag des hl. Franz von Sales

FRANZISKUS

[00120-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«La verdad os hará libres» (Jn 8,32). Fake news y periodismo de paz

Queridos hermanos y hermanas:

En el proyecto de Dios, la comunicación humana es una modalidad esencial para vivir la comunión. El ser humano, imagen y semejanza del Creador, es capaz de expresar y compartir la verdad, el bien, la belleza. Es capaz de contar su propia experiencia y describir el mundo, y de construir así la memoria y la comprensión de los acontecimientos.

Pero el hombre, si sigue su propio egoísmo orgulloso, puede también hacer un mal uso de la facultad de comunicar, como muestran desde el principio los episodios bíblicos de Caín y Abel, y de la Torre de Babel (cf. Gn 4,1-16; 11,1-9). La alteración de la verdad es el síntoma típico de tal distorsión, tanto en el plano individual como en el colectivo. Por el contrario, en la fidelidad a la lógica de Dios, la comunicación se convierte en lugar para expresar la propia responsabilidad en la búsqueda de la verdad y en la construcción del bien.

Hoy, en un contexto de comunicación cada vez más veloz e inmersos dentro de un sistema digital, asistimos al fenómeno de las noticias falsas, las llamadas «fake news». Dicho fenómeno nos llama a la reflexión; por eso he dedicado este mensaje al tema de la verdad, como ya hicieron en diversas ocasiones mis predecesores a partir de Pablo VI (cf. Mensaje de 1972: «Los instrumentos de comunicación social al servicio de la verdad»). Quisiera ofrecer de este modo una aportación al esfuerzo común para prevenir la difusión de las noticias falsas, y para redescubrir el valor de la profesión periodística y la responsabilidad personal de cada uno en la comunicación de la verdad.

1. ¿Qué hay de falso en las «noticias falsas»?

«Fake news» es un término discutido y también objeto de debate. Generalmente alude a la desinformación difundida online o en los medios de comunicación tradicionales. Esta expresión se refiere, por tanto, a informaciones infundadas, basadas en datos inexistentes o distorsionados, que tienen como finalidad engañar o incluso manipular al lector para alcanzar determinados objetivos, influenciar las decisiones políticas u obtener ganancias económicas.

La eficacia de las fake news se debe, en primer lugar, a su naturaleza mimética, es decir, a su capacidad de aparecer como plausibles. En segundo lugar, estas noticias, falsas pero verosímiles, son capciosas, en el sentido de que son hábiles para capturar la atención de los destinatarios poniendo el acento en estereotipos y prejuicios extendidos dentro de un tejido social, y se apoyan en emociones fáciles de suscitar, como el ansia, el desprecio, la rabia y la frustración. Su difusión puede contar con el uso manipulador de las redes sociales y de las lógicas que garantizan su funcionamiento. De este modo, los contenidos, a pesar de carecer de fundamento, obtienen una visibilidad tal que incluso los desmentidos oficiales difícilmente consiguen contener los daños que producen.

La dificultad para desenmascarar y erradicar las fake news se debe asimismo al hecho de que las personas a menudo interactúan dentro de ambientes digitales homogéneos e impermeables a perspectivas y opiniones divergentes. El resultado de esta lógica de la desinformación es que, en lugar de realizar una sana comparación con otras fuentes de información, lo que podría poner en discusión positivamente los prejuicios y abrir un diálogo constructivo, se corre el riesgo de convertirse en actores involuntarios de la difusión de opiniones sectarias e infundadas. El drama de la desinformación es el desacreditar al otro, el presentarlo como enemigo, hasta llegar a la demonización que favorece los conflictos. Las noticias falsas revelan así la presencia de actitudes intolerantes e hipersensibles al mismo tiempo, con el único resultado de extender el peligro de la arrogancia y el odio. A esto conduce, en último análisis, la falsedad.

2. ¿Cómo podemos reconocerlas?

Ninguno de nosotros puede eximirse de la responsabilidad de hacer frente a estas falsedades. No es tarea fácil, porque la desinformación se basa frecuentemente en discursos heterogéneos, intencionadamente evasivos y sutilmente engañosos, y se sirve a veces de mecanismos refinados. Por eso son loables las iniciativas educativas que permiten aprender a leer y valorar el contexto comunicativo, y enseñan a no ser divulgadores inconscientes de la desinformación, sino activos en su desvelamiento. Son asimismo encomiables las iniciativas institucionales y jurídicas encaminadas a concretar normas que se opongan a este fenómeno, así como las que han puesto en marcha las compañías tecnológicas y de medios de comunicación, dirigidas a definir nuevos criterios para la verificación de las identidades personales que se esconden detrás de millones de perfiles digitales.

Pero la prevención y la identificación de los mecanismos de la desinformación requieren también un discernimiento atento y profundo. En efecto, se ha de desenmascarar la que se podría definir como la «lógica de la serpiente», capaz de camuflarse en todas partes y morder. Se trata de la estrategia utilizada por la «serpiente astuta» de la que habla el Libro del Génesis, la cual, en los albores de la humanidad, fue la artífice de la primera fake news (cf. Gn 3,1-15), que llevó a las trágicas consecuencias del pecado, y que se concretizaron luego en el primer fratricidio (cf. Gn 4) y en otras innumerables formas de mal contra Dios, el prójimo, la sociedad y la creación.

La estrategia de este hábil «padre de la mentira» (Jn 8,44) es la mímesis, una insidiosa y peligrosa seducción que se abre camino en el corazón del hombre con argumentaciones falsas y atrayentes. En la narración del pecado original, el tentador, efectivamente, se acerca a la mujer fingiendo ser su amigo e interesarse por su bien, y comienza su discurso con una afirmación verdadera, pero sólo en parte: «¿Conque Dios os ha dicho que no comáis de ningún árbol del jardín?» (Gn 3,1). En realidad, lo que Dios había dicho a Adán no era que no comieran de ningún árbol, sino tan solo de un árbol: «Del árbol del conocimiento del bien y el mal no comerás» (Gn 2,17). La mujer, respondiendo, se lo explica a la serpiente, pero se deja atraer por su provocación: «Podemos comer los frutos de los árboles del jardín; pero del fruto del árbol que está en mitad del jardín nos ha dicho Dios: “No comáis de él ni lo toquéis, de lo contrario moriréis”» (Gn 3,2). Esta respuesta tiene un sabor legalista y pesimista: habiendo dado credibilidad al falsario y dejándose seducir por su versión de los hechos, la mujer se deja engañar. Por eso, enseguida presta atención cuando le asegura: «No, no moriréis» (v. 4). Luego, la deconstrucción del tentador asume una apariencia creíble: «Dios sabe que el día en que comáis de él, se os abrirán los ojos, y seréis como Dios en el conocimiento del bien y el mal» (v. 5). Finalmente, se llega a desacreditar la recomendación paternal de Dios, que estaba dirigida al bien, para seguir la seductora incitación del enemigo: «La mujer se dio cuenta de que el árbol era bueno de comer, atrayente a los ojos y deseable» (v. 6). Este episodio bíblico revela por tanto un hecho esencial para nuestro razonamiento: ninguna desinformación es inocua; por el contrario, fiarse de lo que es falso produce consecuencias nefastas. Incluso una distorsión de la verdad aparentemente leve puede tener efectos peligrosos.

De lo que se trata, de hecho, es de nuestra codicia. Las fake news se convierten a menudo en virales, es decir, se difunden de modo veloz y difícilmente manejable, no a causa de la lógica de compartir que caracteriza a las redes sociales, sino más bien por la codicia insaciable que se enciende fácilmente en el ser humano.

Las mismas motivaciones económicas y oportunistas de la desinformación tienen su raíz en la sed de poder, de tener y de gozar que en último término nos hace víctimas de un engaño mucho más trágico que el de sus manifestaciones individuales: el del mal que se mueve de falsedad en falsedad para robarnos la libertad del corazón. He aquí porqué educar en la verdad significa educar para saber discernir, valorar y ponderar los deseos y las inclinaciones que se mueven dentro de nosotros, para no encontrarnos privados del bien «cayendo» en cada tentación.

3. «La verdad os hará libres» (Jn 8,32)

La continua contaminación a través de un lenguaje engañoso termina por ofuscar la interioridad de la persona. Dostoyevski escribió algo interesante en este sentido: «Quien se miente a sí mismo y escucha sus propias mentiras, llega al punto de no poder distinguir la verdad, ni dentro de sí mismo ni en torno a sí, y de este modo comienza a perder el respeto a sí mismo y a los demás. Luego, como ya no estima a nadie, deja también de amar, y para distraer el tedio que produce la falta de cariño y ocuparse en algo, se entrega a las pasiones y a los placeres más bajos; y por culpa de sus vicios, se hace como una bestia. Y todo esto deriva del continuo mentir a los demás y a sí mismo» (Los hermanos Karamazov, II,2).

Entonces, ¿cómo defendernos? El antídoto más eficaz contra el virus de la falsedad es dejarse purificar por la verdad. En la visión cristiana, la verdad no es sólo una realidad conceptual que se refiere al juicio sobre las cosas, definiéndolas como verdaderas o falsas. La verdad no es solamente el sacar a la luz cosas oscuras, «desvelar la realidad», como lleva a pensar el antiguo término griego que la designa, aletheia (de a-lethès, «no escondido»). La verdad tiene que ver con la vida entera. En la Biblia tiene el significado de apoyo, solidez, confianza, como da a entender la raíz ‘aman, de la cual procede también el Amén litúrgico. La verdad es aquello sobre lo que uno se puede apoyar para no caer. En este sentido relacional, el único verdaderamente fiable y digno de confianza, sobre el que se puede contar siempre, es decir, «verdadero», es el Dios vivo. He aquí la afirmación de Jesús: «Yo soy la verdad» (Jn 14,6). El hombre, por tanto, descubre y redescubre la verdad cuando la experimenta en sí mismo como fidelidad y fiabilidad de quien lo ama. Sólo esto libera al hombre: «La verdad os hará libres» (Jn 8,32).

Liberación de la falsedad y búsqueda de la relación: he aquí los dos ingredientes que no pueden faltar para que nuestras palabras y nuestros gestos sean verdaderos, auténticos, dignos de confianza. Para discernir la verdad es preciso distinguir lo que favorece la comunión y promueve el bien, y lo que, por el contrario, tiende a aislar, dividir y contraponer. La verdad, por tanto, no se alcanza realmente cuando se impone como algo extrínseco e impersonal; en cambio, brota de relaciones libres entre las personas, en la escucha recíproca. Además, nunca se deja de buscar la verdad, porque siempre está al acecho la falsedad, también cuando se dicen cosas verdaderas. Una argumentación impecable puede apoyarse sobre hechos innegables, pero si se utiliza para herir a otro y desacreditarlo a los ojos de los demás, por más que parezca justa, no contiene en sí la verdad. Por sus frutos podemos distinguir la verdad de los enunciados: si suscitan polémica, fomentan divisiones, infunden resignación; o si, por el contrario, llevan a la reflexión consciente y madura, al diálogo constructivo, a una laboriosidad provechosa.

4. La paz es la verdadera noticia

El mejor antídoto contra las falsedades no son las estrategias, sino las personas, personas que, libres de la codicia, están dispuestas a escuchar, y permiten que la verdad emerja a través de la fatiga de un diálogo sincero; personas que, atraídas por el bien, se responsabilizan en el uso del lenguaje. Si el camino para evitar la expansión de la desinformación es la responsabilidad, quien tiene un compromiso especial es el que por su oficio tiene la responsabilidad de informar, es decir: el periodista, custodio de las noticias. Este, en el mundo contemporáneo, no realiza sólo un trabajo, sino una verdadera y propia misión. Tiene la tarea, en el frenesí de las noticias y en el torbellino de las primicias, de recordar que en el centro de la noticia no está la velocidad en darla y el impacto sobre las cifras de audiencia, sinolas personas. Informar es formar, es involucrarse en la vida de las personas. Por eso la verificación de las fuentes y la custodia de la comunicación son verdaderos y propios procesos de desarrollo del bien que generan confianza y abren caminos de comunión y de paz.

Por lo tanto, deseo dirigir un llamamiento a promover un periodismo de paz, sin entender con esta expresión un periodismo «buenista» que niegue la existencia de problemas graves y asuma tonos empalagosos. Me refiero, por el contrario, a un periodismo sin fingimientos, hostil a las falsedades, a eslóganes efectistas y a declaraciones altisonantes; un periodismo hecho por personas para personas, y que se comprende como servicio a todos, especialmente a aquellos – y son la mayoría en el mundo– que no tienen voz; un periodismo que no queme las noticias, sino que se esfuerce en buscar las causas reales de los conflictos, para favorecer la comprensión de sus raíces y su superación a través de la puesta en marcha de procesos virtuosos; un periodismo empeñado en indicar soluciones alternativas a la escalada del clamor y de la violencia verbal.

Por eso, inspirándonos en una oración franciscana, podríamos dirigirnos a la Verdad en persona de la siguiente manera:

Señor, haznos instrumentos de tu paz.
Haznos reconocer el mal que se insinúa en una comunicación que no crea comunión.
Haznos capaces de quitar el veneno de nuestros juicios.
Ayúdanos a hablar de los otros como de hermanos y hermanas.
Tú eres fiel y digno de confianza; haz que nuestras palabras sean semillas de bien para el mundo:
donde hayruido, haz que practiquemos la escucha;
donde hay confusión, haz que inspiremos armonía;
donde hay ambigüedad, haz que llevemos claridad;
donde hay exclusión, haz que llevemos el compartir;
donde hay sensacionalismo, haz que usemos la sobriedad;
donde hay superficialidad, haz que planteemos interrogantes verdaderos;
donde hay prejuicio, haz que suscitemos confianza;
donde hay agresividad, haz que llevemos respeto;
donde hay falsedad, haz que llevemos verdad.
Amén.

Vaticano, 24 de enero de 2018, fiesta de san Francisco de Sales

FRANCISCO

[00120-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«A verdade vos tornará livres” (Jo 8, 32)». Fake news e jornalismo de paz

Queridos irmãos e irmãs!

No projeto de Deus, a comunicação humana é uma modalidade essencial para viver a comunhão. Imagem e semelhança do Criador, o ser humano é capaz de expressar e compartilhar o verdadeiro, o bom e o belo. É capaz de narrar a sua própria experiência e o mundo, construindo assim a memória e a compreensão dos acontecimentos. Mas, se orgulhosamente seguir o seu egoísmo, o homem pode usar de modo distorcido a própria faculdade de comunicar, como o atestam, já nos primórdios, os episódios bíblicos dos irmãos Caim e Abel e da Torre de Babel (cf. Gn 4, 1-16; 11, 1-9). Sintoma típico de tal distorção é a alteração da verdade, tanto no plano individual como no coletivo. Se, pelo contrário, se mantiver fiel ao projeto de Deus, a comunicação torna-se lugar para exprimir a própria responsabilidade na busca da verdade e na construção do bem. Hoje, no contexto duma comunicação cada vez mais rápida e dentro dum sistema digital, assistimos ao fenómeno das «notícias falsas», as chamadas fake news: isto convida-nos a refletir, sugerindo-me dedicar esta Mensagem ao tema da verdade, como aliás já mais vezes o fizeram os meus predecessores a começar por Paulo VI (cf. Mensagem de 1972: «Os instrumentos de comunicação social ao serviço da Verdade»). Gostaria, assim, de contribuir para o esforço comum de prevenir a difusão das notícias falsas e para redescobrir o valor da profissão jornalística e a responsabilidade pessoal de cada um na comunicação da verdade.

1. Que há de falso nas «notícias falsas»?

A expressão fake news é objeto de discussão e debate. Geralmente diz respeito à desinformação transmitida on-line ou nos mass-media tradicionais. Assim, a referida expressão alude a informações infundadas, baseadas em dados inexistentes ou distorcidos, tendentes a enganar e até manipular o destinatário. A sua divulgação pode visar objetivos prefixados, influenciar opções políticas e favorecer lucros económicos.

A eficácia das fake news fica-se a dever, em primeiro lugar, à sua natureza mimética, ou seja, à capacidade de se apresentar como plausíveis. Falsas mas verosímeis, tais notícias são capciosas, no sentido que se mostram hábeis a capturar a atenção dos destinatários, apoiando-se sobre estereótipos e preconceitos generalizados no seio dum certo tecido social, explorando emoções imediatas e fáceis de suscitar como a ansiedade, o desprezo, a ira e a frustração. A sua difusão pode contar com um uso manipulador das redes sociais e das lógicas que subjazem ao seu funcionamento: assim os conteúdos, embora desprovidos de fundamento, ganham tal visibilidade que os próprios desmentidos categorizados dificilmente conseguem circunscrever os seus danos.

A dificuldade em desvendar e erradicar as fake news é devida também ao facto de as pessoas interagirem muitas vezes dentro de ambientes digitais homogéneos e impermeáveis a perspetivas e opiniões divergentes. Esta lógica da desinformação tem êxito, porque, em vez de haver um confronto sadio com outras fontes de informação (que poderia colocar positivamente em discussão os preconceitos e abrir para um diálogo construtivo), corre-se o risco de se tornar atores involuntários na difusão de opiniões tendenciosas e infundadas. O drama da desinformação é o descrédito do outro, a sua representação como inimigo, chegando-se a uma demonização que pode fomentar conflitos. Deste modo, as notícias falsas revelam a presença de atitudes simultaneamente intolerantes e hipersensíveis, cujo único resultado é o risco de se dilatar a arrogância e o ódio. É a isto que leva, em última análise, a falsidade.

2. Como podemos reconhecê-las?

Nenhum de nós se pode eximir da responsabilidade de contrastar estas falsidades. Não é tarefa fácil, porque a desinformação se baseia muitas vezes sobre discursos variegados, deliberadamente evasivos e subtilmente enganadores, valendo-se por vezes de mecanismos refinados. Por isso, são louváveis as iniciativas educativas que permitem apreender como ler e avaliar o contexto comunicativo, ensinando a não ser divulgadores inconscientes de desinformação, mas atores do seu desvendamento. Igualmente louváveis são as iniciativas institucionais e jurídicas empenhadas na definição de normativas que visam circunscrever o fenómeno, e ainda iniciativas, como as empreendidas pelas tech e media company, idóneas para definir novos critérios capazes de verificar as identidades pessoais que se escondem por detrás de milhões de perfis digitais.

Mas a prevenção e identificação dos mecanismos da desinformação requerem também um discernimento profundo e cuidadoso. Com efeito, é preciso desmascarar uma lógica, que se poderia definir como a «lógica da serpente», capaz de se camuflar e morder em qualquer lugar. Trata-se da estratégia utilizada pela serpente – «o mais astuto de todos os animais», como diz o livro do Génesis (cf. 3, 1-15) – a qual se tornou, nos primórdios da humanidade, artífice da primeira fake news, que levou às trágicas consequências do pecado, concretizadas depois no primeiro fratricídio (cf. Gn 4) e em inúmeras outras formas de mal contra Deus, o próximo, a sociedade e a criação. A estratégia deste habilidoso «pai da mentira» (Jo 8, 44) é precisamente a mimese, uma rastejante e perigosa sedução que abre caminho no coração do homem com argumentações falsas e aliciantes. De facto, na narração do pecado original, o tentador aproxima-se da mulher, fingindo ser seu amigo e interessar-se pelo seu bem. Começa o diálogo com uma afirmação verdadeira, mas só em parte: «É verdade ter-vos Deus proibido comer o fruto de alguma árvore do jardim?» (Gn 3, 1). Na realidade, o que Deus dissera a Adão não foi que não comesse de nenhuma árvore, mas apenas de uma árvore: «Não comas o [fruto] da árvore do conhecimento do bem e do mal» (Gn 2, 17). Retorquindo, a mulher explica isso mesmo à serpente, mas deixa-se atrair pela sua provocação: «Podemos comer o fruto das árvores do jardim; mas, quanto ao fruto da árvore que está no meio do jardim, Deus disse: “Nunca o deveis comer nem sequer tocar nele, pois, se o fizerdes, morrereis”» (Gn 3, 2-3). Esta resposta tem sabor a legalismo e pessimismo: dando crédito ao falsário e deixando-se atrair pela sua apresentação dos factos, a mulher extravia-se. Em primeiro lugar, dá ouvidos à sua réplica tranquilizadora: «Não, não morrereis» (3, 4). Depois a argumentação do tentador assume uma aparência credível: «Deus sabe que, no dia em que comerdes [desse fruto], abrir-se-ão os vossos olhos e sereis como Deus, ficareis a conhecer o bem e o mal» (3, 5). Enfim, ela chega a desconfiar da recomendação paterna de Deus, que tinha em vista o seu bem, para seguir o aliciamento sedutor do inimigo: «Vendo a mulher que o fruto devia ser bom para comer, pois era de atraente aspeto (…) agarrou do fruto, comeu» (3, 6). Este episódio bíblico revela assim um facto essencial para o nosso tema: nenhuma desinformação é inofensiva; antes pelo contrário, fiar-se daquilo que é falso produz consequências nefastas. Mesmo uma distorção da verdade aparentemente leve pode ter efeitos perigosos.

De facto, está em jogo a nossa avidez. As fake news tornam-se frequentemente virais, ou seja, propagam-se com grande rapidez e de forma dificilmente controlável, não tanto pela lógica de partilha que carateriza os meios de comunicação social como sobretudo pelo fascínio que detêm sobre a avidez insaciável que facilmente se acende no ser humano. As próprias motivações económicas e oportunistas da desinformação têm a sua raiz na sede de poder, ter e gozar, que, em última instância, nos torna vítimas de um embuste muito mais trágico do que cada uma das suas manifestações: o embuste do mal, que se move de falsidade em falsidade para nos roubar a liberdade do coração. Por isso mesmo, educar para a verdade significa ensinar a discernir, a avaliar e ponderar os desejos e as inclinações que se movem dentro de nós, para não nos encontrarmos despojados do bem «mordendo a isca» em cada tentação.

3. «A verdade vos tornará livres» (Jo 8, 32)

De facto, a contaminação contínua por uma linguagem enganadora acaba por ofuscar o íntimo da pessoa. Dostoevskij deixou escrito algo de notável neste sentido: «Quem mente a si mesmo e escuta as próprias mentiras, chega a pontos de já não poder distinguir a verdade dentro de si mesmo nem ao seu redor, e assim começa a deixar de ter estima de si mesmo e dos outros. Depois, dado que já não tem estima de ninguém, cessa também de amar, e então na falta de amor, para se sentir ocupado e distrair, abandona-se às paixões e aos prazeres triviais e, por culpa dos seus vícios, torna-se como uma besta; e tudo isso deriva do mentir contínuo aos outros e a si mesmo» (Os irmãos Karamazov, II, 2).

E então como defender-nos? O antídoto mais radical ao vírus da falsidade é deixar-se purificar pela verdade. Na visão cristã, a verdade não é uma realidade apenas conceptual, que diz respeito ao juízo sobre as coisas, definindo-as verdadeiras ou falsas. A verdade não é apenas trazer à luz coisas obscuras, «desvendar a realidade», como faz pensar o termo que a designa em grego: aletheia, de a-lethès, «não escondido». A verdade tem a ver com a vida inteira. Na Bíblia, reúne os significados de apoio, solidez, confiança, como sugere a raiz ‘aman (daqui provém o próprio Amen litúrgico). A verdade é aquilo sobre o qual nos podemos apoiar para não cair. Neste sentido relacional, o único verdadeiramente fiável e digno de confiança sobre o qual se pode contar, ou seja, o único «verdadeiro» é o Deus vivo. Eis a afirmação de Jesus: «Eu sou a verdade» (Jo 14, 6). Sendo assim, o homem descobre sempre mais a verdade, quando a experimenta em si mesmo como fidelidade e fiabilidade de quem o ama. Só isto liberta o homem: «A verdade vos tornará livres» (Jo 8, 32).

Libertação da falsidade e busca do relacionamento: eis aqui os dois ingredientes que não podem faltar, para que as nossas palavras e os nossos gestos sejam verdadeiros, autênticos e fiáveis. Para discernir a verdade, é preciso examinar aquilo que favorece a comunhão e promove o bem e aquilo que, ao invés, tende a isolar, dividir e contrapor. Por isso, a verdade não se alcança autenticamente quando é imposta como algo de extrínseco e impessoal; mas brota de relações livres entre as pessoas, na escuta recíproca. Além disso, não se acaba jamais de procurar a verdade, porque algo de falso sempre se pode insinuar, mesmo ao dizer coisas verdadeiras. De facto, uma argumentação impecável pode basear-se em factos inegáveis, mas, se for usada para ferir o outro e desacreditá-lo à vista alheia, por mais justa que apareça, não é habitada pela verdade. A partir dos frutos, podemos distinguir a verdade dos vários enunciados: se suscitam polémica, fomentam divisões, infundem resignação ou se, em vez disso, levam a uma reflexão consciente e madura, ao diálogo construtivo, a uma profícua atividade.

4. A paz é a verdadeira notícia

O melhor antídoto contra as falsidades não são as estratégias, mas as pessoas: pessoas que, livres da ambição, estão prontas a ouvir e, através da fadiga dum diálogo sincero, deixam emergir a verdade; pessoas que, atraídas pelo bem, se mostram responsáveis no uso da linguagem. Se a via de saída da difusão da desinformação é a responsabilidade, particularmente envolvido está quem, por profissão, é obrigado a ser responsável ao informar, ou seja, o jornalista, guardião das notícias. No mundo atual, ele não desempenha apenas uma profissão, mas uma verdadeira e própria missão. No meio do frenesim das notícias e na voragem dos scoop, tem o dever de lembrar que, no centro da notícia, não estão a velocidade em comunicá-la nem o impacto sobre a audience, mas as pessoas. Informar é formar, é lidar com a vida das pessoas. Por isso, a precisão das fontes e a custódia da comunicação são verdadeiros e próprios processos de desenvolvimento do bem, que geram confiança e abrem vias de comunhão e de paz.

Por isso desejo convidar a que se promova um jornalismo de paz, sem entender, com esta expressão, um jornalismo «bonzinho», que negue a existência de problemas graves e assuma tons melífluos. Pelo contrário, penso num jornalismo sem fingimentos, hostil às falsidades, a slogans sensacionais e a declarações bombásticas; um jornalismo feito por pessoas para as pessoas e considerado como serviço a todas as pessoas, especialmente àquelas – e no mundo, são a maioria – que não têm voz; um jornalismo que não se limite a queimar notícias, mas se comprometa na busca das causas reais dos conflitos, para favorecer a sua compreensão das raízes e a sua superação através do aviamento de processos virtuosos; um jornalismo empenhado a indicar soluções alternativas às escalation do clamor e da violência verbal.

Por isso, inspirando-nos numa conhecida oração franciscana, poderemos dirigir-nos, à Verdade em pessoa, nestes termos:

Senhor, fazei de nós instrumentos da vossa paz.
Fazei-nos reconhecer o mal que se insinua em uma comunicação que não
cria comunhão.
Tornai-nos capazes de tirar o veneno dos nossos juízos.
Ajudai-nos a falar dos outros como de irmãos e irmãs.
Vós sois fiel e digno de confiança;
fazei que as nossas palavras sejam sementes de bem para o mundo:
onde houver rumor, fazei que pratiquemos a escuta;
onde houver confusão, fazei que inspiremos harmonia;
onde houver ambiguidade, fazei que levemos clareza;
onde houver exclusão, fazei que levemos partilha;
onde houver sensacionalismo, fazei que usemos sobriedade;
onde houver superficialidade, fazei que ponhamos interrogativos

verdadeiros;
onde houver preconceitos, fazei que despertemos confiança;
onde houver agressividade, fazei que levemos respeito;
onde houver falsidade, fazei que levemos verdade.
Amen.

Vaticano, 24 de janeiro – Memória de São Francisco de Sales – do ano de 2018.

FRANCISCO

[00120-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Prawda was wyzwoli” (J 8, 32). Fake news a dziennikarstwo pokoju.

Drodzy bracia i siostry,

W Bożym zamyśle ludzka komunikacja jest istotnym sposobem, aby żyć w komunii. Istota ludzka, będąca obrazem i podobieństwem Stwórcy zdolna jest do wyrażania i dzielenia się tym, co prawdziwe, dobre, piękne. Potrafi opowiedzieć o swoim doświadczeniu i świecie, oraz budować w ten sposób pamięć i zrozumienie wydarzeń. Ale człowiek, jeśli podąża za swoim zarozumiałym egoizmem, może również w sposób wypaczony wykorzystywać zdolność komunikacji, jak to ukazują od samego początku wydarzenia biblijne Kaina i Abla oraz wieży Babel (por. Rdz 4,1-16; 11,1-9). Wypaczenie prawdy jest typowym objawem tego zakłócenia, zarówno w płaszczyźnie indywidualnej, jak i zbiorowej. Natomiast dochowując wierności logice Boga, komunikacja staje się miejscem wyrażania własnej odpowiedzialności w poszukiwaniu prawdy i budowaniu dobra. Dzisiaj, w sytuacji coraz szybszej komunikacji oraz w obrębie systemu cyfrowego jesteśmy świadkami zjawiska „fałszywych wiadomości”, tak zwanych fake news: zachęca nas ono do refleksji i zasugerowało mi poświęcenie tego orędzia tematowi prawdy, podobnie jak to uczynili już wiele razy moi poprzednicy, począwszy od Pawła VI (por. Orędzie 1972: Środki masowego przekazu w służbie prawdy). Chciałbym w ten sposób przyczynić się do wspólnego starania o zapobieganie rozpowszechnianiu fałszywych wiadomości oraz do odkrycia na nowo wartości zawodu dziennikarskiego, a także osobistej odpowiedzialności wszystkich za przekazywanie prawdy.

1. Co jest fałszywe w „fałszywych wiadomościach”?

Fake news to termin omawiany i przedmiot debaty. Zasadniczo dotyczy dezinformacji rozpowszechnianej w internecie lub w mediach tradycyjnych. Wyrażenie to odnosi się zatem do bezpodstawnej informacji, opartej na nieistniejących lub zniekształconych danych i zmierzającej do oszukania, a nawet manipulowania czytelnikiem. Ich rozpowszechnianie może odpowiadać pożądanym celom, wpływać na decyzje polityczne i sprzyjać korzyściom ekonomicznym.

Skuteczność fake news wynika przede wszystkim z ich charakteru mimetycznego, to jest zdolności, by wydawały się prawdopodobnymi. Po drugie, wiadomości te fałszywe, ale prawdopodobne, są podchwytliwe, w tym sensie, że potrafią przyciągać uwagę adresatów, opierając się na stereotypach i uprzedzeniach rozpowszechnionych w strukturze społecznej, wykorzystując emocje, które można łatwo i niezwłocznie rozbudzić, takie jak lęk, pogarda, gniew i frustracja. Ich rozpowszechnienie może liczyć na manipulacyjne wykorzystywanie sieci społecznościowych oraz logiki, która gwarantuje im funkcjonowanie: w ten sposób treści, chociaż pozbawione podstaw, zyskują taką widzialność, że nawet wiarygodnym zaprzeczeniom z trudem udaje się zredukować ich szkody.

Trudność ujawnienia i wykorzenienia fake news spowodowana jest też faktem, że ludzie często wchodzą w interakcje w obrębie jednorodnych i nieprzeniknionych dla innych perspektyw i opinii środowisk cyfrowych. Wynikiem tej logiki dezinformacji jest to, że zamiast zdrowej konfrontacji z innymi źródłami informacji, co mogłoby pozytywnie poddać w wątpliwość uprzedzenia i otworzyć na konstruktywny dialog, grozi nam stanie się mimowolnymi sprawcami rozpowszechniania opinii stronniczych i nieuzasadnionych. Dramat dezinformacji polega na dyskredytowaniu drugiego, przedstawianiu go jako wroga, aż po demonizację, która może podżegać do konfliktów. Informacje fałszywe ujawniają w ten sposób obecność postaw, które są jednocześnie nietolerancyjne i przewrażliwione, z jedynym skutkiem, że arogancja i nienawiść mogą się rozprzestrzeniać. Do tego ostatecznie prowadzi kłamstwo.

2. Jak je możemy rozpoznać?

Nikt z nas nie może zwalniać się z odpowiedzialności za przeciwdziałanie tym fałszerstwom. Nie jest to zadanie łatwe, ponieważ dezinformacja często opiera się na zróżnicowanym dyskursie, umyślnie pokrętnym i subtelnie wprowadzającym w błąd, a czasami wykorzystującym wyrafinowane mechanizmy. Dlatego też bardzo godne pochwały są inicjatywy edukacyjne, które pozwalają nauczyć się, jak czytać i oceniać kontekst komunikacyjny, ucząc by nie być nieświadomymi propagatorami dezinformacji, ale przyczyniać się do jej odkrycia. Równie godne pochwały się inicjatywy instytucjonalne i prawne, starające się określić regulacje mające na celu powstrzymywanie tego zjawiska, a także podejmowane przez firmy technologiczne i medialne, służące określeniu nowych kryteriów dla weryfikacji tożsamości jednostek, które kryją się za milionami profili cyfrowych.

Ale zapobieganie i wskazanie mechanizmów dezinformacji wymaga również głębokiego i starannego rozeznania. Trzeba bowiem zdemaskować to, co można określić jako „logikę węża”, zdolnego wszędzie do maskowania się i ukąszenia. Jest to strategia stosowana przez węża „podstępnego”, o którym mowa w Księdze Rodzaju, a który u zarania ludzkości stał się twórcą pierwszego „fake newsa” (por. Rdz 3,1-15) Doprowadził on do tragicznych konsekwencji grzechu, którego wynikiem było następnie pierwsze bratobójstwo (por. Rdz 4) a także inne niezliczone formy zła przeciwko Bogu, bliźniemu, społeczeństwu i stworzeniu. Strategią tego sprytnego „ojca kłamstwa” (J 8, 44) jest właśnie mimesis, pełzające i niebezpieczne uwodzenie, które znajduje drogę w sercu człowieka poprzez fałszywe i kuszące argumentacje. W opisie grzechu pierworodnego kusiciel podchodzi rzeczywiście do kobiety udając przyjaciela, zainteresowanego jej dobrem i zaczyna swoją mowę od stwierdzenia prawdziwego, ale tylko częściowo: „Czy rzeczywiście Bóg powiedział: Nie jedzcie owoców ze wszystkich drzew tego ogrodu?” (Rdz 3, 1). W istocie to, co Bóg powiedział Adamowi, nie było zakazem jedzenia z wszystkich drzew, lecz tylko z jednego: „Z drzewa poznania dobra i zła nie wolno ci jeść” (Rdz 2, 17). Kobieta odpowiadając wyjaśniła to wężowi, ale dała się oczarować jego prowokacji: „O owocach z drzewa, które jest w środku ogrodu, Bóg powiedział: Nie wolno wam jeść z niego, a nawet go dotykać, abyście nie pomarli” (Rdz 3,2). Ta odpowiedź wie coś, o legalizmie i pesymizmie: nadając wiarygodność fałszerzowi, dając się oczarować jego ustawieniu faktów, kobieta zostaje sprowadzona na manowce. Zatem najpierw zwraca uwagę na jego zapewnienie: „Na pewno nie umrzecie!” (w. 4). Następnie dekonstrukcja kusiciela nabiera pozorów wiarygodności: „Wie Bóg, że gdy spożyjecie owoc z tego drzewa, otworzą się wam oczy i tak jak Bóg będziecie znali dobro i zło” (w.5). Wreszcie dochodzimy do podważenia ojcowskiego zalecenia Boga, które zmierzało ku dobru, aby pójść za uwodzicielską pokusą nieprzyjaciela. „Niewiasta spostrzegła, że drzewo to ma owoce dobre do jedzenia, że jest ono rozkoszą dla oczu i że owoce tego drzewa nadają się do zdobycia wiedzy” (w. 6 ). Ten biblijny epizod ujawnia zatem istotny dla naszego dyskursu fakt: żadna dezinformacja nie jest nieszkodliwa; wręcz przeciwnie, ufanie temu, co fałszywe, powoduje szkodliwe następstwa. Nawet pozornie niewielkie zniekształcenie prawdy może mieć groźne skutki.

W grę wchodzi bowiem nasza chciwość. Fake news stają się często wirusowe, to znaczy rozprzestrzeniają się w szybki i trudny do powstrzymania sposób, nie ze względu na logikę dzielenia się, która charakteryzuje media społecznościowe, ile raczej ze względu na ich oparcie w nienasyconej chciwości, która łatwo rozpala się w człowieku. Same ekonomiczne i oportunistyczne motywacje dezinformacji mają swoje korzenie w żądzy władzy, posiadania i używania życia, która w ostatecznym rachunku czyni nas ofiarami oszustwa znacznie bardziej tragicznego, niż każdy jego pojedynczy przejaw: zła, które przechodzi od fałszu do fałszu, aby nam skraść wolność serca. Właśnie dlatego wychowywanie do prawdy oznacza wychowywanie do rozeznawania, do oceniania i rozważania pragnień i skłonności, które poruszają się w nas, abyśmy nie byli pozbawieni dobra, „łapiąc się” na każdą pokusę.

3. „Prawda was wyzwoli” (J 8,32).

Ciągłe skażenie oszukańczym językiem kończy się bowiem zaciemnieniem wnętrza człowieka. Dostojewski napisał coś niezwykłego w tym względzie: „Ten, kto łże przed samym sobą i słucha własnych łgarstw, doprowadza się do tego, że już żadnej prawdy ni w sobie, ni wokół siebie nie znajduje i traci w końcu szacunek do siebie i do innych. Nie szanując nikogo kochać przestaje, a żeby, nie znając miłości, zająć się czymś i rozerwać, oddaje się żądzom i prymitywnym rozkoszom i osiąga stan całkowitego zbydlęcenia w rozpuście swej, a wszystko to z łgarstwa względem innych ludzi i samego siebie” (Bracia Karamazow, II, 2).

Jak się zatem bronić? Najbardziej radykalne antidotum na wirus fałszu to dać się oczyścić przez prawdę. W wizji chrześcijańskiej prawda nie jest wyłącznie rzeczywistością pojęciową, która dotyczy osądu rzeczy, określając je jako prawdziwe lub fałszywe. Prawda to nie tylko wydobywanie na światło rzeczy mrocznych, „odsłanianie rzeczywistości”, jak to określa starożytny grecki termin, aletheia (od a-lethès, „nie ukryte”), prowadzi do myślenia. Prawda ma związek z całym życiem. W Biblii niesie ona ze sobą znaczenie wsparcia, solidności, zaufania, jak sugeruje to rdzeń „aman”, z którego pochodzi również liturgiczne Amen. Prawdą, jest to na czym można się oprzeć, aby nie upaść. W tym sensie relacyjnym, jedynym prawdziwie wiarygodnym i godnym zaufania, na którego można liczyć, czyli „prawdziwym”, jest Bóg żyjący. Oto stwierdzenie Jezusa: „Ja jestem prawdą” (J 14, 6). Zatem człowiek znajduje i odkrywa na nowo prawdę, kiedy doświadcza jej w sobie jako wierność i niezawodność tego, kto go kocha. Tylko to wyzwala człowieka: „Prawda was wyzwoli” (J 8, 32).

Wyzwolenie z fałszu i poszukiwanie relacji: oto dwa składniki, których nie może zabraknąć, aby nasze słowa i nasze gesty były prawdziwe, autentyczne i wiarygodne. Aby rozpoznać prawdę należy przemyśleć to, co wspiera jedność i promuje dobro a także to co, przeciwnie, zmierza do izolowania, dzielenia i przeciwstawiania jednych drugim. Nie zyskuje się zatem rzeczywiście prawdy, gdy jest narzucona jako coś zewnętrznego i bezosobowego; wypływa ona natomiast ze swobodnych relacji między ludźmi, we wzajemnym wysłuchaniu siebie. Co więcej, nigdy nie przestajemy szukać prawdy, ponieważ coś fałszywego może zawsze się wkraść, nawet kiedy mówimy rzeczy prawdziwe. Bezsprzeczny argument może rzeczywiście opierać się na niezaprzeczalnych faktach, ale jeśli jest używany do zranienia drugiego i zdyskredytowania go w oczach innych, niezależnie od tego, jak bardzo wydawałoby się to słuszne, nie ma w sobie prawdy. Prawdę sformułowań możemy rozpoznać po owocach: jeśli budzą polemikę, podżegają do podziałów, tchną rezygnację lub jeśli przeciwnie prowadzą do świadomej i dojrzałej refleksji, konstruktywnego dialogu, do pożytecznej działalności.

4. Pokój jest wiadomością prawdziwą

Najlepszym antidotum na fałsz nie są strategie, ale ludzie: osoby będące wolnymi od chciwości, które są gotowe do wysłuchania, i poprzez trud szczerego dialogu pozwalają wyłonić się prawdzie; osoby pociągnięte dobrem, biorące na siebie odpowiedzialność za używanie języka. Jeśli drogą wyjścia z rozprzestrzeniania się dezinformacji jest odpowiedzialność, to szczególnie zaangażowanym jest ten, kto z urzędu jest zobowiązany do bycia odpowiedzialnym za informowanie czyli dziennikarz, strażnik wiadomości. We współczesnym świecie nie tylko wykonuje on pracę, ale prawdziwą i w pełnym tego słowa znaczeniu misję. W szale wieści i wirze gorących tematów jego zadaniem jest przypominanie, że w centrum wiadomości nie jest szybkość w nadaniu jej i wpływ na odbiorców, ale osoby. Informowanie to formowanie, i ma ono coś wspólnego z życiem ludzi. Z tego powodu poprawność źródeł i strzeżenie komunikacji są prawdziwymi procesami rozwoju dobra, które rodzą zaufanie i otwierają drogi jedności i pokoju.

Chciałbym zatem skierować zachętę do krzewienia dziennikarstwa pokoju. Nie rozumiem przez to wyrażenie dziennikarstwa „dobrodusznego”, zaprzeczającego istnieniu poważnych problemów i przyjmującego ckliwe tony. Mam na myśli, przeciwnie, dziennikarstwo bez udawania, wrogie fałszom, sloganom dla efektu i spektakularnym deklaracjom. Dziennikarstwo uprawiane przez osoby dla osób, pojmujące siebie jako służba wszystkim ludziom, zwłaszcza tym, stanowiącym większość na świecie, którzy nie mają głosu; dziennikarstwo, które nie spalałoby wiadomości, ale angażowało by się w poszukiwanie prawdziwych przyczyn konfliktów, aby sprzyjać ich dogłębnemu zrozumieniu i przezwyciężaniu przez rozpoczęcie korzystnych procesów; dziennikarstwo zaangażowane we wskazywanie rozwiązań alternatywnych dla eskalacji wrzasku i przemocy słownej.

Dlatego też, zainspirowani modlitwą franciszkańską, moglibyśmy zwrócić się do Tego, który jest uosobieniem Prawdy:

O Panie, uczyń nas narzędziami Twojego pokoju,
Spraw, abyśmy rozpoznawali zło, które wkrada się w przekaz nie tworzący jedności.
Uczyń nas zdolnymi do usunięcia trucizny z naszych osądów. Pomóż nam mówić o innych, jako o braciach i siostrach.
Ty jesteś wierny i godny zaufania; spraw, aby nasze słowa były ziarnami dobra dla świata:
abyśmy tam gdzie zgiełk, trwali w wysłuchiwaniu;
gdzie zamęt, rozbudzali harmonię;
gdzie dwuznaczność, wnosili jasność;
tam, gdzie wykluczenie, zanosili dzielenie się;
gdzie pogoń za sensacją, byli wstrzemięźliwi;
gdzie powierzchowność, zadawali prawdziwe pytania;
tam, gdzie uprzedzenia, budzili zaufanie;
gdzie agresja, wnosili szacunek;
gdzie fałsz, przynosili prawdę. Amen.

Watykan, 24 stycznia 2018 roku

FRANCISCUS

[00120-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0062-XX.02]