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Santa Messa nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 51.ma Giornata Mondiale della Pace, 01.01.2018


 

            Omelia del Santo Padre

            Traduzione in lingua francese

            Traduzione in lingua inglese

            Traduzione in lingua tedesca

            Traduzione in lingua spagnola

            Traduzione in lingua portoghese

            Traduzione in lingua polacca

            Traduzione in lingua araba

 

            Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione della Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 51.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema: «Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace».

            Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo:

 

Omelia del Santo Padre

L’anno si apre nel nome della Madre di Dio. Madre di Dio è il titolo più importante della Madonna. Ma una domanda potrebbe sorgere: perché diciamo Madre di Dio e non Madre di Gesù? Alcuni, in passato, chiesero di limitarsi a questo, ma la Chiesa ha affermato: Maria è Madre di Dio. Dobbiamo essere grati perché in queste parole è racchiusa una verità splendida su Dio e su di noi. E cioè che, da quando il Signore si è incarnato in Maria, da allora e per sempre, porta la nostra umanità attaccata addosso. Non c’è più Dio senza uomo: la carne che Gesù ha preso dalla Madre è sua anche ora e lo sarà per sempre. Dire Madre di Dio ci ricorda questo: Dio è vicino all’umanità come un bimbo alla madre che lo porta in grembo.

La parola madre (mater), rimanda anche alla parola materia. Nella sua Madre, il Dio del cielo, il Dio infinito si è fatto piccolo, si è fatto materia, per essere non solo con noi, ma anche come noi. Ecco il miracolo, ecco la novità: l’uomo non è più solo; mai più orfano, è per sempre figlio. L’anno si apre con questa novità. E noi la proclamiamo così, dicendo: Madre di Dio! È la gioia di sapere che la nostra solitudine è vinta. È la bellezza di saperci figli amati, di sapere che questa nostra infanzia non ci potrà mai essere tolta. È specchiarci nel Dio fragile e bambino in braccio alla Madre e vedere che l’umanità è cara e sacra al Signore. Perciò, servire la vita umana è servire Dio e ogni vita, da quella nel grembo della madre a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, va accolta, amata e aiutata.

Lasciamoci ora guidare dal Vangelo di oggi. Della Madre di Dio si dice una sola frase: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Custodiva. Semplicemente custodiva. Maria non parla: il Vangelo non riporta neanche una sua parola in tutto il racconto del Natale. Anche in questo la Madre è unita al Figlio: Gesù è infante, cioè “senza parola”. Lui, il Verbo, la Parola di Dio che «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato» (Eb 1,1), ora, nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), è muto. Il Dio davanti a cui si tace è un bimbo che non parla. La sua maestà è senza parole, il suo mistero di amore si svela nella piccolezza. Questa piccolezza silenziosa è il linguaggio della sua regalità. La Madre si associa al Figlio e custodisce nel silenzio.

E il silenzio ci dice che anche noi, se vogliamo custodirci, abbiamo bisogno di silenzio. Abbiamo bisogno di rimanere in silenzio guardando il presepe. Perché davanti al presepe ci riscopriamo amati, assaporiamo il senso genuino della vita. E guardando in silenzio, lasciamo che Gesù parli al nostro cuore: che la sua piccolezza smonti la nostra superbia, che la sua povertà disturbi le nostre fastosità, che la sua tenerezza smuova il nostro cuore insensibile. Ritagliare ogni giorno un momento di silenzio con Dio è custodire la nostra anima; è custodire la nostra libertà dalle banalità corrosive del consumo e dagli stordimenti della pubblicità, dal dilagare di parole vuote e dalle onde travolgenti delle chiacchiere e del clamore.

Maria custodiva, prosegue il Vangelo, tutte queste cose, meditandole. Quali erano queste cose? Erano gioie e dolori: da una parte la nascita di Gesù, l’amore di Giuseppe, la visita dei pastori, quella notte di luce. Ma dall’altra: un futuro incerto, la mancanza di una casa, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7); la desolazione del rifiuto; la delusione di aver dovuto far nascere Gesù in una stalla. Speranze e angosce, luce e tenebra: tutte queste cose popolavano il cuore di Maria. E lei, che cosa ha fatto? Le ha meditate, cioè le ha passate in rassegna con Dio nel suo cuore. Niente ha tenuto per sé, niente ha rinchiuso nella solitudine o affogato nell’amarezza, tutto ha portato a Dio. Così ha custodito. Affidando si custodisce: non lasciando la vita in preda alla paura, allo sconforto o alla superstizione, non chiudendosi o cercando di dimenticare, ma facendo di tutto un dialogo con Dio. E Dio che ci ha a cuore, viene ad abitare le nostre vite.

Ecco i segreti della Madre di Dio: custodire nel silenzio e portare a Dio. Ciò avveniva, conclude il Vangelo, nel suo cuore. Il cuore invita a guardare al centro della persona, degli affetti, della vita. Anche noi, cristiani in cammino, all’inizio dell’anno sentiamo il bisogno di ripartire dal centro, di lasciare alle spalle i fardelli del passato e di ricominciare da ciò che conta. Ecco oggi davanti a noi il punto di partenza: la Madre di Dio. Perché Maria è come Dio ci vuole, come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita. Per ripartire, guardiamo alla Madre. Nel suo cuore batte il cuore della Chiesa. Per andare avanti, ci dice la festa di oggi, occorre tornare indietro: ricominciare dal presepe, dalla Madre che tiene in braccio Dio.

La devozione a Maria non è galateo spirituale, è un’esigenza della vita cristiana. Guardando alla Madre siamo incoraggiati a lasciare tante zavorre inutili e a ritrovare ciò che conta. Il dono della Madre, il dono di ogni madre e di ogni donna è tanto prezioso per la Chiesa, che è madre e donna. E mentre l’uomo spesso astrae, afferma e impone idee, la donna, la madre, sa custodire, collegare nel cuore, vivificare. Perché la fede non si riduca solo a idea o a dottrina, abbiamo bisogno, tutti, di un cuore di madre, che sappia custodire la tenerezza di Dio e ascoltare i palpiti dell’uomo. La Madre, firma d’autore di Dio sull’umanità, custodisca quest’anno e porti la pace di suo Figlio nei cuori, nei nostri cuori, e nel mondo. E come figli, semplicemente, vi invito a salutarla oggi con il saluto dei cristiani di Efeso, davanti ai loro vescovi: “Santa Madre di Dio!”. Diciamo, tre volte, dal cuore, tutti insieme, guardandola [rivolto alla statua esposta accanto all’altare]: “Santa Madre di Dio!”.

[00001-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

L’année s’ouvre au nom de la Mère de Dieu. Mère de Dieu est le titre le plus important de la Vierge. Mais une question pourrait surgir: pourquoi disons-nous Mère de Dieu et non Mère de Jésus? Certains, dans le passé, ont demandé de se limiter à cela, mais l’Eglise a affirmé: Marie est Mère de Dieu. Nous devons être reconnaissants parce que dans ces paroles est contenue une splendide vérité sur Dieu et sur nous. C’est-à-dire que, depuis que le Seigneur s’est incarné en Marie, dès lors et pour toujours, il porte notre humanité attachée à lui. Il n’y a plus Dieu sans homme: la chair que Jésus a prise de sa Mère est sienne aussi maintenant et le sera pour toujours. Dire Mère de Dieu nous rappelle ceci: Dieu est proche de l’humanité comme un enfant de sa mère qui le porte en son sein.

Le mot mère (mater), renvoie aussi au mot matière. Dans sa Mère, le Dieu du ciel, le Dieu infini s’est fait petit, s’est fait matière, pour être non seulement avec nous, mais aussi comme nous. Voilà le miracle, voilà la nouveauté: l’homme n’est plus seul; plus jamais orphelin, il est pour toujours fils. L’année s’ouvre avec cette nouveauté. Et nous la proclamons ainsi, en disant: Mère de Dieu! C’est la joie de savoir que notre solitude est vaincue. C’est la beauté de nous savoir fils aimés, de savoir que notre enfance ne pourra jamais nous être enlevée. C’est nous regarder dans le Dieu fragile et enfant entre les bras de sa Mère et voir que l’humanité est chère et sacrée au Seigneur. C’est pourquoi, servir la vie humaine c’est servir Dieu; et toute vie, depuis celle qui est dans le sein de la mère jusqu’à celle qui est âgée, souffrante et malade, à celle qui est gênante et même répugnante, doit être accueillie, aimée et aidée.

Laissons-nous maintenant guider par l’Evangile d’aujourd’hui. De la Mère de Dieu il est dit une seule phrase: «Elle gardait avec soin toutes ces choses, les méditant en son cœur» (Lc 2, 19). Elle gardait. Simplement elle gardait. Marie ne parle pas: l’Evangile ne rapporte pas même une seule de ses paroles dans tout le récit de Noël. Même en cela la Mère est unie à son Fils. Jésus est un bébé, c’est-à-dire «sans parole». Lui, le Verbe, la Parole de Dieu qui «à bien des reprises et de bien des manières, dans le passé, a parlé» (He 1, 1), maintenant, à la «plénitude des temps» (Ga 4, 4), il est muet. Le Dieu devant qui on se tait est un bébé qui ne parle pas. Sa majesté est sans paroles, son mystère d’amour se révèle dans la petitesse. Cette petitesse silencieuse est le langage de sa royauté. La Mère s’associe à son Fils et elle garde dans le silence.

Et le silence nous dit que nous aussi, si nous voulons nous garder, nous avons besoin de silence. Nous avons besoin de demeurer en silence en regardant la crèche. Parce que devant la crèche, nous nous redécouvrons aimés, nous savourons le sens authentique de la vie. Et en regardant en silence, nous laissons Jésus parler à notre cœur: que sa petitesse démonte notre orgueil, que sa pauvreté dérange notre faste, que sa tendresse remue notre cœur insensible. Ménager chaque jour un moment de silence avec Dieu, c’est garder notre âme; c’est garder notre liberté des banalités corrosive de la consommation et des étourdissements de la publicité, du déferlement de paroles vides et des vagues irrésistibles des bavardages et du bruit.

Marie, poursuit l’Evangile, gardait toutes ces choses et les méditait. Qu’étaient ces choses? C’étaient des joies et des souffrances: d’une part la naissance de Jésus, l’amour de Joseph, la visite des bergers, cette nuit de lumière. Mais de l’autre: un avenir incertain, l’absence de maison, «car il n’y avait pas de place pour eux dans la salle commune» (Lc 2, 7); la désolation du refus;la déception d’avoir dû faire naitre Jésus dans une étable . Espérance et angoisse, lumière et ténèbre: toutes ces choses peuplaient le cœur de Marie. Et elle, qu’a-t-elle fait? Elle les a méditées, c’est-à-dire elle les a passées en revue avec Dieu dans son cœur. Elle n’a rien gardé pour elle, elle n’a rien renfermé dans la solitude ou noyé dans l’amertume, elle a tout porté à Dieu. C’est ainsi qu’elle a gardé. En confiant on garde: non en laissant la vie en proie à la peur, au découragement ou à la superstition, non en se fermant ou en cherchant à oublier, mais en faisant de tout un dialogue avec Dieu. Et Dieu qui nous a à cœur, vient habiter nos vies.

Voilà les secrets de la Mère de Dieu: garder dans le silence et porter à Dieu. Cela se passait, conclut l’Evangile, dans son cœur. Le cœur invite à regarder au centre de la personne, des affections, de la vie. Nous aussi, chrétiens en chemin, au commencement de l’année nous ressentons le besoin de repartir du centre, de laisser derrière nous les fardeaux du passé et de recommencer à partir de ce qui compte. Voici aujourd’hui devant nous le point de départ: la Mère de Dieu. Parce que Marie est comme Dieu nous veut, comme il veut son Eglise: Mère tendre, humble, pauvre de choses et riche d’amour, libre du péché, unie à Jésus, qui garde Dieu dans le cœur et le prochain dans la vie. Pour repartir, regardons vers la Mère. Dans son cœur bat le cœur de l’Eglise. Pour avancer, nous dit la fête d’aujourd’hui, il faut revenir en arrière: recommencer depuis la crèche, de la Mère qui tient Dieu dans ses bras.

La dévotion à Marie n’est pas une bonne manière spirituelle, elle est une exigence de la vie chrétienne. En regardant vers la Mère nous sommes encouragés à laisser tant de boulets inutiles et à retrouver ce qui compte. Le don de la Mère, le don de toute mère et de toute femme est très précieux pour l’Eglise, qui est mère et femme. Et alors que souvent l’homme fait des abstractions, affirme et impose des idées, la femme, la mère, sait garder, unir dans le cœur, vivifier. Parce que la foi ne se réduit pas seulement à une idée ou à une doctrine, nous avons besoin, tous, d’un cœur de mère, qui sache garder la tendresse de Dieu et écouter les palpitations de l’homme. Que la Mère, signature d’auteur de Dieu sur l’humanité, garde cette année et porte la paix de son Fils dans les cœurs, dans nos cœurs, et dans le monde. Et je vous invite à lui adresser aujourd’hui, en tant que ses enfants, simplement, la salutation des chrétiens d’Éphèse, en présence de leurs évêques: ‘‘Sainte Mère de Dieu’’. Disons, trois fois, du fond du cœur, tous ensemble, en la regardant [se tournant vers la statue placée près de l’autel]: ‘‘Sainte Mère de Dieu’’.

[00001-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The year opens in the name of the Mother of God. Mother of God is the most important title of Our Lady. But we might ask why we say Mother of God, and not Mother of Jesus. In the past some wanted to be content simply with the latter, but the Church has declared that Mary is the Mother of God. We should be grateful, because these words contain a magnificent truth about God and about ourselves. From the moment that our Lord became incarnate in Mary, and for all time, he took on our humanity. There is no longer God without man; the flesh Jesus took from his Mother is our own, now and for all eternity. To call Mary the Mother of God reminds us of this: God is close to humanity, even as a child is close to the mother who bears him in her womb.

The word mother (mater) is related to the word matter. In his Mother, the God of heaven, the infinite God, made himself small, he became matter, not only to be with us but also to be like us. This is the miracle, the great novelty! Man is no longer alone; no more an orphan, but forever a child. The year opens with this novelty. And we proclaim it by saying: Mother of God! Ours is the joy of knowing that our solitude has ended. It is the beauty of knowing that we are beloved children, of knowing that this childhood of ours can never be taken away from us. It is to see a reflection of ourselves in the frail and infant God resting in his mother’s arms, and to realize that humanity is precious and sacred to the Lord. Henceforth, to serve human life is to serve God. All life, from life in the mother’s womb to that of the elderly, the suffering and the sick, and to that of the troublesome and even repellent, is to be welcomed, loved and helped.

Let us now be guided by today’s Gospel. Only one thing is said about the Mother of God: “Mary kept all these things, pondering them in her heart” (Lk 2:19). She kept them. She simply kept; Mary does not speak. The Gospel does not report a single word of hers in the entire account of Christmas. Here too, the Mother is one with her Son: Jesus is an “infant”, a child “unable to speak”. The Word of God, who “long ago spoke in many and various ways” (Heb 1:1), now, in the “fullness of time” (Gal 4:4), is silent. The God before whom all fall silent is himself a speechless child. His Majesty is without words; his mystery of love is revealed in lowliness. This silence and lowliness is the language of his kingship. His Mother joins her Son and keeps these things in silence.

That silence tells us that, if we would “keep” ourselves, we need silence. We need to remain silent as we gaze upon the crib. Pondering the crib, we discover anew that we are loved; we savour the real meaning of life. As we look on in silence, we let Jesus speak to our heart. His lowliness lays low our pride; his poverty challenges our outward display; his tender love touches our hardened hearts. To set aside a moment of silence each day to be with God is to “keep” our soul; it is to “keep” our freedom from being corroded by the banality of consumerism, the blare of commercials, the stream of empty words and the overpowering waves of empty chatter and loud shouting.

The Gospel goes on to say that Mary kept all these things, pondering them in her heart. What were these things? They were joys and sorrows. On the one hand, the birth of Jesus, the love of Joseph, the visit of the shepherds, that radiant night. But on the other, an uncertain future, homelessness “because there was no place for them in the inn” (Lk 2:7), the desolation of rejection, the disappointment of having to give birth to Jesus in a stable. Hopes and worries, light and darkness: all these things dwelt in the heart of Mary. What did she do? She pondered them, that is to say she dwelt on them, with God, in her heart. She held nothing back; she locked nothing within out of self-pity or resentment. Instead, she gave everything over to God. That is how she “kept” those things. We “keep” things when we hand them over: by not letting our lives become prey to fear, distress or superstition, by not closing our hearts or trying to forget, but by turning everything into a dialogue with God. God, who keeps us in his heart, then comes to dwell in our lives.

These, then, are the secrets of the Mother of God: silently treasuring all things and bringing them to God. And this took place, the Gospel concludes, in her heart. The heart makes us look to the core of the person, his or her affections and life. At the beginning of the year, we too, as Christians on our pilgrim way, feel the need to set out anew from the centre, to leave behind the burdens of the past and to start over from the things that really matter. Today, we have before us the point of departure: the Mother of God. For Mary is what God wants us to be, what he wants his Church to be: a Mother who is tender and lowly, poor in material goods and rich in love, free of sin and united to Jesus, keeping God in our hearts and our neighbour in our lives. To set out anew, let us look to our Mother. In her heart beats the heart of the Church. Today’s feast tells us that if we want to go forward, we need to turn back: to begin anew from the crib, from the Mother who holds God in her arms.

Devotion to Mary is not spiritual etiquette; it is a requirement of the Christian life. Looking to the Mother, we are asked to leave behind all sorts of useless baggage and to rediscover what really matters. The gift of the Mother, the gift of every mother and every woman, is most precious for the Church, for she too is mother and woman. While a man often abstracts, affirms and imposes ideas, a woman, a mother, knows how to “keep”, to put things together in her heart, to give life. If our faith is not to be reduced merely to an idea or a doctrine, all of us need a mother’s heart, one which knows how to keep the tender love of God and to feel the heartbeat of all around us. May the Mother, God’s finest human creation, guard and keep this year, and bring the peace of her Son to our hearts and to our world. And as children, with simplicity, I invite you to greet her as the Christians did at Ephesus in the presence of their bishops: “Holy Mother of God!”. Let us together repeat three times, looking at her [turning to the Statue of Our Lady beside the altar]: “Holy Mother of God!”.

[00001-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Der Jahresbeginn steht unter dem Zeichen der Mutter Gottes. Mutter Gottes ist der wichtigste Titel Marias. Aber nun könnte die Frage auftauchen: Warum sagen wir Mutter Gottes und nicht Mutter Jesu? In der Vergangenheit hatten manche verlangt, man möge sich eben darauf beschränken; aber die Kirche hat daran festgehalten: Maria ist Mutter Gottes. Dafür dürfen wir dankbar sein, denn diese Worte enthalten eine wunderbare Wahrheit über Gott und über uns: Seit der Herr in Maria Mensch geworden ist, ist unser Menschsein für immer ein Teil von ihm. Gott gibt es nicht mehr ohne sein Menschsein: Der menschliche Leib, den Jesus von seiner Mutter bekam, ist auch jetzt sein Leib und wird es immer bleiben. Daran erinnern wir uns, wenn wir Mutter Gottes sagen: Gott ist der Menschheit nahe wie ein Kind seiner Mutter, die es in ihrem Schoß trägt.

Das Wort Mutter (mater), verweist auch auf das Wort Materie. In seiner Mutter hat sich der Gott des Himmels, der unendliche Gott, klein gemacht, zu Materie, um nicht nur mit uns, sondern auch wie wir zu sein. Dies ist das Wunder, dies ist die Neuheit: Der Mensch ist nicht mehr allein; er ist nie mehr Waise, er ist für immer Sohn oder Tochter. Mit dieser Neuheit beginnt das Jahr. Und wir bekennen dies, indem wir sagen: Mutter Gottes! Es ist unsere Freude, zu wissen, dass unsere Einsamkeit überwunden ist. Es ist schön, zu wissen, dass wir geliebte Söhne und Töchter sind und dass uns diese Kindschaft niemals genommen werden kann. Wir dürfen uns in dem schwachen Gott, dem Kind im Arm der Mutter, selbst wiedererkennen und sehen, dass die Menschheit dem Herrn lieb und heilig ist. Dem menschlichen Leben zu dienen bedeutet deshalb Gott zu dienen, und jedes Leben, vom Mutterleib an bis ins hohe Alter, auch das leidende und kranke Leben, wie unbequem oder gar widerwärtig es auch sein mag, ist anzunehmen, zu lieben und zu unterstützen.

Lassen wir uns jetzt vom Evangelium des heutigen Tages leiten. Von der Mutter Gottes wird nur ein Satz gesagt: »Maria aber bewahrte alle diese Worte und erwog sie in ihrem Herzen« (Lk 2,19). Sie bewahrte. Ganz schlicht – sie bewahrte. Maria spricht nicht, das Evangelium überliefert in der ganzen Weihnachtsgeschichte nicht ein Wort von ihr. Auch darin ist die Mutter eins mit ihrem Sohn: Jesus ist ein Kleinkind, infans, was so viel bedeutet wie „ohne Worte“. Er, das Wort, das Wort Gottes, das »vielfältig und auf vielerlei Weise […] einst zu den Vätern gesprochen« (Heb 1,1) hat, ist jetzt, als »die Zeit erfüllt war« (Gal 4,4), stumm. Der Gott, vor dem man schweigt, ist ein Kind, das nicht spricht. Seine Herrschaft ist ohne Worte, sein Geheimnis der Liebe offenbart sich in der Kleinheit. Diese stille Kleinheit ist die Sprache seines Königtums. Die Mutter tut es ihrem Sohn gleich und bewahrt alles im Schweigen.

Dieses Schweigen sagt uns, dass auch wir die Stille brauchen, wenn wir etwas bewahren wollen. Es ist notwendig, schweigend die Krippe zu betrachten. Denn vor der Krippe stehend entdecken wir von neuem, dass wir geliebt sind, und dort verkosten wir den unverfälschten Sinn des Lebens. Im schweigenden Betrachten lassen wir zu, dass Jesus zu unserem Herzen spricht: dass seine Kleinheit unseren Hochmut überwindet, dass seine Armut unser Schwelgen stört, dass seine Zärtlichkeit unser verhärtetes Herz anrührt. Wenn wir uns jeden Tag einen Moment Zeit nehmen, um mit Gott zu schweigen, bewahren wir unsere Seele, bewahren wir unsere Freiheit vor den zersetzenden Banalitäten des Konsums und vor der Betäubung durch die Werbung, vor der Verbreitung leerer Worte und den beunruhigenden Wogen des Klatsches und des Lärms.

Maria bewahrte, so fährt das Evangelium fort, alle diese Worte und erwog sie. Worüber dachte sie nach? Es waren Freuden und Schmerzen: auf der einen Seite die Geburt Jesu, die Liebe Josefs, der Besuch der Hirten, jene Nacht des Lichts. Aber auf der anderen Seite war da auch eine unsichere Zukunft, das Fehlen einer Wohnstatt, »weil in der Herberge kein Platz für sie war« (Lk 2,7); die Trostlosigkeit der Abweisung; die Enttäuschung darüber, Jesus in einem Stall auf die Welt gebracht haben zu müssen. Hoffnungen und Ängste, Licht und Schatten: all diese Dinge bewegten das Herz Marias. Und was hat sie getan? Sie hat alles erwogen, meditiert, das heißt, sie hat alles in ihrem Herzen Gott übergeben. Nichts hat sie für sich behalten, nichts hat sie in Einsamkeit verschlossen oder in Verbitterung ertränkt, alles hat sie vor Gott gebracht. So hat sie alles bewahrt. Man bewahrt etwas, indem man es Gott anvertraut: indem man das Leben nicht der Angst und der Trübsal oder dem Aberglauben als Beute überlässt, indem man sich nicht in sich selbst verschließt oder zu vergessen versucht, sondern indem man alles in einen Dialog mit Gott münden lässt. Und dann kommt Gott, dem wir am Herzen liegen, um in unserem Leben Wohnung zu nehmen.

Dies also sind die Geheimnisse der Mutter Gottes: alles im Schweigen zu bewahren und es vor Gott zu bringen. Dies geschah, so schließt das Evangelium, in ihrem Herzen. Das Herz lenkt unseren Blick auf das Innere der Person, der Gefühle, des Lebens. Auch wir, die wir als Christen unterwegs sind, verspüren am Beginn dieses Jahres die Notwendigkeit, neu von der Mitte her aufzubrechen, die Last der Vergangenheit abzulegen und wieder mit dem zu beginnen, was zählt. Und heute stehen wir vor diesem Ausgangspunkt, der Mutter Gottes. Maria ist nämlich so, wie Gott uns will, wie er seine Kirche will: sie ist eine zärtliche Mutter, demütig, arm an materiellen Dingen aber reich an Liebe, frei von Sünden, vereint mit Jesus, sie bewahrt Gott in ihrem Herzen und den Mitmenschen im Leben. Um wieder neu zu beginnen, schauen wir auf Maria. In ihrem Herzen schlägt das Herz der Kirche. Um voranzukommen, so sagt uns das heutige Fest, muss man zurückgehen: neu beginnen bei der Krippe, bei der Mutter, die Gott in ihren Armen hält.

Die Verehrung der Mutter Gottes ist keine spirituelle Anstandsregel, sie ist eine Notwendigkeit christlichen Lebens. Der Blick auf die Mutter ermutigt uns, viel unnötigen Ballast abzuwerfen und das wieder zu entdecken, was zählt. Das Geschenk der Mutter, das Geschenk jeder Mutter und jeder Frau ist so wertvoll für die Kirche, die Mutter und Frau ist. Während der Mann oft abstrahiert, Behauptungen aufstellt und Ideen durchsetzt, ist die Frau und Mutter in der Lage, zu bewahren, im Herzen zu verbinden und zu beleben. Damit der Glaube nicht zu einer reinen Idee oder Lehre verkommt, brauchen wir alle ein Mutterherz, das die Zärtlichkeit Gottes bewahrt und die Regungen des Menschen wahrnimmt. Die Mutter Gottes, seine persönliche Signatur auf der Menschheit, bewahre uns dieses Jahr, sie nehme uns in ihre Obhut und bringe den Frieden ihres Sohnes in die Herzen, in unsere Herzen, und in die Welt. Und ich lade euch heute ein, sie einfach wie Kinder zu grüßen mit dem Gruß, den die Christen in Ephesus vor ihren Bischöfen an sie richteten: „Heilige Mutter Gottes!“ Sagen wir das dreimal mit dem Herzen, alle zusammen und schauen wir sie an [zur Statue neben dem Altar gewandt]: „Heilige Mutter Gottes!“

[00001-DE.02] [Originalsprache: Italien]

Traduzione in lingua spagnola

El año se abre en el nombre de la Madre de Dios. Madre de Dios es el título más importante de la Virgen. Pero nos podemos plantear una cuestión: ¿Por qué decimos Madre de Dios y no Madre de Jesús? Algunos en el pasado pidieron limitarse a esto, pero la Iglesia afirmó: María es Madre de Dios. Tenemos que dar gracias porque estas palabras contienen una verdad espléndida sobre Dios y sobre nosotros. Y es que, desde que el Señor se encarnó en María, y por siempre, nuestra humanidad está indefectiblemente unida a él. Ya no existe Dios sin el hombre: la carne que Jesús tomó de su Madre es suya también ahora y lo será para siempre. Decir Madre de Dios nos recuerda esto: Dios se ha hecho cercano con la humanidad como un niño a su madre que lo lleva en el seno.

La palabra madre (mater) hace referencia también a la palabra materia. En su Madre, el Dios del cielo, el Dios infinito se ha hecho pequeño, se ha hecho materia, para estar no solamente con nosotros, sino también para ser como nosotros. He aquí el milagro, he aquí la novedad: el hombre ya no está solo; ya no es huérfano, sino que es hijo para siempre. El año se abre con esta novedad. Y nosotros la proclamamos diciendo: ¡Madre de Dios! Es el gozo de saber que nuestra soledad ha sido derrotada. Es la belleza de sabernos hijos amados, de conocer que no nos podrán quitar jamás esta infancia nuestra. Es reconocerse en el Dios frágil y niño que está en los brazos de su Madre y ver que para el Señor la humanidad es preciosa y sagrada. Por lo tanto, servir a la vida humana es servir a Dios, y que toda vida, desde la que está en el seno de la madre hasta que es anciana, la que sufre y está enferma, también la que es incómoda y hasta repugnante, debe ser acogida, amada y ayudada.

Dejémonos ahora guiar por el Evangelio de hoy. Sobre la Madre de Dios se dice una sola frase: «Custodiaba todas estas cosas, meditándolas en su corazón» (Lc 2,19). Custodiaba. Simplemente custodiaba. María no habla: el Evangelio no nos menciona ni tan siquiera una sola palabra suya en todo el relato de la Navidad. También en esto la Madre está unida al Hijo: Jesús es infante, es decir «sin palabra». Él, el Verbo, la Palabra de Dios que «muchas veces y en diversos modos en los tiempos antiguos había hablado» (Hb 1,1), ahora, en la «plenitud de los tiempos» (Ga 4,4), está mudo. El Dios ante el cual se guarda silencio es un niño que no habla. Su majestad es sin palabras, su misterio de amor se revela en la pequeñez. Esta pequeñez silenciosa es el lenguaje de su realeza. La Madre se asocia al Hijo y custodia en el silencio.

Y el silencio nos dice que también nosotros, si queremos custodiarnos, tenemos necesidad de silencio. Tenemos necesidad de permanecer en silencio mirando el pesebre. Porque delante del pesebre nos descubrimos amados, saboreamos el sentido genuino de la vida. Y contemplando en silencio, dejamos que Jesús nos hable al corazón: que su pequeñez desarme nuestra soberbia, que su pobreza desconcierte nuestra fastuosidad, que su ternura sacuda nuestro corazón insensible. Reservar cada día un momento de silencio con Dios es custodiar nuestra alma; es custodiar nuestra libertad frente a las banalidades corrosivas del consumo y la ruidosa confusión de la publicidad, frente a la abundancia de palabras vacías y las olas impetuosas de las murmuraciones y quejas.

El Evangelio sigue diciendo que María custodiaba todas estas cosas, meditándolas. ¿Cuáles eran estas cosas? Eran gozos y dolores: por una parte, el nacimiento de Jesús, el amor de José, la visita de los pastores, aquella noche luminosa. Pero por otra parte: el futuro incierto, la falta de un hogar, «porque para ellos no había sitio en la posada» (Lc 2,7), la desolación del rechazo, la desilusión de ver nacer a Jesús en un establo. Esperanzas y angustias, luz y tiniebla: todas estas cosas poblaban el corazón de María. Y ella, ¿qué hizo? Las meditaba, es decir las repasaba con Dios en su corazón. No se guardó nada para sí misma, no ocultó nada en la soledad ni lo ahogó en la amargura, sino que todo lo llevó a Dios. Así custodió. Confiando se custodia: no dejando que la vida caiga presa del miedo, del desconsuelo o de la superstición, no cerrándose o tratando de olvidar, sino haciendo de toda ocasión un diálogo con Dios. Y Dios que se preocupa de nosotros, viene a habitar nuestras vidas.

Este es el secreto de la Madre de Dios: custodiar en el silencio y llevar a Dios. Y como concluye el Evangelio, todo esto sucedía en su corazón. El corazón invita a mirar al centro de la persona, de los afectos, de la vida. También nosotros, cristianos en camino, al inicio del año sentimos la necesidad de volver a comenzar desde el centro, de dejar atrás los fardos del pasado y de empezar de nuevo desde lo que importa. Aquí está hoy, frente a nosotros, el punto de partida: la Madre de Dios. Porque María es como Dios quiere que seamos nosotros, como quiere que sea su Iglesia: Madre tierna, humilde, pobre de cosas y rica de amor, libre del pecado, unida a Jesús, que custodia a Dios en su corazón y al prójimo en su vida. Para recomenzar, contemplemos a la Madre. En su corazón palpita el corazón de la Iglesia. La fiesta de hoy nos dice que para ir hacia delante es necesario volver de nuevo al pesebre, a la Madre que lleva en sus brazos a Dios.

La devoción a María no es una cortesía espiritual, es una exigencia de la vida cristiana. Contemplando a la Madre nos sentimos animados a soltar tantos pesos inútiles y a encontrar lo que verdaderamente cuenta. El don de la Madre, el don de toda madre y de toda mujer es muy valioso para la Iglesia, que es madre y mujer. Y mientras el hombre frecuentemente abstrae, afirma e impone ideas; la mujer, la madre, sabe custodiar, unir en el corazón, vivificar. Para que la fe no se reduzca sólo a ser idea o doctrina, todos necesitamos tener un corazón de madre, que sepa custodiar la ternura de Dios y escuchar los latidos del hombre. Que la Madre, que es el sello especial de Dios sobre la humanidad, custodie este año y traiga la paz de su Hijo a los corazones, nuestros corazones, y al mundo entero. Y como niños, sencillamente, os invito a saludarla hoy con el saludo de los cristianos de Éfeso, ante sus obispos: «¡Santa Madre de Dios!». Digámoslo, tres veces, con el corazón, todos juntos, mirándola [volviéndose a la imagen colocada a un lado del altar]: «¡Santa Madre de Dios!».

[00001-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

O Ano tem início sob o nome da Mãe de Deus. Mãe de Deus é o título mais importante de Nossa Senhora. Mas a alguém poderia vir a pergunta: por que dizemos «Mãe de Deus», e não Mãe de Jesus? Alguns, no passado, pediram para nos cingirmos a isto, mas a Igreja afirmou: Maria é Mãe de Deus. Devemos estar-lhe agradecidos, porque, nestas palavras, se encerra uma verdade esplêndida sobre Deus e sobre nós mesmos, ou seja: desde que o Senhor Se encarnou em Maria – desde então e para sempre –, traz a nossa humanidade agarrada a Ele. Já não há Deus sem homem: a carne que Jesus tomou de sua Mãe, continua ainda agora a ser d’Ele e sê-lo-á para sempre. Dizer «Mãe de Deus» lembra-nos isto: Deus está perto da humanidade como uma criança da mãe que a traz no ventre.

A palavra mãe (mater) remete também para a palavra matéria. Em sua Mãe, o Deus do céu, o Deus infinito fez-Se pequenino, fez-Se matéria, não só para estar connosco, mas também para ser como nós. Eis o milagre, eis a novidade: o homem já não está sozinho; nunca mais será órfão, é para sempre filho. O Ano tem início com esta novidade. E nós proclamamo-la dizendo assim: Mãe de Deus! É a alegria de saber que a nossa solidão está vencida. É a maravilha de nos sabermos filhos amados, de sabermos que esta nossa infância nunca mais nos poderá ser tirada. É espelharmo-nos em Deus frágil e menino nos braços da Mãe e vermos que a humanidade é querida e sagrada para o Senhor. Por isso, servir a vida humana é servir a Deus, e toda a vida – desde a vida no ventre da mãe, até à vida envelhecida, atribulada e doente, à vida incómoda e até repugnante – deve ser acolhida, amada e ajudada.

Deixemo-nos agora guiar pelo Evangelho de hoje. Da Mãe de Deus, diz-se apenas uma frase: «guardava todas estas coisas, meditando-as no seu coração» (Lc 2, 19). Guardava. Simplesmente… guardava; Maria não fala: d’Ela, o Evangelho não refere uma palavra sequer, em toda a narração do Natal. Também nisto a Mãe Se associa ao Filho: Jesus é infante, ou seja, «sem dizer palavra». Ele, o Verbo, a Palavra de Deus que «muitas vezes e de muitos modos falara nos tempos antigos» (Heb 1, 1), agora, na «plenitude dos tempos» (Gal 4, 4), está mudo. O Deus, na presença de Quem se guarda silêncio, é um menino que não fala. A sua majestade é sem palavras, o seu mistério de amor desvenda-se na pequenez. Esta pequenez silenciosa é a linguagem da sua realeza. A Mãe associa-Se ao Filho e guarda no silêncio.

E o silêncio diz-nos que também nós, se nos quisermos guardar a nós mesmos, precisamos de silêncio. Precisamos de permanecer em silêncio, olhando o presépio. Porque, diante do presépio, nos redescobrimos amados; saboreamos o sentido genuíno da vida. E, olhando em silêncio, deixamos que Jesus fale ao nosso coração: deixamos que a sua pequenez desmantele o nosso orgulho, que a sua pobreza desinquiete as nossas sumptuosidades, que a sua ternura revolva o nosso coração insensível. Reservar cada dia um tempo de silêncio com Deus é guardar a nossa alma; é guardar a nossa liberdade das banalidades corrosivas do consumo e dos aturdimentos da publicidade, da difusão de palavras vazias e das ondas avassaladoras das maledicências e da balbúrdia.

Maria guardava – continua o Evangelho – todas estas coisas, meditando-as. Quais eram estas coisas? Eram alegrias e aflições: por um lado, o nascimento de Jesus, o amor de José, a visita dos pastores, aquela noite de luz; mas, por outro, um futuro incerto, a falta de uma casa, «porque não havia lugar para eles na hospedaria» (Lc 2, 7), o desconsolo de ver fechar-lhes a porta; a desilusão por fazer Jesus nascer num curral. Esperanças e angústias, luz e trevas: todas estas coisas preenchiam o coração de Maria. E que fez Ela? Meditou-as, isto é, repassou-as com Deus no seu coração. Nada conservou para Si, nada encerrou na solidão nem submergiu na amargura; tudo levou a Deus. Foi assim que guardou. Entregando, guarda-se: não deixando a vida à mercê do medo, do desânimo ou da superstição, não se fechando nem procurando esquecer, mas dialogando tudo com Deus. E Deus, que Se preocupa connosco, vem habitar nas nossas vidas.

Aqui temos os segredos da Mãe de Deus: guardar no silêncio e levar a Deus. Isto realizava-se – conclui o Evangelho – no seu coração. O coração convida a pôr os olhos no centro da pessoa, dos afetos, da vida. Também nós – cristãos em caminho –, ao princípio do Ano, sentimos a necessidade de recomeçar do centro, deixar para trás os pesos do passado e partir do que é importante. Temos hoje diante de nós o ponto de partida: a Mãe de Deus. Pois Maria é como Deus nos quer, como quer a sua Igreja: Mãe terna, humilde, pobre de coisas e rica de amor, livre do pecado, unida a Jesus, que guarda Deus no coração e o próximo na vida. Para recomeçar, ponhamos os olhos na Mãe. No seu coração, bate o coração da Igreja. Para avançar – diz-nos a festa de hoje –, é preciso recuar: recomeçar do presépio, da Mãe que tem Deus nos braços.

A devoção a Maria não é galanteria espiritual, mas uma exigência da vida cristã. Olhando para a Mãe, somos encorajados a deixar tantas bagatelas inúteis e reencontrar aquilo que conta. O dom da Mãe, o dom de cada mãe e cada mulher é tão precioso para a Igreja, que é mãe e mulher. E, enquanto o homem muitas vezes abstrai, afirma e impõe ideias, a mulher, a mãe sabe guardar, fazer a ligação no coração, vivificar. Porque a fé não se pode reduzir apenas a ideia ou a doutrina; precisamos, todos, de um coração de mãe que saiba guardar a ternura de Deus e ouvir as palpitações do homem. A Mãe, autógrafo de Deus sobre a humanidade, guarde este Ano e leve a paz de seu Filho aos corações, aos nossos corações, e ao mundo inteiro. E, como filhos d’Ela, convido-vos a saudá-La hoje, simplesmente, com a saudação que os cristãos de Éfeso pronunciavam diante dos seus Bispos: «Santa Mãe de Deus!» Com todo o coração, digamos três vezes, todos juntos, fixando-A [voltados para a sua imagem posta ao lado do altar]: «Santa Mãe de Deus!»

[00001-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Nowy Rok rozpoczyna się w imię Matki. Matka Boga to najważniejszy tytuł Naszej Pani. Ale może zrodzić się pytanie: dlaczego mówimy Matka Boga, a nie Matka Jezusa? Niektórzy w przeszłości prosili, by ograniczyć się do tego tytułu, ale Kościół stwierdził: Maryja jest Matką Boga. Musimy być wdzięczni, ponieważ w tych słowach zawarta jest wspaniała prawda o Bogu i o nas. A to dlatego, że odkąd Pan przyjął ciało w Maryi, to od tej chwili i na zawsze, niesie ściśle złączone ze sobą nasze człowieczeństwo. Nie ma już Boga bez człowieka: ciało, które Jezus wziął z Matki, jest teraz także Jego ciałem i będzie nim na zawsze. Powiedzenie Matka Boga przypomina nam o tym: Bóg jest blisko ludzkości tak, jak dziecko matki, która nosi je w swoim łonie.

Słowo matka (mater), odnosi również do słowa materia. W swojej Matce Bóg nieba, Bóg nieskończoności stał się maluczkim, stał się materią, by być nie tylko z nami, ale także takim jak my. Oto cud, nowość: człowiek nie jest już sam; nigdy więcej sierotą - na zawsze jest synem. Rok rozpoczyna się tą nowością. A my ją głosimy w ten sposób, mówiąc: Matka Boga! Radością jest świadomość, że nasza samotność została przezwyciężona. To piękne, gdy wiemy, że jesteśmy umiłowanymi dziećmi, wiedząc, iż to nasze dziecięctwo nigdy nie może być nam odebrane. Także widząc siebie w kruchym Bogu, dziecku w ramionach Matki oraz widząc, że ludzkość jest dla Pana droga i święta. Dlatego służba życiu ludzkiemu jest służeniem Bogu i każdemu życiu, począwszy od tego w łonie matki aż do tego starczego, cierpiącego i chorego, po to niewygodne, a nawet odrażające.

Pozwólmy się teraz prowadzić dzisiejszej Ewangelii. O Matce Boga mówi ona tylko jedno zdanie: „zachowywała wszystkie te sprawy i rozważała je w swoim sercu” (Łk 2,19). Zachowywała. Zwyczajnie zachowywała. Maryja nie mówi: Ewangelia nie przytacza nawet jednego jej słowa w całym opisie Bożego Narodzenia. Także w tym Matka jest zjednoczona z Synem: Jezus jest niemowlęciem, to znaczy „bez słowa”. On, Słowo, Słowo Boga, który „wiele razy i na różne sposoby przemawiał” (Hbr 1, 1), teraz, „Gdy nadeszła pełnia czasu” (Ga 4, 4), jest niemy. Bóg, przed którym się milczy jest Dzieciątkiem, które nie mówi. Jego majestat nie ma słów, Jego tajemnica miłości objawia się w małości. Ta milcząca małość jest językiem Jego królewskości. Matka łączy się z Synem i zachowuje te sprawy w milczeniu.

A milczenie mówi nam, że również my, jeśli chcemy zachować w nas Boże sprawy potrzebujemy wyciszenia. Musimy trwać w milczeniu, patrząc na żłóbek. Ponieważ przed żłóbkiem odkrywamy, że jesteśmy miłowani, zasmakowujemy prawdziwego sensu życia. Patrząc w milczeniu pozwalamy, aby Jezus mówił do naszego serca: by Jego małość ostudziła naszą pychę, by Jego ubóstwo zniweczyło nasz przepych, by Jego czułość poruszała nasze zatwardziałe serce. Wykrojenie każdego dnia chwili milczenia z Bogiem to ustrzeżenie naszej duszy; to zachowanie naszej wolności od zjadliwych banałów konsumpcji i oszołomienia reklamą, wszechobecności pustych słów oraz przygnębiających fal plotek i zgiełku.

Mówi dalej Ewangelia, że Maryja zachowywała wszystkie te sprawy, rozważając je. Co to były za sprawy? Były to radości i smutki: z jednej strony narodziny Jezusa, miłość Józefa, wizyta pasterzy, owa noc światła. Ale z drugiej: niepewna przyszłość, brak domu, „gdyż nie było dla nich miejsca w gospodzie” (Łk 2, 7); smutek odrzucenia; rozczarowanie, że trzeba było urodzić Jezusa w stajence. Nadzieje i niepokoje, światło i ciemność: wszystkie te sprawy napełniały serce Maryi. A co ona uczyniła? Rozważała je, to znaczy rozpatrywała je z Bogiem w swoim sercu. Nic nie trzymała dla siebie, nic nie zamknęła w samotności ani nie topiła w goryczy, wszystko zaniosła do Boga. W ten sposób zachowywała. Powierzając strzeżemy: nie pozostawiając życia na pastwę lęku, dyskomfortu czy przesądu, nie zamykając się ani nie próbując zapomnieć, lecz czyniąc ze wszystkiego dialog z Bogiem. A Bóg, który troszczy się o nas, przybywa, by być w naszych istnieniach.

Oto tajemnice Matki Boga: zachowywać w milczeniu i zanieść Bogu. Dokonywało się to – jak podsumowuje Ewangelia - w jej sercu. Serce zaprasza, by spojrzeć na centrum osoby, na uczucia, na życie. My także, chrześcijanie w drodze, na początku roku odczuwamy potrzebę rozpoczynania od centrum, do pozostawiania za sobą ciężarów przeszłości i rozpoczęcia na nowo, od tego, co się liczy. Oto dziś przed nami punkt wyjścia: Matka Boga. Maryja jest bowiem dokładnie taką, jakimi pragnie nas Bóg, jakim pragnie swego Kościoła: Matką czułą, pokorną, ubogą w rzeczy i bogatą w miłość, wolną od grzechu, zjednoczoną z Jezusem, która strzeże Boga w sercu a bliźniego w życiu. Aby zacząć od nowa, spójrzmy na Matkę. W jej sercu bije serce Kościoła. Dzisiejsze święto mówi nam, że aby pójść naprzód musimy się cofnąć: zacząć na nowo od żłóbka, od Matki, która trzyma Boga w swoich ramionach.

Pobożność maryjna nie jest dobrą manierą duchową, ale wymogiem życia chrześcijańskiego. Patrząc na Matkę, jesteśmy zachęcani, aby porzucić wiele niepotrzebnych balastów i znaleźć to, co się liczy. Dar Matki, dar każdej matki i każdej kobiety jest bardzo cenny dla Kościoła, będącego matką i kobietą. I podczas gdy mężczyzna często abstrahuje, stwierdza i narzuca idee, to kobieta, matka, umie zachowywać, łączyć w sercu, ożywiać. Aby wiara nie ograniczała się tylko do idei lub do doktryny, wszyscy potrzebujemy serca matki, które potrafi zachowywać czułość Boga i słuchać bicia serca człowieka. Niech Matka, arcydzieło Boga dla ludzkości strzeże tego roku i wnosi pokój swego Syna w serca, w nasze serca, i w świat. Niech Matka, arcydzieło Boga dla ludzkości strzeże tego roku i wnosi pokój swego Syna w serca, w nasze serca, i w świat. Zachęcam was, abyście jako dzieci pozdrowili Ją dzisiaj pozdrowieniem chrześcijan z Efezu skierowanym do swoich biskupów: „Święta Boża Rodzicielko!”. Powtórzmy trzykrotnie, z całego serca wszyscy razem, patrząc w Jej kierunku [skierowany ku figurze wystawionej obok ołtarza]: „Święta Boża Rodzicielko!”.

[00001-PL.02] [Testo originale: Italiano]

 

Traduzione in lingua araba

 

تُفتتح السنة باسم أمّ الله. أمّ الله هو اللقب الأهم للسيّدة العذراء. لكن من الممكن طرح السؤال الآتي: لماذا نقول أم الله وليس أم يسوع؟ البعض في الماضي طلبوا أن نكتفي بهذا، لكن الكنيسة أكّدت: مريم هي أمّ الله. علينا أن نكون ممتنين لأن هذه الكلمات تحتوي على حقيقة رائعة عن الله وعنّا. وهي أن الربّ، منذ أن تجسّد من مريم وإلى الأبد، قد اقترن ببشريّتنا. لم يعد الله دون البشر: فالجسد الذي اتّخذه يسوع من أمّه، هو جسده الآن أيضًا وسيبقى للأبد. أن نقول "أمّ الله" يذكّرنا بهذا: الله قريب من البشريّة مثل الطفل من أمّه التي تحمله في حشاها.

كلمة أمّ (mater) ترجعنا أيضًا إلى كلمة مادّة (materia). لقد صار إله السماوات، الإله اللامتناهي، في أمّه، صغيرًا، صار مادّة، لا كي يكون معنا وحسب، إنما أيضًا مثلنا. ها هي المعجزة، ها هو الجديد: الإنسان لم يعد لوحده؛ لم يعد يتيمًا، صار إبنًا للأبد. يُفتتح العام مع هذا الجديد. ونحن نعلنه بهذه الطريقة: أمّ الله! إنه فرح معرفتنا أنه قد تمّ التغلّب على وحدتنا. هو جمال معرفة أننا أبناء محبوبون، ومعرفة أن طفولتنا هذه لن تنزع منّا أبدًا. هو أن نعكس أنفسنا في الله الهش، في الطفل بين ذراعي أمّه، ونرى أن البشريّة هي غالية ومقدّسة بالنسبة للربّ. لذا، فخدمة الحياة البشريّة هي خدمة الله وكلّ حياة؛ ويجب أن نقبل الحياة ونحبّها ونساعدها، انطلاقا من الحياة في حشا الأم، وصولًا إلى المسنّة، والمتألّمة والمريضة، والمزعجة، وحتى الكريهة.  

لنسمح الآن لإنجيل اليوم أن يقودنا. كلمة واحد تُقال عن أمّ الله: "كانَت مَريمُ تَحفَظُ جَميعَ هذهِ الأُمور، وتَتَأَمَّلُها في قَلبِها" (لو 2، 19). كانت تحفظ. تحفظ بكلّ بساطة. مريم لا تتكلّم: فالإنجيل لا ينقل حتى كلمة واحدة لمريم في رواية الميلاد. بهذا أيضًا، الأمّ تتّحد بابنها: يسوع هو طفل، أي "لا يتكلّم". هو، الكلمة، كلمة الله الذي "كَلَّمَ الآباءَ قَديمًا بِالأَنبِياءَ مَرَّاتٍ كَثيرةً بِوُجوهٍ كَثيرة" (عب 1، 1)، الآن، في "ملء الزمن" (غل 4، 4)، لا يتكلّم. الله الذي نصمت أمامه هو طفل لا يتكلّم. جلالته هي دون كلام، وسرّ محبّته ينكشف بالصغر. هذا الصِغَر الصامت هو لهجة ملوكيّته. والأمّ تشارك الابن وتحفظ كلّ شيء بصمت.

يقول الصمتُ لنا نحن أيضًا، أنّنا إن أردنا أن نحفظ أنفسنا، فنحن بحاجة إلى الصمت. إننا بحاجة إلى البقاء بصمت نتأمّل بالمغارة. لأننا أمام المغارة نكتشف من جديد أنّنا محبوبون، نتذوّق معنى الحياة الحقيقي. فلنسمح ليسوع، إذ نتأمّل بصمت، أن يكلّم قلبنا: وليفكّك صغره كبرياءنا، وليزعج فقره غنانا، وليحرك حنانه قلبنا القاسي. أن نكرّس يوميًّا لحظاتَ صمت مع الله يحفظُ روحنا؛ ويحفظُ حرّيتنا من تفاهات الاستهلاك والاعلانات المدمّرة، ومن فيض الكلمات الفارغة، ومن موجات النميمة والتذمّر الساحقة.

كانَت مَريمُ تَحفَظُ، يتابع الإنجيل، جَميعَ هذهِ الأُمور، وتَتَأَمَّلُها. ما كانت هذهِ الأُمور؟ كانت الأفراح والآلام: مولد يسوع من جهة، ومحبّة يوسف، وزيارة الرعاة، وليلة النور تلك. لكن من الجهة الأخرى: مستقبل غير أكيد، عدم وجود منزل، "لأَنَّهُ لم يَكُنْ لَهُما مَوضِعٌ في الـمَضافة" (لو 2، 7)؛ أسف الرفض؛ خيبة الأمل لأنها اضطرت أن تلد يسوع في مغارة. آمال وضيقات، نور وظلام: جميع هذه الأمور كانت تشغل قلب مريم. وهي، ماذا فعلت؟ كانت تتأمّلها، أي كانت تستعرضها مع الله في قلبها. لم تبقِ على شيء لنفسها، لم تنغلق على شيء في الوحدة ولم تغرق في المرارة، بل قدّمت كلّ شيء لله. كانت تَحفظ بهذه الطريقة. نَحفظ الشيء إذ نعهد به: ليس بترك الحياة فريسة للخوف، أو للإحباط، أو للخرافات، ليس بالانغلاق على الذات أو بالبحث عن النسيان، إنما محوّلين كلّ شيء إلى حوار مع الله. والله الذي يهتمّ بنا، يأتي ليسكن حياتنا.  

ها هي أسرار أمّ الله: تَحفظ بصمت وتقدّم لله. كلّ هذا كان يحدث، يختم الإنجيل، في قلبها. القلب يدعو للنظر إلى ما هو محور الشخص، وعواطفه، وحياته. نحن أيضًا، مسيحيين في مسيرة، نشعر في بداية العام بالحاجة إلى أن نبدأ من المحور، وأن نترك وراءنا أعباء الماضي، وأن نبدأ من جديد ممّا هو مهمّ. ها هي أمامنا اليوم نقطة الانطلاق: أمّ الله، لأن مريم هي كما يريدنا الله أن نكون، كما تريد كنيسته: أمّ حنونة، وديعة، فقيرة بالأشياء وغنيّة بالمحبّة، حرّة من الخطيئة، متّحدة بيسوع، تحفظ الله في قلبها، وتحفظ القريب في الحياة. كي ننطلق من جديد، لننظر إلى الأم. في قلبها ينبض قلب الكنيسة. كي نمضي قدمًا، يقول لنا عيد اليوم، علينا أن نعود للوراء: نبدأ من جديد من المغارة، من الأمّ التي تحمل الله بين ذراعيها.

إن التعبّد لمريم ليس بآداب روحية، إنما ضرورة للحياة المسيحية. فنحن نجد الشجاعة، إذ ننظر إلى الأمّ، كي نترك الكثير من الصوابير غير المجدية، وكي نجد ما هو مهمّ. عطيّة الأمّ، عطية كلّ أمّ وكلّ امرأة هي ثمينة جدًّا للكنيسة، التي هي أمّ وامرأة. فيما أن الرجل غالبًا ما يستخلص الأفكار، ويؤكّدها ويفرضها، فالمرأة، الأمّ، تعرف كيف تحفظ، وتربط في القلب، وتحيي. لأن الإيمان ليس مجرّد فكرة أو عقيدة، إننا جميعًا بحاجة إلى قلب أمّ، يعرف كيف يحفظ حنان الله ويسمع مشاعر الإنسان. لتحفظنا الأمّ، التي هي بصمة الله على البشريّة، هذا العام، وتحمل سلام ابنها في القلوب، في قلوبنا، وفي العالم. وكأبناء، أدعوكم اليوم لمناجاتها بتحيّة أبناء أفسس أمام أسقفهم: "يا أمّ الله القدّيسة!". لنقل ثلاث مرّات، ومن عمق القلب، كلّنا معًا، ونحن ننظر إليها [متوجّهًا لشخص العذراء الموضوع إلى جانب المذبح]: "يا أمّ الله القدّيسة!".

[00001-AR.01] [Testo originale: Italiano]

 

[B0001-XX.02]