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Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore, 24.12.2016


Omelia del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua polacca

Testo in lingua araba

Alle ore 21.30 di oggi, il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore 2016.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha tenuto l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

«È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). Le parole dell’apostolo Paolo rivelano il mistero di questa notte santa: è apparsa la grazia di Dio, il suo regalo gratuito; nel Bambino che ci è donato si fa concreto l’amore di Dio per noi.

È una notte di gloria, quella gloria proclamata dagli angeli a Betlemme e anche da noi in tutto il mondo. È una notte di gioia, perché da oggi e per sempre Dio, l’Eterno, l’Infinito, è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea; è vicino, si è fatto uomo e non si staccherà mai dalla nostra umanità, che ha fatto sua. È una notte di luce: quella luce, profetizzata da Isaia (cfr 9,1), che avrebbe illuminato chi cammina in terra tenebrosa, è apparsa e ha avvolto i pastori di Betlemme (cfr Lc 2,9).

I pastori scoprono semplicemente che «un bambino è nato per noi» (Is 9,5) e comprendono che tutta questa gloria, tutta questa gioia, tutta questa luce si concentrano in un punto solo, in quel segno che l’angelo ha loro indicato: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo è il segno di sempre per trovare Gesù. Non solo allora, ma anche oggi. Se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio.

E con questo segno il Vangelo ci svela un paradosso: parla dell’imperatore, del governatore, dei grandi di quel tempo, ma Dio non si fa presente lì; non appare nella sala nobile di un palazzo regale, ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell’apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita.

Lasciamoci interpellare dal Bambino nella mangiatoia, ma lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti. Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi.

Il mistero del Natale, che è luce e gioia, interpella e scuote, perché è nello stesso tempo un mistero di speranza e di tristezza. Porta con sé un sapore di tristezza, in quanto l’amore non è accolto, la vita viene scartata. Così accadde a Giuseppe e Maria, che trovarono le porte chiuse e posero Gesù in una mangiatoia, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (v. 7). Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato. Questa mondanità ci ha preso in ostaggio il Natale, bisogna liberarlo!

Ma il Natale ha soprattutto un sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Così c’è un filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori.

L’hanno capito, in quella notte, i pastori, che erano tra gli emarginati di allora. Ma nessuno è emarginato agli occhi di Dio e proprio loro furono gli invitati di Natale. Chi era sicuro di sé, autosufficiente, stava a casa tra le sue cose; i pastori invece «andarono, senza indugio» (cfr Lc 2,16). Anche noi lasciamoci interpellare e convocare stanotte da Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partire da quello in cui ci sentiamo emarginati, a partire dai nostri limiti, a partire dai nostri peccati. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a guardare il presepe, immaginiamo la nascita di Gesù: la luce e la pace, la somma povertà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assaporeremo lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la mia vita. Contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me.

[02068-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

«La grâce de Dieu s’est manifestée pour le salut de tous les hommes» (Tt 2, 11). Les paroles de l’apôtre Paul révèlent le mystère de cette nuit sainte: la grâce de Dieu s’est manifestée, son cadeau gratuit; dans l’Enfant qui nous est donné l’amour de Dieu pour nous se fait concret.

C’est une nuit de gloire, cette gloire proclamée par les anges à Bethléem et aussi par nous dans le monde entier. C’est une nuit de joie, parce que depuis aujourd’hui et pour toujours Dieu, l’Eternel, l’Infini, est Dieu-avec-nous: il n’est pas lointain, nous ne devons pas le chercher dans les orbites célestes ou dans quelque idée mystique; il est proche, il s’est fait homme et ne se détachera jamais de notre humanité, qu’il a faite sienne. C’est une nuit de lumière: cette lumière, prophétisée par Isaïe (cf. 9, 1), qui illuminerait celui qui marche sur une terre ténébreuse, elle est apparue et elle a enveloppé les bergers de Bethléem (cf. Lc 2, 9).

Les bergers découvrent simplement qu’« un enfant nous est né» (Is 9, 5) et ils comprennent que toute cette gloire, toute cette joie, toute cette lumière se concentrent en un seul point, dans ce signe que l’ange leur a indiqué: «Vous trouverez une nouveau-né emmailloté et couché dans une mangeoire» (Lc 2, 12). C’est le signe de toujours pour trouver Jésus. Non seulement alors, mais aussi aujourd’hui. Si nous voulons fêter le vrai Noël, contemplons ce signe: la simplicité fragile d’un petit nouveau-né, la douceur de son être couché, la tendre affection des langes qui l’enveloppent. Là est Dieu.

Et avec ce signe, l’Evangile nous dévoile un paradoxe: il parle de l’Empereur, du Gouverneur, des grands de ce temps, mais Dieu ne se fait pas présent là; il n’apparaît pas dans la salle noble d’un palais royal, mais dans la pauvreté d’une étable; non dans les fastes de l’apparence, mais dans la simplicité de la vie; non dans le pouvoir, mais dans une petitesse qui surprend. Et pour le rencontrer il faut aller là, où il se tient: il faut s’incliner, s’abaisser, se faire petits. L’Enfant qui naît nous interpelle: il nous appelle à laisser les illusions de l’éphémère pour aller à l’essentiel, à renoncer à nos prétentions insatiables, à abandonner l’insatisfaction pérenne et la tristesse pour quelque chose qui toujours nous manquera. Cela nous fera du bien de laisser ces choses pour retrouver dans la simplicité de Dieu-enfant la paix, la joie, le sens lumineux de la vie.

Laissons-nous interpeller par l’Enfant dans la mangeoire, mais laissons-nous interpeller aussi par des enfants qui, aujourd’hui, ne sont pas couchés dans un berceau et caressés par la tendresse d’une mère et d’un père, mais qui gisent dans les sordides “mangeoires de la dignité”: dans le refuge souterrain pour échapper aux bombardements, sur les trottoirs d’une grande ville, au fond d’une embarcation surchargée de migrants. Laissons-nous interpeller par les enfants qu’on ne laisse pas naître, par ceux qui pleurent parce que personne ne rassasie leur faim, par ceux qui ne tiennent pas dans leurs mains des jouets, mais des armes.

Le mystère de Noël, qui est lumière et joie, interpelle et bouleverse, parce qu’il est en même temps un mystère d’espérance et de tristesse. Il porte avec lui une saveur de tristesse, en tant que l’amour n’est pas accueilli, la vie est rejetée. C’est ce qui arrive à Joseph et Marie, qui trouvèrent les portes fermées et déposèrent l’enfant dans une mangeoire, «car il n’y avait pas de place pour eux dans la salle commune» (v. 7). Jésus naît dans le refus de certains et dans l’indifférence de la plupart. Aujourd’hui aussi il peut y avoir la même indifférence, quand Noël devient une fête où les protagonistes sont nous, au lieu de Lui; quand les lumières du commerce jettent dans l’ombre la lumière de Dieu; quand nous nous donnons du mal pour les cadeaux et restons insensibles à celui qui est exclus. Cette mondanité nous a pris Noël en otage, il faut s’en libérer!

Mais Noël a surtout une saveur d’espérance parce que, malgré nos ténèbres, la lumière de Dieu resplendit. Sa lumière gracieuse ne fait pas peur; Dieu, épris de nous, nous attire par sa tendresse, naissant pauvre et fragile au milieu de nous, comme un de nous. Il naît à Bethléem, qui signifie “maison du pain”. Il semble ainsi vouloir nous dire qu’il naît comme pain pour nous; il vient à la vie pour nous donner sa vie; il vient dans notre monde pour nous porter son amour. Il ne vient pas pour dévorer et pour commander, mais pour nourrir et servir. Ainsi, il y a un fil direct qui relie la crèche et la croix, où Jésus sera pain rompu: c’est le fil direct de l’amour qui se donne et nous sauve, qui donne lumière à notre vie, paix à nos cœurs.

Ils l’ont compris, en cette nuit, les bergers, qui étaient parmi les exclus d’alors. Mais personne n’est exclus aux yeux de Dieu et ce furent vraiment eux les invités de Noël. Celui qui était sûr de lui, autosuffisant, était chez lui au milieu de ses affaires; les bergers au contraire «allèrent, sans hésitation » (cf. Lc 2, 16). Nous aussi, laissons-nous interpeller et convoquer cette nuit par Jésus, allons à Lui avec confiance, à partir de ce en quoi nous nous sentons exclus, à partir de nos limites, à partir de nos péchés. Laissons-nous toucher par la tendresse qui sauve; approchons-nous de Dieu qui se fait proche, arrêtons-nous pour regarder la crèche, imaginons la naissance de Jésus: la lumière et la paix, la plus grande pauvreté et le refus. Entrons dans le vrai Noël avec les bergers, portons à Jésus ce que nous sommes, nos exclusions, nos blessures non guéries, nos péchés. Ainsi, en Jésus, nous goûterons le véritable esprit de Noël: la beauté d’être aimés de Dieu. Avec Marie et Joseph, restons devant la crèche, devant Jésus qui naît comme pain pour ma vie. Contemplant son amour humble et infini, disons-luisimplement merci : merci, parce que tu as fait tout cela pour moi.

[02068-FR.02] [Texte original: Français]

Testo in lingua inglese

“The grace of God has appeared, bringing salvation to all” (Tit 2:11). The words of the Apostle Paul reveal the mystery of this holy night: the grace of God has appeared, his free gift. In the Child given to us, the love of God is made visible.

It is a night of glory, that glory proclaimed by the angels in Bethlehem and by ourselves as well, all over the world. It is a night of joy, because henceforth and for ever, the infinite and eternal God is God with us. He is not far off. We need not search for him in the heavens or in mystical notions. He is close at hand. He became man and he will never withdraw from our humanity, which he has made his own. It is a night of light. The light prophesied by Isaiah (cf. 9:1), which was to shine on those who walked in a land of darkness, has appeared and enveloped the shepherds of Bethlehem (cf. Lk 2:9).

The shepherds discover simply that “a child has been born to us” (Is 9:5). They realize that all this glory, all this joy, all this light, converges to a single point, the sign that the angel indicated to them: “You will find a child wrapped in swaddling clothes and lying in a manger” (Lk 2:12). This is the enduring sign for all who would find Jesus. Not just then, but also today. If we want to celebrate Christmas authentically, we need to contemplate this sign: the frail simplicity of a tiny newborn child, the meekness with which he is placed in a manger, the tender affection with which he is wrapped in his swaddling clothes. That is where God is.

With this sign, the Gospel reveals a paradox. It speaks of the emperor, the governor, the high and mighty of those times, yet God does not make himself present there. He appears not in the splendour of a royal palace, but in the poverty of a stable; not in pomp and show, but in simplicity of life; not in power, but in astonishing smallness. In order to meet him, we need to go where he is. We need to bow down, to humble ourselves, to make ourselves small. The newborn Child challenges us. He calls us to leave behind fleeting illusions and to turn to what is essential, to renounce our insatiable cravinfs, to abandon our endless yearning for things we will never have. We do well to leave such things behind, in order to discover, in the simplicity of the divine Child, peace, joy and the luminous meaning of life.

Let us allow the Child in the manger to challenge us, but let us also be challenged by all those children in today’s world who are lying not in a crib, caressed with affection by their mothers and fathers, but in squalid “mangers that devour dignity”. Children who hide underground to escape bombardment, on the pavements of large cities, in the hold of a boat overladen with immigrants… Let us allow ourselves to be challenged by those children who are not allowed to be born, by those who cry because no one relieves their hunger, by those who hold in their hands not toys, but weapons.

The mystery of Christmas, which is light and joy, challenges and unsettles us, because it is at once a mystery of hope and of sadness. It has a taste of sadness, inasmuch as love is not accepted, and life discarded. Such was the case with Joseph and Mary, who met with closed doors, and placed Jesus in a manger, “because there was no place for them in the inn” (v. 7). Jesus was born rejected by some and regarded by many others with indifference. Today too, that same indifference can exist, whenever Christmas becomes a holiday with ourselves at the centre rather than Jesus; when the lights of shop windows push the light of God into the shadows; when we are enthused about gifts but indifferent to our neighbours in need. This worldliness has kidnapped Christmas; we need to liberate it!

Yet Christmas has above all a taste of hope because, for all the darkness in our lives, God’s light shines forth. His gentle light does not frighten us. God, who is in love with us, draws us to himself with his tenderness, by being born poor and frail in our midst, as one of us. He is born in Bethlehem, which means “house of bread”. In this way, he seems to tell us that he is born as bread for us; he enters our life to give us his life; he comes into our world to give us his love. He does not come to devour or to lord it over us, but instead to feed and serve us. There is a straight line between the manger and the cross where Jesus will become bread that is broken. It is the straight line of love that gives and saves, the love that brings light to our lives and peace to our hearts.

That night, the shepherds understood this. They were among the marginalized of those times. Yet no one is marginalized in the sight of God, and that Christmas, they themselves were the guests. People who felt sure of themselves, self-sufficient, were at home with their possessions. It was the shepherds who “set out with haste” (cf. Lk 2:16). Tonight, may we too be challenged and called by Jesus. Let us approach him with trust, starting from all those things that make us feel marginalized, from our limitations and our sins. Let us be touched by the tenderness that saves. Let us draw close to God who draws close to us. Let us pause to gaze upon the crib, and relive in our imagination the birth of Jesus: light and peace, dire poverty and rejection. With the shepherds, let us enter into the real Christmas, bringing to Jesus all that we are, our alienation, our unhealed wounds, our sins. Then, in Jesus, we will enjoy the taste of the true spirit of Christmas: the beauty of being loved by God. With Mary and Joseph, let us pause before the manger, before Jesus who is born as bread for my life. Contemplating his humble and infinite love, let us simply tell him: Thank you. Thank you because you have done all this for me.

[02068-EN.02] [Original text: English]

Testo in lingua tedesca

Die Gnade Gottes ist erschienen, um alle Menschen zu retten« (Tit 2,11). Die Worte des Apostels Paulus offenbaren das Geheimnis dieser heiligen Nacht: Die Gnade Gottes, seine unentgeltliche Gabe ist erschienen; in dem Kind, das uns geschenkt ist, wird die Liebe Gottes zu uns konkret.

Es ist eine Nacht der Herrlichkeit – jener Herrlichkeit, die von den Engeln in Bethlehem und auch von uns in aller Welt verkündet wird. Es ist eine Nacht der Freude, denn von heute an und für immer ist Gott – der Ewige, der Unendliche – der Gott mit uns: Er ist nicht fern, wir müssen ihn nicht in den Himmelsbahnen suchen oder in irgendwelchen mystischen Vorstellungen. Er ist nahe, ist Mensch geworden und wird sich nie von unserem Menschsein lösen, das er sich zu Eigen gemacht hat. Es ist eine Nacht des Lichtes: Jenes von Jesaja geweissagte Licht, (vgl. 9,1) das die erleuchten sollte, die im Dunkeln lebten, ist erschienen und hat die Hirten von Bethlehem umstrahlt (vgl. Lk 2,9).

Die Hirten entdecken einfach: »Uns ist ein Kind geboren« (Jes 9,5), und verstehen, dass all diese Herrlichkeit, all diese Freude und all dieses Licht sich auf einen einzigen Punkt konzentrieren, auf jenes Zeichen, das der Engel ihnen angegeben hat: »Ihr werdet ein Kind finden, das, in Windeln gewickelt, in einer Krippe liegt« (Lk 2,12). Das ist das immerwährende Zeichen, um Jesus zu finden. Nicht nur damals, sondern auch heute. Wenn wir das wahre Weihnachten feiern wollen, lasst uns dieses Zeichen betrachten: die zerbrechliche Einfachheit eines kleinen Neugeborenen; die Sanftheit, mit der er daliegt; die zarte Liebe, welche die Windeln ausdrücken, die ihn umhüllen. Dort ist Gott.

Und mit diesem Zeichen offenbart uns das Evangelium ein Paradox: Es spricht vom Kaiser, vom Statthalter, von den Großen jener Zeit, aber dort taucht Gott nicht auf; er erscheint nicht im Nobelsaal eines königlichen Palastes, sondern in der Armut eines Stalls; nicht im Prunk der äußeren Erscheinung, sondern in der Einfachheit des Lebens; nicht in der Macht, sondern in einer Kleinheit, die überrascht. Und um ihm zu begegnen, muss man dorthin gehen, wo er ist: Man muss sich niederbeugen, sich erniedrigen, klein werden. Der Knabe, der uns geboren wird, fragt uns an: Er ruft uns, die Trugbilder des Vergänglichen loszulassen, um zum Wesentlichen zu gehen, auf unsere unersättlichen Ansprüche zu verzichten, die ständige Unzufriedenheit und die Traurigkeit um irgendetwas, das uns immer fehlen wird, hinter uns zu lassen. Es wird uns gut tun, diese Dinge loszulassen, um in der Einfachheit des Gotteskindes den Frieden, die Freude und den großartigen Sinn des Lebens wiederzufinden.

Lassen wir uns anfragen vom Kind in der Krippe, aber lassen wir uns auch anfragen von den Kindern, die heute nicht in einer Wiege liegen und von der Liebe einer Mutter und eines Vaters umhegt sind, sondern in den elenden „Futterkrippen der Würde“: im unterirdischen Bunker, um den Bombardierungen zu entkommen; auf dem Bürgersteig einer großen Stadt, auf dem Boden eines mit Migranten überladenen Schleppkahns. Lassen wir uns anfragen von den Kindern, die man nicht zur Welt kommen lässt; von denen, die weinen, weil niemand ihren Hunger stillt; von denen, die nicht Spielzeug, sondern Waffen in den Händen halten.

Das Geheimnis, das Licht und Freude ist, fragt an und rüttelt auf, weil es zugleich ein Geheimnis der Hoffnung und der Traurigkeit ist. Es hat einen Beigeschmack der Traurigkeit, weil die Liebe nicht aufgenommen und das Leben ausgesondert wird. So geschah es Josef und Maria, die auf verschlossene Türen stießen und Jesus in eine Krippe legten, »weil in der Herberge kein Platz für sie war« (Lk 2,7). Jesus wird geboren – abgelehnt von einigen und unter der Gleichgültigkeit der meisten. Auch heute kann es dieselbe Gleichgültigkeit geben, wenn Weihnachten zu einem Fest wird, bei dem die Hauptfiguren wir sind und nicht Er; wenn die Lichter des Gewerbes das Licht Gottes in den Schatten stellen; wenn wir uns abmühen für die Geschenke und den Ausgegrenzten gegenüber gefühllos bleiben. Diese Weltlichkeit hat das Weihnachtsfest als Geisel genommen; man muss es befreien!

Doch Weihnachten hat vor allem den Geschmack der Hoffnung, weil trotz unserer Finsternis das Licht Gottes leuchtet. Sein freundliches Licht macht keine Angst; Gott, der in uns verliebt ist, zieht uns an mit seiner Zärtlichkeit, indem er arm und zerbrechlich in unserer Mitte zur Welt kommt, als einer von uns. Er wird geboren in Bethlehem, was bedeutet „Haus des Brotes“. Er scheint uns auf diese Weise sagen zu wollen, dass er als Brot für uns geboren wird; er kommt zum Leben, um uns sein Leben zu geben; er kommt in unsere Welt, um uns seine Liebe zu bringen. Er kommt nicht, um zu verschlingen und zu befehlen, sondern um zu ernähren und zu dienen. So gibt es eine unmittelbare Verbindung von der Futterkrippe zum Kreuz, wo Jesus gebrochenes Brot sein wird: Es ist die unmittelbare Verbindung der Liebe, die sich hingibt und uns rettet, die unserem Leben Licht und unseren Herzen Frieden schenkt.

Das haben in jener Nacht die Hirten begriffen, die zu den Ausgegrenzten von damals gehörten. Aber in den Augen Gottes ist niemand ausgegrenzt, und gerade sie waren die Eingeladenen zur Weihnacht. Die Selbstsicheren, Selbstzufriedenen waren zu Hause bei ihren Angelegenheiten; die Hirten hingegen »eilten hin« (vgl. Lk 2,16). Lassen auch wir uns in dieser Nacht von Jesus anfragen und zusammenrufen; gehen wir vertrauensvoll zu ihm, von dem Punkt aus, in dem wir uns ausgegrenzt fühlen, von unseren eigenen Grenzen aus, von unseren Sünden aus. Lassen wir uns von der Zärtlichkeit berühren, die rettet. Nähern wir uns Gott, der uns nahe kommt, halten wir inne, um die Krippe anzuschauen, stellen wir uns die Geburt Jesu vor: das Licht und den Frieden, die extreme Armut und die Ablehnung. Treten wir mit den Hirten in die wahre Weihnacht ein, bringen wir das zu Jesus, was wir sind, unsere Ausgrenzungen, unsere nicht ausgeheilten Wunden, unsere Sünden. So werden wir in Jesus den wahren Geist von Weihnachten kosten: die Schönheit, von Gott geliebt zu werden. Stehen wir mit Maria und Josef vor der Krippe, vor Jesus, der geboren wird als Brot für mein Leben. Und indem wir seine demütige und grenzenlose Liebe betrachten, sagen wir ihm einfach Dank: Danke, weil du all das für mich getan hast.

[02068-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Testo in lingua spagnola

«Ha aparecido la gracia de Dios, que trae la salvación para todos los hombres» (Tt 2,11). Las palabras del apóstol Pablo manifiestan el misterio de esta noche santa: ha aparecido la gracia de Dios, su regalo gratuito; en el Niño que se nos ha dado se hace concreto el amor de Dios para con nosotros.

Es una noche de gloria, esa gloria proclamada por los ángeles en Belén y también por nosotros en todo el mundo. Es una noche de alegría, porque desde hoy y para siempre Dios, el Eterno, el Infinito, es Dios con nosotros: no está lejos, no debemos buscarlo en las órbitas celestes o en una idea mística; es cercano, se ha hecho hombre y no se cansará jamás de nuestra humanidad, que ha hecho suya. Es una noche de luz: esa luz que, según la profecía de Isaías (cf. 9,1), iluminará a quien camina en tierras de tiniebla, ha aparecido y ha envuelto a los pastores de Belén (cf. Lc 2,9).

Los pastores descubren sencillamente que «un niño nos ha nacido» (Is 9,5) y comprenden que toda esta gloria, toda esta alegría, toda esta luz se concentra en un único punto, en ese signo que el ángel les ha indicado: «Encontraréis un niño envuelto en pañales y acostado en un pesebre» (Lc 2,12). Este es el signo de siempre para encontrar a Jesús. No sólo entonces, sino también hoy. Si queremos celebrar la verdadera Navidad, contemplemos este signo: la sencillez frágil de un niño recién nacido, la dulzura al verlo recostado, la ternura de los pañales que lo cubren. Allí está Dios.

Y con este signo, el Evangelio nos revela una paradoja: habla del emperador, del gobernador, de los grandes de aquel tiempo, pero Dios no se hace presente allí; no aparece en la sala noble de un palacio real, sino en la pobreza de un establo; no en los fastos de la apariencia, sino en la sencillez de la vida; no en el poder, sino en una pequeñez que sorprende. Y para encontrarlo hay que ir allí, donde él está: es necesario reclinarse, abajarse, hacerse pequeño. El Niño que nace nos interpela: nos llama a dejar los engaños de lo efímero para ir a lo esencial, a renunciar a nuestras pretensiones insaciables, a abandonar las insatisfacciones permanentes y la tristeza ante cualquier cosa que siempre nos faltará. Nos hará bien dejar estas cosas para encontrar de nuevo en la sencillez del Niño Dios la paz, la alegría, el sentido luminoso de la vida.

Dejémonos interpelar por el Niño en el pesebre, pero dejémonos interpelar también por los niños que, hoy, no están recostados en una cuna ni acariciados por el afecto de una madre ni de un padre, sino que yacen en los escuálidos «pesebres donde se devora su dignidad»: en el refugio subterráneo para escapar de los bombardeos, sobre las aceras de una gran ciudad, en el fondo de una barcaza repleta de emigrantes. Dejémonos interpelar por los niños a los que no se les deja nacer, por los que lloran porque nadie les sacia su hambre, por los que no tienen en sus manos juguetes, sino armas.

El misterio de la Navidad, que es luz y alegría, interpela y golpea, porque es al mismo tiempo un misterio de esperanza y de tristeza. Lleva consigo un sabor de tristeza, porque el amor no ha sido acogido, la vida es descartada. Así sucedió a José y a María, que encontraron las puertas cerradas y pusieron a Jesús en un pesebre, «porque no tenían [para ellos] sitio en la posada» (v. 7): Jesús nace rechazado por algunos y en la indiferencia de la mayoría. También hoy puede darse la misma indiferencia, cuando Navidad es una fiesta donde los protagonistas somos nosotros en vez de él; cuando las luces del comercio arrinconan en la sombra la luz de Dios; cuando nos afanamos por los regalos y permanecemos insensibles ante quien está marginado. ¡Esta mundanidad nos ha secuestrado la Navidad, es necesario liberarla!

Pero la Navidad tiene sobre todo un sabor de esperanza porque, a pesar de nuestras tinieblas, la luz de Dios resplandece. Su luz suave no da miedo; Dios, enamorado de nosotros, nos atrae con su ternura, naciendo pobre y frágil en medio de nosotros, como uno más. Nace en Belén, que significa «casa del pan». Parece que nos quiere decir que nace como pan para nosotros; viene a la vida para darnos su vida; viene a nuestro mundo para traernos su amor. No viene a devorar y a mandar, sino a nutrir y servir. De este modo hay una línea directa que une el pesebre y la cruz, donde Jesús será pan partido: es la línea directa del amor que se da y nos salva, que da luz a nuestra vida, paz a nuestros corazones.

Lo entendieron, en esa noche, los pastores, que estaban entre los marginados de entonces. Pero ninguno está marginado a los ojos de Dios y fueron justamente ellos los invitados a la Navidad. Quien estaba seguro de sí mismo, autosuficiente se quedó en casa entre sus cosas; los pastores en cambio «fueron corriendo de prisa» (cf. Lc 2,16). También nosotros dejémonos interpelar y convocar en esta noche por Jesús, vayamos a él con confianza, desde aquello en lo que nos sentimos marginados, desde nuestros límites, desde nuestros pecados. Dejémonos tocar por la ternura que salva. Acerquémonos a Dios que se hace cercano, detengámonos a mirar el belén, imaginemos el nacimiento de Jesús: la luz y la paz, la pobreza absoluta y el rechazo. Entremos en la verdadera Navidad con los pastores, llevemos a Jesús lo que somos, nuestras marginaciones, nuestras heridas no curadas, nuestros pecados. Así, en Jesús, saborearemos el verdadero espíritu de Navidad: la belleza de ser amados por Dios. Con María y José quedémonos ante el pesebre, ante Jesús que nace como pan para mi vida. Contemplando su amor humilde e infinito, digámosle sencillamente gracias: gracias, porque has hecho todo esto por mí.

[02068-ES.02] [Texto original: Español]

Testo in lingua portoghese

«Manifestou-se a graça de Deus, portadora de salvação para todos os homens» (Tt 2, 11). Estas palavras do apóstolo Paulo revelam o mistério desta noite santa: manifestou-se a graça de Deus, o seu presente gratuito; no Menino que nos é dado, concretiza-se o amor de Deus por nós.

É uma noite de glória, a glória proclamada pelos anjos em Belém e também por nós em todo o mundo. É uma noite de alegria, porque, desde agora e para sempre, Deus, o Eterno, o Infinito, é Deus connosco: não está longe, não temos de O procurar nas órbitas celestes nem em qualquer ideia mística; está próximo, fez-Se homem e não Se separará jamais desta nossa humanidade que assumiu. É uma noite de luz: a luz, profetizada por Isaías e que havia de iluminar quem caminha em terra tenebrosa (cf. 9, 1), manifestou-se e envolveu os pastores de Belém (cf. Lc 2, 9).

Os pastores descobrem, pura e simplesmente, que «um menino nasceu para nós» (Is 9, 5) e compreendem que toda aquela glória, toda aquela alegria, toda aquela luz se concentram num único ponto, no sinal que o anjo lhes indicou: «Encontrareis um menino envolto em panos e deitado numa manjedoura» (Lc 2, 12). Este é o sinal de sempre para encontrar Jesus; não só então, mas hoje também. Se queremos festejar o verdadeiro Natal, contemplemos este sinal: a simplicidade frágil dum pequenino recém-nascido, a mansidão que demonstra no estar deitado, a ternura afetuosa das fraldas que O envolvem. Ali está Deus.

E com este sinal, o Evangelho desvenda-nos um paradoxo: fala do imperador, do governador, dos grandes de então, mas Deus não Se apresentou lá; não aparece no salão nobre dum palácio real, mas na pobreza dum curral; não nos fastos ilusórios, mas na simplicidade da vida; não no poder, mas numa pequenez que nos deixa surpreendidos. E, para O encontrar, é preciso ir aonde Ele está: é preciso inclinar-se, abaixar-se, fazer-se pequenino. O Menino que nasce interpela-nos: chama-nos a deixar as ilusões do efémero para ir ao essencial, renunciar às nossas pretensões insaciáveis, abandonar aquela perene insatisfação e a tristeza por algo que sempre nos faltará. Far-nos-á bem deixar estas coisas, para reencontrar na simplicidade de Deus-Menino a paz, a alegria, o sentido luminoso da vida.

Deixemo-nos interpelar pelo Menino na manjedoura, mas deixemo-nos interpelar também pelas crianças que, hoje, não são reclinadas num berço nem acariciadas pelo carinho duma mãe e dum pai, mas jazem nas miseráveis «manjedouras de dignidade»: no abrigo subterrâneo para escapar aos bombardeamentos, na calçada duma grande cidade, no fundo dum barco sobrecarregado de migrantes. Deixemo-nos interpelar pelas crianças que não se deixam nascer, as que choram porque ninguém lhes sacia a fome, aquelas que na mão não têm brinquedos, mas armas.

O mistério do Natal, que é luz e alegria, interpela e mexe connosco, porque é um mistério de esperança e simultaneamente de tristeza. Traz consigo um sabor de tristeza, já que o amor não é acolhido, a vida é descartada. Assim acontece a José e Maria, que encontraram as portas fechadas e puseram Jesus numa manjedoura, «por não haver lugar para eles na hospedaria» (Lc 2, 7). Jesus nasce rejeitado por alguns e na indiferença da maioria. E a mesma indiferença pode reinar também hoje, quando o Natal se torna uma festa onde os protagonistas somos nós, em vez de ser Ele; quando as luzes do comércio põem na sombra a luz de Deus; quando nos afanamos com as prendas e ficamos insensíveis a quem está marginalizado. Esta mundanidade fez refém o Natal; é preciso libertá-lo!

Mas o Natal tem sobretudo um sabor de esperança, porque, não obstante as nossas trevas, resplandece a luz de Deus. A sua luz gentil não mete medo; enamorado por nós, Deus atrai-nos com a sua ternura, nascendo pobre e frágil no nosso meio, como um de nós. Nasce em Belém, que significa «casa do pão»; deste modo parece querer dizer-nos que nasce como pão para nós; vem à nossa vida, para nos dar a sua vida; vem ao nosso mundo, para nos trazer o seu amor. Vem, não para devorar e comandar, mas alimentar e servir. Há, pois, uma linha direta que liga a manjedoura e a cruz, onde Jesus será pão repartido: é a linha direta do amor que se dá e nos salva, que dá luz à nossa vida, paz aos nossos corações.

Compreenderam-no, naquela noite, os pastores, que se contavam entre os marginalizados de então. Mas ninguém é marginalizado aos olhos de Deus, e precisamente eles foram os convidados de Natal. Quem se sentia seguro de si, autossuficiente, ficara em casa com as suas coisas; ao contrário, os pastores «foram apressadamente» (Lc 2, 16). Deixemo-nos, também nós, interpelar e convocar nesta noite por Jesus, vamos confiadamente ter com Ele, a partir daquilo em que nos sentimos marginalizados, a partir dos nossos limites, a partir dos nossos pecados. Deixemo-nos tocar pela ternura que salva. Aproximemo-nos de Deus que Se faz próximo, detenhamo-nos a olhar o presépio, imaginemos o nascimento de Jesus: a luz e a paz, a pobreza extrema e a rejeição. Entremos no verdadeiro Natal com os pastores, levemos a Jesus aquilo que somos, as nossas marginalizações, as nossas feridas não curadas, os nossos pecados. Assim, em Jesus, saborearemos o verdadeiro espírito do Natal: a beleza de ser amado por Deus. Com Maria e José, paremos diante da manjedoura, diante de Jesus que nasce como pão para a minha vida. Contemplando o seu amor humilde e infinito, digamos-Lhe pura e simplesmente obrigado: Obrigado, porque fizestes tudo isto por mim.

[02068-PO.02] [Texto original: Português]

Testo in lingua polacca

„Ukazała się łaska Boga, która niesie zbawienie wszystkim ludziom” (Tt 2,11). Słowa apostoła Pawła ujawniają tajemnicę tej świętej nocy: ukazała się łaska Boga, Jego bezinteresowny dar; w danym nam Dzieciątku miłość Boga wobec nas staje się konkretną.

Jest to noc chwały, tej chwały ogłoszonej przez aniołów w Betlejem, a także nam na całym świecie. Jest to noc radości, ponieważ od teraz i na zawsze Bóg, Odwieczny, Nieskończony jest Bogiem z nami: nie jest daleki, nie musimy Go poszukiwać na orbitach niebiańskich lub w jakiejś mistycznej idei; jest blisko, stał się człowiekiem i nigdy nie odłączy się od naszego człowieczeństwa, które uczynił swoim. Jest to noc światła: to światło, o którym prorokował Izajasz (por. 9,1), a które rozjaśni tych, którzy chodzą w ciemności, pojawiło się i ogarnęło pasterzy z Betlejem (por. Łk 2,9).

Pasterze odkrywają po prostu, że „Dziecię nam się narodziło” (Iz 9,5) i pojmują, że cała ta chwała, cała ta radość, całe to światło skupia się w jednym punkcie, w tym znaku, który wskazał im anioł: „Znajdziecie Niemowlę owinięte w pieluszki i leżące w żłobie” (Łk 2, 12). Zawsze jest to znak, by znaleźć Jezusa. Nie tylko wówczas, ale również dziś. Jeśli chcemy świętować prawdziwe Boże Narodzenie, rozważajmy ten znak: krucha prostota niemowlęcia, łagodność jego położenia w żłobie, czułość pieluszek, w które był owinięty. Tam jest Bóg.

Za pomocą tego znaku Ewangelia ukazuje nam paradoks: mówi o cesarzu, o rządcy, o wielkich tego czasu, ale Bóg nie jest tam obecny; nie pojawia się w sali szlacheckiej pałacu królewskiego, ale w ubóstwie żłobu; nie w blasku pozorów, ale w prostocie życia; nie u władzy, ale w zaskakującej małości. I aby Go spotkać trzeba iść tam, gdzie On przebywa: trzeba się pochylić, uniżyć się, stać się małymi. Rodzące się Dzieciątko jest dla nas wyzwaniem: wzywa nas do opuszczenia ulotnych złudzeń, aby przejść do istoty, do wyrzeczenia się naszych nienasyconych żądań i porzucenia odwiecznego niezadowolenia i smutku z powodu czegoś, czego zawsze będzie nam brakowało. Dobrze nam zrobi, jeśli pozostawimy te rzeczy, aby znaleźć w prostocie Boga-Dzieciątka radość, promienny sens życia.

Pozwólmy, by wyzwaniem dla nas było Dzieciątko w żłobie, ale także dzieci, które nie leżą dziś w kołysce, otoczone pieszczotą miłości matki i ojca, ale leżą w nędznych „żłóbkach godności”: w podziemnym schronie, by uniknąć bombardowania, na chodniku wielkiego miasta, na dnie łodzi przeciążonej migrantami. Pozwólmy, by wyzwaniem dla nas były dzieci, którym nie pozwala się narodzić, te, które płaczą, bo nikt nie zaspokaja ich głodu, te, które nie trzymają w rękach zabawki, lecz broń.

Tajemnica Bożego Narodzenia, która jest światłem i radością, stanowi wyzwanie i wstrząsa, ponieważ jest równocześnie tajemnicą nadziei i smutku. Niesie z sobą smak smutku, bo miłość nie jest przyjęta, życie jest odrzucone. Tak stało się z Józefem i Maryją, którzy zastali drzwi zamknięte i położyli Jezusa w żłobie, bo „nie było dla nich miejsca w gospodzie” (w. 7). Jezus rodzi się jako odrzucony przez jednych i przy obojętności większości. Także dzisiaj może być taka sama obojętność, gdy Boże Narodzenie staje się świętem, w którym protagonistami stajemy się my sami, zamiast Niego; kiedy światła komercji spychają w cień światło Boga; kiedy gonimy za prezentami, a pozostajemy niewrażliwi na osoby usunięte na margines. Nasze Boże Narodzenie stało się zakładnikiem tej światowości. Trzeba je uwolnić!

Ale Boże Narodzenie ma przede wszystkim smak nadziei, ponieważ, pomimo naszych ciemności, jaśnieje światło Boga. Jego łagodne światło nie budzi lęku; Bóg rozmiłowany w nas, przyciąga nas swoją czułością, rodząc się ubogim i kruchym pośród nas, jako jeden z nas. Rodzi się w Betlejem, co oznacza „dom chleba”. Wydaje się, jakby chciał nam powiedzieć, że rodzi się dla nas chlebem; rodzi się do życia, aby dać nam swoje życie; wchodzi w nasz świat, aby nam przynieść swoją miłość. Nie przychodzi, by pożerać i rozkazywać, ale by karmić i służyć. Istnieje zatem bezpośrednia nić łącząca żłóbek i krzyż, gdzie Jezus będzie chlebem łamanym: jest to bezpośrednia nić miłości, która daje siebie i nas zbawia, która daje światło naszemu życiu i pokój naszym sercom.

Zrozumieli to w ową noc pasterze, którzy należeli do ludzi zmarginalizowanych tamtych czasów. Ale nikt nie jest marginalizowany w oczach Boga i to właśnie oni byli zaproszonymi na Boże Narodzenie. Ci, którzy byli pewni siebie, samowystarczalni, zostawali w domu, wśród swoich spraw; natomiast pasterze „udali się z pośpiechem” (por. Łk 2,16). Także i my pozwólmy, by tej nocy Jezus nas wezwał i zwołał, idźmy do Niego z ufnością, wychodząc od tego, w czym czujemy się zmarginalizowani, wychodząc od naszych ograniczeń, wychodząc od naszych grzechów. Pozwólmy, by dotknęła nas czułość, która zbawia. Zbliżmy się do Boga, który staje się bliskim, zatrzymajmy się, by spojrzeć na żłóbek, wyobraźmy sobie narodziny Jezusa: światłość i pokój, najwyższe ubóstwo i odrzucenie. Wejdźmy w prawdziwe Boże Narodzenie wraz z pasterzami, zanieśmy do Jezusa, to czym jesteśmy, nasze marginalizacje, nasze nie zagojone rany, nasze grzechy. W ten sposób zasmakujemy w Jezusie prawdziwego ducha Bożego Narodzenia: piękno bycia kochanymi przez Boga. Wraz z Maryją i Józefem jesteśmy przed żłóbkiem Jezusa, który rodzi się jako chleb dla mojego życia. Kontemplując Jego pokorną i nieskończoną miłość, powiedzmy Mu po prostu „dziękuję”: dziękuję, ponieważ uczyniłeś to wszystko dla mnie.

[02068-PL.02] [Testo originale: Polacco]

Testo in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

قداس ليلة عيد الميلاد

السبت 24 ديسمبر / كانون الأول 2016

بازليك القديس بطرس

"فقَد ظَهَرَت نِعمَةُ الله، يَنبوعُ الخَلاصِ لِجَميعِ النَّاس" (طي 2، 11). إن كلمات بولس الرسول تكشف سر هذه الليلة المقدسة: لقد ظهرت نعمة الله، عطيته المجانية؛ ومحبة الله لنا تصبح ملموسة في الطفل الذي أعطانا إياه.

إنها ليلة مجد، ذاك المجد الذي أعلنه الملائكة في بيت لحم ونعلنه نحن اليوم أيضًا في العالم بأسره. إنها ليلة فرح، لأن الله، من الآن وإلى الأبد، الله الأزلي واللامتناهي، هو الله معنا: ليس بعيدًا، ليس علينا أن نبحث عنه في المدارات السماوية أم في بعض الأفكار الغامضة؛ إنه قريب، لقد صار إنسانًا ولن ينفصل أبدًا عن إنسانيتنا، التي تبنّاها. إنها ليلة نور: ذاك النور، الذي تنبّأ به أشعيا (را. 9، 1)، والذي ينير مَن يسير في بُقعَةِ الظَّلام، قد أشرق حول رعاة بيت لحم (را. لو 2، 9).

يكتشف الرعاةُ بكلّ بساطة أنه "قد وُلِد لنا ولد" (أش 9، 5) ويفهمون أن كلّ هذا المجد، كلّ هذا الفرح، كلّ هذا النور، يتركّز في نقطة واحدة، في هذه العلامة التي أعطاهم إياها الملاك: "سَتَجِدونَ طِفلاً مُقَمَّطاً مُضجَعاً في مِذوَد" (لو 2، 12). هذه هي العلامة الأبدية لنجد يسوع. لا في ذاك الزمن وحسب، إنما اليوم أيضًا. إن أردنا أن نحتفل بالميلاد الحقيقي، فلنتأمّل بهذه العلامة: البساطة الهشّة لمولودٍ جديدٍ صغير، ووداعة كيانه المضّجع في مذود، والمودّة الحنونة التي تحيطه بها الأقمطة. هنا هو الله.

وبهذه العلامة يكشف لنا الإنجيل وجود مفارقة: يتكلّم عن الإمبراطور، وعن الحاكم، وعن كبار هذا الزمن، ولكن الله ليس من بينهم؛ لا يظهر في قاعة نبيلة من قصر ملكي، إنما في فقر المذود؛ وليس في أمجاد المظاهر إنما في بساطة الحياة؛ ليس في السلطة، إنما في صِغَرٍ يدهش. وكي نلتقي به علينا الذهاب إلى هناك، إلى حيث هو: ويجب أن ننحني ونصير صغارا. الطفل الذي يولد يستدعينا: يدعونا إلى ترك الأوهام الزائلة لنذهب إلى ما هو جوهري، وإلى التخلّي عن ادعاءاتنا النهمة، وإلى ترك عدم الرضا الدائم والحزن بسبب شيء ما ينقصنا على الدوام. فخيرٌ لنا أن نترك هذه الأمور كي نجد، في بساطة الله-الطفل، السلامَ والفرحَ ومعنى الحياة المنير.

لندع طفل المذود يستدعينا، بل لندع الأطفال يستدعونا، أطفال اليوم الذين، لا يضجعون في مهد، يعانقهم حنان أم وأب، إنما هم مُلقون في "مذاود الكرامة" البائسة: في الملاجئ تحت الأرض كي ينجوا من القصف، أو على رصيف مدينة كبيرة، أو في الجزء الأسفل من زورق مليء بالمهاجرين. لندع الأطفال الذين لا يُسمح لهم بأن يُولدوا يستدعونا، وأيضًا الذين يبكون لأنّه ما من أحد ليسدّ جوعهم، والذين يمسكون في أيديهم، لا الألعاب إنما الأسلحة.

إن سرّ الميلاد الذي هو نورٌ وفرح، يستدعينا ويهزّنا، لأنه في الوقت عينه سرّ رجاء وحزن. فهو يحمل معه طعم الحزن، لأن المحبّة تُرفَض والحياة تُستَبعَد. هذا ما جرى مع يوسف ومريم، إذ وجدوا الأبواب مغلقة ووضعوا يسوع في مذود، "لأَنَّهُ لم يَكُنْ لَهُما مَوضِعٌ في الـمَضافة" (آية 7). ولد يسوع وهو مرفوض من البعض وأمام لامبالاة الكثير. وقد نجد اللامبالاة نفسها اليوم حين يصبح الميلاد عيدٌ نكون فيه نحن الأهمّ بدلًا عنه؛ وعندما تُلقي أضواءُ التجارة في الظلام نورَ الله؛ وعندما ننشغل بالهدايا ولا نبالي بالمُهمَّش. هذه الأمور الدنيوية قد اختطفت منا الميلاد: يجب أن نحرره!

ولكن للميلاد طعم رجاء قبل كلّ شيء لأن نور الله، وبرغم ظلامنا، يشعّ. نوره اللطيف لا يخوّف؛ فالله، وهو مفعم بحبنا، يجذبنا بحنانه، إذ يولد فقيرًا وهشًا في وسطنا، كواحدٍ منّا. يولد في بيت لحم، الذي يعني "بيت الخبز". وكأنه يريد أن يقول لنا بأنه خبز لنا؛ يأتي إلى الحياة ليهبنا الحياة؛ يدخل عالمنا ليحمل إلينا محبته. فهو لا يأتي ليلتهم ويأمر، بل ليُطعِمَ ويَخدُم. هناك بالتالي خيط مباشر يربط المذود بالصليب، حيث سوف يصبح يسوع الخبز المكسور: إنه الخيط المباشر للمحبة التي تُعطى وتخلّصنا، والتي تهب النور لحياتنا، والسلام لقلوبنا.

أما الرعاة فقد أدركوا الأمر في تلك الليلة، هم الذين كانوا من بين المهمّشين في ذاك الزمن. ولكن ما من أحد مهمّش في عين الله، وقد كانوا هم المدعوّين بالتحديد في الميلاد. فمن كان واثقا بنفسه، ومكتفيا بذاته، كان حينها في البيت منشغلًا بأموره؛ أما الرعاة فقد "جاؤوا مُسرعين" (را. لو 2، 16). لندع نحن يسوع يستدعينا في هذه الليلة ويدعونا، لنذهب إليه بثقة، انطلاقا من الأمور التي نشعر فيها أننا مستبعدون، انطلاقا من محدودياتنا، انطلاقا من خطايانا. لندع حنانه المخلّص يلمسنا. لنقترب من الله الذي يجعل من نفسه قريبًا، لنتوقّف وننظر إلى المغارة، لنتصوّر ميلاد يسوع: النور، السلام، الفقر التام والرفض. لندخل في الميلاد الحقيقي مع الرعاة، ولنقدّم ليسوع ما نحن عليه، تهميشنا وجراحنا المفتوحة، وخطايانا. فنتذوّق هكذا، في يسوع، الروحَ الحقيقيّ الميلاد: جمال أن نكون محبوبين من الله. نقف مع مريم ويوسف أمام المذود ويسوع الذي يولد بمثابة خبز من أجل حياتي. وإذ نتأمّل بمحبّته الوديعة والصغيرة، فلنقل له شكرا بكل بساطة: شكرًا، لأنك صنعت كلّ هذا من أجلي.

[02068-AR.01] [Testo originale: Arabo]

[B0934-XX.03]