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Santa Messa in occasione del Giubileo dei carcerati, 06.11.2016


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione del pellegrinaggio giubilare dei detenuti con i loro famigliari, del personale penitenziario, dei cappellani delle carceri e delle associazioni che offrono assistenza all’interno o all’esterno delle carceri, indetto nei giorni 5-6 novembre nel contesto delle celebrazioni dell’Anno della Misericordia.

Prima dell’arrivo del Papa, i partecipanti all’evento hanno vissuto un momento di animazione, con testimonianze e intermezzi musicali, seguito dalla recita del Rosario in preparazione alla Santa Messa.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Il messaggio che la Parola di Dio oggi vuole comunicarci è certamente quello della speranza, di quella speranza che non delude.

Uno dei sette fratelli condannati a morte dal re Antioco Epifane dice: «Da Dio si ha la speranza di essere di nuovo da lui risuscitati» (2 Mac 7,14). Queste parole manifestano la fede di quei martiri che, nonostante le sofferenze e le torture, hanno la forza di guardare oltre. Una fede che, mentre riconosce in Dio la sorgente della speranza, mostra il desiderio di raggiungere una vita nuova.

Allo stesso modo, nel Vangelo, abbiamo ascoltato come Gesù con una semplice risposta, ma perfetta, cancelli tutta la banale casistica che i sadducei gli avevano sottoposto. La sua espressione: «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20,38), rivela il vero volto del Padre, che desidera solo la vita di tutti i suoi figli. La speranza di rinascere a una vita nuova, quindi, è quanto siamo chiamati a fare nostro per essere fedeli all’insegnamento di Gesù.

La speranza è dono di Dio. Dobbiamo chiederla. Essa è posta nel più profondo del cuore di ogni persona perché possa rischiarare con la sua luce il presente, spesso turbato e offuscato da tante situazioni che portano tristezza e dolore. Abbiamo bisogno di rendere sempre più salde le radici della nostra speranza, perché possano portare frutto. In primo luogo, la certezza della presenza e della compassione di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto. Non esiste luogo nel nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace.

Oggi celebriamo il Giubileo della Misericordia per voi e con voi, fratelli e sorelle carcerati. Ed è con questa espressione dell’amore di Dio, la misericordia, che sentiamo il bisogno di confrontarci. Certo, il mancato rispetto della legge ha meritato la condanna; e la privazione della libertà è la forma più pesante della pena che si sconta, perché tocca la persona nel suo nucleo più intimo. Eppure, la speranza non può venire meno. Una cosa, infatti, è ciò che meritiamo per il male compiuto; altra cosa, invece, è il “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Il nostro cuore sempre spera il bene; ne siamo debitori alla misericordia con la quale Dio ci viene incontro senza mai abbandonarci (cfr Agostino, Sermo 254, 1).

Nella Lettera ai Romani, l’apostolo Paolo parla di Dio come del «Dio della speranza» (Rm 15,13). E’ come se volesse dire anche a noi: Dio spera; e per paradossale che possa sembrare, è proprio così: Dio spera! La sua misericordia non lo lascia tranquillo. È come quel Padre della parabola, che spera sempre nel ritorno del figlio che ha sbagliato (cfr Lc 15,11-32). Non esiste tregua né riposo per Dio fino a quando non ha ritrovato la pecora che si era perduta (cfr Lc 15,5). Se dunque Dio spera, allora la speranza non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita; è una spinta verso il domani, perché l’amore con cui, nonostante tutto, siamo amati, possa diventare nuovo cammino… Insomma, la speranza è la prova interiore della forza della misericordia di Dio, che chiede di guardare avanti e di vincere, con la fede e l’abbandono in Lui, l’attrattiva verso il male e il peccato.

Cari detenuti, è il giorno del vostro Giubileo! Che oggi, dinanzi al Signore, la vostra speranza sia accesa. Il Giubileo, per la sua stessa natura, porta con sé l’annuncio della liberazione (cfr Lv 25,39-46). Non dipende da me poterla concedere, ma suscitare in ognuno di voi il desiderio della vera libertà è un compito a cui la Chiesa non può rinunciare. A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni.

Sappiamo infatti che nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto (cfr Rm 2,1-11). Ma nessuno può vivere senza la certezza di trovare il perdono! Il ladro pentito, crocifisso insieme a Gesù, lo ha accompagnato in paradiso (cfr Lc 23,43). Nessuno di voi, pertanto, si rinchiuda nel passato! Certo, la storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. Ma la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati. Qualunque cosa, piccola o grande, il cuore ci rimproveri, «Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20): dobbiamo solo affidarci alla sua misericordia.

La fede, anche se piccola come un granello di senape, è in grado di spostare le montagne (cfr Mt 17,20). Quante volte la forza della fede ha permesso di pronunciare la parola perdono in condizioni umanamente impossibili! Persone che hanno patito violenze o soprusi su loro stesse o sui propri cari o i propri beni… Solo la forza di Dio, la misericordia, può guarire certe ferite. E dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia.

Oggi veneriamo la Vergine Maria in questa statua che la raffigura come Madre che tiene tra le braccia Gesù con una catena spezzata, la catena della schiavitù e della prigionia. Ella rivolga su ciascuno di voi il suo sguardo materno; faccia sgorgare dal vostro cuore la forza della speranza per una vita nuova e degna di essere vissuta nella piena libertà e nel servizio al prossimo.

[01780-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Le message que la Parole de Dieu veut nous communiquer aujourd’hui est certainement celui de l’espérance, celuide cette espérance qui ne déçoit pas.

L’un des sept frères condamnés à mort par le Roi Antiocos Épiphane dit: «On attend la résurrection promise par Dieu» (2M 7, 14). Ces paroles manifestent la foi de ces martyrs qui, malgré les souffrances et les tortures, ont la force de regarder au-delà. Une foi qui, tandis qu’elle reconnaît en Dieu la source de l’espérance, révèle le désir d’attendre une vie nouvelle.

De même, dans l’Évangile, nous avons entendu comment Jésus, avec une simple réponse mais parfaite, efface toute la banale casuistique que les Saducéens lui avaient soumise. Son expression: «Il n’est pas le Dieu des morts, mais des vivants. Tous, en effet, vivent pour lui» (Lc 20, 38), révèle le vrai visage du Père, qui ne désire que la vie de tous ses enfants. L’espérance de renaître à une vie nouvelle est donc ce que nous sommes tous appelés à faire nôtre pour être fidèles à l’enseignement de Jésus.

L’espérance est un don de Dieu. Nous devons la demander. Elle est mise au plus profond du cœur de chaque personne afin qu’elle puisse éclairer de sa lumière le présent, souvent obscurci et assombri par tant de situations qui portent tristesse et douleur. Nous avons besoin d’affermir toujours davantage les racines de notre espérance, pour qu’elles puissent porter du fruit. En premier lieu, la certitude de la présence et de la compassion de Dieu, malgré le mal que nous avons accompli. Il n’y a pas d’endroit dans notre cœur qui ne puisse pas être atteint par l’amour de Dieu. Là où il y a une personne qui a commis une faute, là se fait encore plus présente la miséricorde du Père, pour susciter le repentir, le pardon, la réconciliation, la paix.

Aujourd’hui, nous célébrons le Jubilé de la Miséricorde pour vous et avec vous, frères et sœurs détenus. Et c’est à cette expression de l’amour de Dieu, la miséricorde, que nous sentons le besoin de nous confronter. Certes, le manquement à la loi a mérité la condamnation; et la privation de la liberté est la forme la plus lourde de la peine qui est purgée, car elle touche la personne dans son fond le plus intime. Et pourtant, l’espérance ne peut s’évanouir. Une chose, en effet, est ce que nous méritons pour le mal fait; autre chose, en revanche, est le fait de ‘‘respirer’’ l’espérance, qui ne peut être étouffé par rien ni par personne. Notre cœur espère toujours le bien; nous le devons à la miséricorde avec laquelle Dieu vient à notre rencontre sans jamais nous abandonner (cf. Augustin, Sermon 254, 1).

Dans la Lettre aux Romains, l’apôtre Paul parle de Dieu comme du «Dieu de l’espérance» (Rm 15, 13). C’est comme s’il voulait nous dire, à nous également: ‘‘Dieu espère’’; et aussi paradoxal que cela puisse paraître, il en est précisément ainsi: Dieu espère! Sa miséricorde ne le laisse pas tranquille. Il est comme ce Père de la parabole, qui espère toujours le retour de son fils qui a commis une faute (cf. Lc 15, 11-32). Il n’y a ni trêve ni repos pour Dieu jusqu’à ce qu’il retrouve la brebis qui s’était perdue ( cf. Lc 15, 5). Donc, si Dieu espère, alors l’espérance ne peut être enlevée à personne, car elle est la force pour aller de l’avant; elle est la tension vers l’avenir pour transformer la vie; elle est un élan vers demain, afin que l’amour dont, malgré tout, nous sommes aimés, puisse devenir un chemin nouveau…. En somme, l’espérance est la preuve intérieure de la force de la miséricorde de Dieu, qui demande de regarder devant et de vaincre, par la foi et l’abandon à lui, l’attraction vers le mal et le péché.

Chers détenus, c’est le jour de votre Jubilé! Qu’aujourd’hui, devant le Seigneur, votre espérance soit allumée. Le Jubilé, de par sa nature même, porte en soi l’annonce de la libération (cf. Lv 25, 39-46). Il ne dépend pas de moi de pouvoir la concéder; mais susciter en chacun de vous le désir de la vraie liberté est une tâche à laquelle l’Église ne peut renoncer. Parfois, une certaine hypocrisie porte à voir en vous uniquement des personnes qui ont commis une faute, pour lesquelles l’unique voie est celle de la prison. Moi, je vous dis: chaque fois que j’entre dans une prison, je me demande: ‘‘Pourquoi eux et pas moi?’’. Tous, nous pouvons commettre des fautes: tous! D’une manière ou d’une autre, nous avons commis des fautes. Et par hypocrisie, on ne pense pas qu’il est possible de changer de vie: il y a peu de confiance dans la réhabilitation, dans la réinsertion dans la société. Mais de cette manière, on oublie que nous sommes tous pécheurs et que, souvent, nous sommes aussi des prisonniers sans nous en rendre compte. Lorsqu’on s’enferme dans ses propres préjugés, ou qu’on est esclave des idoles d’un faux bien-être, quand on s’emmure dans des schémas idéologiques ou qu’on absolutise les lois du marché qui écrasent les personnes, en réalité, on ne fait rien d’autre que de se mettre dans les murs étroits de la cellule de l’individualisme et de l’autosuffisance, privé de la vérité qui génère la liberté. Et montrer du doigt quelqu’un qui a commis une faute ne peut devenir un alibi pour cacher ses propres contradictions.

Nous savons, en effet, que personne devant Dieu ne peut se considérer juste (cf. Rm 2, 1-11). Mais personne ne peut vivre sans la certitude de trouver le pardon! Le larron repenti, crucifié avec Jésus, l’a accompagné au paradis (cf. Lc 23, 43). Que personne d’entre vous, par conséquent, ne s’enferme dans le passé! Certes, le passé, même si nous le voulions, ne peut être réécrit. Mais l’histoire qui commence aujourd’hui, et qui regarde l’avenir, est encore toute à écrire, avec la grâce de Dieu et avec votre responsabilité personnelle. En apprenant des erreurs du passé, on peut ouvrir un nouveau chapitre de la vie. Ne tombons pas dans la tentation de penser de ne pouvoir être pardonnés. Quelle que soit la chose, petite ou grande, que le cœur nous reproche, «Dieu est plus grand que notre cœur « (cf. 1 Jn 3, 20): nous devons uniquement nous confier à sa miséricorde.

La foi, même si elle petite comme un grain de sénevé, est en mesure de déplacer les montagnes (cf. Mt 17, 20). Que de fois la force de la foi a permis de prononcer le mot pardon dans des conditions humainement impossibles! Des personnes qui ont subi des violences ou des abus dans leur propre chair ou dans leurs proches ou dans leurs biens… Seule la force de Dieu, la miséricorde, peut guérir certaines blessures. Et là où on répond à la violence par le pardon, là aussi le cœur de celui qui a commis une faute peut être vaincu par l’amour qui l’emporte sur toute forme de mal. Et ainsi, parmi les victimes et parmi les coupables, Dieu suscite d’authentiques témoins et artisans de miséricorde.

Aujourd’hui, nous vénérons la Vierge Marie dans cette statue qui la représente comme la Mère qui porte dans ses bras Jésus avec une chaîne rompue, la chaîne de l’esclave et de la détention. Qu’elle tourne vers chacun de vous son regard maternel; qu’elle fasse jaillir de votre cœur la force de l’espérance pour une vie nouvelle et digne d’être vécue dans la pleine liberté et au service du prochain.

[01780-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The message that God’s word wants to bring us today is surely that of hope, the hope that does not disappoint.

One of the seven brothers condemned to death by King Antiochus Epiphanes speaks of “the hope God gives of being raised again by him” (2 Macc 7:14). These words demonstrate the faith of those martyrs who, despite suffering and torture, were steadfast in looking to the future. Theirs was a faith that, in acknowledging God as the source of their hope, reflected the desire to attain a new life.

In the Gospel, we have heard how Jesus, with a simple yet complete answer, demolishes the banal casuistry that the Sadducees had set before him. His response – “He is not God of the dead, but of the living; for all live to him” (Lk 20:38) – reveals the true face of God, who desires only life for all his children. The hope of being born to a new life, then, is what we must make our own, if we are to be faithful to the teaching of Jesus.

Hope is a gift of God. We must ask for it. It is placed deep within each human heart in order to shed light on this life, so often troubled and clouded by so many situations that bring sadness and pain. We need to nourish the roots of our hope so that they can bear fruit; primarily, the certainty of God’s closeness and compassion, despite whatever evil we have done. There is no corner of our heart that cannot be touched by God’s love. Whenever someone makes a mistake, the Father’s mercy is all the more present, awakening repentance, forgiveness, reconciliation and peace.

Today we celebrate the Jubilee of Mercy for you and with you, our brothers and sisters who are imprisoned. Mercy, as the expression of God’s love, is something we need to think about more deeply. Certainly, breaking the law involves paying the price, and losing one’s freedom is the worst part of serving time, because it affects us so deeply. All the same, hope must not falter. Paying for the wrong we have done is one thing, but another thing entirely is the “breath” of hope, which cannot be stifled by anyone or anything. Our heart always yearns for goodness. We are in debt to the mercy that God constantly shows us, for he never abandons us (cf. Augustine, Sermo 254:1).

In his Letter to the Romans, the Apostle Paul speaks of God as “the God of hope” (15:13). It is as if Paul wants to say also to us: “God hopes”. While this may seem paradoxical, it is true: God hopes! His mercy gives him no rest. He is like that Father in the parable, who keeps hoping for the return of his son who has fallen by the wayside (Lk 15:11-32). God does not rest until he finds the sheep that was lost (Lk 15:5). So if God hopes, then no one should lose hope. For hope is the strength to keep moving forward. It is the power to press on towards the future and a changed life. It is the incentive to look to tomorrow, so that the love we have known, for all our failings, can show us a new path. In a word, hope is the proof, lying deep in our hearts, of the power of God’s mercy. That mercy invites us to keep looking ahead and to overcome our attachment to evil and sin through faith and abandonment in him.

Dear friends, today is your Jubilee! Today, in God’s sight, may your hope be kindled anew. A Jubilee, by its very nature, always brings with it a proclamation of freedom (Lev 25:39-46). It does not depend on me to grant this, but the Church’s duty, one she cannot renounce, is to awaken within you the desire for true freedom. Sometimes, a certain hypocrisy leads to people considering you only as wrongdoers, for whom prison is the sole answer. I want to tell you, every time I visit a prison I ask myself: “Why them and not me?”. We can all make mistakes: all of us. And in one way or another we have made mistakes. Hypocrisy leads us to overlook the possibility that people can change their lives; we put little trust in rehabilitation, rehabilitation into society. But in this way we forget that we are all sinners and often, without being aware of it, we too are prisoners. At times we are locked up within our own prejudices or enslaved to the idols of a false sense of wellbeing. At times we get stuck in our own ideologies or absolutize the laws of the market even as they crush other people. At such times, we imprison ourselves behind the walls of individualism and self-sufficiency, deprived of the truth that sets us free. Pointing the finger against someone who has made mistakes cannot become an alibi for concealing our own contradictions.

We know that in God’s eyes no one can consider himself just (cf. Rom 2:1-11). But no one can live without the certainty of finding forgiveness! The repentant thief, crucified at Jesus’ side, accompanied him into paradise (cf. Lk 23:43). So may none of you allow yourselves to be held captive by the past! True enough, even if we wanted to, we can never rewrite the past. But the history that starts today, and looks to the future, has yet to be written, by the grace of God and your personal responsibility. By learning from past mistakes, you can open a new chapter of your lives. Let us never yield to the temptation of thinking that we cannot be forgiven. Whatever our hearts may accuse us of, small or great, “God is greater than our hearts” (1 Jn 3:20). We need but entrust ourselves to his mercy.

Faith, even when it is as tiny as a grain of mustard seed, can move mountains (cf. Mt 17:20). How many times has the power of faith enabled us to utter the word pardon in humanly impossible situations. People who have suffered violence and abuse, either themselves, or in the person of their loved ones, or their property… there are some wounds that only God’s power, his mercy, can heal. But when violence is met with forgiveness, even the hearts of those who have done wrong can be conquered by the love that triumphs over every form of evil. In this way, among the victims and among those who wronged them, God raises up true witnesses and workers of mercy.

Today we venerate the Blessed Virgin Mary in this statue, which represents her as a Mother who holds Jesus in her arms, together with a broken chain; it is the chain of slavery and imprisonment. May Our Lady look upon each of you with a Mother’s love. May she intercede for you, so that your hearts can experience the power of hope for a new life, one worthy of being lived in complete freedom and in service to your neighbour.

[01780-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Die Botschaft, die das Wort Gottes uns heute sagen will, ist gewiss die der Hoffnung, jener Hoffnung, die nicht enttäuscht.

Einer der sieben Brüder, die von König Antiochus Epiphanes zum Tod verurteilt wurden, sagt: »Gott hat uns die Hoffnung gegeben, dass er uns wieder auferweckt« (2Mak 7,14). Diese Worte drücken den Glauben jener Märtyrer aus, die trotz Leiden und Folter die Kraft haben, weiter zu blicken. Einen Glauben, der in Gott den Quell der Hoffnung erkennt und dabei den Wunsch deutlich werden lässt, ein neues Leben zu erlangen.

Ebenso haben wir im Evangelium gehört, wie Jesus mit einer einfachen, aber perfekten Antwort die ganze banale Kasuistik, die ihm die Sadduzäer vorgelegt haben, beseitigt. Seine Aussage: »Er ist doch kein Gott von Toten, sondern von Lebenden; denn für ihn sind alle lebendig« (Lk 20,38), offenbart das wahre Antlitz des Vaters, der nur das Leben seiner Kinder wünscht. Die Hoffnung, zu einem neuen Leben wiedergeboren zu werden, ist also das, was wir uns zu Eigen machen sollen, um der Lehre Jesu treu zu sein.

Die Hoffnung ist eine Gabe Gottes. Wir müssen um sie bitten. Sie ist in das Innerste des Herzens eines jeden Menschen eingesenkt, damit sie mit ihrem Licht die Gegenwart erhellen mag, die oft von leid- und schmerzbringenden Situationen getrübt und verdunkelt wird. Wir müssen die Wurzeln unserer Hoffnung immer fester werden lassen, damit sie Frucht bringen können. An erster Stelle gehört dazu die Gewissheit der Gegenwart Gottes und seines Mitleids trotz des Bösen, das wir getan haben. Es gibt keinen Ort unseres Herzens, der nicht von der Liebe Gottes erreicht werden könnte. Wo ein Mensch ist, der etwas falsch gemacht hat, da wird das Erbarmen des Vaters noch gegenwärtiger, um Reue, Vergebung, Versöhnung und Frieden zu wecken.

Heute feiern wir, Brüder und Schwestern, das Jubiläum der Barmherzigkeit für und mit euch Strafgefangenen. Und wir verspüren, dass es notwendig ist, sich mit diesem Ausdruck der Liebe Gottes, der Barmherzigkeit, auseinanderzusetzen. Gewiss hat die fehlende Beachtung des Gesetzes die Verurteilung verdient; und der Freiheitsentzug ist die schwerste Strafform, die man abbüßt, da sie die Person in ihrem innersten Kern trifft. Und doch kann die Hoffnung nicht erlöschen. Denn es ist eine Sache, was wir für das getane Böse verdienen; eine andere Sache jedoch ist der „Atem“ der Hoffnung, der von nichts und niemanden erstickt werden kann. Unser Herz hofft immer auf das Gute; da sind wir Schuldner der Barmherzigkeit, mit der Gott uns entgegenkommt, ohne uns je zu verlassen (vgl. Augustinus, Sermo 254,1)

Im Römerbrief spricht der Apostel Paulus von Gott als dem »Gott der Hoffnung« (Röm 15,13). Es ist, als wollte er auch uns sagen: „Gott hofft“; und wie paradox es auch scheinen mag, es ist genau so: Gott hofft! Seine Barmherzigkeit lässt ihn nicht ruhig. Er ist wie der Vater im Gleichnis, der immer auf die Rückkehr des Sohnes, der gefehlt hat, hofft (vgl. Lk 15,11-32). Es gibt für Gott weder Rast noch Ruhe, bis er nicht das verlorengegangene Schaf gefunden hat (vgl. Lk 15,5). Wenn nun Gott hofft, dann kann die Hoffnung niemandem genommen werden, denn sie ist die Kraft, um weiterzugehen; sie ist die Spannung auf die Zukunft hin, um das Leben zu verändern; sie ist ein Ansporn auf das Morgen hin, damit die Liebe, mit der wir trotz allem geliebt werden, zu einem neuen Weg werden kann … Die Hoffnung ist also der innere Beweis für die Kraft des Erbarmens Gottes, der verlangt, nach vorne zu schauen und im Glauben und im Sich-ihm-Überlassen den Reiz des Bösen und der Sünde zu besiegen.

Liebe Strafgefangene, dieser Tag ist eure Jubiläumsfeier! Möge eure Hoffnung heute vor dem Herrn entflammt sein. Das Jubeljahr bringt seiner Natur nach die Verkündigung der Freiheit mit sich (vgl. Lev 25,39-46). Es hängt nicht von mir ab, sie gewähren zu können. Aber in einem jeden von euch den Wunsch nach der wahren Freiheit zu wecken, ist eine Aufgabe, der die Kirche sich nicht entziehen kann. Mitunter verleitet eine gewisse Scheinheiligkeit dazu, in euch nur Menschen zu sehen, die etwas falsch gemacht haben und für die der einzige Weg das Gefängnis ist. Ich sage euch: Jedes Mal, wenn ich ein Gefängnis betrete, frage ich mich: „Warum sie und nicht ich?“ Wir alle können Fehler machen, alle. Auf die eine oder andere Weise haben wir Fehler gemacht. Die Scheinheiligkeit lässt uns denken, dass eine Änderung des Lebens nicht möglich ist, man hat wenig Vertrauen in die Rehabilitation, in die Wiedereingliederung in die Gesellschaft. Auf diese Weise aber vergisst man, dass wir alle Sünder sind, und oft sind wir auch Gefangene, ohne dass wir uns dessen bewusst werden. Wenn man in seinen Vorurteilen eingeschlossen bleibt oder Sklave der Götzen eines falschen Wohlstands ist, wenn man sich innerhalb ideologischer Schablonen bewegt oder die Gesetze des Marktes verabsolutiert, welche die Menschen erdrücken, dann tut man in Wirklichkeit nichts anderes, als zwischen den engen Wänden der Zelle des Individualismus und der Selbstgenügsamkeit zu stehen und ist der Wahrheit beraubt, die Freiheit hervorbringt. Und mit dem Finger auf jemanden zu zeigen, der etwas falsch gemacht hat, kann kein Alibi dafür werden, um die eigenen Widersprüche zu verbergen.

Wir wissen nämlich, dass vor Gott sich niemand für gerecht halten kann (vgl. Röm 2,1-11). Niemand kann jedoch ohne die Gewissheit, Vergebung zu finden, leben! Der reumütige Schächer, der neben Jesus gekreuzigt wurde, hat ihn ins Paradies begleitet (vgl. Lk 23,43). Niemand von euch soll sich daher in die Vergangenheit einschließen! Gewiss, selbst wenn wir wollten, kann die vergangene Geschichte nicht neu geschrieben werden. Aber die Geschichte, die heute beginnt und auf die Zukunft blickt, ist noch ganz zu schreiben – und zwar mit Gottes Hilfe und in eurer persönlichen Verantwortung. Wenn man von den Fehlern der Vergangenheit lernt, dann kann man ein neues Kapitel des Lebens aufschlagen. Fallen wir nicht in die Versuchung zu denken, dass einem nicht vergeben wird. Weswegen – ob einer kleinen oder großen Sache – das Herz uns auch verurteilt, »Gott ist größer als unser Herz« (1Joh 3,20): Wir müssen uns nur seinem Erbarmen anvertrauen.

Selbst wenn der Glaube so klein ist wie ein Senfkorn, vermag er Berge zu versetzen (vgl. Mt 17,20). Wie oft hat die Kraft des Glaubens es möglich gemacht, in menschenunmöglichen Situationen das Wort Vergebung zu sprechen! Menschen, die Gewalt und Übergriffe an sich selbst, an ihren Angehörigen oder an ihren Gütern erlitten haben … Nur die Kraft Gottes, die Barmherzigkeit, kann gewisse Wunden heilen. Und wo man auf Gewalt mit Vergebung antwortet, dort kann auch das Herz, das etwas falsch gemacht hat, von der Liebe, die jede Form des Bösen besiegt, überwältigt werden. Und so erweckt Gott zwischen Opfern und Tätern echte Zeugen der Barmherzigkeit, die nach ihr handeln.

Heute verehren wir die Jungfrau Maria vor dieser Statue, die sie als Mutter darstellt, wie sie Jesus mit einer zerbrochenen Kette, der Kette der Sklaverei und der Gefangenschaft, im Arm hält. Maria wende einem jeden ihren mütterlichen Blick zu; sie lasse aus eurem Herzen die Kraft der Hoffnung für ein eines neues Leben kommen, das es wert ist, in voller Freiheit und im Dienst am Nächsten gelebt zu werden.

[01780-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

El mensaje que la Palabra de Dios quiere comunicarnos hoy es ciertamente de esperanza, de esa esperanza que no defrauda.

Uno de los siete hermanos condenados a muerte por el rey Antíoco Epífanes dice: «Dios mismo nos resucitará» (2M 7,14). Estas palabras manifiestan la fe de aquellos mártires que, no obstante los sufrimientos y las torturas, tienen la fuerza para mirar más allá. Una fe que, mientras reconoce en Dios la fuente de la esperanza, muestra el deseo de alcanzar una vida nueva.

Del mismo modo, en el Evangelio, hemos escuchado cómo Jesús con una respuesta sencilla pero perfecta elimina toda la casuística banal que los saduceos le habían presentado. Su expresión: «No es Dios de muertos, sino de vivos: porque para él todos están vivos» (Lc 20,38), revela el verdadero rostro del Padre, que desea sólo la vida de todos sus hijos. La esperanza de renacer a una vida nueva, por tanto, es lo que estamos llamados a asumir para ser fieles a la enseñanza de Jesús.

La esperanza es don de Dios. Debemos pedirla. Está ubicada en lo más profundo del corazón de cada persona para que pueda iluminar con su luz el presente, muchas veces turbado y ofuscado por tantas situaciones que conllevan tristeza y dolor. Tenemos necesidad de fortalecer cada vez más las raíces de nuestra esperanza, para que puedan dar fruto. En primer lugar, la certeza de la presencia y de la compasión de Dios, no obstante el mal que hemos cometido. No existe lugar en nuestro corazón que no pueda ser alcanzado por el amor de Dios. Donde hay una persona que se ha equivocado, allí se hace presente con más fuerza la misericordia del Padre, para suscitar arrepentimiento, perdón, reconciliación, paz.

Hoy celebramos el Jubileo de la Misericordia para vosotros y con vosotros, hermanos y hermanas reclusos. Y es con esta expresión de amor de Dios, la misericordia, que sentimos la necesidad de confrontarnos. Ciertamente, la falta de respeto por la ley conlleva la condena, y la privación de libertad es la forma más dura de descontar una pena, porque toca la persona en su núcleo más íntimo. Y todavía así, la esperanza no puede perderse. Una cosa es lo que merecemos por el mal que hicimos, y otra cosa distinta es el «respiro» de la esperanza, que no puede sofocarlo nada ni nadie. Nuestro corazón siempre espera el bien; se lo debemos a la misericordia con la que Dios nos sale al encuentro sin abandonarnos jamás (cf. san Agustín, Sermo 254,1).

En la carta a los Romanos, el apóstol Pablo habla de Dios como del «Dios de la esperanza» (Rm 15,13). Es como si nos quisiera decir también a nosotros que también Dios espera; y por paradójico que pueda parecer, es así: Dios espera. Su misericordia no lo deja tranquilo. Es como el Padre de la parábola, que espera siempre el regreso del hijo que se ha equivocado (cf. Lc 15,11-32). No existe tregua ni reposo para Dios hasta que no ha encontrado la oveja descarriada (cf. Lc 15,5). Por tanto, si Dios espera, entonces la esperanza no se le puede quitar a nadie, porque es la fuerza para seguir adelante; la tensión hacia el futuro para transformar la vida; el estímulo para el mañana, de modo que el amor con el que, a pesar de todo, nos ama, pueda ser un nuevo camino… En definitiva, la esperanza es la prueba interior de la fuerza de la misericordia de Dios, que nos pide mirar hacia adelante y vencer la atracción hacia el mal y el pecado con la fe y la confianza en él.

Queridos reclusos, es el día de vuestro Jubileo. Que hoy, ante el Señor, vuestra esperanza se encienda. El Jubileo, por su misma naturaleza, lleva consigo el anuncio de la liberación (cf. Lv 25,39-46). No depende de mí poderla conceder, pero suscitar el deseo de la verdadera libertad en cada uno de vosotros es una tarea a la que la Iglesia no puede renunciar. A veces, una cierta hipocresía lleva a ver sólo en vosotros personas que se han equivocado, para las que el único camino es la cárcel. Os digo: cada vez que entro en una cárcel, me pregunto: «¿Por qué ellos y no yo?». Todos tenemos la posibilidad de equivocarnos: todos. De una manera u otra, nos hemos equivocado. Y la hipocresía hace que no se piense en la posibilidad de cambiar de vida, hay poca confianza en la rehabilitación, en la reinserción en la sociedad. Pero de este modo se olvida que todos somos pecadores y, muchas veces, somos prisioneros sin darnos cuenta. Cuando se permanece encerrados en los propios prejuicios, o se es esclavo de los ídolos de un falso bienestar, cuando uno se mueve dentro de esquemas ideológicos o absolutiza leyes de mercado que aplastan a las personas, en realidad no se hace otra cosa que estar entre las estrechas paredes de la celda del individualismo y de la autosuficiencia, privados de la verdad que genera la libertad. Y señalar con el dedo a quien se ha equivocado no puede ser una excusa para esconder las propias contradicciones.

Sabemos que ante Dios nadie puede considerarse justo (cf. Rm 2,1-11). Pero nadie puede vivir sin la certeza de encontrar el perdón. El ladrón arrepentido, crucificado junto a Jesús, lo ha acompañado en el paraíso (cf. Lc 23,43). Ninguno de vosotros, por tanto, se encierre en el pasado. La historia pasada, aunque lo quisiéramos, no puede ser escrita de nuevo. Pero la historia que inicia hoy, y que mira al futuro, está todavía sin escribir, con la gracia de Dios y con vuestra responsabilidad personal. Aprendiendo de los errores del pasado, se puede abrir un nuevo capítulo de la vida. No caigamos en la tentación de pensar que no podemos ser perdonados. Ante cualquier cosa, pequeña o grande, que nos reproche el corazón, sólo debemos poner nuestra confianza en su misericordia, pues «Dios es mayor que nuestro corazón» (1Jn 3,20).

La fe, incluso si es pequeña como un grano de mostaza, es capaz de mover montañas (cf. Mt 17,20). Cuantas veces la fuerza de la fe ha permitido pronunciar la palabra perdón en condiciones humanamente imposibles. Personas que han padecido violencias o abusos en sí mismas o en sus seres queridos o en sus bienes. Sólo la fuerza de Dios, la misericordia, puede curar ciertas heridas. Y donde se responde a la violencia con el perdón, allí también el amor que derrota toda forma de mal puede conquistar el corazón de quien se ha equivocado. Y así, entre las víctimas y entre los culpables, Dios suscita auténticos testimonios y obreros de la misericordia.

Hoy veneramos a la Virgen María en esta imagen que la representa como una Madre que tiene en sus brazos a Jesús con una cadena rota, las cadenas de la esclavitud y de la prisión. Que ella dirija a cada uno de vosotros su mirada materna, haga surgir de vuestro corazón la fuerza de la esperanza para vivir una vida nueva y digna en plena libertad y en el servicio del prójimo.

[01780-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Esperança é certamente a mensagem que hoje nos quer comunicar a Palavra de Deus: uma esperança tal que não desilude.

Um dos sete irmãos condenados à morte pelo rei Antíoco Epífanes diz: «É uma felicidade perecer à mão dos homens, com a esperança de que Deus nos ressuscitará» (2 Mac 7, 14). Estas palavras manifestam a fé daqueles mártires que, apesar dos sofrimentos e torturas, têm a força para olhar mais além. Aquela fé, ao mesmo tempo que reconhece em Deus a fonte da esperança, mostra o desejo de alcançar uma vida nova.

De igual modo ouvimos, no Evangelho, como Jesus anula com uma resposta simples, mas perfeita, toda a casística banal que os saduceus tinham sujeito à decisão d’Ele. A sua afirmação – «Deus não é Deus de mortos, mas de vivos; pois, para Ele, todos estão vivos» (Lc 20, 38) – revela o verdadeiro rosto do Pai, cujo único desejo é a vida de todos os seus filhos. Assim, para ser fiéis ao ensinamento de Jesus, tudo o que somos chamados a assumir e fazer nosso é a esperança de renascer para uma vida nova.

A esperança é dom de Deus. Temos de a pedir. É colocada no mais fundo do coração de cada pessoa para poder iluminar, com a sua luz, o presente muitas vezes turvado e ofuscado por tantas situações que geram tristeza e dor. Precisamos de tornar cada vez mais firmes as raízes da nossa esperança, para podermos dar fruto. Em primeiro lugar, tenhamos a certeza da presença e da compaixão de Deus, não obstante o mal que tivermos realizado. Não há ponto do nosso coração que não possa ser alcançado pelo amor de Deus. Onde há uma pessoa que errou, aí mesmo se torna ainda mais presente a misericórdia do Pai, para suscitar arrependimento, perdão, reconciliação, paz.

Hoje celebramos o Jubileu da Misericórdia para vós e convosco, irmãos e irmãs encarcerados. E, para a necessidade que sentimos de vos confortar, valemo-nos desta expressão do amor de Deus: a misericórdia. É certo que a violação da lei vos mereceu a condenação; e a privação da liberdade é a forma mais pesada da pena que descontais, porque toca a pessoa no seu âmago mais profundo. Mas a esperança não pode desfalecer. Com efeito, uma coisa é o que merecemos pelo mal realizado; outra, diversa, é a «respiração» da esperança, que não pode ser sufocada por nada nem ninguém. O nosso coração sempre espera o bem; devemos isso à misericórdia com que Deus vem ao nosso encontro sem nos abandonar jamais (cf. Agostinho, Sermo 254, 1).

Na Carta aos Romanos, o apóstolo Paulo fala de Deus como sendo o «Deus da esperança» (15, 13). É como se quisesse dizer também a nós: «Deus espera»; e, por mais paradoxal que possa parecer, é mesmo assim: Deus espera! A sua misericórdia não O deixa tranquilo. É como aquele Pai da parábola, que sempre espera o regresso do filho que errou (cf. Lc 15, 11-32). Deus não Se dá trégua nem descanso, enquanto não encontrar a ovelha que estava perdida (cf. Lc 15, 5). Ora, se Deus espera, então a esperança não pode ser tirada a ninguém, porque é a força para continuar; é a tensão para o futuro, a fim de transformar a vida; é um impulso para o amanhã, a fim de o amor – com que, apesar de tudo, somos amados – se poder tornar um caminho novo... Em suma, a esperança é a prova interior da força da misericórdia de Deus, que pede para olhar em frente e, com a fé e o abandono n’Ele, vencer a atração para o mal e o pecado.

Queridos reclusos, é o dia do vosso Jubileu. Que hoje, diante do Senhor, se reacenda a vossa esperança! O Jubileu, por sua própria natureza, traz consigo o anúncio da libertação (cf. Lv 25, 39-46). Não depende de mim a possibilidade de vo-la conceder, mas suscitar em cada um de vós o desejo da verdadeira liberdade é uma tarefa a que a Igreja não pode renunciar. Às vezes, uma certa hipocrisia impele a ver em vós apenas pessoas que erraram, para quem a única estrada é o cárcere. Confesso-vos: todas as vezes que entro num estabelecimento prisional, interrogo-me: «Porquê eles, e não eu?» Todos podemos errar; todos. E duma forma ou doutra erramos. E a hipocrisia faz com que não se pense na possibilidade de mudar de vida: há pouca confiança na reabilitação, na reinserção na sociedade. Mas, assim, esquece-se que todos somos pecadores e, muitas vezes, também somos prisioneiros sem nos dar conta. Quando se permanece fechado nos próprios preconceitos, ou se é escravo dos ídolos dum falso bem-estar, quando nos movemos dentro de esquemas ideológicos ou se absolutizam leis de mercado que esmagam as pessoas, na realidade limitamo-nos a viver dentro das paredes estreitas da cela do individualismo e da autossuficiência, privados da verdade que gera a liberdade. E apontar o dedo contra alguém que errou não pode tornar-se um álibi para esconder as nossas próprias contradições.

De facto, sabemos que, diante de Deus, ninguém se pode considerar justo (cf. Rm 2, 1-11). Mas ninguém pode viver sem a certeza de encontrar o perdão. O ladrão arrependido, crucificado juntamente com Jesus, acompanhou-O até ao paraíso (cf. Lc 23, 43). Por isso, nenhum de vós se feche no passado. É certo que a história passada, mesmo se o quiséssemos fazer, não pode ser reescrita. Mas a história, que começa hoje e aponta para o futuro, está ainda toda por escrever, com a graça de Deus e a vossa responsabilidade pessoal. Aprendendo com os erros do passado, pode-se abrir um novo capítulo da vida. Não caiamos na tentação de pensar que não podemos ser perdoados. Qualquer coisa que seja, pequena ou grande, que o coração nos acuse, «Deus é maior que nosso coração» (1 Jo 3, 20): temos apenas de nos confiar à sua misericórdia.

A fé, ainda que seja pequena como um grão de mostarda, pode deslocar as montanhas (cf. Mt 17, 20). Quantas vezes a força da fé permitiu pronunciar a palavra «perdoo» em condições humanamente impossíveis! Pessoas que sofreram violências e abusos em si mesmas, nos seus entes queridos ou nos seus próprios bens... Só a força de Deus, a misericórdia, pode curar certas feridas. E onde à violência se responde com o perdão, aí também o coração de quem errou pode ser vencido pelo amor que derrota todas as formas de mal. E assim Deus suscita, entre as vítimas e entre os culpados, autênticas testemunhas e obreiros de misericórdia.

Hoje veneramos a Virgem Maria nesta imagem que no-La representa como Mãe que sustenta nos seus braços Jesus com uma corrente quebrada, as correntes da escravidão e da prisão. Que Ela pouse sobre cada um de vós o seu olhar materno; faça brotar do vosso coração a força da esperança para uma vida nova e digna de ser vivida na liberdade plena e no serviço do próximo.

[01780-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0802-XX.02]