Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Georgia e Azerbaijan (30 settembre – 2 ottobre 2016) - Incontro con sacerdoti, religiosi/e, seminaristi nella chiesa dell’Assunta di Tbilisi, 01.10.2016


Incontro con sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi nella chiesa dell’Assunta di Tbilisi

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 15.30 il Santo Padre Francesco ha lasciato la Nunziatura per recarsi presso la Chiesa dell’Assunta di Tbilisi per l’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose ed i seminaristi. Erano presenti anche rappresentanti dei Consiglio pastorali delle varie denominazioni cattoliche in Georgia.

Al suo arrivo, alle ore 15.45, il Papa è stato accolto da S.E. Mons. Giuseppe Pasotto, Amministratore Apostolico del Caucaso dei Latini, e dal Vicario. Dopo l’introduzione dell’Amministratore Apostolico e le testimonianze di un sacerdote, un seminarista, una madre di famiglia e un giovane, il Santo Padre ha pronunciato un discorso a braccio.

L’incontro si è concluso con la recita del “Padre Nostro” in georgiano, la benedizione e l’offerta di un dono al Santo Padre.

Pubblichiamo di seguito la trascrizione del discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

Discorso del Santo Padre

Buonasera!

Grazie, caro Fratello, grazie a Lei.

Adesso parlerò per tutti, mischiando tutte le domande.

Quando tu [si riferisce al sacerdote che ha fatto la testimonianza] hai parlato, alla fine mi è venuto in mente – e lui [Mons. Minassian] è testimone – una cosa che è accaduta alla fine della Messa a Gyumri [in Armenia]. Finita la Messa, ho invitato a salire sulla “papamobile” Sua Eccellenza e anche il Vescovo della Chiesa Apostolica Armena della stessa città. Eravamo tre vescovi: il Vescovo di Roma, il Vescovo cattolico di Gyumri e il Vescovo Armeno Apostolico. Tutti e tre: è una bella macedonia! Abbiamo fatto il giro e poi siamo scesi. E quando io andavo a prendere la macchina, una vecchietta, lì, mi faceva segno di avvicinarmi. Quanti anni aveva? Ottanta? Non era vecchietta… Sembrava di più, sembrava ottanta e più… Io ho sentito nel cuore la voglia di avvicinarmi a salutarla, perché era dietro le transenne. Era una donna umile, molto umile. Mi ha salutato con amore… Aveva un dente d’oro, come si usava in altri tempi… E mi ha detto questo: “Io sono armena, ma abito in Georgia. E sono venuta dalla Georgia!”. Aveva viaggiato otto ore, o sei ore nel bus, per incontrare il Papa. Poi, il giorno dopo, quando andavamo non ricordo dove – due ore e più – l’ho trovata lì! Le ho detto: “Ma, signora, lei è venuta dalla Georgia… Tante ore di viaggio. E poi due ore in più, il giorno dopo, per trovarmi…” - “Eh si! E’ la fede!”, mi ha detto. Tu hai parlato di essere saldi nella fede. Essere saldi nella fede è la testimonianza che ha dato questa donna. Credeva che Gesù Cristo, Figlio di Dio, ha lasciato Pietro sulla terra e lei voleva vedere Pietro.

Saldi nella fede significa capacità di ricevere dagli altri la fede, conservarla e trasmetterla. Tu hai detto, parlando di questo essere saldi nella fede: “tenere viva la memoria del passato, la storia nazionale e avere il coraggio di sognare e di costruire un futuro luminoso”. Saldi nella fede significa non dimenticare quello che noi abbiamo imparato, anzi, farlo crescere e darlo ai nostri figli. Per questo a Cracovia ho dato come missione speciale ai giovani quella di parlare con i nonni. Sono i nonni che ci hanno trasmesso la fede. E voi che lavorate con i giovani dovete insegnare loro ad ascoltare i nonni, a parlare con i nonni, per ricevere l’acqua fresca della fede, elaborarla nel presente, farla crescere – non nasconderla in un cassetto, no – elaborarla, farla crescere e trasmetterla ai nostri figli.

L’Apostolo Paolo, parlando al suo discepolo prediletto, Timoteo, nella Seconda Lettera, gli diceva di conservare salda la fede che aveva ricevuto dalla mamma e dalla nonna. Questa è la strada che noi dobbiamo seguire, e questo ci farà maturare tanto. Ricevere l’eredità, farla germogliare e darla. Una pianta senza radici non cresce. Una fede senza la radice della mamma e della nonna non cresce. Anche una fede che mi è stata data e che io non do agli altri, ai più piccoli, ai miei “figli” non cresce.

Dunque, per riassumere: per essere saldi nella fede bisogna avere memoria del passato, coraggio nel presente e speranza nel futuro. Questo, riguardo all’essere saldi nella fede. E non dimenticare quella signora georgiana, che è stata capace di andare col bus – 6/7 ore – in Armenia, nella città di Gyumri, dove lui [Mons. Minassian] è il vescovo, e il giorno dopo andare a trovare il Papa un’altra volta a Yerevan. Non dimenticare quell’immagine! E’ una donna che abita qui: è una donna armena, ma della Georgia! E le donne georgiane hanno fama, hanno grande fama di essere donne di fede, forti, che portano avanti la Chiesa!

E tu, Kote [il seminarista], una volta hai detto a tua mamma: “Io voglio fare quello che fa quell’uomo” [il sacerdote che celebra la Messa]. E alla fine del tuo intervento hai detto: “Io sono fiero di essere cattolico e di diventare un prete cattolico georgiano”. E’ tutto un percorso… Tu non hai detto che cosa disse tua mamma… Che cosa ti disse tua mamma quando tu le hai detto: “Io voglio fare quello che fa quell’uomo”? [Risponde: “Ero piccolo e la mia mamma mi ha detto: Va bene, fai quello che fa lui!… Ma ero piccolo…]. Ancora una volta la mamma, la donna georgiana forte. Quella donna “perdeva” un figlio, ma lodava Dio. Lo ha accompagnato nel suo cammino. E la mamma di Kote perdeva anche l’opportunità di diventare suocera!… Questo è l’inizio di una vocazione; e lì c’è sempre la mamma, la nonna… Ma tu hai detto la parola chiave: memoria. Conservare la memoria della prima chiamata. Custodire quel momento, come tu custodisci quel ricordo: “Mamma, io voglio fare quello che fa quell’uomo”. Perché questa non è una favola che è venuta nella tua mente: è stato lo Spirito Santo a toccarti. E custodire questo con la memoria è custodire la grazia dello Spirito Santo. Parlo a tutti i preti e le suore!

Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo – o avremo – momenti bui. Anche noi consacrati abbiamo momenti bui. Quando sembra che la cosa non vada avanti, quando ci sono difficoltà di convivenza nella comunità, nella diocesi… In quei momenti, quello che si deve fare è fermarsi, fare memoria. Memoria del momento in cui io sono stato toccato o toccata dallo Spirito Santo. Come lui ha detto, del momento in cui lui disse: “Mamma, io voglio fare quello che fa quell’uomo”: il momento in cui ci tocca lo Spirito Santo. La perseveranza nella vocazione è radicata nella memoria di quella carezza che il Signore ci ha fatto e con cui ci ha detto: “Vieni, vieni con me”. E questo è quello che io consiglio a tutti voi consacrati: non tornare indietro, quando ci sono le difficoltà. E se volete guardare indietro, sia la memoria di quel momento. L’unico. E così la fede rimane salda, la vocazione rimane salda… Con le nostre debolezze, con i nostri peccati; tutti siamo peccatori e tutti abbiamo bisogno di confessarci, ma la misericordia e l’amore di Gesù sono più grandi dei nostri peccati.

E adesso vorrei parlare di due cose che avete detto… Ma [prima] dimmi: è tanto forte il freddo in Kazakhstan, in inverno? Sì?... Ma vai avanti lo stesso!

E adesso, Irina. Abbiamo parlato con il prete, con i religiosi, con i consacrati della fede salda; ma come è la fede nel matrimonio? Il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo e la donna, li ha creati a sua immagine (cfr Gen 1,27). Cioè, l’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio. Io ho capito, Irina, quando tu spiegavi le difficoltà che tante volte vengono nel matrimonio: le incomprensioni, le tentazioni… “Mah, risolviamo la cosa per la strada del divorzio, e così io mi cerco un altro, lui si cerca un’altra, e incominciamo di nuovo”. Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio? Due persone, pagano. Chi paga? [Irina risponde: tutti e due] Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide “una sola carne”, si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio. Ma è normale che nel matrimonio si litighi? Sì, è normale. Succede. Alle volte “volano i piatti”. Ma se è vero amore, allora si fa la pace subito. Io consiglio agli sposi: litigate finché volete, litigate finché volete ma non finite la giornata senza fare la pace. Sapete perché? Perché la “guerra fredda” del giorno dopo è pericolosissima. Quanti matrimoni si salvano se hanno il coraggio, alla fine della giornata, di non fare un discorso, ma una carezza, ed è fatta la pace! Ma è vero, ci sono situazioni più complesse, quando il diavolo si immischia e mette davanti all’uomo una donna che gli sembra più bella della sua, o quando mette davanti a una donna un uomo che le sembra più bravo del suo. Chiedete aiuto subito. Quando viene questa tentazione, chiedete aiuto subito.

E’ questo quello che tu [Irina] dicevi, di aiutare le coppie. E come si aiutano le coppie? Si aiutano con l’accoglienza, la vicinanza, l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione nel corpo della Chiesa. Accogliere, accompagnare, discernere e integrare. Nella comunità cattolica si deve aiutare a salvare i matrimoni. Ci sono tre parole: sono parole d’oro nella vita del matrimonio. Io domanderei ad una coppia: “Vi volete bene?” - “Sì”, diranno. “E quando c’è qualcosa che uno fa per l’altro, sapete dire grazie? E se uno dei due fa una diavoleria, sapete chiedere scusa? E se voi volete portare avanti un progetto, [ad esempio] passare una giornata in campagna, o qualsiasi cosa, sapete chiedere l’opinione dell’altro?”. Tre parole: “Cosa ti sembra? Posso?”; “grazie”; “scusa”. Se nelle coppie si usano queste parole: “Scusami, ho sbagliato”; “Posso fare questo?”; o “Grazie di quel bel pasto che mi hai fatto”; “Posso?”, “grazie”, “scusa”, se si utilizzano queste tre parole, il matrimonio andrà avanti bene. E’ un aiuto.

Tu, Irina, hai menzionato un grande nemico del matrimonio, oggi: la teoria del gender. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche. Se ci sono problemi, fare la pace al più presto possibile, prima che finisca la giornata, e non dimenticare le tre parole: “permesso”, “grazie”, “perdonami”.

E tu, Kakha, hai parlato di una Chiesa aperta, che non si chiuda in sé stessa, che sia una Chiesa per tutti, una Chiesa madre - la mamma è così. Ci sono due donne che Gesù ha voluto per tutti noi: sua madre e la sua sposa. E queste due si assomigliano. La madre è la madre di Gesù, e lui l’ha lasciata come madre nostra. La Chiesa è la sposa di Gesù ed è anch’essa nostra madre. Con la madre Chiesa e la madre Maria si può andare avanti sicuri. E lì troviamo ancora una volta la donna. Sembra che il Signore abbia una preferenza per portare avanti la fede nelle donne. Maria, la Santa Madre di Dio; la Chiesa, la Santa Sposa di Dio – pur se peccatrice in noi, suoi figli – e la nonna e la mamma che ci hanno dato la fede.

E sarà Maria, sarà la Chiesa, sarà la nonna, sarà la mamma a difendere la fede. I vostri antichi monaci dicevano questo - sentite bene: “Quando ci sono le turbolenze spirituali, bisogna rifugiarsi sotto il manto della Santa Madre di Dio”. E Maria è il modello della Chiesa, è il modello della donna, sì, perché la Chiesa è donna e Maria è donna.

Adesso un’ultima cosa… Chi lo ha detto? Proprio Kote, un’altra volta: il problema dell’ecumenismo. Mai litigare! Lasciamo che i teologi studino le cose astratte della teologia. Ma che cosa devo fare io con un amico, un vicino, una persona ortodossa? Essere aperto, essere amico. “Ma devo fare forza per convertirlo?”. C’è un grosso peccato contro l’ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi! Sono fratelli e sorelle nostri, discepoli di Gesù Cristo. Per situazioni storiche tanto complesse siamo diventati così. Sia loro sia noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, crediamo nella Santa Madre di Dio. “E cosa devo fare?”. Non condannare, no, non posso. Amicizia, camminare insieme, pregare gli uni per gli altri. Pregare e fare opere di carità insieme, quando si può. E’ questo l’ecumenismo. Ma mai condannare un fratello o una sorella, mai non salutarla perché è ortodossa.

Vorrei finire ancora con il povero Kote. “Santo Padre – tu dicevi alla fine – io sono fiero di essere cattolico e di diventare un prete cattolico georgiano”. A te e a tutti voi, cattolici georgiani, chiedo, per favore, di difenderci dalla mondanità. Gesù ci ha parlato con tanta forza contro la mondanità; e nel discorso dell’Ultima Cena ha chiesto al Padre: “Padre, difendili [i discepoli] dalla mondanità. Difendili dal mondo”. Chiediamo questa grazia tutti insieme: che il Signore ci liberi dalla mondanità; ci faccia uomini e donne di Chiesa; saldi nella fede che abbiamo ricevuto dalla nonna e dalla mamma; saldi nella fede che è sicura sotto la protezione del manto della Santa Madre di Dio.

E così, come stiamo, senza muoverci, preghiamo la Santa Madre di Dio, l’Ave Maria.

[Recita: Ave Maria]

E adesso vi darò la benedizione. E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

[Benedizione]

Pregate per me.

[01560-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Bonsoir !

Merci, cher Frère, merci à Vous.

Maintenant, je parlerai pour tous, en mêlant toutes les questions.

Lorsque toi [il se réfère au prêtre qui a fait le témoignage] tu as parlé, à la fin m’est venue à l’esprit – et lui [Mgr Minassian] est témoin – une chose qui est arrivée à la fin de la messe à Gyumri [en Arménie]. La messe finie, j’ai invité à monter sur la “papamobile” Son Excellence et aussi l’Évêque de l’Église Apostolique Arménienne de la même ville. Nous étions trois Évêques : l’Évêque de Rome, l’Évêque catholique de Gyumri et l’Évêque Arménien Apostolique. Tous les trois : c’est une belle “macédoine” ! Nous avons fait le tour et puis nous sommes descendus. Et lorsque j’allais prendre la voiture, une grand-mère, là, me faisait signe de m’approcher. Quel âge avait-elle ? 80 ans ? Ce n’était pas une petite vieille… Elle semblait avoir plus, elle semblait avoir 80 et plus… J’ai senti dans le cœur l’envie de m’approcher pour la saluer, parce qu’elle était derrière les barrières. C’était une femme humble, très humble. Elle m’a salué avec amour… Elle avait une dent en or, comme cela se faisait en d’autres temps… Et elle m’a dit cela : “Je suis arménienne, mais j’habite en Géorgie. Et je suis venue de la Géorgie !”. Elle avait voyagé huit heures, ou six heures en bus, pour rencontrer le Pape. Puis, le jour suivant, quand nous allions je ne me rappelle pas où – à deux heures et plus – je l’ai trouvée là ! Je lui ai dit : “Mais, Madame, vous êtes venue de la Géorgie… Tant d’heures de voyage. Et puis deux heures de plus, le jour suivant, pour me trouver… ” - “Eh, oui ! C’est la foi !”, m’a-t-elle dit. Tu as parlé d’être solides dans la foi. Être solides dans la foi c’est le témoignage que cette femme a donné. Elle croyait que Jésus Christ, Fils de Dieu, a laissé Pierre sur la terre et elle, elle voulait voir Pierre.

Solides dans la foi signifie capacité de recevoir des autres la foi, la conserver et la transmettre. Tu as dit, en parlant du fait d’être solides dans la foi : “tenir vivante la mémoire du passé, l’histoire nationale et avoir le courage de rêver et de construire un avenir lumineux ”. Solides dans la foi signifie ne pas oublier ce que nous avons appris, mais plutôt le faire croître et le donner à nos enfants. Pour cela à Cracovie, j’ai donné comme mission spéciale aux jeunes, celle de parler avec les grands-parents. Ce sont les grands-parents qui nous ont transmis la foi. Et vous qui travaillez avec les jeunes, vous devez leur apprendre à écouter les grands-parents, à parler avec les grands-parents, pour recevoir l’eau fraîche de la foi, l’élaborer dans le présent, la faire croître – non pour la cacher dans une boite, non – l’élaborer, la faire croître et la transmettre à nos enfants.

L’apôtre Paul, en parlant à son disciple préféré, Timothée, dans la Seconde Lettre, lui disait de conserver solide la foi qu’il avait reçue de sa mère et de sa grand-mère. Là est la route que nous devons suivre, et cela nous fera beaucoup mûrir. Recevoir l’héritage, le faire germer et le donner. Une plante sans racines ne grandit pas. Une foi sans la racine de la mère et de la grand-mère ne grandit pas. Et aussi une foi qui m’a été donnée et que je ne donne pas aux autres, aux plus petits, à mes “enfants” ne grandit pas.

Donc pour résumer : pour être solides dans la foi, il faut avoir mémoire du passé, courage au présent et espérance dans l’avenir. Cela concerne le fait d’être solides dans la foi. Et n’oubliez pas cette dame géorgienne, qui a été capable d’aller en bus - 6 à 7 heures – en Arménie, dans la ville de Gyumri, où lui, [Mgr Minassian] est l’évêque, et le jour suivant aller trouver le Pape une autre fois à Yerevan. N’oubliez pas cette image ! C’est une femme qui habite ici : c’est une femme arménienne, mais de la Géorgie ! Et les femmes géorgiennes ont faim, elles ont une grande faim d’être des femmes de foi, fortes, qui poussent l’Église !

Et toi, Kote [le séminariste], une fois tu as dit à ta maman : “Je veux faire ce que fait cet homme ” [le prêtre qui célèbre la messe]. Et à la fin de ton intervention, tu as dit : “Je suis fier d’être catholique et de devenir un prêtre catholique géorgien ”. C’est tout un parcours… Tu n’as pas dit ce qu’a dit ta maman… Qu’a dit ta maman lorsque tu lui as dit : “Je veux faire ce que fait cet homme ” ? [Il répond : “J’étais petit et ma maman m’a dit : C’est bien, fais ce que lui fait ! … Mais j’étais petit…”]. Encore une fois la maman, la femme géorgienne forte. Cette femme “perdait” un fils, mais elle louait Dieu. Elle l’a accompagné sur son chemin. Et la maman de Kote perdait aussi l’opportunité de devenir belle-mère !... C’était le début d’une vocation ; et là il y a toujours la maman, la grand-mère… Mais tu as dit la parole clé : mémoire.  Conserver la mémoire du premier appel. Garder ce moment, comme tu gardes ce souvenir : “ Maman, je veux faire ce que fait cet homme”. Parce que ce n’est pas une fable qui t’est venue à l’esprit : c’est l’Esprit Saint qui t’a touché. Et garder cela dans sa mémoire, c’est garder la grâce de l’Esprit Saint. Je parle à tous les prêtres et les sœurs !

Nous tous, dans notre vie, nous avons – ou nous aurons- des moments obscurs. Nous aussi, les consacrés, nous avons des moments obscurs. Quand il semble que la chose n’avance pas, quand il y a des difficultés de vie en commun dans la communauté, dans le diocèse… À ces moments-là, ce que l’on doit faire c’est s’arrêter, faire mémoire. Mémoire de ce moment où j’ai été touché(e) par l’Esprit Saint. Comme il a dit, mémoire du moment où il a dit : “Maman, je veux faire ce que fait cet homme” : le moment où l’Esprit Saint nous touche. La persévérance dans la vocation est enracinée dans la mémoire de cette caresse que le Seigneur nous a faite et avec laquelle il nous a dit : “Viens, viens avec moi”. Et c’est ce que je vous conseille à vous tous, consacrés : ne revenez pas en arrière, quand il y a les difficultés. Et si vous voulez regarder en arrière, que ce soit la mémoire de ce moment. L’unique. Et ainsi la foi reste solide, la vocation reste solide… Avec nos faiblesses, avec nos péchés ; tous nous sommes pécheurs et tous nous avons besoin de nous confesser, mais la miséricorde et l’amour de Jésus sont plus grands que nos péchés.

Et maintenant je voudrais parler de deux choses que vous avez dites… Mais [d’abord] dis-moi : il fait si froid au Kazakhstan, en hiver ? Oui ? … Mais continue de même !

Et maintenant, Irina. Nous avons parlé avec le prêtre, avec les religieux, avec les consacrés de la foi solide ; mais comment est la foi dans le mariage ? Le mariage est la chose la plus belle que Dieu a créée. La Bible nous dit que Dieu a créé l’homme et la femme, il les a créés à son image (cf. Gn 1, 27). C’est-à-dire, l’homme et la femme qui deviennent une seule chair sont à l’image de Dieu. J’ai compris, Irina, quand tu expliquais les difficultés qui arrivent tant de fois dans le mariage : les incompréhensions, les tentations… “Bah ! résolvons la chose par le chemin du divorce, et ainsi je m’en cherche un autre, lui s’en cherche une autre, et nous recommençons de nouveau”. Irina, tu sais qui paie les frais du divorce ? Deux personnes, elles paient. Qui paie ?

[Irina répond : toutes les deux]

Toutes les deux ? Bien plus ! Dieu paie, parce que lorsque se divise “une seule chair”, on salit l’image de Dieu. Et les enfants, les petits paient. Vous ne savez pas, chers frères et sœurs, vous ne savez pas combien souffrent les enfants, les petits enfants, quand ils voient les disputes et la séparation des parents ! On doit tout faire pour sauver le mariage. Mais est-il normal que dans le mariage on se dispute ? Oui, c’est normal. Cela arrive. Parfois “les assiettes volent”. Mais si l’amour est vrai, alors on fait la paix tout de suite. Je conseille aux époux : disputez-vous tant que vous voulez, disputez-vous tant que vous voulez mais ne finissez pas la journée sans faire la paix. Savez-vous pourquoi ? Parce que “la guerre froide” du jour suivant est très dangereuse. Beaucoup de mariages se sauvent s’ils ont le courage, à la fin de la journée, de ne pas faire un discours, mais une caresse, et la paix est faite ! Mais il est vrai, il y a de situations plus complexes, quand le diable s’immisce et met devant l’homme une femme qui lui semble plus belle que la sienne, ou quand il met devant la femme un homme qui lui semble meilleur que le sien. Demandez de l’aide tout de suite. Quand vient cette tentation, demandez de l’aide tout de suite.

C’est cela que tu disais [Irina] d’aider les couples. Et comment aide-t-on les couples ? On les aide par l’accueil, la proximité, l’accompagnement, le discernement et l’intégration dans le corps de l’Église. Accueillir, accompagner, discerner et intégrer. Dans la communauté catholique on doit aider à sauver les mariages. Il y a trois paroles : ce sont des paroles d’or dans la vie du mariage. Je demanderai à un couple : “Vous vous aimez ?” - “Oui”, diront-ils. “Et quand il y a quelque chose que l’un fait pour l’autre, savez-vous dire merci ? Et si un des deux fait une diablerie, savez-vous demander pardon ? Et si vous voulez réaliser un projet, [par exemple] passer une journée à la campagne, ou n’importe quelle autre chose, vous savez demander l’opinion de l’autre ?” Trois paroles : “ Qu’est ce qu’il te semble ? Je peux ? ”; “merci ”; “pardon”. Si dans les couples on utilise ces paroles : “Pardonne-moi, je me suis trompé” ; “Je peux faire cela ?” ; ou “Merci de ce bon repas que tu m’as fait” ; “Je peux ?”; “merci ”; “pardon”, si on utilise ces trois paroles, le mariage ira bien. C’est une aide.

Toi, Irina, tu as mentionné un grand ennemi du mariage, aujourd’hui : la théorie du gender. Aujourd’hui, il y a une guerre mondiale pour détruire le mariage. Aujourd’hui il y a des colonisations idéologiques qui détruisent, mais on ne détruit pas avec les armes, on détruit avec les idées. Donc, il faut se défendre des colonisations idéologiques.

S’il y a des problèmes, faire la paix le plus vite possible, avant que finisse la journée, et n’oubliez pas les trois paroles : “s’il te plaît”, “merci”, “pardonne-moi”.

Et toi Kakha, tu as parlé d’une Église ouverte, qui ne se ferme pas sur elle-même, qui soit une Église pour tous, une Église mère – la maman est ainsi. Il y a deux femmes que Jésus a voulues pour nous tous : sa mère et son épouse. Et ces deux se ressemblent. La mère est la mère de Jésus, et il nous l’a laissée comme notre mère. L’Église est l’épouse de Jésus et elle est aussi notre mère. Avec la mère Église et la mère Marie, on peut avancer en sécurité. Et là nous trouvons encore une fois la femme. Il semble que le Seigneur ait une préférence pour les femmes pour faire avancer la foi. Marie, la sainte Mère de Dieu ; l’Église, la Sainte Épouse de Dieu – même si elle est pécheresse en nous, ses enfants – et la mère et la grand-mère qui nous ont donné la foi.

Et ce sera Marie, ce sera l’Église, ce sera la grand-mère, ce sera la maman à défendre la foi. Vos antiques moines disaient ceci –écoutez bien : “Quand il y a les turbulences spirituelles, il faut se réfugier sous le manteau de la Sainte Mère de Dieu”. Et Marie est le modèle de l’Église, elle est le modèle de la femme, oui, parce que l’Église est femme et Marie est femme.

Maintenant une dernière chose… Qui l’a dit ? Kote, une autre fois : le problème de l’œcuménisme. Ne jamais se disputer ! Laissez les théologiens étudier les choses théoriques de la théologie. Mais que dois-je faire moi, avec un ami, un voisin, une personne orthodoxe ? Être ouvert, être ami. “Mais ne dois-je pas faire un effort pour le convertir ?”. C’est un gros péché contre l’œcuménisme : le prosélytisme. On ne doit jamais faire de prosélytisme avec les orthodoxes : ce sont nos frères et nos sœurs, disciples de Jésus Christ. À cause de situations historiques si complexes nous sommes devenus ainsi. Et eux et nous, nous croyons dans le Père, dans le Fils et dans l’Esprit saint, nous croyons en la Sainte Mère de Dieu. “Et que devons-nous faire ?”. Ne pas condamner, non, je ne peux pas. Amitié, marcher ensemble, prier les uns pour les autres. Prier et faire des œuvres de charité ensemble, quand on peut. C’est cela l’œcuménisme. Mais ne jamais condamner un frère ou une sœur, jamais ne pas la saluer par qu’elle est orthodoxe.

Je voudrais finir encore avec le pauvre Kote. “Saint-Père –disais-tu à la fin – je suis fier d’être catholique et de devenir un prêtre catholique géorgien”. À toi et à vous tous, catholiques géorgiens, je demande s’il vous plaît, de nous défendre de la mondanité. Jésus nous a parlé avec beaucoup de force contre la mondanité ; et dans le discours de la dernière Cène, il a demandé au Père : “Père, défends-les [les disciples] de la mondanité. Défends-les du monde”. Demandons cette grâce tous ensemble : que le Seigneur nous libère de la mondanité ; qu’il fasse de nous des hommes et des femmes d’Église ; solides dans la foi que nous avons reçue de notre grand-mère et de notre maman ; solides dans la foi qui est sûre sous la protection du manteau de la Sainte Mère de Dieu.

Et ainsi, comme nous sommes, sans nous déplacer, prions la Sainte Mère de Dieu, l’Ave Maria.

[Récitation : Ave Maria]

Et maintenant, je vous donne la bénédiction. Et je vous demande, s’il vous plaît, de prier pour moi.

[Bénédiction]

Priez pour moi.

[01560-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Good evening!

Thank you, dear Brother, thank you.

Now I will address all of you, integrating all the questions.

When you spoke [the Holy Father refers to the priest who offered his testimony], towards the end a thought came into my mind, and he [Monsignor Minassian] is a witness; it was something that happened as the Mass was concluding at Gyumri [in Armenia]. At the end of the Mass, I invited his Excellency and also the Bishop of the Armenian Apostolic Church in that city to climb aboard the “Popemobile”. We were three bishops: the Bishop of Rome, the Catholic Bishop of Gyumri, and the Armenian Apostolic Bishop. All three: like a fine fruit salad! We followed the set route and then came down from the Popemobile. And as I was walking towards the car, an old lady who was there signalled me to come over. How old was she? Eighty? Not old... She seemed to be over eighty. I felt inclined to go over to her, because she was behind a barrier. She was a humble lady, very humble. She greeted me lovingly. She had a golden tooth, like the ones used in times gone by. And she said this to me: “I am Armenian, but I live in Georgia. I’ve come from Georgia!” She had travelled eight hours, or six hours by bus, to meet the Pope. Then, a day later, when we were going to a location which I can't remember, about a two hours journey, I saw her there! I said to her: “Dear lady, you have come from Georgia… so many hours of travelling, and then another two hours a day later to find me…”. “Ah yes, it’s faith!”, she said. You have spoken to us about being firm in the faith. To be strong in the faith is the witness given by this lady. She believed that Jesus Christ, the Son of God, had left us Peter on this earth and she wanted to see Peter.

To be firm in the faith means the capacity to receive faith from others, to conserve that faith and to pass it on. You said, speaking about being strong in the faith: “to keep alive the memory of the past, the nation’s history, and to have courage to dream and to build a bright future”. To be firm in the faith means to not forget that which we have learned, indeed, to make it grow and give it to our children. For this reason in Krakow I entrusted the youth with a special mission: to speak to their grandparents. Grandparents are the ones who have handed down the faith to us. And you, who work with young people, should teach them how to listen to grandparents, to speak to them, in order to receive the fresh water of faith, developing it in the present, making it grow – not hiding it in a drawer, no – developing it, making it grow and transmitting it to our children.

The Apostle Paul, speaking to his beloved disciple Timothy, in the second reading, told him to hold fast to the faith which he received from his mother and grandmother. This is the path that we must follow, and this will help us mature greatly. Received the heritage, make it flourish, and pass it on. A plant without roots does not grow. The faith without the roots of a mother and grandmother does not grow. Also, a faith which has been given to me and which I do not pass on to others, to the smallest, to my “children”, does not grow.

To summarise: to remain strong in the faith we need to have memory of the past, courage in the present and hope for the future. This is what it means to be strong in the faith. And don’t forget that Georgian lady, who was able to travel by bus six or seven hours to Armenia, to the city of Gyumri, where he [Monsignor Minassian] is Bishop, and was able to find the Pope again in Yerevan the next day. Please don’t forget this image! It is the image of a woman who lives here: an Armenian woman but from Georgia! Georgian women are well known for being women of faith, strong, who take the Church forward!

And you, Kote [the seminarian] once said to your mother: “I would like to do what that man is doing” [referring to the priest who was celebrating Mass]. At the end of your testimony you said: “I am proud of being Catholic and of becoming a Georgian Catholic priest”. It is path. You did not tell us what your mother said, what your mother said when you told her: “I would like to do what that man is doing”? [The seminarian replies: “I was small and my mother said to me: ‘okay, do what he does!’… but I was small…] Once again a mother, a strong Georgian woman. That woman “was losing” a son, but she praised God. She accompanied him in his journey. And Kote’s mother also lost the opportunity of becoming a mother-in-law! But you gave us the key word: memory. To conserve memory is the first calling. To protect that moment, as you guard that memory: “Mum, I would like to do what that man is doing”. This is not just a tale which came to your mind: it was the Holy Spirit that moved you. And to safeguard this by using your memory means safeguarding the grace of the Holy Spirit. I am saying this to all priests and sisters!

All of us, in our life, have, or will have, dark moments. Also we, who are consecrated, have dark moments. When it seems things are not working out, when there are difficulties in community life, in the diocese, in those moments, what we must do is pause, and remember. Memory of the moment I was touched by the Holy Spirit. As he said, from the moment he spoke those words: “Mum, I would like to do what that man is doing”: that is the moment we are touched by the Holy Spirit. Perseverance in vocation is rooted in the memory of that tender caress extended to us by the Lord and through which he has said: “Come, come with me”. And this is what I advise all of you consecrated persons: don’t turn back when there are difficulties. And if you do want to look back, let it be remembering that moment. That’s all. And so the faith remains strong, vocation remains strong. With our weaknesses, our sins; we are all sinners and we all need to go to confession, but the mercy and the love of Jesus are greater than our sins.

And now I would like to speak about two things which you said, but [first] tell me: is it so cold in Kazakhstan during winter? Really? Go ahead anyway!

And now, Irina. We have spoken to the priest, to religious, to consecrated persons about a strong faith; but what is faith in a marriage? Marriage is the most beautiful thing that God has created. The Bible tells us that God created man and woman, created them in his own image (cfr Gen 1:27). That is to say, the man and woman who become one flesh, are the image of God. I understood, Irina, as you explained the difficulties that arise so often in marriage: the misunderstandings, the temptations. “Well, let's solve this through divorce, so I can find another man, and he can find another woman, and we can start again”. Irina, do you know who pays the divorce fees? Two people pay. Who pays? [Irina replies: both pay]. Both? More! God pays, because when “one flesh” is divided, the image of God is soiled. And the children pay. You do not know, dear brothers and sisters, you do not know how much children suffer, the little ones, when they witness the arguments and the separation of parents! Everything should be done to save a marriage. But is it normal to have arguments in marriage? Yes, it is normal. It happens. Sometimes “plates fly”. But if love is real, then peace is made quickly. I offer this advice to spouses: argue as much as you want, but don’t let the day end without making peace. Do you know why? Because “the cold war” of the day after is extremely dangerous. How many marriages are saved when they have the courage at the end of the day to not make speeches but rather offer a caress, and peace is made! It is true, there are more complex situations, when the devil gets involved and entices the man with another woman who seems more beautiful than his wife, or when the devil entices the woman with another man who seems better than her husband. Ask for help straightaway. When this temptation comes, ask for help immediately.

And this is what you [Irena] were saying, about helping couples. And how do we help couples? We help them by offering welcome, closeness, accompaniment, discernment, and integration into the body of the Church. To welcome, to accompany, to discern, to integrate. In the Catholic community we should offer help to save marriages. There are three words: they are words of gold in married life. I would ask a couple: “do you love each other?” “Yes”, they might say. “And when one of you does something for the other, do you know how to say thank you? And if one of you does something truly devilish, do you know how to ask for forgiveness? And if you want to plan something, [for example] having a day in the countryside, or something else, do you know how to ask the other’s opinion?” Three words: “What do you think, can I?”; “Thank you”; “Sorry”. If couples use these words, “sorry, I made a mistake”, “can I do this?”, or “thank you for this lovely meal you’ve made” – “can I?”,thank you”, “sorry” – if couples use these words, a marriage will progress nicely. It is a help.

You, Irina, mentioned a great enemy to marriage today: the theory of gender. Today there is a world war to destroy marriage. Today there are ideological colonisations which destroy, not with weapons, but with ideas. Therefore, there is a need to defend ourselves from ideological colonisations. If there are problems, make peace as soon as possible, before the day ends, and don’t forget the three words: “can I”, “thank you”, “forgive me”.

And you, Kakha, spoke about a Church that is open, not closed in on itself, a Church which should be open to all, a Church as mother – mothers are like this. There are two women that Jesus wanted for all of us: his mother and his spouse. And these two resemble each other. The mother is the mother of Jesus, and he left her as our mother. The Church is the spouse of Jesus and she too is our mother. With mother Church and mother Mary we can move forward confidently. And there we find again the woman. It seems that the Lord has a preference to advance the faith of women. Mary, the Holy Mother of God; the Church, the Holy Spouse of God – even if sinful in us her children – and the grandmother and mother who have given us the faith.

And it will be Mary, the Church, the grandmother, the mother, to defend the faith. Your ancient monks used to say – and listen well: “When there is spiritual turmoil, we need to take refuge under the mantle of the Holy Mother of God”. And Mary is the model of the Church, she is the model of womanhood, yes, because the Church is a woman and Mary is a woman.

And now one final thing, who said it? Precisely Kote, yet again: the problem of ecumenism. Never fight! Let the theologians study the abstract realities of theology. But what should I do with a friend, neighbour, an Orthodox person? Be open, be a friend. “But should I make efforts to convert him or her?” There is a very grave sin against ecumenism: proselytism. We should never proselytise the Orthodox! They are our brothers and sisters, disciples of Jesus Christ. Due to historical circumstances which are so complex we are where we are today. Both they and we believe in the Father, the Son and the Holy Spirit, and we believe in the Holy Mother of God. “And so what should I do?” Do not condemn. No. I must not do this. Friendship, walking together, praying for one another. Praying and carrying out works of charity together, when this is possible. This is ecumenism. But never condemn a brother or a sister, never refrain from greeting an Orthodox brother or sister because they are Orthodox.

I would like to end, again with poor old Kote. “Holy Father”, you said towards the end, “I am proud of being Catholic and of becoming a Georgian Catholic priest”. To you and to all of you, Georgian Catholics, I ask, please, that you defend us from worldliness. Jesus spoke to us forcefully against worldliness; and in the discourse of the last supper he asked the Father: “Father, defend them [the disciples] from worldliness. Defend them from the world”. Let us ask for this grace together: may the Lord free us from worldliness; may he make us men and women of the Church; strong in the faith we have received from our grandparents and mothers; strong in the faith which is sure under the protection of the mantle of the Holy Mother of God.

Just as we are, without moving, let us pray the Ave Maria to the Holy Mother of God. [The Hail Mary is recited]

And now I will give you the blessing. And I ask you, please, to pray for me.

[The Holy Father imparts his blessing]

Pray for me.

[01560-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Guten Abend!

Danke, lieber Bruder, danke! [an den letzten Redner gerichtet]

Jetzt spreche ich zu allen, indem ich alle Fragen zusammenwerfe.

Als du gesprochen hast [er wendet sich an den Priester, der das Zeugnis gegeben hat], fiel mir zum Schluss etwas ein – und er [Exzellenz Minassian] ist Zeuge –, was am Ende der Messe in Gjumri [Armenien] geschehen ist. Nach dem Abschluss der Messe habe ich Seine Exzellenz und auch den Bischof der armenisch-apostolischen Kirche aus jener Stadt eingeladen, ins mit „Papamobil“ einzusteigen. Da waren wir drei Bischöfe: der Bischof von Rom, der katholische Bischof von Gjumri und der armenisch-apostolische Bischof – eine schöne bunte Mischung! Wir haben die Runde abgefahren und dann sind wir ausgestiegen. Und als ich zum Auto ging, machte mir eine alte Frau dort ein Zeichen, ich solle näher kommen. Wie alt war sie? Achtzig? Dann war es also keine alte Frau [Er lacht]. Sie schien älter, hoch in den Achtzigern… Ich spürte im Herzen den Impuls, hinzugehen und sie zu begrüßen; sie stand hinter den Schranken. Es war eine demütige, eine ganz einfache Frau. Sie begrüßte mich liebevoll – sie hatte einen Goldzahn, wie das früher so war – und sie sagte mir: „Ich bin Armenierin, aber ich lebe in Georgien. Und ich bin von Georgien aus gekommen!“ Sie war acht Stunden – oder sechs – im Bus gereist, um dem Papst zu begegnen. Dann, am folgenden Tag, als wir – ich weiß nicht mehr wohin – zur nächsten, über zwei Stunden entfernten Etappe kamen, habe ich sie dort wieder getroffen! Und ich habe ihr gesagt: „Aber gute Frau, Sie sind von Georgien gekommen… eine Reise von so vielen Stunden, und dann am nächsten Tag weitere zwei Stunden, um mich zu treffen…“ – „Nun ja! Das ist der Glaube!“, antwortete sie. Du hast davon gesprochen, fest im Glauben zu sein. Das ist es, was diese Frau bezeugt hat. Sie glaubte, dass Jesus Christus, der Sohn Gottes, Petrus auf der Erde zurückgelassen hat, und sie wollte Petrus sehen.

„Fest im Glauben“ bezeichnet die Fähigkeit, den Glauben von den anderen zu empfangen, ihn zu bewahren und ihn weiterzugeben. Als du davon sprachst, fest im Glauben zu sein, hast du gesagt: „Die Erinnerung an die Vergangenheit, an die nationale Geschichte lebendig halten und den Mut haben, eine lichtvolle Zukunft zu erträumen und aufzubauen.“ Fest im Glauben zu sein bedeutet, nicht zu vergessen, was wir gelernt haben, mehr noch: es wachsen zu lassen und es an unsere Kindern weiterzugeben. Darum habe ich in Krakau den jungen Leuten ganz speziell aufgetragen, mit ihren Großeltern zu sprechen. Die Großeltern sind es, die uns den Glauben weitergegeben haben. Und ihr, die ihr mit den jungen Menschen arbeitet, müsst ihnen beibringen, auf die Großeltern zu hören, mit ihnen zu sprechen, um das frische Wasser des Glaubens zu empfangen, ihn in der Gegenwart zu verinnerlichen und zu vertiefen, ihn wachsen zu lassen – ihn nicht etwa in einer Schublade zu verstecken, nein! – ihn zu vertiefen, wachsen zu lassen und ihn an unsere Kinder weiterzugeben.

Im Zweiten Brief an Timotheus ermahnt der Apostel Paulus seinen Lieblingsjünger, den Glauben treu zu bewahren, den er von seiner Mutter und von seiner Großmutter empfangen hat (vgl. 2Tim 1,5.14). Das ist der Weg, den wir verfolgen müssen, und das lässt uns sehr reifen: das Erbe empfangen, es aufkeimen lassen und es weitergeben. Eine Pflanze ohne Wurzeln wächst nicht. Ein Glaube ohne die Wurzel der Mutter und der Großmutter wächst nicht. Auch ein Glaube, der mir geschenkt ist, den ich aber nicht an die anderen, die Kleineren, an meine „Kinder“ weitergebe, wächst nicht.

Zusammengefasst heißt das also: Um fest im Glauben zu sein, muss man Erinnerung an die Vergangenheit, Mut in der Gegenwart und Hoffnung auf die Zukunft haben. Soweit zum Thema „fest im Glauben sein“. Und nicht diese georgische Frau vergessen, die fähig war, sechs bis sieben Stunden mit dem Bus nach Armenien in die Stadt Gjumri zu fahren, wo er [Exzellenz Minassian] der Bischof ist, und am folgenden Tag weiterzureisen, um den Papst in Jerewan noch einmal zu treffen. Vergesst dieses Bild nicht! Es ist eine Frau, die hier wohnt: eine armenische Frau, aber aus Georgien! Und die georgischen Frauen sind berühmt; sie sind berühmt dafür, starke Frauen voller Glauben zu sein, welche die Kirche voranbringen!

Und du, Kote [der Seminarist], hast einmal zu deiner Mutter gesagt: „Ich möchte das tun, was dieser Mann tut“ [der Priester, der die Messe zelebriert]. Und am Ende deines Zeugnisses hast du gesagt: „Ich bin stolz, katholisch zu sein und ein georgischer katholischer Priester zu werden.“ Das ist ein zusammenhängender Weg… Du hast nicht erzählt, was deine Mutter damals sagte. Was antwortete deine Mutter, als du sagtest: „Ich möchte das tun, was dieser Mann tut“? [Er antwortet: „Ich war klein, und meine Mutter sagte: Gut, tu das, was er tut!... Aber ich war noch ganz klein…]. – Wieder einmal ist es die Mutter, die starke georgische Frau. Jene Frau „verlor“ einen Sohn, aber sie lobte Gott. Sie hat ihren Sohn auf seinem Weg begleitet. Und die Mutter von Kote verpasste auch die Gelegenheit, Schwiegermutter zu werden! [Er lacht] Das ist der Anfang einer Berufung; und da gibt es immer die Mutter, die Großmutter… Aber du hast das Schlüsselwort erwähnt: Erinnerung. Die Erinnerung an die erste Berufung bewahren! Jenen Moment hüten wie du jene Erinnerung hütest: „Mamma, ich möchte das tun, was dieser Mann tut.“ Denn das ist keine Flause, die dir da in den Sinn kam: Es war der Heilige Geist, der dich angerührt hat! Und das im Gedächtnis zu bewahren bedeutet, die Gnade des Heiligen Geistes zu bewahren. Das sage ich zu allen Priestern und Ordensschwestern!

Wir alle haben in unserem Leben dunkle Momente – oder werden sie haben. Auch wir Gottgeweihten haben dunkle Momente. Wenn es scheint, als gehe es nicht voran, wenn es Schwierigkeiten des Zusammenlebens in der Gemeinschaft, in der Diözese gibt… Was man in jenen Momenten tun muss, ist innehalten, sich erinnern. Mich an den Moment erinnern, in dem ich vom Heiligen Geist angerührt worden bin. Wie er es erzählt hat: an den Moment denken, in dem er sagte: „Mamma, ich möchte das tun, was dieser Mann tut.“ Der Moment, in dem uns der Heilige Geist anrührt. Die Standhaftigkeit in der Berufung ist in der Erinnerung an jene Liebkosung verwurzelt, die der Herr uns geschenkt und mit der er uns gesagt hat: „Komm, gehe mit mir!“ Und das ist es, was ich euch allen, die ihr euch Gott geweiht habt, rate: Wendet euch nicht zurück, wenn es Schwierigkeiten gibt; und wenn ihr zurückschauen wollt, dann möge es die Erinnerung an jenen Moment sein. Einzig das. Und so bleibt der Glaube fest, bleibt die Berufung fest… Mit unseren Schwachheiten, mit unseren Sünden; alle sind wir Sünder, alle haben wir es nötig zu beichten, doch die Barmherzigkeit und die Liebe Jesu sind größer als unsere Sünden.

Und jetzt möchte ich über zwei Dinge sprechen, die ihr gesagt habt – Aber sag‘ mir [zuerst]: Ist die Kälte im Winter in Kasachstan schlimm? Ja?... Aber mach‘ trotzdem weiter!

Nun zu dir, Irina. Wir haben mit dem Priester, den Ordensleuten, den gottgeweihten Personen über den festen Glauben gesprochen; wie aber ist der Glaube in der Ehe? Die Ehe ist das Schönste, was Gott erschaffen hat. Die Bibel sagt uns, dass Gott den Mann und die Frau erschaffen hat und dass er sie als sein Abbild schuf (vgl. Gen 1,27). Das heißt, der Mann und die Frau, die »ein Fleisch« (Gen 2,24) werden, sind ein Abbild Gottes. Ich habe es verstanden, Irina, als du die Schwierigkeiten erklärtest, die oft in der Ehe auftauchen: die Missverständnisse, die Versuchungen… “Nun, lösen wir die Sache über den Weg der Scheidung, und so suche ich mir einen anderen, er sucht sich eine andere und wir beginnen von vorn.“ Irina, weißt du, wer den Preis der Scheidung zahlt? Es sind zwei, die zahlen. Wer zahlt? [Irina antwortet: Alle beide.] Alle beide? Noch mehr! Gott bezahlt, denn wenn man „ein Fleisch“ teilt, beschmutzt man das Abbild Gottes. Und es bezahlen auch die Kinder, die Söhne und Töchter. Ihr wisst nicht, liebe Brüder und Schwestern, ihr wisst nicht, wie sehr die Kinder, die kleinen Kinder leiden, wenn sie die Streitereien und die Trennung ihrer Eltern erleben! Man muss alles tun, um die Ehe zu retten. Aber ist es denn normal, dass man in der Ehe streitet? Ja, es ist normal. Es kommt vor. Manchmal „fliegen die Teller“. Doch wenn es echte Liebe ist, dann schließt man sofort wieder Frieden. Ich rate den Eheleuten: Streitet, soviel ihr wollt, streitet, soviel ihr wollt, aber lasst den Tag nicht zu Ende gehen, ohne Frieden zu schließen. Wisst ihr, warum? Weil der „kalte Krieg“ am Tag danach äußerst gefährlich ist. Wie viele Ehen retten sich, wenn sie am Ende des Tagen den Mut haben nicht etwa zu einer Rede, sondern zu einer Liebkosung – und schon ist der Friede wieder hergestellt! Doch es stimmt, es gibt kompliziertere Situationen, wenn der Teufel sich einmischt und dem Mann eine Frau vorführt, die ihm schöner vorkommt, als seine eigene, oder wenn er einer Frau einen Mann zeigt, der ihr tüchtiger zu sein scheint als ihr eigener. Bittet sofort um Hilfe! Wenn diese Versuchung aufkommt, bittet sofort um Hilfe!

Das ist es, wovon du [Irina] sprachst: den Ehepaaren zu helfen. Und wie hilft man den Ehepaaren? Man hilft ihnen durch Aufnahme, Nähe, Begleitung, Klärung und Eingliederung in den Leib der Kirche. Aufnehmen, begleiten, klären und eingliedern. In der katholischen Gemeinschaft muss man helfen, die Ehen zu retten. Es gibt da drei Worte: goldene Worte im Eheleben. Ich würde ein Ehepaar fragen: „Habt ihr euch gern?“ – „Ja“, werden sie sagen. „Und wenn es etwas gibt, das einer für den anderen tut, versteht ihr, danke zu sagen? Und wenn einer / eine der beiden eine Teufelei begeht, versteht ihr dann, um Entschuldigung zu bitten? Und wenn ihr einen Plan verwirklichen wollt, [zum Beispiel] einen Tag auf dem Land zu verbringen oder irgendetwas anderes, versteht ihr zu fragen, was der / die andere davon hält? Drei Worte: „Was meinst du, darf ich?“; „Danke!“; „Entschuldige!“ Wenn bei den Ehepaaren diese Worte benutzt werden – „Entschuldige, ich habe einen Fehler gemacht“; „Darf ich das tun?“ oder „Danke für diese gute Mahlzeit, die du bereitet hast“, also: „Darf ich?“; „Danke!“; „Entschuldigung!“ –, dann wird die Ehe gut weitergehen. Das ist eine Hilfe.

Du, Irina, hast einen heute großen Feind der Ehe erwähnt: Die Gender-Theorie. Es gibt heute einen weltweiten Krieg, um die Ehe zu zerstören. Heute gibt es ideologische Kolonialismen, die zerstörerisch sind: Man zerstört nicht mit Waffen, sondern mit Ideen. Darum muss man sich gegen die ideologischen Kolonialismen verteidigen.

Wenn es Probleme gibt, so schnell wie möglich Frieden schließen, bevor der Tag zu Ende geht, und die drei Worte nicht vergessen: „Darf ich?“; „Danke!“; „Entschuldige!“

Und du, Kakha, hast von einer offenen Kirche gesprochen, die sich nicht in sich selbst verschließt, die eine Kirche für alle sein soll, eine Kirche als Mutter – die Mutter ist so. Es gibt zwei Frauen, die Jesus uns allen geben wollte: seine Mutter und seine Braut. Und diese beiden ähneln einander. Maria ist die Mutter Jesu, und er hat sie uns als unsere Mutter hinterlassen. Die Kirche ist die Braut Jesu, und auch sie ist unsere Mutter. Mit der Mutter Kirche und der Mutter Maria kann man getrost vorangehen. Und dort begegnen wir noch einmal der Frau. Anscheinend hat der Herr eine Vorliebe dafür, dem Glauben unter den Frauen den Weg zu bereiten: Maria, die heilige Mutter Gottes, die Kirche, die heilige Braut Gottes – auch wenn sie in uns, ihren Kindern, Sünderin ist – und die Großmutter und die Mutter haben uns den Glauben gegeben.

Und Maria, die Kirche, die Großmutter, die Mutter – sie werden es sein, die den Glauben schützen. Eure Mönche aus alten Zeiten sagten folgendes – hört gut zu! –: „Wenn geistliche Turbulenzen aufkommen, muss man sich unter den Mantel der heiligen Gottesmutter flüchten.“ Maria ist das Bild der Kirche und das Bild der Frau, ja, denn die Kirche ist Frau und Maria ist Frau.

Nun noch ein Letztes – wer hat davon gesprochen? Ausgerechnet noch einmal Kote –: die Frage der Ökumene. Niemals streiten! Lassen wir die Theologen die abstrakten Dinge der Theologie untersuchen. Aber wie muss ich mich einem Freund, einem Nachbarn, einem orthodoxen Menschen gegenüber verhalten? Offen sein, Freund sein. – „Aber muss ich mich anstrengen, um ihn zur Konversion zu bewegen?“ Es gibt eine große Sünde gegen die Ökumene: den Proselytismus. Niemals darf man den Orthodoxen gegenüber Proselytismus betreiben! Sie sind unsere Brüder und Schwestern, Jünger Jesu Christi. Aufgrund sehr komplizierter historischer Gegebenheiten sind wir in diese Situation gekommen. Sowohl sie als auch wir glauben an den Vater, den Sohn und den Heiligen Geist; wir glauben an die heilige Mutter Gottes. „Und was muss ich tun?“ Nicht verurteilen, nein, das darf ich nicht. Freundschaft, gemeinsam einen Weg gehen, füreinander beten. Gemeinsam beten und Werke der Nächstenliebe vollbringen, wenn man kann. Das ist Ökumene. Doch niemals einen Bruder oder eine Schwester verurteilen, niemals ihr den Gruß verweigern, weil sie orthodox ist.

Ich möchte noch einmal mit dem armen Kote zum Schluss kommen. „Heiliger Vater“, hast du am Ende gesagt, „ich bin stolz, katholisch zu sein und ein georgischer katholischer Priester zu werden.“ Dich und euch alle, ihr georgischen Katholiken, bitte ich herzlich, dass wir uns vor der Weltlichkeit schützen. Jesus hat zu uns mit so viel Nachdruck gegen die Weltlichkeit gesprochen, und beim Letzten Abendmahl hat er seinen Vater gebeten: „Vater, schütze sei [die Jünger] vor der Weltlichkeit. Schütze sie vor der Welt.“ Erbitten wir diese Gnade alle gemeinsam: dass der Herr uns von der Weltlichkeit befreien möge; er mache uns zu Männern und Frauen der Kirche, fest in dem Glauben, den wir von der Großmutter und der Mutter empfangen haben, fest in dem Glauben, der unter dem Schutz des Mantels der heiligen Gottesmutter sicher ist.

Und so, wie wir sind, ohne uns zu bewegen, beten wir zur heiligen Mutter Gottes mit dem Ave Maria.

[Gebet des Ave Maria]

Und jetzt erteile ich euch den Segen. Und ich bitte euch, für mich zu beten.

[Segen]

Betet für mich!

[01560-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Buenas tardes

Gracias, querido hermano, gracias.

Ahora hablaré para todos, mezclando las diversas preguntas.

Cuando tú [el sacerdote que presentó el testimonio] has hablado, al final me ha venido a la mente —y él [Mons. Minassian] es testigo— un episodio ocurrido al final de la misa en Gyumri [en Armenia]. Terminada la misa, he invitado a subir al «papamóvil» a Su Excelencia y también al Obispo de la Iglesia Apostólica Armenia de la misma ciudad. Éramos tres obispos: el Obispo de Roma, el Obispo católico de Gyumri y el Obispo Armenio Apostólico. Los tres: es una bonita «macedonia». Hemos dado una vuelta y después nos bajamos. Y cuando yo iba a montar en el coche, una viejecita me hizo un signo para que me acercara. ¿Cuántos años tenía? ¿Ochenta? No era viejecita... Parecía tener más, ochenta o más... Yo sentí en el corazón el deseo de acercarme a saludarla, porque estaba detrás de las vallas. Era una mujer humilde, muy humilde. Me ha saludado con amor... Tenía un diente de oro, como se usaba en otros tiempos... Y me dijo: «Yo soy armenia, pero vivo en Georgia. Y venido desde Georgia». Había viajado seis u ocho horas en autobús para estar con el Papa. Después, al día siguiente, cuando íbamos no sé dónde —dos horas o más— la encontré allí. La dije: «Pero señora, ha venido desde Georgia... Tantas horas de viaje. Y después dos horas más, al día siguiente para encontrarme...» —«¡Eh, sí!. Es la fe», me dijo. Tú has hablado de ser firmes en la fe. Ser firmes en la fe es el testimonio que me ha dado esta mujer. Creía que Jesucristo, Hijo de Dios, ha dejado a Pedro en la tierra, y ella quería ver a Pedro.

Firmes en la fe significa capacidad de recibir de los otros la fe, conservarla y transmitirla. Tú has dicho, hablando de este ser firmes en la fe: «Mantener viva la memoria del pasado, la historia nacional, y tener la valentía de soñar un futuro luminoso». Firmes en la fe significa no olvidar lo que hemos aprendido, más aún, hacerlo crecer y darlo a nuestros hijos. Por eso en Cracovia he dado como misión especial a los jóvenes el hablar con los abuelos. Son los abuelos los que nos han transmitido la fe. Y vosotros, que trabajáis con los jóvenes, debéis enseñarles a escuchar a los abuelos, a hablar con ellos, para recibir el agua fresca de la fe, elaborarla en el presente, hacerla crecer —no esconderla en un cajón, no—, elaborarla, hacerla crecer y transmitirla a nuestro hijos.

El apóstol Pablo, hablando a su discípulo predilecto, Timoteo, le decía en la Segunda Carta que conservara firme la fe que había recibido de su madre y de su abuela. Este es el camino que nosotros debemos seguir, y esto nos hará madurar mucho. Recibir la herencia, hacerla germinar y darla. Una fe sin las raíces de la madre y la abuela no crece. Y una fe que se me ha dado, y que yo no doy a los otros, a los más pequeños, a mis «hijos», tampoco crece.

Así pues, para resumir: para ser firmes en la fe hay que tener memoria del pasado, valentía en el presente y esperanza en el futuro. Esto por lo que se refiere al ser firmes en la fe. Y no olvidarse de aquella señora georgiana que fue capaz de ir en autobús —6 o 7 horas— a Armenia, a la ciudad de Gyumri, donde él [Mons. Minassian] es obispo, y al día siguiente ir a ver al Papa otra vez en Yerevan. No olvidar esa imagen. Es una mujer armenia, pero de Georgia. Y las mujeres georgianas tienen fama, una gran fama, de ser mujeres de fe, fuertes, que llevan adelante la Iglesia.

Y tú, Kote [seminarista], has dicho una vez a tu mamá: «Yo quiero hacer lo que hace ese señor [el sacerdote que celebra la misa]». Y al final de tu intervención has dicho: «Estoy orgulloso de ser católico y de hacerme sacerdote católico georgiano». Es todo un itinerario... No has dicho lo que dijo tu mamá... ¿Qué te dijo ante aquellas palabras tuyas: «Yo quiero hacer lo que hace ese señor» [responde: «Era pequeño, y mi mamá me dijo “está bien, haz lo que él hace”... pero era pequeño»]. Una vez más, la mamá, la mujer georgiana fuerte. Aquella mujer «perdía» un hijo, pero alababa a Dios. Lo ha acompañado en su camino. Y eso que la mamá de Kote perdía también la oportunidad de ser suegra... Esto es el comienzo de una vocación; ahí está siempre la madre, la abuela... Pero tú has dicho la palabra clave: memoria. Conservar la memoria de la primera llamada. Custodiar aquel momento como tú guardas ese recuerdo: «Yo quiero hacer lo que hace ese señor». Porque esto no es una fábula que te ha venido a la cabeza: ha sido el Espíritu Santo quien te ha tocado. Y guardar esto en la memoria es custodiar la gracia del Espíritu Santo. Hablo a todos los sacerdotes y religiosas.

Todos nosotros tenemos —o tendremos— momentos oscuros en nuestra vida. También nosotros, los consagrados. Cuando parece que las cosas no marchan bien, cuando hay dificultades de convivencia en la comunidad, en la diócesis... En esos momentos, lo que se debe hacer es pararse, hacer memoria. Memoria del momento en el que he sido tocado o tocada por el Espíritu Santo. Como él ha dicho, del momento en que dijo: «Mamá, yo quiero hacer lo que hace ese señor»: el momento en que el Espíritu Santo nos toca. La perseverancia en la vocación radica en la memoria de aquella caricia que el Señor nos ha hecho y con la que nos ha dicho: «Ven, vente conmigo». Esto es lo que yo os aconsejo a todos vosotros, consagrados: no os volváis atrás cuando hay dificultades. Y si queréis mirar atrás, que sea a la memoria de aquel momento. El único. Así la fe permanece firme, la vocación permanece firme. Con nuestras debilidades, con nuestros pecados; todos somos pecadores y todos tenemos necesidad de confesarnos, pero la misericordia y el amor de Jesús son más grandes que nuestros pecados.

Ahora quisiera hablar de dos cosas que habéis dicho... Pero [antes] dime: ¿Es tanto el frío que hace en Kazajistán en invierno? ¿Sí?... Sigue igualmente adelante.

Y ahora, Irina. Hemos hablado con el sacerdote, con los religiosos, con los consagrados, de la fe firme. Pero ¿cómo es la fe en el matrimonio? El matrimonio es lo más bello que Dios ha creado. La Biblia nos dice que Dios ha creado el hombre y la mujer, los ha creado a su imagen (cf. Gn 1,27). Es decir, el hombre y la mujer que se hacen una sola carne son imagen de Dios. He comprendido, Irina, cuando explicabas las dificultades que tantas veces surgen en el matrimonio: las incomprensiones, las tentaciones... «¡Bah!, resolvamos esto por la vía del divorcio, y así yo me busco a otro y él se busca a otra, y comenzamos de nuevo. Irina, ¿tú sabes quién paga los costes del divorcio? Dos personas, pagan. ¿Quién Paga? [Irina: los dos] ¿Los dos? Y otros más. Paga Dios, porque cuando se divide «una sola carne» se ensucia la imagen de Dios. Y pagan los niños, los hijos. Vosotros no sabéis, queridos hermanos y hermanas, no sabéis cuanto sufren los niños, los hijos pequeños, cuando ven las disputas y la separación de los padres. Se debe hacer de todo para salvar el matrimonio. Pero ¿es normal que se discuta en el matrimonio? Sí, es normal. Sucede. A veces «vuelan los platos». Pero si el amor es verdadero, entonces se hace enseguida la paz. Yo aconsejo a los esposos: discutid todo que queráis, pero no terminéis la jornada sin hacer las paces. ¿Sabéis por qué? Porque la «guerra fría» del día siguiente es peligrosísima. Cuántos matrimonios se salvan si tienen el valor al final del día, no de hacer un discurso, sino una caricia, y la paz está hecha. Pero es verdad que hay situaciones más complejas, cuando el diablo se entromete y pone ante el hombre una mujer que le parece más bella que la suya, o cuando presenta a una mujer un hombre que le parece mejor que el suyo. Pedid ayuda inmediatamente. Cuando viene esta tentación, pedid ayuda enseguida.

Esto es lo que tú [Irina] decías sobre eso de ayudar a las parejas. Y, ¿cómo se ayuda a las parejas? Se ayudan con la acogida, la cercanía, el acompañamiento, el discernimiento y la integración en el cuerpo de la Iglesia. Acoger, acompañar, discernir e integrar. En la comunidad católica se debe ayudar a salvar los matrimonios. Hay tres palabras: son palabras de oro en la vida del matrimonio. Yo preguntaría a una pareja: «¿Os queréis de verdad?». —«Sí», dirán. «Y, cuando alguno hace una cosa por el otro, ¿sabéis decir gracias?». «Y si uno de los dos hace una diablura, ¿sabéis pedir escusa?». «Y si queréis llevar a cabo un plan, como pasar un día en el campo o cualquier otra cosa, ¿sabéis pedir la opinión del otro?». Tres palabras: «¿Qué te parece? ¿Puedo?»; «gracias», «escusa». Si en la pareja se usan estas palabras: «Escusa, me he equivocado»; «¿Puedo hacer esto?»; «Gracias por la comida que me has preparado». «¿Puedo?», «gracias», «perdona»: si se usan estas tres palabras, el matrimonio irá bien. Es una ayuda.

Tú, Irina, has mencionado un gran enemigo de matrimonio hoy en día: la teoría del gender. Hoy hay una guerra mundial para destruir el matrimonio. Hoy existen colonizaciones ideológicas que destruyen, pero no con las armas, sino con las ideas. Por lo tanto, es preciso defenderse de las colonizaciones ideológicas.

Ante los problemas, hay que hacer las paces lo antes posible, antes de que termine la jornada, y no olvidar las tres palabras: permiso, gracias, perdóname.

Tú, Kakha, has hablado de una Iglesia abierta, que no se encierre en sí misma, que sea una Iglesia para todos, una Iglesia madre: la mamá es así. Hay dos mujeres que Jesús ha queridos para todos nosotros: su madre y su esposa. Ambas se asemejan. La madre es la madre de Jesús, y él nos la ha dejado como madre nuestra. La Iglesia es la esposa de Jesús, y también ella es nuestra madre. Con la madre Iglesia y la madre María se puede ir adelante seguros. Y aquí encontramos una vez más a la mujer. Parece que el Señor tiene una preferencia por llevar adelante la fe en las mujeres. María, la Santa Madre de Dios; la Iglesia, la Santa Esposa de Dios —aunque pecadora en nosotros, sus hijos— y la abuela y la mamá que nos han transmitido la fe.

Y será María, será la Iglesia, será la abuela, será la mamá quienes defenderán la fe. Vuestros antiguos monjes decían así, escúchenlo con atención: «Cuando hay turbulencias espirituales, es preciso refugiarse bajo el manto de la Santa Madre de Dios». María es el modelo de la Iglesia, es el modelo de la mujer, sí, porque la Iglesia es mujer y María es mujer.

Ahora una última cosa... ¿Quién lo ha dicho? Precisamente Kote, otra vez más: el problema del ecumenismo. Nunca litigar. Dejemos que los teólogos estudien los temas abstractos de la teología. Pero, ¿qué debo hacer con un amigo, un vecino, una persona ortodoxa? Ser abierto, ser amigo. ¿Acaso me debo esforzar en convertirlo? Hay un pecado gordo contra el ecumenismo: el proselitismo. Nunca se debe hacer proselitismo con los ortodoxos. Son hermanos y hermanas nuestros, discípulos de Jesucristo. Por circunstancias históricas muy complejas, hemos llegado a ser así. Ellos, como nosotros, creemos en el Padre, en el Hijo y en el Espíritu Santo; creemos en la Santa Madre de Dios. ¿Qué debo hacer? No condenar, no, no puedo. Amistad, caminar juntos, rezar unos por otros. Rezar y hacer obras de caridad juntos, cuando es posible. Esto es el ecumenismo. Pero nunca condenar un hermano o una hermana, nunca dejar de saludarla porque es ortodoxa.

Quisiera terminar todavía con el pobre Kote. «Santo Padre —decías al final—, estoy orgulloso de ser católico y de hacerme sacerdote católico georgiano». A ti y a todos vosotros, católicos georgianos, os pido por favor que nos defendáis de la mundanidad. Jesús nos ha hablado con tanta energía contra la mundanidad; en el discurso de la Última Cena ha pedido al Padre: «Padre, defiéndelos [a los discípulos] de la mundanidad. Defiéndelos del mundo». Pidamos esta gracia todos juntos: que el Señor nos libre de la mundanidad; que nos haga hombres y mujeres de Iglesia, firmes en la fe que hemos recibido de la abuela y la mamá; firmes en la fe que está segura bajo la protección del manto de la Santa Madre de Dios.

Y, así como estamos, sin movernos, recemos a la Santa Madre de Dios el Ave María.

[Rezo del Ave María]

Ahora os impartiré la bendición. Y os pido, por favor, que recéis por mí

[Bendición]

Rezad por mí.

[01560-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Boa tarde!

Obrigado, querido Irmão. Obrigado!

Agora falarei para todos, misturando todas as perguntas.

No fim de tu [o sacerdote que deu o testemunho] falares, veio-me à mente uma coisa que aconteceu no final da Missa em Gyumri [na Arménia] – e ele [D. Minassian] é testemunha. Acabada a Missa, convidei a subir para o «papamóvel» D. Minassian e também o Bispo da Igreja Apostólica Arménia, da mesma cidade. Éramos três bispos: o Bispo de Roma, o Bispo Católico de Gyumri e o Bispo Arménio Apostólico. Os três juntos: uma boa salada de fruta! Fizemos o giro e depois descemos. E, quando eu estava para entrar no carro, vi lá uma velhinha que fazia sinal para me aproximar. Quantos anos teria? Oitenta? Não era muito idosa... Parecia ter mais, pareciam oitenta e mais... No coração, senti vontade de me aproximar para a saudar, porque ela estava por detrás das divisórias. Era uma mulher humilde, muito simples. Saudou-me com amor... Tinha um dente de ouro, como se usava outrora... E disse-me: «Sou arménia, mas moro na Geórgia. E vim da Geórgia». Viajara oito, ou seis, horas de autocarro para encontrar o Papa. Depois, no dia seguinte, quando fomos… não me lembro aonde, mas distante duas horas a passar, encontrei-a lá. Disse-lhe: «Mas, a senhora veio da Geórgia, tantas horas de viagem; e ainda mais duas horas, no dia seguinte, para me encontrar!» – «É verdade; é a fé»: retorquiu-me ela. Tu falaste de estar firmes na fé. Estar firmes na fé é o testemunho que deu esta mulher. Acreditava que Jesus Cristo, Filho de Deus, deixou Pedro na terra e ela queria ver Pedro.

Firmes na fé significa capacidade de receber dos outros a fé, conservá-la e transmiti-la. Quando falavas de estar firmes na fé, disseste: «manter viva a memória do passado, a história nacional e ter a coragem de sonhar e construir um futuro luminoso». Firmes na fé significa não esquecer aquilo que aprendemos; mas antes, fazê-lo crescer e dá-lo aos nossos filhos. Por isso, em Cracóvia, dei como missão especial aos jovens falar com os avós. São os avós que nos transmitiram a fé. E vós que trabalhais com os jovens deveis ensiná-los a escutar os avós, a falar com os avós, para receberem a água fresca da fé, elaborá-la no presente, fazê-la crescer – não escondê-la numa gaveta; isso não – elaborá-la, fazê-la crescer e transmiti-la aos nossos filhos.

O apóstolo Paulo, na Segunda Carta a Timóteo, seu discípulo predileto, dizia-lhe que conservasse firme a fé que recebera da mãe e da avó. Este é o caminho que devemos seguir, e isto far-nos-á amadurecer imenso. Receber a herança, fazê-la germinar e dá-la. Uma planta sem raízes não cresce. Uma fé sem a raiz da mãe e da avó não cresce. E uma fé que me foi dada e que eu não dou aos outros, aos mais pequeninos, aos meus «filhos», não cresce.

Então, resumindo, para estar firmes na fé é preciso ter memória do passado, coragem no presente e esperança no futuro. Isto, a propósito de estar firmes na fé. E não esqueçais aquela senhora georgiana, que foi capaz de ir de autocarro – 6/7 horas – à Arménia, à cidade de Gyumri, onde ele [D. Minassian] é bispo, e no dia seguinte ir encontrar o Papa outra vez em Yerevan. Não esqueçais esta imagem; é uma mulher que mora aqui: uma mulher arménia, mas da Geórgia. E as mulheres georgianas têm fama, têm grande fama de ser mulheres de fé, fortes, que fazem a Igreja seguir para diante.

E tu, Kote [o seminarista], uma vez disseste à tua mãe: «Quero fazer o que faz aquele homem [o sacerdote que celebra a Missa]». E, no final da tua intervenção, disseste: «Tenho orgulho de ser católico e de me tornar um padre católico georgiano». Há todo um percurso a fazer... Mas tu não disseste a resposta que te deu a mãe... O que ela te respondeu quando lhe disseste «quero fazer o que faz aquele homem». [Responde Kote: «Eu era pequeno e minha mãe disse-me: Está bem; faz aquilo que faz ele... Mas eu era pequeno!»]. Mais uma vez nos aparece a mãe, a mulher georgiana forte. Aquela mulher «perdia» um filho, mas louvando a Deus. Acompanhou-o no seu caminho. E a mãe de Kote perdia também a oportunidade de se tornar sogra... Isto é o início duma vocação; e lá está sempre a mãe, a avó... Mas tu disseste a palavra-chave: memória. Conservar a memória da primeira chamada. Guardar aquele momento, como tu guardas aquela recordação: «Mãe, quero fazer o que faz aquele homem». Porque isto não é uma fábula que te veio à mente; foi o Espírito Santo a tocar-te. E guardar isto com a memória é guardar a graça do Espírito Santo. Digo-o a todos os padres e irmãs…

Na nossa vida, todos tivemos – ou teremos – momentos escuros. Também nós, consagrados, temos momentos escuros. Quando parece que a realidade está ensarilhada, quando há dificuldades de convivência na comunidade, na diocese... Em tais momentos, o que devemos fazer é parar, fazer memória; memória do tempo em que fui tocado ou tocada pelo Espírito Santo; memória – para usar as palavras de Kote – do momento em que disse: «Mãe, quero fazer o que faz aquele homem»; do momento em que nos toca o Espírito Santo. A perseverança na vocação está enraizada na memória daquela carícia que o Senhor nos fez e com a qual nos disse: «Vem, vem comigo». O que vos aconselho a todos vós, consagrados, é isto: não desistais, não volteis atrás, quando há dificuldades. E, se quereis olhar para trás, seja para fazer memória daquele momento. Só para isso. E assim a fé permanece firme, a vocação permanece firme... Com as nossas fraquezas, com os nossos pecados; todos somos pecadores e todos precisamos de nos confessar, mas a misericórdia e o amor de Jesus são maiores do que os nossos pecados.

E agora gostaria de falar acerca de duas coisas que vós referistes... Mas [antes disso] diz-me: No Cazaquistão, é assim tão intenso o frio no inverno? (…) Sim? (…) Mas continua igualmente!

E agora, Irina. Falamos com o padre, com os religiosos, com os consagrados da fé firme; mas, como é a fé no casamento? O casal é a coisa mais linda que Deus criou. A Bíblia diz-nos que Deus criou o homem e a mulher, criou-os à sua imagem (cf. Gn 1, 27). Ou seja, o homem e a mulher que se tornam uma só carne são imagem de Deus. Eu seguia-te cheio de compreensão, Irina, quando explicavas as dificuldades que muitas vezes acontecem no casal: as incompreensões, as tentações... «Bem, resolvamos a situação pela via do divórcio; deste modo eu procuro outro para mim, ele procura outra, e começamos de novo». Irina, sabes quem paga os custos do divórcio? Pagam duas pessoas, quem? [Irina responde: ambos os dois] Só os dois!? Mais alguém! Paga Deus, porque, quando se separa «uma só carne», mancha-se a imagem de Deus. E pagam as crianças, os filhos. Vós não sabeis, queridos irmãos e irmãs, vós não sabeis quanto sofrem as crianças, os filhos pequenos, quando veem os litígios e a separação dos pais. Deve-se fazer todo o possível para salvar o casamento. Mas, é normal litigar no casal? Sim, é normal. Acontece. Às vezes «voam os pratos». Mas, se é amor verdadeiro, então imediatamente se fazem as pazes. O meu conselho para os esposos: litigai quanto quiserdes, litigai enquanto quiserdes, mas não acabeis o dia sem fazer as pazes. Sabeis porquê? Porque a «guerra fria» do dia seguinte é muito perigosa. Quantos casais se salvam, se tiverem a coragem, no final do dia, de fazer não um discurso mas uma carícia e assim… foram feitas as pazes! É verdade, porém, que existem situações mais complexas, quando o diabo se envolve e coloca diante do homem uma mulher que lhe parece mais bonita do que a sua, ou quando coloca na frente da esposa um homem que lhe parece mais despachado do que o seu. Pedi imediatamente ajuda. Quando vem esta tentação, pedi ajuda imediatamente.

E, com isto, chegamos ao que tu [Irina] dizias a propósito de ajudar os casais. Como se ajudam os casais? Ajudam-se com o acolhimento, a proximidade, o acompanhamento, o discernimento e a integração no corpo da Igreja. Acolher, acompanhar, discernir e integrar. Na comunidade católica, deve-se ajudar a salvar os casais. Há três palavras, que são palavras de ouro na vida matrimonial. Eu perguntaria a um casal: «Amais-vos?» – «Sim»: dirão eles. «E quando um faz algo pelo outro, este sabe dizer obrigado? E se um dos dois faz alguma diabrura, sabe pedir desculpa? E, se um tem uma ideia em mente, como [por exemplo] passar um dia fora ou qualquer outra coisa, sabe pedir a opinião do outro?» Três palavras: «Que achas? Posso?»; «obrigado»; «desculpa». Se, nos casais, se usam estas palavras: «Desculpa-me, errei»; «posso fazer isto?»; ou «obrigado pela boa refeição que me preparaste». «Posso?», «obrigado», «desculpa»: se se utilizam estas três palavras, o casal continuará sem dificuldade. É uma ajuda.

Tu, Irina, mencionaste um grande inimigo atual do casamento: a teoria do gender. Hoje está em ato uma guerra mundial para destruir o casamento. Hoje existem colonizações ideológicas que o destroem, não com as armas, mas com as ideias. Por isso, é preciso defender-se das colonizações ideológicas. Se houver problemas, fazei as pazes o mais depressa possível, antes de acabar o dia, e não esqueçais as três palavras: «posso», «obrigado», «perdoa-me».

E tu, Kakha, falaste duma Igreja aberta, que não se feche em si mesma, que seja uma Igreja para todos, uma Igreja mãe (a mãe é assim). Há duas mulheres que Jesus quis dar a todos nós: a sua mãe e a sua esposa; e as duas assemelham-se... A mãe é a mãe de Jesus, e deixou-no-la como nossa mãe. A Igreja é a esposa de Jesus e, também ela, é nossa mãe. Com a mãe Igreja e a mãe Maria, podemos avançar com segurança. E aqui voltamos a encontrar a mulher. Parece que o Senhor deposita as suas preferências nas mulheres para levar por diante a fé. Maria, a Santa Mãe de Deus; a Igreja, a Esposa de Deus – também Santa, embora pecadora em nós, seus filhos –, e a avó e a mãe que nos deram a fé.

E será Maria, será a Igreja, será a avó, será a mãe a defender a fé. Os vossos monges antigos – ouvi bem – diziam isto: «Quando acontecem as turbulências espirituais, é preciso refugiar-se sob o manto da Santa Mãe de Deus». E Maria é o modelo da Igreja, é o modelo da mulher; sim, porque a Igreja é mulher, e Maria é mulher.

Uma última coisa ainda... Quem a disse? Ah! Foi Kote, mais uma vez: o problema do ecumenismo. Nunca litigueis! Deixemos que os teólogos estudem os assuntos abstratos da teologia. Mas que devo fazer eu com um amigo, um vizinho, uma pessoa ortodoxa? Ser franco, ser amigo. «Mas devo pressionar para o converter?» Há um grande pecado contra o ecumenismo: o proselitismo. Nunca se deve fazer proselitismo com os ortodoxos. São nossos irmãos e irmãs, discípulos de Jesus Cristo. Devido a situações históricas muito complexas, chegamos à situação em que estamos. Tanto eles como nós acreditamos no Pai, no Filho e no Espírito Santo, acreditamos na Santa Mãe de Deus. «E que devo fazer então?» Não condenes; isso não! Não posso condenar. Amizade, caminhar juntos, rezar uns pelos outros. Rezar e praticar obras de caridade, juntos, quando for possível. Isto é o ecumenismo. Mas nunca condeneis um irmão ou uma irmã; nunca deixeis de saudar uma pessoa, porque é ortodoxa.

Quero agora terminar com uma frase do nosso Kote. «Santo Padre – dizias tu no final –, tenho orgulho de ser católico e de me tornar um padre católico georgiano». A ti e a todos vós, católicos georgianos, peço, por favor, que vos defendais da mundanidade. Jesus falou-nos tão fortemente contra a mundanidade; e, no discurso da Última Ceia, pediu ao Pai: «Pai, defende-os [os discípulos] da mundanidade. Defende-os do mundo». Peçamos, todos juntos, esta graça: que o Senhor nos liberte da mundanidade; que nos faça homens e mulheres de Igreja; firmes na fé que recebemos da avó e da mãe; firmes na fé que é segura sob a proteção do manto da Santa Mãe de Deus.

E, assim como estamos, sem nos movermos, rezemos à Santa Mãe de Deus, a Ave Maria.

[Rezam: Ave Maria…]

Agora dar-vos-ei a bênção. E peço-vos, por favor, que rezeis por mim.

[A bênção]

Rezai por mim.

[01560-PO.01] [Texto original: Italiano]

[B0690-XX.02]