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Visita del Santo Padre Francesco ad Assisi per la Giornata mondiale di preghiera per la Pace “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo” (20 settembre 2016) – Preghiera Ecumenica dei Cristiani nella Basilica Inferiore di San Francesco, 20.09.2016


Meditazione del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Dopo il pranzo comune nel Sacro Convento, il Papa ha incontrato singolarmente Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; Sua Santità Ignatius Efrem II, Patriarca Siro-Ortodosso di Antiochia; Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury e Primate della Chiesa di Inghilterra; il Prof. Zygmut Bauman, Sociologo e Filosofo (Polonia); il Prof. Din Syamsuddin, Presidente del Consiglio degli Ulema, Indonesia; il Gran Rabbino David Rosen (Israele).

Alle ore 16, i rappresentanti delle diverse religioni hanno pregato per la Pace in luoghi differenti di Assisi.
Tutti i cristiani si sono riuniti nella Basilica Inferiore di San Francesco per una preghiera Ecumenica, durante la quale sono stati nominati tutti i Paesi in guerra e per ciascuno di essi è stata accesa una candela. Nel corso della Celebrazione, il Santo Padre ha tenuto la meditazione che riportiamo di seguito:

 

Meditazione del Santo Padre

Di fronte a Gesù crocifisso risuonano anche per noi le sue parole: «Ho sete» (Gv 19,28). La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria. Contempliamo così il mistero del Dio Altissimo, divenuto, per misericordia, misero fra gli uomini.

Di che cosa ha sete il Signore? Certo di acqua, elemento essenziale per la vita. Ma soprattutto ha sete di amore, elemento non meno essenziale per vivere. Ha sete di donarci l’acqua viva del suo amore, ma anche di ricevere il nostro amore. Il profeta Geremia ha espresso il compiacimento di Dio per il nostro amore: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento» (Ger 2,2). Ma ha dato anche voce alla sofferenza divina, quando l’uomo, ingrato, ha abbandonato l’amore, quando – sembra dire anche oggi il Signore – «ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13). È il dramma del “cuore inaridito”, dell’amore non ricambiato, un dramma che si rinnova nel Vangelo, quando alla sete di Gesù l’uomo risponde con l’aceto, che è vino andato a male. Come, profeticamente, lamentava il salmista: «Quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal 69,22).

“L’Amore non è amato”: secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta. Il Signore è infatti dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui. Nel giudizio chiamerà “benedetti” quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Le parole di Gesù ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita. Nel suo “Ho sete” possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace. Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa. Tutti costoro sono fratelli e sorelle del Crocifisso, piccoli del suo Regno, membra ferite e riarse della sua carne. Hanno sete. Ma a loro viene spesso dato, come a Gesù, l’aceto amaro del rifiuto. Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione.

Di fronte a Cristo crocifisso, «potenza e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24), noi cristiani siamo chiamati a contemplare il mistero dell’Amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del Crocifisso, siamo chiamati a essere “alberi di vita”, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore. Dal fianco di Cristo in croce uscì acqua, simbolo dello Spirito che dà la vita (cfr Gv 19,34); così da noi suoi fedeli esca compassione per tutti gli assetati di oggi.

Come Maria presso la croce, ci conceda il Signore di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi. «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14), Egli che è venuto ad annunciare la pace ai vicini e ai lontani (cfr Ef 2,17). Ci custodisca tutti nell’amore e ci raccolga nell’unità, nella quale siamo in cammino, perché diventiamo quello che Lui desidera: «una sola cosa» (Gv 17,21).

[01475-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Devant Jésus crucifié résonnent pour nous aussi ses paroles: «J’ai soif» (Jn 19, 28). La soif, encore plus que la faim, est le besoin extrême de l’être humain, mais en représente aussi l’extrême misère. Nous contemplons ainsi le mystère du Dieu Très-Haut, devenu, par miséricorde, miséreux parmi les hommes.

De quoi a soif le Seigneur? Certainement d’eau, élément essentiel pour la vie. Mais surtout d’amour, élément non moins essentiel pour vivre. Il a soif de nous donner l’eau vive de son amour, mais aussi de recevoir notre amour. Le prophète Jérémie a exprimé la satisfaction de Dieu pour notre amour: «Je me souviens de la tendresse de tes jeunes années, ton amour de jeune mariée» (2, 2). Mais il a donné aussi une voix à la souffrance divine, quand l’homme, ingrat, a abandonné l’amour, quand –aujourd’hui aussi, semble dire le Seigneur – «ils m’ont abandonné, moi, la source d’eau vive et ils se sont creusés des citernes fissurées qui ne retiennent pas l’eau» (v. 13). C’est le drame du “cœur desséché”, de l’amour non rendu, un drame qui se renouvelle dans l’Évangile, quand, à la soif de Jésus l’homme répond par le vinaigre, qui est du vin tourné. Comme, prophétiquement, se lamentait le psalmiste: «Quand j’avais soif, ils m’ont donné du vinaigre» (Ps 69, 22).

“L’Amour n’est pas aimé” : selon certains récits, c’était la réalité qui troublait saint François d’Assise. Lui, par amour du Seigneur souffrant, n’avait pas honte de pleurer et de se lamenter à haute voix (cf. Sources franciscaines, n. 1413). Cette réalité même doit nous tenir à cœur en contemplant le Dieu crucifié, assoiffé d’amour. Mère Teresa de Calcutta a voulu que, dans les chapelles de chacune de ses communautés, près du Crucifié soit écrit “J’ai soif”. Étancher la soif d’amour de Jésus sur la croix par le service des plus pauvres parmi les pauvres a été sa réponse. Le Seigneur est en effet assoiffé de notre amour de compassion, il est consolé lorsque, en son nom, nous nous penchons sur les misères d’autrui. Au jugement, il appellera “bénis” tous ceux qui ont donné à boire à qui avait soif, qui ont offert un amour concret à qui en avait besoin: «Chaque fois que vous l’avez fait à l’un de ces plus petits de mes frères, c’est à moi que vous l’avez fait» (Mt 25, 40).

Les paroles de Jésus nous interpellent, elles demandent accueil dans notre cœur et réponse par notre vie. Dans son “J’ai soif”, nous pouvons entendre la voix de ceux qui souffrent, le cri caché des petits innocents exclus de la lumière de ce monde, la supplication qui vient du fond du cœur des pauvres et de ceux qui ont le plus besoin de paix. Elles implorent la paix, les victimes des guerres qui polluent les peuples de haine et la terre d’armes; ils implorent la paix, nos frères et sœurs qui vivent sous la menace des bombardements ou sont contraints de laisser leurs maisons et d’émigrer vers l’inconnu, dépouillés de tout. Tous ceux-là sont des frères et des sœurs du Crucifié, petits dans son Royaume, membres blessés et desséchés de sa chair. Ils ont soif. Mais à eux il leur est souvent donné, comme à Jésus, le vinaigre amer du refus. Qui les écoute? Qui se préoccupe de leur répondre? Ils rencontrent trop souvent le silence assourdissant de l’indifférence, de l’égoïsme de celui qui est agacé, la froideur de celui qui éteint leur cri à l’aide avec la facilité avec laquelle on change un canal de télévision.

Devant le Christ crucifié, «puissance de Dieu et sagesse de Dieu» (1 Co 1, 24), nous chrétiens, nous sommes appelés à contempler le mystère de l’Amour non aimé et à répandre de la miséricorde sur le monde. Sur la croix, arbre de vie, le mal a été transformé en bien; nous aussi, disciples du Crucifié, nous sommes appelés à être des “arbres de vie” qui absorbent la pollution de l’indifférence et restituent au monde l’oxygène de l’amour. Du côté du Christ en croix sort de l’eau, symbole de l’Esprit qui donne la vie (cf. Jn 19 34); ainsi, que de nous, ses fidèles, sorte de la compassion pour tous les assoiffés d’aujourd’hui.

Comme Marie près de la Croix, que le Seigneur nous accorde d’être unis à Lui et proches de celui qui souffre. En nous approchant de tous ceux qui aujourd’hui vivent comme des crucifiés et en puisant la force d’aimer au Crucifié ressuscité, croîtront encore plus l’harmonie et la communion entre nous. «C’est Lui, le Christ, qui est notre paix» (Ep 2, 14), lui qui est venu pour annoncer la paix à ceux qui sont proches et à ceux qui sont loin (cf. v. 17). Qu’il nous garde tous dans l’amour et nous rassemble dans l’unité, dans laquelle nous sommes en chemin, pour que nous devenions ce que lui désire: «un » (Jn 17, 21).

[01475-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Gathered before Jesus crucified, we hear his words ring out also for us: “I thirst” (Jn 19:28). Thirst, more than hunger, is the greatest need of humanity, and also its greatest suffering. Let us contemplate then the mystery of Almighty God, who in his mercy became poor among men.

What does the Lord thirst for? Certainly for water, that element essential for life. But above all for love, that element no less essential for living. He thirsts to give us the living waters of his love, but also to receive our love. The prophet Jeremiah expressed God’s appreciation of our love: “I remember the devotion of your youth, your love as a bride” (Jer 2:2). But he also gave voice to divine suffering, when ungrateful man abandoned love – it seems as if the Lord is also speaking these words today – “they have forsaken me, the fountain of living waters, and hewed out cisterns for themselves, broken cisterns, that can hold no water” (v. 13). It is the tragedy of the “withered heart”, of love not requited, a tragedy that unfolds again in the Gospel, when in response to Jesus’ thirst man offers him vinegar, spoiled wine. As the psalmist prophetically lamented: “For my thirst they gave me vinegar to drink” (Ps 69:21).

“Love is not loved”: this reality, according to some accounts, is what upset Saint Francis of Assisi. For love of the suffering Lord, he was not ashamed to cry out and grieve loudly (cf. Fonti Francescane, no. 1413). This same reality must be in our hearts as we contemplate Christ Crucified, he who thirsts for love. Mother Teresa of Calcutta desired that in the chapel of every community of her sisters the words “I thirst” would be written next to the crucifix. Her response was to quench Jesus’ thirst for love on the Cross through service to the poorest of the poor. The Lord’s thirst is indeed quenched by our compassionate love; he is consoled when, in his name, we bend down to another’s suffering. On the day of judgment they will be called “blessed” who gave drink to those who were thirsty, who offered true gestures of love to those in need: “As you did it to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:40).

Jesus’ words challenge us, they seek a place in our heart and a response that involves our whole life. In his “I thirst” we can hear the voice of the suffering, the hidden cry of the little innocent ones to whom the light of this world is denied, the sorrowful plea of the poor and those most in need of peace. The victims of war, which sullies people with hate and the earth with arms, plead for peace; our brothers and sisters, who live under the threat of bombs and are forced to leave their homes into the unknown, stripped of everything, plead for peace. They are all brothers and sisters of the Crucified One, the little ones of his Kingdom, the wounded and parched members of his body. They thirst. But they are frequently given, like Jesus, the bitter vinegar of rejection. Who listens to them? Who bothers responding to them? Far too often they encounter the deafening silence of indifference, the selfishness of those annoyed at being pestered, the coldness of those who silence their cry for help with the same ease with which television channels are changed.

Before Christ Crucified, “the power and wisdom of God” (1 Cor 1:24), we Christians are called to contemplate the mystery of Love not loved and to pour out mercy upon the world. On the cross, the tree of life, evil was transformed into good; we too, as disciples of the Crucified One, are called to be “trees of life” that absorb the contamination of indifference and restore the pure air of love to the world. From the side of Christ on the Cross water flowed, that symbol of the Spirit who gives life (cf. Jn 19:34); so that from us, his faithful, compassion may flow forth for all who thirst today.

Like Mary by the Cross, may the Lord grant us to be united to him and close to those who suffer. Drawing near to those living as crucified, and strengthened by the love of Jesus Crucified and Risen, may our harmony and communion deepen even more. “For he is our peace” (Eph 2:14), he who came to preach peace to those near and far (cf. v. 17). May he keep us all in his love and gather us together in unity, that path which we are all on, so that we may be “one” (Jn 17:21) as he desires.

[01475-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Vor dem gekreuzigten Jesus ertönen auch für uns seine Worte: »Mich dürstet« (Joh 19,28). Der Durst ist mehr noch als der Hunger das äußerste Bedürfnis des Menschen, stellt aber auch sein größtes Elend dar. Betrachten wir so das Geheimnis des allerhöchsten Gottes, der aus Barmherzigkeit arm wurde unter den Menschen.

Wonach dürstet den Herrn? Gewiss nach Wasser, dem Grundelement für das Leben. Aber vor allem hat er Durst nach Liebe, einem Element, das für das Leben nicht minder wesentlich ist. Ihn dürstet danach, uns das lebendige Wasser seiner Liebe zu schenken, aber auch unsere Liebe zu erhalten. Der Prophet Jeremia hat dieses Gefallen Gottes an unserer Liebe so ausgedrückt: »Ich denke an deine Jugendtreue, an die Liebe deiner Brautzeit« (Jer 2,2). Der Prophet hat aber auch dem göttlichen Leiden Ausdruck verliehen, als der Mensch voll Undank die Liebe verlassen, als er – so scheint der Herr es auch heute zu sagen – »[mich] verlassen [hat], den Quell des lebendigen Wassers, um sich Zisternen zu graben, Zisternen mit Rissen, die das Wasser nicht halten« (V. 13). Es handelt sich um das Drama des „verstockten Herzens“, der unerwiderten Liebe. Dieses Drama wiederholt sich im Evangelium, als der Mensch auf den Durst Jesu mit Essig, dem schlecht gewordenen Wein, antwortet. So beklagte auf prophetische Weise der Psalmist: »Für den Durst reichten sie mir Essig« (Ps 69,22).

„Die Liebe wird nicht geliebt“: Nach einigen Erzählungen war dies die Wirklichkeit, die den heiligen Franz von Assisi aufwühlte. Aus Liebe zum leidenden Herrn schämte er sich nicht, zu weinen und mit lauter Stimme Weh zu klagen (vgl. Franziskus-Quellen, S. 620, Nr. 14). Die gleiche Wirklichkeit muss uns am Herzen liegen, wenn wir den gekreuzigten Gott betrachten, den nach Liebe dürstet. Mutter Teresa von Kalkutta wollte, dass in den Kapellen jeder Gemeinschaft neben dem Gekreuzigten die Schrift angebracht wurde: „Mich dürstet“. Ihre Antwort bestand darin, den Durst Jesu am Kreuz nach Liebe durch den Dienst an den Ärmsten der Armen zu stillen. Der Durst des Herrn wird nämlich gestillt durch unsere mitleidende Liebe; er ist getröstet, wenn wir uns in seinem Namen über das Elend der anderen beugen. Im Gericht wird er all jene „gesegnet“ nennen, die den Durstigen zu trinken gaben, die denen in Not konkret Liebe erwiesen haben: »Was ihr für einen meiner geringsten Brüder getan habt, das habt ihr mir getan « (Mt 25,40).

Die Worte Jesu sind eine Anfrage an uns, sie verlangen danach, im Herzen aufgenommen und im Leben beantwortet zu werden. In seinem „Mich dürstet“ können wir die Stimme der Leidenden vernehmen, den versteckten Schrei der unschuldigen Kleinen, denen das Licht dieser Welt verwehrt wird, die innige Bitte der Armen und derer, die am meisten des Friedens bedürfen. Um Frieden flehen die Opfer der Kriege, welche die Völker mit Hass und die Erde mit Waffen verschmutzen; um Frieden flehen unsere Brüder und Schwestern, die unter der Drohung von Bombardierungen leben oder gezwungen sind, ihr Zuhause zu verlassen und aller Dinge beraubt ins Unbekannte zu ziehen. Sie alle sind Brüder und Schwestern des Gekreuzigten, die Geringen seines Reiches, verwundete und ausgedorrte Glieder seines Fleisches. Sie sind durstig. Doch oft wird ihnen wie Jesus der bittere Essig der Ablehnung gereicht. Wer hört ihnen zu? Wer kümmert sich darum, ihnen zu antworten? Zu oft begegnen sie dem betäubenden Schweigen der Gleichgültigkeit, dem Egoismus derer, die sich belästigt fühlen, der Kälte derer, die ihren Hilfeschrei mit jener Mühelosigkeit abstellen, mit der sie den Fernsehkanal umschalten.

Vor Christus dem Gekreuzigten, »Gottes Kraft und Gottes Weisheit« (1Kor 1,24), sind wir Christen gerufen, das Geheimnis der nicht geliebten Liebe zu betrachten und Barmherzigkeit über die Welt auszugießen. Am Kreuz, dem Baum des Lebens, wurde das Böse in Gutes verwandelt; auch wir, Jünger des Gekreuzigten, sind gerufen, „Bäume des Lebens“ zu sein, welche die Verschmutzung der Gleichgültigkeit absorbieren und der Welt den Sauerstoff der Liebe zurückgeben. Aus der Seite Christi am Kreuz floss Wasser, Symbol des Heiligen Geistes, der Leben schenkt (vgl. Joh 19,34); so soll aus uns, seinen Gläubigen, das Mitleiden mit allen Durstigen von heute fließen.

Möge der Herr uns gewähren, wie Maria unter dem Kreuz mit ihm vereint und dem nahe zu sein, der leidet. Wenn wir uns denen nähern, die heute als Gekreuzigte leben, und die Kraft zu lieben vom gekreuzigten und auferstandenen Herrn beziehen, werden die Eintracht und die Gemeinschaft unter uns noch mehr wachsen. »Denn er ist unser Friede« (Eph 2,14), er ist gekommen, den Frieden zu verkünden den Nahen und den Fernen (vgl. V. 17). Er bewahre uns alle in der Liebe und führe uns in die Einheit, zu der wir auf dem Weg sind, damit wir das werden, was er will: »eins« (Joh 17,21).

[01475-DE.02] [Originalsprache: Deutsch]

Traduzione in lingua spagnola

Ante Jesús crucificado, resuenan también para nosotros sus palabras: «Tengo sed» (Jn 19,28). La sed es, aún más que el hambre, la necesidad extrema del ser humano, pero además representa la miseria extrema. Contemplemos de este modo el misterio del Dios Altísimo, que se hizo, por misericordia, pobre entre los hombres.

¿De qué tiene sed el Señor? Ciertamente de agua, elemento esencial para la vida. Pero sobre todo tiene sed de amor, elemento no menos esencial para vivir. Tiene sed de darnos el agua viva de su amor, pero también de recibir nuestro amor. El profeta Jeremías habló de la complacencia de Dios por nuestro amor: «Recuerdo tu cariño juvenil, el amor que me tenías de novia» (Jer 2,2). Pero dio también voz al sufrimiento divino, cuando el hombre, ingrato, abandonó el amor, cuando ―parece que nos quiere decir también hoy el Señor― «me abandonaron a mí, fuente de agua viva, y se cavaron aljibes, aljibes agrietados que no retienen agua» (v. 13). Es el drama del «corazón árido», del amor no correspondido, un drama que se renueva en el Evangelio, cuando a la sed de Jesús el hombre responde con el vinagre, que es un vino malogrado. Así, proféticamente, se lamentaba el salmista: «Para mi sed me dieron vinagre» (Sal 69,22).

«El amor no es amado»; según algunos relatos esta era la realidad que turbaba a san Francisco de Asís. Él, por amor del Señor que sufre, no se avergonzaba de llorar y de lamentarse en alta voz (cf. Fuentes Franciscanas, n. 1413). Debemos tomar en serio esta misma realidad cuando contemplamos a Dios crucificado, sediento de amor. La Madre Teresa de Calcuta quiso que, en todas las capillas de sus comunidades, cerca del crucifijo, estuviese escrita la frase «tengo sed». Su respuesta fue la de saciar la sed de amor de Jesús en la cruz mediante el servicio a los más pobres entre los pobres. En efecto, la sed del Señor se calma con nuestro amor compasivo, es consolado cuando, en su nombre, nos inclinamos sobre las miserias de los demás. En el juicio llamará «benditos» a cuantos hayan dado de beber al que tenía sed, a cuantos hayan ofrecido amor concreto a quien estaba en la necesidad: «En verdad os digo que cada vez que lo hicisteis con uno de estos, mis hermanos más pequeños, conmigo lo hicisteis» (Mt 25,40).

Las palabras de Jesús nos interpelan, piden que encuentren lugar en el corazón y sean respondidas con la vida. En su «tengo sed», podemos escuchar la voz de los que sufren, el grito escondido de los pequeños inocentes a quienes se les ha negado la luz de este mundo, la súplica angustiada de los pobres y de los más necesitados de paz. Imploran la paz las víctimas de las guerras, las cuales contaminan los pueblos con el odio y la Tierra con las armas; imploran la paz nuestros hermanos y hermanas que viven bajo la amenaza de los bombardeos o son obligados a dejar su casa y a emigrar hacia lo desconocido, despojados de todo. Todos estos son hermanos y hermanas del Crucificado, los pequeños de su Reino, miembros heridos y resecos de su carne. Tienen sed. Pero a ellos se les da a menudo, como a Jesús, el amargo vinagre del rechazo. ¿Quién los escucha? ¿Quién se preocupa de responderles? Ellos encuentran demasiadas veces el silencio ensordecedor de la indiferencia, el egoísmo de quien está harto, la frialdad de quien apaga su grito de ayuda con la misma facilidad con la que se cambia de canal en televisión.

Ante Cristo crucificado, «fuerza de Dios y sabiduría de Dios» (1 Co 1,24), nosotros los cristianos estamos llamados a contemplar el misterio del Amor no amado, y a derramar misericordia sobre el mundo. En la Cruz, árbol de vida, el mal ha sido trasformado en bien; también nosotros, discípulos del Crucificado, estamos llamados a ser «árboles de vida», que absorben la contaminación de la indiferencia y restituyen al mundo el oxígeno del amor. Del costado de Cristo en la cruz brotó agua, símbolo del Espíritu que da la vida (cf Jn 19,34); que del mismo modo, de nosotros sus fieles, brote también compasión para todos los sedientos de hoy.

Que el Señor nos conceda, como a María junto a la cruz, estar unidos a él y cerca del que sufre. Acercándonos a cuantos hoy viven como crucificados y recibiendo la fuerza para amar del Señor Crucificado y resucitado, crecerá aún más la armonía y la comunión entre nosotros. «Él es nuestra paz» (Ef 2,14), él que ha venido a anunciar la paz a los de cerca y a los de lejos (Cf. v. 17). Que nos guarde a todos en el amor y nos reúna en la unidad, hacia la que caminamos, para que lleguemos a ser lo que él desea: «Que todos sean uno» (Jn 17,21).

[01475-ES.02] [Texto original: Español]

Traduzione in língua portoghese

À vista de Jesus crucificado, ressoam também para nós as suas palavras: «Tenho sede!» (Jo 19, 28). A sede é, ainda mais do que a fome, a necessidade extrema do ser humano, mas representa também a sua extrema miséria. Assim contemplamos o mistério do Deus Altíssimo, que Se tornou, por misericórdia, miserável entre os homens.

De que tem sede o Senhor? Certamente de água, elemento essencial para a vida; mas sobretudo de amor, elemento não menos essencial para se viver. Tem sede de nos dar a água viva do seu amor, mas também de receber o nosso amor. O profeta Jeremias expressou o comprazimento de Deus pelo nosso amor: «Recordo-Me da tua fidelidade no tempo da tua juventude, dos amores do tempo do teu noivado» (Jr 2, 2). Mas deu voz também ao sofrimento divino, quando o homem, ingrato, abandonou o amor, quando – parece dizer também hoje o Senhor – «Me abandonou a Mim, nascente de águas vivas, e construiu cisternas para si, cisternas rotas, que não podem reter as águas» (Jr 2, 13). É o drama do «coração árido», do amor não correspondido; um drama que se renova no Evangelho, quando, à sede de Jesus, o homem responde com vinagre, que é vinho estragado. Como profeticamente lamentou o salmista, «deram-me (…) vinagre, quando tive sede» (Sal 69/68, 22).

«O Amor não é amado»: tal era, segundo algumas crónicas, a realidade que turvava São Francisco de Assis. Por amor do Senhor que sofre, não se envergonhava de chorar e lamentar-se em voz alta (cf. Fontes Franciscanas, n. 1413). Esta mesma realidade nos deve estar a peito ao contemplarmos Deus crucificado, sedento de amor. Madre Teresa de Calcutá quis que, nas capelas de cada comunidade, estivesse escrito perto do Crucifixo: «Tenho sede». Apagar a sede de amor de Jesus na cruz, através do serviço aos mais pobres dos pobres, foi a sua resposta. Na verdade, o Senhor é saciado pelo nosso amor compassivo; é consolado quando, em nome d’Ele, nos inclinamos sobre as misérias alheias. No Juízo, chamará «benditos» aqueles que deram de beber a quem tinha sede, aqueles que ofereceram amor concreto a quem estava necessitado: «Sempre que fizestes isto a um destes meus irmãos mais pequeninos, a Mim mesmo o fizestes» (Mt 25, 40).

As palavras de Jesus interpelam-nos, pedem acolhimento no coração e resposta com a vida. Na sua exclamação «tenho sede», podemos ouvir a voz dos que sofrem, o grito escondido dos pequenos inocentes a quem é negada a luz deste mundo, a súplica instante dos pobres e dos mais necessitados de paz. Imploram paz as vítimas das guerras que poluem os povos de ódio e a terra de armas; imploram paz os nossos irmãos e irmãs que vivem sob a ameaça dos bombardeamentos ou são forçados a deixar a casa e emigrar para o desconhecido, despojados de tudo. Todos eles são irmãos e irmãs do Crucificado, pequeninos do seu Reino, membros feridos e sedentos da sua carne. Têm sede. Mas, frequentemente, é-lhes dado, como a Jesus, o vinagre amargo da rejeição. Quem os ouve? Quem se preocupa em responder-lhes? Deparam-se muitas vezes com o silêncio ensurdecedor da indiferença, o egoísmo de quem se sente incomodado, a frieza de quem apaga o seu grito de ajuda com mesma facilidade com que muda de canal na televisão.

À vista de Cristo crucificado, «poder e sabedoria de Deus» (1 Cor 1, 24), nós, cristãos, somos chamados a contemplar o mistério do Amor não amado e a derramar misericórdia sobre o mundo. Na cruz, árvore de vida, o mal foi transformado em bem; também nós, discípulos do Crucificado, somos chamados a ser «árvores de vida», que absorvem a poluição da indiferença e restituem ao mundo o oxigénio do amor. Do lado de Cristo, na cruz, saiu água, símbolo do Espírito que dá a vida (cf. Jo 19, 34); do mesmo modo saia de nós, seus fiéis, compaixão por todos os sedentos de hoje.

Como a Maria ao pé da cruz, conceda-nos o Senhor estar unidos a Ele e próximos de quem sofre. Aproximando-nos de quantos vivem hoje como crucificados e tirando a força de amar do Crucificado Ressuscitado, crescerão ainda mais a harmonia e a comunhão entre nós. «Com efeito, Ele é a nossa paz» (Ef 2, 14), Ele que veio anunciar a paz àqueles que estavam perto e aos que estavam longe (cf. Ef 2, 17). Ele nos guarde a todos no amor e nos congregue na unidade, para a qual estamos a caminho, a fim de nos tornarmos o que Ele deseja: «um só» (Jo 17, 21).

[01475-PO.02] [Texto original: Português]

Traduzione in lingua polacca

W obliczu Jezusa ukrzyżowanego rozbrzmiewają także dla nas Jego słowa: „Pragnę” (J 19,28). Pragnienie, jeszcze bardziej niż głód jest niezbędną potrzebą człowieka, ale ukazuje także jego wielką nędzę. Rozważamy zatem tajemnicę Boga Najwyższego, który ze względu na miłosierdzie stał się ubogim wśród ludzi.

Czego spragniony jest Pan? Oczywiście wody, elementu istotnego dla życia. Ale przede wszystkim miłości, elementu nie mniej istotnego dla życia. Pragnie dać nam wodę żywą swojej miłości, ale także otrzymać naszą miłość. Prorok Jeremiasz wyraził upodobanie Boga z powodu naszej miłości: „Pamiętam wierność twej młodości, miłość twego narzeczeństwa” (Jr 2,2). Ale wyraził także Boże cierpienie, gdy niewdzięczny człowiek porzucił miłość, kiedy - zdaje się mówić także i dzisiaj Pan – „opuścili Mnie, źródło żywej wody, żeby wykopać sobie cysterny, cysterny popękane, które nie utrzymują wody” (w. 13). To dramat „serca zatwardziałego”, nieodwzajemnionej miłości, dramat, który ponawia się w Ewangelii, kiedy na pragnienie Jezusa człowiek odpowiada octem, będącym zepsutym winem. Jak proroczo ubolewał psalmista: „gdy byłem spragniony, poili mnie octem” (Ps 69,22).

„Miłość nie jest kochana”: według niektórych opisów to właśnie niepokoiło św. Franciszka z Asyżu. On, ze względu na umiłowanie cierpiącego Pana nie wstydził się płakać i głośno ubolewać (por. Fonti Francescane, n. 1413). To samo powinno nam leżeć na sercu, kiedy kontemplujemy ukrzyżowanego Boga, spragnionego miłości. Matka Teresa z Kalkuty chciała, aby we wszystkich kaplicach jej wspólnot w pobliżu krzyża widniał napis „Pragnę”. Jej odpowiedzią było ugaszenie pragnienia miłości Jezusa na krzyżu poprzez służbę najuboższym z ubogich. Pragnienie Pana jest naprawdę ugaszone poprzez naszą współczującą miłość, Pan doznaje pociechy, gdy w Jego imieniu, pochylamy się nad nieszczęściami innych. Podczas sądu nazwie „błogosławionymi” tych, którzy dali pić spragnionym, tych, którzy okazali konkretną miłość potrzebującym: „Wszystko, co uczyniliście jednemu z tych braci moich najmniejszych, Mnieście uczynili”(Mt 25,40).

Słowa Jezusa są dla nas wyzwaniem, domagają się przyjęcia w sercu i odpowiedzi naszym życiem. W Jego „Pragnę” możemy usłyszeć głos cierpiących, ukryty krzyk niewinnych dzieci, które są pozbawione światła tego świata, żarliwe błaganie ubogich i najbardziej potrzebujących pokoju. Błagają o pokój ofiary wojen, które skażają narody nienawiścią, a ziemię bronią. Błagają o pokój nasi bracia i siostry żyjący pod groźbą bombardowań lub zmuszeni do opuszczenia domów i emigracji w nieznane, pozbawieni wszystkiego. Wszyscy oni są braćmi i siostrami Ukrzyżowanego, maluczkimi Jego królestwa, członkami poranionymi i wypalonymi Jego ciała. Pragną. Ale często jest im dawany, podobnie jak Jezusowi, gorzki ocet odrzucenia. Kto ich słucha? Kogo obchodzi, by im odpowiedzieć? Napotykają nazbyt często głuchą ciszę obojętności, egoizm ludzi, którym przeszkodzono, chłód, tych którzy gaszą ich wołanie o pomoc z łatwością, z jaką zmienia się kanał telewizyjny.

W obliczu Ukrzyżowanego Chrystusa „mocy i mądrości Bożej” (1 Kor 1,24), my, chrześcijanie jesteśmy wezwani do kontemplowania tajemnicy Miłości, która nie jest kochana i wniesienia miłosierdzia w świat. Na krzyżu, będącym drzewem życia zło zostało przekształcone w dobro. Również my, uczniowie Ukrzyżowanego, jesteśmy powołani by być „drzewami życia”, które pochłaniają skażenie obojętnością i przywracają światu tlen miłości. Z boku Chrystusa na krzyżu wypłynęła woda, symbol Ducha, który daje życie (por. J 19,34). Niech więc w ten sposób od nas, Jego wiernych, wypływa współczucie dla wszystkich spragnionych dzisiaj.

Tak jak Maryja pod krzyżem, niech Pan da nam być zjednoczonymi z Nim i bliskimi wobec tych, którzy cierpią. Jeśli przybliżymy się do tych, którzy żyją dziś jak ukrzyżowani i będziemy czerpać moc miłości z Chrystusa Ukrzyżowanego i Zmartwychwstałego, to tym bardziej wzrośnie zgoda i jedność między nami. „On bowiem jest naszym pokojem” (Ef 2,14), On który przyszedł, by zwiastować pokój bliskim i dalekim (por. w. 17). Niech nas wszystkich zachowuje w miłości i gromadzi w jedności, do której dążymy, abyśmy stali się tym, czego On pragnie - „abyśmy stanowili jedno” (J 17,21).

[01475-PL.01] [Testo originale: Italiano]

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