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Udienza ai partecipanti al Giubileo del volontariato e degli operatori di misericordia, 03.09.2016


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Alle ore 10.30 di questa mattina, in Piazza San Pietro, il Santo Padre ha incontrato i partecipanti al Giubileo del volontariato e degli operatori di misericordia, in corso a Roma dal 2 al 4 settembre e che avrà il suo culmine domani con la cerimonia di Canonizzazione della Beata Madre Teresa di Calcutta.

Riportiamo di seguito il testo del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti all’evento giubilare presenti oggi in Piazza San Pietro:

Discorso del Santo Padre

Abbiamo ascoltato l’inno all’amore che l’Apostolo Paolo scrisse per la comunità di Corinto, e che costituisce una delle pagine più belle e più impegnative per la testimonianza della nostra fede (cfr 1 Cor 13,1-13). Quante volte san Paolo ha parlato dell’amore e della fede nei suoi scritti; eppure in questo testo ci viene offerto qualcosa di straordinariamente grande e originale. Egli afferma che, a differenza della fede e della speranza, l’amore «non avrà mai fine» (v. 8): è per sempre. Questo insegnamento deve essere per noi di una certezza incrollabile; l’amore di Dio non verrà mai meno nella nostra vita e nella storia del mondo. E’ un amore che rimane sempre giovane, attivo, dinamico e attrae a sé in maniera incomparabile. E’ un amore fedele che non tradisce, nonostante le nostre contraddizioni. E’ un amore fecondo che genera e va oltre ogni nostra pigrizia. Di questo amore noi tutti siamo testimoni. L’amore di Dio, infatti, ci viene incontro; è come un fiume in piena che ci travolge senza però sopprimerci; anzi, al contrario, è condizione di vita: «Se non ho l’amore non sono nulla» - dice san Paolo (v. 2). Più ci lasciamo coinvolgere da questo amore e più la nostra vita si rigenera. Dovremmo veramente dire con tutta la nostra forza: sono amato, perciò esisto!

L’amore di cui parla l’Apostolo non è qualcosa di astratto e di vago; al contrario, è un amore che si vede, si tocca e si sperimenta in prima persona. La forma più grande ed espressiva di questo amore è Gesù. Tutta la sua persona e la sua vita non è altro che la manifestazione concreta dell’amore del Padre, fino a giungere al momento culminante: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Questo è amore! Non sono parole, è amore. Dal Calvario, dove la sofferenza del Figlio di Dio raggiunge il suo culmine, scaturisce la sorgente dell’amore che cancella ogni peccato e che tutto ricrea in una vita nuova. Portiamo con noi sempre, in maniera indelebile, questa certezza della fede: Cristo «mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Gal 2,20). Questa è la grande certezza: Cristo mi ha amato, e ha consegnato sé stesso per me, per te, per te, per te, per tutti, per ognuno di noi! Niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio (cfr Rm 8,35-39). L’amore, dunque, è l’espressione massima di tutta la vita e ci permette di esistere!

Davanti a questo contenuto così essenziale della fede, la Chiesa non potrebbe mai permettersi di agire come fecero il sacerdote e il levita nei confronti dell’uomo lasciato mezzo morto per terra (cfr Lc 10,25-36). Non si può distogliere lo sguardo e voltarsi dall’altra parte per non vedere le tante forme di povertà che chiedono misericordia. E questo voltarsi dall’altra parte per non vedere la fame, le malattie, le persone sfruttate…, questo è un peccato grave! E’ anche un peccato moderno, è un peccato di oggi! Noi cristiani non possiamo permetterci questo. Non sarebbe degno della Chiesa né di un cristiano “passare oltre” e supporre di avere la coscienza a posto solo perché abbiamo pregato o perché sono andato a Messa la domenica. No. Il Calvario è sempre attuale; non è affatto scomparso né rimane un bel dipinto nelle nostre chiese. Quel vertice di com-passione, da cui scaturisce l’amore di Dio nei confronti della miseria umana, parla ancora ai nostri giorni e spinge a dare sempre nuovi segni di misericordia. Non mi stancherò mai di dire che la misericordia di Dio non è una bella idea, ma un’azione concreta. Non c’è misericordia senza concretezza. La misericordia non è un fare il bene “di passaggio”, è coinvolgersi lì dove c’è il male, dove c’è la malattia, dove c’è la fame, dove ci sono tanti sfruttamenti umani. E anche la misericordia umana non diventa tale – cioè umana e misericordia – fino a quando non ha raggiunto la sua concretezza nell’agire quotidiano. L’ammonimento dell’apostolo Giovanni rimane sempre valido: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). La verità della misericordia, infatti, si riscontra nei nostri gesti quotidiani che rendono visibile l’agire di Dio in mezzo a noi.

Fratelli e sorelle, voi qui rappresentate il grande e variegato mondo del volontariato. Tra le realtà più preziose della Chiesa ci siete proprio voi che ogni giorno, spesso nel silenzio e nel nascondimento, date forma e visibilità alla misericordia. Voi siete artigiani di misericordia: con le vostre mani, con i vostri occhi, con il vostro ascolto, con la vostra vicinanza, con le vostre carezze… artigiani! Voi esprimete il desiderio tra i più belli nel cuore dell’uomo, quello di far sentire amata una persona che soffre. Nelle diverse condizioni del bisogno e delle necessità di tante persone, la vostra presenza è la mano tesa di Cristo che raggiunge tutti. Voi siete la mano tesa di Cristo: avete pensato questo? La credibilità della Chiesa passa in maniera convincente anche attraverso il vostro servizio verso i bambini abbandonati, gli ammalati, i poveri senza cibo e lavoro, gli anziani, i senzatetto, i prigionieri, i profughi e gli immigrati, quanti sono colpiti dalle calamità naturali… Insomma, dovunque c’è una richiesta di aiuto, là giunge la vostra attiva e disinteressata testimonianza. Voi rendete visibile la legge di Cristo, quella di portare gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,2; Gv 13,34). Cari fratelli e sorelle, voi toccate la carne di Cristo con le vostre mani: non dimenticatevi di questo. Voi toccate la carne di Cristo con le vostre mani. Siate sempre pronti nella solidarietà, forti nella vicinanza, solerti nel suscitare la gioia e convincenti nella consolazione. Il mondo ha bisogno di segni concreti di solidarietà, soprattutto davanti alla tentazione dell’indifferenza, e richiede persone capaci di contrastare con la loro vita l’individualismo, il pensare solo a sé stessi e disinteressarsi dei fratelli nel bisogno. Siate sempre contenti e pieni di gioia per il vostro servizio, ma non fatene mai un motivo di presunzione che porta a sentirsi migliori degli altri. Invece, la vostra opera di misericordia sia umile ed eloquente prolungamento di Gesù Cristo che continua a chinarsi e a prendersi cura di chi soffre. L’amore, infatti, «edifica» (1 Cor 8,1) e giorno dopo giorno permette alle nostre comunità di essere segno della comunione fraterna.

E parlate al Signore di queste cose. Chiamatelo. Fate come ha fatto Sister Preyma, come ci ha raccontato la suora: ha bussato alla porta del tabernacolo. Così coraggiosa! Il Signore ci ascolta: chiamatelo! Signore, guarda questo… Guarda tanta povertà, tanta indifferenza, tanto guardare dall’altra parte: “Questo a me non tocca, a me non importa”. Parlatene con il Signore: “Signore, perché? Signore, perché? Perché io sono tanto debole e Tu mi hai chiamato a fare questo servizio? Aiutami, e dammi forza, e dammi umiltà”. Il nocciolo della misericordia è questo dialogo con il cuore misericordioso di Gesù.

Domani, avremo la gioia di vedere Madre Teresa proclamata santa. Lo merita! Questa testimonianza di misericordia dei nostri tempi si aggiunge alla innumerevole schiera di uomini e donne che hanno reso visibile con la loro santità l’amore di Cristo. Imitiamo anche noi il loro esempio, e chiediamo di essere umili strumenti nelle mani di Dio per alleviare la sofferenza del mondo e donare la gioia e la speranza della risurrezione. Grazie.

E prima di darvi la benedizione, vi invito tutti a pregare in silenzio per tante, tante persone che soffrono; per tanta sofferenza, per tanti che vivono scartati dalla società. Pregare pure per tanti volontari come voi, che vanno incontro alla carne di Cristo per toccarla, curarla, sentirla vicina. E pregare pure per tanti, tanti che davanti a tanta miseria guardano da un’altra parte e nel cuore sentono una voce che dice loro: “A me non tocca, a me non importa”. Preghiamo in silenzio.

[silenzio]

E lo facciamo anche con la Madonna: Ave o Maria…

[Benedizione]

[01383-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Nous avons entendu l’hymne à l’amour que l’Apôtre Paul a écrit pour la communauté de Corinthe, et qui est l’une des pages les plus belles et les plus exigeantes pour le témoignage de notre foi (cf. 1Co 13,1-13). Que de fois saint Paul a parlé de l’amour et de la foi dans ses écrits! Pourtant dans ce texte-ci quelque chose d’extraordinairement grand et original nous est offert. Il affirme que, à la différence de la foi et de l’espérance, l’amour «ne passera jamais» (v. 8). Il est pour toujours. Cet enseignement doit être pour nous d’une certitude indestructible; l’amour de Dieu ne fera jamais défaut dans notre vie ni dans l’histoire du monde. C’est un amour qui demeure toujours jeune, actif, dynamique et qui attire à lui de manière incomparable. C’est un amour fidèle qui ne trahit pas, malgré nos contradictions. C’est un amour fécond qui donne la vie et qui va au-delà de notre paresse. De cet amour nous sommes tous témoins. L’amour de Dieu, en effet, vient à notre rencontre; il est comme un fleuve en crue qui nous emporte, mais sans nous détruire; bien au contraire, il est une condition de vie: «S’il me manque l’amour, je ne suis rien» - dit saint Paul (v. 2). Plus nous nous laissons prendre par cet amour, plus notre vie est régénérée. Nous devrions dire vraiment de toutes nos forces: je suis aimé, donc j’existe!

L’amour dont parle l’Apôtre n’est pas une chose abstraite ou vague; au contraire, c’est un amour qui se voit, se touche et s’expérimente personnellement. La forme la plus grande et expressive de cet amour, c’est Jésus. Toute sa personne et toute sa vie ne sont autre que la manifestation concrète de l’amour du Père, jusqu’à parvenir au moment le plus important: «La preuve que Dieu nous aime, c’est que le Christ est mort pour nous, alors que nous étions encore pécheurs» (Rm 5, 8). C’est cela l’amour! Ce ne sont pas des paroles, c’est l’amour. Du calvaire, où la souffrance du Fils de Dieu atteint son sommet, jaillit la source de l’amour qui efface tout péché et qui recrée tout pour une vie nouvelle. Portons toujours avec nous, de manière indélébile, cette certitude de foi: «Le Christ «m’a aimé et s’est livré lui-même pour moi» (Ga 2, 20). Voilà la grande certitude: le Christ m’a aimé, et il s’est livré lui-même pour moi, pour toi, pour toi, pour toi, pour tous, pour chacun de nous! Rien ni personne ne pourra jamais nous séparer de l’amour de Dieu (cf. Rm 8, 35-39). L’amour est donc la plus grande expression de toute la vie et nous permet d’exister!

Face à ce contenu si essentiel de la foi, l’Eglise ne pourra jamais se permettre d’agir comme l’ont fait le prêtre et le lévite vis-à-vis de l’homme laissé à terre à moitié mort. (cf. Lc 10, 25-36). On ne peut pas détourner le regard et se tourner de l’autre côté pour ne pas voir les formes de pauvreté si nombreuses qui demandent miséricorde. Et se tourner de l’autre côté pour ne pas voir la faim, les maladies, les personnes exploitées…, c’est un péché grave! C’est aussi un péché moderne, un péché d’aujourd’hui! Nous, chrétiens, nous ne pouvons pas nous permettre cela. Il ne serait pas digne de l’Eglise ni d’un chrétien de «passer outre» et de supporter d’avoir la conscience tranquille simplement parce que nous avons prié ou parce que nous sommes allés à la messe dimanche. Non. Le Calvaire est toujours actuel; il n’est pas du tout disparu et ni réduit à une belle peinture dans nos églises. Ce sommet de compassion d’où jaillit l’amour de Dieu vis-à-vis de la misère humaine parle encore à notre temps et pousse à donner toujours de nouveaux signes de miséricorde. Je ne me fatiguerai jamais de dire que la miséricorde de Dieu n’est pas une belle idée mais une action concrète. Il n’y a pas de miséricorde sans concret. La miséricorde ne consiste pas à faire le bien«au passage», c’est s’impliquer là où il y a le mal, où il y a la maladie, où il y a la faim, où il y a tant d’exploitations humaines. Et de même la miséricorde humaine n’est miséricorde et n’est humaine tant qu’elle n’est pas devenue concrète dans l’agir quotidien. L’avertissement de l’Apôtre Jean demeure toujours valable:«Petits enfants, n’aimons pas en paroles ni par des discours, mais par des actes et en vérité» (1Jn 3, 18). La vérité de la miséricorde, en effet, se trouve dans nos gestes quotidiens qui rendent visibles l’agir de Dieu au milieu de nous.

Frères et sœurs, vous représentez ici le monde grand et varié des volontaires. Vous comptez parmi les réalités les plus précieuses de l’Eglise, vous qui chaque jour, souvent dans le silence et en secret, donnez forme et visibilité à la miséricorde. Vous êtes des artisans de miséricorde: avec vos mains, avec vos yeux, avec votre écoute, avec votre proximité, avec vos caresses… artisans! Vous exprimez l’un des désirs les plus beaux du cœur de l’homme, celui de faire sentir à une personne qui souffre qu’elle est aimée. Dans les diverses situations de besoin et de nécessité de beaucoup de personnes, votre présence est la main tendue du Christ qui rejoint chacun. Vous êtes la main tendue du Christ: avez-vous pensé à cela? La crédibilité de l’Église passe de manière convaincante aussi à travers votre service envers les enfants abandonnés, les malades, les pauvres sans nourriture ni travail, les personnes âgées, les sans toit, les prisonniers, les réfugiés et les émigrés, tous ceux qui sont touchés par les catastrophes naturelles… Bref, partout où il y a une demande d’aide, arrive votre témoignage actif et désintéressé. Vous rendez visible la loi du Christ, celle qui consiste à porter les fardeaux les uns des autres (cf. Ga 6, 2; Jn 13, 34). Chers frères et sœurs, vous touchez la chair du Christ avec vos mains: n’oubliez pas cela. Vous touchez la chair du Christ avec vos mains. Soyez toujours prêts dans la solidarité, forts dans la proximité, actifs pour susciter la joie et convaincants dans la consolation. Le monde a besoin de signes concrets de solidarité, surtout face à la tentation de l’indifférence, et il demande des personnes capables de contrer par leur vie l’individualisme, le fait de penser seulement à soi et de se désintéresser des frères dans le besoin. Soyez toujours contents et remplis de joie dans votre service; mais n’en faites jamais un motif de présomption qui porterait à vous sentir meilleurs que les autres. En revanche, que votre œuvre de miséricorde soit l’humble et éloquent prolongement de Jésus-Christ qui continue à se pencher et à prendre soin de celui qui souffre. L’amour, en effet, «édifie» (1Co 8, 1) et permet jour après jour à nos communautés d’être signe de la communion fraternelle.

Et parler de cela au Seigneur. Appelez-le. Faites comme a fait Sœur Preyma, comme nous a raconté la sœur: elle frappé à la porte du tabernacle. Très courageuse! Le Seigneur nous écoute: appelez-le! Seigneur, vois cela… Vois tant de pauvreté, tant d’indifférence, tant de personnes qui regardent de l’autre côté: «ça ne me touche pas, ça ne me fait rien ». Parlez-en avec le Seigneur: «Seigneur, pourquoi? Seigneur, pourquoi? Pourquoi suis-je si faible et m’as-tu appelé à rendre ce service? Aide-moi et donne-moi la force, et donne-moi l’humilité». Le cœur de la miséricorde c’est ce dialogue avec le cœur miséricordieux de Jésus.

Demain, nous aurons la joie de voir Mère Teresa proclamée sainte. Elle le mérite! Ce témoignage de miséricorde de notre époque s’ajoute à l’innombrable foule des hommes et des femmes qui ont rendu visible par leur sainteté l’amour du Christ. Imitons, nous aussi, leur exemple, et demandons d’être d’humbles instruments dans les mains de Dieu, pour alléger la souffrance du monde et donner la joie et l’espérance de la résurrection. Merci.

Et avant de vous donner la bénédiction, je vous invite tous à prier en silence pour tant, tant de personnes qui souffrent, pour tant de souffrance, pour tant de personnes qui vivent rejetées par la société. Prier aussi pour tant de volontaires comme vous, qui vont trouver la chair du Christ pour la toucher, la soigner, la sentir proche. Et prier aussi pour tant, tant de personnes qui face à tant de misère regardent de l’autre côté et entendent dans leur cœur une voix qui leur dit: «ça ne me touche pas, ça ne me fait rien». Prions en silence.

[silence]

Et nous le faisons aussi avec la Vierge: Je vous salue

[bénédiction]

[01383-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

We have just heard the hymn to love which the Apostle Paul wrote for the Community in Corinth, and which constitutes one of the most beautiful and demanding texts for our witness of faith (cf. 1 Cor 13:1-13). How often Saint Paul spoke of love and faith in his letters; and here too we are given something exceedingly grand and original. He states that, unlike faith and hope, love “never ends” (v. 8): it lasts for ever. This teaching must be for us an unshakable certainty; the love of God will never diminish in our lives or in human history. It is a love which remains forever youthful, active, dynamic and which has an attraction beyond all telling. It is a faithful love that does not betray, despite our fickleness. It is a fruitful love which generates and surpasses our laziness. We are witnesses to this love. The love of God, truly, comes towards us; it is like a swelling river that engulfs us without overwhelming us. Quite the contrary is true: “[If I] have not love, I am nothing”, says Saint Paul (v. 2). The more we allow ourselves to be taken up by this love, the more our life will be renewed. We should say with all our being: I am loved, therefore I exist!

The love of which the Apostle speaks is not something abstract or vague; rather, it is a love that is seen, touched, and experienced first hand. The greatest and most expressive form of this love is Jesus. His entire person and his life are nothing other than the concrete revelation of the Father’s love, reaching its highest expression on the Cross: “God shows his love for us in that while we were yet sinners Christ died for us” (Rom 5:8). This is love! They are not just words; this is love. From Calvary, where the suffering of God’s Son reaches its culmination, the source of love flows, a love that wipes away all sin and transforms everything into new life. We always have indelibly within us, this certainty of faith: Christ “loved me and gave himself for me” (Gal 2:20). Of this we are very certain: Christ loved me, and gave himself for me, for you, for all, for every one of us! Nothing and no one can ever separate us from the love of God (cf. Rom 8:35-39). Love, therefore, is the highest expression of life; it allows us to exist!

Before this essential truth of our faith, the Church can never allow herself to act as that priest and Levite who ignored the man half dead at the side of the road (cf. Lk 10:25-36). She cannot look away and turn her back on the many forms of poverty that cry out for mercy. This turning one’s back in order not to see hunger, sickness, exploited persons… this is a grave sin! It is also a modern sin, a sin of our times! We Christians cannot allow ourselves to do this. It is not worthy of the Church nor of any Christian to “pass by on the other side”, and to pretend to have a clean conscience simply because we have said our prayers or because we have been to Mass on Sunday. No. Calvary is always real; it has not disappeared at all, nor does it remain with us merely as a nice painting in our churches. That culmination of compassion, from which the love of God flows to our human misery, still speaks to us today and spurs us on to offer ever new signs of mercy. I will never tire of saying that the mercy of God is not some beautiful idea, but rather a concrete action. There is no mercy without being concrete. Mercy is not doing good “in passing”, but getting involved where there is something wrong, where there is illness, where there is hunger, wherever there is exploitation. And even human mercy is not authentic – that is, human and merciful – until it has attained tangible expression in the actions of our daily life. The warning of the Apostle John has perennial value: “Little children, let us not love in word and speech but in deed and truth” (1 Jn 3:18). The truth of mercy, is expressed in our daily gestures that make God’s action visible in our midst.

Brothers and sisters, you represent the large and varied world of voluntary workers. You are among the most precious things the Church has, you who every day, often silently and unassumingly, give shape and visibility to mercy. You are crafters of mercy: with your hands, with your eyes, with your hearing, with your closeness, by your touch… craftsmen! You express one of the most noble desires of the human heart, making a suffering person feel loved. In the different contexts of need of so many people, your presence is the hand of Christ held out to all, and reaching all. You are the hand of Christ held out: have you thought about this? The credibility of the Church is also conveyed in a convincing way through your service to abandoned children, to the sick, the poor who lack food or work, to the elderly, the homeless, prisoners, refugees and immigrants, to all struck by natural disasters... Indeed, wherever there is a cry for help, there your active and selfless witness is found. In bearing one another’s burdens, you make Christ’s law visible (cf. Gal 6:2; Jn 13:34). Dear brothers and sisters, you touch the flesh of Christ with your hands: do not forget this. You touch the flesh of Christ with your hands. Be always ready to offer solidarity, to be steadfast in your closeness to others, determined in awakening joy and genuine in giving comfort. The world stands in need of concrete signs of solidarity, especially as it is faced with the temptation to indifference. It requires persons who, by their lives, defy such individualism, which is the tendency to think only of oneself and to ignore the brother or sister in need. Be always happy and full of joy in the service you give, but never presume to think that you are superior to others. Instead, let your work of mercy be a humble and eloquent continuation of Jesus’ presence who continues to bend down to our level to take care of the ones who suffer. For love “builds up” (1 Cor 8:1), day after day helping our communities to be signs of fraternal communion.

And speak to the Lord about these things. Call on him. Do as Sister Preyma did, as Sister has told us: she knocked on the door of the tabernacle. So much courage! The Lord hears us: call on him! Lord, look at this… Look at all this poverty, this indifference, this turning one’s back: “This does not affect me; this is not important to me”. Speak about this to the Lord: “Lord, why? Lord, why? Why am I so weak and yet you call me to give this service?” Help me, and give me strength, and make me humble” At the heart of mercy is this dialogue with the merciful heart of Jesus.

Tomorrow we will have the joy of seeing Mother Teresa proclaimed a saint. She deserves it! This witness to mercy in our time will join the vast array of men and women who, by their holiness of life, have made the love of Christ visible. Let us also imitate their example, as we ask to be humble instruments in God’s hands in order to alleviate the world’s sufferings, and to share the joy and hope of the resurrection. Thank you.

And before giving you my blessing, I invite you all to pray in silence for the many, many people who suffer; for so much suffering, for all who are discarded by society. Pray also for the many volunteers like you, who go out to encounter the flesh of Christ, to touch it, to care for it, to be close to it. And pray for the many, many who in the face of all this poverty simply turn their backs and who hear in their hearts a voice which says: “This does not affect me, this is not important to me”. Let us pray in silence.

[silence]

And now let us turn to Our Lady: Hail, Mary…

[Blessing]

[01383-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Wir haben das Hohelied der Liebe gehört, das der Apostel Paulus für die Gemeinde in Korinth geschrieben hat und das eine der schönsten und anspruchsvollsten Seiten für das Zeugnis unseres Glaubens darstellt (1Kor 13,1-13). Wie oft hat der heilige Paulus in seinen Schriften über die Liebe und den Glauben gesprochen; in diesem Text jedoch wird uns etwas außerordentlich Großes und Einzigartiges vorgelegt. Die Liebe, im Unterschied zum Glauben und zur Hoffnung, »hört niemals auf« (V. 8), sagt er, sie bleibt für immer. Diese Lehre muss für uns eine unerschütterliche Gewissheit bilden; die Liebe Gottes wird in unserem Leben und in der Geschichte der Welt niemals aufhören. Es ist eine Liebe, die immer jung, tätig und dynamisch ist und auf unvergleichliche Weise an sich zieht. Es ist eine treue Liebe, die nicht betrügt, trotz unserer Widersprüche. Es ist eine fruchtbare Liebe, die wirkt und über unsere Faulheit hinausgeht. Wir sind Zeugen dieser Liebe. Denn die Liebe Gottes kommt uns entgegen; sie ist wie ein stark Wasser führender Fluss, der uns fortreißt, aber ohne uns zu bezwingen; sie ist vielmehr Bedingung des Lebens: „Hätte [ich] aber die Liebe nicht, wäre ich nichts“, sagt der heilige Paulus (V. 2). Umso mehr wir uns von dieser Liebe ergreifen lassen, desto mehr wird unser Leben neu geboren. Wir könnten wahrlichen mit all unser Kraft sagen: Ich bin geliebt, daher lebe ich!

Die Liebe, von der der Apostel spricht, ist nicht etwas Abstraktes oder Unbestimmtes; sie ist vielmehr eine Liebe, die man persönlich sieht, berührt und erfährt. Die größte und ausdruckstärkste Form dieser Liebe ist Jesus. Seine ganze Person und sein ganzes Leben sind nichts anderes als ein konkreter Ausdruck der Liebe des Vaters und gipfeln in diesem Moment: »Gott aber hat seine Liebe zu uns darin erwiesen, dass Christus für uns gestorben ist, als wir noch Sünder waren« (Röm 5,8). Das ist Liebe! Es sind nicht Worte, es ist Liebe. Vom Berg Kalvaria, wo das Leiden des Gottessohns seinen Höhepunkt erreicht, entspringt der Quell der Liebe, der jede Sünde tilgt und alles zu einem neuen Leben erschafft. Auf unauslöschliche Weise tragen wir immer diese Gewissheit des Glaubens mit uns: Christus hat »mich geliebt und sich für mich hingegeben« (Gal 2,20). Dies ist die große Gewissheit: Christus hat mich geliebt, und er hat sich selbst hingegeben für mich, für dich und für dich und für dich, für alle, für einen jeden von uns! Nichts und niemand kann uns von der Liebe Gottes scheiden (vgl. Röm 8,35-39). Die Liebe ist also der höchste Ausdruck des ganzen Lebens und macht es uns möglich zu leben!

Angesichts dieses so wesentlichen Inhalts des Glaubens kann die Kirche es sich niemals erlauben, so zu handeln, wie es der Priester und der Levit gegenüber dem halbtot am Boden liegen gelassenen Mann getan haben (vgl. Lk 10,25-36). Man kann nicht den Blick abwenden und auf die andere Seite gehen, um die vielen Formen der Armut, die nach Barmherzigkeit verlangen, nicht zu sehen. Und dieses Auf-die-andere-Seite-Gehen, um nicht den Hunger, die Krankheiten, die ausgebeuteten Menschen zu sehen … – das ist eine schwere Sünde! Es ist auch eine moderne Sünde, eine Sünde von heute! Wir Christen dürfen uns dies nicht erlauben. Es wäre weder der Kirche noch eines Christen würdig, „weiterzugehen“ und vermeintlich ein gutes Gewissen zu haben, nur weil wir gebetet haben oder weil ich am Sonntag zur Messe gegangen bin. Nein! Der Berg Kalvaria ist stets aktuell; er ist weder verschwunden, noch bleibt er ein schönes Gemälde in unseren Kirchen. Dieser Gipfel des Mit-leidens, von dem die Liebe Gottes gegenüber unserem menschlichen Elend entspringt, spricht auch in unseren Tagen zu uns und drängt uns, immer neue Zeichen der Barmherzigkeit zu setzen. Ich werde nie müde werden zu sagen, dass die Barmherzigkeit Gottes keine schöne Idee ist, sondern eine konkrete Aktion. Barmherzigkeit ist immer konkret. Die Barmherzigkeit ist nicht ein „beiläufiges“ Tun; es ist dort ergriffen sein, wo das Böse, wo die Krankheit, wo der Hunger, wo menschliche Ausbeutung ist. Und auch die menschliche Barmherzigkeit ist keine Barmherzigkeit – d. h. menschlich und Barmherzigkeit –, solange sie nicht im täglichen Handeln konkret geworden ist. Die Mahnung des Apostels Johannes bleibt stets gültig: »Meine Kinder, wir wollen nicht mit Wort und Zunge lieben, sondern in Tat und Wahrheit« (1Joh 3,18). Denn die Wahrheit der Barmherzigkeit stellt man in unseren täglichen Taten fest, die das Handeln Gottes in unserer Mitte sichtbar machen.

Brüder und Schwestern, ihr vertretet hier die große und bunte Welt der ehrenamtlichen Dienste. Gerade ihr gehört zu den wertvollsten Realitäten der Kirche. Jeden Tag, oft im Stillen und Verborgenen, gebt ihr der Barmherzigkeit Gestalt und macht sie sichtbar. Ihr seid Baumeister der Barmherzigkeit: mit euren Händen, mit euren Augen, mit euren Ohren, mit eurer Nähe, mit eurer Liebenswürdigkeit… Baumeister! Ihr bringt einen der schönsten Wünsche des menschlichen Herzens zum Ausdruck, nämlich den, dass ein Mensch, der leidet, sich geliebt fühlt. In den verschiedenen Bedürfnissen und Notsituationen vieler Menschen stellt eure Anwesenheit die ausgestreckte Hand Christi dar, die alle erreicht. Ihr seid die ausgestreckte Hand Christi. Habt ihr daran gedacht? Die Glaubwürdigkeit der Kirche geht auf überzeugende Weise auch über euren Dienst zugunsten von verlassenen Kindern, von Kranken, von Armen ohne Essen und Arbeit, von Alten, Obdachlosen, Gefangenen, Flüchtlingen und Immigranten, von Opfern von Naturkatastrophen … Wo immer also Bedarf an Hilfe besteht, da gelangt euer aktives und uneigennütziges Zeugnis hin. Ihr macht das Gesetz Christi sichtbar, dass nämlich einer des anderen Last tragen soll (vgl. Gal 6,2; Joh 13,34). Liebe Brüder und Schwestern, ihr berührt das Fleisch Christi mit euren Händen. Vergesst das nicht. Ihr berührt das Fleisch Christi mit euren Händen. Seid in eurer Solidarität stets verfügbar, schenkt großzügig eure Nähe, seid voll Eifer, Freude zu wecken, und seid überzeugend im Trösten. Die Welt braucht konkrete Zeichen der Solidarität, vor allem gegenüber der Versuchung der Gleichgültigkeit. Sie verlangt nach Menschen, die fähig sind, mit ihrem Leben dem Individualismus und dem Geist, nur an sich zu denken und sich nicht mehr um die Brüder und Schwestern in Not zu kümmern, entgegenzuwirken. Seid immer zufrieden und voller Freude wegen eures Dienstes, aber macht daraus nie einen Grund zur Überheblichkeit, die dazu führt, sich besser als die anderen zu fühlen. Euer Werk der Barmherzigkeit sei hingegen die demütige und beredte Weiterführung Jesu Christi, der sich weiter zu den Leidenden hinunterbeugt und sich ihrer annimmt. Denn die Liebe »baut auf« (1Kor 8,1) und macht es unseren Gemeinden Tag für Tag möglich, Zeichen geschwisterlicher Gemeinschaft zu sein.

Sprecht zu Christus über diese Dinge. Ruft zu ihm. Macht es wie Sister Preyma, wie uns die Schwester erzählt hat: Sie hat an den Tabernakel geklopft. So mutig! Der Herr erhört uns. Ruft zu ihm! Herr, schau da… Schau, so viel Armut, so viel Gleichgültigkeit, so viel Auf-die-andere-Seite-Schauen: „Das berührt mich nicht, es interessiert mich nicht.“ Sprecht darüber mit dem Herrn: „Herr, warum? Herr, warum? Warum bin ich so schwach und du hast mich gerufen, diesen Dienst zu tun? Hilf mir und gib mir Kraft und gib mir Demut!“ Der Kern der Barmherzigkeit ist dieser Dialog mit dem barmherzigen Herzen Jesu.

Morgen werden wir mit Freude sehen, dass Mutter Teresa heiliggesprochen wird. Dieses Zeugnis der Barmherzigkeit unserer Zeit kommt zur unzähligen Schar von Männern und Frauen hinzu, die mit ihrer Heiligkeit die Liebe Christi sichtbar gemacht haben. Ahmen auch wir ihr Beispiel nach und bitten wir darum, demütige Werkzeuge in der Hand Gottes zu sein, um das Leid der Welt zu lindern und die Freude und Hoffnung der Auferstehung zu schenken. Danke.

Und bevor ich euch den Segen gebe, lade ich euch ein, schweigend für die vielen, vielen Menschen zu beten, die leiden. Für so viel Leid, für so viele, die von der Gesellschaft ausgeschlossen sind. Betet auch für die vielen freiwilligen Helfer wie euch, dass sie zur Begegnung mit dem Fleisch Christi kommen, um es zu berühren, es zu umsorgen, um seine Nähe zu spüren. Und betet auch für so viele, viele, die angesichts so vielen Elends auf die andere Seite schauen und in ihrem Herzen eine Stimme hören, die ihnen sagt: „Das berührt mich nicht, es interessiert mich nicht.“ Beten wir schweigend.

[silenzio]

Beten wir auch zur Madonna: Gegrüßet seist Du Maria …

[Segen]

[01383-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Hemos escuchado el himno de la caridad que el apóstol Pablo escribió a la comunidad de Corinto, y que constituye una de las páginas más hermosas y más exigentes para el testimonio de nuestra fe (cf. 1 Co 13,1-13). San Pablo ha hablado muchas veces del amor y de la fe en sus escritos; sin embargo, en este texto se nos ofrece algo extraordinariamente grande y original. Él afirma que el amor, a diferencia de la fe y de la esperanza, «no pasará jamás» (v. 8): es para siempre. Esta enseñanza debe ser para nosotros una certeza inquebrantable; el amor de Dios no cesará nunca, ni en nuestra vida ni en la historia del mundo. Es un amor que permanece siempre joven, activo y dinámico, y que atrae hacia sí de un modo incomparable. Es un amor fiel que no traiciona, a pesar de nuestras contradicciones. Es un amor fecundo que genera y va más allá de nuestra pereza. En efecto, de este amor todos somos testigos. El amor de Dios nos sale al encuentro, como un río en crecida que nos arrolla pero sin aniquilarnos; más bien, es condición de vida: «Si no tengo amor, no soy nada», dice san Pablo (v. 2). Cuanto más nos dejamos involucrar por este amor, tanto más se regenera nuestra vida. Verdaderamente deberíamos decir con toda nuestra fuerza: soy amado, luego existo.

El amor del que nos habla el Apóstol no es algo abstracto ni vago; al contrario, es un amor que se ve, se toca y se experimenta en primera persona. La forma más grande y expresiva de este amor es Jesús. Toda su persona y su vida no es otra cosa que una manifestación concreta del amor del Padre, hasta llegar al momento culminante: «la prueba de que Dios nos ama es que Cristo murió por nosotros cuando todavía éramos pecadores» (Rm 5,8). Esto es amor. No son palabras, es amor. Del Calvario, donde el sufrimiento del Hijo de Dios alcanza su culmen, brota el manantial de amor que cancela todo pecado y que todo recrea en una vida nueva. Llevemos siempre con nosotros, de modo indeleble, esta certeza de la fe: Cristo «me amó y se entregó por mí» (Ga 2,20). Esta es la gran verdad: Cristo me ha amado, y se ha entregado a sí mismo por mí, por ti, por ti, por ti, por todos, por cada uno de nosotros. Nada ni nadie podrá separarnos del amor de Dios (cf. Rm 8,35-39). Por tanto, el amor es la expresión más alta de toda la vida y nos permite existir.

Ante este contenido tan esencial de la fe, la Iglesia no puede permitirse actuar como lo hicieron el sacerdote y el levita con el hombre abandonado medio muerto en el camino (cf. Lc 10,25-36). No se puede mirar para otro lado y dar la espalda para no ver muchas formas de pobreza que piden misericordia. Dar la espalda para no ver el hambre, la enfermedad, las personas explotadas…, es un pecado grave; es también un pecado moderno, un pecado actual. Nosotros cristianos no nos lo podemos permitir. No sería digno de la Iglesia ni de un cristiano «pasar de largo» y pretender tener la conciencia tranquila sólo porque se ha rezado o porque se ha ido el domingo a Misa. El Calvario es siempre actual; no ha desaparecido ni permanece sólo como un hermoso cuadro en nuestras iglesias. Ese vértice de com-pasión, del que brota el amor de Dios hacia la miseria humana, nos sigue hablando hoy, animándonos a ofrecer nuevos signos de misericordia. No me cansaré nunca de decir que la misericordia de Dios no es una idea bonita, sino una acción concreta. No hay misericordia sin obras concretas. La misericordia no es hacer un bien «de paso», es implicarse allí donde está el mal, la enfermedad, el hambre, tanta explotación humana. Y, además, la misericordia humana no será auténtica —humana y misericordia hasta que no se concrete en el actuar diario. La admonición del apóstol Juan sigue siendo válida: «Hijitos míos, no amemos solamente con la lengua y de palabra, sino con obras y de verdad» (1 Jn 3,18). De hecho, la verdad de la misericordia se comprueba en nuestros gestos cotidianos que hacen visible la acción de Dios en medio de nosotros.

Hermanos y hermanas, vosotros representáis el gran y variado mundo del voluntariado. Entre las realidades más hermosas de la Iglesia os encontráis vosotros que cada día, casi siempre de forma silenciosa y escondida, dais forma y visibilidad a la misericordia. Vosotros sois artesanos de misericordia: con vuestras manos, con vuestros ojos, con vuestro oído atento, con vuestra cercanía, con vuestras caricias… artesanos. Vosotros manifestáis uno de los deseos más hermosos del corazón del hombre: hacer que una persona que sufre se sienta amada. En las distintas condiciones de indigencia y necesidad de muchas personas, vuestra presencia es la mano tendida de Cristo que llega a todos. Vosotros sois la mano tendida de Cristo: ¿Lo habéis pensado? La credibilidad de la Iglesia pasa también de manera convincente a través de vuestro servicio a los niños abandonados, los enfermos, los pobres sin comida ni trabajo, los ancianos, los sintecho, los prisioneros, los refugiados y los emigrantes, así como a todos aquellos que han sido golpeados por las catástrofes naturales... En definitiva, dondequiera que haya una petición de auxilio, allí llega vuestro testimonio activo y desinteresado. Vosotros hacéis visible la ley de Cristo, la de llevar los unos los pesos de los otros (cf. Ga 6,2; Jn 13,24). Queridos hermanos y hermanas: vosotros tocáis la carne de Cristo con vuestras manos, no lo olvidéis. Tocáis la carne de Cristo con vuestras manos. Sed siempre diligentes en la solidaridad, fuertes en la cercanía, solícitos en generar alegría y convincentes en el consuelo. El mundo tiene necesidad de signos concretos de solidaridad, sobre todo ante la tentación de la indiferencia, y requiere personas capaces de contrarrestar con su vida el individualismo, el pensar sólo en sí mismo y desinteresarse de los hermanos necesitados. Estad siempre contentos y llenos de alegría por vuestro servicio, pero no dejéis que nunca sea motivo de presunción que lleva a sentirse mejores que los demás. Por el contrario, vuestra obra de misericordia sea humilde y elocuente prolongación de Jesucristo que sigue inclinándose y haciéndose cargo de quien sufre. De hecho, el amor «edifica» (1 Co 8,1) y, día tras día, permite a nuestras comunidades ser signo de la comunión fraterna.

Hablad al Señor de esto. Llamadlo. Haced como ha hecho la hermana Preyma, como nos ha contado la hermana: ha tocado a la puerta del sagrario. Qué valiente. El Señor nos escucha: llamadlo. Señor, mira esto. Mira cuánta pobreza, cuánta indiferencia, cuánto se mira para otro lado. «Esto, no me concierne a mí, no me importa». Hablad con el Señor: «Señor, ¿por qué? Señor, ¿por qué? ¿Por qué soy tan débil y tú me has llamado a este servicio? Ayúdame, dame fuerza y humildad». El núcleo de la misericordia es este diálogo con el corazón misericordioso de Jesús.

Mañana, tendremos la alegría de ver a Madre Teresa proclamada santa. Lo merece. Este testimonio de misericordia de nuestro tiempo se añade a la innumerable lista de hombres y mujeres que han hecho visible con su santidad el amor de Cristo. Imitemos también nosotros su ejemplo, y pidamos ser instrumentos humildes en las manos de Dios para aliviar el sufrimiento del mundo, y dar la alegría y la esperanza de la resurrección. Gracias.

Antes de daros la bendición, os invito a todos a rezar en silencio por tantas, tantas personas que sufren; por tanto sufrimiento, por todos los que viven excluidos de la sociedad. Rezad también por tantos voluntarios como vosotros, que salen al encuentro de la carne de Cristo para tocarla, curarla, experimentarla cercana. Y rezad también por tantos, tantos que ante la miseria miran para otra parte y en el corazón sienten una voz que les dice: «No me concierne, no me importa».

Recemos en silencio.

Y recemos también a la Virgen: Dios te salve…

[01383-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Escutamos o hino ao amor que o apóstolo Paulo escreveu para a comunidade de Corinto, e que se apresenta como uma das páginas mais belas e exigentes para o testemunho da nossa fé (cf. 1 Cor 13,1-13). Foram muitas as vezes em que São Paulo falou do amor e da fé em seus escritos; mesmo assim, neste texto, é-nos oferecido algo extraordinariamente grande e original. Ele afirma que, ao contrário da fé e da esperança, o amor «jamais acabará» (v. 8): é para sempre. Este ensinamento deve ser para nós uma certeza inabalável; o amor de Deus nunca diminuirá nas nossas vidas e na história do mundo. É um amor que permanece para sempre jovem, ativo, dinâmico capaz de atrair para si de modo incomparável. É um amor fiel que não trai, apesar das nossas contradições. É um amor fecundo que gera e conduz para além da nossa preguiça. É desse amor que todos nós somos testemunhas. O amor de Deus, de fato, vem ao nosso encontro. É como um rio na cheia que nos arrasta, mas sem nos anular; muito pelo contrário, é uma condição de vida: «se não tivesse amor, eu nada seria» - como diz São Paulo (v. 2). Quanto mais nos deixamos envolver por este amor, mais a nossa vida se regenera. Deveríamos verdadeiramente dizer com toda a nossa força: sou amado, por isso existo!

O amor de que o Apóstolo fala não é algo abstrato e vago; pelo contrário, é um amor que se vê, se toca e se experimenta em primeira pessoa. A maior e mais expressiva forma desse amor é Jesus. Toda a sua pessoa e a sua vida não são outra coisa senão a manifestação concreta do amor do Pai, chegando até o ponto culminante: «A prova de que Deus nos ama é que Cristo morreu por nós, quando éramos ainda pecadores» (Rm 5,8). Isto é amor! Não são palavras, é amor. Desde o Calvário, onde o sofrimento do Filho de Deus atinge o seu ponto mais elevado, brota a fonte do amor que apaga todo o pecado e que recria tudo numa vida nova. Trazemos sempre conosco, de modo indelével, esta certeza da fé: Cristo «me amou e se entregou por mim» (Gl 2,20). Esta é a grande certeza: Cristo me amou e se entregou por mim, por ti, por todos, por cada um de nós! Nada e ninguém pode nos separar do amor de Deus (cf. Rm 8,35-39). O amor, portanto, é a expressão máxima de toda a vida e que nos permite existir!

Diante deste conteúdo tão essencial da fé, a Igreja nunca poderia permitir-se fazer como fizeram o sacerdote e o levita com o homem deixado meio morto por terra (cf. Lc 10,25-36). Não é possível desviar o olhar e tomar outra direção para não ver as muitas formas de pobreza que pedem misericórdia. Isso de tomar outra direção para não olhar a fome, as doenças, as pessoas exploradas... Isso é um pecado grave! Também é um pecado moderno; é um pecado dos dias de hoje! Nós cristãos não podemos nos permitir uma tal coisa. Não seria digno da Igreja nem de um cristão “passar ao largo”, supondo que se pode ter a consciência tranquila só por termos rezado ou porque fui à Missa no Domingo. Não! O Calvário é sempre atual; de nenhum modo deixou de existir, nem permanece como uma bela pintura nas nossas igrejas. O vértice de “com-paixão”, de onde brota o amor de Deus diante da miséria humana, ainda fala aos nossos dias e impele sempre a dar novos sinais de misericórdia. Nunca me cansarei de dizer que a misericórdia de Deus não é uma ideia bonita, mas uma ação concreta. Não existe misericórdia sem concretização. A misericórdia não é fazer um bem “de passagem”; significa comprometer-se onde está o mal, onde há doença, onde há fome. Onde há tantas explorações humanas. E até mesmo a misericórdia humana não é autêntica – ou seja humana e misericórdia - enquanto não alcança a concretização no seu agir diário. A exortação do Apóstolo João permanece sempre válida: «Filhinhos, não amemos só com palavras e de boca, mas com ações e de verdade!» (1 Jo 3,18). De fato, a verdade da misericórdia se confirma nos nossos gestos de cada dia, que tornam visível a ação de Deus no meio de nós.

Irmãos e irmãs, vós representais aqui o grande e variado mundo do voluntariado. Sois justamente vós uma das realidades mais preciosas da Igreja que, muitas vezes no silêncio e escondidos, dais forma e visibilidade à misericórdia. Vós sois artesãos de misericórdia: com as vossas mãos, com os vossos olhos, com a vossa escuta, com a vossa proximidade, com as vossas carícias... sois artesãos! Exprimis o desejo - entre os mais belos no coração do homem: fazer com que a pessoa que sofre se sinta amada. Em diferentes condições de carência e nas necessidades de tantas pessoas, a vossa presença é a mão de Cristo estendida que alcança a todos. Sois a mão de Cristo estendida: já pensastes nisso? A credibilidade da Igreja passa de forma convincente através do vosso serviço com as crianças abandonadas, os doentes, os pobres sem comida e trabalho, os idosos, os sem-abrigo, os prisioneiros, refugiados e migrantes, as pessoas afetadas por desastres naturais... enfim, onde quer que exista um pedido de ajuda, ali chega o vosso testemunho ativo e desinteressado. Tornais visível a lei de Cristo: levar os pesos uns dos outros (cf. Gal 6,2, Jo 13,34). Queridos irmãos e irmãs, tocais a carne de Cristo com as vossas mãos: não esqueçais disso. Tocais a carne de Cristo com as vossas mãos. Estai sempre prontos para a solidariedade, fortes na proximidade, diligentes para despertar alegria e convincentes na consolação. O mundo precisa de sinais concretos de solidariedade, especialmente diante da tentação da indiferença, e exige pessoas capazes de opor-se com as suas vidas o individualismo: pensar só a si mesmo, ignorando os irmãos em necessidade. Estai sempre contentes e cheios de alegria pelo vosso serviço, mas nunca fazei dele um motivo de presunção que leva a se sentir melhor do que os outros. Em vez disso, que a vossa obra de misericórdia seja a prolongação humilde e eloquente de Jesus Cristo, que continua a se curvar e cuidar daqueles que sofrem. O Amor, de fato, «edifica» (1 Cor 8,1) e dia após dia permite que as nossas comunidades sejam um sinal da comunhão fraterna.

Conversai com o Senhor sobre essas coisas. Chamai-O. Fazei como a Sister Preyma, como nos contou a religiosa: bateu na porta do sacrário. Tão corajosa! O Senhor nos escuta: chamai-O! «Senhor, vede isso... vede quanta pobreza, quanta indiferença, quantos há que desviam o olhar: “Isso não me corresponde, não me importa” Senhor, por que? Por que, Senhor? Por que eu sou tão fraco e Vós me chamastes a fazer esse serviço? Ajudai-me, dai-me força, e dai-me humildade». O núcleo da misericórdia é este diálogo com o coração misericordioso de Jesus.

Amanhã, teremos a alegria de ver Madre Teresa proclamada santa. Ela merece! Este testemunho da misericórdia dos nossos tempos se une à fileira inumerável de homens e mulheres que tornaram visíveis com a sua santidade o amor de Cristo. Imitemos nós também o seu exemplo, e peçamos para ser humildes instrumentos nas mãos de Deus para aliviar o sofrimento do mundo e dar a alegria e a esperança da ressurreição. Obrigado.

E antes de dar-vos a bênção, convido-vos a rezar todos em silêncio por tantas, tantas pessoas que sofrem; por tanto sofrimento, por tantos que vivem descartados pela sociedade. Rezai também por tantos voluntários como vós, que vão ao encontro da carne de Cristo, para tocá-la, cuidá-la, senti-la próxima. E rezai ainda por tantos, tantos que diante de tanta miséria desviam o olhar e no coração escutam uma voz que lhes diz: “Isso não me corresponde, não me importa”. Rezemos em silêncio.

[silêncio]

E o façamos também junto com Nossa Senhora: Ave Maria...

[01383-PO.02] [Texto original: Italiano]

[B0615-XX.02]