Santa Messa con sacerdoti, religiosi, religiose, consacrati e seminaristi polacchi presso il Santuario di S. Giovanni Paolo II a Kraków
Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Poco prima delle 10 di questa mattina il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i consacrati e i seminaristi polacchi nel Santuario di San Giovanni Paolo II a Kraków.
Nel corso del rito, dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:
Omelia del Santo Padre
Il passo del Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Gv 20,19-31) ci parla di un luogo, di un discepolo e di un libro.
Il luogo è quello dove si trovavano i discepoli la sera di Pasqua: di esso si dice solo che le sue porte erano chiuse (cfr v. 19). Otto giorni dopo, i discepoli si trovavano ancora in quella casa, e le porte erano ancora chiuse (cfr v. 26). Gesù vi entra, si pone in mezzo e porta la sua pace, lo Spirito Santo e il perdono dei peccati: in una parola, la misericordia di Dio. Dentro questo luogo chiuso risuona forte l’invito che Gesù rivolge ai suoi: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (v. 21).
Gesù manda. Lui desidera, fin dall’inizio, che la Chiesa sia in uscita, vada nel mondo. E vuole che lo faccia così come Lui stesso ha fatto, come Lui è stato mandato nel mondo dal Padre: non da potente, ma nella condizione di servo (cfr Fil 2,7), non «per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45) e per portare il lieto annuncio (cfr Lc 4,18); così anche i suoi sono inviati, in ogni tempo. Colpisce il contrasto: mentre i discepoli chiudevano le porte per timore, Gesù li invia in missione; vuole che aprano le porte ed escano a diffondere il perdono e la pace di Dio, con la forza dello Spirito Santo.
Questa chiamata è anche per noi. Come non sentirvi l’eco del grande invito di san Giovanni Paolo II: “Aprite le porte!”? Tuttavia, nella nostra vita di sacerdoti e consacrati può esserci spesso la tentazione di rimanere un po’ rinchiusi, per timore o per comodità, in noi stessi e nei nostri ambiti. La direzione che Gesù indica è però a senso unico: uscire da noi stessi. E’ un viaggio senza biglietto di ritorno. Si tratta di compiere un esodo dal nostro io, di perdere la vita per Lui (cfr Mc 8,35), seguendo la via del dono di sé. D’altra parte, Gesù non ama le strade percorse a metà, le porte lasciate socchiuse, le vite a doppio binario. Chiede di mettersi in cammino leggeri, di uscire rinunciando alle proprie sicurezze, saldi solo in Lui.
In altre parole, la vita dei suoi discepoli più intimi, quali siamo chiamati ad essere, è fatta di amore concreto, cioè di servizio e disponibilità; è una vita dove non esistono spazi chiusi e proprietà private per i propri comodi – almeno non devono esistere. Chi ha scelto di conformare tutta l’esistenza a Gesù non sceglie più i propri luoghi, ma va là dove è mandato; pronto a rispondere a chi lo chiama, non sceglie più nemmeno i propri tempi. La casa dove abita non gli appartiene, perché la Chiesa e il mondo sono i luoghi aperti della sua missione. Il suo tesoro è porre il Signore in mezzo alla vita, senza ricercare altro per sé. Fugge così le situazioni appaganti che lo metterebbero al centro, non si erge sui traballanti piedistalli dei poteri del mondo e non si adagia nelle comodità che infiacchiscono l’evangelizzazione; non spreca tempo a progettare un futuro sicuro e ben retribuito, per non rischiare di diventare isolato e cupo, rinchiuso nelle pareti anguste di un egoismo senza speranza e senza gioia. Contento nel Signore, non si accontenta di una vita mediocre, ma brucia del desiderio di testimoniare e di raggiungere gli altri; ama rischiare ed esce, non costretto da percorsi già tracciati, ma aperto e fedele alle rotte indicate dallo Spirito: contrario al vivacchiare, si rallegra di evangelizzare.
Nel Vangelo odierno, in secondo luogo, emerge la figura dell’unico discepolo nominato, Tommaso. Nel suo dubbio e nella sua ansia di voler capire, questo discepolo, anche piuttosto ostinato, un po’ ci assomiglia e ci risulta anche simpatico. Senza saperlo, egli ci fa un grande regalo: ci porta più vicino a Dio, perché Dio non si nasconde a chi lo cerca. Gesù gli mostra le sue piaghe gloriose, gli fa toccare con mano l’infinita tenerezza di Dio, i segni vivi di quanto ha patito per amore degli uomini.
Per noi discepoli, è tanto importante mettere la nostra umanità a contatto con la carne del Signore, cioè portare a Lui, con fiducia e con totale sincerità, fino in fondo, quello che siamo. Gesù, come disse a santa Faustina, è contento che gli parliamo di tutto, non si stanca delle nostre vite che già conosce, attende la nostra condivisione, persino il racconto delle nostre giornate (cfr Diario, 6 settembre1937). Così si cerca Dio, in una preghiera che sia trasparente e non dimentichi di confidare e affidare le miserie, le fatiche e le resistenze. Il cuore di Gesù è conquistato dall’apertura sincera, da cuori che sanno riconoscere e piangere le proprie debolezze, fiduciosi che proprio lì agirà la divina misericordia. Che cosa ci chiede Gesù? Egli desidera cuori veramente consacrati, che vivono del perdono ricevuto da Lui, per riversarlo con compassione sui fratelli. Gesù cerca cuori aperti e teneri verso i deboli, mai duri; cuori docili e trasparenti, che non dissimulano di fronte a chi ha il compito nella Chiesa di orientare il cammino. Il discepolo non esita a porsi domande, ha il coraggio di abitare il dubbio e di portarlo al Signore, ai formatori e ai superiori, senza calcoli e reticenze. Il discepolo fedele attua un discernimento vigile e costante, sapendo che il cuore va educato ogni giorno, a partire dagli affetti, per fuggire ogni doppiezza negli atteggiamenti e nella vita.
L’apostolo Tommaso, alla fine della sua appassionata ricerca, non è solo giunto a credere nella risurrezione, ma ha trovato in Gesù il tutto della vita, il suo Signore; gli ha detto: «Mio Signore, e mio Dio» (v. 28). Ci farà bene, oggi e ogni giorno, pregare queste splendide parole, con cui dirgli: sei l’unico mio bene, la strada del mio cammino, il cuore della mia vita, il mio tutto.
Nell’ultimo versetto che abbiamo ascoltato, si parla, infine, di un libro: è il Vangelo, nel quale non sono stati scritti i molti altri segni compiuti da Gesù (v. 30). Dopo il grande segno della sua misericordia, potremmo intendere, non è stato più necessario aggiungere altro. C’è però ancora una sfida, c’è spazio per i segni compiuti da noi, che abbiamo ricevuto lo Spirito dell’amore e siamo chiamati a diffondere la misericordia. Si potrebbe dire che il Vangelo, libro vivente della misericordia di Dio, che va letto e riletto continuamente, ha ancora delle pagine bianche in fondo: rimane un libro aperto, che siamo chiamati a scrivere con lo stesso stile, compiendo cioè opere di misericordia. Vi domando, cari fratelli e sorelle: le pagine del libro di ciascuno di voi, come sono? Sono scritte ogni giorno? Sono scritte un po’ sì e un po’ no? Sono in bianco? Ci aiuti in questo la Madre di Dio: ella, che ha pienamente accolto la Parola di Dio nella vita (cfr Lc 8,20-21), ci dia la grazia di essere scrittori viventi del Vangelo; la nostra Madre di misericordia ci insegni a prenderci cura concretamente delle piaghe di Gesù nei nostri fratelli e sorelle che sono nel bisogno, dei vicini come dei lontani, dell’ammalato come del migrante, perché servendo chi soffre si onora la carne di Cristo. La Vergine Maria ci aiuti a spenderci fino in fondo per il bene dei fedeli a noi affidati e a farci carico gli uni degli altri, come veri fratelli e sorelle nella comunione della Chiesa, nostra santa Madre.
Cari fratelli e sorelle, ciascuno di noi custodisce nel cuore una pagina personalissima del libro della misericordia di Dio: è la storia della nostra chiamata, la voce dell’amore che ha attirato e trasformato la nostra vita, portandoci a lasciare tutto sulla sua Parola e a seguirlo (cfr Lc 5,11). Ravviviamo oggi, con gratitudine, la memoria della sua chiamata, più forte di ogni resistenza e fatica. Continuando la Celebrazione eucaristica, centro della nostra vita, ringraziamo il Signore, perché è entrato nelle nostre porte chiuse con la sua misericordia; perché, come Tommaso, ci ha chiamato per nome; perché ci dà la grazia di continuare a scrivere il suo Vangelo di amore.
[01213-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Fragment Ewangelii, który wysłuchaliśmy (por. J 29, 19-31), mówi nam o miejscu, o uczniu i o księdze.
Miejscem jest to, gdzie przebywali uczniowie w wieczór Wielkanocny: o nim powiedziane jest jedynie, że drzwi były zamknięte (w. 19). Osiem dni później uczniowie przebywali jeszcze w tym domu, a drzwi nadal były zamknięte (w. 26). Jezus wchodzi do niego, staje pośrodku i przynosi swój pokój, Ducha Świętego i odpuszczenie grzechów: jednym słowem, miłosierdzie Boga. W tym zamkniętym miejscu silnie rozbrzmiewa zachęta, jaką Jezus kieruje do swoich uczniów: „Jak ojciec Mnie posłał, tak i Ja was posyłam” (w. 21).
Jezus posyła. Od samego początku pragnie On, aby Kościół wychodził, aby szedł do świata. Chce, aby to czynił tak, jak On sam tego dokonał, jak On został przez Ojca posłany na świat: nie jako potężny, ale w postaci sługi (por. Flp 2, 7), nie „aby Mu służono, lecz żeby służyć” (Mk 10, 45) i nieść dobrą nowinę (por. Łk 4, 18); podobnie też ci, którzy do Niego należą, są posłani w każdym czasie. Uderzający kontrast: podczas gdy uczniowie zamykali drzwi ze strachu, Jezus posyła ich na misję; chce, aby otworzyli drzwi i wyszli szerzyć z mocą Ducha Świętego przebaczenie i pokój Boży.
To wezwanie skierowane jest także do nas. Jakże nie usłyszeć tu echa wielkiej zachęty świętego Jana Pawła II: „Otwórzcie drzwi!”? Jednak w naszym życiu kapłanów i osób konsekrowanych często może pojawić się pokusa, by ze strachu lub wygody pozostać trochę zamkniętymi w nas samych i w naszych środowiskach. Jezus jednak wskazuje drogę tylko w jednym kierunku: wyjść z naszych ograniczeń. To podróż bez biletu powrotnego. Chodzi o to, by dokonać wyjścia z naszego „ja”, aby stracić swoje życie dla Niego (por. Mk 8, 35), idąc drogą daru z samego siebie. Z drugiej strony, Jezus nie lubi dróg przemierzanych połowicznie, przymkniętych drzwi, podwójnego życia. Wymaga, by wyruszyć w drogę bez obciążeń, wyjść rezygnując ze swoich zabezpieczeń, mocni jedynie w Nim.
Innymi słowy, życie Jego najbliższych uczniów, do których grona jesteśmy powołani, składa się z konkretnej miłości, czyli służby i dyspozycyjności; jest to życie, gdzie nie ma przestrzeni zamkniętych i własności prywatnych, dla własnej wygody. Przynajmniej nie powinno ich być. Ten, kto postanowił upodobnić całe swoje życie do Jezusa, nie wybiera już swoich własnych miejsc, ale idzie tam, gdzie został posłany; gotów odpowiedzieć Temu, Który go wzywa, nie wybiera już nawet czasu dla siebie. Dom, w którym mieszka, nie należy do niego, ponieważ Kościół i świat są otwartymi miejscami jego misji. Jego skarbem jest wprowadzać Pana w środek życia, nie szukając innego skarbu dla siebie. W ten sposób unika sytuacji samozadowolenia, które postawiłyby go w centrum, nie staje na chwiejnych postumentach potęg światowych, ani nie opiera się na wygodach, które osłabiają ewangelizację; nie marnuje czasu na planowanie bezpiecznej i zasobnej przyszłości, aby uniknąć ryzyka stania się odizolowanym i skrytym, zamkniętym w ciasnych murach egoizmu bez nadziei i radości. Zadowolony w Panu, nie zadowala się życiem przeciętnym, ale płonie pragnieniem świadczenia i dotarcia do innych; lubi ryzyko i wychodzi, nie ograniczony drogami już wytyczonymi, lecz otwarty i wierny trasom wskazanym przez Ducha Świętego: przeciwny wegetacji, uradowany z ewangelizacji.
Po drugie w dzisiejszej Ewangelii, pojawia się postać jedynego ucznia nazwanego z imienia – Tomasza. W swoim wątpieniu i pragnieniu zrozumienia uczeń ten, również dość uparty, jest trochę do nas podobny i żywimy do niego sympatię. Nie wiedząc o tym, sprawia nam wielki dar: przybliża nas do Boga, bo Bóg nie ukrywa się wobec tego, kto Go szuka. Jezus ukazuje mu swoje chwalebne rany, każe mu dotknąć nieskończonej czułości Boga, żywych znaków tego, jak wiele wycierpiał z powodu miłości do ludzi.
Dla nas, uczniów, bardzo ważne jest umieszczenie naszego człowieczeństwa w kontakcie z ciałem Pana, czyli zaniesienie Mu z ufnością i pełną szczerością, aż do końca, tego czym jesteśmy. Jezus, jak powiedział siostrze Faustynie, cieszy się, gdy mówimy Mu o wszystkim, nie nuży się wydarzeniami naszego życia, które już zna, oczekuje, że będziemy się nimi dzielić, a nawet opowiadaniem o naszych dniach (por. Dzienniczek, 6.09.1937). W ten sposób poszukuje się Boga w takiej modlitwie, która byłaby przejrzysta i nie zapominała o wyznaniu i zawierzeniu bied, trudów i przeciwieństw. Serce Jezusa zdobywa się szczerym otwarciem, sercem, które potrafi rozpoznać i opłakiwać swoje słabości, z ufnością, że właśnie tam działać będzie Boże miłosierdzie. Czego Jezus od nas oczekuje? Pragnie On serc naprawdę konsekrowanych, które żyją przebaczeniem otrzymanym od Niego, aby je przelewać ze współczuciem na braci. Jezus poszukuje serc otwartych i delikatnych wobec słabych – w żadnym wypadku surowych; serc uległych i przejrzystych, które nie udają wobec tych, którzy mają w Kościele zadanie wskazywania drogi. Uczeń nie waha się stawiać sobie pytań, ma odwagę przeżywania wątpliwości i zanoszenia ich Panu, formatorom i przełożonym, bez kalkulacji i powściągliwości. Wierny uczeń dokonuje czujnego i nieustannego rozeznania, wiedząc, że serce trzeba wychowywać każdego dnia, począwszy od uczuć, aby uniknąć wszelkiej dwulicowości w postawach i w życiu.
Apostoł Tomasz, pod koniec swego żarliwego poszukiwania nie tylko uwierzył w zmartwychwstanie, ale znalazł w Jezusie cały sens swego życia, odnalazł w Nim swego Pana; powiedział Mu: „Pan mój i Bóg mój” (w. 28). Warto, abyśmy dziś i codziennie modlili się tymi wspaniałymi słowami, którymi możemy Mu powiedzieć: Jesteś moim jedynym dobrym, drogą mojego pielgrzymowania, sercem mojego życia, moim wszystkim.
W ostatnim wersie, który usłyszeliśmy, mowa jest o księdze: chodzi o Ewangelię, w której nie opisano wielu innych znaków dokonanych przez Jezusa (w. 30). Możemy zrozumieć, że po wielkim znaku Jego miłosierdzia, nie trzeba było dodawać już innego. Istnieje jednak pewne wyzwanie, jest miejsce na znaki dokonane przez nas, którzy otrzymaliśmy Ducha miłości i jesteśmy powołani do szerzenia miłosierdzia. Można powiedzieć, że Ewangelia, żywa księga Bożego miłosierdzia, którą trzeba nieustannie czytać i odczytywać na nowo, ma wciąż na końcu białe karty: pozostaje księgą otwartą, do której pisania jesteśmy powołani – tym samym stylem, to znaczy wypełniając dzieła miłosierdzia. Pytam was drodzy bracia i siostry: jak wyglądają karty księgi każdego z was? Czy są codziennie zapisywane? Czy są trochę zapisywane, a trochę nie? Czy może są puste? Niech nam w tym pomoże Matka Boża: Ona, która w pełni przyjęła Słowo Boże w życiu (por. Łk 8, 20-21), niech da nam łaskę bycia żyjącymi pisarzami Ewangelii; niech nasza Matka Miłosierdzia uczy nas troszczyć się konkretnie o rany Jezusa w naszych potrzebujących braciach i siostrach, zarówno bliskich jak i dalekich, chorego i migranta, ponieważ służąc cierpiącym oddajemy cześć ciału Chrystusa. Niech Maryja Panna pomaga nam poświęcać się aż do końca na rzecz dobra powierzonych nam wiernych i nieść brzemiona jedni drugich, jak prawdziwi bracia i siostry we wspólnocie Kościoła, naszej świętej Matki.
Drodzy bracia i siostry, każdy z nas nosi w głębi serca najbardziej osobistą kartę księgi miłosierdzia Boga: jest to historia naszego powołania, głos miłości, która pociągnęła i zmieniła nasze życie, prowadząc nas do porzucenia wszystkiego na Jego słowo i pójścia za Nim (por. Łk 5, 11). Ożywmy dziś z wdzięcznością pamięć o Jego wezwaniu, silniejszym niż jakikolwiek opór i trud. Kontynuując celebrację eucharystyczną, centrum naszego życia, dziękujmy Panu, bo wszedł w nasze zamknięte drzwi ze swoim miłosierdziem; bo, podobnie jak Tomasza, wezwał nas po imieniu; bo daje nam łaskę dalszego pisania Jego Ewangelii miłości.
[01213-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Le passage de l’Évangile que nous avons entendu (cf. Jn 20, 19-31) nous parle d’un lieu, d’un disciple et d’un livre.
Le lieu est celui où se trouvaient les disciples le soir de Pâques : on dit seulement que les portes en étaient verrouillées (cf. v. 19). Huit jours après, les disciples se trouvaient encore dans cette maison, et les portes étaient encore verrouillées (cf. v. 26). Jésus y entre, se place au milieu et apporte sa paix, l’Esprit Saint et le pardon des péchés: en un mot, la miséricorde de Dieu. En ce lieu fermé, l’invitation que Jésus adresse aux siensrésonne avec force : «De même que le Père m’a envoyé, moi aussi, je vous envoie» (v. 21).
Jésus envoie. Lui, il désire, dès le début, que l’Église soit en sortie, qu’elle aille dans le monde. Et il veut qu’on le fasse comme lui-même a fait, comme lui a été envoyé dans le monde par le Père: non en puissant, mais dans la condition de serviteur (cf. Ph 2, 7), non «pour être servi, mais pour servir» (Mc 10, 45) et pour porter la Bonne Nouvelle (cf. Lc 4, 18); ainsi, les siens sont aussi envoyés, à chaque époque. Le contraste est frappant: tandis que les disciples ferment les portes par crainte, Jésus les envoie en mission; il veut qu’ils ouvrent les portes et sortent pour répandre le pardon et la paix de Dieu, par la force de l’Esprit Saint.
Cet appel est aussi pour nous. Comment ne pas y entendre l’écho de la grande invitation de saint Jean-Paul II: “Ouvrez les portes !”? Toutefois, dans notre vie de prêtres et de consacrés, il peut y avoir souvent la tentation de rester, par crainte ou par commodité, un peu repliés sur nous-mêmes et sur nos milieux. Mais la direction que Jésus indique est à sens unique: sortir de nous-mêmes. C’est un voyage sans billet de retour. Il s’agit d’accomplir un exode de notre moi, de perdre sa vie pour Lui (cf. Mc 8, 35), en suivant la voie du don de soi. D’autre part, Jésus n’aime pas les chemins parcourus à moitié, les portes laissées entrouvertes, les vies à double voie. Il demande de se mettre en chemin en étant légers, de sortir en renonçant à ses propres sécurités, établis seulement en Lui.
En d’autres termes, la vie de ses disciples les plus intimes, que nous sommes appelés à être, est faite d’amour concret, c’est-à-dire de service et de disponibilité; c’est une vie où il n’existe pas d’espaces clos et de propriétés privées pour ses propres commodités – du moins, il ne doit pas y en avoir. Celui qui a choisi de rendre toute son existence conforme à Jésus ne choisit pas ses propres lieux, mais il va là où il est envoyé; prêt à répondre à celui qui l’appelle, il ne choisit même plus ses propres temps. La maison où il habite ne lui appartient pas, parce que l’Église et le monde sont les lieux ouverts de sa mission. Son trésor, c’est de placer le Seigneur au centre de la vie, sans rechercher quelque chose d’autre pour soi. Il fuit ainsi les situations satisfaisantes qui le mettraient au centre, il ne se dresse pas sur les piédestaux branlants des pouvoirs du monde et ne se complait pas dans les commodités qui amollissent l’évangélisation; il ne perd pas son temps à envisager un avenir sûr et bien rétribué, pour ne pas risquer de s’isoler et de devenir maussade, renfermé dans les murs étroits d’un égoïsme sans espérance et sans joie. Épanoui dans le Seigneur, il ne se satisfait pas d’une vie médiocre, mais brûle du désir de témoigner et de rejoindre les autres; il aime à risquer et il sort, non pas contraint par des parcours déjà tracés, mais ouvert et fidèle aux caps indiquées par l’Esprit: se refusant à vivoter, il se réjouit d’évangéliser.
Dans l’Évangile d’aujourd’hui, en second lieu, émerge la figure de l’unique disciple nommé, Thomas. Dans son doute et dans son impatience de vouloir comprendre, ce disciple, également assez obstiné, nous ressemble un peu et nous est aussi sympathique. Sans le savoir, il nous fait un grand cadeau: il nous conduit plus près de Dieu, parce que Dieu ne se cache pas à celui qui le cherche. Jésus lui montre ses plaies glorieuses, il lui fait toucher de la main l’infinie tendresse de Dieu, les signes vivants de tout ce qu’il a souffert par amour pour les hommes.
Pour nous disciples, il est si important de mettre notre humanité au contact de la chair du Seigneur, c’est-à-dire de lui apporter, avec confiance et avec une sincérité totale, jusqu’au bout, ce que nous sommes. Jésus, comme il l’a dit à sainte Faustine, est content que nous lui parlions de tout, il ne se lasse pas de nos vies qu’il connaît déjà, il attend notre partage, jusqu’au récit de nos journées (cf. Diaire, 6 septembre 1937). On cherche Dieu ainsi, dans une prière transparente et qui n’oublie pas de confier et de remettre les misères, les peines et les résistances. Le cœur de Jésus est conquis par l’ouverture sincère, par des cœurs qui savent reconnaître et pleurer leurs propres faiblesses, confiants que la miséricorde divine agira là-même. Que nous demande Jésus? Il désire des cœurs vraiment consacrés, qui vivent du pardon reçu de Lui, pour le reverser avec compassion sur les frères. Jésus cherche des cœurs ouverts et tendres envers les faibles, jamais durs; des cœurs dociles et transparents, qui ne dissimulent pas devant celui qui a la tâche dans l’Église d’orienter le chemin. Le disciple n’hésite pas à poser des questions, il a le courage d’habiter le doute et de le porter au Seigneur, aux formateurs et aux Supérieurs, sans calculs ni réticences. Le disciple fidèle met en œuvre un discernement vigilant et constant, sachant que le cœur doit s’éduquer chaque jour, à partir des affections, pour fuir toute duplicité dans les attitudes et dans la vie.
L’apôtre Thomas, à la fin de sa recherche passionnée, n’est pas seulement parvenu à croire en la résurrection, mais il a trouvé en Jésus le tout de la vie, son Seigneur; il lui a dit: «Mon Seigneur et mon Dieu» (v. 28). Cela nous fera du bien, aujourd’hui et chaque jour, de prier avec ces paroles splendides, pour lui dire: tu es mon unique bien, la route de mon cheminement, le cœur de ma vie, mon tout.
Dans le dernier verset que nous avons entendu, on parle, enfin, d’un livre: c’est l’Évangile, dans lequel n’ont pas été écrits les nombreux autres signes accomplis par Jésus (v. 30). Après le grand signe de sa miséricorde, nous pourrions le comprendre, il n’a plus été nécessaire d’ajouter autre chose. Mais il y a encore un défi, il y a un espace pour les signes accomplis par nous, qui avons reçu l’Esprit d’amour et qui sommes appelés à répandre la miséricorde. On pourrait dire que l’Évangile, livre vivant de la miséricorde de Dieu, qui doit être lu et relu continuellement, a encore des pages vierges au fond: il reste un livre ouvert, que nous sommes appelés à écrire avec le même style, c’est-à-dire en accomplissant des œuvres de miséricorde. Je vous pose la question, chers frères et sœurs: les pages du livre de chacun de vous, comment sont-elles? Sont-elles écrites chaque jour? Sont-elles écrites un peu oui et un peu non? Sont-elles vierges? Que la Mère de Dieu nous aide en cela: elle, qui a pleinement accueilli la Parole de Dieu dans sa vie (cf. Lc 8, 20-21), qu’elle nous donne la grâce d’être des écrivains vivants de l’Évangile; que notre Mère de miséricorde nous enseigne à prendre soin concrètement des plaies de Jésus dans nos frères et sœurs qui sont dans le besoin, de ceux qui sont proches comme de ceux qui sont loin, du malade comme du migrant, parce qu’en servant celui qui souffre, on honore la chair du Christ. Que la Vierge Marie nous aide à nous dépenser jusqu’au bout pour le bien des fidèles qui nous sont confiés, et à nous prendre en charge les uns les autres, comme de vrais frères et sœurs dans la communion de l’Église, notre sainte Mère.
Chers frères et sœurs, chacun de nous garde dans son cœur une page très personnelle du livre de la miséricorde de Dieu: c’est l’histoire de notre appel, la voix de l’amour qui a attiré et transformé notre vie, nous portant à tout laisser sur parole et à le suivre (cf. Lc 5, 11). Ravivons aujourd’hui, avec gratitude, la mémoire de son appel, plus fort que toute résistance et fatigue. En continuant la célébration eucharistique, centre de notre vie, remercions le Seigneur, parce que, par sa miséricorde, il est entré à travers nos portes fermées ; parce que comme Thomas, il nous a appelés par notre nom, afin qu’il nous donne la grâce de continuer à écrire son Évangile d’amour.
[01213-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
The words of the Gospel we have just heard (cf. Jn 20:19-31) speak to us of a place, a disciple and a book.
The place is where the disciples gathered on the evening of Easter; we read only that its doors were closed (cf. v. 19). Eight days later, the disciples were once more gathered there, and the doors were still shut (cf. v. 26). Jesus enters, stands in their midst and brings them his peace, the Holy Spirit and the forgiveness of sins: in a word, God’s mercy. Behind those closed doors there resounds Jesus’ call to his followers: “As the Father has sent me, so I send you” (v. 21).
Jesus sends. From the beginning, he wants his to be a Church on the move, a Church that goes out into the world. And he wants it to do this just as he did. He was not sent into the world by the Father to wield power, but to take the form of a slave (cf. Phil 2:7); he came not “to be served, but to serve” (Mk 10:45) and to bring the Good News (cf. Lk 4:18). In the same way, his followers are sent forth in every age. The contrast is striking: whereas the disciples had closed the doors out of fear, Jesus sends them out on mission. He wants them to open the doors and go out to spread God’s pardon and peace, with the power of the Holy Spirit.
This call is also addressed to us. How can we fail to hear its echo in the great appeal of Saint John Paul II: “Open the doors”? Yet, in our lives as priests and consecrated persons, we can often be tempted to remain enclosed, out of fear or convenience, within ourselves and in our surroundings. But Jesus directs us to a one-way street: that of going forth from ourselves. It is a one-way trip, with no return ticket. It involves making an exodus from ourselves, losing our lives for his sake (cf. Mk 8:35) and setting out on the path of self-gift. Nor does Jesus like journeys made halfway, doors half-closed, lives lived on two tracks. He asks us to pack lightly for the journey, to set out renouncing our own security, with him alone as our strength.
In other words, the life of Jesus’ closest disciples, which is what we are called to be, is shaped by concrete love, a love, in other words, marked by service and availability. It is a life that has no closed spaces or private property for our own use, or at least there shouldn’t be. Those who choose to model their entire life on Jesus no longer choose their own places; they go where they are sent, in ready response to the one who calls. They do not even choose their own times. The house where they live does not belong to them, because the Church and the world are the open spaces of their mission. Their wealth is to put the Lord in the midst of their lives and to seek nothing else for themselves. So they flee the satisfaction of being at the centre of things; they do not build on the shaky foundations of worldly power, or settle into the comforts that compromise evangelization. They do not waste time planning a secure future, lest they risk becoming isolated and gloomy, enclosed within the narrow walls of a joyless and desperate self-centredness. Finding their happiness in the Lord, they are not content with a life of mediocrity, but burn with the desire to bear witness and reach out to others. They love to take risks and to set out, not limited to trails already blazed, but open and faithful to the paths pointed out by the Spirit. Rather than just getting by, they rejoice to evangelize.
Secondly, today’s Gospel presents us with the one disciple who is named: Thomas. In his hesitation and his efforts to understand, this disciple, albeit somewhat stubborn, is a bit like us and we find him likeable. Without knowing it, he gives us a great gift: he brings us closer to God, because God does not hide from those who seek him. Jesus shows Thomas his glorious wounds; he makes him touch with his hand the infinite tenderness of God, the vivid signs of how much he suffered out of love for humanity.
For us who are disciples, it is important to put our humanity in contact with the flesh of the Lord, to bring to him, with complete trust and utter sincerity, our whole being. As Jesus told Saint Faustina, he is happy when we tell him everything: he is not bored with our lives, which he already knows; he waits for us to tell him even about the events of our day (cf. Diary, 6 September 1937). That is the way to seek God: through prayer that is transparent and unafraid to hand over to him our troubles, our struggles and our resistance. Jesus’ heart is won over by sincere openness, by hearts capable of acknowledging and grieving over their weakness, yet trusting that precisely there God’s mercy will be active.
What does Jesus ask of us? He desires hearts that are truly consecrated, hearts that draw life from his forgiveness in order to pour it out with compassion on our brothers and sisters. Jesus wants hearts that are open and tender towards the weak, never hearts that are hardened. He wants docile and transparent hearts that do not dissimulate before those whom the Church appoints as our guides. Disciples do not hesitate to ask questions, they have the courage to face their misgivings and bring them to the Lord, to their formators and superiors, without calculations or reticence. A faithful disciple engages in constant watchful discernment, knowing that the heart must be trained daily, beginning with the affections, to flee every form of duplicity in attitudes and in life.
The Apostle Thomas, at the conclusion of his impassioned quest, not only came to believe in the resurrection, but found in Jesus his life’s greatest treasure, his Lord. He says to Jesus: “My Lord and my God!” (v. 28). We would do well, today, and every day, to pray these magnificent words, and to say to the Lord: You are my one treasure, the path I must follow, the core of my life, my all.
The final verse of today’s Gospel speaks of a book: it is the Gospel that, we are told, does not contain all the many other signs that Jesus worked (v. 30). After the great sign of his mercy, we could say that there is no longer a need to add another. Yet one challenge does remain. There is room left for the signs needing to be worked by us, who have received the Spirit of love and are called to spread mercy. It might be said that the Gospel, the living book of God’s mercy that must be continually read and reread, still has many blank pages left. It remains an open book that we are called to write in the same style, by the works of mercy we practise. Let me ask you this, dear brothers and sisters: What are the pages of your books like? Are they blank? May the Mother of God help us in this. May she, who fully welcomed the word of God into her life (cf. Lk 8:20-21), give us the grace to be living writers of the Gospel. May our Mother of Mercy teach us how to take concrete care of the wounds of Jesus in our brothers and sisters in need, those close at hand and those far away, the sick and the migrant, because by serving those who suffer we honour the flesh of Christ. May the Virgin Mary help us to spend ourselves completely for the good of the faithful entrusted to us, and to show concern for one another as true brothers and sisters in the communion of the Church, our holy Mother.
Dear brothers and sisters, each of us holds in his or her heart a very personal page of the book of God’s mercy. It is the story of our own calling, the voice of the love that attracted us and transformed our life, leading us to leave everything at his word and to follow him (cf. Lk 5:11). Today let us gratefully rekindle the memory of his call, which is stronger than any resistance and weariness on our part. As we continue this celebration of the Eucharist, the centre of our lives, let us thank the Lord for having entered through our closed doors with his mercy, for calling us, like Thomas, by name, and for giving us the grace to continue writing his Gospel of love.
[01213-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Der Evangelienabschnitt, den wir gehört haben (vgl. Joh 20,19-31), spricht uns von einem Ort, von einem Jünger und von einem Buch.
Der Ort ist der, an dem sich die Jünger am Abend des Ostertages befanden: Von ihm wird nur gesagt, dass seine Türen verschlossen waren (vgl. V. 19). Acht Tage danach befanden sich die Jünger noch einmal in jenem Haus und die Türen waren immer noch verschlossen (vgl. V. 26). Jesus tritt ein, stellt sich in die Mitte und bringt seinen Frieden, den Heiligen Geist und die Vergebung der Sünden – in einem Wort: die Barmherzigkeit Gottes. In diesem verschlossenen Ort ertönt kraftvoll die Aufforderung, die Jesus an die Seinen richtet: »Wie mich der Vater gesandt hat, so sende ich euch« (V. 21).
Jesus sendet. Er wünscht von Anfang an, dass die Kirche im Aufbruch ist, in die Welt geht. Und er will, dass sie es so tut, wie er selbst es getan hat, wie er vom Vater in die Welt gesandt worden ist: nicht als Machtmensch, sondern »wie ein Sklave« (Phil 2,7), nicht »um sich dienen zu lassen, sondern um zu dienen« (Mk 10,45) und die gute Nachricht zu bringen (vgl. Lk 4,18). So sind auch die Seinen Ausgesandte, zu allen Zeiten. Der Kontrast beeindruckt: Während die Jünger aus Furcht die Türen verschlossen haben, sendet Jesus sie in die Mission. Er will, dass sie die Türen öffnen und hinausgehen, um mit der Kraft des Heiligen Geistes die Vergebung und den Frieden Gottes zu verbreiten.
Dieser Ruf gilt auch uns. Wie könnte man darin nicht den Widerhall der großen Aufforderung des heiligen Johannes PaulII. hören: „Öffnet die Türen!“? Dennoch kann in unserem Leben als Priester und Gottgeweihte oft die Versuchung bestehen, ein wenig in uns selbst und in unsere Kreise eingeschlossen zu bleiben, aus Furcht oder aus Bequemlichkeit. Die Richtung, die Jesus angibt, ist aber eine Einbahnstraße: aus uns selbst hinausgehen. Es ist eine Reise ohne Rückfahrkarte. Es geht darum, einen Exodus aus unserem Ich zu vollziehen, das Leben für ihn zu verlieren (vgl. Mk 8,35), indem man dem Weg der Selbsthingabe folgt. Andererseits liebt Jesus nicht die nur halb gegangenen Wege, die angelehnt gelassenen Türen, die zweigleisigen Leben. Er verlangt, sich unbeschwert auf den Weg zu machen, aufzubrechen unter Verzicht auf die eigenen Sicherheiten, allein in ihm verankert.
Mit anderen Worten: Das Leben seiner engsten Jünger, die zu sein wir berufen sind, besteht aus konkreter Liebe, das heißt aus Dienst und Verfügbarkeit. Es ist ein Leben, in dem es keine verschlossenen Räume und private Besitztümer für die eigenen Annehmlichkeiten gibt – zumindest darf es sie nicht geben. Wer sich entschieden hat, das ganze Leben Jesus gleichzugestalten, wählt nicht mehr die eigenen Orte, sondern geht dorthin, wohin er gesendet wird; bereit, dem zu antworten, der ihn ruft, wählt er nicht einmal mehr die eigenen Zeiten. Das Haus, in dem er wohnt, gehört ihm nicht, denn die Kirche und die Welt sind die Freiluftbühne seiner Sendung. Sein Schatz besteht darin, den Herrn mitten in sein Leben zu stellen, ohne etwas anderes für sich zu suchen. So flieht er die Situationen, die Befriedigung schenken und ihn ins Zentrum setzen würden, er richtet sich nicht auf den wankenden Sockeln der weltlichen Mächte auf und gibt sich nicht den Bequemlichkeiten hin, die die Verkündigung des Evangeliums schwächen; er vergeudet keine Zeit damit, eine sichere und gut bezahlte Zukunft zu planen, damit er nicht in die Gefahr der Abschottung und der Finsternis gerät, eingeschlossen in die engen Wände eines Egoismus ohne Hoffnung und ohne Freude. Froh im Herrn, gibt er sich nicht mit einem mittelmäßigen Leben zufrieden, sondern ist erfüllt von dem brennenden Verlangen, Zeugnis zu geben und die anderen zu erreichen; er liebt das Wagnis und bricht auf, nicht unter dem Zwang bereits vorgezeichneter Wege, sondern offen und treu gegenüber den vom Heiligen Geist angezeigten Routen: Er mag nicht nur so dahinleben, sondern freut sich, das Evangelium zu verkünden.
An zweiter Stelle taucht im heutigen Evangelium die Figur des einzigen Jüngers auf, der mit Namen genannt wird, Thomas. In seinem Zweifel und seiner Unruhe, begreifen zu wollen, ähnelt uns dieser auch ziemlich eigensinnige Jünger ein wenig und ist uns sogar sympathisch. Ohne zu wissen, macht er uns ein großes Geschenk: Er bringt uns Gott näher, denn Gott verbirgt sich nicht vor dem, der ihn sucht. Jesus zeigt ihm seine verherrlichten Wundmale, er lässt ihn die unendliche Zärtlichkeit Gottes, die lebendigen Zeichen dafür, wie viel er aus Liebe zu den Menschen gelitten hat, mit Händen fassen.
Für uns Jünger ist es sehr wichtig, unser Menschsein mit dem Leib des Herrn in Berührung zu bringen, das heißt, vertrauensvoll und in absoluter Aufrichtigkeit das, was wir sind, restlos vor ihn zu tragen. Wie die heilige Faustina sagte, ist Jesus froh, wenn wir über alles mit ihm sprechen; unser Leben, das er ja bereits kennt, ist ihm nicht langweilig; er wartet, dass wir es mit ihm teilen, sogar den Bericht über unseren Tagesablauf (vgl. Tagebuch der Schwester Faustina, 6. September 1937). So sucht man Gott, in einem Gebet, das offen sein und nicht vergessen soll, ihm die Erbärmlichkeiten, die Mühen und die Widerstände anzuvertrauen und zu übergeben. Das Herz Jesu wird von der ehrlichen Offenheit gewonnen, von Herzen, die ihre eigenen Schwächen einzugestehen und zu beweinen wissen, im Vertrauen darauf, dass gerade dort die göttliche Barmherzigkeit handeln wird. Was verlangt Jesus von uns? Er wünscht sich wirklich geweihte Herzen, die von der Vergebung leben, die sie von ihm empfangen haben, um sie voll Mitgefühl über die Brüder und Schwestern auszugießen. Jesus sucht Herzen, die offen und weich gegenüber den Schwachen sind und niemals hart; gelehrige und ehrliche Herzen, die vor denen, die in der Kirche die Aufgabe haben, den Weg zu lenken, nicht heucheln. Der Jünger zögert nicht, sich Fragen zu stellen, er hat den Mut, im Zweifel zu leben und ihn vor den Herrn, vor die Ausbilder und vor die Vorgesetzten zu tragen, ohne Berechnung und Verheimlichung. Der treue Jünger führt eine wachsame und beständige Unterscheidung durch, da er weiß, dass das Herz jeden Tag erzogen werden muss, angefangen bei den Gefühlen, um sich vor jeder Falschheit im Verhalten und im Leben zu hüten.
Der Apostel Thomas ist am Ende seiner leidenschaftlichen Suche nicht nur dahin gelangt, an die Auferstehung zu glauben, sondern hat in Jesus alles für sein Leben gefunden, seinen Herrn; er hat zu ihm gesagt: »Mein Herr und mein Gott« (Joh 20, 28). Es wird uns gut tun, heute und jeden Tag betend diese wunderbaren Worte zu sprechen, mit denen wir ihm sagen: Du bist mein einziges Gut, der Pfad für meinen Lauf, das Herzstück meines Lebens, mein Alles.
Im letzten Vers, den wir gehört haben, ist schließlich die Rede von einem Buch: Es ist das Evangelium, in dem die vielen anderen Zeichen, die Jesus vollbracht hat, nicht aufgeschrieben sind (vgl. V. 30). Wir könnten das so verstehen, dass es nach dem großen Zeichen seiner Barmherzigkeit nicht mehr nötig war, anderes hinzuzufügen. Es gibt da aber noch eine Herausforderung: Es bleibt Raum für die Zeichen, die wir vollbringen – wir, die wir den Geist der Liebe empfangen haben und berufen sind, die Barmherzigkeit zu verbreiten. Man könnte sagen, dass das Evangelium, das lebendige Buch der Barmherzigkeit Gottes, das wieder und wieder gelesen werden muss, am Schluss noch weiße Seiten hat: Es bleibt ein offenes Buch, und wir sind berufen, es im selben Stil weiterzuschreiben, das heißt indem wir Werke der Barmherzigkeit vollbringen. Ich frage euch, liebe Brüder und Schwestern: Die Seiten im Buch eines jeden von euch – wie sind sie? Werden sie jeden Tag beschrieben? Werden sie ein bisschen ja und ein bisschen nein beschrieben? Sind sie völlig weiß? Möge uns darin die Muttergottes helfen: Sie, die das Wort Gottes voll und ganz in ihr Leben aufgenommen hat (vgl. Lk 8,20-21), schenke uns die Gnade, lebendige Schreiber des Evangeliums zu sein. Unsere Mutter der Barmherzigkeit lehre uns, dass wir uns konkret um die Wunden Jesu in unseren bedürftigen Brüdern und Schwestern kümmern, um die nahen wie die fernen, um den Kranken wie den Migranten, denn wenn man dem Leidenden dient, ehrt man den Leib Christi. Die Jungfrau Maria helfe uns, dass wir uns ganz und gar für das Wohl der uns anvertrauten Gläubigen verausgaben und dass bei uns einer sich des anderen annimmt wie wahre Geschwister in der Gemeinschaft der Kirche, unserer heiligen Mutter.
Liebe Brüder und Schwestern, jeder von uns bewahrt in seinem Herzen eine ganz persönliche Seite des Buches der Barmherzigkeit Gottes: Es ist die Geschichte unserer Berufung, die Stimme der Liebe, die unser Leben angezogen und verwandelt hat und uns dazu geführt hat, auf sein Wort hin alles zurückzulassen und ihm zu folgen (vgl. Lk 5,11). Frischen wir heute dankbar die Erinnerung an seinen Ruf wieder auf – an diesen Ruf, der stärker ist als aller Widerstand und alle Mühe. Wenn wir nun mit der Eucharistiefeier, der Mitte unseres Lebens, fortfahren, wollen wir dem Herrn danken, dass er mit seiner Barmherzigkeit durch unsere verschlossenen Türen eingetreten ist; dass er uns wie Thomas beim Namen gerufen hat und dass er uns die Gnade schenkt, sein Evangelium der Liebe weiterzuschreiben.
[01213-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
El pasaje del Evangelio que hemos escuchado (cf. Jn 20,19-31) nos habla de un lugar, de un discípulo y un libro.
El lugar es la casa en la que estaban los discípulos al anochecer del día de la Pascua: de ella se dice sólo que sus puertas estaban cerradas (cf. v. 19). Ocho días más tarde, los discípulos estaban todavía en aquella casa, y sus puertas también estaban cerradas (cf. v. 26). Jesús entra, se pone en medio y trae su paz, el Espíritu Santo y el perdón de los pecados: en una palabra, la misericordia de Dios. En este local cerrado resuena fuerte el mensaje que Jesús dirige a los suyos: «Como el Padre me ha enviado, así también os envío yo» (v. 21).
Jesús envía. Él desea desde el principio que la Iglesia esté de salida, que vaya al mundo. Y quiere que lo haga tal como él mismo lo ha hecho, como él ha sido mandado al mundo por el Padre: no como un poderoso, sino en forma de siervo (cf. Flp 2,7), no «a ser servido, sino a servir» (Mc 10,45) y llevar la Buena Nueva (cf. Lc 4,18); también los suyos son enviados así en todos los tiempos. Llama la atención el contraste: mientras que los discípulos cerraban las puertas por temor, Jesús los envía a una misión; quiere que abran las puertas y salgan a propagar el perdón y la paz de Dios con la fuerza del Espíritu Santo.
Esta llamada es también para nosotros. ¿Cómo no sentir aquí el eco de la gran exhortación de san Juan Pablo II: «¡Abrid las puertas!»? No obstante, en nuestra vida como sacerdotes y personas consagradas, se puede tener con frecuencia la tentación de quedarse un poco encerrados, por miedo o por comodidad, en nosotros mismos y en nuestros ámbitos. Pero la dirección que Jesús indica es de sentido único: salir de nosotros mismos. Es un viaje sin billete de vuelta. Se trata de emprender un éxodo de nuestro yo, de perder la vida por él (cf. Mc 8,35), siguiendo el camino de la entrega de sí mismo. Por otro lado, a Jesús no le gustan los recorridos a mitad, las puertas entreabiertas, las vidas de doble vía. Pide ponerse en camino ligeros, salir renunciando a las propias seguridades, anclados únicamente en él.
En otras palabras, la vida de sus discípulos más cercanos, como estamos llamados a ser, está hecha de amor concreto, es decir, de servicio y disponibilidad; es una vida en la que no hay espacios cerrados ni propiedad privada para nuestras propias comodidades: al menos no los debe haber. Quien ha optado por configurar toda su existencia con Jesús ya no elige dónde estar, sino que va allá donde se le envía, dispuesto a responder a quien lo llama; tampoco dispone de su propio tiempo. La casa en la que reside no le pertenece, porque la Iglesia y el mundo son los espacios abiertos de su misión. Su tesoro es poner al Señor en medio de la vida, sin buscar otra para él. Huye, pues, de las situaciones gratificantes que lo pondrían en el centro, no se sube a los estrados vacilantes de los poderes del mundo y no se adapta a las comodidades que aflojan la evangelización; no pierde el tiempo en proyectar un futuro seguro y bien remunerado, para evitar el riesgo convertirse en aislado y sombrío, encerrado entre las paredes angostas de un egoísmo sin esperanza y sin alegría. Contento con el Señor, no se conforma con una vida mediocre, sino que tiene un deseo ardiente de ser testigo y de llegar a los otros; le gusta el riesgo y sale, no forzado por caminos ya trazados, sino abierto y fiel a las rutas indicadas por el Espíritu: contrario al «ir tirando», siente el gusto de evangelizar.
En segundo lugar, aparece en el Evangelio de hoy la figura de Tomás, el único discípulo que se menciona. En su duda y su afán de entender —y también un poco terco—, este discípulo se nos asemeja un poco, y hasta nos resulta simpático. Sin saberlo, nos hace un gran regalo: nos acerca a Dios, porque Dios no se oculta a quien lo busca. Jesús le mostró sus llagas gloriosas, le hizo tocar con la mano la ternura infinita de Dios, los signos vivos de lo que ha sufrido por amor a los hombres.
Para nosotros, los discípulos, es muy importante poner la humanidad en contacto con la carne del Señor, es decir, llevarle a él, con confianza y total sinceridad, hasta el fondo, lo que somos. Jesús, como dijo a santa Faustina, se alegra de que hablemos de todo, no se cansa de nuestras vidas, que ya conoce; espera que la compartamos, incluso que le contemos cada día lo que nos ha pasado (cf. Diario, 6 septiembre 1937). Así se busca a Dios, con una oración que sea transparente y no se olvide de confiar y encomendar las miserias, las dificultades y las resistencias. El corazón de Jesús se conquista con la apertura sincera, con los corazones que saben reconocer y llorar las propias debilidades, confiados en que precisamente allí actuará la divina misericordia. ¿Qué es lo que nos pide Jesús? Quiere corazones verdaderamente consagrados, que viven del perdón que han recibido de él, para derramarlo con compasión sobre los hermanos. Jesús busca corazones abiertos y tiernos con los débiles, nunca duros; corazones dóciles y transparentes, que no disimulen ante los que tienen la misión en la Iglesia de orientar en el camino. El discípulo no duda en hacerse preguntas, tiene la valentía de sentir la duda y de llevarla al Señor, a los formadores y a los superiores, sin cálculos ni reticencias. El discípulo fiel lleva a cabo un discernimiento atento y constante, sabiendo que cada día hay que educar el corazón, a partir de los afectos, para huir de toda doblez en las actitudes y en la vida.
El apóstol Tomás, al final de su búsqueda apasionada, no sólo ha llegado a creer en la resurrección, sino que ha encontrado en Jesús lo más importante de la vida, a su Señor; le dijo: «Señor mío y Dios mío» (v. 28). Nos hará bien rezar, hoy y cada día, estas palabras espléndidas, para decirle: «Eres mi único bien, la ruta de mi camino, el corazón de mi vida, mi todo.
En el último versículo que hemos escuchado, se habla, en fin, de un libro: es el Evangelio, en el que no están escritos muchos otros signos que hizo Jesús (v. 30). Después del gran signo de su misericordia —podemos pensar—, ya no se ha necesitado añadir nada más. Pero queda todavía un desafío, queda espacio para los signos que podemos hacer nosotros, que hemos recibido el Espíritu del amor y estamos llamados a difundir la misericordia. Se puede decir que el Evangelio, libro vivo de la misericordia de Dios, que hay que leer y releer continuamente, todavía tiene al final páginas en blanco: es un libro abierto, que estamos llamados a escribir con el mismo estilo, es decir, realizando obras de misericordia. Os pregunto, queridos hermanos y hermanas: ¿Cómo están las páginas del libro de cada uno de vosotros? ¿Se escriben cada día? ¿Están escritas sólo en parte? ¿Están en blanco? Que la Madre de Dios nos ayude en ello: que ella, que ha acogido plenamente la Palabra de Dios en su vida (cf. Lc 8,20-21), nos de la gracia de ser escritores vivos del Evangelio; que nuestra Madre de misericordia nos enseñe a curar concretamente las llagas de Jesús en nuestros hermanos y hermanas necesitados, de los cercanos y de los lejanos, del enfermo y del emigrante, porque sirviendo a quien sufre se honra a la carne de Cristo. Que la Virgen María nos ayude a entregarnos hasta el final por el bien de los fieles que se nos han confiado y a sostenernos los unos a los otros, como verdaderos hermanos y hermanas en la comunión de la Iglesia, nuestra santa Madre.
Queridos hermanos y hermanas, cada uno de nosotros guarda en el corazón una página personalísima del libro de la misericordia de Dios: es la historia de nuestra llamada, la voz del amor que atrajo y transformó nuestra vida, llevándonos a dejar todo por su palabra y a seguirlo (cf. Lc 5,11). Reavivemos hoy, con gratitud, la memoria de su llamada, más fuerte que toda resistencia y cansancio. Demos gracias al Señor continuando con la celebración eucarística, centro de nuestra vida, porque ha entrado en nuestras puertas cerradas con su misericordia; porque, como a Tomás, nos da la gracia de seguir escribiendo su Evangelio de amor.
[01213-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
A passagem do Evangelho, que ouvimos (cf. Jo 20, 19-31), fala-nos de um lugar, um discípulo e um livro.
O lugar é aquele onde se encontravam os discípulos, na tarde de Páscoa; dele, apenas se diz que as suas portas estavam fechadas (cf. v. 19). Oito dias depois, os discípulos ainda estavam naquela casa, e as portas ainda estavam fechadas (cf. v. 26). Jesus entra lá, coloca-Se no meio e leva a sua paz, o Espírito Santo e o perdão dos pecados: numa palavra, a misericórdia de Deus. Dentro deste lugar fechado, ressoa forte o convite que Jesus dirige aos seus: «Assim como o Pai me enviou, também Eu vos envio a vós» (v. 21).
Jesus envia. Ele, desde o início, deseja que a Igreja esteja em saída, vá pelo mundo. E quer que o faça assim como Ele próprio fez, como Ele foi enviado ao mundo pelo Pai: não como poderoso mas na condição de servo (cf. Flp 2, 7), não «para ser servido mas para servir» (Mc 10, 45) e para levar a Boa-Nova (cf. Lc 4, 18); e assim são enviados os seus, em todos os tempos. Impressiona o contraste: enquanto os discípulos fechavam as portas com medo, Jesus envia-os em missão; quer que abram as portas e saiam para espalhar o perdão e a paz de Deus, com a força do Espírito Santo.
Esta chamada é também para nós. Como não ouvir nela o eco do grande convite de São João Paulo II: «Abri as portas»? Mas, na nossa vida de sacerdotes e pessoas consagradas, pode haver muitas vezes a tentação de permanecer um pouco fechados, por medo ou comodidade, em nós mesmos e nos nossos setores. E, no entanto, a direção indicada por Jesus é de sentido único: sair de nós mesmos. Trata-se de realizar um êxodo do nosso eu, de perder a vida por Ele (cf. Mc 8, 35), seguindo o caminho do dom de si mesmo. Por outro lado, Jesus não gosta das estradas percorridas a metade, das portas entreabertas, das vidas com via dupla. Pede para se meter à estrada leves, para sair renunciando às próprias seguranças, firmes apenas n'Ele.
Por outras palavras, a vida dos seus discípulos mais íntimos, como nós somos chamados a ser, é feita de amor concreto, isto é, de serviço e disponibilidade; é uma vida onde não existem – ou, pelo menos, não deveriam existir – espaços fechados e propriedades privadas para própria comodidade. Quem escolheu configurar com Jesus toda a existência já não escolhe os próprios locais, mas vai para onde é enviado; pronto a responder a quem o chama, já não escolhe sequer os tempos próprios. A casa onde habita não lhe pertence, porque a Igreja e o mundo são os espaços abertos da sua missão. O seu tesouro é colocar o Senhor no meio da vida, sem nada mais procurar para si. Assim foge das situações gratificantes que o colocariam no centro, não se ergue sobre os trémulos pedestais dos poderes do mundo, nem se reclina nas comodidades que enfraquecem a evangelização; não perde tempo a projetar um futuro seguro e bem retribuído, para evitar o risco de ficar à margem e sombrio, fechado nos muros estreitos dum egoísmo sem esperança nem alegria. Feliz no Senhor, não se contenta com uma vida medíocre, mas arde em desejo de dar testemunho e alcançar os outros; gosta de arriscar e sair, não forçado por sendas já traçadas, mas aberto e fiel às rotas indicadas pelo Espírito: contrário a deixar correr a vida, alegra-se por evangelizar.
No Evangelho de hoje, sobressai em segundo lugar a figura do único discípulo nomeado: Tomé. Na sua dúvida e ânsia de querer entender, este discípulo bastante teimoso assemelha-se-nos um pouco e até aparece simpático a nossos olhos. Sem o saber, dá-nos um grande presente: deixa-nos mais perto de Deus, porque Deus não Se esconde de quem O procura. Jesus mostrou-lhe as suas chagas gloriosas, faz-lhe tocar com a mão a ternura infinita de Deus, os sinais vivos de quanto sofreu por amor dos homens.
Para nós, discípulos, é muito importante pôr a nossa humanidade em contacto com a carne do Senhor, isto é, levar a Ele, com confiança e total sinceridade, tudo o que somos. Jesus, como disse a Santa Faustina, fica contente que Lhe falemos de tudo, não Se cansa das nossas vidas que já conhece, espera a nossa partilha, até mesmo a descrição das nossas jornadas (cf. Diário, 6 de setembro de 1937). Assim, buscamos a Deus com uma oração que seja transparente e não esqueça de Lhe confiar e entregar as misérias, as fadigas e as resistências. O coração de Jesus deixa-Se conquistar pela abertura sincera, por corações que sabem reconhecer e chorar as suas fraquezas, confiantes de que precisamente nelas agirá a misericórdia divina. Que nos pede Jesus? Ele deseja corações verdadeiramente consagrados, que vivam do perdão recebido d’Ele para o derramarem com compaixão sobre os irmãos. Jesus procura corações abertos e ternos para com os fracos, nunca duros; corações dóceis e transparentes, que não dissimulam perante quem tem na Igreja a tarefa de orientar o caminho. O discípulo não hesita em questionar-se, tem a coragem de viver a dúvida e levá-la ao Senhor, aos formadores e aos superiores, sem cálculos nem reticências. O discípulo fiel realiza um discernimento atento e constante, sabendo que o coração há de ser educado diariamente, a partir dos afetos, para escapar de toda a duplicidade nas atitudes e na vida.
No termo da sua busca apaixonada, o apóstolo Tomé chegou não apenas a acreditar na ressurreição, mas encontrou em Jesus o tudo da vida, o seu Senhor; disse-Lhe: «Meu Senhor e meu Deus!» (v. 28). Far-nos-á bem rezar, hoje e cada dia, estas palavas esplêndidas, como que a dizer-Lhe: Sois o meu único bem, o caminho da minha viagem, o coração da minha vida, o meu tudo.
Por fim, no último versículo que ouvimos, fala-se de um livro: é o Evangelho, onde não foram escritos muitos outros sinais realizados por Jesus (v. 30). Depois do grande sinal da sua misericórdia – poderíamos supor –, já não foi necessário acrescentar mais. Mas há ainda um desafio, há espaço para sinais feitos por nós, que recebemos o Espírito do amor e somos chamados a difundir a misericórdia. Poder-se-ia dizer que o Evangelho, livro vivo da misericórdia de Deus que devemos ler e reler continuamente, ainda tem páginas em branco no final: permanece um livro aberto, que somos chamados a escrever com o mesmo estilo, isto é, cumprindo obras de misericórdia. Pergunto-vos, queridos irmãos e irmãs: Como são as páginas do livro de cada um de vós? Estão escritas todos os dias? Estão escritas a meias? Estão em branco? Nisto, venha em nossa ajuda a Mãe de Deus: Ela, que acolheu plenamente a Palavra de Deus na vida (cf. Lc 8, 20-21), nos dê a graça de sermos escritores viventes do Evangelho; a nossa Mãe da Misericórdia nos ensine a cuidar concretamente das chagas de Jesus nos nossos irmãos e irmãs que passam necessidade, tanto dos vizinhos como dos distantes, tanto do doente como do migrante, porque, servindo quem sofre honra-se a carne de Cristo. Que a Virgem Maria nos ajude a gastarmo-nos completamente pelo bem dos fiéis que nos estão confiados e a cuidarmos uns dos outros como verdadeiros irmãos e irmãs na comunhão da Igreja, a nossa santa Mãe.
Queridos irmãos e irmãs, cada um de nós guarda no coração uma página muito pessoal do livro da misericórdia de Deus: é a história da nossa chamada, a voz do amor que fascinou e transformou a nossa vida, fazendo com que, à sua Palavra, largássemos tudo para O seguir (cf. Lc 5, 11). Reavivemos hoje, com gratidão, a memória da sua chamada, mais forte do que qualquer resistência e fadiga. Continuando a Celebração Eucarística, centro da nossa vida, agradeçamos ao Senhor, porque entrou nas nossas portas fechadas com a sua misericórdia; porque, como Tomé, nos chamou por nome; porque nos dá a graça de continuar a escrever o seu Evangelho de amor.
[01213-PO.02] [Texto original: Italiano]
Al termine della Santa Messa, dopo il saluto del Card. Stanisław Dziwisz, Arcivescovo di Kraków e Delegato della Conferenza Episcopale Polacca per il Clero, e la benedizione finale, Papa Francesco è rientrato in auto all’Arcivescovado dove ha pranzato con alcuni giovani della GMG.
[B0558-XX.02]