Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Veglia di Preghiera “per asciugare le lacrime”, 05.05.2016


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle 18 di oggi, solennità dell’Ascensione del Signore, il Santo Padre Francesco ha presieduto nella Basilica Vaticana la Veglia di preghiera per tutti coloro che hanno bisogno di consolazione.

La veglia è iniziata con tre testimonianze alternate da letture bibliche, con l’accensione ogni volta di una candela davanti al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa, esposto per la circostanza alla venerazione dei fedeli nella Basilica di San Pietro.

Dopo la lettura del Santo Vangelo, Papa Francesco ha pronunciato un discorso. La veglia è proseguita con la consegna delle intenzioni di preghiera espresse dai presenti e la Preghiera universale per tutte le situazioni di sofferenza fisica o spirituale. Al termine, il Santo Padre ha benedetto e consegnato ad alcuni dei presenti l’immagine dell’Agnello pasquale, “espressione della misericordia del Padre per tutti i fedeli che vivono situazioni di profonda sofferenza”.

Di seguito riportiamo il testo del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai presenti nel corso della Veglia:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

dopo le testimonianze che abbiamo ascoltato e alla luce della Parola del Signore che rischiara la nostra condizione di sofferenza, invochiamo anzitutto la presenza dello Spirito Santo, perché venga in mezzo a noi. Sia Lui ad illuminare la nostra mente, per trovare le parole giuste e capaci di offrire conforto; sia Lui ad aprire il nostro cuore per avere certezza della presenza di Dio che non ci abbandona nella prova. Il Signore Gesù ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli: in ogni situazione della vita Egli sarebbe stato vicino a loro inviando lo Spirito Consolatore (cfr Gv 14,26) che li avrebbe aiutati, sostenuti e confortati.

Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione. Sentiamo forte il bisogno che qualcuno ci stia vicino e provi compassione per noi. Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo intorno incerti, per vedere se troviamo qualcuno che possa realmente capire il nostro dolore. La mente si riempie di domande, ma le risposte non arrivano. La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine.

Quanta tristezza ci capita di scorgere su tanti volti che incontriamo. Quante lacrime vengono versate ad ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione. Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini… Ci sono occhi che spesso rimangono fissi sul tramonto e stentano a vedere l’alba di un giorno nuovo. Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore. Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto (cfr Is 25,8; Ap 7,17; 21,4).

In questo nostro dolore, noi non siamo soli. Anche Gesù sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata. E’ una delle pagine più commoventi del vangelo: quando Gesù vide piangere Maria per la morte del fratello Lazzaro, non riuscì neppure Lui a trattenere le lacrime. Fu colto da una profonda commozione e scoppiò in pianto (cfr Gv 11,33-35). L’evangelista Giovanni con questa descrizione vuole mostrare la partecipazione di Gesù al dolore dei suoi amici e la condivisione nello sconforto. Le lacrime di Gesù hanno sconcertato tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite. Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto per il tradimento di Giuda e di Pietro, il dolore per la morte dell’amico Lazzaro. Gesù «non abbandona quelli che ama» (Agostino, In Joh 49,5). Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere sapendo di essere compreso. Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione. Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui. Come Lui consola, così noi siamo chiamati a consolare.

Nel momento dello smarrimento, della commozione e del pianto, emerge nel cuore di Cristo la preghiera al Padre. La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza. Anche noi, nella preghiera, possiamo sentire la presenza di Dio accanto a noi. La tenerezza del suo sguardo ci consola, la forza della sua parola ci sostiene, infondendo speranza. Gesù, presso la tomba di Lazzaro, pregò dicendo: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto» (Gv 11,41-42). Abbiamo bisogno di questa certezza: il Padre ci ascolta e viene in nostro aiuto. L’amore di Dio effuso nei nostri cuori permette di dire che quando si ama, niente e nessuno potrà mai strapparci dalle persone che abbiamo amato. Lo ricorda con parole di grande consolazione l’apostolo Paolo: «Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? [...] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,35.37-39). La forza dell’amore trasforma la sofferenza nella certezza della vittoria di Cristo e della nostra vittoria con Lui, e nella speranza che un giorno saremo di nuovo insieme e contempleremo per sempre il volto della Trinità Santissima, eterna sorgente della vita e dell’amore.

Vicino ad ogni croce c’è sempre la Madre di Gesù. Con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime. Con la sua mano ci fa rialzare e ci accompagna nel cammino della speranza.

[00734-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs,

Après les témoignages que nous avons entendus, et à la lumière de la Parole du Seigneur qui éclaire notre condition de souffrance, invoquons avant tout la présence de l’Esprit Saint, pour qu’il vienne au milieu de nous. Que ce soit lui qui illumine notre esprit pour trouver les mots justes et capables de réconforter; que ce soit lui qui ouvre notre cœur pour avoir la certitude de la présence de Dieu qui ne nous abandonne pas dans l’épreuve. Le Seigneur Jésus a promis à ses disciples qu’il ne les laisserait jamais seuls, qu’il leur serait proche dans toutes les situations de la vie en envoyant l’Esprit Consolateur (cf. Gn 14, 26), qu’il les aiderait, les soutiendrait et les réconforterait.

Dans les moments de tristesse, dans la souffrance de la maladie, dans l’angoisse de la persécution et dans la douleur du deuil, chacun cherche une parole de consolation. Nous sentons fortement le besoin que quelqu’un nous soit proche et éprouve de la compassion envers nous. Nous faisons l’expérience de ce que signifie être désorientés, confus, frappés au plus profond comme jamais nous l’aurions pensé. Nous regardons tout autour, incertains, pour voir si nous trouvons quelqu’un qui puisse réellement comprendre notre douleur. L’esprit est rempli de questions, mais les réponses n’arrivent pas. La raison toute seule n’est pas capable de faire la lumière au fond de soi, de saisir la douleur que nous éprouvons et de donner la réponse que nous attendons. Dans ces moments, nous avons davantage besoin des raisons du cœur, seules capables de nous faire comprendre le mystère qui entoure notre solitude.

Que de tristesse il nous arrive de découvrir sur tant de visages que nous rencontrons. Que de larmes versées à chaque instant dans le monde; chacune différente de l’autre, et qui forment ensemble comme un océan de désolation qui demande pitié, compassion, consolation. Les plus amères sont celles provoquées par la méchanceté humaine: les larmes de celui qui s’est vu arraché violemment une personne chère; les larmes des grands parents, des mamans et des papas, des enfants… Il y a des regards qui restent souvent fixés sur le couchant et qui ont du mal à voir l’aube d’un jour nouveau. Nous avons besoin de miséricorde, de la consolation qui vient du Seigneur. Nous en avons tous besoin; c’est notre pauvreté mais aussi notre grandeur: invoquer la consolation de Dieu qui, avec sa tendresse, vient essuyer les larmes sur notre visage (cf. Is 25, 8; Ap 7, 17; 21, 4).

Dans cette douleur qui est nôtre, nous ne sommes pas seuls. Jésus aussi sait ce que signifie pleurer la perte d’une personne aimée. C’est une des pages les plus émouvantes de l’Evangile: quand Jésus voit pleurer Marie en raison de la mort de son frère Lazare, il ne parvient pas non plus à retenir ses larmes. Il a été saisi d’une profonde émotion et a fondu en larmes (cf. Gn 11, 33-35). L’évangéliste Jean a voulu par ce récit montrer la participation de Jésus à la douleur de ses amis, et le partage du découragement. Les larmes de Jésus ont déconcerté beaucoup de théologiens au cours des siècles, mais elles ont surtout lavé beaucoup d’âmes, elles ont adouci beaucoup de blessures. Jésus aussi a expérimenté dans sa personne la peur de la souffrance et de la mort, la déception et le découragement pour la trahison de Judas et de Pierre, la douleur pour la mort de son ami Lazare. Jésus «n’abandonne pas ceux qu’il aime» (Augustin In Joh 49,5). Si Dieu a pleuré, je peux moi aussi pleurer, sachant que je suis compris. Les pleurs de Jésus sont l’antidote contre l’indifférence envers la souffrance de mes frères. Ces pleurs m’enseignent à faire mienne la douleur des autres, à participer au malaise et à la souffrance de ceux qui vivent dans les situations les plus douloureuses. Ils me secouent pour me faire percevoir la tristesse et le désespoir de ceux qui se sont vus même soustraire le corps de leurs êtres chers, et qui n’ont même pas un lieu où trouver consolation. Les pleurs de Jésus ne peuvent pas rester sans réponse de la part de celui qui croit en lui. De la manière dont il console, nous sommes appelés, nous aussi, à consoler.

Au moment de la défaillance, de l’émotion, et des pleurs, la prière au Père jaillit dans le cœur de Jésus. La prière est le vrai remède à notre souffrance. Nous aussi, dans la prière, nous pouvons sentir la présence de Dieu près de nous. La tendresse de son regard nous console, la force de sa parole nous soutient, en nous insufflant l’espérance. Jésus a prié près de la tombe de Lazare en disant:«Père, je te rends grâce car tu m’as écouté. Je savais que tu m’écoutes toujours» (Jn 11, 41-42). Nous avons besoin de cette certitude: le Père nous écoute et vient à notre secours. L’amour de Dieu répandu dans nos cœurs permet de dire que lorsqu’on aime, rien ni personne ne pourra jamais nous arracher des personnes qu’on a aimées. L’Apôtre Paul le rappelle avec des paroles très consolantes:«Qui pourra nous séparer de l’amour du Christ? La détresse? L’angoisse? La persécution? La faim? Le dénuement? Le danger? Le glaive? […] Mais, en tout cela nous somme les grands vainqueurs grâce à celui qui nous a aimés. J’en ai la certitude: ni la mort ni la vie, ni les anges ni les Principautés célestes, ni le présent ni l’avenir, ni les hauteurs, ni les abîmes, ni aucune autre créature, rien ne pourra nous séparer de l’amour de Dieu qui est dans le Christ Jésus Notre Seigneur» (Rm 8, 35.37-39). La force de l’amour transforme la souffrance dans la certitude de la victoire du Christ, et la nôtre victoire avec lui, et dans l’espérance que nous serons un jour de nouveau ensemble et nous contemplerons pour toujours le visage de la Trinité Sainte, source éternelle de la vie et de l’amour.

Près de toute croix il y a toujours la Mère de Jésus. De son manteau elle essuie nos larmes. De sa main elle nous fait relever et nous accompagne sur le chemin de l’espérance.

[00734-FR.02] [Texte original: Français]

Traduzione in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

After the testimonies we have heard, and in the light of the word of the Lord that gives meaning to our suffering, let us first ask Holy Spirit to come among us. May he enlighten our minds to find the right words capable of bringing comfort. May he open our hearts to the certainty that God is always present and never abandons us in times of trouble. The Lord Jesus promised his disciples that he would not leave them alone, but at all times in life he would remain close to them by sending his Spirit, the Comforter (cf. Jn 14:26) to help, sustain and console them.

At times of sadness, suffering and sickness, amid the anguish of persecution and grief, everyone looks for a word of consolation. We sense a powerful need for someone to be close and feel compassion for us. We experience what it means to be disoriented, confused, more heartsick than we ever thought possible. We look around us with uncertainty, trying to see if we can find someone who really understands our pain. Our mind is full of questions but answers do not come. Reason by itself is not capable of making sense of our deepest feelings, appreciating the grief we experience and providing the answers we are looking for. At times like these, more than ever do we need the reasons of the heart, which alone can help us understand the mystery which embraces our loneliness.

How much sadness we see in so many faces all around us! How many tears are shed every second in our world; each is different but together they form, as it were, an ocean of desolation that cries out for mercy, compassion and consolation. The bitterest tears are those caused by human evil: the tears of those who have seen a loved one violently torn from them; the tears of grandparents, mothers and fathers, children; eyes that keep staring at the sunset and find it hard to see the dawn of a new day. We need the mercy, the consolation that comes from the Lord. All of us need it. This is our poverty but also our grandeur: to plead for the consolation of God, who in his tenderness comes to wipe the tears from our eyes (cf. Is 25:8; Rev 7:17; 21:4).

In our pain, we are not alone. Jesus, too, knows what it means to weep for the loss of a loved one. In one of the most moving pages of the Gospel, Jesus sees Mary weeping for the death of her brother Lazarus. Nor can he hold back tears. He was deeply moved and began to weep (cf. Jn 11:33-35). The evangelist John, in describing this, wanted to show how much Jesus shared in the sadness and grief of his friends. Jesus’ tears have unsettled many theologians over the centuries, but even more they have bathed so many souls and been a balm to so much hurt. Jesus also experienced in his own person the fear of suffering and death, disappointment and discouragement at the betrayal of Judas and Peter, and grief at the death of his friend Lazarus. Jesus “does not abandon those whom he loves” (Augustine, In Joh., 49, 5). If God could weep, then I too can weep, in the knowledge that he understands me. The tears of Jesus serve as an antidote to my indifference before the suffering of my brothers and sisters. His tears teach me to make my own the pain of others, to share in the discouragement and sufferings of those experiencing painful situations. They make me realize the sadness and desperation of those who have even seen the body of a dear one taken from them, and who no longer have a place in which to find consolation. Jesus’ tears cannot go without a response on the part of those who believe in him. As he consoles, so we too are called to console.

In the moment of confusion, dismay and tears, Christ’s heart turned in prayer to the Father. Prayer is the true medicine for our suffering. In prayer, we too can feel God’s presence. The tenderness of his gaze comforts us; the power of his word supports us and gives us hope. Jesus, standing before the tomb of Lazarus, prayed, saying: “Father, I thank you for having heard me. I knew that you always hear me” (Jn 11:41-42). We too need the certainty that the Father hears us and comes to our aid. The love of God, poured into our hearts, allows us to say that when we love, nothing and no one will ever be able to separate us from those we have loved. The apostle Paul tells us this with words of great comfort: “Who will separate us from the love of Christ? Will hardship, or distress, or persecution, or famine, or nakedness or the sword? … No, in all these things we are more than conquerors through him who loved us. For I am convinced that neither death, nor life, nor angels, nor rulers, nor things present, nor things to come, nor powers, nor height, nor depth, nor anything else in all creation, will be able to separate us from the love of God in Christ Jesus our Lord” (Rom 8:35, 37-39). The power of love turns suffering into the certainty of Christ’s victory, and our own victory in union with him, and into the hope that one day we will once more be together and will forever contemplate the face of the Trinity Blessed, the eternal wellspring of life and love.

At the foot of every cross, the Mother of Jesus is always there. With her mantle, she wipes away our tears. With her outstretched hand, she helps us to rise up and she accompanies us along the path of hope.

[00734-EN.02] [Original text: English]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern,

nach den Zeugnissen, die wir gehört haben, und im Licht des Wortes des Herrn, das unsere Situation des Leidens erhellt, erbitten wir vor allem die Gegenwart des Heiligen Geistes, dass er in unsere Mitte komme. Möge er unseren Geist erleuchten, damit wir die rechten Worte zu finden, die fähig sind, Trost zu spenden; möge er unser Herz öffnen, damit wir die Gewissheit der Gegenwart Gottes haben, der uns in der Prüfung nicht verlässt. Jesus, der Herr, hat seinen Jüngern versprochen, er werde sie nie allein lassen: In jeder Lebenslage werde er ihnen nahe sein und ihnen den Heiligen Geist als Beistand senden, der ihnen helfen, sie unterstützen und sie stärken werde (vgl. Joh 14,26).

In den Momenten der Traurigkeit, im Leiden der Krankheit, in der Angst der Verfolgung, im Schmerz der Trauer sucht jeder nach einem Wort des Trostes. Ganz deutlich spüren wir das Bedürfnis, dass jemand uns nahe ist und Mitleid mit uns hat. Wir erfahren, was es bedeutet, orientierungslos, verwirrt, und zutiefst getroffen zu sein, wie wir es uns nie vorgestellt hatten. Unsicher schauen wir uns um, um zu sehen, ob wir jemanden finden, der unseren Schmerz wirklich verstehen kann. Der Geist füllt sich an mit Fragen, aber die Antworten bleiben aus. Der Verstand ist alleine nicht fähig, Licht ins Innere zu tragen, den Schmerz, den wir erfahren, zu erfassen und die Antwort zu geben, die wir erwarten. In diesen Momenten brauchen wir mehr die Gründe des Herzens – die einzigen, die imstande sind, uns das Geheimnis begreifen zu lassen, das unsere Einsamkeit umgibt.

Wie viel Traurigkeit können wir entdecken in vielen Gesichtern, denen wir begegnen! Wie viele Tränen werden vergossen in jedem Augenblick in der Welt – eine verschieden von der anderen –, und zusammen bilden sie gleichsam einen Ozean der Trübsal, der nach Erbarmen, Mitleid und Tröstung ruft. Die bittersten sind die, welche von der menschlichen Bosheit verursacht werden: die Tränen dessen, dem ein geliebter Mensch gewaltsam entrissen wurde; Tränen von Großeltern, von Müttern und Vätern, von Kindern… Es gibt Augen, die oft am Sonnenuntergang haften bleiben und denen es schwer fällt, den Anbruch eines neuen Tages zu sehen. Wir brauchen Barmherzigkeit, wir brauchen den Trost, der vom Herrn kommt. Wir alle brauchen ihn; das ist unsere Armut, aber auch unsere Größe: den Trost Gottes zu erflehen, der mit seiner zärtlichen Liebe kommt, um die Tränen von unserem Gesicht abzuwischen (vgl. Jes 25,8; Offb 7,17; 21,4).

In diesem unserem Schmerz sind wir nicht allein. Auch Jesus weiß, was es heißt, über den Verlust eines geliebten Menschen zu weinen. Es ist eine der ergreifendsten Stellen des Evangeliums: Als Jesus Maria den Tod ihres Bruders Lazarus beweinen sah, konnte auch er die Tränen nicht zurückhalten. Es überkam ihn eine tiefe Erschütterung und er weinte (vgl. Joh 11,33-35). Der Evangelist Johannes möchte mit dieser Beschreibung die Teilnahme Jesu am Schmerz seiner Freunde und sein Nachempfinden ihres Kummers zeigen. Die Tränen Jesu haben im Laufe der Jahrhunderte viele Theologen befremdet, vor allem aber haben sie viele Seelen reingewaschen und vielen Verwundungen Linderung verschafft. Auch Jesus hat ganz persönlich die Angst vor Leiden und Tod, die Enttäuschung und den Kummer über den Verrat des Judas und des Petrus und den Schmerz über den Tod seines Freundes Lazarus erfahren. Jesus »verlässt die nicht, die er liebt« (Augustinus, In Joh 49,5). Wenn Gott geweint hat, dann darf auch ich weinen und wissen, dass ich verstanden werde. Das Weinen Jesu ist das Gegenmittel gegen die Gleichgültigkeit gegenüber dem Leiden meiner Brüder und Schwestern. Jenes Weinen lehrt mich, mir den Schmerz der anderen zu Eigen zu machen, Anteil zu nehmen am Ungemach und am Leiden derer, die in den schmerzlichsten Situationen leben. Es rüttelt mich auf, um mich die Traurigkeit und die Verzweiflung derer wahrnehmen zu lassen, die erlebt haben, wie ihnen sogar der Leib ihrer Lieben entrissen wurde, und die nicht einmal mehr einen Ort haben, wo sie Trost finden können. Das Weinen Jesu darf nicht ohne eine Antwort derer bleiben, die an ihn glauben. Wie er tröstet, so sind auch wir berufen, zu trösten.

Im Moment der Fassungslosigkeit, der Ergriffenheit und des Weinens steigt im Herzen Christi das Gebet zum Vater auf. Das Gebet ist das wahre Heilmittel für unser Leiden. Auch wir können im Gebet die Gegenwart Gottes an unserer Seite spüren. Die Zärtlichkeit seines Blickes tröstet uns, die Kraft seines Wortes stärkt uns und flößt uns Hoffnung ein. Jesus betete am Grab des Lazarus und sagte: »Vater, ich danke dir, dass du mich erhört hast. Ich wusste, dass du mich immer erhörst« (Joh 11,41-42). Wir brauchen diese Gewissheit: Der Vater erhört uns und kommt uns zu Hilfe. Die Liebe Gottes, die in unsere Herzen ausgegossen ist, erlaubt uns zu sagen: Wenn man liebt, kann nichts und niemand uns von den Menschen, die wir geliebt haben, losreißen. Daran erinnert uns der Apostel Paulus mit sehr trostreichen Worten: »Was kann uns scheiden von der Liebe Christi? Bedrängnis oder Not oder Verfolgung, Hunger oder Kälte, Gefahr oder Schwert? […] Doch all das überwinden wir durch den, der uns geliebt hat. Denn ich bin gewiss: Weder Tod noch Leben, weder Engel noch Mächte, weder Gegenwärtiges noch Zukünftiges, weder Gewalten der Höhe oder Tiefe noch irgendeine andere Kreatur können uns scheiden von der Liebe Gottes, die in Christus Jesus ist, unserem Herrn« (Röm 8,35.37-39). Die Kraft der Liebe verwandelt das Leiden in die Gewissheit des Sieges Christi – und des unsrigen mit ihm – und in die Hoffnung, dass wir eines Tages wieder zusammen sein und für immer das Antlitz der Heiligsten Dreifaltigkeit, der ewigen Quelle des Lebens und der Liebe, betrachten werden.

Bei jedem Kreuz steht immer die Mutter Jesu. Mit ihrem Mantel trocknet sie unsere Tränen. Mit ihrer Hand hilft sie uns aufstehen und begleitet uns auf dem Weg der Hoffnung.

[00734-DE.02] [Originalsprache: Deutsch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Después de los testimonios que hemos oído, y a la luz de la Palabra del Señor que ilumina nuestra situación de sufrimiento, invocamos ante todo la presencia del Espíritu Santo para que venga sobre nosotros. Que él ilumine nuestras mentes, para que podamos encontrar palabras adecuadas que den consuelo; que él abra nuestros corazones para que podamos tener la certeza de que Dios está presente y no nos abandona en las pruebas. El Señor Jesús prometió a sus discípulos que nunca los dejaría solos: que estaría cerca de ellos en cualquier momento de la vida mediante el envío del Espíritu Paráclito (cf. Jn 14,26), el cual los habría ayudado, sostenido y consolado.

En los momentos de tristeza, en el sufrimiento de la enfermedad, en la angustia de la persecución y en el dolor por la muerte de un ser querido, todo el mundo busca una palabra de consuelo. Sentimos una gran necesidad de que alguien esté cerca y sienta compasión de nosotros. Experimentamos lo que significa estar desorientados, confundidos, golpeados en lo más íntimo, como nunca nos hubiéramos imaginado. Miramos a nuestro alrededor con ojos vacilantes, buscando encontrar a alguien que pueda realmente entender nuestro dolor. La mente se llena de preguntas, pero las respuestas no llegan. La razón por sí sola no es capaz de iluminar nuestro interior, de comprender el dolor que experimentamos y dar la respuesta que esperamos. En esos momentos es cuando más necesitamos las razones del corazón, las únicas que pueden ayudarnos a entender el misterio que envuelve nuestra soledad.

Vemos cuánta tristeza hay en muchos de los rostros que encontramos. Cuántas lágrimas se derraman a cada momento en el mundo; cada una distinta de las otras; y juntas forman como un océano de desolación, que implora piedad, compasión, consuelo. Las más amargas son las provocadas por la maldad humana: las lágrimas de aquel a quien le han arrebatado violentamente a un ser querido; lágrimas de abuelos, de madres y padres, de niños... Hay ojos que a menudo se quedan mirando fijos la puesta del sol y que apenas consiguen ver el alba de un nuevo día. Tenemos necesidad de la misericordia, del consuelo que viene del Señor. Todos lo necesitamos; es nuestra pobreza, pero también nuestra grandeza: invocar el consuelo de Dios, que con su ternura viene a secar las lágrimas de nuestros ojos (cf. Is 25,8; Ap 7,17; 21,4).

En este sufrimiento nuestro no estamos solos. También Jesús sabe lo que significa llorar por la pérdida de un ser querido. Es una de las páginas más conmovedoras del Evangelio: cuando Jesús, viendo llorar a María por la muerte de su hermano Lázaro, ni siquiera él fue capaz de contener las lágrimas. Experimentó una profunda conmoción y rompió a llorar (cf. Jn 11,33-35). El evangelista Juan, con esta descripción, muestra cómo Jesús se une al dolor de sus amigos compartiendo su desconsuelo. Las lágrimas de Jesús han desconcertado a muchos teólogos a lo largo de los siglos, pero sobre todo han lavado a muchas almas, han aliviado muchas heridas. Jesús también experimentó en su persona el miedo al sufrimiento y a la muerte, la desilusión y el desconsuelo por la traición de Judas y Pedro, el dolor por la muerte de su amigo Lázaro. Jesús «no abandona a los que ama» (Agustín, In Joh 49,5). Si Dios ha llorado, también yo puedo llorar sabiendo que se me comprende. El llanto de Jesús es el antídoto contra la indiferencia ante el sufrimiento de mis hermanos. Ese llanto enseña a sentir como propio el dolor de los demás, a hacerme partícipe del sufrimiento y las dificultades de las personas que viven en las situaciones más dolorosas. Me provoca para que sienta la tristeza y desesperación de aquellos a los que les han arrebatado incluso el cuerpo de sus seres queridos, y no tienen ya ni siquiera un lugar donde encontrar consuelo. El llanto de Jesús no puede quedar sin respuesta de parte del que cree en él. Como él consuela, también nosotros estamos llamados a consolar.

En el momento del desconcierto, de la conmoción y del llanto, brota en el corazón de Cristo la oración al Padre. La oración es la verdadera medicina para nuestro sufrimiento. También nosotros, en la oración, podemos sentir la presencia de Dios a nuestro lado. La ternura de su mirada nos consuela, la fuerza de su palabra nos sostiene, infundiendo esperanza. Jesús, junto a la tumba de Lázaro, oró: « Padre, te doy gracias porque me has escuchado; yo sé que tú me escuchas siempre» (Jn 11,41-42). Necesitamos esta certeza: el Padre nos escucha y viene en nuestra ayuda. El amor de Dios derramado en nuestros corazones nos permite afirmar que, cuando se ama, nada ni nadie nos apartará de las personas que hemos amado. Lo recuerda el apóstol Pablo con palabras de gran consuelo: «¿Quién nos separará del amor de Cristo?, ¿la tribulación?, ¿la angustia?, ¿la persecución?, ¿el hambre?, ¿la desnudez?, ¿el peligro?, ¿la espada? […] Pero en todo esto vencemos de sobra gracias a aquel que nos ha amado. Pues estoy convencido de que ni muerte, ni vida, ni ángeles, ni principados, ni presente, ni futuro, ni potencias, ni altura, ni profundidad, ni ninguna otra criatura podrá separarnos del amor de Dios manifestado en Cristo Jesús, nuestro Señor» (Rm 8,35.37-39). El poder del amor transforma el sufrimiento en la certeza de la victoria de Cristo, y de nuestra victoria con él, y en la esperanza de que un día estaremos juntos de nuevo y contemplaremos para siempre el rostro de la Trinidad Santísima, fuente eterna de la vida y del amor.

Al lado de cada cruz siempre está la Madre de Jesús. Con su manto, ella enjuga nuestras lágrimas. Con su mano nos ayuda a levantarnos y nos acompaña en el camino de la esperanza.

[00734-ES.02] [Texto original: Español]

Traduzione in lingua portoghese

Prezados irmãos e irmãs!

Na sequência dos testemunhos que escutamos e à luz da Palavra do Senhor que clarifica a nossa situação de sofrimento, comecemos por invocar a presença do Espírito Santo, para que venha entre nós. Seja Ele a iluminar a nossa mente, a encontrar as palavras certas e capazes de proporcionar conforto; seja Ele a abrir o nosso coração, para ter a certeza da presença de Deus que não nos abandona na provação. O Senhor Jesus prometeu aos seus discípulos que nunca os deixaria sozinhos: em cada situação da vida,estaria junto deles com o enviodo Espírito Consolador (cf. Jo 14,26) que havia de os ajudar, sustentar e confortar.

Nos momentos de tristeza, na tribulação da doença, na angústia da perseguição e na desolação do luto, cada um de nós procura uma palavra de consolação. Temos intensa necessidade de alguém queesteja ao nosso lado e sinta compaixão por nós. Experimentamos o que significa estar desorientados, confusos, feridos profundamente como nunca tínhamos pensado acontecer-nos. Incertos, olhamos em redor para ver se encontramos alguém que possa realmente compreender a nossa dor. A mente enche-se de interrogações, mas as respostas não chegam. A razão,sozinha, não é capaz de iluminar o nosso íntimo, compreender a dor que sentimos e dar a resposta que esperamos. Nestes momentos, temos mais necessidade das razões do coração, as únicas capazes de nos fazerem entender o mistério que envolve a nossa solidão.

Quanta tristeza nos acontece vislumbrar em tantos rostos que encontramos! Quantas lágrimas são derramadas,em cada instante, no mundo; uma diferente da outra; e, juntas, formam como que um oceano de desolação, que invoca piedade, compaixão, consolação. As mais amargas são as lágrimas causadas pela maldade humana: as lágrimas de quem viu arrancar-lhe violentamente umapessoa querida; lágrimas de avós, de mães e pais, de crianças... Há olhos que muitas vezes param fixos no pôr-do-sol e têm dificuldade em ver a alvorada dum dia novo. Precisamos de misericórdia, da consolação que vem do Senhor. Todos nós precisamos dela; é a nossa pobreza, mas também a nossa grandeza: invocar a consolação de Deus, que, com a sua ternura,vem enxugar as lágrimas do nosso rosto (cf.Is 25,8; Ap 7,17; 21,4).

Nesta nossa dor, não estamos sozinhos. Também Jesus sabe o que significa chorar pela perda dumapessoa amada. Uma das páginas mais comoventes do Evangelho é esta: quando Jesus vê Maria a chorar pela morte do irmão Lázaro, também Ele não conseguiu conter as lágrimas. Emocionou-Se profundamente e desatou a chorar (cf. Jo 11,33-35). Com esta descrição, o evangelista João quer mostrar como Jesus toma parte natristeza dos seus amigos e Se solidariza com o seu desconforto. As lágrimas de Jesus baralharam muitos teólogos ao longo dos séculos, mas sobretudo lavaramtantas almas, aliviaramtantas feridas!Também Jesus experimentou, em Si mesmo, o medo do sofrimento e da morte, a deceçãoe o desconforto pela traição de Judas e de Pedro, a dor pela morte do amigo Lázaro. Jesus «não abandona aqueles que ama» (Agostinho, InevangeliumJohannis 49,5). Se Deus chorou, também eu posso chorar, ciente de que sou compreendido. O pranto de Jesus é o antídoto contra a indiferença face ao sofrimento dos meus irmãos. Aquele pranto ensina-meaassumir a dor dos outros, a tornar-me participante doincómodoe do sofrimento de quantos vivem nas situações mais dolorosas. Mexe comigo para me fazer perceber a tristeza e o desespero de quantos viram até roubar-lhes o corpo dos seus entes queridos, e já não têm sequer um lugar onde possam encontrar consolação. O pranto de Jesus não pode ficar sem resposta por parte de quem acredita n’Ele. Como Ele consola, assim somos chamados nós a consolar.

No momento do pavor, da comoção e do pranto, surge no coração de Cristo a oração ao Pai. A oração é o verdadeiro remédio para o nosso sofrimento. Na oração, também nós podemos sentir a presença de Deus ao nosso lado. A ternura do seu olhar consola-nos, a força da sua palavra sustenta-nos, incutindo esperança. Junto do túmulo de Lázaro, Jesus rezou dizendo: «Pai, dou-Te graças por Me teres atendido. Eu já sabia que sempre Me atendes»(Jo 11,41-42). Precisamos de ter esta certeza: o Pai escuta-nose vem em nosso auxílio. O amor de Deus, derramado nos nossos corações, permite-nos dizer que, quando se ama, nada e ninguém poderá jamais separar-nos das pessoas que amamos. Assim no-lo recorda, com palavras de grande consolação, o apóstolo Paulo: «Quem poderá separar-nos do amor de Cristo? A tribulação, a angústia, a perseguição, a fome, a nudez, o perigo, a espada? (...) Mas em tudo isso saímos mais do que vencedores, graças Àquele que nos amou. Estou convencido de que nem a morte nem a vida, nem os anjos nem os principados, nem o presente nem o futuro, nem as potestades, nem a altura nem o abismo, nem qualquer outra criatura poderá separar-nos do amor de Deus que está em Cristo Jesus, Senhor nosso»(Rm 8,35.37-39). A força do amor transforma o sofrimento na certeza da vitória de Cristo e da nossa vitória, com Ele, e na esperança de que um dia estaremos juntos de novo e contemplaremos para sempre o rosto da Trindade Santíssima, fonte eterna da vida e do amor.

Junto de cada cruz, está sempre a Mãe de Jesus. Com o seu manto, Ela enxuga as nossas lágrimas. Com a sua mão, faz-nos levantar e acompanha-nos pelo caminho da esperança.

[00734-PO.02] [Texto original: Português]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy Bracia i Siostry!

Po usłyszanych przez nas wzruszających świadectwach i w świetle Słowa Pana, które oświeca naszą sytuację cierpienia, przywołujemy przede wszystkim obecności Ducha Świętego, aby przyszedł między nas. Niech On oświeci nasze umysły, abyśmy znaleźli słowa odpowiednie i zdolne do obdarzenia nas pociechą. Niech On otworzy nasze serca, aby mieć pewność obecności Boga, który nas nie opuszcza w próbie. Pan Jezus obiecał swoim uczniom, że nigdy nie zostawi ich samymi: w każdej sytuacji życiowej będzie blisko nich, posyłając Ducha Pocieszyciela (por. J 14,26), który będzie im pomagał, wspierał i pocieszał.

W chwilach smutku, w cierpieniu choroby, w udręce prześladowań i bólu każdy poszukuje słowa pocieszenia. Odczuwamy silną potrzebę, aby ktoś był blisko nas i nam współczuł. Doświadczamy, co to znaczy być zdezorientowanymi, zmieszanymi, głęboko dotkniętymi, jak tego nigdy nie przypuszczaliśmy. Niepewni rozglądamy się wokół, by zobaczyć, czy możemy znaleźć kogoś, kto może naprawdę zrozumieć nasz ból. Myśl pełna jest pytań, ale odpowiedzi nie przychodzą. Sam rozum nie jest w stanie rzucić światła na nasze wnętrze, by zrozumieć doświadczane cierpienie i zapewnić odpowiedź jakiej oczekujemy. W takich chwilach szczególnie potrzebujemy motywów serca, jedynych, które mogą nam pomóc zrozumieć tajemnicę, jaka otacza naszą samotność.

Ten smutek zdarza nam się dostrzec na wielu spotykanych twarzach. Ileż łez przelewanych jest w każdej chwili na świecie; każda z nich inna jest od drugiej, a razem tworzą jakby ocean rozpaczy, domagający się litości, współczucia, pocieszenia. Najbardziej gorzkie są łzy spowodowane przez ludzką niegodziwość: łzy tych, którzy doświadczyli brutalnego porwania kogoś bliskiego; łzy dziadków, matek i ojców, dzieci... Są oczy, które często utkwione są w kresie i trudno im dostrzec świt nowego dnia. Potrzebujemy miłosierdzia, pocieszenia pochodzącego od Pana. Wszyscy go potrzebujemy. To nasza nędza, ale również nasza wielkość: błaganie o pocieszenie Boga, który ze swoją czułością przychodzi otrzeć łzy na naszym obliczu (por. Iz 25,8; Ap 7,17; 21,4).

W tym naszym smutku nie jesteśmy sami. Również Jezus wie, co to znaczy płakać po utracie osoby bliskiej. To jedna z najbardziej wzruszających kart Ewangelii: kiedy Jezus widział Marię płaczącą z powodu śmierci swojego brata Łazarza, nie był nawet w stanie powstrzymać łez. Wzruszył się głęboko i wybuchnął płaczem (por. J 11,33-35). Tym opisem święty Jan Ewangelista chciał ukazać udział Jezusa w smutku swoich przyjaciół i Jego uczestnictwo w przygnębieniu. Łzy Jezusa wprawiały w zakłopotanie wielu teologów na przestrzeni wieków, ale przede wszystkim podbudowały wiele dusz, uleczyły wiele ran. Także Jezus osobiście doświadczył strachu w obliczu cierpienia i śmierci, rozczarowania i przygnębienia z powodu zdrady Judasza i Piotra, smutku z powodu śmierci swego przyjaciela Łazarza. Jezus „nie opuszcza tych, których miłuje” (Św. Augustyn, Homilie na Ewangelie św. Jana, 49,5). Jeżeli Bóg zapłakał, to i ja mogę płakać wiedząc, że mogę być zrozumiany. Płacz Jezusa jest antidotum na obojętność wobec cierpienia moich braci. Ten płacz uczy, jak utożsamić się z cierpieniem innych i stać się uczestnikiem trudności i cierpienia ludzi żyjących w najbardziej bolesnych sytuacjach. Wstrząsa mną, abym dostrzegł smutek i rozpacz tych, którzy widzieli nawet porwanie ciała swoich bliskich i nie mają już miejsca, gdzie można znaleźć pocieszenie. Płacz Jezusa nie może pozostać bez odpowiedzi ze strony tych, którzy w Niego wierzą. Podobnie jak On pociesza, tak i my jesteśmy wezwani, aby nieść pociechę.

W chwili konsternacji, wzruszenia i płaczu w sercu Jezusa pojawia się modlitwa do Ojca. Modlitwa jest prawdziwym lekarstwem na nasze cierpienie. Także i my możemy w modlitwie odczuć obecność Boga obok nas. Czułość Jego spojrzenia jest naszą pociechą, moc Jego słowa nas podtrzymuje, wlewając nadzieję. Jezus przy grobie Łazarza, modlił się mówiąc: „Ojcze, dziękuję Ci, żeś mnie wysłuchał. Ja wiedziałem, że mnie zawsze wysłuchujesz” (J 11,41-42). Potrzebujemy tej pewności: Ojciec nas wysłuchuje i przychodzi nam z pomocą. Miłość Boża rozlana w naszych sercach pozwala nam powiedzieć, że kiedy kochamy, to nikt i nic nie może nas oderwać nas od osób, które miłujemy. Przypomina o tym słowami wielkiej pociechy apostoł Paweł: „Któż nas może odłączyć od miłości Chrystusowej? Utrapienie, ucisk czy prześladowanie, głód czy nagość, niebezpieczeństwo czy miecz? [...] Ale we wszystkim tym odnosimy pełne zwycięstwo dzięki Temu, który nas umiłował. I jestem pewien, że ani śmierć, ani życie, ani aniołowie, ani Zwierzchności, ani rzeczy teraźniejsze, ani przyszłe, ani Moce, ani co wysokie, ani co głębokie, ani jakiekolwiek inne stworzenie nie zdoła nas odłączyć od miłości Boga, która jest w Chrystusie Jezusie, Panu naszym” (Rz 8,35.37-39). Moc miłości przemienia cierpienie w pewność zwycięstwa Chrystusa i naszego wraz z Nim, w nadziei, że pewnego dnia będziemy znowu razem i będziemy na wieki kontemplować oblicze Trójcy Świętej, wieczne źródło życia i miłości.

W pobliżu każdego krzyża zawsze jest Matka Jezusa. Swoim płaszczem ociera nasze łzy. Swoją ręką nas podnosi i towarzyszy nam na drodze nadziei.

[00734-PL.01] [Testo originale: Polacco]

[B0318-XX.02]