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Veglia Pasquale nella Notte Santa di Pasqua, 26.03.2016


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua araba

Alle ore 20.30 di oggi il Santo Padre Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.

Il Rito ha avuto inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare con il cero pasquale acceso e il canto dell’Exultet, hanno fatto seguito la Liturgia della Parola e la Liturgia Battesimale – nel corso della quale il Papa ha amministrato i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a 12 neofiti provenienti da: Italia, Albania, Camerun, Corea, India e Cina.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Veglia Pasquale, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

«Pietro corse al sepolcro» (Lc 24,12). Quali pensieri potevano agitare la mente e il cuore di Pietro durante quella corsa? Il Vangelo ci dice che gli Undici, tra cui Pietro, non avevano creduto alla testimonianza delle donne, al loro annuncio pasquale. Anzi, «quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento» (v. 11). Nel cuore di Pietro c’era pertanto il dubbio, accompagnato da tanti pensieri negativi: la tristezza per la morte del Maestro amato e la delusione per averlo rinnegato tre volte durante la Passione.

C’è però un particolare che segna la sua svolta: Pietro, dopo aver ascoltato le donne e non aver creduto loro, «tuttavia si alzò» (v. 12). Non rimase seduto a pensare, non restò chiuso in casa come gli altri. Non si lasciò intrappolare dall’atmosfera cupa di quei giorni, né travolgere dai suoi dubbi; non si fece assorbire dai rimorsi, dalla paura e dalle chiacchiere continue che non portano a nulla. Cercò Gesù, non se stesso. Preferì la via dell’incontro e della fiducia e, così com’era, si alzò e corse verso il sepolcro, da dove poi ritornò «pieno di stupore» (v. 12). Questo è stato l’inizio della “risurrezione” di Pietro, la risurrezione del suo cuore. Senza cedere alla tristezza e all’oscurità, ha dato spazio alla voce della speranza: ha lasciato che la luce di Dio gli entrasse nel cuore, senza soffocarla.

Anche le donne, che erano uscite al mattino presto per compiere un’opera di misericordia, per portare gli aromi alla tomba, avevano vissuto la stessa esperienza. Erano «impaurite e con il volto chinato a terra», ma furono scosse all’udire le parole degli angeli: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (cfr v. 5).

Anche noi, come Pietro e le donne, non possiamo trovare la vita restando tristi e senza speranza e rimanendo imprigionati in noi stessi. Ma apriamo al Signore i nostri sepolcri sigillati - ognuno di noi li conosce -, perché Gesù entri e dia vita; portiamo a Lui le pietre dei rancori e i macigni del passato, i pesanti massi delle debolezze e delle cadute. Egli desidera venire e prenderci per mano, per trarci fuori dall’angoscia. Ma questa è la prima pietra da far rotolare via questa notte: la mancanza di speranza che ci chiude in noi stessi. Che il Signore ci liberi da questa terribile trappola, dall’essere cristiani senza speranza, che vivono come se il Signore non fosse risorto e il centro della vita fossero i nostri problemi.

Vediamo e vedremo continuamente dei problemi vicino a noi e dentro di noi. Ci saranno sempre, ma questa notte occorre illuminare tali problemi con la luce del Risorto, in certo senso “evangelizzarli”. Evangelizzare i problemi. Le oscurità e le paure non devono attirare lo sguardo dell’anima e prendere possesso del cuore, ma ascoltiamo la parola dell’Angelo: il Signore «non è qui, è risorto!» (v. 6); Egli è la nostra gioia più grande, è sempre al nostro fianco e non ci deluderà mai.

Questo è il fondamento della speranza, che non è semplice ottimismo, e nemmeno un atteggiamento psicologico o un buon invito a farsi coraggio. La speranza cristiana è un dono che Dio ci fa, se usciamo da noi stessi e ci apriamo a Lui. Questa speranza non delude perché lo Spirito Santo è stato effuso nei nostri cuori (cfr Rm 5,5). Il Consolatore non fa apparire tutto bello, non elimina il male con la bacchetta magica, ma infonde la vera forza della vita, che non è l’assenza di problemi, ma la certezza di essere amati e perdonati sempre da Cristo, che per noi ha vinto il peccato, ha vinto la morte, ha vinto la paura. Oggi è la festa della nostra speranza, la celebrazione di questa certezza: niente e nessuno potranno mai separarci dal suo amore (cfr Rm 8,39).

Il Signore è vivo e vuole essere cercato tra i vivi. Dopo averlo incontrato, ciascuno viene inviato da Lui a portare l’annuncio di Pasqua, a suscitare e risuscitare la speranza nei cuori appesantiti dalla tristezza, in chi fatica a trovare la luce della vita. Ce n’è tanto bisogno oggi. Dimentichi di noi stessi, come servi gioiosi della speranza, siamo chiamati ad annunciare il Risorto con la vita e mediante l’amore; altrimenti saremmo una struttura internazionale con un grande numero di adepti e delle buone regole, ma incapace di donare la speranza di cui il mondo è assetato.

Come possiamo nutrire la nostra speranza? La Liturgia di questa notte ci dà un buon consiglio. Ci insegna a fare memoria delle opere di Dio. Le letture ci hanno narrato, infatti, la sua fedeltà, la storia del suo amore verso di noi. La Parola di Dio viva è capace di coinvolgerci in questa storia di amore, alimentando la speranza e ravvivando la gioia. Ce lo ricorda anche il Vangelo che abbiamo ascoltato: gli angeli, per infondere speranza alle donne, dicono: «Ricordatevi come [Gesù] vi parlò» (v. 6). Fare memoria delle parole di Gesù, fare memoria di tutto quello che Lui ha fatto nella nostra vita. Non dimentichiamo la sua Parola e le sue opere, altrimenti perderemo la speranza e diventeremo cristiani senza speranza; facciamo invece memoria del Signore, della sua bontà e delle sue parole di vita che ci hanno toccato; ricordiamole e facciamole nostre, per essere sentinelle del mattino che sanno scorgere i segni del Risorto.

Cari fratelli e sorelle, Cristo è risorto! E noi abbiamo la possibilità di aprirci e ricevere il suo dono di speranza. Apriamoci alla speranza e mettiamoci in cammino; la memoria delle sue opere e delle sue parole sia luce sfolgorante, che orienta i nostri passi nella fiducia, verso quella Pasqua che non avrà fine.

[00466-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Pierre courut au tombeau» (Lc 24, 12). Quelles pensées pouvaient donc agiter l’esprit et le cœur de Pierre pendant cette course? L’Evangile nous dit que les Onze, parmi lesquels Pierre, n’avaient pas cru au témoignage des femmes, à leur annonce pascale. Plus encore, «ces propos leur semblèrent délirants» (v. 11). Il y avait donc le doute dans le cœur de Pierre, accompagné de nombreuses pensées négatives: la tristesse pour la mort du Maître aimé, et la déception de l’avoir trahi trois fois pendant la Passion.

Mais il y a un détail qui marque un tournant: Pierre, après avoir écouté les femmes et ne pas les avoir cru, cependant «se leva» (v. 12). Il n’est pas resté assis à réfléchir, il n’est pas resté enfermé à la maison comme les autres. Il ne s’est pas laissé prendre par l’atmosphère morose de ces journées, ni emporter par ses doutes; il ne s’est pas laissé accaparer par les remords, par la peur ni par les bavardages permanents qui ne mènent à rien. Il a cherché Jésus, pas lui-même. Il a préféré la voie de la rencontre et de la confiance et, tel qu’il était, il s’est levé et a couru au tombeau, d’où il revint «tout étonné» (v. 12). Cela a été le début de la «résurrection» de Pierre, la résurrection de son cœur. Sans céder à la tristesse ni à l’obscurité, il a laissé place à la voix de l’espérance: il a permis que la lumière de Dieu entre dans son cœur, sans l’éteindre.

Les femmes aussi, qui étaient sorties tôt le matin pour accomplir une œuvre de miséricorde, pour porter les aromates à la tombe, avaient vécu la même expérience. Elles étaient «saisies de crainte et gardaient le visage incliné vers le sol», mais elles ont été troublées en entendant les paroles de l’ange: «Pourquoi cherchez-vous le Vivant parmi les morts?» (v. 5).

Nous aussi, comme Pierre et les femmes, nous ne pouvons pas trouver la vie en restant tristes, sans espérance, et en demeurant prisonniers de nous-mêmes. Mais ouvrons au Seigneur nos tombeaux scellés – chacun de nous les connais –, pour que Jésus entre et donne vie; portons-lui les pierres des rancunes et les amas du passé, les lourds rochers des faiblesses et des chutes. Il souhaite venir et nous prendre par la main, pour nous tirer de l’angoisse. Mais la première pierre à faire rouler au loin cette nuit, c’est le manque d’espérance qui nous enferme en nous-mêmes. Que le Seigneur nous libère de ce terrible piège d’être des chrétiens sans espérance, qui vivent comme si le Seigneur n’était pas ressuscité et comme si nos problèmes étaient le centre de la vie.

Nous voyons et nous verrons continuellement des problèmes autour de nous et en nous. Il y en aura toujours. Mais, cette nuit, il faut éclairer ces problèmes de la lumière du Ressuscité, en un certain sens,les«évangéliser». Evangéliser les problèmes. Les obscurités et les peurs ne doivent pas accrocher le regard de l’âme et prendre possession du cœur; mais écoutons la parole de l’Ange: le Seigneur «n’est pas ici, il est ressuscité» (v. 6), il est notre plus grande joie, il est toujours à nos côtés et ne nous décevra jamais.

Voilà le fondement de l’espérance, qui n’est pas un simple optimisme, ni une attitude psychologique ou une bonne invitation à nous donner du courage. L’espérance chrétienne est un don que Dieu nous fait, si nous sortons de nous-mêmes et nous ouvrons à lui. Cette espérance ne déçoit pas car l’Esprit Saint a été répandu dans nos cœurs(cf. Rm 5, 5). Le Consolateur ne rend pas tout beau, il ne supprime pas le mal d’un coup de baguette magique, mais il infuse la vraie force de la vie, qui n’est pas une absence de problèmes mais la certitude d’être toujours aimés et pardonnés par le Christ qui, pour nous, a vaincu le péché, a vaincu la mort, a vaincu la peur. Aujourd’hui c’est la fête de notre espérance, la célébration de cette certitude: rien ni personne ne pourra jamais nous séparer de son amour (cf. Rm 8, 39).

Le Seigneur est vivant et veut être cherché parmi les vivants. Après l’avoir rencontré, il envoie chacun porter l’annonce de Pâques, susciter et ressusciter l’espérance dans les cœurs appesantis par la tristesse, chez celui qui peine à trouver la lumière de la vie. Il y en a tellement besoin aujourd’hui. Oublieux de nous-mêmes, comme des serviteurs joyeux de l’espérance, nous sommes appelés à annoncer le Ressuscité avec la vie et par l’amour; autrement nous serions une structure internationale avec un grand nombre d’adeptes et de bonnes règles, mais incapables de donner l’espérance dont le monde est assoiffé.

Comment pouvons-nous nourrir notre espérance? La liturgie de cette nuit nous donne un bon conseil. Elle nous apprend à faire mémoire des œuvres de Dieu. Les lectures nous ont raconté, en effet, sa fidélité, l’histoire de son amour envers nous. La Parole vivante de Dieu est capable de nous associer à cette histoire d’amour, en alimentant l’espérance et en ravivant la joie. L’Évangile que nous avons entendu nous le rappelle aussi: les anges, pour insuffler l’espérance aux femmes, disent:«Rappelez-vous ce qu’il vous a dit» (v. 6). Faire mémoire des paroles de Jésus, faire mémoire de tout ce qu’il a fait dans notre vie. N’oublions pas sa Parole ni ses œuvres, autrement nous perdrions l’espérance et deviendrions des chrétiens sans espérance; au contraire, faisons mémoire du Seigneur, de sa bonté et de ses paroles de vie qui nous ont touchés; rappelons-les et faisons-les nôtres, pour être les sentinelles du matin qui sachent découvrir les signes du Ressuscité.

Chers frères et sœurs, le Christ est ressuscité! Et nous avons la possibilité de nous ouvrir et de recevoir son don d’espérance. Ouvrons-nous à l’espérance et mettons-nous en route; que la mémoire de ses œuvres et de ses paroles soit une lumière éclatante qui guide nos pas dans la confiance, vers cette Pâque qui n’aura pas de fin.

[00466-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

“Peter ran to the tomb” (Lk 24:12). What thoughts crossed Peter’s mind and stirred his heart as he ran to the tomb? The Gospel tells us that the eleven, including Peter, had not believed the testimony of the women, their Easter proclamation. Quite the contrary, “these words seemed to them an idle tale” (v. 11). Thus there was doubt in Peter’s heart, together with many other worries: sadness at the death of the beloved Master and disillusionment for having denied him three times during his Passion.

There is, however, something which signals a change in him: after listening to the women and refusing to believe them, “Peter rose” (v. 12). He did not remain sedentary, in thought; he did not stay at home as the others did. He did not succumb to the sombre atmosphere of those days, nor was he overwhelmed by his doubts. He was not consumed by remorse, fear or the continuous gossip that leads nowhere. He was looking for Jesus, not himself. He preferred the path of encounter and trust. And so, he got up, just as he was, and ran towards the tomb from where he would return “amazed” (v. 12). This marked the beginning of Peter’s resurrection, the resurrection of his heart. Without giving in to sadness or darkness, he made room for hope: he allowed the light of God to enter into his heart, without smothering it.

The women too, who had gone out early in the morning to perform a work of mercy, taking the perfumed ointments to the tomb, had the same experience. They were “frightened and bowed their faces”, and yet they were deeply affected by the words of the angel: “Why do you seek the living among the dead?” (v. 5).

We, like Peter and the women, cannot discover life by being sad, bereft of hope. Let us not stay imprisoned within ourselves, but let us break open our sealed tombs to the Lord – each of us knows what they are – so that he may enter and grant us life. Let us give him the stones of our rancour and the boulders of our past, those heavy burdens of our weaknesses and falls. Christ wants to come and take us by the hand to bring us out of our anguish. This is the first stone to be moved aside this night: the lack of hope which imprisons us within ourselves. May the Lord free us from this trap, from being Christians without hope, who live as if the Lord were not risen, as if our problems were the centre of our lives.

We see and will continue to see problems both within and without. They will always be there. But tonight it is important to shed the light of the Risen Lord upon our problems, and in a certain sense, to “evangelize” them. To evangelize our problems. Let us not allow darkness and fear to distract us and control us; we must cry out to them: the Lord “is not here, but has risen!” (v. 6). He is our greatest joy; he is always at our side and will never let us down.

This is the foundation of our hope, which is not mere optimism, nor a psychological attitude or desire to be courageous. Christian hope is a gift that God gives us if we come out of ourselves and open our hearts to him. This hope does not disappoint us because the Holy Spirit has been poured into our hearts (cf. Rom 5:5). The Paraclete does not make everything look appealing. He does not remove evil with a magic wand. But he pours into us the vitality of life, which is not the absence of problems, but the certainty of being loved and always forgiven by Christ, who for us has conquered sin, conquered death and conquered fear. Today is the celebration of our hope, the celebration of this truth: nothing and no one will ever be able to separate us from his love (cf. Rom 8:39).

The Lord is alive and wants to be sought among the living. After having found him, each person is sent out by him to announce the Easter message, to awaken and resurrect hope in hearts burdened by sadness, in those who struggle to find meaning in life. There is so necessary today. However, we must not proclaim ourselves. Rather, as joyful servants of hope, we must announce the Risen One by our lives and by our love; otherwise we will be only an international organization full of followers and good rules, yet incapable of offering the hope for which the world longs.

How can we strengthen our hope? The liturgy of this night offers some guidance. It teaches us to remember the works of God. The readings describe God’s faithfulness, the history of his love towards us. The living word of God is able to involve us in this history of love, nourishing our hope and renewing our joy. The Gospel also reminds us of this: in order to kindle hope in the hearts of the women, the angel tells them: “Remember what [Jesus] told you” (v. 6). Remember the words of Jesus, remember all that he has done in our lives. Let us not forget his words and his works, otherwise we will lose hope and become “hopeless” Christians. Let us instead remember the Lord, his goodness and his life-giving words which have touched us. Let us remember them and make them ours, to be sentinels of the morning who know how to help others see the signs of the Risen Lord.

Dear brothers and sisters, Christ is risen! And we have the possibility of opening our hearts and receiving his gift of hope. Let us open our hearts to hope and go forth. May the memory of his works and his words be the bright star which directs our steps in the ways of faith towards that Easter that will have no end.

[00466-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Petrus […] lief zum Grab« (Lk 24,12). Welche Gedanken schwirrten während dieses Laufes durch den Kopf und das Herz des Petrus? Das Evangelium sagt uns, dass die Elf – darunter auch Petrus – dem Zeugnis der Frauen, ihrer österlichen Botschaft nicht geglaubt hatten. Ja, »die Apostel hielten das alles für Geschwätz« (V. 11). Im Herzen des Petrus gab es deshalb Zweifel, der von vielen negativen Gedanken begleitet wurde: die Traurigkeit über den Tod des geliebten Meisters und die Enttäuschung darüber, dass er ihn während seines Leidens dreimal verleugnet hatte.

Es gibt jedoch ein Detail, das seine Wende anzeigt: »Petrus aber«, nachdem er die Frauen gehört und ihnen nicht geglaubt hatte, »stand auf« (V. 12). Er blieb nicht sitzen, um zu überlegen, er blieb nicht im Haus eingeschlossen wie die anderen. Er ließ sich nicht von der dumpfen Atmosphäre jener Tage gefangen nehmen, noch von seinen Zweifeln überwältigen; er ließ sich nicht von seinen Gewissensbissen, der Angst und dem ständigen Gerede, das zu nichts führt, in Beschlag nehmen. Er suchte Jesus, nicht sich selbst. Er bevorzugte den Weg der Begegnung und des Vertrauens und stand, wie er war, auf und lief zum Grab, von dem er dann »voll Verwunderung« (V. 12) zurückkehrte. Dies war der Beginn der „Auferstehung“ des Petrus, die Auferstehung seines Herzens. Er wich nicht der Traurigkeit und der Finsternis, sondern gab der Stimme der Hoffnung Raum: Er ließ zu, dass Gottes Licht in sein Herz eintrat, und unterdrückte es nicht.

Auch die Frauen, die frühmorgens hinausgegangen waren, um ein Werk der Barmherzigkeit zu verrichten und die Salben zum Grab zu bringen, hatten dieselbe Erfahrung gemacht. Sie »erschraken und blickten zu Boden«, waren aber bestürzt, als sie die Worte der Engel hörten: »Was sucht ihr den Lebenden bei den Toten?« (V. 5)

Wie Petrus und die Frauen können auch wir das Leben nicht finden, wenn wir traurig, ohne Hoffnung und in uns selbst gefangen bleiben. Öffnen wir stattdessen dem Herrn unsere verschlossenen Gräber – jeder von uns kennt sie –, damit Jesus eintrete und Leben schenke; bringen wir zu ihm die Steine des Haders und das Geröll der Vergangenheit, die schweren Felsblöcke der Schwächen und des Versagens. Er möchte kommen und uns an der Hand nehmen, um uns aus der Angst herauszuziehen. Das aber ist der erste Stein, der in dieser Nacht weggerollt werden muss: der Mangel an Hoffnung, der uns in uns selbst einschließt. Der Herr befreie uns aus dieser schrecklichen Falle, davon, Christen ohne Hoffnung zu sein, die leben, als ob der Herr nicht auferstanden wäre und der Mittelpunkt des Lebens unsere Probleme wären.

Wir sehen Probleme um uns und in uns und das wird auch weiter so sein. Es wird sie immer geben, aber in dieser Nacht müssen wir diese Probleme mit dem Licht des Auferstandenen erleuchten, sie in gewissem Sinn „evangelisieren“. Die Probleme evangelisieren. Die Dunkelheiten und Ängste dürfen nicht den Blick der Seele auf sich lenken und vom Herz Besitz ergreifen, sondern hören wir auf das Wort der Engel: Der Herr »ist nicht hier, sondern er ist auferstanden!« (V. 6). Er ist unsere größte Freude, er ist immer an unserer Seite und wird uns nie enttäuschen.

Das ist die Grundlage der Hoffnung, die nicht bloßer Optimismus ist und auch keine psychologische Haltung oder eine gute Einladung, sich Mut zu machen. Die christliche Hoffnung ist ein Geschenk, das Gott uns macht, wenn wir aus uns selbst herausgehen und uns ihm öffnen. Diese Hoffnung lässt nicht zugrunde gehen, denn der Heilige Geist ist ausgegossen in unsere Herzen (vgl. Röm 5,5). Der Tröster lässt nicht alles schön erscheinen, er beseitigt nicht das Böse mit dem Zauberstab, sondern flößt die wahre Kraft des Lebens ein. Diese besteht nicht in der Abwesenheit der Probleme, sondern in der Gewissheit, von Christus immer geliebt zu werden und Vergebung zu empfangen, von ihm, der für uns die Sünde besiegt hat, den Tod besiegt hat und die Angst besiegt hat. Heute ist das Fest unserer Hoffnung, die Feier dieser Gewissheit: Nichts und niemand kann uns je von seiner Liebe scheiden (vgl. Röm 8,39).

Der Herr lebt und will unter den Lebenden gesucht werden. Nach der Begegnung mit ihm wird jeder von ihm ausgesandt, die Osterbotschaft zu überbringen, in den von der Traurigkeit bedrückten Herzen, in denen, die Mühe haben, das Licht des Lebens zu finden, die Hoffnung zu wecken und wieder auferstehen zu lassen. Das ist heute so sehr notwendig. Wir sind berufen, selbstvergessen als frohe Diener der Hoffnung mit unserem Leben und durch die Liebe den Auferstandenen zu verkünden; andernfalls wären wir eine internationale Einrichtung mit einer großen Zahl von Anhängern und guten Regeln, aber unfähig, die Hoffnung zu geben, nach der die Welt dürstet.

Wie können wir unsere Hoffnung nähren? Die Liturgie der heutigen Nacht gibt uns einen guten Rat. Sie lehrt uns, der Taten Gottes zu gedenken. Die Lesungen haben uns nämlich von seiner Treue, von der Geschichte seiner Liebe zu uns erzählt. Das lebendige Wort Gottes ist imstande, uns an dieser Liebesgeschichte teilnehmen zu lassen, indem es die Hoffnung nährt und die Freude wieder aufleben lässt. Daran erinnert uns auch das Evangelium, das wir gehört haben. Um den Frauen Hoffnung zu machen, sagen die Engel: »Erinnert euch an das, was [Jesus] euch gesagt hat« (V. 6). Der Worte Jesu gedenken, all dessen gedenken, was er in unserem Leben getan hat. Vergessen wir sein Wort und seine Taten nicht, sonst verlieren wir die Hoffnung und werden zu Christen ohne Hoffnung. Gedenken wir hingegen des Herrn, seiner Güte und seiner Worte des Lebens, die uns berührt haben. Erinnern wir uns an sie und machen wir sie zu den unseren, um Wächter zur Morgenstunde zu sein, welche die Zeichen des Auferstandenen zu erkennen wissen.

Liebe Brüder und Schwestern, Christus ist auferstanden! Und wir haben die Möglichkeit, uns zu öffnen und sein Geschenk der Hoffnung zu empfangen. Öffnen wir uns der Hoffnung und machen wir uns auf den Weg. Das Gedächtnis seiner Taten und Worte sei ein strahlendes Licht, das uns mit Vertrauen erfüllt und unsere Schritte zu dem Ostern lenkt, das kein Ende hat.

[00466-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Pedro fue corriendo al sepulcro» (Lc 24,12). ¿Qué pensamientos bullían en la mente y en el corazón de Pedro mientras corría? El Evangelio nos dice que los Once, y Pedro entre ellos, no creyeron el testimonio de las mujeres, su anuncio pascual. Es más, «lo tomaron por un delirio» (v.11). En el corazón de Pedro había por tanto duda, junto a muchos sentimientos negativos: la tristeza por la muerte del Maestro amado y la desilusión por haberlo negado tres veces durante la Pasión.

Hay en cambio un detalle que marca un cambio: Pedro, después de haber escuchado a las mujeres y de no haberlas creído, «sin embargo, se levantó» (v.12). No se quedó sentado a pensar, no se encerró en casa como los demás. No se dejó atrapar por la densa atmósfera de aquellos días, ni dominar por sus dudas; no se dejó hundir por los remordimientos, el miedo y las continuas habladurías que no llevan a nada. Buscó a Jesús, no a sí mismo. Prefirió la vía del encuentro y de la confianza y, tal como estaba, se levantó y corrió hacia el sepulcro, de dónde regresó «admirándose de lo sucedido» (v.12). Este fue el comienzo de la «resurrección» de Pedro, la resurrección de su corazón. Sin ceder a la tristeza o a la oscuridad, se abrió a la voz de la esperanza: dejó que la luz de Dios entrara en su corazón sin apagarla.

También las mujeres, que habían salido muy temprano por la mañana para realizar una obra de misericordia, para llevar los aromas a la tumba, tuvieron la misma experiencia. Estaban «despavoridas y mirando al suelo», pero se impresionaron cuando oyeron las palabras del ángel: «¿Por qué buscáis entre los muertos al que vive?» (v.5).

Al igual que Pedro y las mujeres, tampoco nosotros encontraremos la vida si permanecemos tristes y sin esperanza y encerrados en nosotros mismos. Abramos en cambio al Señor nuestros sepulcros sellados - cada de nosotros los conoce - , para que Jesús entre y lo llene de vida; llevémosle las piedras del rencor y las losas del pasado, las rocas pesadas de las debilidades y de las caídas. Él desea venir y tomarnos de la mano, para sacarnos de la angustia. Pero la primera piedra que debemos remover esta noche es ésta: la falta de esperanza que nos encierra en nosotros mismos. Que el Señor nos libre de esta terrible trampa de ser cristianos sin esperanza, que viven como si el Señor no hubiera resucitado y nuestros problemas fueran el centro de la vida.

Continuamente vemos, y veremos, problemas cerca de nosotros y dentro de nosotros. Siempre los habrá, pero en esta noche hay que iluminar esos problemas con la luz del Resucitado, en cierto modo hay que «evangelizarlos». Evangelizar los problemas. No permitamos que la oscuridad y los miedos atraigan la mirada del alma y se apoderen del corazón, sino escuchemos las palabras del Ángel: el Señor «no está aquí. Ha resucitado» (v.6); Él es nuestra mayor alegría, siempre está a nuestro lado y nunca nos defraudará.

Este es el fundamento de la esperanza, que no es simple optimismo, y ni siquiera una actitud psicológica o una hermosa invitación a tener ánimo. La esperanza cristiana es un don que Dios nos da si salimos de nosotros mismos y nos abrimos a él. Esta esperanza no defrauda porque el Espíritu Santo ha sido infundido en nuestros corazones (cf. Rm 5,5). El Paráclito no hace que todo parezca bonito, no elimina el mal con una varita mágica, sino que infunde la auténtica fuerza de la vida, que no consiste en la ausencia de problemas, sino en la seguridad de que Cristo, que por nosotros ha vencido el pecado, ha vencido la muerte, ha vencido el miedo, siempre nos ama y nos perdona. Hoy es la fiesta de nuestra esperanza, la celebración de esta certeza: nada ni nadie nos podrá apartar nunca de su amor (cf. Rm 8,39).

El Señor está vivo y quiere que lo busquemos entre los vivos. Después de haberlo encontrado, invita a cada uno a llevar el anuncio de Pascua, a suscitar y resucitar la esperanza en los corazones abrumados por la tristeza, en quienes no consiguen encontrar la luz de la vida. Hay tanta necesidad de ella hoy. Olvidándonos de nosotros mismos, como siervos alegres de la esperanza, estamos llamados a anunciar al Resucitado con la vida y mediante el amor; si no es así seremos un organismo internacional con un gran número de seguidores y buenas normas, pero incapaz de apagar la sed de esperanza que tiene el mundo.

¿Cómo podemos alimentar nuestra esperanza? La liturgia de esta noche nos propone un buen consejo. Nos enseña a hacer memoria de las obras de Dios. Las lecturas, en efecto, nos han narrado su fidelidad, la historia de su amor por nosotros. La Palabra viva de Dios es capaz de implicarnos en esta historia de amor, alimentando la esperanza y reavivando la alegría. Nos lo recuerda también el Evangelio que hemos escuchado: los ángeles, para infundir la esperanza en las mujeres, dicen: «Recordad cómo [Jesús] os habló» (v.6). Hacer memoria de las palabras de Jesús, hacer memoria de todo lo que él ha hecho en nuestra vida. No olvidemos su Palabra y sus obras, de lo contrario perderemos la esperanza y nos convertiremos en cristianos sin esperanza; hagamos en cambio memoria del Señor, de su bondad y de sus palabras de vida que nos han conmovido; recordémoslas y hagámoslas nuestras, para ser centinelas del alba que saben descubrir los signos del Resucitado.

Queridos hermanos y hermanas, ¡Cristo ha resucitado! Y nosotros tenemos la posibilidad de abrirnos y de recibir su don de esperanza. Abrámonos a la esperanza y pongámonos en camino; que el recuerdo de sus obras y de sus palabras sea la luz resplandeciente que oriente nuestros pasos confiadamente hacia esa Pascua que no conocerá ocaso.

[00466-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Pedro (…) correu ao sepulcro» (Lc 24, 12). Quais poderiam ser os pensamentos que agitavam a mente e o coração de Pedro durante esta corrida? O Evangelho diz-nos que os Onze, incluindo Pedro, não acreditaram no testemunho das mulheres, no seu anúncio pascal. Antes, aquelas «palavras pareceram-lhes um desvario» (v. 11). Por isso, no coração de Pedro, reinava a dúvida, acompanhada por muitos pensamentos negativos: a tristeza pela morte do Mestre amado e a deceção por tê-Lo renegado três vezes durante a Paixão.

Mas há um detalhe que assinala a sua transformação: depois que ouvira as mulheres sem ter acreditado nelas, Pedro «pôs-se a caminho» (v. 12). Não ficou sentado a pensar, não ficou fechado em casa como os outros. Não se deixou enredar pela atmosfera pesada daqueles dias, nem aliciar pelas suas dúvidas; não se deixou absorver pelos remorsos, o medo e as maledicências sem fim que não levam a nada. Procurou Jesus; não a si mesmo. Preferiu a via do encontro e da confiança e, assim como era, pôs-se a caminho e correu ao sepulcro, donde voltou depois «admirado» (v. 12). Isto foi o início da «ressurreição» de Pedro, a ressurreição do seu coração. Sem ceder à tristeza nem à escuridão, deu espaço à voz da esperança: deixou que a luz de Deus entrasse no seu coração, sem a sufocar.

As próprias mulheres, que saíram de manhã cedo para fazer uma obra de misericórdia, ou seja, levar os perfumes ao sepulcro, viveram a mesma experiência. Estavam «amedrontadas e voltaram o rosto para o chão», mas sobressaltaram-se ao ouvir estas palavras do anjo: «Porque buscais entre os mortos Aquele que está vivo?» (cf. v. 5).

Também nós, como Pedro e as mulheres, não podemos encontrar a vida, permanecendo tristes e sem esperança e permanecendo aprisionados em nós mesmos. Mas abramos ao Senhor os nossos sepulcros selados – cada um de nós os conhece -, para que Jesus entre e dê vida; levemos-Lhe as pedras dos ressentimentos e os penedos do passado, as rochas pesadas das fraquezas e das quedas. Ele deseja vir e tomar-nos pela mão, para nos tirar para fora da angústia. Mas a primeira pedra a fazer rolar para o lado nesta noite é esta: a falta de esperança, que nos fecha em nós mesmos. O Senhor nos livre desta terrível armadilha: sermos cristãos sem esperança, que vivem como se o Senhor não tivesse ressuscitado e o centro da vida fossem os nossos problemas.

Vemos e continuaremos a ver problemas perto e dentro de nós. Sempre existirão, mas esta noite é preciso iluminar tais problemas com a luz do Ressuscitado, de certo modo «evangelizá-los». Evangelizar os problemas. Não permitamos que a escuridão e os medos atraiam o olhar da alma e se apoderem do coração, mas escutemos a palavra do Anjo: o Senhor «não está aqui; ressuscitou!» (v. 6); Ele é a nossa maior alegria, está sempre ao nosso lado e nunca nos dececionará.

Este é o fundamento da esperança, que não é mero otimismo, nem uma atitude psicológica ou um bom convite a ter coragem. A esperança cristã é um dom que Deus nos concede, se sairmos de nós mesmos e nos abrirmos a Ele Esta esperança não dececiona porque o Espírito Santo foi infundido nos nossos corações (cf. Rm 5, 5). O Consolador não faz com que tudo apareça bonito, não elimina o mal com a varinha mágica, mas infunde a verdadeira força da vida, que não é a ausência de problemas, mas a certeza de sermos sempre amados e perdoados por Cristo, que por nós venceu o pecado, venceu a morte, venceu o medo. Hoje é a festa da nossa esperança, a celebração desta certeza: nada e ninguém poderá jamais separar-nos do seu amor (cf. Rm 8, 39).

O Senhor está vivo e quer ser procurado entre os vivos. Depois de O ter encontrado, cada um é enviado por Ele para levar o anúncio da Páscoa, para suscitar e ressuscitar a esperança nos corações pesados de tristeza, em quem sente dificuldade para encontrar a luz da vida. Há tanta necessidade disto hoje. Esquecendo de nós mesmos, como servos jubilosos da esperança, somos chamados a anunciar o Ressuscitado com a vida e através do amor; caso contrário, seremos uma estrutura internacional com um grande número de adeptos e boas regras, mas incapaz de dar a esperança de que o mundo está sedento.

Como podemos alimentar a nossa esperança? A Liturgia desta noite dá-nos um bom conselho. Ensina-nos a recordar as obras de Deus. Com efeito, as leituras narraram-nos a sua fidelidade, a história de seu amor por nós. A Palavra viva de Deus é capaz de nos envolver nesta história de amor, alimentando a esperança e reavivando a alegria. Isto mesmo nos lembra também o Evangelho que escutamos. Os anjos, para dar esperança às mulheres, dizem: «Lembrai-vos de como [Jesus] vos falou» (v. 6). Fazer memória das palavras de Jesus, fazer memória de tudo aquilo que Ele fez na nossa vida. Não esqueçamos a sua Palavra e as suas obras, senão perderemos a esperança e nos tornaremos cristãos sem esperança; por isso façamos memória do Senhor, da sua bondade e das suas palavras de vida que nos tocaram; recordemo-las e façamo-las nossas, para sermos sentinelas da manhã que sabem vislumbrar os sinais do Ressuscitado.

Amados irmãos e irmãs, Cristo ressuscitou! E nós temos a possibilidade de abrir-nos e receber o seu dom de esperança. Abramo-nos à esperança e ponhamo-nos a caminho; a memória das suas obras e das suas palavras seja a luz resplandecente, que orienta os nossos passos na confiança, rumo àquela Páscoa que não terá fim.

[00466-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

عشية عيد القيامة

ببازليك القديس بطرس

سبت النور – 26 مارس / آذار 2016

"قام بُطرُسَ فأَسرَعَ إِلى القَبرِ" (لو ۲٤، ١۲). ما هي الأفكار التي بإمكانها أن تُقلق عقل بطرس وقلبه خلال إسراعه إلى القبر؟ يقول لنا الإنجيل أن الأحد عشر، ومن بينهم بطرس، لم يصدِّقوا شهادة النساء وإعلانهنَّ الفصحي. لا بل "بَدَت لَهم هذه الأَقوالُ أَشبَهَ بِالهَذَيان" (آية ١١). ففي قلب بطرس كان يقيم الشك ترافقه العديد من الأفكار السلبيّة: الحزن لموت المعلِّم الحبيب والخيبة لإنكاره ثلاث مرات خلال الآلام.

لكن هناك عنصر يطبع تحوّله: فبعد أن سمع بطرس النساء ولم يصدقهُنَّ، بالرغم من ذلك قام ولم يبق جالسًا يُفكّر، لم يبق منغلقًا في البيت كالباقين. لم يسمح للجو المُظلم لتلك الأيام بأن يحبسه، ولا لشكوكه بأن تستحوذ عليه؛ لم يسمح بأن يستولي عليه الندم والخوف والثرثرة المستمرّة التي لا تقود إلى شيء. بحث عن يسوع وليس عن نفسه. فضّل درب اللقاء والثقة، وهكذا كما كان، قام وأسرع نحو القبر الذي عاد منه "مُتعجِّبًا" (آية ۱۲). لقد كانت هذه بداية "قيامة" بطرس، قيامة قلبه. وبدون الاستسلام للحزن والظلام، أفسح المجال لصوت الرجاء: سمح لنور الله أن يدخل إلى قلبه، دون أن يخنقه.

حتى النساء اللواتي خرجن في الصباح الباكر للقيام بعمل رحمة، ويحملن الطيوب إلى القبر، عشنَ الخبرة عينها. كنَّ "خائفات ووُجوهَهُنَّ مُنكّسة نَحوَ الأَرض"، ولكنّهنَّ دُهِشنَّ لدى سماعهنَّ لكلمات الملاكين: "لِماذا تَبحَثنَ عن الحَيِّ بَينَ الأَموات؟" (آية ٥).

نحن أيضًا، على مثال بطرس والنساء، لا يمكننا أن نجد الحياة إن بقينا تعساء وبدون رجاء وإذا بقينا سجناء داخل أنفسنا، وإنما لنفتح للرب قبورنا المغلقة – وكل منّا يعرف هذه القبور-، لكي يدخل يسوع ويعطي الحياة؛ لنحمل إليه حجارة الحقد وصخور الماضي، وأثقال الضعف والسقطات. هو يريد أن يأتي ويمسكنا بيدنا ليسحبنا خارج اليأس. ولكن هذا هو الحجر الأول الذي ينبغي أن ندحرجه بعيدًا في هذه الليلة: نقص الرجاء الذي يغلقنا في أنفسنا. ليحرّرنا الرب من هذا الفخ الرهيب ومن أن نكون مسيحيين بدون رجاء، يعيشون كما لو أن الرب لم يقُم من بين الأموات وكما لو كانت مشاكلنا محور الحياة.

نرى وسنرى باستمرار مشاكل بقربنا وفي داخلنا. ستكون هناك مشاكل على الدوام، ولكن ينبغي علينا هذه الليلة أن نضيء هذه المشاكل بنور القائم من الموت، بمعنى آخر "أن نبشّرها". نبشر هذه المشاكل. لا نسمحنَّ للظلمات والخوف بأن يجذبوا نظر النفس ويستولوا على القلب، بل لنصغي إلى كلمات الملاك: الرب "لَيسَ ههُنا، بل قام" (آية ٦)؛ هو فرحنا الأعظم وهو دائمًا بقربنا ولا يخيّبنا أبدًا.

هذا هو أساس الرجاء، والذي هو ليس مجّرد تفاؤل ولا حتى موقف نفسي أو دعوة لنتشجّع. الرجاء المسيحي هو عطيّة يمنحنا الله إياها إن خرجنا من ذواتنا وانفتحنا عليه. هذا الرجاء لا يخيّب لأنَّ الروح القدس قد أُفيض في قلوبنا (را. رو ٥، ٥). إن المعزي لا يجعل كل شيء يبدو جميلاً ولا يزيل الشرّ بواسطة عصا سحرية، وإنما يبعث قوّة الحياة الحقيقية والتي ليست غياب المشاكل وإنما اليقين بأن المسيح يحبنا ويغفر لنا على الدوام، هو الذي من أجلنا انتصر على الخطيئة وانتصر على الموت وانتصر على الخوف. اليوم هو عيد رجائنا والاحتفال بهذا اليقين: لا شيء ولا أحد يمكنه أن يفصلنا عن محبّته (را. رو ۸، ۳۹).

الرب حيّ ويريد أن نبحث عنه بين الأحياء. بعد أن نلتقي به، يُرسَل كل فرد منا ليحمل إعلان الفصح وليولّد الرجاء وينعشه في القلوب المُثقّلة بالحزن وفي الذين يتعبون لإيجاد نور الحياة. هناك حاجة كبيرة له اليوم. وإذ ننسى أنفسنا، كخدام فرحين للرجاء، نحن مدعوون لإعلان القائم من الموت بواسطة الحياة والحب؛ وإلا فسنكون مجرّد هيكليّة دوليّة مع عدد كبير من المُنتسبين والقواعد الجيّدة، ولكنها غير قادرة على إعطاء الرجاء الذي يتعطّش له العالم.

كيف يمكننا أن نغذّي رجاءنا؟ إن ليتورجيّة هذه الليلة تعطينا مشورة صالحة. تعلّمنا أن نتذكّر أعمال الله. في الواقع، لقد حدثتنا القراءات عن أمانته وتاريخ حبه لنا. إن كلمة الله حيّة وهي قادرة أن تدخلنا في تاريخ الحب هذا مُعزّزة الرجاء ومنعشة الفرح. هذا ما يذكرنا به أيضًا الإنجيل الذي سمعناه: فلكي يبعث الملاكان الرجاء في النساء قالا لهنَّ: "أُذكُرنَ كَيفَ كَلَّمَكُنَّ [يسوع]" (آية ٦). أن نتذكّر كلمات يسوع، ونتذكر كل ما قام هو به في حياتنا. لا ننسينَّ كلمته وأعماله وإلا فسنفقد الرجاء ونصبح مسيحيين بلا رجاء؛ ولكن لنقيم ذكرى الرب وصلاحه وكلماته كلمات الحياة التي لمستنا، لنتذكرها ولنتبنّاها لنكون رقباء الصبح الذين يعرفون كيف يقرؤون علامات القائم من الموت.

أيها الإخوة والأخوات الأعزاء، المسيح قام! وصار لدينا الإمكانية لأن ننفتح لاستقبال عطية الرجاء. لننفتح على الرجاء ولننطلق في المسيرة؛ لتكُن ذكرى أعماله وكلماته النور المشرق الذي يوجّه خطواتنا بثقة نحو ذاك الفصح الذي لا يعرف نهاية.

[00466-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0217-XX.02]