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Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale promosso dal Pontificio Consiglio “Cor unum” (25-26 febbraio 2016), 26.02.2016


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua spagnola

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Francesco ha incontrato i partecipanti al Congresso Internazionale promosso dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” sul tema: “La carità non avrà mai fine (1 Cor 13,8). Prospettive a dieci anni dall’Enciclica Deus caritas est” (Aula Nuova del Sinodo, 25-26 febbraio).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’Udienza:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle,

vi accolgo in occasione del Congresso Internazionale sul tema: “La carità non avrà mai fine (1 Cor 13,8). Prospettive a dieci anni dall’Enciclica Deus caritas est”, organizzato dal Pontificio Consiglio Cor Unum, e ringrazio Mons. Dal Toso per le parole di saluto che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

La prima Enciclica di Papa Benedetto XVI tratta un tema che permette di ripercorrere tutta la storia della Chiesa, che è anche storia di carità. È una storia di amore ricevuto da Dio, che va portato al mondo: questa carità ricevuta e donata è il cardine della storia della Chiesa e della storia di ciascuno di noi. L’atto di carità, infatti, non è solo un’elemosina per lavarsi la coscienza; include «un’attenzione d’amore rivolta all’altro» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 199), che considera l’altro «un’unica cosa con sé stesso» (cfr San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 27, art. 2) e desidera condividere l’amicizia con Dio. La carità sta dunque al centro della vita della Chiesa e ne è veramente il cuore, come diceva santa Teresa di Gesù Bambino. Sia per il singolo fedele, sia per la comunità cristiana nel suo insieme vale la parola di Gesù, secondo cui la carità è il primo e il più alto dei comandamenti: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza … Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mc 12,30-31).

L’Anno giubilare che stiamo vivendo è anche l’occasione per ritornare a questo cuore pulsante della nostra vita e della nostra testimonianza, al centro dell’annuncio di fede: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Dio non ha semplicemente il desiderio o la capacità di amare; Dio è carità: la carità è la sua essenza, la sua natura. Egli è unico, ma non è solitario; non può stare da solo, non può chiudersi in Sé stesso, perché è comunione, è carità, e la carità per sua natura si comunica, si diffonde. Così Dio associa alla sua vita di amore l’uomo e, anche se l’uomo si allontana da Lui, Egli non rimane distante e gli va incontro. Questo suo venirci incontro, culminato nell’incarnazione del Figlio, è la sua misericordia; è il suo modo di esprimersi verso di noi peccatori, il suo volto che ci guarda e si prende cura di noi. «Il programma di Gesù – è scritto nell’Enciclica – è “un cuore che vede”. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente» (n. 31). Carità e misericordia sono così strettamente legate, perché sono il modo di essere e di agire di Dio: la sua identità e il suo nome.

Il primo aspetto che l’Enciclica ci ricorda è proprio il volto di Dio: chi è il Dio che in Cristo possiamo incontrare, com’è fedele e insuperabile il suo amore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ogni nostra forma di amore, di solidarietà, di condivisione è solo un riflesso di quella carità che è Dio. Egli, senza mai stancarsi, riversa la sua carità su di noi e noi siamo chiamati a diventare testimoni di questo amore nel mondo. Perciò dobbiamo guardare alla carità divina come alla bussola che orienta la nostra vita, prima di incamminarci in ogni attività: lì troviamo la direzione, da essa impariamo come guardare i fratelli e il mondo. «Ubi amor, ibi oculus», dicevano i Medioevali: dove c’è l’amore, lì c’è la capacità di vedere. Solo «se rimaniamo nel suo amore» (cfr Gv 15,1-17), sapremo comprendere e amare chi ci vive accanto.

L’Enciclica – ed è il secondo aspetto che vorrei sottolineare – ci ricorda che questa carità vuole rispecchiarsi sempre più nella vita della Chiesa. Come vorrei che ognuno nella Chiesa, ogni istituzione, ogni attività riveli che Dio ama l’uomo! La missione che i nostri organismi di carità svolgono è importante, perché avvicinano tante persone povere ad una vita più dignitosa, più umana, cosa quanto mai necessaria; ma questa missione è importantissima perché, non a parole, ma con l’amore concreto può far sentire ogni uomo amato dal Padre, figlio suo, destinato alla vita eterna con Dio. Io vorrei ringraziare tutti coloro che si impegnano quotidianamente in questa missione, che interpella ogni cristiano. In questo Anno giubilare ho voluto sottolineare che tutti possiamo vivere la grazia del Giubileo proprio mettendo in pratica le opere di misericordia corporale e spirituale: vivere le opere di misericordia significa coniugare il verbo amare secondo Gesù. E così, tutti insieme, contribuiamo concretamente alla grande missione della Chiesa di comunicare l’amore di Dio, che vuole diffondersi.

Cari fratelli e sorelle, l’Enciclica Deus caritas est conserva intatta la freschezza del suo messaggio, con cui indica la prospettiva sempre attuale per il cammino della Chiesa. E tutti siamo tanto più veri cristiani, quanto più viviamo con questo spirito.

Vi ringrazio ancora per il vostro impegno e per quanto potrete realizzare in questa missione di carità. Vi assista sempre la Vergine Madre e vi accompagni la mia benedizione. Per favore, fate un atto di carità e non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

[00324-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs,

Je vous accueille à l’occasion du Congrès Internationalsur le thème «La charité ne passera jamais (1 Co 13, 8). Deus caritas est : Les perspectives 10 ans après», organisé par le Conseil Pontifical Cor Unum, et je remercie Mgr Dal Toso pour ses paroles adressées en votre nom à tous en guise de salutation.

La première Encyclique du Pape Benoît XVI traite d’un sujet qui permet de parcourir à nouveau toute l’histoire de l’Eglise, qui est aussi une histoire de la charité. C’est l’histoire d’un amour reçu de Dieu et qui doit être transmis au monde: cette charité reçue et partagée constitue le pivot de l’histoire de l’Eglise comme celui de notre histoire à chacun de nous. L’acte de charité, en effet, n’est pas seulement une aumône qui purifie la conscience; il comporte «une attention d’amour à l’autre» (cf. Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 199), qu’il « considère comme un avec lui » (Saint Thomas d’Aquin, S. Th. II-IIae, q. 27, a. 2.), et désire partager avec lui l’amitié avec Dieu. La charité est donc au centre de la vie de l’Eglise et elle en est vraiment le cœur, comme le disait sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus. Les paroles de Jésus selon lesquelles la charité est le premier et le plus grand des commandements:«Tu aimeras le Seigneur ton Dieu de tout ton cœur et de toute ton âme, de tout ton esprit et de toute ta force … Tu aimeras ton prochain comme toi-même» (Mc 12, 30-31), valent autant pour chaque fidèle que pour la communauté chrétienne toute entière.

L’année jubilaire qui nous est donnée de vivre est aussi l’occasion de revenir à ce cœur vivant de notre vie et de notre témoignage, au centre de l’annonce de foi: «Dieu est amour» (1 Jn 4, 8.16). Dieu ne possède pas seulement le désir ou la capacité d’aimer; Dieu est charité: la charité est son essence, sa nature. Il est Un, mais il n’est pas solitaire; il ne peut rester seul, il ne peut pas se replier sur Lui-même parce qu’il est communion, il est charité, et la charité par nature se communique, se diffuse. Ainsi Dieu associe l’homme à sa vie d’amour, et même si l’homme s’éloigne de Lui, Il ne reste pas distant mais va à sa rencontre. Cette venue à notre rencontre, qui culmine dans l’incarnation de son Fils, est sa miséricorde; sa façon de s’exprimer à notre égard, nous qui sommes pécheurs, son visage qui nous regarde et qui prend soin de nous. «Le programme de Jésus – est-il écrit dans l’encyclique – est ‘un cœur qui voit’. Ce cœur voit où l’amour est nécessaire et il agit en conséquence» (n. 31). La charité et la miséricorde sont étroitement liées entre elles, parce qu’elles sont la manière d’être et d’agir de Dieu: son identité et son nom.

Le premier aspect que l’encyclique nous propose est justement celui du visage de Dieu: qui est ce Dieu que nous pouvons rencontrer en Jésus-Christ, et à quel point son amour est-il fidèle et insurpassable?« Il n’y a pas de plus grand amour que de donner sa vie pour ses amis » (Jn 15, 13). Toutes les formes de notre amour, de notre solidarité, de nos partages ne sont que le reflet de cette charité qui est Dieu. Sans jamais se lasser, il ne cesse de répandre sur nous sa charité et nous, nous sommes appelés à devenir les témoins de cet amour dans le monde. C’est pourquoi, avant de nous engager en quelque activité, nous devons regarder à la charité divine comme à la boussole qui oriente notre vie : elle nous en donne la direction, et elle nous apprend comment regarder nos frères et le monde. «Ubi amor, ibi oculus» disait-on au Moyen Age: là où il y a l’amour, là se trouve la capacité de voir. Ce n’est qu’en «demeurant dans son amour» (cf. Jn 15, 1-17), que nous pourrons comprendre et aimer ceux qui vivent à côté de nous.

L’encyclique – et c’est le second aspect que je voudrais souligner – nous rappelle que cette charité veut se refléter toujours davantage dans la vie de l’Eglise. Comme je voudrais que chacun dans l’Eglise, que chaque institution, que toute activité manifeste que Dieu aime l’homme! La mission de nos organismes de charité est importante car ils permettent à tant de personnes pauvres d’avoir une vie plus digne, plus humaine, ce qui est plus que jamais nécessaire; plus encore, cette mission est très importante parce qu’elle permet, non par des paroles, mais grâce à un amour concret, à chacun de se sentir aimé du Père, comme son enfant, et destiné à la vie éternelle avec Dieu. Je voudrais remercier tous ceux qui s’engagent quotidiennement dans cette mission qui interpelle tout chrétien. En cette Année jubilaire, j’ai voulu souligner que nous pouvions tous vivre de la grâce du Jubilé en pratiquant les œuvres de miséricorde corporelles et spirituelles: vivre les œuvres de miséricorde signifie conjuguer le verbe aimer selon Jésus. De sorte que tous ensemble, nous contribuions concrètement à la grande mission de l’Eglise qui est de communiquer l’amour de Dieu, qui ne demande qu’à se diffuser.

Chers frères et sœurs, l’encyclique Deus caritas est garde intacte la fraîcheur de son message, par lequel elle indique l’orientation toujours actuelle du cheminement de l’Eglise. Et tous, nous serons d’autant plus de vrais chrétiens que nous vivrons de cet esprit.

Je vous remercie encore de votre engagement et de tout ce que vous pourrez réaliser dans cette mission de charité. Que la Vierge Marie, notre Mère, vous assiste, et que ma bénédiction vous accompagne. Je vous en prie, accomplissez des gestes de charité, sans oublier de prier pour moi. Merci.

[00324-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

I welcome you on the occasion of the International Conference on the theme: “Love will never end (1 Cor 13:8): Prospects ten years on from the Encyclical Deus Caritas Est”, organized by the Pontifical Council Cor Unum, and I thank Monsignor Dal Toso for the words of greetings addressed to me on behalf of all of you.

The first Encyclical of Pope Benedict XVI concerns a theme that allows us to retrace the entire history of the Church, which is also a history of charity. It is a story of the love received from God, to be carried to the world: this charity received and given is the fulcrum of the history of the Church and of the history of each one of us. The act of charity is not, in fact, simply almsgiving to ease one’s conscience. It includes a “loving attentiveness towards the other” (cf. Evangelii Gaudium, 199), which considers the other as “one with himself” (cf. Saint Thomas Aquinas, Summa Theologiae, II-II, q. 27, art. 2), and desires to share friendship with God. Charity, therefore, is at the centre of the life of the Church and, in the words of Saint Thérèse of the Child Jesus, is truly the heart of the Church. Both for individual members of the faithful and for the Christian community as a whole, the words of Jesus hold true: that charity is the first and greatest of the commandments: “You shall love the Lord your God with all your heart, and with all your soul, and with all your mind, and with all your strength… You shall love your neighbour as yourself” (Mk 12:30-31).

The present Jubilee Year is also an opportunity to return to this beating heart of our life and our witness, to the centre of the proclamation of faith: “God is love” (1 Jn 4:8, 16). God does not simply have the desire or capacity to love; God is love: charity is his essence, it is his nature. He is unique, but not solitary; he cannot be alone, he cannot be closed in on himself because he is communion, he is charity; and charity by its nature is communicated and shared. In this way, God associates man to his life of love, and even if man turns away from him, God does not remain distant but goes out to meet him. This going out to meet us, culminating in the Incarnation of his Son, is his mercy. It is his way of expressing himself to us sinners, his face that looks at us and cares for us. The Encyclical reads: “Jesus’ programme is ‘a heart which sees’. This heart sees where love is needed and acts accordingly” (no. 31). Charity and mercy are in this way closely related, because they are God’s way of being and acting: his identity and his name.

The first aspect which the Encyclical recalls for us is the face of God: who is the God we can encounter in Christ? How faithful and unsurpassable is his love? “No one has greater love than this, to lay down one’s life for one’s friends” (Jn 15:13). All our expressions of love, of solidarity, of sharing are but a reflection of that love which is God. He, without ever tiring, pours out his love on us, and we are called to become witnesses to this love in the world. Therefore, we should look to divine charity as to the compass which orients our lives, before embarking on any activity: there we find direction; from charity we learn how to see our brothers and sisters and the world. Ubi amor, ibi oculus, say the Medievals: where there is love, there is the ability to see. Only by “remaining in his love” (cf. Jn 15:1-17) will we know how to understand and love those around us.

The Encyclical – and this is the second aspect I wish to emphasize – reminds us that this charity needs to be reflected more and more in the life of the Church. How I wish that everyone in the Church, every institution, every activity would show that God loves man! The mission that our charitable organizations carry out is important, because they provide so many poor people with a more dignified and human life, which is needed more than ever. But this mission is of utmost importance because, not with words, but with concrete love it can make every person feel loved by the Father, loved as his son or daughter and destined for eternal life with him. I would like to thank all those who daily are committing themselves to this mission which challenges every Christian. In this Jubilee Year, my intention has been to emphasize that we can all experience the grace of the Jubilee by putting into practice the spiritual and corporal works of mercy: to live the works of mercy means to conjugate the verb “to love” according to Jesus. In this way then, all of us together can contribute concretely to the great mission of the Church: to communicate the love of God which is meant to be spread.

Dear brothers and sisters, the message of the Encyclical Deus Caritas Est remains timely, indicating the ever relevant prospect for the Church’s journey. The more we live in this spirit, the more authentic we all are as Christians.

Thank you again for your commitment and for what you will be able to achieve in this mission of charity. May the Blessed Mother always assist you, and my blessing be with you. Please, as an act of charity and do not forget to pray for me. Thank you.

[00324-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Les doy la bienvenida a esta audiencia al fin de su Congreso Internacional sobre el tema: «La caridad no pasará jamás (1 Co 13,8). Perspectivas a los 10 años de la encíclica Deus caritas est», organizado por el Consejo pontificio Cor Unum, y agradezco a mons. Dal Toso las palabras de saludo que me ha dirigido en nombre de todos ustedes.

La primera encíclica del papa Benedicto XVI trata un tema que permite recorrer toda la historia de la Iglesia que, entre otras cosas, es una historia de caridad. Es la historia del amor que hemos recibido de Dios y debemos llevar al mundo: esta caridad recibida y dada es el fundamento de la historia de la Iglesia y de la historia de cada uno de nosotros. El acto de caridad, en efecto, no es sólo una limosna para limpiar la propia conciencia; incluye «una atención de amor puesta en el otro» (cfr. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 199), al que considera «como uno consigo» (cf. Santo Tomás de Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 27, art. 2) y desea compartir la amistad con Dios. La caridad, por tanto, está en el centro de la vida de la Iglesia, y es verdaderamente su corazón, como decía santa Teresa del Niño Jesús. Para cada uno de los fieles, como para la comunidad cristiana en su conjunto, vale la palabra de Jesús, según la cual la caridad es el primer mandamiento y el más alto: «Amarás al Señor, tu Dios, con todo tu corazón, con toda tu alma, con toda tu mente, con todo tu ser… Amarás a tu prójimo como a ti mismo» (Mc 12,30-31).

El Año jubilar que estamos viviendo nos brinda también la ocasión de volver a este corazón palpitante de nuestra vida y de nuestro testimonio, al centro del anuncio de fe: «Dios es amor» (1 Jn 4,8.16). Dios no tiene simplemente el deseo o la capacidad de amar; Dios es caridad: la caridad es su esencia, su naturaleza. Él es único, pero no es solitario; no puede estar solo, no puede cerrarse en sí mismo, porque es comunión, es caridad, y la caridad por naturaleza se comunica, se difunde. Así, Dios asocia al hombre a su vida de amor y, aunque el hombre se aleje de él, él no permanece distante sino que le sale al encuentro. Este salir al encuentro del hombre, que culmina en la encarnación del Hijo, es su misericordia; es su modo de expresarse con nosotros, que somos pecadores, es su rostro que nos mira y vela por nosotros. El programa de Jesús —está escrito en la encíclica— es «un “corazón que ve”. Este corazón ve dónde se necesita amor y actúa en consecuencia» (n. 31). Caridad y misericordia están tan estrechamente vinculadas porque son el modo de ser y de actuar de Dios: su identidad y su nombre.

El primer aspecto que la encíclica nos recuerda es precisamente el rostro de Dios: quién es el Dios que podemos encontrar en Cristo, cuán fiel e insuperable es su amor: «Nadie tiene amor más grande que el que da la vida por sus amigos» (Jn 15,13). Cualquier forma nuestra de amor, de solidaridad, de compartir es sólo un reflejo de la caridad que es Dios. Él derrama incansablemente su caridad sobre nosotros y nosotros estamos llamados a ser testigos de este amor en el mundo. Por eso, debemos ver la caridad divina como la brújula que orienta nuestra vida, antes de encaminarnos en cualquier actividad: en ella encontramos la dirección, de ella aprendemos cómo mirar a los hermanos y al mundo. «Ubi amor, ibi oculus», decían los hombres medievales: donde está el amor, está la capacidad de ver. Sólo «si permanecemos en su amor» (cf. Jn 15,1-17), sabremos comprender y amar a quien vive a nuestro lado.

La encíclica —y este es el segundo aspecto que quisiera subrayar— nos recuerda que esta caridad quiere verse reflejada cada vez más en la vida de la Iglesia. Cuánto desearía que en la Iglesia cada fiel, cada institución, cada actividad revelara que Dios ama al hombre. La misión que desempeñan nuestros organismos de caridad es importante, porque acercan a muchas personas pobres a una vida más digna, más humana, y esto es algo muy necesario; es una misión importantísima porque, no con palabras, sino con el amor concreto puede hacer sentir a todo hombre que el Padre le ama, que es hijo suyo, destinado a la vida eterna con Dios. Quisiera dar las gracias a todos aquellos que trabajan diariamente en esta misión, que interpela a todo cristiano. En este Año jubilar he querido resaltar que todos podemos vivir la gracia del Jubileo, precisamente poniendo in práctica las obras de misericordia corporales y espirituales: vivir las obras de misericordia significa conjugar el verbo amar como lo hizo Jesús. Y así, todos juntos, contribuimos concretamente a la gran misión de la Iglesia de comunicar el amor de Dios, que desea extenderse.

Queridos hermanos y hermanas, la encíclica Deus caritas est conserva intacta la frescura de su mensaje, con el que indica la perspectiva siempre actual para el camino de la Iglesia. Y todos seremos cristianos más auténticos cuanto más vivamos con este espíritu.

Les agradezco de nuevo su trabajo y todo lo que puedan realizar en esta misión de caridad. Que les asista siempre la Virgen Madre y les acompañe mi bendición. Por favor, hagan un acto de caridad y no se olviden de rezar por mí. Gracias.

[00324-ES.02] [Texto original: Italiano]

[B0148-XX.02]