Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2016, 26.01.2016


Messaggio del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua polacca

Testo in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2016 sul tema: «“Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13). Le opere di misericordia nel cammino giubilare»:

Messaggio del Santo Padre

 

«“Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13).

Le opere di misericordia nel cammino giubilare»

1. Maria, icona di una Chiesa che evangelizza perché evangelizzata

Nella Bolla d’indizione del Giubileo ho rivolto l’invito affinché «la Quaresima di quest’anno giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio» (Misericordiae Vultus, 17). Con il richiamo all’ascolto della Parola di Dio ed all’iniziativa «24 ore per il Signore» ho voluto sottolineare il primato dell’ascolto orante della Parola, in specie quella profetica. La misericordia di Dio è infatti un annuncio al mondo: ma di tale annuncio ogni cristiano è chiamato a fare esperienza in prima persona. E’ per questo che nel tempo della Quaresima invierò i Missionari della Misericordia perché siano per tutti un segno concreto della vicinanza e del perdono di Dio.

Per aver accolto la Buona Notizia a lei rivolta dall’arcangelo Gabriele, Maria, nel Magnificat, canta profeticamente la misericordia con cui Dio l’ha prescelta. La Vergine di Nazaret, promessa sposa di Giuseppe, diventa così l’icona perfetta della Chiesa che evangelizza perché è stata ed è continuamente evangelizzata per opera dello Spirito Santo, che ha fecondato il suo grembo verginale. Nella tradizione profetica, la misericordia ha infatti strettamente a che fare, già a livello etimologico, proprio con le viscere materne (rahamim) e anche con una bontà generosa, fedele e compassionevole (hesed), che si esercita all’interno delle relazioni coniugali e parentali.

2. L’alleanza di Dio con gli uomini: una storia di misericordia

Il mistero della misericordia divina si svela nel corso della storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo Israele. Dio, infatti, si mostra sempre ricco di misericordia, pronto in ogni circostanza a riversare sul suo popolo una tenerezza e una compassione viscerali, soprattutto nei momenti più drammatici quando l’infedeltà spezza il legame del Patto e l’alleanza richiede di essere ratificata in modo più stabile nella giustizia e nella verità. Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d’amore, nel quale Dio gioca il ruolo di padre e di marito tradito, mentre Israele gioca quello di figlio/figlia e di sposa infedeli. Sono proprio le immagini familiari – come nel caso di Osea (cfr Os 1-2) – ad esprimere fino a che punto Dio voglia legarsi al suo popolo.

Questo dramma d’amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo. In Lui Dio riversa la sua misericordia senza limiti fino al punto da farne la «Misericordia incarnata» (Misericordiae Vultus, 8). In quanto uomo, Gesù di Nazaret è infatti figlio di Israele a tutti gli effetti. E lo è al punto da incarnare quel perfetto ascolto di Dio richiesto ad ogni ebreo dallo Shemà, ancora oggi cuore dell’alleanza di Dio con Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Il Figlio di Dio è lo Sposo che fa di tutto per guadagnare l’amore della sua Sposa, alla quale lo lega il suo amore incondizionato che diventa visibile nelle nozze eterne con lei.

Questo è il cuore pulsante del kerygma apostolico, nel quale la misericordia divina ha un posto centrale e fondamentale. Esso è «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 36), quel primo annuncio che «si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi» (ibid., 164). La Misericordia allora «esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere» (Misericordiae Vultus, 21), ristabilendo proprio così la relazione con Lui. E in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa.

3. Le opere di misericordia

La misericordia di Dio trasforma il cuore dell’uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all’amore del prossimo e animando quelle che la tradizione della Chiesa chiama le opere di misericordia corporale e spirituale. Esse ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo. Perciò ho auspicato «che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina» (ibid., 15). Nel povero, infatti, la carne di Cristo «diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura» (ibid.). Inaudito e scandaloso mistero del prolungarsi nella storia della sofferenza dell’Agnello Innocente, roveto ardente di amore gratuito davanti al quale ci si può come Mosè solo togliere i sandali (cfr Es 3,5); ancor più quando il povero è il fratello o la sorella in Cristo che soffrono a causa della loro fede.

Davanti a questo amore forte come la morte (cfr Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero. Esso arriva al punto da neppure voler vedere il povero Lazzaro che mendica alla porta della sua casa (cfr Lc 16,20-21), il quale è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione. Lazzaro è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che forse non vediamo. E quest’accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l’uomo a massa da strumentalizzare. E possono attualmente mostrarlo anche le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull’idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli.

Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia. Se mediante quelle corporali tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli e sorelle bisognosi di essere nutriti, vestiti, alloggiati, visitati, quelle spirituali – consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare – toccano più direttamente il nostro essere peccatori. Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i “superbi”, i “potenti” e i “ricchi” di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c’è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l’uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» (Lc 16,29). Quest’ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell’attesa della sua venuta.

Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione! Lo chiediamo per l’intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza (cfr Lc 1,48), riconoscendosi come l’umile serva del Signore (cfr Lc 1,38).

Dal Vaticano, 4 ottobre 2015

Festa di San Francesco d’Assisi

FRANCISCUS

[00115-01.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

«"C’est la miséricorde que je veux, et non les sacrifices"(Mt 9,13)

Les œuvres de miséricorde dans le parcours jubilaire»

1. Marie, icône d’une Eglise qui évangélise parce qu’elle a été évangélisée

Dans la Bulle d’indiction du Jubilé, j’ai invité à faire en sorte que «le Carême de cette Année Jubilaire [soit] vécu plus intensément comme un temps fort pour célébrer et expérimenter la miséricorde de Dieu » ( Misericordiae vultus, n. 17). Par le rappel de l’écoute de la Parole de Dieu et l’initiative «24 heures pour le Seigneur», j’ai voulu souligner la primauté de l’écoute priante de la Parole, plus particulièrement de la Parole prophétique. La miséricorde de Dieu est certes une annonce faite au monde: cependant chaque chrétien est appelé à en faire l’expérience personnellement. C’est pourquoi, en ce temps de Carême, j’enverrai les Missionnaires de la Miséricorde afin qu’ils soient pour tous un signe concret de la proximité et du pardon de Dieu.

Parce qu’elle a accueilli la Bonne Nouvelle annoncée par l’archange Gabriel, Marie chante prophétiquement dans son Magnificat la miséricorde par laquelle Dieu l’a choisie. La Vierge de Nazareth, promise comme épouse à Joseph, devient ainsi l’icône parfaite de l’Eglise qui évangélise car elle a été et demeure constamment évangélisée par l’œuvre de l’Esprit Saint qui a fécondé son sein virginal. Dans la tradition prophétique – et déjà au niveau étymologique – la miséricorde est étroitement liée aux entrailles maternelles (rahamim) et à une bonté généreuse, fidèle et compatissante (hesed) qui s’exerce dans les relations conjugales et parentales.

2. L’alliance de Dieu avec les hommes: une histoire de miséricorde

Le mystère de la miséricorde divine se dévoile au cours de l’histoire de l’alliance entre Dieu et son peuple Israël. Dieu, en effet, se montre toujours riche en miséricorde, prêt à reverser sur lui en toutes circonstances une tendresse et une compassion viscérales, particulièrement dans les moments les plus dramatiques, lorsque l’infidélité brise le lien du pacte et que l’alliance requiert d’être ratifiée de façon plus stable dans la justice et dans la vérité. Nous nous trouvons ici face à un véritable drame d’amour où Dieu joue le rôle du père et du mari trompé, et Israël celui du fils ou de la fille, et de l’épouse infidèles. Ce sont les images familières, comme nous le voyons avec Osée (cf. Os 1-2), qui expriment jusqu’à quel point Dieu veut se lier à son peuple.

Ce drame d’amour atteint son point culminant dans le Fils qui s’est fait homme. Dieu répand en lui sa miséricorde sans limites, au point d’en faire la «Miséricorde incarnée» (Misericordiae Vultus, n. 8). En tant qu’homme, Jésus de Nazareth est fils d’Israël dans le plein sens du terme. Il l’est au point d’incarner cette écoute parfaite de Dieu demandée à tout Juif par le Shemà qui constitue, aujourd’hui encore, le cœur de l’alliance de Dieu avec Israël:«Ecoute, Israël: le Seigneur notre Dieu est le seul Seigneur. Tu aimeras le Seigneur ton Dieu de tout ton cœur, de toute ton âme et de toutes tes forces» (Dt 6, 4-5). Le Fils de Dieu est l’Epoux qui met tout en œuvre pour conquérir l’amour de son Epouse. Il lui est lié par son amour inconditionnel qui se manifeste dans les noces éternelles avec elle.

Ceci constitue le cœur vibrant du kérygme apostolique où la miséricorde divine tient une place centrale et fondamentale. Il est «la beauté de l’amour salvifique de Dieu manifesté en Jésus-Christ, mort et ressuscité» (Exhort. apost. Evangelii gaudium, n. 36), cette première annonce «que l’on doit toujours écouter de nouveau de différentes façons, et que l’on doit toujours annoncer de nouveau durant la catéchèse» (Ibid., n. 164). La miséricorde alors «illustre le comportement de Dieu envers le pécheur, lui offrant une nouvelle possibilité de se repentir, de se convertir et de croire» (Misericordiae vultus, n. 21), restaurant vraiment ainsi la relation avec Lui. En Jésus Crucifié, Dieu veut rejoindre l’homme pécheur jusque dans son éloignement le plus extrême, précisément là où il s’est égaré et éloigné de Lui. Et ceci, il le fait dans l’espoir de réussir finalement à toucher le cœur endurci de son Épouse.

3. Les œuvres de miséricorde

La miséricorde de Dieu transforme le cœur de l’homme et lui fait expérimenter un amour fidèle qui le rend capable d’être, à son tour, miséricordieux. C’est à chaque fois un miracle que la miséricorde divine puisse se répandre dans la vie de chacun de nous, en nous incitant à l’amour du prochain et en suscitant ce que la tradition de l’Eglise nomme les œuvres de miséricorde corporelles et spirituelles. Elles nous rappellent que notre foi se traduit par des actes concrets et quotidiens, destinés à aider notre prochain corporellement et spirituellement, et sur lesquels nous serons jugés:le nourrir, le visiter, le réconforter, l’éduquer. C’est pourquoi j’ai souhaité que «le peuple chrétien réfléchisse durant le Jubilé sur les œuvres de miséricorde corporelles et spirituelles. Ce sera une façon de réveiller notre conscience souvent endormie face au drame de la pauvreté, et de pénétrer toujours davantage le cœur de l’Evangile, où les pauvres sont les destinataires privilégiés de la miséricorde divine» (Ibid., n. 15). Dans la personne du pauvre, en effet, la chair du Christ«devient de nouveau visible en tant que corps torturé, blessé, flagellé, affamé, égaré… pour être reconnu par nous, touché et assisté avec soin» (Ibid.). Inouï et scandaleux mystère qui prolonge dans l’Histoire la souffrance de l’Agneau innocent, buisson ardent brûlant d’un amour gratuit, et devant lequel nous ne pouvons, à la suite de Moïse, qu’ôter nos sandales (cf. Ex 3,5); et ceci plus encore quand ce pauvre est notre frère ou notre sœur en Christ qui souffre à cause de sa foi.

Face à cet amour, fort comme la mort (cf. Ct 8,6), le pauvre le plus misérable est celui qui n’accepte pas de se reconnaître comme tel. Il croit être riche mais, en réalité, il est le plus pauvre des pauvres. Et s’il est tel, c’est parce qu’il est esclave du péché qui le pousse à user de la richesse et du pouvoir non pas pour servir Dieu et les autres, mais pour étouffer en lui l’intime conviction de n’être, lui aussi, rien d’autre qu’un pauvre mendiant. D’autant plus grands sont le pouvoir et les richesses dont il dispose, d’autant plus grand est le risque que cet aveuglement devienne mensonger. Il en vient à ne même plus vouloir voir le pauvre Lazare qui mendie à la porte de sa maison (cf. Lc 16, 20-21), figure du Christ qui, dans les pauvres, mendie notre conversion. Lazare est cette opportunité de nous convertir que Dieu nous offre et que peut-être nous ne voyons pas. Cet aveuglement est accompagné d’un délire orgueilleux de toute-puissance, dans lequel résonne, de manière sinistre,cedémoniaque«vous serez comme des dieux» (Gn 3,5), qui est à la racine de tout péché. Un tel délire peut également devenir un phénomène social et politique, comme l’ont montré les totalitarismes du XXème siècle, et comme le montrent actuellement les idéologies de la pensée unique et celles de la technoscience qui prétendent réduire Dieu à l’insignifiance et les hommes à des masses qu’on peut manipuler. Ceci, de nos jours, peut être également illustré par les structures de péché liées à un modèle erroné de développement fondé sur l’idolâtrie de l’argent qui rend indifférentes au destin des pauvres les personnes et les sociétés les plus riches, qui leur ferment les portes, refusant même de les voir.

Pour tous, le Carême de cette Année jubilaire est donc un temps favorable qui permet finalement de sortir de notre aliénation existentielle grâce à l’écoute de la Parole et aux œuvres de miséricorde. Si à travers les œuvres corporelles nous touchons la chair du Christ dans nos frères et nos sœurs qui ont besoin d’être nourris, vêtus, hébergés, visités, les œuvres spirituelles, quant à elles, - conseiller, enseigner, pardonner, avertir, prier - touchent plus directement notre condition de pécheurs. C’est pourquoi les œuvres corporelles et les œuvres spirituelles ne doivent jamais être séparées. En effet, c’est justement en touchant la chair de Jésus Crucifié dans le plus nécessiteux que le pécheur peut recevoir en don la conscience de ne se savoir lui-même rien d’autre qu’un pauvre mendiant. Grâce à cette voie, "les hommes au cœur superbe", "les puissants" et "les riches", dont parle le Magnificatont la possibilité de reconnaître qu’ils sont, eux aussi, aimés de façon imméritée par le Christ Crucifié, mort et ressuscité également pour eux. Cet amour constitue la seule réponse à cette soif de bonheur et d’amour infinis que l’homme croit à tort pouvoir combler au moyen des idoles du savoir, du pouvoir et de l’avoir. Mais il existe toujours le danger qu’à cause d’une fermeture toujours plus hermétique à l’égard du Christ, qui dans la personne du pauvre continue à frapper à la porte de leur cœur, les hommes au cœur superbe, les riches et les puissants finissent par se condamner eux-mêmes à sombrer dans cet abîme éternel de solitude qu’est l’enfer. C’est alors que résonnent à nouveau, pour eux comme pour nous tous, les paroles ardentes d’Abraham:«Ils ont Moïse et les Prophètes, qu’ils les écoutent!» (Lc 16,29). Cette écoute agissante nous préparera le mieux à fêter la victoire définitive sur le péché et sur la mort de l’Epoux qui est désormais ressuscité, et qui désire purifier sa future Épouse dans l’attente de son retour.

Ne laissons pas passer en vain ce temps de Carême favorable à la conversion! Nous le demandons par l’intercession maternelle de la Vierge Marie, qui, la première, face à la grandeur de la miséricorde divine dont elle a bénéficié gratuitement, a reconnu sa propre petitesse (cf. Lc 1,48) en se reconnaissant comme l’humble Servante du Seigneur (cf. Lc 1,38).

Du Vatican, 4 octobre 2015

Fête de Saint-François d’Assis

FRANCISCUS

[00115-FR.01] [Texte original: Italien]

 

Testo in lingua inglese

«“I desire mercy, and not sacrifice” (Mt 9:13).

The works of mercy on the road of the Jubilee»

1. Mary, the image of a Church which evangelizes because she is evangelized

In the Bull of Indiction of the Extraordinary Jubilee of Mercy, I asked that “the season of Lent in this Jubilee Year be lived more intensely as a privileged moment to celebrate and experience God’s mercy” (Misericordiae Vultus, 17). By calling for an attentive listening to the word of God and encouraging the initiative “24 Hours for the Lord”, I sought to stress the primacy of prayerful listening to God’s word, especially his prophetic word. The mercy of God is a proclamation made to the world, a proclamation which each Christian is called to experience at first hand. For this reason, during the season of Lent I will send out Missionaries of Mercy as a concrete sign to everyone of God’s closeness and forgiveness.

After receiving the Good News told to her by the Archangel Gabriel, Mary, in her Magnificat, prophetically sings of the mercy whereby God chose her. The Virgin of Nazareth, betrothed to Joseph, thus becomes the perfect icon of the Church which evangelizes, for she was, and continues to be, evangelized by the Holy Spirit, who made her virginal womb fruitful. In the prophetic tradition, mercy is strictly related – even on the etymological level – to the maternal womb (rahamim) and to a generous, faithful and compassionate goodness (hesed) shown within marriage and family relationships.

2. God’s covenant with humanity: a history of mercy

The mystery of divine mercy is revealed in the history of the covenant between God and his people Israel. God shows himself ever rich in mercy, ever ready to treat his people with deep tenderness and compassion, especially at those tragic moments when infidelity ruptures the bond of the covenant, which then needs to be ratified more firmly in justice and truth. Here is a true love story, in which God plays the role of the betrayed father and husband, while Israel plays the unfaithful child and bride. These domestic images – as in the case of Hosea (cf. Hos 1-2) – show to what extent God wishes to bind himself to his people.

This love story culminates in the incarnation of God’s Son. In Christ, the Father pours forth his boundless mercy even to making him “mercy incarnate” (Misericordiae Vultus, 8). As a man, Jesus of Nazareth is a true son of Israel; he embodies that perfect hearing required of every Jew by the Shema, which today too is the heart of God’s covenant with Israel: “Hear, O Israel: The Lord our God is one Lord; and you shall love the Lord your God with all your heart, and with all your soul, and with all your might” (Dt 6:4-5). As the Son of God, he is the Bridegroom who does everything to win over the love of his bride, to whom he is bound by an unconditional love which becomes visible in the eternal wedding feast.

This is the very heart of the apostolic kerygma, in which divine mercy holds a central and fundamental place. It is “the beauty of the saving love of God made manifest in Jesus Christ who died and rose from the dead” (Evangelii Gaudium, 36), that first proclamation which “we must hear again and again in different ways, the one which we must announce one way or another throughout the process of catechesis, at every level and moment” (ibid., 164). Mercy “expresses God’s way of reaching out to the sinner, offering him a new chance to look at himself, convert, and believe” (Misericordiae Vultus, 21), thus restoring his relationship with him. In Jesus crucified, God shows his desire to draw near to sinners, however far they may have strayed from him. In this way he hopes to soften the hardened heart of his Bride.

3. The works of mercy

God’s mercy transforms human hearts; it enables us, through the experience of a faithful love, to become merciful in turn. In an ever new miracle, divine mercy shines forth in our lives, inspiring each of us to love our neighbour and to devote ourselves to what the Church’s tradition calls the spiritual and corporal works of mercy. These works remind us that faith finds expression in concrete everyday actions meant to help our neighbours in body and spirit: by feeding, visiting, comforting and instructing them. On such things will we be judged. For this reason, I expressed my hope that “the Christian people may reflect on the corporal and spiritual works of mercy; this will be a way to reawaken our conscience, too often grown dull in the face of poverty, and to enter more deeply into the heart of the Gospel where the poor have a special experience of God’s mercy” (ibid., 15). For in the poor, the flesh of Christ “becomes visible in the flesh of the tortured, the crushed, the scourged, the malnourished, and the exiled… to be acknowledged, touched, and cared for by us” (ibid.). It is the unprecedented and scandalous mystery of the extension in time of the suffering of the Innocent Lamb, the burning bush of gratuitous love. Before this love, we can, like Moses, take off our sandals (cf. Ex 3:5), especially when the poor are our brothers or sisters in Christ who are suffering for their faith.

In the light of this love, which is strong as death (cf. Song 8:6), the real poor are revealed as those who refuse to see themselves as such. They consider themselves rich, but they are actually the poorest of the poor. This is because they are slaves to sin, which leads them to use wealth and power not for the service of God and others, but to stifle within their hearts the profound sense that they too are only poor beggars. The greater their power and wealth, the more this blindness and deception can grow. It can even reach the point of being blind to Lazarus begging at their doorstep (cf. Lk 16:20-21). Lazarus, the poor man, is a figure of Christ, who through the poor pleads for our conversion. As such, he represents the possibility of conversion which God offers us and which we may well fail to see. Such blindness is often accompanied by the proud illusion of our own omnipotence, which reflects in a sinister way the diabolical “you will be like God” (Gen 3:5) which is the root of all sin. This illusion can likewise take social and political forms, as shown by the totalitarian systems of the twentieth century, and, in our own day, by the ideologies of monopolizing thought and technoscience, which would make God irrelevant and reduce man to raw material to be exploited. This illusion can also be seen in the sinful structures linked to a model of false development based on the idolatry of money, which leads to lack of concern for the fate of the poor on the part of wealthier individuals and societies; they close their doors, refusing even to see the poor.

For all of us, then, the season of Lent in this Jubilee Year is a favourable time to overcome our existential alienation by listening to God’s word and by practising the works of mercy. In the corporal works of mercy we touch the flesh of Christ in our brothers and sisters who need to be fed, clothed, sheltered, visited; in the spiritual works of mercy – counsel, instruction, forgiveness, admonishment and prayer – we touch more directly our own sinfulness. The corporal and spiritual works of mercy must never be separated. By touching the flesh of the crucified Jesus in the suffering, sinners can receive the gift of realizing that they too are poor and in need. By taking this path, the “proud”, the “powerful” and the “wealthy” spoken of in the Magnificat can also be embraced and undeservedly loved by the crucified Lord who died and rose for them. This love alone is the answer to that yearning for infinite happiness and love that we think we can satisfy with the idols of knowledge, power and riches. Yet the danger always remains that by a constant refusal to open the doors of their hearts to Christ who knocks on them in the poor, the proud, rich and powerful will end up condemning themselves and plunging into the eternal abyss of solitude which is Hell. The pointed words of Abraham apply to them and to all of us: “They have Moses and the prophets; let them hear them” (Lk 16:29). Such attentive listening will best prepare us to celebrate the final victory over sin and death of the Bridegroom, now risen, who desires to purify his Betrothed in expectation of his coming.

Let us not waste this season of Lent, so favourable a time for conversion! We ask this through the maternal intercession of the Virgin Mary, who, encountering the greatness of God’s mercy freely bestowed upon her, was the first to acknowledge her lowliness (cf. Lk 1:48) and to call herself the Lord’s humble servant (cf. Lk 1:38).

From the Vatican, 4 October 2015

Feast of Saint Francis of Assisi

FRANCISCUS

[00115-EN.01] [Original text: Italian]

Testo in lingua tedesca

«„Barmherzigkeit will ich, nicht Opfer“ (Mt 9,13)

Die Werke der Barmherzigkeit auf dem Weg des Jubiläums»

1. Maria, Bild einer Kirche, die das Evangelium verkündet, weil sie vom Evangelium durchdrungen ist.

In der Verkündigungsbulle des Jubiläums habe ich dazu eingeladen, dass »die österliche Bußzeit […] in diesem Jubiläumsjahr noch stärker gelebt werden [soll] als eine besondere Zeit, in der es gilt, die Barmherzigkeit Gottes zu feiern und zu erfahren« (Misericordiae Vultus, 17). Mit dem Aufruf, auf das Wort Gottes zu hören, sowie zur Initiative „24 Stunden für den Herrn“ wollte ich den Vorrang des betenden Hörens auf das Wort – insbesondere auf das prophetische Wort – unterstreichen. Die Barmherzigkeit Gottes ist nämlich eine Verkündigung an die Welt: Jeder Christ aber ist aufgerufen, die Realität dieser Verkündigung ganz persönlich an sich selbst zu erfahren. Eben deswegen werde ich in der Fastenzeit die Missionare der Barmherzigkeit aussenden, damit sie für alle ein konkretes Zeichen der Nähe und der Vergebung Gottes seien.

Da Maria die durch den Erzengel Gabriel überbrachte Frohe Botschaft angenommen hat, besingt sie im Magnificat prophetisch die Barmherzigkeit, mit der Gott sie auserwählt hat. So wird die Jungfrau von Nazareth, die Verlobte Josefs, zum vollkommenen Bild der Kirche, die das Evangelium verkündet, weil sie selbst durch das Wirken des Heiligen Geistes, der ihren jungfräulichen Schoß fruchtbar gemacht hat, vom Evangelium durchdrungen wurde und immer neu durchdrungen wird. In der prophetischen Tradition steht – schon auf etymologischer Ebene – die Barmherzigkeit in engem Zusammenhang mit dem Mutterschoß (rahamim – rehem) sowie mit der großherzigen, treuen und mitfühlenden Güte (hesed), die in den ehelichen und verwandtschaftlichen Beziehungen zum Tragen kommt.

2. Der Bund Gottes mit den Menschen: eine Geschichte der Barmherzigkeit

Das Geheimnis der göttlichen Barmherzigkeit offenbart sich im Laufe der Geschichte des Bundes Gottes mit seinem Volk Israel. Gott erweist sich nämlich immer reich an Erbarmen und ist bereit, bei jeder Gelegenheit seinem Volk mit tief empfundener Zärtlichkeit und Anteilnahme zu begegnen, vor allem in den ganz dramatischen Augenblicken, wenn die Treulosigkeit des Volkes den Bund bricht und das Bündnis auf stabilere Weise in Gerechtigkeit und Wahrheit neu bestätigt werden muss. Wir haben es hier mit einem regelrechten Liebesdrama zu tun, in dem Gott die Rolle des betrogenen Vaters und Ehemannes spielt, während Israel den treulosen Sohn, die treuelose Tochter oder Braut verkörpert. Es sind gerade die Bilder aus dem Familienleben – wie im Fall Hoseas (vgl. Hos 1-2) –, die ausdrücken, wie weit Gott sich mit seinem Volk verbinden möchte.

Dieses Liebesdrama erreicht im menschgewordenen Sohn seinen Höhepunkt. In ihm gießt Gott seine grenzenlose Barmherzigkeit in solchem Maße aus, dass er ihn zur „inkarnierten Barmherzigkeit“ (vgl. Misericordiae Vultus, 8) macht. Als Mensch ist Jesus von Nazareth gänzlich Sohn Israels, bis hin zur Verkörperung jenes innigen Hörens auf Gott, zu dem alle Juden durch das Schema aufgerufen sind, das auch heute noch das Herz des Bundes zwischen Gott und Israel bildet: »Höre, Israel! Jahwe, unser Gott, Jahwe ist einzig. Darum sollst du den Herrn, deinen Gott, lieben mit ganzem Herzen, mit ganzer Seele und mit ganzer Kraft« (Dtn 6,4-5). Als Sohn Gottes ist er der Bräutigam, der alles unternimmt, um die Liebe seiner Braut zu gewinnen, an die ihn seine bedingungslose Liebe bindet, die dadurch sichtbar wird, dass er sich auf ewig mit ihr vermählt.

Dies ist der lebendige Kern des apostolischen Kerygmas, in dem die göttliche Barmherzigkeit eine zentrale und grundlegende Stellung einnimmt. Es ist »die Schönheit der heilbringenden Liebe Gottes, die sich im gestorbenen und auferstandenen Jesus Christus offenbart hat« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 36), jene erste Verkündigung, »die man immer wieder auf verschiedene Weisen neu hören muss und die man in der einen oder anderen Form im Lauf der Katechese […] immer wieder verkünden muss« (ebd., 164). Die Barmherzigkeit »drückt [dann] die Haltung Gottes gegenüber dem Sünder aus, dem er eine weitere Möglichkeit zur Reue, zur Umkehr und zum Glauben anbietet« (Misericordiae Vultus, 21), um auf diese Weise die Beziehung zu Ihm wiederherzustellen. Im Gekreuzigten geht Gott schließlich so weit, den Sünder in seiner äußersten Entferntheit erreichen zu wollen, genau dort, wo dieser sich verirrt und von ihm abgewandt hat. Und dies tut er in der Hoffnung, dadurch endlich das verhärtete Herz seiner Braut zu rühren.

3. Die Werke der Barmherzigkeit

Die Barmherzigkeit Gottes verwandelt das Herz des Menschen, lässt ihn eine treue Liebe erfahren und befähigt ihn so seinerseits zur Barmherzigkeit. Es ist ein stets neues Wunder, dass die göttliche Barmherzigkeit sich im Leben eines jeden von uns ausbreiten kann, uns so zur Nächstenliebe motiviert und jene Werke anregt, welche die Tradition der Kirche die Werke der leiblichen und der geistigen Barmherzigkeit nennt. Sie erinnern uns daran, dass unser Glaube sich in konkreten täglichen Handlungen niederschlägt, deren Ziel es ist, unserem Nächsten an Leib und Geist zu helfen, und nach denen wir einst gerichtet werden: den Nächsten zu speisen, zu besuchen, zu trösten, zu erziehen. Daher war es mein Wunsch, »dass die Christen während des Jubiläums über die leiblichen und geistigen Werke der Barmherzigkeit nachdenken. Das wird eine Form sein, unser Gewissen, das gegenüber dem Drama der Armut oft eingeschlafen ist, wachzurütteln und immer mehr in die Herzmitte des Evangeliums vorzustoßen, in dem die Armen die Bevorzugten der göttlichen Barmherzigkeit sind« (ebd., 15). Im Armen nämlich wird das Fleisch Christi neuerlich sichtbar; es wird »erneut sichtbar in jedem gemarterten, verwundeten, gepeitschten, unterernährten, zur Flucht gezwungenen Leib …, damit wir Ihn erkennen, Ihn berühren, Ihm sorgsam beistehen« (ebd.). Das unglaubliche und unerhörte Geheimnis der Fortdauer des Leidens des unschuldigen Lammes im Laufe der Geschichte: ein brennender Dornbusch bedingungsloser Liebe, vor dem man sich wie Moses nur die Schuhe ausziehen kann (vgl. Ex 3,5) – umso mehr, wenn die Armen Brüder oder Schwestern in Christus sind, die wegen ihres Glaubens leiden.

Vor dieser Liebe, die stark ist wie der Tod (vgl. Hld 8,6), erweist sich jener als der Ärmste, der nicht bereit ist, seine Armut einzugestehen. Er meint, reich zu sein, ist aber in Wirklichkeit der Ärmste unter den Armen. Denn er ist Sklave der Sünde, die ihn dazu drängt, Reichtum und Macht nicht zum Dienst an Gott und am Nächsten einzusetzen, sondern um in sich das tiefe Wissen zu ersticken, dass auch er nichts als ein armer Bettler ist. Und je größer die Macht und der Reichtum sind, über die er verfügt, desto größer kann diese trügerische Verblendung werden. Das geht so weit, dass er den armen Lazarus, der vor seiner Haustür bettelt (vgl. Lk 16,20-21), nicht einmal sehen will – dabei ist Lazarus ein Bild Christi, der in den Armen um unsere Bekehrung bettelt. Lazarus ist die Möglichkeit zur Bekehrung, die Gott uns bietet und die wir vielleicht gar nicht sehen. Mit dieser Verblendung geht ein hochmütiger Allmachtswahn einher, in dem unheilvoll jenes dämonische „Ihr werdet sein wie Gott“ anklingt (vgl. Gen 3,5), das die Wurzel aller Sünde ist. Dieser Wahn kann gesellschaftliche und politische Formen annehmen, wie die totalitären Systeme des zwanzigsten Jahrhunderts gezeigt haben und wie dies heute die Ideologien des vereinheitlichten Denkens und der Technoscience zeigen, die sich anmaßen, Gott als irrelevant abzutun und den Menschen auf eine zu instrumentalisierende Masse zu reduzieren. Und dieser Wahn kann gegenwärtig auch in den Strukturen der Sünde zum Ausdruck kommen, die mit einem irrigen Entwicklungsmodell in Zusammenhang stehen, das auf der Vergötterung des Geldes beruht. Dies führt zur Gleichgültigkeit der reicheren Menschen und Gesellschaften gegenüber dem Schicksal von Armen, denen sie ihre Türen verschließen und die zu sehen sie sich sogar weigern.

Die Fastenzeit in diesem Jubiläumsjahr ist also für alle eine geeignete Zeit, um durch das Hören auf Gottes Wort und durch Werke der Barmherzigkeit endlich die eigene existenzielle Entfremdung zu überwinden. Wenn wir durch die leiblichen Werke das Fleisch Christi in unseren Brüdern und Schwestern berühren, die bedürftig sind, gespeist, bekleidet, beherbergt und besucht zu werden, dann berühren die geistigen Werke unmittelbarer unser Sünder-Sein: beraten, belehren, verzeihen, zurechtweisen, beten. Die leiblichen und die geistigen Werke dürfen daher nie voneinander getrennt werden. Denn gerade indem der Sünder im Armen das Fleisch des gekreuzigten Jesus Christus berührt, kann ihm – gleichsam als Geschenk – bewusst werden, dass er selbst ein armer Bettler ist. Auf diesem Weg haben auch die „Hochmütigen“, die „Mächtigen“ und die „Reichen“, von denen das Magnificat spricht, die Möglichkeit zu erkennen, dass sie vom Gekreuzigten, der auch für sie gestorben und auferstanden ist, unverdient geliebt werden. Einzig in dieser Liebe liegt die Antwort auf jenes Sehnen nach ewigem Glück und ewiger Liebe, das der Mensch mit Hilfe der Götzen des Wissens, der Macht und des Reichtums meint stillen zu können. Es bleibt jedoch immer die Gefahr bestehen, dass die Hochmütigen, die Reichen und die Mächtigen dadurch, dass sie sich immer hermetischer vor Christus verschließen, der im Armen weiter an die Tür ihres Herzens klopft, am Ende sich selbst dazu verurteilen, in jenem ewigen Abgrund der Einsamkeit zu versinken, den die Hölle darstellt. Deshalb erschallen für sie wie für uns alle erneut die inständigen Worte Abrahams: »Sie haben Mose und die Propheten, auf die sollen sie hören« (Lk 16,29). Dieses tätige Hören wird uns am besten dafür vorbereiten, den endgültigen Sieg über die Sünde und den Tod des schon auferstandenen Bräutigams zu feiern, der seine Braut reinigen möchte in Erwartung seines Kommens.

Versäumen wir nicht diesen für die Bekehrung günstigen Moment der Fastenzeit! Darum bitten wir unter Anrufung der mütterlichen Fürsprache der Jungfrau Maria, die als Erste vor der Größe der göttlichen Barmherzigkeit, die ihr unentgeltlich zuteil wurde, die eigene Niedrigkeit erkannte (vgl. Lk 1,48) und sich als einfache Magd des Herrn bezeichnete (vgl. Lk 1,38).

Aus dem Vatikan, am 4. Oktober 2015,

dem Fest des heiligen Franziskus von Assisi

FRANCISCUS

[00115-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Testo in lingua spagnola

«“Misericordia quiero y no sacrificio” (Mt 9,13).

Las obras de misericordia en el camino jubilar»

1. María, icono de una Iglesia que evangeliza porque es evangelizada

En la Bula de convocación del Jubileo invité a que «la Cuaresma de este Año Jubilar sea vivida con mayor intensidad, como momento fuerte para celebrar y experimentar la misericordia de Dios» (Misericordiae vultus, 17). Con la invitación a escuchar la Palabra de Dios y a participar en la iniciativa «24 horas para el Señor» quise hacer hincapié en la primacía de la escucha orante de la Palabra, especialmente de la palabra profética. La misericordia de Dios, en efecto, es un anuncio al mundo: pero cada cristiano está llamado a experimentar en primera persona ese anuncio. Por eso, en el tiempo de la Cuaresma enviaré a los Misioneros de la Misericordia, a fin de que sean para todos un signo concreto de la cercanía y del perdón de Dios.

María, después de haber acogido la Buena Noticia que le dirige el arcángel Gabriel, María canta proféticamente en el Magnificat la misericordia con la que Dios la ha elegido. La Virgen de Nazaret, prometida con José, se convierte así en el icono perfecto de la Iglesia que evangeliza, porque fue y sigue siendo evangelizada por obra del Espíritu Santo, que hizo fecundo su vientre virginal. En la tradición profética, en su etimología, la misericordia está estrechamente vinculada, precisamente con las entrañas maternas (rahamim) y con una bondad generosa, fiel y compasiva (hesed) que se tiene en el seno de las relaciones conyugales y parentales.

2. La alianza de Dios con los hombres: una historia de misericordia

El misterio de la misericordia divina se revela a lo largo de la historia de la alianza entre Dios y su pueblo Israel. Dios, en efecto, se muestra siempre rico en misericordia, dispuesto a derramar en su pueblo, en cada circunstancia, una ternura y una compasión visceral, especialmente en los momentos más dramáticos, cuando la infidelidad rompe el vínculo del Pacto y es preciso ratificar la alianza de modo más estable en la justicia y la verdad. Aquí estamos frente a un auténtico drama de amor, en el cual Dios desempña el papel de padre y de marido traicionado, mientras que Israel el de hijo/hija y el de esposa infiel. Son justamente las imágenes familiares —como en el caso de Oseas (cf. Os 1-2)— las que expresan hasta qué punto Dios desea unirse a su pueblo.

Este drama de amor alcanza su culmen en el Hijo hecho hombre. En él Dios derrama su ilimitada misericordia hasta tal punto que hace de él la «Misericordia encarnada» (Misericordiae vultus, 8). En efecto, como hombre, Jesús de Nazaret es hijo de Israel a todos los efectos. Y lo es hasta tal punto que encarna la escucha perfecta de Dios que el Shemà requiere a todo judío, y que todavía hoy es el corazón de la alianza de Dios con Israel: «Escucha, Israel: El Señor es nuestro Dios, el Señor es uno solo. Amarás, pues, al Señor, tu Dios, con todo tu corazón, con toda tu alma y con todas tus fuerzas» (Dt 6,4-5). El Hijo de Dios es el Esposo que hace cualquier cosa por ganarse el amor de su Esposa, con quien está unido con un amor incondicional, que se hace visible en las nupcias eternas con ella.

Es éste el corazón del kerygma apostólico, en el cual la misericordia divina ocupa un lugar central y fundamental. Es «la belleza del amor salvífico de Dios manifestado en Jesucristo muerto y resucitado» (Exh. ap. Evangelii gaudium, 36), el primer anuncio que «siempre hay que volver a escuchar de diversas maneras y siempre hay que volver a anunciar de una forma o de otra a lo largo de la catequesis» (ibíd., 164). La Misericordia entonces «expresa el comportamiento de Dios hacia el pecador, ofreciéndole una ulterior posibilidad para examinarse, convertirse y creer» (Misericordiae vultus, 21), restableciendo de ese modo la relación con él. Y, en Jesús crucificado, Dios quiere alcanzar al pecador incluso en su lejanía más extrema, justamente allí donde se perdió y se alejó de Él. Y esto lo hace con la esperanza de poder así, finalmente, enternecer el corazón endurecido de su Esposa.

3. Las obras de misericordia

La misericordia de Dios transforma el corazón del hombre haciéndole experimentar un amor fiel, y lo hace a su vez capaz de misericordia. Es siempre un milagro el que la misericordia divina se irradie en la vida de cada uno de nosotros, impulsándonos a amar al prójimo y animándonos a vivir lo que la tradición de la Iglesia llama las obras de misericordia corporales y espirituales. Ellas nos recuerdan que nuestra fe se traduce en gestos concretos y cotidianos, destinados a ayudar a nuestro prójimo en el cuerpo y en el espíritu, y sobre los que seremos juzgados: nutrirlo, visitarlo, consolarlo y educarlo. Por eso, expresé mi deseo de que «el pueblo cristiano reflexione durante el Jubileo sobre las obras de misericordia corporales y espirituales. Será un modo para despertar nuestra conciencia, muchas veces aletargada ante el drama de la pobreza, y para entrar todavía más en el corazón del Evangelio, donde los pobres son los privilegiados de la misericordia divina» (ibíd., 15). En el pobre, en efecto, la carne de Cristo «se hace de nuevo visible como cuerpo martirizado, llagado, flagelado, desnutrido, en fuga... para que nosotros lo reconozcamos, lo toquemos y lo asistamos con cuidado» (ibíd.). Misterio inaudito y escandaloso la continuación en la historia del sufrimiento del Cordero Inocente, zarza ardiente de amor gratuito ante el cual, como Moisés, sólo podemos quitarnos las sandalias (cf. Ex 3,5); más aún cuando el pobre es el hermano o la hermana en Cristo que sufren a causa de su fe.

Ante este amor fuerte como la muerte (cf. Ct 8,6), el pobre más miserable es quien no acepta reconocerse como tal. Cree que es rico, pero en realidad es el más pobre de los pobres. Esto es así porque es esclavo del pecado, que lo empuja a utilizar la riqueza y el poder no para servir a Dios y a los demás, sino parar sofocar dentro de sí la íntima convicción de que tampoco él es más que un pobre mendigo. Y cuanto mayor es el poder y la riqueza a su disposición, tanto mayor puede llegar a ser este engañoso ofuscamiento. Llega hasta tal punto que ni siquiera ve al pobre Lázaro, que mendiga a la puerta de su casa (cf. Lc 16,20-21), y que es figura de Cristo que en los pobres mendiga nuestra conversión. Lázaro es la posibilidad de conversión que Dios nos ofrece y que quizá no vemos. Y este ofuscamiento va acompañado de un soberbio delirio de omnipotencia, en el cual resuena siniestramente el demoníaco «seréis como Dios» (Gn 3,5) que es la raíz de todo pecado. Ese delirio también puede asumir formas sociales y políticas, como han mostrado los totalitarismos del siglo XX, y como muestran hoy las ideologías del pensamiento único y de la tecnociencia, que pretenden hacer que Dios sea irrelevante y que el hombre se reduzca a una masa para utilizar. Y actualmente también pueden mostrarlo las estructuras de pecado vinculadas a un modelo falso de desarrollo, basado en la idolatría del dinero, como consecuencia del cual las personas y las sociedades más ricas se vuelven indiferentes al destino de los pobres, a quienes cierran sus puertas, negándose incluso a mirarlos.

La Cuaresma de este Año Jubilar, pues, es para todos un tiempo favorable para salir por fin de nuestra alienación existencial gracias a la escucha de la Palabra y a las obras de misericordia. Mediante las corporales tocamos la carne de Cristo en los hermanos y hermanas que necesitan ser nutridos, vestidos, alojados, visitados, mientras que las espirituales tocan más directamente nuestra condición de pecadores: aconsejar, enseñar, perdonar, amonestar, rezar. Por tanto, nunca hay que separar las obras corporales de las espirituales. Precisamente tocando en el mísero la carne de Jesús crucificado el pecador podrá recibir como don la conciencia de que él mismo es un pobre mendigo. A través de este camino también los «soberbios», los «poderosos» y los «ricos», de los que habla el Magnificat, tienen la posibilidad de darse cuenta de que son inmerecidamente amados por Cristo crucificado, muerto y resucitado por ellos. Sólo en este amor está la respuesta a la sed de felicidad y de amor infinitos que el hombre —engañándose— cree poder colmar con los ídolos del saber, del poder y del poseer. Sin embargo, siempre queda el peligro de que, a causa de un cerrarse cada vez más herméticamente a Cristo, que en el pobre sigue llamando a la puerta de su corazón, los soberbios, los ricos y los poderosos acaben por condenarse a sí mismos a caer en el eterno abismo de soledad que es el infierno. He aquí, pues, que resuenan de nuevo para ellos, al igual que para todos nosotros, las lacerantes palabras de Abrahán: «Tienen a Moisés y los Profetas; que los escuchen» (Lc 16,29). Esta escucha activa nos preparará del mejor modo posible para celebrar la victoria definitiva sobre el pecado y sobre la muerte del Esposo ya resucitado, que desea purificar a su Esposa prometida, a la espera de su venida.

No perdamos este tiempo de Cuaresma favorable para la conversión. Lo pedimos por la intercesión materna de la Virgen María, que fue la primera que, frente a la grandeza de la misericordia divina que recibió gratuitamente, confesó su propia pequeñez (cf. Lc 1,48), reconociéndose como la humilde esclava del Señor (cf. Lc 1,38).

Vaticano, 4 de octubre de 2015

Fiesta de San Francisco de Assis

FRANCISCUS

[00115-ES.01] [Texto original: Italiano]

 

Testo in lingua portoghese

 

«“Prefiro a misericórdia ao sacrifício” (Mt 9, 13).

As obras de misericórdia no caminho jubilar»

1. Maria, ícone duma Igreja que evangeliza porque evangelizada

Na Bula de proclamação do Jubileu, fiz o convite para que «a Quaresma deste Ano Jubilar seja vivida mais intensamente como tempo forte para celebrar e experimentar a misericórdia de Deus» (Misericordiӕ Vultus, 17). Com o apelo à escuta da Palavra de Deus e à iniciativa «24 horas para o Senhor», quis sublinhar a primazia da escuta orante da Palavra, especialmente a palavra profética. Com efeito, a misericórdia de Deus é um anúncio ao mundo; mas cada cristão é chamado a fazer pessoalmente experiência de tal anúncio. Por isso, no tempo da Quaresma, enviarei os Missionários da Misericórdia a fim de serem, para todos, um sinal concreto da proximidade e do perdão de Deus.

Maria, por ter acolhido a Boa Notícia que Lhe fora dada pelo arcanjo Gabriel, canta profeticamente, no Magnificat, a misericórdia com que Deus A predestinou. Deste modo a Virgem de Nazaré, prometida esposa de José, torna-se o ícone perfeito da Igreja que evangeliza porque foi e continua a ser evangelizada por obra do Espírito Santo, que fecundou o seu ventre virginal. Com efeito, na tradição profética, a misericórdia aparece estreitamente ligada – mesmo etimologicamente – com as vísceras maternas (rahamim) e com uma bondade generosa, fiel e compassiva (hesed) que se vive no âmbito das relações conjugais e parentais.

2. A aliança de Deus com os homens: uma história de misericórdia

O mistério da misericórdia divina desvenda-se no decurso da história da aliança entre Deus e o seu povo Israel. Na realidade, Deus mostra-Se sempre rico de misericórdia, pronto em qualquer circunstância a derramar sobre o seu povo uma ternura e uma compaixão viscerais, sobretudo nos momentos mais dramáticos quando a infidelidade quebra o vínculo do Pacto e se requer que a aliança seja ratificada de maneira mais estável na justiça e na verdade. Encontramo-nos aqui perante um verdadeiro e próprio drama de amor, no qual Deus desempenha o papel de pai e marido traído, enquanto Israel desempenha o de filho/filha e esposa infiéis. São precisamente as imagens familiares – como no caso de Oseias (cf. Os 1-2) – que melhor exprimem até que ponto Deus quer ligar-Se ao seu povo.

Este drama de amor alcança o seu ápice no Filho feito homem. N’Ele, Deus derrama a sua misericórdia sem limites até ao ponto de fazer d’Ele a Misericórdia encarnada (cf. Misericordiӕ Vultus, 8). Na realidade, Jesus de Nazaré enquanto homem é, para todos os efeitos, filho de Israel. E é-o ao ponto de encarnar aquela escuta perfeita de Deus que se exige a cada judeu pelo Shemà, fulcro ainda hoje da aliança de Deus com Israel: «Escuta, Israel! O Senhor é nosso Deus; o Senhor é único! Amarás o Senhor, teu Deus, com todo o teu coração, com toda a tua alma e com todas as tuas forças» (Dt 6, 4-5). O Filho de Deus é o Esposo que tudo faz para ganhar o amor da sua Esposa, à qual O liga o seu amor incondicional que se torna visível nas núpcias eternas com ela.

Este é o coração pulsante do querigma apostólico, no qual ocupa um lugar central e fundamental a misericórdia divina. Nele sobressai «a beleza do amor salvífico de Deus manifestado em Jesus Cristo morto e ressuscitado» (Evangelii gaudium, 36), aquele primeiro anúncio que «sempre se tem de voltar a ouvir de diferentes maneiras e aquele que sempre se tem de voltar a anunciar, duma forma ou doutra, durante a catequese» (Ibid., 164). Então a Misericórdia «exprime o comportamento de Deus para com o pecador, oferecendo-lhe uma nova possibilidade de se arrepender, converter e acreditar» (Misericordiӕ Vultus, 21), restabelecendo precisamente assim a relação com Ele. E, em Jesus crucificado, Deus chega ao ponto de querer alcançar o pecador no seu afastamento mais extremo, precisamente lá onde ele se perdeu e afastou d'Ele. E faz isto na esperança de assim poder finalmente comover o coração endurecido da sua Esposa.

3. As obras de misericórdia

A misericórdia de Deus transforma o coração do homem e faz-lhe experimentar um amor fiel, tornando-o assim, por sua vez, capaz de misericórdia. É um milagre sempre novo que a misericórdia divina possa irradiar-se na vida de cada um de nós, estimulando-nos ao amor do próximo e animando aquilo que a tradição da Igreja chama as obras de misericórdia corporal e espiritual. Estas recordam-nos que a nossa fé se traduz em actos concretos e quotidianos, destinados a ajudar o nosso próximo no corpo e no espírito e sobre os quais havemos de ser julgados: alimentá-lo, visitá-lo, confortá-lo, educá-lo. Por isso, expressei o desejo de que «o povo cristão reflicta, durante o Jubileu, sobre as obras de misericórdia corporal e espiritual. Será uma maneira de acordar a nossa consciência, muitas vezes adormecida perante o drama da pobreza, e de entrar cada vez mais no coração do Evangelho, onde os pobres são os privilegiados da misericórdia divina» (Ibid., 15). Realmente, no pobre, a carne de Cristo «torna-se de novo visível como corpo martirizado, chagado, flagelado, desnutrido, em fuga... a fim de ser reconhecido, tocado e assistido cuidadosamente por nós» (Ibid., 15). É o mistério inaudito e escandaloso do prolongamento na história do sofrimento do Cordeiro Inocente, sarça ardente de amor gratuito na presença da qual podemos apenas, como Moisés, tirar as sandálias (cf. Ex 3, 5); e mais ainda, quando o pobre é o irmão ou a irmã em Cristo que sofre por causa da sua fé.

Diante deste amor forte como a morte (cf. Ct 8, 6), fica patente como o pobre mais miserável seja aquele que não aceita reconhecer-se como tal. Pensa que é rico, mas na realidade é o mais pobre dos pobres. E isto porque é escravo do pecado, que o leva a utilizar riqueza e poder, não para servir a Deus e aos outros, mas para sufocar em si mesmo a consciência profunda de ser, ele também, nada mais que um pobre mendigo. E quanto maior for o poder e a riqueza à sua disposição, tanto maior pode tornar-se esta cegueira mentirosa. Chega ao ponto de não querer ver sequer o pobre Lázaro que mendiga à porta da sua casa (cf. Lc 16, 20-21), sendo este figura de Cristo que, nos pobres, mendiga a nossa conversão. Lázaro é a possibilidade de conversão que Deus nos oferece e talvez não vejamos. E esta cegueira está acompanhada por um soberbo delírio de omnipotência, no qual ressoa sinistramente aquele demoníaco «sereis como Deus» (Gn 3, 5) que é a raiz de qualquer pecado. Tal delírio pode assumir também formas sociais e políticas, como mostraram os totalitarismos do século XX e mostram hoje as ideologias do pensamento único e da tecnociência que pretendem tornar Deus irrelevante e reduzir o homem a massa possível de instrumentalizar. E podem actualmente mostrá-lo também as estruturas de pecado ligadas a um modelo de falso desenvolvimento fundado na idolatria do dinheiro, que torna indiferentes ao destino dos pobres as pessoas e as sociedades mais ricas, que lhes fecham as portas recusando-se até mesmo a vê-los.

Portanto a Quaresma deste Ano Jubilar é um tempo favorável para todos poderem, finalmente, sair da própria alienação existencial, graças à escuta da Palavra e às obras de misericórdia. Se, por meio das obras corporais, tocamos a carne de Cristo nos irmãos e irmãs necessitados de ser nutridos, vestidos, alojados, visitados, as obras espirituais tocam mais directamente o nosso ser de pecadores: aconselhar, ensinar, perdoar, admoestar, rezar. Por isso, as obras corporais e as espirituais nunca devem ser separadas. Com efeito, é precisamente tocando, no miserável, a carne de Jesus crucificado que o pecador pode receber, em dom, a consciência de ser ele próprio um pobre mendigo. Por esta estrada, também os «soberbos», os «poderosos» e os «ricos», de que fala o Magnificat, têm a possibilidade de aperceber-se que são, imerecidamente, amados pelo Crucificado, morto e ressuscitado também por eles. Somente neste amor temos a resposta àquela sede de felicidade e amor infinitos que o homem se ilude de poder colmar mediante os ídolos do saber, do poder e do possuir. Mas permanece sempre o perigo de que os soberbos, os ricos e os poderosos – por causa de um fechamento cada vez mais hermético a Cristo, que, no pobre, continua a bater à porta do seu coração – acabem por se condenar precipitando-se eles mesmos naquele abismo eterno de solidão que é o inferno. Por isso, eis que ressoam de novo para eles, como para todos nós, as palavras veementes de Abraão: «Têm Moisés e o Profetas; que os oiçam!» (Lc 16, 29). Esta escuta activa preparar-nos-á da melhor maneira para festejar a vitória definitiva sobre o pecado e a morte conquistada pelo Esposo já ressuscitado, que deseja purificar a sua prometida Esposa, na expectativa da sua vinda.

Não percamos este tempo de Quaresma favorável à conversão! Pedimo-lo pela intercessão materna da Virgem Maria, a primeira que, diante da grandeza da misericórdia divina que Lhe foi concedida gratuitamente, reconheceu a sua pequenez (cf. Lc 1, 48), confessando-Se a humilde serva do Senhor (cf. Lc 1, 38).

Vaticano, 4 de Outubro de 2015

Festa de S. Francisco de Assis

FRANCISCUS

 

[00115-PO.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua polacca

«„Chcę raczej miłosierdzia niż ofiary” (Mt 9,13)

Uczynki miłosierdzia w Roku Jubileuszowym»

1. Maryja, ikona Kościoła ewangelizującego, bo jest ewangelizowany.

W bulli ogłaszającej Jubileusz napisałem: „Niech Wielki Post w Roku Jubileuszowym będzie przeżywany jeszcze bardziej intensywnie, jako ważny moment, by celebrować miłosierdzie Boga i go doświadczać” (Misericordiae Vultus, 17). Przez wezwanie do słuchania Słowa Bożego oraz inicjatywę „24 godziny dla Pana” pragnąłem podkreślić prymat modlitewnego słuchania Słowa Bożego, zwłaszcza prorockiego. Miłosierdzie Boże jest bowiem przesłaniem skierowanym do świata, ale każdy chrześcijanin jest powołany do tego, by sam go doświadczać. Dlatego w czasie Wielkiego Postu roześlę Misjonarzy Miłosierdzia, aby byli dla wszystkich żywym znakiem Bożego przebaczenia i bliskości.

Po przyjęciu od archanioła Gabriela Dobrej Nowiny, Maryja w Magnificat profetycznie sławi miłosierdzie, z którym Bóg Ją wybrał. Tym samym zaręczona z Józefem Dziewica z Nazaretu stała się doskonałą ikoną Kościoła, który ewangelizuje, bo sam jest nieustannie ewangelizowany za sprawą Ducha Świętego, który zapłodnił jej dziewicze łono. W tradycji prorockiej miłosierdzie – jak wskazuje etymologia tego słowa – ma ścisły związek z matczynym łonem (rahamim) i z dobrocią wielkoduszną, wierną i współczującą (hesed), praktykowaną w związkach małżeńskich i w rodzinie.

2. Przymierze Boga z ludźmi: historia miłosierdzia.

Tajemnica Bożego Miłosierdzia objawia się w dziejach Przymierza między Bogiem i Izraelem. Bóg jest bowiem zawsze bogaty w miłosierdzie, w każdych okolicznościach gotowy otoczyć swój lud wielką czułością i współczuciem, zwłaszcza w najbardziej dramatycznych momentach, gdy niewierność zrywa przymierze i trzeba je na nowo ustanowić, w sposób bardziej stabilny, w sprawiedliwości i prawdzie. Jest to prawdziwy dramat miłości, w którym Bóg odgrywa rolę zdradzonego Ojca i męża, a Izrael – niewiernych syna/córki i małżonki. Właśnie obrazy z życia rodzinnego – jak w Księdze Ozeasza (por. Oz 1-2) – pokazują, jak bardzo Bóg pragnie związać się ze swoim ludem.

Ten dramat miłości osiągnął swój szczyt w Synu, który stał się człowiekiem. Na Niego Bóg wylał swe bezgraniczne miłosierdzie, czyniąc z niego „wcielone Miłosierdzie” (por. Misericordiae Vultus, 8). Jako człowiek, Jezus z Nazaretu jest w pełni synem Izraela. Uosabia owo doskonałe słuchanie Boga, które jest wymagane od każdego Żyda w Szema Jisrael, jeszcze dzisiaj stanowiące sedno przymierza Boga z Izraelem: “Słuchaj, Izraelu, Pan jest naszym Bogiem – Pan jedynie. Będziesz więc miłował Pana, Boga twojego, z całego swego serca, z całej duszy swojej, ze wszystkich swych sił” (Pwt 6, 4-5). Syn Boży jest Oblubieńcem czyniącym wszystko, by zdobyć miłość swojej Oblubienicy, z którą łączą Go więzy bezwarunkowej miłości, uwidoczniającej się w wiecznych zaślubinach z nią.

To jest pulsujące serce kerygmatu apostolskiego, w którym Boże miłosierdzie ma centralne i fundamentalne miejsce. On jest „pięknem zbawczej miłości Boga objawionej wJezusie Chrystusie, który umarł izmartwychwstał” (Evangelii gaudium, 36), głównym orędziem, “do którego trzeba stale powracać isłuchać na różne sposoby iktóre trzeba stale głosić podczas katechezy” (tamże, 164). Miłosierdzie zatem wyraża zachowanie Boga w stosunku do grzesznika, ofiarując mu jeszcze jedną możliwość skruchy, nawrócenia i wiary” (Misericordiae Vultus, 21), a tym samym odbudowania relacji z Nim. W Jezusie Ukrzyżowanym Bóg pragnie dotrzeć do grzesznika, który odszedł najdalej, tam właśnie, gdzie się zagubił i od Niego oddalił. Robi to z nadzieją, że zdoła poruszyć zatwardziałe serce swojej Oblubienicy.

3. Dzieła miłosierdzia

Miłosierdzie Boże zmienia serce człowieka i pozwala mu doświadczyć wiernej miłości, sprawiając, że i on staje się zdolny do miłosierdzia. Wciąż odnawiającym się cudem jest fakt, że miłosierdzie Boże może opromienić życie każdego z nas, pobudzając nas do miłości bliźniego i tego, co tradycja Kościoła nazywa uczynkami miłosierdzia względem ciała i duszy. Przypominają nam one o tym, że nasza wiara wyraża się w konkretnych, codziennych uczynkach, które mają pomagać naszemu bliźniemu w potrzebach jego ciała i duszy i na podstawie których będziemy sądzeni: karmienie, nawiedzanie, pocieszanie, pouczanie. Dlatego życzyłem sobie, „aby chrześcijanie zastanowili się podczas Jubileuszu nad uczynkami miłosierdzia względem ciała i duszy. Będzie to sposób na obudzenie naszego sumienia, często uśpionego w obliczu dramatu ubóstwa, a także na wchodzenie coraz głębiej w serce Ewangelii, gdzie ubodzy są uprzywilejowani przez Boże miłosierdzie” (Misericordiae Vultus, 15). Bowiem to w człowieku ubogim i potrzebującym ciało Chrystusa „staje się znów widoczne w umęczonych, poranionych, ubiczowanych, niedożywionych, uciekinierach..., abyśmy mogli Go rozpoznać, dotknąć i troskliwie Mu pomóc” (tamże). Niebywała i skandaliczna tajemnica przedłużającego się w dziejach cierpienia Niewinnego Baranka, krzaku gorejącego bezinteresowną miłością, przed którym można tylko, jak Mojżesz, zdjąć z nóg sandały (por. Wj 3, 5); a jeszcze bardziej, gdy ubogim jest brat lub siostra w Chrystusie cierpiący z powodu swojej wiary.

W obliczu tej miłości potężnej jak śmierć (por. Pnp 8, 6) najnędzniejszym ubogim jest ten, kto nie chce przyznać się, że nim jest. Wydaje mu się, że jest bogaty, a w rzeczywistości jest najuboższym z ubogich. A to dlatego, że jest niewolnikiem grzechu, który każe mu używać swego bogactwa i władzy nie po to, by służyć Bogu i bliźnim, ale by zagłuszyć w sobie myśl, że i on w rzeczywistości jest tylko ubogim żebrakiem. Im większym bogactwem i władzą dysponuje, tym większe może się stać jego kłamliwe zaślepienie. Dochodzi do tego, że nie chce nawet widzieć ubogiego Łazarza, żebrzącego u drzwi jego domu (por. Łk 16, 20-21), który jest figurą Chrystusa żebrzącego w ubogich o nasze nawrócenie. Łazarz stanowi możliwość nawrócenia, którą Chrystus nam daje, a której być może nie widzimy. Temu zaślepieniu towarzyszy pełna pychy żądza wszechmocy, w której rozlegają się złowieszczo szatańskie słowa: “będziecie jak Bóg” (Rdz 3, 5), będące źródłem każdego grzechu. Ta żądza może przyjąć formę społeczną i polityczną, jak pokazały systemy totalitarne XX w. i jak pokazują dzisiaj ideologie promujące jedyną słuszną myśl oraz technonaukę, dążące do tego, by Bóg stał się nieistotny, a człowiek został sprowadzony do masy, którą można posługiwać się w sposób instrumentalny. Obecnie mogą to pokazywać także struktury grzechu związane z modelem fałszywego rozwoju, opartego na kulcie pieniądza, który zobojętnia na los ubogich bogatsze osoby i społeczeństwa, które zamykają przed nimi drzwi, odmawiając nawet tego, by ich zobaczyć.

Dla wszystkich zatem Wielki Post w tym Roku Jubileuszowym jest sprzyjającym momentem, by wreszcie móc wyjść z wyobcowania poprzez słuchanie Słowa Bożego oraz uczynki miłosierdzia. Poprzez uczynki względem ciała – dotykamy ciała Chrystusa w braciach i siostrach, którzy potrzebują, by ich nakarmić, odziać, przyjąć do domu i nawiedzić, a poprzez uczynki duchowe – dawanie rad, pouczanie, darowanie uraz, upominanie i modlitwę, obcujemy bardziej bezpośrednio z naszą własną grzesznością. Z tego powodu uczynków względem ciała i względem ducha nigdy nie należy od siebie oddzielać. Bowiem właśnie wtedy, gdy dotyka w ubogim człowieku ciała Chrystusa Ukrzyżowanego, grzesznik może otrzymać w darze uświadomienie sobie, że on sam jest biednym żebrakiem. Na tej drodze także “pyszniący się”, “władcy”, “bogacze”, o których mówi Magnificat, mają możliwość spostrzeżenia, że są niezasłużenie miłowani przez Chrystusa Ukrzyżowanego, który umarł i zmartwychwstał również dla nich. Tylko ta miłość może zaspokoić pragnienie nieskończonego szczęścia i miłości, które człowiek usiłuje osiągnąć, łudząc się, że je znajdzie w kulcie wiedzy, bogactwa i władzy. Jest jednak zawsze niebezpieczeństwo, że coraz szczelniej zamykając się na Chrystusa, który w ubogich i potrzebujących wciąż puka do drzwi ich serc, pyszni, możni i bogaci skażą sami siebie na tę otchłań samotności, którą jest piekło. Dlatego dla nich i dla nas wszystkich na nowo rozbrzmiewają pełne bólu słowa Abrahama: „Mają Mojżesza i Proroków, niechże ich słuchają!” (Łk 16, 29). Słuchanie Słowa i wprowadzanie go w życie przygotowuje nas w najlepszy sposób do świętowania ostatecznego zwycięstwa nad grzechem i nad śmiercią Zmartwychwstałego Oblubieńca, Tego który pragnie oczyścić swą Oblubienicę, która oczekuje na Jego przybycie.

Nie zmarnujmy tego czasu Wielkiego Postu, który sprzyja nawróceniu! Prośmy o to przez macierzyńskie wstawiennictwo Dziewicy Maryi, która jako pierwsza, w obliczu wielkiego Bożego miłosierdzia, jakim Bóg Ją darmo obdarował, uniżyła się (por. Łk 1, 48) mówiąc, że jest pokorną służebnicą Pańską (por. Łk 1, 38).

Watykan, 4 października 2015 r.

Święto św. Franciszka z Asyżu

FRANCISCUS

[00115-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

لزمن الصوم الأربعيني 2016

 " إِنَّما أُريدُ الرَّحمَةَ لا الذَّبيحَة" (متّى 9، 13).

أعمال الرحمة في مسيرة اليوبيل

 

1. مريم، أيقونة الكنيسة التي تُبشِّر لأنّها هي أيضاً قد بُشِّرَت

في براءة سنة اليوبيل، توجهت بدعوة "لنعش زمن الصوم في هذه السنة اليوبيلية بزخم أكبر كفرصة ملائمة للاحتفال برحمة الله واختبارها" (وجه الرحمة، رقم 17). فمن خلال التّذكير بالإصغاء لكلمة الله وبمبادرة "24 ساعة من أجل الرّب"، أردتُ التّنويه بأولويّة الإصغاء التعبدي للكلمة، وبخاصّة الكلمة النبوية. إنّ رحمة الربّ هي بالحقيقة بشرى للعالم: وكلّ مسيحيّ هو مدعو لأن يختبر هو أولا هذه البُشرى. لهذا السبب سأرسلُ، في زمن الصّوم الاربعيني، رُسُلَ الرحمةِ ليكونوا للجميع علامةً حيّة عن مدى قُربِ الله ومغفرته.

إن مريم، ولأنها قبِلَت البشرى السّارة التي بشرها بها الملاك جبرائيل، تتغنّى في نشيدها بشكل نبويّ بالرّحمة التي اختارها الله بها. وهكذا أصبحَت عذراء النّاصرة، خطّيبة يوسف، أيقونة تامة للكنيسة التي تُبشّرُ، لأنّها كانَت، وستظلّ دائمًا، مُبَشَّرةً بفعلِ الرّوح القدس، الذي أخصب حشاها البتولي. في التقليد النبوي –وعلى مستوى اشتقاق الكلمة– ترتبط كلمة الرّحمة ارتباطًا وثيقاً بالرحِمِ الوالدي (rahamim) كما ترتبط بالصلاح السخيّ، والأمين والحنون (hesed)، الذي يُمارَسُ في العلاقات الزوجيّة والعائلية.

2. عهد الله مع الإنسان: قصّةُ رحمة

إنّ سرّ الرّحمة الإلهيّة ينكشفُ على امتداد تاريخ العهد بين الله وشعبه إسرائيل. فالله يظهر دومًا غنيٌّ بالرحمة، ومستعدّ في كلّ وضع أن يسكب من أحشائه الحنانَ والشفقة على شعبه، ولا سيما في الأوقات المأساوية، عندما تكسر الخيانةُ رابطَ العهد، وحين يستوجب أن يُرَسَّخ العهدُ بطريقة أقوى في العدل وفي الحقيقة. إننا هنا إزاء مأساة محبة حقيقيّة حيث يلعبُ الله دور الآب والزوج المخدوع، وتلعب إسرائيل دور الابن/البنت، والزوجة الخائنة. إنّها صُوَر عائليّة - كما نراها مع هوشع النبي (را. هع 1: 2)- تعبّر عن أي مدى يريد الله الارتباط بشعبه.

إن مأساةُ المحبة هذه تصلُ إلى ذروتها في الابن الذي تجسّدَ وصارَ إنسانًا. ففيه يسكب الله رحمته دون حدود، لدرجة جعلِه "الرحمة المتجسّدة" (وجه الرحمة، رقم 8). فيسوع النّاصريّ، كإنسان، هو بالحقيقة ابن إسرائيل بكلّ ما للكلمة من معنى. لدرجة أنه يُجسّد هذا الإصغاء التام لله، ومطلوب من كلّ يهوديّ في نصّ الـ "شْمَع اسرائيل"، والذي ما زال يشكّل حتى يومنا هذا قلب عهد الله مع إسرائيل: "إِسْمَعْ يَا إِسْرَائِيلُ: الرَّبُّ إِلهُنَا رَبٌّ وَاحِدٌ. فَتُحِبُّ الرَّبَّ إِلهَكَ مِنْ كُلِّ قَلبِكَ وَمِنْ كُلِّ نَفْسِكَ وَمِنْ كُلِّ قُوَّتِكَ" (تث 6، 4-5). فابن الله هو الزوج الذي يسعى بكل قوته لنيل حبّ زوجته التي يربطه بها حبّه غير المشروط، ذاك الحب الذي يتجلّى في العرس الأبدي معها.

إن هذا هو قلب الكرازة الرسوليّة الخافق، حيث تحتلّ فيه الرحمة الإلهيّة مكانًا مركزيًّا ورئيسيًّا. إنّه "جمال حبّ الله الخلاصيّ المعلن في يسوع المسيح، الذي مات وقام من بين الأموات" (الارشاد الرسولي فرح الانجيل، عدد 36)، إنها البشارة الأولى التي "يجب أن نسمعها على الدوام مجدّداً بطرقٍ مختلفة، والتي يجب أن تُعلن على الدوام مجددًا أثناء تلقين التّعليم المسيحي" (ن.م.، عدد 164). إذًا الرحمة "تعبّر عن تصرّف الله إزاء الخاطئ، مقدّمًا له إمكانية أخرى ليتوب ويرتدّ ويؤمن" (وجه الرحمة، عدد 21)، وهكذا يبني مجدّدًا العلاقةَ معه. فالله، من خلال يسوع المصلوب، يعبر عن رغبته في ملاقاةَ الإنسان الخاطئ مهما كان بعيدًا، بل وتحديدًا حيث ضلّ وابتعدّ عنه. وهو يفعلُ هذا على رجاء أن يتمكن بالنهاية من أن يحنن قلب زوجته المتحجّر.

3. أعمال الرّحمة

إن رحمة الله تبدّل قلبَ الإنسان وتجعله يختبر حبّاً صادقاً، وتجعل منه هكذا إنسانًا قادرًا بدوره على الرحمة. إنها لمعجزة جديدة على الدوام، معجزة قدرة الرحمة الإلهيّة على أن تشع في حياة كلّ واحد منّا، وتحثّنا على حبّ القريب وعلى تفعيل تلك الأعمال التي تُسَمّى بحسب التقليد الكنيسي بأعمالِ الرحمة الجسديّة والروحيّة. وهي تذكّرنا بأنّ إيماننا يتجلّى من خلال أعمال حسيّة ويوميّة، هدفها مساعدة القريب جسديًّا وروحيًّا، وعلى أساسها سوف نُحَاسَب: بإطعامه، وزيارته، ومواساته، وتعليمه. لذلك تمنّيتُ "بشدة أن يفكر الشعب المسيحي خلال اليوبيل في أعمال الرحمة الجسدية والروحية. وستكون هذه الطريقة كفيلة بإيقاظ ضميرنا الذي ينزلق غالبا إلى السبات إزاء مأساة الفقر وبالغوص أكثر في قلب الإنجيل، حيث الفقراء هم المفضلون لدى الرحمة الإلهية" (وجه الرحمة، عدد 15). في الواقع، في شخص الفقير يصير جسد المسيح "مرئيا من جديد، كجسد معذب ومجروح ومصاب وجائع ونازح... كي نتعرف عليه، نلمسه ونعتني به باهتمام" (ن.م.). إنّه سرّ رهيب وشائن يمتدّ عبر تاريخ آلام الحمل البريء، سر العليقة المشتعلة بالحبّ المجاني، والتي أمامها، على مثال موسى، لا يمكننا سوى أن نخلع عنا الحذاء (خر 3، 5)؛ ولا سيّما عندما يكون هذا الفقير هو أخًا أو أختًا لنا بالمسيح ويعاني بسبب إيمانه.

أمام هذا الحبّ القوي كالموت (را. نش 8، 6)، يتضح أن الفقير الأكثر بؤسًا هو مَنْ لا يقبل أن يعترف بكونه هكذا. مَنْ يعتقد أنّه غنيّ، ولكنه، في الواقع، هو أفقر الفقراء. وهو كذلك لأنّه عبدٌ للخطيئة التي تدفعه لإستعمال الغنى والسلطة لا لخدمة الله والآخرين، إنّما ليخنق في ذاته القناعة العميقة بأنّه هو أيضًا ليس سوى فقير شحّاذ. لدرجة أنه كلما زاد قَدر السلطة والغني المتوفران لديه كلما كان خطر هذا العمى الكاذب أكبر. وقد يصل إلى درجة رفض حتى رؤية إليعازر الفقير الذي يشحذ على باب بيته (را. لو 16، 20-21)، والذي هو صورة المسيح الذي من خلال الفقراء يشحذ توبتنا. إن إليعازر هو فرصة التوبة التي يهبنا الله إيّاها والتي ربما لا نراها. إن هذا العمى يكون مصحوبًا بهذيان القدرة المتكبر، حيث تتردد بطريقة مفجعة تلك العبارة الشيطانيّة "ستصبحون كالآلهة" (تك 3، 5)، والتي هي في أساس كلّ خطيئة. هذا الهذيان يمكن أيضًا أن يأخذ أشكالا اجتماعية وسياسية، كما أظهرته الأنظمة الشمولية في القرن العشرين، وكما تظهره اليوم الإيديولوجيّات القائمة على الفكر الأوحد وعلى المعرفة التقنية التي تزعم أنّها ستحجّم الله وستحوّل الانسان إلى كتلة يمكن التلاعب بها. إن هذا هو جليّ اليوم أيضًا عبر نظم الخطيئة المرتبطة بنموذج مغلوط للنمو يقوم على التعبد الأعمى للمال، والذي يجعل الأشخاص والمجتمعات الغنية لا تأبه بمصير الفقراء، لدرجة أنهم يغلقون الأبواب بوجههم حتى لا يرونهم.

إنّ صوم هذه السنة اليوبيليّة هو للجميع وقت مناسب حتى يمكننا أخيراً الخروج من الاغتراب الوجودي بفضل الإصغاء إلى الكلمة وممارسة أعمال الرحمة. فإن كنا، من خلال الأعمال الجسديّة، نلمس جسد المسيح في إخوتنا وأخواتنا المحتاجين للطعام، والكساء، والإيواء، والزيارة، فالأعمال الروحيّة –الإرشاد، والتّعليم، والمسامحة، والنّصح، والصلاة– ستلمس مباشرة وضعنا كخطأة. لذلك لا يجب الفصل بين الأعمال الجسديّة والأعمال الروحيّة. في الواقع، تحديداً عند لمس جسد يسوع المصلوب في الأكثر عوزاً، يمكن للخاطىء أن يحصل على نعمة الوعي بأنّه هو نفسه فقير شحّاذ. عبر هذه الدرب، "المتكبرون" و"الأقوياء" والأغنياء"، الذين يتكلّم عنهم نشيد العذراء، سيكون لديهم إمكانية إدراك كونهم، هم أيضاً، وبرغم عدم استحقاقهم، محبوبين من المسيح المصلوب، الذي مات وقام من بين الأموات لأجلهم هم أيضًا. فقط في هذا الحب نجد الجواب الوحيد على ذاك الظمئ اللامتناهي إلى السعادة وإلى الحب والذي يعتقد الإنسان خطأ أنّه قد يرويه بواسطة أصنام المعرفة والسلطة والتملك. لكن، وبسبب الانغلاق والمحكم دائمًا أكثر على المسيح -ذاك المسيح الذي يواصل الدق على باب القلب في شخص الفقير- يبقى حاضرًا دائمًا خطر أن ينتهي المطاف بالأشخاص المتكبرين، والأغنياء وأصحاب النفوذ بإدانة أنفسهم بالغرق في هاوية العزلة الأبديّة، والتي هي الجحيم. من هنا يتردد مجدّداً لهم، ولنا نحن أيضاً، الكلمات المدويّة لإبراهيم "عندَهُم موسى والأَنبِياء، فَلْيَستَمِعوا إِلَيهم" (لو 16، 29). فهذا الإصغاء الفعّال يحضّرنا بطريقة مثلى للاحتفال بالانتصار النهائي على الخطيئة وعلى موت الزوج، الذي قام حقًا من بين الأموات، ويرغبُ في أن يُطهّر زوجته المستقبليّة، والتي تنتظر عودته.

دعونا ألا نتركَ زمن الصوم المناسب للتوبة أن يمرّ سدى! ولنطلب هذا بشفاعة أمّنا مريم العذراء، التي بوجه عظمة الرحمة الإلهيّة التي منحت لها مجاناً، كانت أولى من اعترفت بصغرها (لو 1، 48) وأدركت ذاتها كخادمة الرب المتواضعة (را. لو 1، 38).

الفاتيكان، 4 أكتوبر / تشرين الأوّل 2015

عيد القديس فرنسيس الأسيزي

فرنسيس

 

[00115-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0054-XX.01]