Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messaggio del Santo Padre per la 50ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 22.01.2016


Messaggio del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua polacca

Testo in lingua araba

“Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo” è il tema scelto dal Santo Padre Francesco per la 50ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Papa per la Giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 8 maggio:

Messaggio del Santo Padre

Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo

Cari fratelli e sorelle,

l’Anno Santo della Misericordia ci invita a riflettere sul rapporto tra la comunicazione e la misericordia. In effetti la Chiesa, unita a Cristo, incarnazione vivente di Dio Misericordioso, è chiamata a vivere la misericordia quale tratto distintivo di tutto il suo essere e il suo agire. Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti. L’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. E se il nostro cuore e i nostri gesti sono animati dalla carità, dall’amore divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio.

Siamo chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti, senza esclusione. In particolare, è proprio del linguaggio e delle azioni della Chiesa trasmettere misericordia, così da toccare i cuori delle persone e sostenerle nel cammino verso la pienezza della vita, che Gesù Cristo, inviato dal Padre, è venuto a portare a tutti. Si tratta di accogliere in noi e di diffondere intorno a noi il calore della Chiesa Madre, affinché Gesù sia conosciuto e amato; quel calore che dà sostanza alle parole della fede e che accende nella predicazione e nella testimonianza la “scintilla” che le rende vive.

La comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia. Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione.

Vorrei, dunque, invitare tutte le persone di buona volontà a riscoprire il potere della misericordia di sanare le relazioni lacerate e di riportare la pace e l’armonia tra le famiglie e nelle comunità. Tutti sappiamo in che modo vecchie ferite e risentimenti trascinati possono intrappolare le persone e impedire loro di comunicare e di riconciliarsi. E questo vale anche per i rapporti tra i popoli. In tutti questi casi la misericordia è capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare, come ha così eloquentemente espresso Shakespeare: «La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve» (Il mercante di Venezia, Atto IV, Scena I).

E’ auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto. Faccio appello soprattutto a quanti hanno responsabilità istituzionali, politiche e nel formare l’opinione pubblica, affinché siano sempre vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sbagliato. È facile cedere alla tentazione di sfruttare simili situazioni e alimentare così le fiamme della sfiducia, della paura, dell’odio. Ci vuole invece coraggio per orientare le persone verso processi di riconciliazione, ed è proprio tale audacia positiva e creativa che offre vere soluzioni ad antichi conflitti e l’opportunità di realizzare una pace duratura. «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia [...] Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,7.9).

Come vorrei che il nostro modo di comunicare, e anche il nostro servizio di pastori nella Chiesa, non esprimessero mai l’orgoglio superbo del trionfo su un nemico, né umiliassero coloro che la mentalità del mondo considera perdenti e da scartare! La misericordia può aiutare a mitigare le avversità della vita e offrire calore a quanti hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio. Lo stile della nostra comunicazione sia tale da superare la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti. Noi possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato – violenza, corruzione, sfruttamento, ecc. – ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere in profondità nel loro cuore. È nostro compito ammonire chi sbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi comportamenti, al fine di liberare le vittime e sollevare chi è caduto. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda che «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Questa verità è, in definitiva, Cristo stesso, la cui mite misericordia è la misura della nostra maniera di annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia. È nostro precipuo compito affermare la verità con amore (cfr Ef 4,15). Solo parole pronunciate con amore e accompagnate da mitezza e misericordia toccano i cuori di noi peccatori. Parole e gesti duri o moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il loro senso di diniego e di difesa.

Alcuni pensano che una visione della società radicata nella misericordia sia ingiustificatamente idealistica o eccessivamente indulgente. Ma proviamo a ripensare alle nostre prime esperienze di relazione in seno alla famiglia. I genitori ci hanno amato e apprezzato per quello che siamo più che per le nostre capacità e i nostri successi. I genitori naturalmente vogliono il meglio per i propri figli, ma il loro amore non è mai condizionato dal raggiungimento degli obiettivi. La casa paterna è il luogo dove sei sempre accolto (cfr Lc 15,11-32). Vorrei incoraggiare tutti a pensare alla società umana non come ad uno spazio in cui degli estranei competono e cercano di prevalere, ma piuttosto come una casa o una famiglia dove la porta è sempre aperta e si cerca di accogliersi a vicenda.

Per questo è fondamentale ascoltare. Comunicare significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare è molto più che udire. L’udire riguarda l’ambito dell’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quello della comunicazione, e richiede la vicinanza. L’ascolto ci consente di assumere l’atteggiamento giusto, uscendo dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune.

Ascoltare non è mai facile. A volte è più comodo fingersi sordi. Ascoltare significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui. Nell’ascolto si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di sé stessi in cui si rinnova il gesto sacro compiuto da Mosè davanti al roveto ardente: togliersi i sandali sulla “terra santa” dell’incontro con l’altro che mi parla (cfr Es 3,5). Saper ascoltare è una grazia immensa, è un dono che bisogna invocare per poi esercitarsi a praticarlo.

Anche e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane. Non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione. Le reti sociali sono capaci di favorire le relazioni e di promuovere il bene della società ma possono anche condurre ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e i gruppi. L’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale. Prego che l’Anno Giubilare vissuto nella misericordia «ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione» (Misericordiae Vultus, 23). Anche in rete si costruisce una vera cittadinanza. L’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata. La rete può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione.

La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”. L’incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa. In un mondo diviso, frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2016

FRANCISCUS

[00089-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

Communication et miséricorde: une rencontre féconde

Chers frères et sœurs,

L’Année Sainte de la Miséricorde nous invite à réfléchir sur le rapport entre communication et miséricorde. En effet l’Église, unie au Christ, incarnation vivante de Dieu Miséricordieux, est appelée à vivre la miséricorde comme un trait distinctif de tout son être et de tout son agir. Ce que nous disons et la manière dont nous le disons, chaque parole et chaque geste, devrait pouvoir exprimer la compassion, la tendresse et le pardon de Dieu pour tous. L’amour, par nature, est communication, il conduit à s’ouvrir et non pas à s’isoler. Et si notre cœur et nos gestes sont animés par la charité, par l’amour divin, notre communication sera porteuse de la force de Dieu.

En tant qu’enfants de Dieu, nous sommes appelés à communiquer avec tous, sans exclusion. En particulier, c’est le propre du langage et des actions de l’Église que de transmettre la miséricorde, en sorte de toucher les cœurs des personnes et de les soutenir sur le chemin vers la plénitude de la vie que Jésus Christ, envoyé par le Père, est venu apporter à tous. Il s’agit d’accueillir en nous et de répandre autour de nous la chaleur de l’Église Mère, pour que Jésus soit connu et aimé; cette chaleur qui donne consistance aux paroles de la foi et qui allume dans la prédication et dans le témoignage l’«étincelle» qui les rend vivantes.

La communication a le pouvoir de créer des ponts, de favoriser la rencontre et l’inclusion, enrichissant ainsi la société. Comme il est beau de voir des personnes engagées à choisir avec soin des paroles et des gestes pour dépasser les incompréhensions, guérir la mémoire blessée et construire la paix et l’harmonie. Les paroles peuvent jeter des ponts entre les personnes, les familles, les groupes sociaux, les peuples; que ce soit dans le domaine physique ou dans le domaine numérique. Que les paroles et les actions soient donc telles qu’elles nous aident à sortir des cercles vicieux des condamnations et des vengeances, qui continuent à piéger les individus et les nations, et qui conduisent à s’exprimer avec des messages de haine. La parole du chrétien, au contraire, se propose de faire grandir la communion et, même quand il faut condamner le mal avec fermeté, elle cherche à ne jamais briser la relation et la communication.

Je voudrais donc inviter toutes les personnes de bonne volonté à redécouvrir le pouvoir de la miséricorde de guérir les relations déchirées, et de ramener la paix et l’harmonie entre les familles et dans les communautés. Nous savons tous de quelle manière les vieilles blessures et les ressentiments peuvent piéger les personnes et les empêcher de communiquer et de se réconcilier. Et ceci vaut aussi pour les relations entre les peuples. Dans tous ces cas, la miséricorde est capable de créer une nouvelle manière de parler et de dialoguer, comme l’a ainsi très bien exprimé Shakespeare: «La miséricorde n’est pas une obligation. Elle descend du ciel comme la fraîcheur de la pluie sur la terre. Elle est une double bénédiction: elle bénit celui qui la donne et celui qui la reçoit» (Le Marchand de Venise, Acte 4, Scène 1).

Il est souhaitable que le langage de la politique et de la diplomatie se laisse aussi inspirer par la miséricorde, qui ne donne jamais rien pour perdu. Je fais appel surtout à tous ceux qui ont des responsabilités institutionnelles, politiques et dans la formation de l’opinion publique, pour qu’ils soient toujours vigilants sur la manière de s’exprimer envers celui qui pense ou agit autrement, et aussi envers celui qui peut s’être trompé. Il est facile de céder à la tentation d’exploiter de semblables situations et d’alimenter ainsi les flammes de la défiance, de la peur, de la haine. Il faut au contraire du courage pour orienter les personnes dans des processus de réconciliation; et c’est justement cette audace positive et créative qui offre de vraies solutions à de vieux conflits, et l’occasion de réaliser une paix durable. «Bienheureux les miséricordieux, parce qu’ils obtiendront miséricorde […] Bienheureux les artisans de paix, parce qu’ils seront appelés fils de Dieu» (Mt 5, 7.9).

Comme je voudrais que notre manière de communiquer, et aussi notre service de pasteurs dans l’Église, n’exprime jamais l’orgueil fier du triomphe sur un ennemi, ni n’humilie ceux que la mentalité du monde considère comme perdants et à rejeter! La miséricorde peut aider à tempérer les adversités de la vie et à offrir de la chaleur à tous ceux qui ont seulement connu la froideur du jugement. Que le style de notre communication soit en mesure de dépasser la logique qui sépare nettement les pécheurs des justes. Nous pouvons et devons juger des situations de péché – violence, corruption, exploitation, etc. – mais nous ne pouvons pas juger les personnes, parce que seul Dieu peut lire en profondeur dans leur cœur. C’est notre devoir d’avertir celui qui se trompe, en dénonçant la méchanceté et l’injustice de certains comportements, afin de libérer les victimes et de soulager celui qui est tombé. L’Évangile de Jean nous rappelle que «La vérité vous rendra libres» (Jn 8, 32). Cette vérité est, en définitive, le Christ lui-même, dont la douce miséricorde est la mesure de notre manière d’annoncer la vérité et de condamner l’injustice. C’est notre principal devoir d’affirmer la vérité avec amour (Cf. Ep 4, 15). Seules les paroles prononcées avec amour et accompagnées de douceur et de miséricorde touchent les cœurs des pécheurs que nous sommes. Des paroles et des gestes durs ou moralisants risquent d’aliéner plus tard ceux que nous voudrions conduire à la conversion et à la liberté, en renforçant leur sens du refus et de la défense.

Certains pensent qu’une vision de la société enracinée dans la miséricorde serait de façon injustifiée idéaliste ou excessivement indulgente. Mais essayons de repenser à nos premières expériences de relations au sein de la famille. Nos parents nous ont aimés et appréciés pour ce que nous sommes, plus que pour nos capacités et nos succès. Les parents veulent naturellement le meilleur pour leurs enfants, mais leur amour n’est jamais conditionné par le fait d’atteindre des objectifs. La maison paternelle est le lieu où tu es toujours accueilli (Cf. Lc 15, 11-32). Je voudrais vous encourager tous à penser la société humaine non comme un espace où des étrangers rivalisent et cherchent à dominer, mais plutôt comme une maison ou une famille, où la porte est toujours ouverte et où l’on cherche à s’accueillir réciproquement.

C’est pourquoi il est fondamental d’écouter. Communiquer signifie partager, et le partage exige l’écoute, l’accueil. Ecouter est beaucoup plus qu’entendre. Entendre concerne le domaine de l’information; écouter, en revanche, renvoie à celui de la communication, et exige la proximité. L’écoute nous permet d’avoir l’attitude juste, en sortant de la condition tranquille de spectateurs, d’auditeurs, de consommateurs. Ecouter signifie aussi être capable de partager des questions et des doutes, de faire un chemin côte à côte, de s’affranchir de toute présomption de toute-puissance et de mettre humblement ses capacités et ses dons au service du bien commun.

Ecouter n’est jamais facile. Parfois il est plus confortable de faire le sourd. Ecouter signifie prêter attention, avoir le désir de comprendre, de valoriser, respecter, garder la parole de l’autre. Dans l’écoute une sorte de martyre se consume, un sacrifice de soi-même dans lequel le geste sacré accompli par Moïse devant le buisson ardentse renouvelle : retirer ses sandales sur la «terre sainte» de la rencontre avec l’autre qui me parle (Cf. Ex 3, 5). Savoir écouter est une grâce immense, c’est un don qu’il faut invoquer pour ensuite s’exercer à le pratiquer.

Les e-mail, sms, réseaux sociaux, chat peuvent, eux aussi, être des formes de communication pleinement humaines. Ce n’est pas la technologie qui décide si la communication est authentique ou non, mais le cœur de l’homme et sa capacité de bien user des moyens mis à sa disposition. Les réseaux sociaux sont capables de favoriser les relations et de promouvoir le bien de la société, mais ils peuvent aussi conduire plus tard à des polarisations et des divisions entre les personnes et les groupes. Le domaine numérique est une place, un lieu de rencontre, où l’on peut caresser ou blesser, avoir une discussion profitable ou faire un lynchage moral. Je prie pour que l’Année jubilaire vécue dans la miséricorde «nous rende plus ouverts au dialogue pour mieux nous connaître et nous comprendre. Qu’elle chasse toute forme de fermeture et de mépris. Qu’elle repousse toute forme de violence et de discrimination» (Misericordiae vultus, n. 23). Une véritable citoyenneté se construit aussi en réseau. L’accès aux réseaux numériques comporte une responsabilité pour l’autre, que nous ne voyons pas mais qui est réel, il a sa dignité qui doit être respectée. Le réseau peut être bien utilisé pour faire grandir une société saine et ouverte au partage.

La communication, ses lieux et ses instruments, ont comporté un élargissement des horizons pour beaucoup de personnes. C’est un don de Dieu, et c’est aussi une grande responsabilité. J’aime définir ce pouvoir de la communication comme «proximité». La rencontre entre la communication et la miséricorde est féconde dans la mesure où elle génère une proximité qui prend soin, réconforte, guérit, accompagne et fait la fête. Dans un monde divisé, fragmenté, polarisé, communiquer avec miséricorde signifie contribuer à la bonne, libre et solide proximité entre les enfants de Dieu et les frères en humanité.

Du Vatican, le 24 janvier 2016

FRANCISCUS

[00089-FR.01] [Texte original: Italien]

Testo in lingua inglese

Communication and Mercy: A Fruitful Encounter

Dear Brothers and Sisters,

The Holy Year of Mercy invites all of us to reflect on the relationship between communication and mercy. The Church, in union with Christ, the living incarnation of the Father of Mercies, is called to practise mercy as the distinctive trait of all that she is and does. What we say and how we say it, our every word and gesture, ought to express God’s compassion, tenderness and forgiveness for all. Love, by its nature, is communication; it leads to openness and sharing. If our hearts and actions are inspired by charity, by divine love, then our communication will be touched by God’s own power.

As sons and daughters of God, we are called to communicate with everyone, without exception. In a particular way, the Church’s words and actions are all meant to convey mercy, to touch people’s hearts and to sustain them on their journey to that fullness of life which Jesus Christ was sent by the Father to bring to all. This means that we ourselves must be willing to accept the warmth of Mother Church and to share that warmth with others, so that Jesus may be known and loved. That warmth is what gives substance to the word of faith; by our preaching and witness, it ignites the “spark” which gives them life.

Communication has the power to build bridges, to enable encounter and inclusion, and thus to enrich society. How beautiful it is when people select their words and actions with care, in the effort to avoid misunderstandings, to heal wounded memories and to build peace and harmony. Words can build bridges between individuals and within families, social groups and peoples. This is possible both in the material world and the digital world. Our words and actions should be such as to help us all escape the vicious circles of condemnation and vengeance which continue to ensnare individuals and nations, encouraging expressions of hatred. The words of Christians ought to be a constant encouragement to communion and, even in those cases where they must firmly condemn evil, they should never try to rupture relationships and communication.

For this reason, I would like to invite all people of good will to rediscover the power of mercy to heal wounded relationships and to restore peace and harmony to families and communities. All of us know how many ways ancient wounds and lingering resentments can entrap individuals and stand in the way of communication and reconciliation. The same holds true for relationships between peoples. In every case, mercy is able to create a new kind of speech and dialogue. Shakespeare put it eloquently when he said: “The quality of mercy is not strained. It droppeth as the gentle rain from heaven upon the place beneath. It is twice blessed: it blesseth him that gives and him that takes” (The Merchant of Venice, Act IV, Scene I).

Our political and diplomatic language would do well to be inspired by mercy, which never loses hope. I ask those with institutional and political responsibility, and those charged with forming public opinion, to remain especially attentive to the way they speak of those who think or act differently or those who may have made mistakes. It is easy to yield to the temptation to exploit such situations to stoke the flames of mistrust, fear and hatred. Instead, courage is needed to guide people towards processes of reconciliation. It is precisely such positive and creative boldness which offers real solutions to ancient conflicts and the opportunity to build lasting peace. “Blessed are the peacemakers, for they will be called children of God” (Mt 5:7-9)

How I wish that our own way of communicating, as well as our service as pastors of the Church, may never suggest a prideful and triumphant superiority over an enemy, or demean those whom the world considers lost and easily discarded. Mercy can help mitigate life’s troubles and offer warmth to those who have known only the coldness of judgment. May our way of communicating help to overcome the mindset that neatly separates sinners from the righteous. We can and we must judge situations of sin – such as violence, corruption and exploitation – but we may not judge individuals, since only God can see into the depths of their hearts. It is our task to admonish those who err and to denounce the evil and injustice of certain ways of acting, for the sake of setting victims free and raising up those who have fallen. The Gospel of John tells us that “the truth will make you free” (Jn 8:32). The truth is ultimately Christ himself, whose gentle mercy is the yardstick for measuring the way we proclaim the truth and condemn injustice. Our primary task is to uphold the truth with love (cf. Eph 4:15). Only words spoken with love and accompanied by meekness and mercy can touch our sinful hearts. Harsh and moralistic words and actions risk further alienating those whom we wish to lead to conversion and freedom, reinforcing their sense of rejection and defensiveness.

Some feel that a vision of society rooted in mercy is hopelessly idealistic or excessively indulgent. But let us try and recall our first experience of relationships, within our families. Our parents loved us and valued us for who we are more than for our abilities and achievements. Parents naturally want the best for their children, but that love is never dependent on their meeting certain conditions. The family home is one place where we are always welcome (cf. Lk 15:11-32). I would like to encourage everyone to see society not as a forum where strangers compete and try to come out on top, but above all as a home or a family, where the door is always open and where everyone feels welcome.

For this to happen, we must first listen. Communicating means sharing, and sharing demands listening and acceptance. Listening is much more than simply hearing. Hearing is about receiving information, while listening is about communication, and calls for closeness. Listening allows us to get things right, and not simply to be passive onlookers, users or consumers. Listening also means being able to share questions and doubts, to journey side by side, to banish all claims to absolute power and to put our abilities and gifts at the service of the common good.

Listening is never easy. Many times it is easier to play deaf. Listening means paying attention, wanting to understand, to value, to respect and to ponder what the other person says. It involves a sort of martyrdom or self-sacrifice, as we try to imitate Moses before the burning bush: we have to remove our sandals when standing on the “holy ground” of our encounter with the one who speaks to me (cf. Ex 3:5). Knowing how to listen is an immense grace, it is a gift which we need to ask for and then make every effort to practice.

Emails, text messages, social networks and chats can also be fully human forms of communication. It is not technology which determines whether or not communication is authentic, but rather the human heart and our capacity to use wisely the means at our disposal. Social networks can facilitate relationships and promote the good of society, but they can also lead to further polarization and division between individuals and groups. The digital world is a public square, a meeting-place where we can either encourage or demean one another, engage in a meaningful discussion or unfair attacks. I pray that this Jubilee Year, lived in mercy, “may open us to even more fervent dialogue so that we might know and understand one another better; and that it may eliminate every form of closed-mindedness and disrespect, and drive out every form of violence and discrimination” (Misericordiae Vultus, 23). The internet can help us to be better citizens. Access to digital networks entails a responsibility for our neighbour whom we do not see but who is nonetheless real and has a dignity which must be respected. The internet can be used wisely to build a society which is healthy and open to sharing.

Communication, wherever and however it takes place, has opened up broader horizons for many people. This is a gift of God which involves a great responsibility. I like to refer to this power of communication as “closeness”. The encounter between communication and mercy will be fruitful to the degree that it generates a closeness which cares, comforts, heals, accompanies and celebrates. In a broken, fragmented and polarized world, to communicate with mercy means to help create a healthy, free and fraternal closeness between the children of God and all our brothers and sisters in the one human family.

From the Vatican, 24 January 2016

FRANCISCUS

[00089-EN.01] [Original text: Italian]

Testo in lingua tedesca

Kommunikation und Barmherzigkeit – eine fruchtbare Begegnung

Liebe Brüder und Schwestern,

das Heilige Jahr der Barmherzigkeit lädt uns ein, über die Beziehung zwischen Kommunikation und Barmherzigkeit nachzudenken. Tatsächlich ist die mit Christus, der lebendigen Inkarnation des barmherzigen Gottes, vereinte Kirche berufen, die Barmherzigkeit als kennzeichnendes Merkmal all ihren Seins und Handelns zu leben. Was wir sagen und wie wir es sagen, jedes Wort und jede Geste müsste imstande sein, das Mitleid, die Zärtlichkeit und die Vergebung auszudrücken, die Gott allen entgegenbringt. Die Liebe ist von Natur aus Kommunikation, sie führt dazu, sich zu öffnen und sich nicht abzuschotten. Und wenn unser Herz und unsere Gesten von der Nächstenliebe, von der göttlichen Liebe beseelt sind, wird unsere Kommunikation eine Überbringerin der Kraft Gottes sein.

Wir sind aufgerufen, als Kinder Gottes mit allen in Verbindung zu treten, ohne jemanden auszuschließen. In besonderer Weise gehört es wesenhaft zur Sprache und zum Handeln der Kirche, Barmherzigkeit zu übermitteln, so dass sie die Herzen der Menschen anrührt und sie auf dem Weg zur Fülle des Lebens unterstützt. Diese Lebensfülle allen zu bringen, ist Jesus Christus ja vom Vater gesandt und zu uns gekommen. Es geht darum, die Wärme der Mutter Kirche in uns aufzunehmen und um uns zu verbreiten, damit Jesus erkannt und geliebt wird – jene Wärme, die den Worten des Glaubens Substanz verleiht und in der Verkündigung wie im Zeugnis den „Funken“ entzündet, der sie lebendig macht.

Die Kommunikation hat die Macht, Brücken zu bauen, Begegnung und Einbeziehung zu fördern und so die Gesellschaft zu bereichern. Wie schön ist es, wenn man sieht, wie Menschen bemüht sind, ihre Worte und Gesten sorgfältig zu wählen, um Unverständnis zu überwinden, das verwundete Gedächtnis zu heilen und Frieden und Harmonie zu schaffen. Worte können Brücken spannen zwischen Menschen, Familien, sozialen Gruppen und Völkern. Und das im physischen wie im digitalen Bereich. Mögen daher Worte und Taten so beschaffen sein, dass sie uns helfen, aus den Teufelskreisen von Verurteilungen und Rache auszusteigen, die Einzelne und Nationen weiterhin gefangen halten und zu hasserfüllten Äußerungen führen. Das Wort des Christen entspringt dagegen dem Wunsch, Gemeinschaft wachsen zu lassen, und versucht selbst dann, wenn es das Böse unnachgiebig verurteilen muss, niemals die Beziehung und die Kommunikation abzubrechen.

Ich möchte daher alle Menschen guten Willens einladen, die Macht der Barmherzigkeit, zerrissene Beziehungen zu heilen und in die Familien und die Gemeinschaften wieder Frieden und Harmonie zu tragen, neu zu entdecken. Wir alle wissen, wie alte Verwundungen und lange gehegter Groll Menschen gefangen halten und sie daran hindern können, Kontakt aufzunehmen und sich zu versöhnen. Und das gilt auch für die Beziehungen unter den Völkern. In all diesen Fällen ist die Barmherzigkeit imstande, eine neue Art in Gang zu setzen, miteinander zu sprechen und in Dialog zu treten. Shakespeare hat das wortgewandt zum Ausdruck gebracht: »Die Barmherzigkeit ist keine Pflicht. Sie fällt vom Himmel, wie die Erquickung des Regens auf die Erde träufelt. Sie ist ein zweifacher Segen: Sie segnet den, der sie gewährt, und den, der sie empfängt« (Der Kaufmann von Venedig, 4. Akt, 1. Szene).

Es ist zu hoffen, dass auch die Sprache der Politik und der Diplomatie sich inspirieren lässt von der Barmherzigkeit, die niemals etwas als verloren aufgibt. Ich appelliere vor allem an diejenigen, die im institutionellen und im politischen Bereich sowie auf dem Gebiet der Meinungsbildung Verantwortung tragen, immer wachsam zu sein in Bezug auf ihre Äußerungen über Andersdenkende oder -handelnde und auch über die, die einen Fehler begangen haben mögen. Allzu leicht gibt man der Versuchung nach, solche Situationen auszunutzen und auf diese Weise Öl ins Feuer des Misstrauens, der Angst und des Hasses zu gießen. Dagegen braucht es Mut, um die Menschen auf Versöhnungsprozesse hin auszurichten, und gerade dieser positive und kreative Wagemut ist es, der echte Lösungen für alte Konflikte und die Gelegenheit zur Verwirklichung eines dauerhaften Friedens bietet. »Selig die Barmherzigen, denn sie werden Erbarmen finden […] Selig, die Frieden stiften, denn sie werden Söhne Gottes genannt werden« (Mt5,7.9).

Wie wünsche ich mir, dass unsere Art der Kommunikation wie auch unser Dienst als Hirten der Kirche niemals den hochmütigen Stolz des Triumphes über einen Feind zum Ausdruck brächten, noch diejenigen demütigten, die die Mentalität der Welt als Verlierer betrachtet, die auszuschließen sind! Die Barmherzigkeit kann helfen, die Widrigkeiten des Lebens zu mildern, und denen, die nur die Kälte des Urteils erfahren haben, Wärme schenken. Möge der Stil unserer Kommunikation so geartet sein, dass er die Logik der krassen Trennung nach Sündern und Gerechten überwindet. Wir können und müssen über Situationen der Sünde – Gewalt, Korruption, Ausbeutung usw. – richten, aber wir dürfen nicht über Menschen richten, denn allein Gott kann das Innerste ihres Herzens deuten. Unsere Aufgabe ist es, den zu ermahnen, der einen Fehler begeht, indem wir die Schlechtigkeit und Ungerechtigkeit gewisser Verhaltensweisen anprangern, mit dem Ziel, die Opfer zu befreien und den Gefallenen aufzuheben. Das Johannesevangelium sagt uns: »Die Wahrheit wird euch befreien« (8,32). Diese Wahrheit ist letztlich Christus selbst, dessen sanfte Barmherzigkeit das Maß ist für unsere Art, die Wahrheit zu verkünden und die Ungerechtigkeit zu verurteilen. Unsere Hauptaufgabe besteht darin, die Wahrheit mit Liebe zu bekräftigen (vgl. Eph 4,15). Nur mit Liebe gesprochene und von Sanftmut und Barmherzigkeit begleitete Worte treffen die Herzen von uns Sündern. Harte oder moralistische Worte laufen Gefahr, diejenigen, die wir zur Umkehr bewegen und in die Freiheit führen möchten, weiter zu entfernen, indem wir ihre innere Haltung der Weigerung und Abwehr stärken.

Manche meinen, eine auf Barmherzigkeit gegründete Sicht der Gesellschaft sei unentschuldbar idealistisch oder übertrieben nachsichtig. Doch versuchen wir einmal, an unsere ersten Erfahrungen von Beziehung im Schoß der Familie zurückzudenken. Unsere Eltern haben uns mehr für das, was wir sind, geliebt und geschätzt, als für unsere Fähigkeiten und unsere Erfolge. Die Eltern wollen natürlich das Beste für ihre Kinder, aber ihre Liebe ist nie abhängig vom Erreichen der Ziele. Das Elternhaus ist der Ort, wo du immer aufgenommen wirst (vgl. Lk 15,11-32). Ich möchte alle ermutigen, die menschliche Gesellschaft nicht als einen Raum zu verstehen, in dem Fremde Konkurrenz machen und versuchen sich durchzusetzen, sondern vielmehr als ein Haus oder eine Familie, wo die Tür immer offen steht und man versucht, einander anzunehmen.

Dafür ist es grundlegend, zuzuhören. Kommunikation bedeutet Miteinander-Teilen, und das verlangt das Zuhören, die Aufnahme. Zuhören ist viel mehr als hören. Das Hören betrifft den Bereich der Information; das Zuhören verweist hingegen auf den der Kommunikation und verlangt Nähe. Das Zuhören gestattet uns, die richtige Haltung einzunehmen, indem wir die ruhige Situation des Zuschauers, des Nutzers und des Konsumenten verlassen. Zuhören bedeutet auch, fähig zu sein, an Fragen und Zweifeln Anteil zu nehmen, einen Weg Seite an Seite zu gehen, sich von jedem Allmachtsdünkel zu lösen und die eigenen Fähigkeiten und Gaben demütig in den Dienst des Gemeinwohls zu stellen.

Zuhören ist niemals leicht. Manchmal ist es bequemer, sich taub zu stellen. Zuhören bedeutet, dem Wort des anderen Aufmerksamkeit zu schenken, den Wunsch zu haben, es zu verstehen, ihm Wert beizumessen, es zu respektieren und zu hüten. Beim Zuhören vollzieht sich eine Art von Martyrium, ein Opfer des eigenen Selbst, in dem sich die heilige Geste erneuert, die Mose vor dem brennenden Dornbusch vollbrachte: auf dem „heiligen Boden“ der Begegnung mit dem anderen, der zu mir spricht, sich die Sandalen ausziehen (vgl. Ex 3,5). Zuhören zu können ist eine unsägliche Gnade, eine Gabe, die man erflehen muss, um sich dann darin zu üben, sie anzuwenden.

Auch E-Mail, SMS, soziale Netze und Chat können Formen ganz und gar menschlicher Kommunikation sein. Nicht die Technologie bestimmt, ob die Kommunikation authentisch ist oder nicht, sondern das Herz des Menschen und seine Fähigkeit, die ihm zur Verfügung stehenden Mittel gut zu nutzen. Die sozialen Netze sind imstande, Beziehungen zu begünstigen und das Wohl der Gesellschaft zu fördern, aber sie können auch zu einer weiteren Polarisierung und Spaltung unter Menschen und Gruppen führen. Der digitale Bereich ist ein Platz, ein Ort der Begegnung, wo man liebkosen oder verletzen, eine fruchtbare Diskussion führen oder Rufmord begehen kann. Ich bete darum, dass das in Barmherzigkeit gelebte Jubiläumsjahr »uns offener [mache] für den Dialog, damit wir uns besser kennen und verstehen lernen. Es überwinde jede Form der Verschlossenheit und Verachtung und vertreibe alle Form von Gewalt und Diskriminierung« (Verkündigungsbulle Misericordiae vultus, 23). Auch im Netz wird eine wirkliche Bürgerschaft aufgebaut. Der Zugang zu den digitalen Netzen bringt eine Verantwortung für den anderen mit sich, den wir nicht sehen, der aber real ist und seine Würde besitzt, die respektiert werden muss. Das Netz kann gut genutzt werden, um eine gesunde und für das Miteinander-Teilen offene Gesellschaft wachsen zu lassen.

Die Kommunikation, ihre Orte und ihre Mittel haben für viele Menschen zu einer Horizonterweiterung geführt. Das ist ein Geschenk Gottes, und es ist auch eine große Verantwortung. Ich definiere diese Macht der Kommunikation gerne als ein „Nahesein“. Die Begegnung von Kommunikation und Barmherzigkeit ist in dem Maße fruchtbar, in dem es ein Nahesein hervorbringt, das sich des anderen annimmt, ihn tröstet, heilt, begleitet und mit ihm feiert. In einer geteilten, aufgesplitterten, polarisierten Welt eine Kommunikation in Barmherzigkeit zu pflegen bedeutet, einen Beitrag zu leisten zu einem guten, freien und solidarischen Nahesein unter Kindern Gottes und Brüdern und Schwestern im Menschsein.

Aus dem Vatikan, am 24. Januar 2016, dem Fest des hl. Franz von Sales

FRANCISCUS

[00089-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Testo in lingua spagnola

Comunicación y Misericordia: un encuentro fecundo

Queridos hermanos y hermanas,

El Año Santo de la Misericordia nos invita a reflexionar sobre la relación entre la comunicación y la misericordia. En efecto, la Iglesia, unida a Cristo, encarnación viva de Dios Misericordioso, está llamada a vivir la misericordia como rasgo distintivo de todo su ser y actuar. Lo que decimos y cómo lo decimos, cada palabra y cada gesto debería expresar la compasión, la ternura y el perdón de Dios para con todos. El amor, por su naturaleza, es comunicación, lleva a la apertura, no al aislamiento. Y si nuestro corazón y nuestros gestos están animados por la caridad, por el amor divino, nuestra comunicación será portadora de la fuerza de Dios.

Como hijos de Dios estamos llamados a comunicar con todos, sin exclusión. En particular, es característico del lenguaje y de las acciones de la Iglesia transmitir misericordia, para tocar el corazón de las personas y sostenerlas en el camino hacia la plenitud de la vida, que Jesucristo, enviado por el Padre, ha venido a traer a todos. Se trata de acoger en nosotros y de difundir a nuestro alrededor el calor de la Iglesia Madre, de modo que Jesús sea conocido y amado, ese calor que da contenido a las palabras de la fe y que enciende, en la predicación y en el testimonio, la «chispa» que los hace vivos.

La comunicación tiene el poder de crear puentes, de favorecer el encuentro y la inclusión, enriqueciendo de este modo la sociedad. Es hermoso ver personas que se afanan en elegir con cuidado las palabras y los gestos para superar las incomprensiones, curar la memoria herida y construir paz y armonía. Las palabras pueden construir puentes entre las personas, las familias, los grupos sociales y los pueblos. Y esto es posible tanto en el mundo físico como en el digital. Por tanto, que las palabras y las acciones sean apropiadas para ayudarnos a salir de los círculos viciosos de las condenas y las venganzas, que siguen enmarañando a individuos y naciones, y que llevan a expresarse con mensajes de odio. La palabra del cristiano, sin embargo, se propone hacer crecer la comunión e, incluso cuando debe condenar con firmeza el mal, trata de no romper nunca la relación y la comunicación.

Quisiera, por tanto, invitar a las personas de buena voluntad a descubrir el poder de la misericordia de sanar las relaciones dañadas y de volver a llevar paz y armonía a las familias y a las comunidades. Todos sabemos en qué modo las viejas heridas y los resentimientos que arrastramos pueden atrapar a las personas e impedirles comunicarse y reconciliarse. Esto vale también para las relaciones entre los pueblos. En todos estos casos la misericordia es capaz de activar un nuevo modo de hablar y dialogar, como tan elocuentemente expresó Shakespeare: «La misericordia no es obligatoria, cae como la dulce lluvia del cielo sobre la tierra que está bajo ella. Es una doble bendición: bendice al que la concede y al que la recibe» (El mercader de Venecia, Acto IV, Escena I).

Es deseable que también el lenguaje de la política y de la diplomacia se deje inspirar por la misericordia, que nunca da nada por perdido. Hago un llamamiento sobre todo a cuantos tienen responsabilidades institucionales, políticas y de formar la opinión pública, a que estén siempre atentos al modo de expresase cuando se refieren a quien piensa o actúa de forma distinta, o a quienes han cometido errores. Es fácil ceder a la tentación de aprovechar estas situaciones y alimentar de ese modo las llamas de la desconfianza, del miedo, del odio. Se necesita, sin embargo, valentía para orientar a las personas hacia procesos de reconciliación. Y es precisamente esa audacia positiva y creativa la que ofrece verdaderas soluciones a antiguos conflictos así como la oportunidad de realizar una paz duradera. «Bienaventurados los misericordiosos, porque ellos alcanzarán misericordia. […] Bienaventurados los que trabajan por la paz, porque ellos serán llamados hijos de Dios» (Mt 5,7.9).

Cómo desearía que nuestro modo de comunicar, y también nuestro servicio de pastores de la Iglesia, nunca expresara el orgullo soberbio del triunfo sobre el enemigo, ni humillara a quienes la mentalidad del mundo considera perdedores y material de desecho. La misericordia puede ayudar a mitigar las adversidades de la vida y a ofrecer calor a quienes han conocido sólo la frialdad del juicio. Que el estilo de nuestra comunicación sea tal, que supere la lógica que separa netamente los pecadores de los justos. Nosotros podemos y debemos juzgar situaciones de pecado – violencia, corrupción, explotación, etc. –, pero no podemos juzgar a las personas, porque sólo Dios puede leer en profundidad sus corazones. Nuestra tarea es amonestar a quien se equivoca, denunciando la maldad y la injusticia de ciertos comportamientos, con el fin de liberar a las víctimas y de levantar al caído. El evangelio de Juan nos recuerda que «la verdad os hará libres» (Jn 8,32). Esta verdad es, en definitiva, Cristo mismo, cuya dulce misericordia es el modelo para nuestro modo de anunciar la verdad y condenar la injusticia. Nuestra primordial tarea es afirmar la verdad con amor (cf. Ef 4,15). Sólo palabras pronunciadas con amor y acompañadas de mansedumbre y misericordia tocan los corazones de quienes somos pecadores. Palabras y gestos duros y moralistas corren el riesgo hundir más a quienes querríamos conducir a la conversión y a la libertad, reforzando su sentido de negación y de defensa.

Algunos piensan que una visión de la sociedad enraizada en la misericordia es injustificadamente idealista o excesivamente indulgente. Pero probemos a reflexionar sobre nuestras primeras experiencias de relación en el seno de la familia. Los padres nos han amado y apreciado más por lo que somos que por nuestras capacidades y nuestros éxitos. Los padres quieren naturalmente lo mejor para sus propios hijos, pero su amor nunca está condicionado por el alcance de los objetivos. La casa paterna es el lugar donde siempre eres acogido (cf. Lc 15,11-32). Quisiera alentar a todos a pensar en la sociedad humana, no como un espacio en el que los extraños compiten y buscan prevalecer, sino más bien como una casa o una familia, donde la puerta está siempre abierta y en la que sus miembros se acogen mutuamente.

Para esto es fundamental escuchar. Comunicar significa compartir, y para compartir se necesita escuchar, acoger. Escuchar es mucho más que oír. Oír hace referencia al ámbito de la información; escuchar, sin embargo, evoca la comunicación, y necesita cercanía. La escucha nos permite asumir la actitud justa, dejando atrás la tranquila condición de espectadores, usuarios, consumidores. Escuchar significa también ser capaces de compartir preguntas y dudas, de recorrer un camino al lado del otro, de liberarse de cualquier presunción de omnipotencia y de poner humildemente las propias capacidades y los propios dones al servicio del bien común.

Escuchar nunca es fácil. A veces es más cómodo fingir ser sordos. Escuchar significa prestar atención, tener deseo de comprender, de valorar, respetar, custodiar la palabra del otro. En la escucha se origina una especie de martirio, un sacrificio de sí mismo en el que se renueva el gesto realizado por Moisés ante la zarza ardiente: quitarse las sandalias en el «terreno sagrado» del encuentro con el otro que me habla (cf. Ex 3,5). Saber escuchar es una gracia inmensa, es un don que se ha de pedir para poder después ejercitarse practicándolo.

También los correos electrónicos, los mensajes de texto, las redes sociales, los foros pueden ser formas de comunicación plenamente humanas. No es la tecnología la que determina si la comunicación es auténtica o no, sino el corazón del hombre y su capacidad para usar bien los medios a su disposición. Las redes sociales son capaces de favorecer las relaciones y de promover el bien de la sociedad, pero también pueden conducir a una ulterior polarización y división entre las personas y los grupos. El entorno digital es una plaza, un lugar de encuentro, donde se puede acariciar o herir, tener una provechosa discusión o un linchamiento moral. Pido que el Año Jubilar vivido en la misericordia «nos haga más abiertos al diálogo para conocernos y comprendernos mejor; elimine toda forma de cerrazón y desprecio, y aleje cualquier forma de violencia y de discriminación» (Misericordiae vultus, 23). También en red se construye una verdadera ciudadanía. El acceso a las redes digitales lleva consigo una responsabilidad por el otro, que no vemos pero que es real, tiene una dignidad que debe ser respetada. La red puede ser bien utilizada para hacer crecer una sociedad sana y abierta a la puesta en común.

La comunicación, sus lugares y sus instrumentos han traído consigo un alargamiento de los horizontes para muchas personas. Esto es un don de Dios, y es también una gran responsabilidad. Me gusta definir este poder de la comunicación como «proximidad». El encuentro entre la comunicación y la misericordia es fecundo en la medida en que genera una proximidad que se hace cargo, consuela, cura, acompaña y celebra. En un mundo dividido, fragmentado, polarizado, comunicar con misericordia significa contribuir a la buena, libre y solidaria cercanía entre los hijos de Dios y los hermanos en humanidad.

Vaticano, 24 de enero de 2016

FRANCISCUS

[00089-ES.01] [Texto original: Italiano]

Testo in lingua portoghese

Comunicação e Misericórdia: um encontro fecundo

Queridos irmãos e irmãs!

O Ano Santo da Misericórdia convida-nos a reflectir sobre a relação entre a comunicação e a misericórdia. Com efeito a Igreja unida a Cristo, encarnação viva de Deus Misericordioso, é chamada a viver a misericórdia como traço característico de todo o seu ser e agir. Aquilo que dizemos e o modo como o dizemos, cada palavra e cada gesto deveria poder expressar a compaixão, a ternura e o perdão de Deus para todos. O amor, por sua natureza, é comunicação: leva a abrir-se, não se isolando. E, se o nosso coração e os nossos gestos forem animados pela caridade, pelo amor divino, a nossa comunicação será portadora da força de Deus.

Como filhos de Deus, somos chamados a comunicar com todos, sem exclusão. Particularmente próprio da linguagem e das acções da Igreja é transmitir misericórdia, para tocar o coração das pessoas e sustentá-las no caminho rumo à plenitude daquela vida que Jesus Cristo, enviado pelo Pai, veio trazer a todos. Trata-se de acolher em nós mesmos e irradiar ao nosso redor o calor materno da Igreja, para que Jesus seja conhecido e amado; aquele calor que dá substância às palavras da fé e acende, na pregação e no testemunho, a «centelha» que os vivifica.

A comunicação tem o poder de criar pontes, favorecer o encontro e a inclusão, enriquecendo assim a sociedade. Como é bom ver pessoas esforçando-se por escolher cuidadosamente palavras e gestos para superar as incompreensões, curar a memória ferida e construir paz e harmonia. As palavras podem construir pontes entre as pessoas, as famílias, os grupos sociais, os povos. E isto acontece tanto no ambiente físico como no digital. Assim, palavras e acções hão-de ser tais que nos ajudem a sair dos círculos viciosos de condenações e vinganças que mantêm prisioneiros os indivíduos e as nações, expressando-se através de mensagens de ódio. Ao contrário, a palavra do cristão visa fazer crescer a comunhão e, mesmo quando deve com firmeza condenar o mal, procura não romper jamais o relacionamento e a comunicação.

Por isso, queria convidar todas as pessoas de boa vontade a redescobrirem o poder que a misericórdia tem de curar as relações dilaceradas e restaurar a paz e a harmonia entre as famílias e nas comunidades. Todos nós sabemos como velhas feridas e prolongados ressentimentos podem aprisionar as pessoas, impedindo-as de comunicar e reconciliar-se. E isto aplica-se também às relações entre os povos. Em todos estes casos, a misericórdia é capaz de implementar um novo modo de falar e dialogar, como se exprimiu muito eloquentemente Shakespeare: «A misericórdia não é uma obrigação. Desce do céu como o refrigério da chuva sobre a terra. É uma dupla bênção: abençoa quem a dá e quem a recebe» (O mercador de Veneza, Acto IV, Cena I).

É desejável que também a linguagem da política e da diplomacia se deixe inspirar pela misericórdia, que nunca dá nada por perdido. Faço apelo sobretudo àqueles que têm responsabilidades institucionais, políticas e de formação da opinião pública, para que estejam sempre vigilantes sobre o modo como se exprimem a respeito de quem pensa ou age de forma diferente e ainda de quem possa ter errado. É fácil ceder à tentação de explorar tais situações e, assim, alimentar as chamas da desconfiança, do medo, do ódio. Pelo contrário, é preciso coragem para orientar as pessoas em direcção a processos de reconciliação, mas é precisamente tal audácia positiva e criativa que oferece verdadeiras soluções para conflitos antigos e a oportunidade de realizar uma paz duradoura. «Felizes os misericordiosos, porque alcançarão misericórdia. (...) Felizes os pacificadores, porque serão chamados filhos de Deus» (Mt 5, 7.9).

Como gostaria que o nosso modo de comunicar e também o nosso serviço de pastores na Igreja nunca expressassem o orgulho soberbo do triunfo sobre um inimigo, nem humilhassem aqueles que a mentalidade do mundo considera perdedores e descartáveis! A misericórdia pode ajudar a mitigar as adversidades da vida e dar calor a quantos têm conhecido apenas a frieza do julgamento. Seja o estilo da nossa comunicação capaz de superar a lógica que separa nitidamente os pecadores dos justos. Podemos e devemos julgar situações de pecado – violência, corrupção, exploração, etc. –, mas não podemos julgar as pessoas, porque só Deus pode ler profundamente no coração delas. É nosso dever admoestar quem erra, denunciando a maldade e a injustiça de certos comportamentos, a fim de libertar as vítimas e levantar quem caiu. O Evangelho de João lembra-nos que «a verdade [nos] tornará livres» (Jo 8, 32). Em última análise, esta verdade é o próprio Cristo, cuja misericórdia repassada de mansidão constitui a medida do nosso modo de anunciar a verdade e condenar a injustiça. É nosso dever principal afirmar a verdade com amor (cf. Ef 4, 15). Só palavras pronunciadas com amor e acompanhadas por mansidão e misericórdia tocam os nossos corações de pecadores. Palavras e gestos duros ou moralistas correm o risco de alienar ainda mais aqueles que queríamos levar à conversão e à liberdade, reforçando o seu sentido de negação e defesa.

Alguns pensam que uma visão da sociedade enraizada na misericórdia seja injustificadamente idealista ou excessivamente indulgente. Mas tentemos voltar com o pensamento às nossas primeiras experiências de relação no seio da família. Os pais amavam-nos e apreciavam-nos mais pelo que somos do que pelas nossas capacidades e os nossos sucessos. Naturalmente os pais querem o melhor para os seus filhos, mas o seu amor nunca esteve condicionado à obtenção dos objectivos. A casa paterna é o lugar onde sempre és bem-vindo (cf. Lc 15, 11-32). Gostaria de encorajar a todos a pensar a sociedade humana não como um espaço onde estranhos competem e procuram prevalecer, mas antes como uma casa ou uma família onde a porta está sempre aberta e se procura aceitar uns aos outros.

Para isso é fundamental escutar. Comunicar significa partilhar, e a partilha exige a escuta, o acolhimento. Escutar é muito mais do que ouvir. Ouvir diz respeito ao âmbito da informação; escutar, ao invés, refere-se ao âmbito da comunicação e requer a proximidade. A escuta permite-nos assumir a atitude justa, saindo da tranquila condição de espectadores, usuários, consumidores. Escutar significa também ser capaz de compartilhar questões e dúvidas, caminhar lado a lado, libertar-se de qualquer presunção de omnipotência e colocar, humildemente, as próprias capacidades e dons ao serviço do bem comum.

Escutar nunca é fácil. Às vezes é mais cómodo fingir-se de surdo. Escutar significa prestar atenção, ter desejo de compreender, dar valor, respeitar, guardar a palavra alheia. Na escuta, consuma-se uma espécie de martírio, um sacrifício de nós mesmos em que se renova o gesto sacro realizado por Moisés diante da sarça-ardente: descalçar as sandálias na «terra santa» do encontro com o outro que me fala (cf. Ex 3, 5). Saber escutar é uma graça imensa, é um dom que é preciso implorar e depois exercitar-se a praticá-lo.

Também e-mails, sms, redes sociais, chat podem ser formas de comunicação plenamente humanas. Não é a tecnologia que determina se a comunicação é autêntica ou não, mas o coração do homem e a sua capacidade de fazer bom uso dos meios ao seu dispor. As redes sociais são capazes de favorecer as relações e promover o bem da sociedade, mas podem também levar a uma maior polarização e divisão entre as pessoas e os grupos. O ambiente digital é uma praça, um lugar de encontro, onde é possível acariciar ou ferir, realizar uma discussão proveitosa ou um linchamento moral. Rezo para que o Ano Jubilar, vivido na misericórdia, «nos torne mais abertos ao diálogo, para melhor nos conhecermos e compreendermos; elimine todas as formas de fechamento e desprezo e expulse todas as formas de violência e discriminação» (Misericordiae Vultus, 23). Em rede, também se constrói uma verdadeira cidadania. O acesso às redes digitais implica uma responsabilidade pelo outro, que não vemos mas é real, tem a sua dignidade que deve ser respeitada. A rede pode ser bem utilizada para fazer crescer uma sociedade sadia e aberta à partilha.

A comunicação, os seus lugares e os seus instrumentos permitiram um alargamento de horizontes para muitas pessoas. Isto é um dom de Deus, e também uma grande responsabilidade. Gosto de definir este poder da comunicação como «proximidade». O encontro entre a comunicação e a misericórdia é fecundo na medida em que gerar uma proximidade que cuida, conforta, cura, acompanha e faz festa. Num mundo dividido, fragmentado, polarizado, comunicar com misericórdia significa contribuir para a boa, livre e solidária proximidade entre os filhos de Deus e irmãos em humanidade.

Vaticano, 24 de Janeiro de 2016.

FRANCISCUS

[00089-PO.01] [Texto original: Italiano]

Testo in lingua polacca

„Komunikacja i Miłosierdzie – owocne spotkanie”

Drodzy bracia i siostry,

Rok Święty Miłosierdzia zachęca nas do refleksji na temat relacji między komunikacją a miłosierdziem. Kościół zjednoczony z Chrystusem, żywym ucieleśnieniem Boga Miłosiernego jest powołany bowiem do życia miłosierdziem, jako znakiem rozpoznawczym całego swego istnienia i działania. To, co mówimy i jak mówimy, każde słowo i każdy gest powinien móc wyrazić współczucie, czułą troskę i przebaczenie Boga dla wszystkich. Miłość ze swej natury jest komunikacją, prowadzi do otwarcia się a nie do izolowania się. A jeśli nasze serca i nasze działania są inspirowane przez miłość, przez Bożą miłość, to nasza komunikacja będzie nośnikiem Bożej mocy.

Jesteśmy powołani, aby jako dzieci Boże komunikować się ze wszystkimi bez wyjątku. Tym bardziej, że właściwością języka i działania Kościoła jest   przekazywanie miłosierdzia, aby poruszyć serca ludzi i wspierać ich w drodze do pełni życia, którą Jezus Chrystus, posłany przez Ojca, przyszedł przynieść wszystkim. Chodzi o przyjęcie w nas i upowszechnienie wokół nas serdeczności Kościoła - Matki, aby Jezus był poznany i kochany; tej serdeczności która ukonkretnia słowa wiary i która rozpala w przepowiadaniu i świadectwie tę „iskrę”, jaka ją o​​żywia.

Komunikacja ma moc budowania mostów, sprzyjania spotkaniu i integracji, ubogacając w ten sposób społeczeństwo. Jak to dobrze, gdy widzimy osoby zaangażowane w staranne dobieranie słów i gestów, ażeby przezwyciężyć nieporozumienia, uleczyć zranioną pamięć i budować pokój oraz zgodę. Słowa mogą przerzucać mosty między ludźmi, rodzinami, grupami społecznymi,  narodami. Jest to możliwe zarówno w przestrzeni fizycznej jak i cyfrowej. Dlatego słowa i działania powinny nam pomóc wyjść z zaklętego kręgu potępień i zemsty, które stale wpędzają w matnię osoby i narody, prowadzące do wyrażania się przesłaniami nienawiści. Natomiast słowo chrześcijanina stawia sobie za cel spowodowanie rozwoju komunii i nawet jeśli musi zdecydowanie potępić zło, stara się nie zrywać relacji i komunikacji.

Chciałbym w związku z tym zaprosić wszystkich ludzi dobrej woli do odkrycia na nowo mocy miłosierdzia, aby uzdrawiać porozrywane relacje i przywrócić pokój i zgodę między rodzinami i we wspólnotach. Wszyscy wiemy, jak bardzo stare rany i przewlekłe urazy mogą ludzi usidlić i uniemożliwić im komunikowanie się ze sobą oraz wzajemne pojednanie. Dotyczy to także stosunków między narodami. We wszystkich tych przypadkach miłosierdzie może uaktywnić nowy sposób rozmawiania i prowadzenia dialogu, jak to wymownie wyraził Szekspir: „Dla miłosierdzia nikt przymusu nie ma; Ono jak kropla niebieskiego deszczu spływa na ziemię, dwakroć błogosławi tego, co daje, i tego, co bierze” (Kupiec wenecki, akt IV, scena I).

Warto byłoby, aby także język polityki i dyplomacji dał się zainspirować miłosierdziem, które ​​nigdy nie traktuje niczego jako stracone. Zwracam się szczególnie do tych, którzy mają odpowiedzialność instytucjonalną, polityczną oraz odpowiadają za kształtowanie opinii publicznej, aby zawsze czuwali nad sposobem wypowiadania się względem tych, którzy myślą czy działają inaczej, lub nawet tych, którzy mogą się mylić. Łatwo ulec pokusie, aby wykorzystać podobne sytuacje i podsycać w ten sposób płomienie nieufności, strachu i nienawiści. Tymczasem potrzebna jest odwaga, aby ukierunkować osoby ku  procesom pojednania. To właśnie taka pozytywna i twórcza śmiałość oferuje realne rozwiązania dawnych konfliktów i możliwości osiągnięcia trwałego pokoju. „Błogosławieni miłosierni, albowiem oni miłosierdzia dostąpią [...] Błogosławieni, którzy wprowadzają pokój, albowiem oni będą nazwani synami Bożymi” (Mt 5,7.9).

Jakże chciałbym, aby nasz sposób komunikowania się, a także nasza posługa pasterzy w Kościele nigdy nie wyrażały wyniosłej pychy triumfu nad wrogiem ani też nie upokarzały tych, których mentalność świata uważa za przegranych, tych których trzeba odrzucić! Miłosierdzie może pomóc w załagodzeniu przeciwności życia i dać ciepło tym, którzy zaznali jedynie chłodu osądzenia. Niech styl naszej komunikacji pozwoli na przezwyciężenie logiki, która wyraźnie oddziela grzeszników od sprawiedliwych. Możemy i musimy osądzać sytuacje grzechu - przemoc, korupcję, wyzysk, i tym podobne - ale nie możemy osądzać ludzi, bo tylko Bóg może czytać w głębi ich serc. Naszym zadaniem jest ostrzeżenie tych, którzy popełniają błędy, potępiając zło i niesprawiedliwość pewnych zachowań, aby uwolnić ofiary i podnieść upadłych. Ewangelia Jana przypomina nam, że „prawda was wyzwoli” (J 8,32). Tą prawdą jest ostatecznie sam Chrystus, którego łagodne miłosierdzie jest miarą naszego sposobu głoszenia prawdy i potępiania niesprawiedliwości. Naszym najważniejszym obowiązkiem jest stwierdzanie prawdy w miłości (por. Ef 4,15). Tylko słowa wypowiadane z miłością, którym towarzyszy łagodność i miłosierdzie dotykają serc nas, grzeszników. Słowa i gesty szorstkie lub moralizatorskie mogą jeszcze bardziej wyobcowywać tych, których chcemy doprowadzić do nawrócenia i wolności, umacniając ich poczucie sprzeciwu i obrony.

Niektórzy uważają, że pewna wizja społeczeństwa zakorzenionego w miłosierdziu jest stanowczo zbyt pobłażliwa lub idealistyczna. Ale spróbujmy pomyśleć o naszych pierwszych doświadczeniach relacji w obrębie rodziny. Rodzice nas kochali i doceniali bardziej za to czym jesteśmy, niż ze względu na nasze umiejętności i osiągnięcia. Oczywiście rodzice chcą jak najlepiej dla swoich dzieci, ale ich miłość nigdy nie jest uzależniona od osiągnięcia celów. Dom rodzinny jest miejscem, w którym zawsze jesteś akceptowany (por. Łk 15,11-32). Chciałbym wszystkich zachęcić do myślenia o ludzkim społeczeństwie nie jako o przestrzeni, w której obcy rywalizują i starają się dominować, ale raczej jako o domu lub rodzinie, gdzie drzwi są zawsze otwarte i którego mieszkańcy starają się wzajemnie akceptować.

Dlatego istotne znaczenie ma wysłuchanie. Komunikowanie oznacza dzielenie się, a dzielenie się wymaga wysłuchania, akceptacji. Wysłuchanie to znacznie więcej niż słuchanie. Słuchanie dotyczy dziedziny informacji; natomiast wysłuchanie odwołuje się komunikacji i wymaga bliskości. Wysłuchanie pozwala nam przyjąć właściwą postawę, opuszczając spokojną kondycję widzów, użytkowników, konsumentów. Wysłuchanie oznacza również zdolność dzielenia się pytaniami i wątpliwościami, przemierzenie jakiejś drogi obok siebie, wyzwolenie się z wszelkiej pyszałkowatości wszechmocy i pokorne oddanie swoich umiejętności i darów na służbę dobra wspólnego.

Wysłuchanie nigdy nie jest łatwe. Czasami bardziej wygodne jest udawanie głuchych. Wysłuchanie oznacza zwracanie uwagi, posiadanie chęci zrozumienia, docenienia, szanowania, strzeżenia słowa drugiego. W wysłuchaniu mamy do czynienia z pewnego rodzaju męczeństwem, ofiarą z siebie samego, w którym ponawia się święty gest uczyniony przez Mojżesza przed płonącym krzewem: zdjęcie sandałów na „świętej ziemi” spotkania z drugim, który do mnie mówi (por. Wj 3,5). Umiejętność wysłuchania to ogromna łaska, to dar, o który trzeba prosić, aby następnie uczyć się go realizować.

Także e-maile, sms-y, sieci społecznościowe, czaty mogą być w pełni ludzkimi formami komunikacji. To nie technologia określa, czy komunikacja jest autentyczna, czy też nie, ale serce człowieka i jego zdolność do dobrego wykorzystania środków, jakimi dysponuje. Sieci społecznościowe mogą ułatwiać relacje i promować dobro społeczeństwa, ale mogą również prowadzić do dalszej polaryzacji i podziałów między ludźmi i grupami. Środowisko cyfrowe jest placem, miejscem spotkań, gdzie można wyrazić sobie serdeczność, albo zadać rany, nawiązać pożyteczną dyskusję lub dokonać linczu moralnego. Modlę się, aby ten Rok Jubileuszowy przeżywany w miłosierdziu „sprawił, że staniemy się bardziej otwarci na dialog, aby poznać się lepiej i wzajemnie zrozumieć; niech wyeliminuje wszelkie formy zamknięcia i pogardy i odrzuci wszelką przemoc i dyskryminację” (Misericordiae vultus, 23). Także w sieci buduje się prawdziwe społeczeństwo obywatelskie. Dostęp do sieci cyfrowych pociąga za sobą odpowiedzialność za drugiego, którego nie widzimy, ale który jest realny, posiada swoją godność, która musi być respektowana. Sieć może być dobrze używana, aby spowodować rozwój zdrowego społeczeństwa, otwartego na dzielenie się z innymi.

Komunikacja, jej miejsca i jej narzędzia doprowadziły do ​​poszerzenia horyzontów dla wielu osób. Jest to dar od Boga, a także wielka odpowiedzialność. Lubię nazywać tę władzę komunikacji „bliskością”. Spotkanie pomiędzy komunikacją a miłosierdziem jest owocne na tyle, na ile rodzi bliskość, która otacza troską, pociesza, uzdrawia, towarzyszy i wyprawia święto. W świecie podzielonym, rozdrobnionym, spolaryzowanym, miłosierne komunikowanie się oznacza przyczynianie się do dobrej, wolnej i solidarnej bliskości między dziećmi Boga i braćmi w człowieczeństwie.

Watykan, 24 stycznia 2016 roku

FRANCISCUS

[00089-PL.01] [Original text: Italian]

Testo in lingua araba

رسالة قداسة

البابا فرنسيس

بمناسبة اليوم العالمي الخمسين للاتصالات الاجتماعية

التواصل والرحمة: لقاء مثمر

إخوتي وأخواتي الأعزاء،

تدعونا سنة الرحمة المقدسة للتأمل في العلاقة بين التواصل والرحمة. ففي الواقع، إن الكنيسة، المتحدة بالمسيح، التجسد الحي لله الرحيم، هي مدعوة لعيش الرحمة كعلامة مميّزة لكل كينونتها وعملها. وعلى ما نقوله وكيف نقوله، وكل كلمة وكل عمل أن يكون قادرًا على التعبير عن رأفة الله وحنانه ومغفرته للجميع. إن المحبة، بطبيعتها، هي تواصل، وتقود إلى الانفتاح لا الانعزال. وإذا انتعشت قلوبنا وأعمالنا بالمحبة، بالحب الإلهي، سيكون تواصلنا حاملا لقوة الله.

إننا مدعوون للتواصل كأبناء الله مع الجميع، بدون استثناء. وعلى وجه الخصوص، فإن من ميزات لغة الكنيسة وأعمالها إيصال الرحمة، لتلمس هكذا قلوب الأشخاص وتعضدهم في المسيرة نحو ملء الحياة التي يسوع المسيح، المرسل من الآب، جاء ليحملها للجميع. يعني أن نقبل في داخلنا وننشر من حولنا دفء الكنيسة الأم، كي يكون يسوع معروفًا ومحبوبًا؛ ذاك الدفء الذي يعطي جوهرًا لكلمات الإيمان ويشعل في البشارة والشهادة "الشرارة" التي تحييهما.

إن للتواصل القدرة على بناء جسور وتشجيع اللقاء والاندماج، مغنيًا هكذا المجتمع. ما أجمل أن نرى أشخاصًا ملتزمين بأن يختاروا بعناية كلمات وأعمالا لتخطّي سوء الفهم، وشفاء الذاكرة المجروحة وبناء السلام والتناغم. باستطاعة الكلمات أن تمدّ جسورًا بين الأشخاص، والعائلات، والمجموعات الاجتماعية والشعوب، وذلك سواء في البيئة المادية أو الرقمية. وبالتالي، فلتكن الكلمات والأفعال تلك التي تساعدنا على الخروج من الحلقات المفرغة للإدانة والانتقام والتي لا تزال تحاصر الأفراد والأمم، وتقود إلى التعبير برسائل كراهية. إن كلام المسيحي، في المقابل، يقصد تنمية الشركة، وحينما يكون عليه أيضًا إدانة الشرّ بحزم، يسعى لئلا يقطع أبدًا العلاقة والتواصل.

أودّ بالتالي أن أدعو جميع الأشخاص ذوي الإرادة الصالحة إلى إعادة اكتشاف قدرة الرحمة على إصلاح العلاقات الممزّقة وإعادة السلام والتناغم بين العائلات وفي الجماعات. نعلم جميعًا كيف أن الجراح القديمة والأحقاد المحمولة باستطاعة أن تقيّد الأشخاص وتمنعهم من التواصل ومن المصالحة. وينطبق ذلك أيضًا على العلاقات بين الشعوب. وفي جميع هذه الحالات، فإن الرحمة قادرة على إطلاق طريقة جديدة في الكلام والتحاور، كما عبّر شكسبير ببلاغة: "ليست الرحمة إلزامًا. فهي تنزل من السماء كرذاذ المطر على الأرض. إنها بركة مزدوجة: تبارك من يعطيها ومن ينالها" (تاجر البندقية، الفصل الرابع، المشهد الأول).

من المُستحبّ أن تستوحي أيضًا لغة السياسة والدبلوماسية من الرحمة التي لا تعتبر أبدًا أي شيء ضائعًا. أوجّه نداء بنوع خاص إلى جميع من يضطلعون بمسؤوليات مؤسساتية، سياسية، وبتكوين الرأي العام، كي يكونوا دائمًا متنبّهين لطريقة تعبيرهم إزاء من يفكّر أو يعمل بشكل مغاير، وإزاء من يكون ربّما قد أخطأ. من السهولة بمكان الاستسلام لتجربة استغلال أوضاع مماثلة وبالتالي تأجيج نيران عدم الثقة والخوف والكراهية. هناك في المقابل حاجة إلى الشجاعة من أجل توجيه الأشخاص نحو عمليات مصالحة، وهذه الجرأة الإيجابية والخلاقة تحديدًا تقدّم حلولا حقيقية لنزاعات قديمة والفرصةَ لتحقيق سلام دائم. "طوبى للرُحَماء، فإنَّهم يُرحَمون... طوبى للسَّاعينَ إلى السلام، فإنَّهم أبناءَ الله يُدعَون" (متى 5، 7. 9).

كم أرغبُ بألا تعبّر أبدًا طريقتنا في التواصل، وأيضًا خدمتنا كرعاة في الكنيسة، عن الكبرياء المتغطرس للانتصار على عدوّ، وبألا تهين الذين تعتبرهم عقليّة العالم خاسرين وينبغي إقصاؤهم! تستطيع الرحمة أن تساعد على التخفيف من شدائد الحياة وتقديم الدفء للذين عرفوا فقط برودة الإدانة. فليكن أسلوب تواصلنا قادرًا على تجاوز المنطق الذي يفصل بوضوح الخطأة عن الأبرار. باستطاعتنا وعلينا أن ندين حالات الخطيئة ـ العنف، الفساد، الاستغلال... ـ ولكن لا يمكننا أن نحكم على الأشخاص، لأن الله وحده يستطيع أن يقرأ ما في أعماق قلبهم. من واجبنا أن نحذّر من يخطئ، ونندد بشرّ وظلم بعض التصرفات، من أجل تحرير الضحايا ومساعدة من سقط على النهوض. يذكّرنا إنجيل يوحنا بأن "الحق يحرّركم" (8، 32). هذا الحق هو المسيح نفسه، ورحمته المتواضعة هي مقياس طريقة إعلاننا الحقيقة وشجبنا الظلم. إن التأكيد على الحقيقة بمحبة لهو واجبنا الأساسي (را. أف 4، 15). وحدها الكلمات المعلنة بمحبة والمرفقة بالوداعة والرحمة تلامس قلوبنا نحن الخطأة. إن الكلمات والأفعال القاسية والأخلاقية النزعة تواجه خطر إبعاد الأشخاص الذين نريد أن نقودهم إلى الارتداد والحرية، من خلال تقوية مشاعر النبذ والدفاع لديهم.

يعتقد البعض أن نظرة إلى المجتمع متجذرة في الرحمة تكون مثالية بشكل غير مبرّر، أو متسامحة بصورة مبالغة. لكن دعونا نعيد التفكير في اختبارات علاقاتنا الأولى في كنف العائلة. لقد أحبّنا الوالدون وقدّرونا على ما نحن عليه أكثر من قدراتنا ونجاحاتنا. إن الوالدين يريدون بالطبع الأفضل بالنسبة لأبنائهم، لكن حبّهم ليس مشروطًا ببلوغ الأهداف. إن البيت الأبوي هو المكان الذي يستضيفك دومًا (را. لو 15، 11-32). أود أن أشجع الجميع على التفكير بالمجتمع البشري لا كفسحة يتنافس فيها الغرباء ويطمحون إلى التفوق، بل كبيت أو عائلة يكون فيها الباب مفتوحًا دومًا ونحاول فيه أن نستقبل بعضنا البعض.

لذا يكتسب الإصغاء أهمية كبرى. التواصل يعني المقاسمة، والمقاسمة تتطلّب الإصغاء والضيافة. الإصغاء أكثر من السمع. السمع يتعلّق ببيئة الإعلام؛ أما الإصغاء فهو مرتبط ببيئة التواصل ويتطلّب القرب من الآخرين. إن الإصغاء يسمح لنا بتبني الموقف الصحيح، وبالخروج من أوضاع المتفرّج أو المستخدم أو المستهلك. الإصغاء يعني أيضًا أن نكون قادرين على مقاسمة أسئلة وشكوك، وعلى السير في الدرب جنبًا إلى جنب، والتخلّص من غطرسة التسلّط ووضع قدراتنا ومواهبنا، بتواضع، في خدمة الخير العام.

الإصغاء ليس سهلاً على الإطلاق. فأحيانًا من الأفضل أن يدّعي المرء أنه أصم. الإصغاء يعني التنبّه، والرغبة في الفهم، والتقييم والاحترام والحفاظ على كلمة الآخر. في الإصغاء يحصل نوع من الاستشهاد، التضحية بالذات، حيث يتجدّد الفعلُ المقدس الذي قام به موسى أمام العلّيقة المشتعلة: أي أن أخلع نعليّ على "الأرض المقدسة" حيث يحصل التلاقي مع الآخر الذي يحدّثني. معرفة الإصغاء هي نعمة عظيمة، إنها هبة لا بد من ابتهالها كي نتمرّن على ممارستها.

إن البريد الإلكتروني والرسائل الهاتفية القصيرة، وشبكات التواصل الاجتماعي وغرف الدردشة، هي أيضًا أشكال من التواصل البشري بكل معنى الكلمة. التكنولوجيا لا تحدّد أصالة التواصل، بل قلب الإنسان وقدرته على تحسين استخدام هذه الوسائل المتاحة لديه. إن شبكات التواصل الاجتماعي قادرة على توطيد العلاقات وتعزيز خير المجتمع لكن يمكنها أن تقود أيضًا إلى مزيد من الاستقطاب والانقسامات بين الأشخاص والمجموعات. البيئة الرقمية هي ساحة، مكان للتلاقي، حيث يمكن أن نعامل الآخر بلطف أو أن نجرحه، أن نقيم نقاشًا مثمرًا أو أن نقتل معنويًا. أصلّي كي تجعلنا السنة اليوبيلية المعاشة بالرحمة "أكثر انفتاحًا على الحوار كي نتعرّف على بعضنا البعض ونفهم بعضنا البعض بصورة أفضل؛ وتلغي كل شكل من أشكال الانغلاق والاحتقار وتنبذ كل شكل من أشكال العنف والتمييز" (وجه الرحمة، 23). وفي الإنترنت أيضًا تُبنى مواطَنة حقّة. الدخول إلى الشبكات الرقمية يتطلّب مسؤولية حيال الآخر، مسؤولية لا نراها لكنها واقعية، ولها كرامتها التي تستأهل الاحترام. يمكن استخدام الشبكة بشكل جيد كي ينمو مجتمع سليم ومنفتح على التقاسم.

لقد أدّى التواصل وأماكنه وأدواته إلى توسيع آفاق العديد من الأشخاص. هذه هي هبة من الله، لكنها أيضًا مسؤولية كبيرة. أودّ أن أصف سلطة التواصل هذه كـ"قُرْبٍ". اللقاء بين التواصل والرحمة يكون مثمرًا عندما يولّد قربًا يعتني بالآخر، يعزّي ويداوي ويرافق ويحتفي. إن التواصل برحمة، في عالم مقسّم، مفتت ومستقطب، يعني المساهمة في القرب الطيب والحر والتضامني بين أبناء الله والأخوة في البشرية.

الفاتيكان، 24 يناير /كانون الثاني 2016

[00089-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0043-XX.02]