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Visita del Santo Padre Francesco alla Comunità Evangelica Luterana di Roma, 15.11.2015


Dialogo del Papa con i membri della Comunità

Omelia pronunciata dal Santo Padre

Testo dell’omelia preparata dal Santo Padre

Questo pomeriggio, alle ore 16, Papa Francesco si è recato in visita alla Comunità evangelica luterana di Roma presso la Christuskirche in via Sicilia.

L’incontro si è aperto con il saluto del Pastore Jens-Martin Kruse, quindi il Papa ha dialogato con tre membri della Comunità – un bambino e due donne – rispondendo alle loro domande.

È seguita la preghiera serale, con la lettura del passo evangelico secondo Matteo (25,31-46), al termine del quale il Papa ha tenuto l’omelia.

Di seguito pubblichiamo la trascrizione del dialogo di Papa Francesco con i membri della Comunità evangelica luterana e la trascrizione dell’omelia che il Santo Padre ha tenuto a braccio, nonché il testo dell’omelia preparata per la visita:

Dialogo del Papa con i membri della Comunità

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua tedesca

Testo in lingua italiana

1) Mi chiamo Julius. Ho nove anni e mi piace molto partecipare al culto dei bambini in questa comunità. Sono affascinato dalle storie di Gesù e mi piace anche come Lui si comporta. La mia domanda è: che cosa ti piace di più dell’essere Papa?

La risposta è semplice. Quello che mi piace… Se io ti domando cosa ti piace di più del pasto, tu dirai la torta, il dolce! O no? Ma bisogna mangiare tutto. La cosa che mi piace, sinceramente, è fare il parroco, fare il pastore. Non mi piace fare i lavori d’ufficio. Non mi piacciono questi lavori. Non mi piace fare interviste protocollari - questa non è protocollare, è familiare! - ma devo farlo. Perciò cosa mi piace di più? Fare il parroco. E un tempo, mentre ero rettore della facoltà di teologia, ero parroco della parrocchia che c’è accanto alla facoltà, e sai, mi piaceva insegnare il catechismo ai bambini e la domenica fare la Messa con i bambini. C’erano più o meno 250 bambini, era difficile che tutti stessero in silenzio, era difficile. Il dialogo con i bambini… Questo mi piace. Tu sei un ragazzo e forse mi capirai. Voi siete concreti, voi non fate domande campate in aria, teoriche: “Perché questo è così? Perché…”. Ecco, mi piace fare il parroco e, facendo il parroco, quello che più mi piace è stare con i bambini, parlare con loro, e s’impara tanto. S’impara tanto. Mi piace fare il Papa con lo stile del parroco. Il servizio. Mi piace, nel senso che mi sento bene, quando visito gli ammalati, quando parlo con le persone che sono un po’ disperate, tristi. Amo tanto andare in carcere, ma non che mi portino in galera! Perché, parlare con i carcerati… - tu forse capirai quello che ti dirò - ogni volta che io entro in un carcere, domando a me stesso: “Perché loro e io no?”. E lì sento la salvezza di Gesù Cristo, l’amore di Gesù Cristo per me. Perché è Lui che mi ha salvato. Io non sono meno peccatore di loro, ma il Signore mi ha preso per mano. Anche questo lo sento. E quando vado in carcere sono felice. Fare il Papa è fare il vescovo, fare il parroco, fare il pastore. Se un Papa non fa il vescovo, se un Papa non fa il parroco, non fa il pastore, sarà una persona molto intelligente, molto importante, avrà molta influenza nella società, ma io penso – penso! – che nel suo cuore non è felice. Non so se ho risposto a quello che tu volevi sapere.

2) Mi chiamo Anke de Bernardinis e, come molte persone della nostra comunità, sono sposata con un italiano, che è un cristiano cattolico romano. Viviamo felicemente insieme da molti anni, condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore. Che cosa possiamo fare per raggiungere, finalmente, la comunione su questo punto?

Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderLe, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: “Fate questo in memoria di me”. E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando - e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia - io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. E’ vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso Battesimo. Quando Lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, Lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il Battesimo. Quando voi pregate insieme, quel Battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con sé stesso e con le poche “luci” teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. “Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue”, ha detto il Signore, “fate questo in memoria di me”, e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, 48enne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla Messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla Cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda Le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la Cena del Signore mi accompagni nella mia strada? E’ un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: “Noi crediamo che il Signore è presente lì. E’ presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?” – “Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…”. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al Battesimo: “Una fede, un battesimo, un Signore”, così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più.

3) Mi chiamo Gertrud Wiedmer. Vengo dalla Svizzera. Sono la tesoriera della nostra comunità e sono impegnata nel nostro progetto per i rifugiati. Porta il nome di “Orsacchiotto” e, con esso, sosteniamo circa 80 giovani madri e i loro figli piccoli, venute a Roma dal Nordafrica. Vediamo la miseria. Cerchiamo di essere d’aiuto. Ma sappiamo, anche, che le possibilità hanno una fine. Che cosa possiamo fare, come cristiani, affinché le persone non si rassegnino o non erigano nuovi muri?

Lei, essendo svizzera, essendo la tesoriera, ha tutto il potere in mano! Un servizio… La miseria… Lei ha detto questa parola: la miseria. Mi vengono da dire due cose. La prima, i muri. L’uomo, dal primo momento – se noi leggiamo le Scritture – è un grande costruttore di muri, che separano da Dio. Nelle prime pagine della Genesi vediamo questo. E c’è una fantasia dietro i muri umani, la fantasia di diventare come Dio. Per me il mito, per dirlo in parole tecniche, o la narrazione della Torre di Babele, è proprio l’atteggiamento dell’uomo e della donna che costruiscono muri, perché costruire un muro è dire: “Noi siamo i potenti, voi fuori”. Ma in questo “noi siamo i potenti e voi fuori” c’è la superbia del potere e l’atteggiamento proposto nelle prime pagine della Genesi: “Sarete come Dio” (cfr Gen 3,5). Fare un muro è per escludere, va in questa linea. La tentazione: “Se voi mangiate questo frutto, sarete come Dio”. A proposito della Torre di Babele - questo forse me lo avete sentito dire, perché lo ripeto, ma è tanto “plastico” - c’è un midrash scritto nel 1200 più o meno, nel tempo di Tommaso d’Aquino, di Maimonide, più o meno in quel tempo, da un rabbino ebreo, che spiegava ai suoi nella Sinagoga la costruzione della Torre di Babele, dove la potenza dell’uomo si faceva sentire. Era molto difficile, molto costoso, perché si doveva fare il fango e non sempre l’acqua era vicina, cercare la paglia, fare l’impasto, poi tagliare, farli seccare, poi farli asciugare, poi cuocerli nel forno e alla fine salivano e gli operai li prendevano… Se cadeva uno di questi mattoni era una catastrofe, perché erano un tesoro, erano costosi, costavano. Se cadeva un operaio, invece, non succedeva niente! Il muro sempre esclude, preferisce il potere - in questo caso il potere del denaro perché il mattone costava, o la torre che voleva arrivare fino in cielo - e così sempre esclude l’umanità. Il muro è il monumento all’esclusione. Anche in noi, nella nostra vita interiore, quante volte le ricchezze, la vanità, l’orgoglio diventano un muro davanti al Signore, ci allontanano dal Signore. Fare i muri. Per me, la parola che mi viene adesso, un po’ spontanea, è quella di Gesù: come fare per non fare muri? Servizio. Fate la parte dell’ultimo. Lava i piedi. Lui ti ha dato l’esempio. Servizio agli altri, servizio ai fratelli, alle sorelle, servizio ai più bisognosi. Con questa opera di sostenere le 80 giovani madri, voi non fate muri, fate servizio. L’egoismo umano vuol difendersi, difendere il proprio potere, il proprio egoismo, ma in quel difendersi si allontana dalla fonte di ricchezza. I muri alla fine sono come un suicidio, ti chiudono. E’ una cosa brutta avere il cuore chiuso. E oggi lo vediamo, il dramma… Mio fratello Pastore oggi ha nominato Parigi: cuori chiusi. Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori. Lei mi domandava: “Cerchiamo di essere di aiuto alla miseria, ma sappiamo anche che le possibilità hanno una fine. Che cosa possiamo fare come cristiani, affinché le persone non si rassegnino o non erigano nuovi muri?”. Parlare chiaro, pregare - perché la preghiera è forte - e servire. E servire. Un giorno, a Madre Teresa di Calcutta hanno fatto la domanda: “Ma tutto questo sforzo che Lei fa soltanto per far morire con dignità questa gente che è a tre, quattro giorni dalla morte, che cosa è?”. E’ una goccia d’acqua nel mare, ma, dopo questo, il mare non è più lo stesso. E, sempre col servizio, i muri cadranno da soli; ma il nostro egoismo, il nostro desiderio di potere cerca sempre di costruirli. Non so, questo mi viene di dire. Grazie.

[01982-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua tedesca

Antworten des Heiligen Vaters auf die während der Begegnung vorgetragenen Fragen:

1) Ich heiße Julius. Ich bin neun Jahre alt, und ich nehme sehr gerne an den Kindergottesdiensten in dieser Gemeinde teil. Ich bin fasziniert von den Geschichten von Jesus, und mir gefällt auch, wie er sich verhält. Meine Frage ist: Was gefällt dir am meisten daran, Papst zu sein?

Die Antwort ist einfach. Was mir gefällt … Wenn ich dich frage, was dir vom Essen am meisten schmeckt, wirst du sagen die Torte, die Nachspeise. Oder nicht? Man muss aber alles essen. Das, was mir, ehrlich gesagt, gefällt, ist Pfarrer sein, Hirte sein. Ich mag nicht gern die Büroarbeiten machen. Diese Arbeiten gefallen mir nicht. Ich gebe nicht gern protokollarische Interviews – dieses hier ist nicht protokollarisch, sondern familiär –, aber ich muss sie machen. Was gefällt mir daher am meisten? Pfarrer sein. Eine Zeit lang, als ich Rektor der Theologischen Fakultät war, war ich Pfarrer der Pfarrei neben der Fakultät, und, weißt du, gerne lehrte ich die Kinder den Katechismus und feierte die Kindermesse am Sonntag. Es waren ungefähr 250 Kinder; es war schwer, dass sie alle ruhig blieben, wirklich schwer. Das Gespräch mit den Kindern … das mag ich. Du bist ein Junge, und vielleicht verstehst du mich. Ihr Kinder seid konkret, ihr macht keine leeren theoretischen Fragen: „Warum ist das so? Warum ….?“ Nun, ich bin gerne Pfarrer, und wenn ich Pfarrer bin, ist das, was mir am meisten gefällt, das mit den Kindern sein, mit ihnen zu sprechen, und man lernt viel, ja man lernt viel dabei. Ich bin gerne Papst im Stil eines Pfarrers. Der Dienst. Mir gefällt es, d.h. im Sinn dass ich mich dabei gut fühle, wenn ich die Kranken besuche, wenn ich mit Menschen spreche, die ein wenig verzweifelt, traurig sind. Ich liebe es sehr, das Gefängnis zu besuchen, aber nicht dass sie mich hinter Gitter bringen! Denn mit den Häftlingen zu sprechen … – du verstehst vielleicht, was ich dir sage – denn jedes Mal, wenn ich das Gefängnis betrete, frage ich mich: „Warum sie und nicht ich?“ Und dort spüre ich das Heil Jesu Christi, die Liebe Jesu Christi für mich. Denn er ist es, der mich gerettet hat. Ich bin nicht weniger Sünder als sie, aber der Herr hat mich an der Hand genommen. Auch das spüre ich. Und wenn ich ins Gefängnis gehe, bin ich glücklich. Papst sein heißt Bischof sein, Pfarrer sein, Hirte sein. Wenn ein Papst nicht Bischof ist, wenn ein Papst nicht Pfarrer ist, nicht Hirte ist, dann mag er ein sehr intelligenter Mensch sein, sehr wichtig sein, großen Einfluss in der Gesellschaft haben, aber ich denke – so denke ich! –, in seinem Herzen ist er nicht glücklich. Ich weiß nicht, ob ich beantwortet habe, was du wissen wolltest.

2) Ich heiße Anke de Bernardinis, und wie viele Menschen unserer Gemeinde bin ich mit einem Italiener verheiratet, einem römisch-katholischen Christen. Seit vielen Jahren leben wir glücklich miteinander und teilen Freud und Leid. Daher schmerzt es uns sehr, dass wir im Glauben getrennt sind und am Abendmahl des Herrn nicht gemeinsam teilnehmen können. Was können wir tun, um endlich die Gemeinschaft in diesem Punkt zu erlangen?

Danke, Frau de Bernardinis. Auf die Frage über das gemeinsame Abendmahl des Herrn zu antworten, ist nicht einfach für mich, vor allem vor einem Theologen wie Kardinal Kasper. Da „fürchte“ ich mich! Ich denke: Der Herr hat uns gesagt, als er diesen Auftrag gab: „Tut dies zu meinem Gedächtnis.“ Und wenn wir das Abendmahl des Herrn teilen, erinnern wir daran und ahmen wir nach, tun wir das Gleiche, was Jesus der Herr getan hat. Und das Mahl des Herrn wird es geben, das Hochzeitsmahl am Ende wird es geben, aber dieses wird das letzte sein. Unterwegs hingegen, frage ich mich – und ich weiß nicht, wie antworten, aber ich mache mir Ihre Frage zu Eigen – da frage ich mich: das Abendmahl des Herrn zu teilen ist das Ende eines Weges oder die Stärkung auf dem Weg, um gemeinsam voranzuschreiten? Ich überlasse die Frage den Theologen, denen, die es verstehen. Es stimmt, dass in einem gewissen Sinn teilen heißt, dass keine Unterschiede zwischen uns bestehen, dass wir die gleiche Lehre haben – ich unterstreiche das Wort, ein schwer zu verstehendes Wort –, doch frage ich mich: Aber haben wir nicht die gleiche Taufe? Und wenn wir die gleiche Taufe haben, müssen wir gemeinsam gehen. Sie sind ein Zeugnis eines auch tiefgründigen Weges, da es ein ehelicher Weg ist, ein Weg eben von Familie, menschlicher Liebe und geteiltem Glauben. Wir haben die gleiche Taufe. Wenn Sie sich als Sünderin fühlen – auch ich fühle mich sehr als Sünder –, wenn Ihr Gatte sich als Sünder fühlt, dann gehen Sie vor den Herrn und bitten um Vergebung; Ihr Gatte tut das Gleiche und geht zum Priester und bittet um die Lossprechung. Es sind Heilmittel, um die Taufe lebendig zu erhalten. Wenn Sie gemeinsam beten, dann wächst diese Taufe, wird sie stärker. Wenn Sie Ihre Kinder lehren, wer Jesus ist, warum Jesus gekommen ist, was Jesus uns getan hat, so tun Sie das Gleiche, mit lutherischer wie auch mit katholischer Sprache, doch ist es das Gleiche. Die Frage: „Und das Abendmahl?“ Es gibt Fragen, auf die man – nur wenn man ehrlich zu sich selbst ist und mit den wenigen theologischen „Lichtern“, die ich habe – ebenso antworten muss, Sie sehen es. „Das ist mein Leib, das ist mein Blut“, hat der Herr gesagt, „tut dies zu meinem Gedächtnis.“ Und das ist eine Stärkung auf dem Weg, die uns voranzuschreiten hilft. Ich pflegte eine große Freundschaft mit einem Bischof der Episkopalkirche, 48 Jahre alt, verheiratet, zwei Kinder, der diese große Unruhe hatte: die Frau katholisch, die Kinder katholisch, er Bischof. Sonntags begleitete er seine Frau und seine Kinder zur Messe, und dann ging er den Gottesdienst in seiner Gemeinde feiern. Es war ein Schritt der Teilnahme am Abendmahl des Herrn. Dann ging er weiter, der Herr hat ihn gerufen, einen gerechten Mann. Auf Ihre Frage antworte ich nur mit einer Frage: Wie kann ich es mit meinem Mann machen, damit das Abendmahl des Herrn mich auf meinem Weg begleitet? Es ist ein Problem, auf das jeder antworten muss. Ein befreundeter Pastor sagte mir jedoch: „Wir glauben, dass hier der Herr gegenwärtig ist“. Er ist gegenwärtig. Ihr glaubt, dass der Herr gegenwärtig ist. Was ist der Unterschied?“ – „Nun, es sind die Erklärungen, die Deutungen …“ Das Leben ist größer als Erklärungen und Deutungen. Nehmt immer auf die Taufe Bezug: „Ein Glaube, eine Taufe, ein Herr“, sagt uns Paulus, und von daher zieht die Schlussfolgerungen. Ich werde nie wagen, Erlaubnis zu geben, dies zu tun, denn es ist nicht meine Kompetenz. Eine Taufe, ein Herr, ein Glaube. Sprecht mit dem Herrn und geht voran. Ich wage nicht mehr zu sagen.

3) Ich heiße Gertud Wiedmer und komme aus der Schweiz. Ich bin die Kassenverwalterin unserer Gemeinde und engagiere mich sehr in unserem Projekt für die Flüchtlinge. Es trägt den Namen „Teddybär“ und damit unterstützen wir zirka 80 junge Mütter mit ihren kleinen Kindern, die aus Nordafrika nach Rom gekommen sind. Wir sehen das Elend. Wir versuchen, Hilfestellung zu leisten. Doch wissen wir auch, dass unsere Möglichkeiten ein Ende haben. Was können wir als Christen tun, damit die Menschen nicht resignieren oder nicht neue Mauern errichten?

Sie als Schweizerin, als Kassenverwalterin haben alle Macht in Ihrer Hand! Ein Dienst … Das Elend … Sie haben dieses Wort gesagt: Elend. Es fallen mir zwei Dinge zu sagen ein. Erstens, die Mauern. Der Mensch ist vom ersten Augenblick an – wenn wir die Schrift lesen – ein großer Erbauer von Mauern, die von Gott trennen. Auf den ersten Seiten der Genesis sehen wir das. Und hinter den menschlichen Mauern steckt viel Fantasie, die Fantasie, wie Gott zu werden. Für mich ist der Mythos, um es mit den Fachausdrücken zu sagen, oder die Erzählung vom Turmbau zu Babel genau die Haltung der Männer und Frauen, die Mauern errichten, denn eine Mauer zu errichten heißt: „Wir sind die Mächtigen, ihr seid draußen.“ Aber in diesem „Wir sind die Mächtigen und ihr seid draußen“ liegt der Hochmut der Macht und die Haltung, die auf den ersten Seiten der Genesis vorgeschlagen wird: „Ihr werdet wie Gott“ (Gen 3,5). Eine Mauer zu bauen, um auszuschließen, geht in diese Richtung. Die Versuchung: „Wenn ihr von dieser Frucht esst, werdet ihr wie Gott.“ Bezüglich des Turmbaus zu Babel – vielleicht habt ihr mich das schon sagen hören, da ich es wiederhole, aber es ist sehr anschaulich – gibt es einen Midrasch, der um 1200, zur Zeit von Thomas von Aquin, vom Maimonides, mehr oder weniger zu dieser Zeit von einem jüdischen Rabbiner geschrieben wurde, der den Seinen in der Synagoge den Turmbau zu Babel erklärte, wo sich die Macht des Menschen spüren ließ. Es war sehr schwierig, sehr kostspielig, denn man musste Lehm machen, und nicht immer war Wasser in der Nähe, Stroh suchen, die Masse anmachen und dann zuschneiden, die Ziegel trocknen, trocknen lassen, sie dann im Ofen brennen, und am Ende stieg man hinauf und die Arbeiter nahmen sie … Wenn einer dieser Ziegel hinunterfiel, war es eine Katastrophe, den sie waren ein Vermögen, sie waren teuer, sie kosteten. Wenn hingegen ein Arbeiter hinunterfiel, passierte nichts! Die Mauer schließt immer aus, sie bevorzugt die Macht – in diesem Fall die Macht des Geldes, da der Ziegel kostete oder der Turm, der bis in den Himmel reichen wollte – und so schließt die Mauer immer die Menschheit aus. Die Mauer ist das Denkmal für den Ausschluss. Wie oft werden auch in uns, in unserem inneren Leben, der Reichtum, die Eitelkeit, der Stolz eine Mauer vor dem Herrn und entfernen uns vom Herrn. Mauern bauen. Das Wort, das mir jetzt einfällt, ein wenig spontan, ist jenes von Jesus: Was tun, um keine Mauern zu bauen? Dienst. Übernehmt die Rolle des Letzten. Wasche die Füße. Er hat dir das Beispiel gegeben. Dienst an den anderen, Dienst an den Brüdern, an den Schwestern, Dienst an den am meisten Bedürftigen. Mit diesem Werk der Unterstützung von 80 jungen Müttern baut ihr keine Mauern, sondern dient ihr. Der menschliche Egoismus möchte sich verteidigen; die eigene Macht verteidigen, den eigenen Egoismus verteidigen, aber durch dieses Verteidigen entfernt man sich von der Quelle des wahren Reichtums. Am Ende sind die Mauern gleichsam ein Selbstmord, sie schließen dich ein. Es ist eine hässliche Sache, ein verschlossenes Herz zu haben. Auch der Name des Herrn wird gebraucht, um die Herzen zu verschließen. Sie haben mich gefragt: „Wir versuchen, Hilfe zu bieten. Doch wissen wir auch, dass unsere Möglichkeiten ein Ende haben. Was können wir als Christen tun, damit die Menschen nicht resignieren oder nicht neue Mauern errichten?“ Klar reden, beten – das Gebet ist nämlich stark – und dienen, ja, und dienen. Eines Tages wurde Mutter Teresa von Kalkutta gefragt: „Aber all diese Mühe, die Sie tun, nur um diese Menschen, die drei, vier Tage vor ihrem Tod stehen, in Würde sterben zu lassen, was ist das?“ Es ist ein Tropfen Wasser im Meer, aber danach ist das Meer nicht mehr das gleiche. Durch das Dienen stürzen immer die Mauern von allein ein; doch unser Egoismus, unser Wunsch nach Macht sucht sie zu errichten. Ich weiß es nicht, das kommt mir in den Sinn zu sagen. Danke.

[01982-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Omelia pronunciata dal Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua tedesca

Testo in lingua italiana

Gesù, durante la sua vita, ha fatto tante scelte. Questa che oggi abbiamo sentito sarà l’ultima scelta. Gesù ha fatto tante scelte: i primi discepoli, gli ammalati che guariva, la folla che lo seguiva… - lo seguiva per ascoltare perché parlava come uno che ha autorità, non come i loro dottori della legge che si pavoneggiavano; ma possiamo leggere chi era questa gente due capitoli prima, nel 23 di Matteo; no, in Lui vedevano autenticità; e quella gente lo seguiva. Gesù con amore faceva le scelte e anche le correzioni. Quando i discepoli sbagliavano nei metodi: “Facciamo che venga il fuoco dal cielo?…” – “Ma voi non sapete qual è il vostro spirito”. O quando la mamma di Giacomo e Giovanni è andata a chiedere al Signore: “Signore, ti voglio chiedere un favore, che i miei due figli, nel momento del tuo Regno, uno sia a destra, l’altro a sinistra…”. E Lui correggeva queste cose: sempre guidava, accompagnava. Ma anche dopo la Risurrezione fa tanta tenerezza vedere come Gesù sceglie i momenti, sceglie le persone, non spaventa. Pensiamo il cammino verso Emmaus, come li accompagna [i due discepoli]. Loro dovevano andare a Gerusalemme ma sono scappati da Gerusalemme, per paura, e Lui va con loro, li accompagna. E poi si fa vedere, li recupera. E’ una scelta di Gesù. E poi la grande scelta che a me sempre commuove, quando prepara lo sposalizio del figlio e dice: “Ma andate all’incrocio delle strade e portate qui i ciechi, i sordi, gli zoppi…”. Buoni e cattivi! Gesù scelse sempre. E poi la scelta della pecora smarrita. Non fa un calcolo finanziario: “Ma, ne ho 99, ne perdo una…” No. Ma l’ultima scelta sarà quella definitiva. E quali saranno le domande che il Signore ci farà quel giorno: “Sei andato a Messa? Hai fatto una buona catechesi?”. No, le domande sono sui poveri, perché la povertà è al centro del Vangelo. Lui essendo ricco si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà. Lui non ritiene un privilegio di essere come Dio ma si è annientato, si è umiliato fino alla fine, fino alla morte di Croce (cfr Fil 2,6-8). E’ la scelta del servizio. Gesù è Dio? E’ vero. E’ il Signore? E’ vero. Ma è il servo, e la scelta la farà su quello. Tu, la tua vita l’hai usata per te o per servire? Per difenderti dagli altri con i muri o per accoglierli con amore? E questa sarà l’ultima scelta di Gesù. Ci dice tanto sul Signore questa pagina del Vangelo. E posso farmi la domanda: ma noi, luterani e cattolici, da che parte saremo, a destra o a sinistra? Ma ci sono stati tempi brutti fra noi… Pensate alle persecuzioni… fra noi! con lo stesso Battesimo! Pensate a tanti bruciati vivi. Dobbiamo chiederci perdono di questo, dello scandalo della divisione, perché tutti, luterani e cattolici, siamo in questa scelta, non in altre scelte, in questa scelta, la scelta del servizio come Lui ci ha indicato essendo servo, il servo del Signore.

A me piace, per finire, quando vedo il Signore servo che serve, mi piace chiedergli che Lui sia il servo dell’unità, che ci aiuti a camminare insieme. Oggi abbiamo pregato insieme. Pregare insieme, lavorare insieme per i poveri, per i bisognosi; amarci insieme, con vero amore di fratelli. “Ma, padre, siamo diversi, perché i nostri libri dogmatici dicono una cosa e i vostri dicono l’altra”. Ma un grande vostro [esponente] ha detto una volta che c’è l’ora della diversità riconciliata. Chiediamo oggi questa grazia, la grazia di questa diversità riconciliata nel Signore, cioè nel Servo di Jahveh, di quel Dio che è venuto tra noi per servire e non per essere servito.

Vi ringrazio tanto di questa ospitalità fraterna. Grazie.

[01984-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua tedesca

Predigt des Heiligen Vaters

Jesus hat während seines Lebens so oft eine Wahl getroffen. Das, was wir heute gehört haben, wird die letzte dieser Entscheidungen sein. Jesus hat viele Male eine Wahl getroffen: Die ersten Jünger hat er ausgewählt; die Kranken, die er heilte; die Menschenmenge, die ihm folgte … – sie folgte ihm, um ihn zu hören, weil er wie einer sprach, der Vollmacht hat, nicht wie ihre Schriftgelehrten, die sich aufplusterten. Wir können ja nachlesen, wer diese Leute waren: zwei Kapitel zuvor, im 23. Kapitel des Matthäusevangeliums. Nein – an ihm sahen sie, dass er echt war; und das Volk folgte ihm. Jesus traf seine Auswahl stets mit Liebe, ebenso wie er das bei seinen Zurechtweisungen tat. Wenn die Jünger in ihren Methoden einen Fehler gemacht hatten: „Sollen wir Feuer vom Himmel fallen lassen? …“ – „Ihr wisst nicht, was für ein Geist aus euch spricht“ (vgl. Lk 9,54f). Oder als die Mutter von Jakobus und Johannes zum Herrn ging, um ihn zu fragen: „Herr, ich will dich um den Gefallen bitten, dass meine beiden Söhne in deinem Reich rechts und links neben dir sitzen dürfen …“ (vgl. Mt 20,21). Jesus korrigierte diese Dinge: Immer leitete er, begleitete er. Aber auch nach der Auferstehung rührt es das Herz, Jesus zu erleben, wie er die richtigen Momente wählt, die Menschen auswählt und sie nicht erschreckt. Denken wir an die Wanderung nach Emmaus, wie er [die beiden Jünger] begleitete. Sie sollten nach Jerusalem gehen, aber sie sind vor Angst aus Jerusalem geflohen. Und er geht mit ihnen, er begleitet sie. Und dann gibt er sich zu erkennen und gewinnt sie zurück. Das ist eine Wahl Jesu. Und dann die große Wahl, die mich immer bewegt, als er das Hochzeitsmahl des Sohnes vorbereitet und sagt: „Geht schnell an die Straßenkreuzungen und holt die Blinden, die Tauben und die Lahmen herbei …“ (vgl. Mt 22, 9; Lk 14,21). Die Guten und die Bösen! Jesus trifft immer eine Wahl. Und dann die Wahl des verlorenen Schafs. Er macht keine Finanzkalkulation: „Davon habe ich 99, ich habe einen Verlust von einer …“. Nein. Doch seine letzte Auswahl wird jene endgültige sein. Und welche Fragen wird er an jenem Tag stellen? „Bist du zur Messe gekommen? Hast du eine gute Katechese gemacht?“. Nein, die Fragen werden von den Armen handeln; denn die Armut steht im Zentrum des Evangeliums. Er, der reich war, ist arm geworden, um uns mit seiner Armut reich zu machen. Er hielt nicht daran fest, wie Gott zu sein, sondern er entäußerte sich. Er erniedrigte sich und war gehorsam bis zum Tod, bis zum Tod am Kreuz (vgl. Phil 2,6-8). Es ist die Wahl des Dienstes. Jesus ist Gott? Das ist wahr. Er ist der Herr. Das ist wahr. Aber er ist der Diener, diese Wahl trifft er. Und du? Hast du dein Leben für dich selbst benutzt oder, um zu dienen? Um dich vor den anderen durch Mauern zu verteidigen oder um sie mit Liebe anzunehmen? Das wird die letzte Entscheidung Jesu sein. Diese Seite des Evangeliums sagt uns so viel über den Herrn! Nun kann ich mir die Frage stellen: Wir, Lutheraner und Katholiken, auf welcher Seite werden wir stehen, rechts oder links? Es gab schlimme Zeiten zwischen uns … Denkt an die Verfolgungen … unter uns! Mit der gleichen Taufe! Denkt an die vielen Menschen, die bei lebendigem Leib verbrannt wurden. Wir müssen einander um Verzeihung bitten für diesen Skandal der Teilung, weil wir alle, Lutheraner und Katholiken, unter diese Wahl fallen – nicht unter andere – diese Wahl des Dienstes, wie er es uns vorgelebt hat: als Diener, als Knecht des Herrn.

Mir gefällt es – und hiermit will ich schließen –, wenn ich den Herrn als Diener, der dient, betrachte, dann gefällt es mir, ihn zu bitten, dass er der Diener der Einheit sei, der uns helfe, gemeinsam voranzuschreiten. Heute haben wir gemeinsam gebetet. Gemeinsam beten, gemeinsam für die Armen und für die Bedürftigen arbeiten; sich gegenseitig lieben, mit der wahren Liebe von Geschwistern. „Aber, Pater, wir sind doch verschieden, weil unsere Dogmatikbücher eine Sache sagen und eure eine andere“. Ein großes Mitglied von euch hat einmal davon gesprochen, dass es Zeit sei für die versöhnte Verschiedenheit. Bitten wir heute um diese Gnade, die Gnade dieser versöhnten Verschiedenheit im Herrn, also im Knecht Jahwes, jenes Gottes, der zu uns gekommen ist, nicht um sich dienen zu lassen, sondern um zu dienen (vgl. Mk 10,42).

Ich danke euch sehr für diese brüderliche Gastfreundschaft. Danke.

[01984-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Testo dell’omelia preparata dal Santo Padre

Testo in lingua italiana

Traduzione in lingua tedesca

Testo in lingua italiana

Cari sorelle e fratelli nel Signore,

l’incontro di oggi ci consente di condividere un momento di preghiera fraterna, e ci dà anche l’opportunità di riflettere sui nostri rapporti e sulla situazione ecumenica in generale. Possiamo anzitutto ringraziare il Signore perché abbiamo compiuto numerosi passi verso l’unità, anche se siamo coscienti che il cammino da fare è ancora lungo.

Oggi, il movimento ecumenico è diventato un elemento fondamentale della vita delle nostre comunità. Per molte persone, di diverse generazioni, i progressi nel campo ecumenico sono diventati un obiettivo per il quale vale la pena di impegnarsi in maniera stabile. Molti uomini e donne sono disposti a cooperare per superare insieme le divisioni ancora presenti tra noi cristiani. A livello locale, regionale e mondiale, si sperimenta un ecumenismo molto vivo. Anche fuori dalle nostre comunità, gli uomini e le donne di oggi sono alla ricerca di una fede vissuta in maniera autentica. E questa ricerca costituisce il motivo principale anche del progresso ecumenico.

Un ecumenismo che voglia avere un futuro non può che partire dalle preoccupazioni e dai problemi dell’uomo di oggi. In primo luogo si tratta di riconoscersi reciprocamente come comunità di credenti che cercano il Regno di Dio e la sua giustizia, ben sapendo che così riceveranno tutto il resto (cfr Mt 6,33). In questo cammino comune possiamo imparare gli uni dagli altri, sostenerci a vicenda, incoraggiarci e sperimentare i doni di una fede vissuta come ricchezza e fonte di forza.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha riproposto la parabola del Giudizio finale (cfr Mt 25,31-46). Esso ci ricorda che saremo, anzi, siamo giudicati in base alla nostra vicinanza concreta al fratello nella sua situazione reale, nella sua condizione. Questo presuppone capacità di attenzione, di compassione, di condivisione, di servizio.

E’ un modo di essere Chiesa, così come la presenta il Concilio Vaticano II nelle parole iniziali della Costituzione pastorale Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (n. 1). Questa è anche la vocazione e la missione ecumenica di cattolici e luterani e di tutti i cristiani: un impegno comune nel servizio di carità, soprattutto verso i più piccoli e i più poveri, rende credibile la nostra appartenenza a Cristo. Altrimenti, essa rimane compromessa dalle divisioni e dai conflitti tra le Chiese e tra i credenti. Possiamo assumere insieme la gioia e la fatica della diaconia della carità in una maggiore cooperazione ecumenica. Possiamo farlo con i bambini e gli anziani più disagiati, con i rifugiati, e con tutti coloro che hanno bisogno di cure e di sostegno.

Un altro aspetto molto importante per il nostro cammino di unità è ritrovare tutta la ricchezza della preghiera comune, dei testi liturgici e delle varie forme di culto. Le celebrazioni ecumeniche della Parola, come per esempio la liturgia ecumenica delle ore. Appartiene in modo specifico all’ambito dell’ecumenismo spirituale la lettura comune della Bibbia. E ricordo in particolare la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la Giornata di preghiera ecumenica per la cura del creato, il 1° settembre di ogni anno, ed altri momenti, che la vostra comunità già organizza con impegno insieme ai diversi partner ecumenici.

Inoltre, illuminati dal comune Battesimo, luterani e cattolici siamo chiamati a proseguire il dialogo teologico. Dopo 50 anni di dialogo ecumenico, gli sforzi compiuti mostrano che tutto ciò che ci unisce è già molto più di ciò che ancora ci divide. Siamo continuamente alla ricerca di una più profonda conoscenza della verità divina. L’esperienza degli ultimi decenni ci mostra che occorre perseverare nei nostri sforzi, per scoprire insieme nuovi aspetti della rivelazione divina e darne insieme testimonianza, secondo la volontà del Signore. Con tale fiducia nel dialogo potremo approfondire in particolare i temi della Chiesa, dell’Eucaristia e del Ministero.

Mi sembra anche fondamentale che la Chiesa Cattolica porti avanti coraggiosamente anche l’attenta e onesta rivalutazione delle intenzioni della Riforma e della figura di Martin Lutero, nel senso di una “Ecclesia semper reformanda”, nel grande solco tracciato dai Concili, come pure da uomini e donne, animati dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo. Il recente documento della Commissione luterana-cattolica per l’unità, “Dal conflitto alla comunione - Commemorazione luterana-cattolica comune della Riforma nell’anno 2017”, ha affrontato e realizzato questa riflessione in modo promettente.

Dunque, l’ecumenismo fra cattolici e luterani, che è condizione fondamentale di una testimonianza convincente della nostra fede in Cristo di fronte agli uomini del nostro tempo, si fonda su questi pilastri: la preghiera comune, la condivisione diaconale con i poveri, il dialogo teologico.

Tra poco inizierà il Giubileo della Misericordia. Vi invito ad accompagnarci in questo cammino, in comunione ecumenica, a Roma e in tutte le Chiese e comunità locali, affinché possa essere per tutti un momento di riscoperta della misericordia di Dio e della bellezza dell’amore per i fratelli.

Il Signore ci benedica e ci custodisca nella sua pace.

[01981-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua tedesca

Vorbereitete Predigt des Heiligen Vaters

Liebe Schwestern und Brüder im Herrn,
die heutige Begegnung erlaubt uns, gemeinsam eine Zeit des geschwisterlichen Gebetes zu verbringen, und sie gibt uns auch die Gelegenheit, über unsere Beziehungen und über die Situation der Ökumene im Allgemeinen nachzudenken. Vor allem dürfen wir dem Herrn für die zahlreichen Schritte danken, die wir auf die Einheit hin gemacht haben, auch wenn uns bewusst ist, dass der vor uns liegende Weg noch lang ist.

Die ökumenische Bewegung ist heute ein grundlegendes Element im Leben unserer Gemeinschaften geworden. Viele Menschen verschiedener Generationen haben sich die Fortschritte auf dem Gebiet der Ökumene zum Ziel gesetzt, für das es sich beständig einzusetzen lohnt. Viele Männer und Frauen sind zur Zusammenarbeit bereit, um gemeinsam die Trennungen zu überwinden, die immer noch zwischen uns Christen bestehen. Auf lokaler, regionaler und globaler Ebene erlebt man eine sehr lebendige Ökumene. Auch außerhalb unserer Gemeinschaften suchen die Menschen von heute einen auf authentische Weise gelebten Glauben. Und diese Suche ist auch das Hauptmotiv für den ökumenischen Fortschritt.

Wenn die Ökumene eine Zukunft haben will, dann muss sie von den Sorgen und Problemen der Menschen heute ausgehen. An erster Stelle geht es darum, uns gegenseitig als Gemeinschaften von Gläubigen anzuerkennen, die das Reich Gottes und seine Gerechtigkeit suchen, und dies in der Gewissheit, dass uns dann das Übrige dazugegeben wird (vgl. Mt 6,33). Auf diesem gemeinsamen Weg können wir uns gegenseitig kennen lernen, uns unterstützen, ermutigen und die Geschenke eines gelebten Glaubens als Reichtum und Kraftquelle erfahren.

Das Evangelium, das wir gehört haben, hat uns noch einmal das Gleichnis vom Jüngsten Gericht vorgelegt (vgl. Mt 25,31-46). Das erinnert uns daran, dass wir beurteilt werden – beziehungsweise es schon sind – aufgrund unserer konkreten Nähe zu unserem Bruder in seiner realen Situation und in seiner Verfassung. Das setzt eine Fähigkeit zur Aufmerksamkeit, zum Mitleid, zum Teilen und zum Dienen voraus.

Es ist eine Weise, Kirche zu sein, wie es das Zweite Vatikanische Konzil in den Anfangsworten der Pastoralkonstitution Gaudium et spes ausdrückt: „Freude und Hoffnung, Trauer und Angst der Menschen von heute, besonders der Armen und Bedrängten aller Art, sind auch Freude und Hoffnung, Trauer und Angst der Jünger Christi“ (Nr. 1). Das ist auch ökumenische Berufung und Auftrag von Katholiken und Lutheranern und aller anderer Christen: ein gemeinsamer Einsatz im Dienst der Nächstenliebe, vor allem für die Kleinsten und die Ärmsten, der unsere Zugehörigkeit zu Christus glaubwürdig macht. Andernfalls wird diese Zugehörigkeit von den Teilungen und den Konflikten zwischen den Kirchen und zwischen den Gläubigen gefährdet. Wir können gemeinsam die Freude und die Mühe der Diakonia der Nächstenliebe in einer intensiveren ökumenischen Zusammenarbeit übernehmen. Wir können das für die Kinder und die am meisten benachteiligten alten Menschen tun, für die Flüchtlinge, für alle, die Fürsorge und Halt brauchen.

Ein weiterer sehr wichtiger Aspekt für unseren Weg der Einheit ist die Wiederentdeckung des gesamten Reichtums des gemeinsamen Gebetes, der liturgischen Texte und der verschiedenen Formen des Gottesdienstes. Die ökumenischen Wortgottesdienste, wie zum Beispiel die ökumenische Feier des Stundengebetes. Zur geistlichen Ökumene gehört in besonderer Weise auch das gemeinsame Lesen der Bibel. Ich erinnere ausdrücklich an die Gebetswoche für die Einheit der Christen, den ökumenischen Weltgebetstag für die Bewahrung der Schöpfung jeweils am 1. September jeden Jahres und an andere Momente, die eure Gemeinde schon eifrig mit verschiedenen ökumenischen Partnern organisiert.

Darüber hinaus sind wir im Licht der einen Taufe – Lutheraner wie Katholiken – dazu gerufen, den theologischen Dialog fortzusetzen. Nach fünfzig Jahren ökumenischen Dialogs zeigen uns die erreichten Bemühungen, dass all das, was uns verbindet, schon viel mehr ist als das, was uns noch trennt. Wir sind ständig auf der Suche nach einem tieferen Kenntnis der göttlichen Wahrheit. Die Erfahrung der letzten Jahrzehnte zeigt uns, dass wir in unseren Anstrengungen durchhalten müssen, um gemeinsam neue Aspekte der göttlichen Offenbarung zu entdecken und für sie gemeinsam Zeugnis abzulegen, ganz nach dem Willen des Herrn. Mit dieser Zuversicht in den Dialog können wir dann besonders die Themen Kirche, Eucharistie und Amt angehen.

Mir scheint es auch grundlegend zu sein, dass die katholische Kirche mutig eine aufmerksame und ehrliche Neubewertung der Absichten der Reformation und der Person Martin Luthers unternimmt, und zwar vor dem Hintergrund der „Ecclesia semper reformanda“, der immer zu erneuernden Kirche, auf der großen Spur, welche das Konzil gelegt hat, wie auch so vieler Männer und Frauen, die vom Licht und der Kraft des Heiligen Geistes beseelt sind. Das jüngste Dokument der lutherisch-katholischen Kommission für die Einheit, „Vom Konflikt zur Gemeinschaft – Gemeinsames lutherisch-katholisches Reformationsgedenken im Jahr 2017“ hat sich diese Reflexion auf vielversprechende Weise vorgenommen und sie umgesetzt.

So ruht die Ökumene zwischen Katholiken und Lutheranern, die eine Grundbedingung ist für ein überzeugendes Zeugnis unseres Glaubens an Christus vor allen Menschen unserer Zeit, auf diesen Säulen: dem gemeinsamen Gebet, dem diakonischen Teilen mit den Armen und dem theologischen Dialog.

Bald beginnt das Heilige Jahr der Barmherzigkeit. Ich lade Sie ein, uns auf diesem Weg zu begleiten, in ökumenischer Gemeinschaft, in Rom und in allen Kirchen und örtlichen Gemeinschaften, so dass dieses Jahr für alle ein Moment der Wiederentdeckung dieser Barmherzigkeit Gottes und der Schönheit der brüderlichen Liebe wird.

Der Herr segne euch und behüte euch in seinem Frieden.

[01981-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

[B0888-XX.03]