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Visita del Santo Padre Francesco a Prato e Firenze in occasione del 5° Convegno Nazionale della Chiesa Italiana – Santa Messa allo Stadio Comunale “Artemio Franchi” di Firenze, 10.11.2015


Recita dell’Angelus e saluto agli ammalati nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze

Pranzo con i poveri alla Mensa di San Francesco Poverino in Piazza dell’Annunziata a Firenze

Santa Messa allo Stadio Comunale “Artemio Franchi” di Firenze

Recita dell’Angelus e saluto agli ammalati nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze

Concluso l’incontro con i rappresentanti del Convegno Ecclesiale Italiano in Cattedrale, poco prima di mezzogiorno il Santo Padre Francesco è giunto alla Basilica della Santissima Annunziata di Firenze, accolto dal Provinciale dei Servi di Maria, Padre Sergio Ziliani; dal Priore della Basilica, Padre Gabriele Alessandrini e dal Parroco, Padre Massimo Anghinoni.

Nella Cappella dell’Annunziata il Papa ha recitato l’Angelus con alcuni ammalati e disabili, che ha poi salutato individualmente, prima di recarsi a piedi nella vicina Mensa di San Francesco Poverino.

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Pranzo con i poveri alla Mensa di San Francesco Poverino in Piazza dell’Annunziata a Firenze

Alle ore 12.30 il Santo Padre Francesco ha pranzato con i poveri alla Mensa di San Francesco Poverino in Piazza dell’Annunziata. Quindi si è trasferito in auto all’Episcopio di Firenze.

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Santa Messa allo Stadio Comunale “Artemio Franchi” di Firenze

Nel pomeriggio, lasciato l’Arcivescovado di Firenze, il Santo Padre si è recato allo Stadio Comunale “Artemio Franchi” dove, alle ore 15.15, ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica.

L’altare per la Messa è stato realizzato dai detenuti del Carcere fiorentino di Sollicciano e l’ambone per le Letture dai ragazzi che frequentano il laboratorio di falegnameria di Villa Lorenzi.

Nel corso della Santa Messa, dopo la proclamazione del Vangelo, Papa Francesco ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

Nel Vangelo di oggi Gesù pone ai suoi discepoli due domande. La prima: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» (Mt 16,13) è una domanda che dimostra quanto il cuore e lo sguardo di Gesù sono aperti a tutti. A Gesù interessa quello che la gente pensa non per accontentarla, ma per poter comunicare con essa. Senza sapere quello che pensa la gente, il discepolo si isola e inizia a giudicare la gente secondo i propri pensieri e le proprie convinzioni. Mantenere un sano contatto con la realtà, con ciò che la gente vive, con le sue lacrime e le sue gioie, è l’unico modo di poterla aiutare, di poterla formare e comunicare. È l’unico modo per parlare ai cuori delle persone toccando la loro esperienza quotidiana: il lavoro, la famiglia, i problemi di salute, il traffico, la scuola, i servizi sanitari e così via... E’ l’unico modo per aprire il loro cuore all’ascolto di Dio. In realtà, quando Dio ha voluto parlare con noi si è incarnato. I discepoli di Gesù non devono mai dimenticare da dove sono stati scelti, cioè tra la gente, e non devono mai cadere nella tentazione di assumere atteggiamenti distaccati, come se ciò che la gente pensa e vive non li riguardasse o non fosse per loro importante.

E questo vale anche per noi. E il fatto che oggi ci siamo radunati a celebrare la Santa Messa in uno stadio sportivo ce lo ricorda. La Chiesa, come Gesù, vive in mezzo alla gente e per la gente. Per questo la Chiesa, in tutta la sua storia, ha sempre portato in sé la stessa domanda: chi è Gesù per gli uomini e le donne di oggi?

Anche il santo Papa Leone Magno, originario della Toscana, di cui oggi celebriamo la memoria, portava nel suo cuore questa domanda, quest’ansia apostolica che tutti potessero conoscere Gesù, e conoscerLo per quello che è veramente, non una sua immagine distorta dalle filosofie o dalle ideologie del tempo.

E per questo è necessario maturare una fede personale in Lui. Ed ecco allora la seconda domanda che Gesù pone ai discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Domanda che risuona ancora oggi alla coscienza di noi suoi discepoli, ed è decisiva per la nostra identità e la nostra missione. Solo se riconosciamo Gesù nella Sua verità, saremo in grado di guardare la verità della nostra condizione umana, e potremo portare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società.

Custodire e annunciare la retta fede in Gesù Cristo è il cuore della nostra identità cristiana, perché nel riconoscere il mistero del Figlio di Dio fatto uomo noi potremo penetrare nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo.

Alla domanda di Gesù risponde Simone: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16). Questa risposta racchiude tutta la missione di Pietro e riassume ciò che diventerà per la Chiesa il ministero petrino, cioè custodire e proclamare la verità della fede; difendere e promuovere la comunione tra tutte le Chiese; conservare la disciplina della Chiesa. Papa Leone è stato e rimane, in questa missione, un modello esemplare, sia nei suoi luminosi insegnamenti, sia nei suoi gesti pieni della mitezza, della compassione e della forza di Dio.

Anche oggi, cari fratelli e sorelle, la nostra gioia è di condividere questa fede e di rispondere insieme al Signore Gesù: “Tu per noi sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. La nostra gioia è anche di andare controcorrente e di superare l’opinione corrente, che, come allora, non riesce a vedere in Gesù più che un profeta o un maestro. La nostra gioia è riconoscere in Lui la presenza di Dio, l’Inviato dal Padre, il Figlio venuto a farsi strumento di salvezza per l’umanità. Questa professione di fede che Simon Pietro proclamò rimane anche per noi. Essa non rappresenta solo il fondamento della nostra salvezza, ma anche la strada attraverso la quale essa si compie e il traguardo a cui tende.

Alla radice del mistero della salvezza sta infatti la volontà di un Dio misericordioso, che non si vuole arrendere di fronte alla incomprensione, alla colpa e alla miseria dell’uomo, ma si dona a lui fino a farsi Egli stesso uomo per incontrare ogni persona nella sua condizione concreta. Questo amore misericordioso di Dio è ciò che Simon Pietro riconosce sul volto di Gesù. Lo stesso volto che noi siamo chiamati a riconoscere nelle forme in cui il Signore ci ha assicurato la sua presenza in mezzo a noi: nella sua Parola, che illumina le oscurità della nostra mente e del nostro cuore; nei suoi Sacramenti, che ci rigenerano a vita nuova da ogni nostra morte; nella comunione fraterna, che lo Spirito Santo genera tra i suoi discepoli; nell’amore senza confini, che si fa servizio generoso e premuroso verso tutti; nel povero, che ci ricorda come Gesù abbia voluto che la sua suprema rivelazione di sé e del Padre avesse l'immagine dell’umiliato crocifisso.

Questa verità della fede è verità che scandalizza, perché chiede di credere in Gesù, il quale, pur essendo Dio, si è svuotato, si è abbassato alla condizione di servo, fino alla morte di croce, e per questo Dio lo ha fatto Signore dell’universo (cfr Fil 2,6-11). È la verità che ancora oggi scandalizza chi non tollera il mistero di Dio impresso sul volto di Cristo. È la verità che non possiamo sfiorare e abbracciare senza, come dice san Paolo, entrare nel mistero di Gesù Cristo, e senza fare nostri i suoi stessi sentimenti (cfr Fil 2,5). Solo a partire dal Cuore di Cristo possiamo capire, professare e vivere la Sua verità.

In realtà, la comunione tra divino e umano, realizzata pienamente in Gesù, è la nostra meta, il punto d’arrivo della storia umana secondo il disegno del Padre. È la beatitudine dell’incontro tra la nostra debolezza e la Sua grandezza, tra la nostra piccolezza e la Sua misericordia che colmerà ogni nostro limite. Ma tale meta non è soltanto l’orizzonte che illumina il nostro cammino ma è ciò che ci attrae con la sua forza soave; è ciò che si inizia a pregustare e a vivere qui e si costruisce giorno dopo giorno con ogni bene che seminiamo attorno a noi. Sono questi i semi che contribuiscono a creare un’umanità nuova, rinnovata, dove nessuno è lasciato ai margini o scartato; dove chi serve è il più grande; dove i piccoli e i poveri sono accolti e aiutati.

Dio e l’uomo non sono i due estremi di una opposizione: essi si cercano da sempre, perché Dio riconosce nell’uomo la propria immagine e l’uomo si riconosce solo guardando Dio. Questa è la vera sapienza, che il Libro del Siracide segnala come caratteristica di chi aderisce alla sequela del Signore. E’ la sapienza di san Leone Magno, frutto del convergere di vari elementi: parola, intelligenza, preghiera, insegnamento, memoria. Ma san Leone ci ricorda anche che non può esserci vera sapienza se non nel legame a Cristo e nel servizio alla Chiesa. È questa la strada su cui incrociamo l’umanità e possiamo incontrarla con lo spirito del buon samaritano. Non per nulla l’umanesimo, di cui Firenze è stata testimone nei suoi momenti più creativi, ha avuto sempre il volto della carità. Che questa eredità sia feconda di un nuovo umanesimo per questa città e per l’Italia intera.

[01927-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Al termine della Celebrazione Eucaristica l’Arcivescovo di Firenze, Card. Giuseppe Betori, ha rivolto un saluto al Papa.

Quindi Papa Francesco ha pronunciato le seguenti parole:

Vorrei ringraziarvi per questa calorosa accoglienza, durante tutta la giornata. Ringraziare il Signor Cardinale Arcivescovo; ringraziare i Cardinali e Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, con il suo Presidente. Tutto quello che avete fatto oggi per me, è una testimonianza. Un ringraziamento per ognuno di voi.

Ma specialmente vorrei dire un grazie ai carcerati, che hanno fatto questo altare, dove Gesù oggi è venuto. Grazie per aver fatto questo per Gesù.

E a tutti voi, grazie tante. E per favore, vi chiedo di pregare per me.

Il Santo Padre ha poi raggiunto in auto il vicino Stadio di atletica “Luigi Ridolfi” da cui è decollato in elicottero per rientrare in Vaticano.

[B0871-XX.03]