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Santa Messa con il Rito di Canonizzazione dei Beati: Vincenzo Grossi, Maria dell’Immacolata Concezione, Ludovico Martin e Maria Azelia Guérin, 18.10.2015


Omelia del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Alle ore 10.15 di oggi, XXIX Domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha celebrato sul sagrato della Basilica Vaticana la Santa Messa con il rito di Canonizzazione dei Beati: Vincenzo Grossi (1845-1917), sacerdote diocesano, fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio; Maria dell’Immacolata Concezione (1926-1998), religiosa, superiora generale della Congregazione delle Sorelle della Compagnia della Croce; Ludovico Martin (1823-1894) laico e padre di famiglia e Maria Azelia Guérin (1831-1877), laica e madre di famiglia, coniugi.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso del solenne rito di canonizzazione:

Omelia del Santo Padre

Le Letture bibliche ci presentano oggi il tema del servizio e ci chiamano a seguire Gesù nella via dell’umiltà e della croce.

Il profeta Isaia delinea la figura del Servo di Jahwé (53,10-11) e la sua missione di salvezza. Si tratta di un personaggio che non vanta genealogie illustri, è disprezzato, evitato da tutti, esperto nel soffrire. Uno a cui non attribuiscono imprese grandiose, né celebri discorsi, ma che porta a compimento il piano di Dio attraverso una presenza umile e silenziosa e attraverso il proprio patire. La sua missione, infatti, si realizza mediante la sofferenza, che gli permette di comprendere i sofferenti, di portare il fardello delle colpe altrui e di espiarle. L’emarginazione e la sofferenza del Servo del Signore, protratte fino alla morte, si rivelano feconde, al punto tale da riscattare e salvare le moltitudini.

Gesù è il Servo del Signore: la sua vita e la sua morte, interamente nella forma del servizio (cfr Fil 2,7), sono state causa della nostra salvezza e della riconciliazione dell’umanità con Dio. Il kerigma, cuore del Vangelo, attesta che nella sua morte e risurrezione si sono adempiute le profezie del Servo del Signore. Il racconto di san Marco descrive la scena di Gesù alle prese con i discepoli Giacomo e Giovanni, i quali – supportati dalla madre – volevano sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel regno di Dio (cfr Mc 10,37), rivendicando posti d’onore, secondo una loro visione gerarchica del regno stesso. La prospettiva in cui si muovono risulta ancora inquinata da sogni di realizzazione terrena. Gesù allora dà un primo “scossone” a quelle convinzioni dei discepoli chiamando il suo cammino su questa terra: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete … ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato (vv. 39-40). Con l’immagine del calice, Egli assicura ai due la possibilità di essere associati fino in fondo al suo destino di sofferenza, senza tuttavia garantire i posti d’onore ambiti. La sua risposta è un invito a seguirlo sulla via dell’amore e del servizio, respingendo la tentazione mondana di voler primeggiare e comandare sugli altri.

Di fronte a gente che briga per ottenere il potere e il successo, per farsi vedere, di fronte a gente che vuole siano riconosciuti i propri meriti, i propri lavori, i discepoli sono chiamati a fare il contrario. Pertanto li ammonisce: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (vv. 42-44). Con queste parole indica il servizio quale stile dell’autorità nella comunità cristiana. Chi serve gli altri ed è realmente senza prestigio esercita la vera autorità nella Chiesa. Gesù ci invita a cambiare mentalità e a passare dalla bramosia del potere alla gioia di scomparire e servire; a sradicare l’istinto del dominio sugli altri ed esercitare la virtù dell’umiltà.

E dopo aver presentato un modello da non imitare, offre sé stesso quale ideale a cui riferirsi. Nell’atteggiamento del Maestro la comunità troverà la motivazione della nuova prospettiva di vita: «Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (v. 45). Nella tradizione biblica il Figlio dell’uomo è colui che riceve da Dio «potere, gloria e regno» (Dn 7,14). Gesù riempie di nuovo senso questa immagine e precisa che Egli ha il potere in quanto servo, la gloria in quanto capace di abbassamento, l’autorità regale in quanto disponibile al totale dono della vita. È infatti con la sua passione e morte che Egli conquista l’ultimo posto, raggiunge il massimo di grandezza nel servizio, e ne fa dono alla sua Chiesa.

C’è incompatibilità tra un modo di concepire il potere secondo criteri mondani e l’umile servizio che dovrebbe caratterizzare l’autorità secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù. Incompatibilità tra ambizioni, arrivismi e sequela di Cristo; incompatibilità tra onori, successo, fama, trionfi terreni e la logica di Cristo crocifisso. C’è invece compatibilità tra Gesù “esperto nel patire” e la nostra sofferenza. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei, che presenta Cristo come il sommo sacerdote che condivide in tutto la nostra condizione umana, eccetto il peccato: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (4,15). Gesù esercita essenzialmente un sacerdozio di misericordia e di compassione. Egli ha fatto l’esperienza diretta delle nostre difficoltà, conosce dall’interno la nostra condizione umana; il non aver sperimentato il peccato non gli impedisce di capire i peccatori. La sua gloria non è quella dell’ambizione o della sete di dominio, ma è la gloria di amare gli uomini, assumere e condividere la loro debolezza e offrire loro la grazia che risana, accompagnarli con tenerezza infinita, accompagnarli nel loro tribolato cammino.

Ognuno di noi, in quanto battezzato, partecipa per parte propria al sacerdozio di Cristo; i fedeli laici al sacerdozio comune, i sacerdoti al sacerdozio ministeriale. Pertanto, tutti possiamo ricevere la carità che promana dal suo Cuore aperto, sia per noi stessi sia per gli altri: diventando “canali” del suo amore, della sua compassione, specialmente verso quanti sono nel dolore, nell’angoscia, nello scoraggiamento e nella solitudine.

Coloro che oggi sono stati proclamati Santi, hanno costantemente servito con umiltà e carità straordinarie i fratelli, imitando così il divino Maestro. San Vincenzo Grossi fu parroco zelante, sempre attento ai bisogni della sua gente, specialmente alle fragilità dei giovani. Per tutti spezzò con ardore il pane della Parola e divenne buon samaritano per i più bisognosi.

Santa Maria dell’Immacolata Concezione, attingendo dalle sorgenti della preghiera e della contemplazione, visse in prima persona con grande umiltà il servizio agli ultimi, con una attenzione particolare ai figli dei poveri e agli ammalati.

I santi coniugi Ludovico Martin e Maria Azelia Guérin hanno vissuto il servizio cristiano nella famiglia, costruendo giorno per giorno un ambiente pieno di fede e di amore; e in questo clima sono germogliate le vocazioni delle figlie, tra cui santa Teresa di Gesù Bambino.

La testimonianza luminosa di questi nuovi Santi ci sprona a perseverare sulla strada del servizio gioioso ai fratelli, confidando nell’aiuto di Dio e nella materna protezione di Maria. Dal cielo ora veglino su di noi e ci sostengano con la loro potente intercessione.

[01759-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

Les lectures bibliques nous présentent aujourd’hui le thème du service et nous appellent à suivre Jésus sur le chemin de l’humilité et de la croix.

Le prophète Isaïe décrit la figure du Serviteur du Seigneur (53, 10-11) et sa mission de salut. Il s’agit d’un personnage qui ne se vante pas de généalogies illustres, il est méprisé, évité par tous, expert en souffrance. Quelqu’un à qui on n’attribue pas d’entreprises grandioses, ni de discours célèbres, mais qui mène à son accomplissement le plan de Dieu à travers une présence humble et silencieuse et à travers sa propre souffrance. Sa mission, en effet, se réalise au moyen de la souffrance, qui lui permet de comprendre ceux qui souffrent, de porter le fardeau des fautes d’autrui et de les expier. L’exclusion et la souffrance du Serviteur du Seigneur, prolongées jusqu’à la mort, se révèlent féconde au point de racheter et de sauver les multitudes.

Jésus est le Serviteur du Seigneur: sa vie et sa mort, entièrement dans la forme du service (cf. Ph 2, 7), ont été cause de notre salut et de la réconciliation de l’humanité avec Dieu. Le kérygme, cœur de l’Évangile, atteste que dans sa mort et sa résurrection se sont accomplies les prophéties du Serviteur du Seigneur. Le récit de saint Marc décrit la scène de Jésus aux prises avec les disciples Jacques et Jean, qui – soutenus par leur mère – voulaient s’asseoir à sa droite et à sa gauche dans le royaume de Dieu (cf. Mc 10, 37), revendiquant des places d’honneur, selon leur vision hiérarchique du royaume même. La perspective dans laquelle ils se placent se révèle encore polluée par des rêves de réalisation terrestre. Jésus alors donne une première“secousse” à ces convictions des disciples rappelant son chemin sur cette terre: «La coupe que je vais boire, vous la boirez… quant à siéger à ma droite et à ma gauche, ce n’est pas à moi de l’accorder; il y a ceux pour qui cela a été préparé » (vv. 39-40). Avec l’image de la coupe, il assure aux deux la possibilité d’être associés jusqu’au bout à son destin de souffrance, sans toutefois garantir les places d’honneur ambitionnées. Sa réponse est une invitation à le suivre sur le chemin de l’amour et du service, repoussant la tentation mondaine de vouloir exceller et commander aux autres.

Devant des gens qui intriguent pour obtenir le pouvoir et le succès, pour se faire voir, devant des gens qui veulent que leurs mérites personnels, leurs œuvres personnelles soient reconnus, les disciples sont appelés à faire le contraire. Il les avertitdonc : «Vous le savez: ceux que l’on regarde comme chefs des nations les commandent en maître; les grands leur font sentir leur pouvoir. Parmi vous, il ne doit pas en être ainsi. Celui qui veut devenir grand parmi vous sera votre serviteur » (vv. 42-44). Avec ces paroles, il indique le service comme style de l’autorité dans la communauté chrétienne. Celui qui sert les autres et est réellement sans prestige exerce la véritable autorité dans l’Église. Jésus nous invite à changer de mentalité et à passer de la convoitise du pouvoir à la joie de disparaître et de servir; à extirper l’instinct de domination sur les autres et à exercer la vertu de l’humilité.

Et après avoir présenté un modèle à ne pas imiter, il s’offre lui-même comme idéal auquel se référer. Dans l’attitude du Maître, la communauté trouvera la motivation de la nouvelle perspective de vie: «Car le Fils de l’homme n’est pas venu pour être servi, mais pour servir, et donner sa vie en rançon pour la multitude» (v. 45). Dans la tradition biblique, le Fils de l’homme est celui qui reçoit de Dieu «domination, gloire et royauté» (Dn 7, 14). Jésus remplit d’un nouveau sens cette image et précise qu’il a le pouvoir en tant que serviteur, la gloire en tant que capable d’abaissement, l’autorité royale en tant que disponibilité au don total de sa vie. C’est en effet, par sa passion et sa mort qu’il conquiert la dernière place, atteint le maximum de grandeur dans le service, et en fait don à son Église.

Il y a incompatibilité entre une manière de concevoir le pouvoir selon des critères mondains et l’humble service qui devrait caractériser l’autorité selon l’enseignement et l’exemple de Jésus. Incompatibilité entre ambitions, arrivismes et suite du Christ; incompatibilité entre honneurs, succès, réputation, triomphes terrestres et la logique du Christ crucifié. Il y a au contraire compatibilité entre Jésus “expert en souffrance” et notre souffrance. La Lettre aux Hébreux, qui présente le Christ comme le souverain prêtre qui partage en tout notre condition humaine, excepté le péché,nous le rappelle : «Nous n’avons pas un grand prêtre incapable de compatir à nos faiblesses, mais un grand prêtre éprouvé en toutes choses, à notre ressemblance, excepté le péché» (4, 15). Jésus exerce essentiellement un sacerdoce de miséricorde et de compassion. Il a fait l’expérience directe de nos difficultés, il connaît de l’intérieur notre condition humaine; ne pas avoir fait l’expérience du péché ne l’empêche pas de comprendre les pécheurs. Sa gloire n’est pas celle de l’ambition ou de la soif du pouvoir, mais c’est la gloire d’aimer les hommes, d’assumer et de partager leur faiblesse et de leur offrir la grâce qui guérit, de les accompagner avec une infinie tendresse, de les accompagner sur leur chemin de souffrance.

Chacun de nous, en tant que baptisé, participe pour la part qui lui est propre au sacerdoce du Christ; les fidèles laïcs au sacerdoce commun, les prêtres au sacerdoce ministériel. Tous nous pouvons donc recevoir la charité qui émane de son Cœur ouvert aussi bien pour nous-mêmes que pour les autres: en devenant des“canaux” de son amour, de sa compassion, spécialement envers tous ceux qui sont dans la douleur, dans l’angoisse, dans le découragement et dans la solitude.

Ceux qui aujourd’hui ont été proclamés saints ont constamment servi leurs frères avec une humilité et une charité extraordinaires, imitant ainsi le divin Maître. Saint Vincent Grossi a été un curé plein de zèle, toujours attentif aux besoins de ses gens, spécialement aux fragilités des jeunes. Pour tous, il rompait avec ardeur le pain de la Parole et il est devenu un bon samaritain pour les plus nécessiteux.

Sainte Marie de l’Immaculée Conception, en puisant aux sources de la prière et de la contemplation, a vécu en personne dans une grande humilité le service des derniers, avec une attention particulière aux enfants des pauvres et aux malades.

Les saints époux Louis Martin et Marie Azélie Guérin ont vécu le service chrétien dans la famille, construisant jour après jour une atmosphère pleine de foi et d’amour; et dans ce climat ont germé les vocations de leurs filles, parmi lesquelles sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus.

Le témoignage lumineux de ces nouveaux Saints nous pousse à persévérer sur la route du service joyeux des frères, confiant dans l’aide de Dieu et dans la protection maternelle de Marie. Du ciel qu’ils veillent maintenant sur nous et nous soutiennent de leur puissante intercession!

[01759-FR.01] [Texte original: Italien]

Testo in lingua inglese

Today’s biblical readings present the theme of service. They call us to follow Jesus on the path of humility and the cross.

The prophet Isaiah depicts the Servant of the Lord (53:10-11) and his mission of salvation. The Servant is not someone of illustrious lineage; he is despised, shunned by all, a man of sorrows. He does not do great things or make memorable speeches; instead, he fulfils God’s plan through his humble, quiet presence and his suffering. His mission is carried out in suffering, and this enables him to understand those who suffer, to shoulder the guilt of others and to make atonement for it. The abandonment and sufferings of the Servant of the Lord, even unto death, prove so fruitful that they bring redemption and salvation to many.

Jesus is the Servant of the Lord. His life and death, marked by an attitude of utter service (cf. Phil 2:7), were the cause of our salvation and the reconciliation of mankind with God. The kerygma, the heart of the Gospel, testifies that his death and resurrection fulfilled the prophecies of the Servant of the Lord. Saint Mark tells us how Jesus confronted the disciples James and John. Urged on by their mother, they wanted to sit at his right and left in God’s Kingdom (cf. Mk 10:37), claiming places of honour in accordance with their own hierarchical vision of the Kingdom. Their horizon was still clouded by illusions of earthly fulfilment. Jesus then gives a first “jolt” to their notions by speaking of his own earthly journey: “The cup that I drink you will drink… but to sit at my right hand or at my left is not mine to grant, but it is for those for whom it has been prepared” (vv. 39-40). With the image of the cup, he assures the two that they can fully partake of his destiny of suffering, without, however, promising their sought-after places of honour. His response is to invite them to follow him along the path of love and service, and to reject the worldly temptation of seeking the first place and commanding others.

Faced with people who seek power and success in order to be noticed, who want their achievements and efforts to be acknowledged, the disciples are called to do the opposite. Jesus warns them: “You know that among the Gentiles those whom they recognize as their rulers lord it over them, and their great ones are tyrants over them. But it is not so among you; but whoever wishes to become great among you must be your servant” (vv. 42-44). These words show us that service is the way for authority to be exercised in the Christian community. Those who serve others and lack real prestige exercise genuine authority in the Church. Jesus calls us to see things differently, to pass from the thirst for power to the joy of quiet service, to suppress our instinctive desire to exercise power over others, and instead to exercise the virtue of humility.

After proposing a model not to imitate, Jesus then offers himself as the ideal to be followed. By imitating the Master, the community gains a new outlook on life: “The Son of Man came not to be served but to serve, and to give his life as a ransom for many” (v. 45). In the biblical tradition, the Son of Man is the one who receives from God “dominion, glory and kingship” (Dan 7:14). Jesus fills this image with new meaning. He shows us that he enjoys dominion because he is a servant, glory because he is capable of abasement, kingship because he is fully prepared to lay down his life. By his passion and death, he takes the lowest place, attains the heights of grandeur in service, and bestows this upon his Church.

There can be no compatibility between a worldly understanding of power and the humble service which must characterize authority according to Jesus’ teaching and example. Ambition and careerism are incompatible with Christian discipleship; honour, success, fame and worldly triumphs are incompatible with the logic of Christ crucified. Instead, compatibility exists between Jesus, “the man of sorrows”, and our suffering. The Letter to the Hebrews makes this clear by presenting Jesus as the high priest who completely shares our human condition, with the exception of sin: “We do not have a high priest who is unable to sympathize with our weaknesses, but we have one who in every respect has been tested as we are, yet without sin” (4:15). Jesus exercises a true priesthood of mercy and compassion. He knows our difficulties at first hand, he knows from within our human condition; the fact that he is without sin does not prevent him from understanding sinners. His glory is not that born of ambition or the thirst for power; it is is the glory of one who loves men and women, who accepts them and shares in their weakness, who offers them the grace which heals and restores, and accompanies them with infinite tenderness amid their tribulations.

Each of us, through baptism, share in our own way in Christ’s priesthood: the lay faithful in the common priesthood, priests in the ministerial priesthood. Consequently, all of us can receive the charity which flows from his open heart, for ourselves but also for others, and become “channels” of his love and compassion, especially for those who are suffering, discouraged and alone.

The men and women canonized today unfailingly served their brothers and sisters with outsanding humility and charity, in imitation of the divine Master. Saint Vincent Grossi was a zealous parish priest, ever attentive to the needs of his people, especially those of the young. For all he was concerned to break the bread of God’s word, and thus became a Good Samaritan to those in greatest need.

Saint Mary of the Immaculate Conception, drawing from the springs of prayer and contemplation, devoted her life, with great humility, to serving the least of our brothers and sisters, especially the children of the poor and the sick.

The holy spouses Louis Martin and Marie-Azélie Guérin practised Christian service in the family, creating day by day an environment of faith and love which nurtured the vocations of their daughters, among whom was Saint Therese of the Child Jesus.

The radiant witness of these new saints inspires us to persevere in joyful service to our brothers and sisters, trusting in the help of God and the maternal protection of Mary. From heaven may they now watch over us and sustain us by their powerful intercession.

[01759-EN.01] [Original text: Italian]

Testo in lingua tedesca

Die biblischen Lesungen führen uns heute das Thema des Dienens vor Augen und rufen uns auf, Jesus auf dem Weg der Demut und des Kreuzes zu folgen.

Der Prophet Jesaja beschreibt die Gestalt des Gottesknechtes (53,10-11) und seine Heilssendung. Es handelt sich um einen Menschen, der sich nicht einer vornehmen Herkunft rühmt; er ist verachtet, wird von allen gemieden, ist mit dem Leiden vertraut. Es ist einer, dem weder großartige Unternehmungen zugeschrieben werden, noch berühmte Reden, sondern der durch eine demütige und stille Gegenwart und durch das eigene Leiden den Plan Gottes zur Vollendung führt. Seine Sendung erfüllt sich tatsächlich im Leiden, das ihn befähigt, die Leidenden zu verstehen, die Bürde der Schuld anderer auf sich zu nehmen und sie zu sühnen. Die Ausgrenzung und das Leiden des Gottesknechtes, die bis in seinen Tod hinein fortdauern, erweisen sich als so fruchtbar, dass sie »die vielen« erlösen.

Jesus ist der Gottesknecht: Sein Leben und sein Sterben, ganz im Zeichen des Dienstes (vgl. Phil 2,7), waren die Ursache für unser Heil und für die Versöhnung der Menschheit mit Gott. Das Kerygma, das Herzstück des Evangeliums bestätigt, dass sich in seinem Tod und seiner Auferstehung die Weissagungen über den Gottesknecht erfüllt haben. Die Erzählung des heiligen Markus beschreibt die Szene, in der Jesus sich mit seinen Jüngern Jakobus und Johannes abmüht, die – unterstützt von ihrer Mutter – den Wunsch äußern, in der Herrlichkeit Gottes an seiner Rechten und seiner Linken zu sitzen (vgl. Mk 10,37), und damit Ehrenplätze beanspruchen, wie sie ihrer hierarchischen Vorstellung vom Gottesreich entsprechen. Es zeigt sich, dass die Sicht, in der sie leben, noch getrübt ist durch Träume von irdischer Verwirklichung. So versetzt Jesus diesen Ansichten seiner Jünger einen ersten „Schlag“, indem er darauf hinweist, welches sein Weg auf dieser Erde ist: »Ihr werdet den Kelch trinken, den ich trinke … doch den Platz zu meiner Rechten und zu meiner Linken habe nicht ich zu vergeben; dort werden die sitzen, für die diese Plätze bestimmt sind.« (V. 39-40). Mit dem Bild des Kelches sagt er den beiden die Möglichkeit zu, bis zum Grunde sein Los des Leidens zu teilen, ohne ihnen jedoch die begehrten Ehrenplätze zu garantieren. Seine Antwort ist eine Einladung, ihm auf dem Weg der Liebe und des Dienens zu folgen, und weist zugleich die weltliche Versuchung zurück, sich an die Spitze zu stellen und über die anderen zu herrschen.

Angesichts der Menschen, die sich eifrig darum bemühen, Macht und Erfolg zu erlangen und in Erscheinung zu treten, angesichts derer, die wollen, dass ihre Verdienste und ihre Arbeiten anerkannt werden, sind die Jünger aufgerufen, das Gegenteil zu tun. Daher ermahnt Jesus sie: »Ihr wisst, dass die, die als Herrscher gelten, ihre Völker unterdrücken und die Mächtigen ihre Macht über die Menschen missbrauchen. Bei euch aber soll es nicht so sein, sondern wer bei euch groß sein will, der soll euer Diener sein« (V. 42-44). Mit diesen Worten weist er darauf hin, dass in der christlichen Gemeinschaft der Stil der Autorität das Dienen ist. Wer den anderen dient und wirklich kein Ansehen genießt, übt in der Kirche die wahre Autorität aus. Jesus lädt uns ein, eine andere Mentalität anzunehmen und von der Gier nach Macht zu der Freude überzugehen, in den Schatten zu treten und zu dienen; den Instinkt des Herrschens über die anderen auszurotten und die Tugend der Demut zu üben.

Und nachdem er ein Beispiel vor Augen gestellt hat, das nicht nachzuahmen ist, bietet er sich selbst als das Ideal an, auf das man sich beziehen soll. In der Haltung des Meisters soll die Gemeinschaft den Beweggrund für die neue Lebensperspektive finden: »Denn auch der Menschensohn ist nicht gekommen, um sich dienen zu lassen«, sagt er, »sondern um zu dienen und sein Leben hinzugeben als Lösegeld für viele« (V. 45). In der biblischen Überlieferung ist der Menschensohn derjenige, der von Gott »Herrschaft, Herrlichkeit und Königtum« empfängt (Dan 7,14). Jesus erfüllt dieses Bild mit einem neuen Sinn und stellt klar, dass er die Herrschaft besitzt, insofern er Knecht ist, die Herrlichkeit, insofern er fähig ist, sich zu erniedrigen, und das Königtum, insofern er zur völligen Hingabe seines Lebens bereit ist. Mit seinem Leiden und Sterben nimmt er nämlich den letzten Platz ein, erreicht die äußerste Bedeutsamkeit gerade im Dienen und macht daraus ein Geschenk für die Kirche.

Ein Verständnis der Macht, das sich an weltlichen Kriterien orientiert, ist unvereinbar mit dem demütigen Dienst, der nach der Lehre und dem Beispiel Jesu die Autorität kennzeichnen müsste. Unvereinbar sind Ehrgeiz und Karrierismus mit der Nachfolge Christi; unvereinbar die irdischen Ehren und Triumphe, der irdische Erfolg und Ruhm mit der Logik des gekreuzigten Christus. Der „mit dem Leiden vertraute“ Jesus ist dagegen vereinbar mit unserem Leiden. Daran erinnert uns der Hebräerbrief, der Christus als den Hohenpriester zeigt, der in allem unsere menschliche Lage teilt, außer der Sünde: »Wir haben ja nicht einen Hohenpriester, der nicht mitfühlen könnte mit unserer Schwäche«, heißt es da, »sondern einen, der in allem wie wir in Versuchung geführt worden ist, aber nicht gesündigt hat« (4,15). Jesus übt im Wesentlichen ein Priestertum der Barmherzigkeit und des Mitleids aus. Er hat unsere Schwierigkeiten unmittelbar selbst erfahren und kennt unsere menschliche Lage von innen her; dass er nicht gesündigt hat, hindert ihn nicht daran, die Sünder zu verstehen. Seine Herrlichkeit besteht nicht im Ehrgeiz oder in der Herrschsucht, sondern darin, die Menschen zu lieben, ihre Schwäche anzunehmen und zu teilen, ihnen die heilende Gnade zu schenken und sie mit unendlicher Zärtlichkeit zu begleiten, sie zu begleiten auf ihrem mühevollen Weg.

Jeder von uns hat als Getaufter persönlich Anteil am Priestertum Christi; die gläubigen Laien am allgemeinen Priestertum und die Priester am Amtspriestertum. Daher können wir alle die Liebe empfangen, die aus seinem geöffneten Herzen hervorströmt – sowohl für uns selbst, als auch für die anderen –, und zu „Kanälen“ seiner Liebe, seines Mitleids werden, besonders gegenüber denen, die sich in Situationen des Schmerzes, der Angst, der Entmutigung und der Einsamkeit befinden.

Diejenigen, die heute heiliggesprochen wurden, haben in außergewöhnlicher Demut und Liebe unentwegt ihren Mitmenschen gedient und so ihren göttlichen Meister nachgeahmt. Der heilige Vincenzo Grossi war ein eifriger Pfarrer, der immer die Bedürfnisse seiner Leute im Auge hatte, besonders die Anfälligkeit der jungen Menschen. Mit Leidenschaft verkündete er allen das Wort Gottes und war den am meisten Bedürftigen ein „barmherziger Samariter“.

Die heilige Maria von der Unbefleckten Empfängnis schöpfte aus den Quellen des Gebetes und der Kontemplation die Kraft für ihren persönlichen Dienst an den „Letzten“, den sie in großer Demut verrichtete und dabei den Kindern der Armen und den Kranken eine besondere Aufmerksamkeit widmete.

Die heiligen Eheleute Louis Martin und Marie-Azélie Guérin haben den christlichen Dienst in der Familie gelebt, indem sie Tag für Tag eine Umgebung voller Glauben und Liebe aufbauten; und in diesem Klima sind die Berufungen ihrer Töchter aufgekeimt, darunter auch die der heiligen Thérèse vom Kinde Jesu.

Das leuchtende Zeugnis dieser neuen Heiligen spornt uns an, auf dem Weg des frohen Dienstes an den Mitmenschen beharrlich voranzuschreiten, im Vertrauen auf die Hilfe Gottes und den mütterlichen Schutz Marias. Mögen sie nun vom Himmel aus über uns wachen und uns mit ihrer machtvollen Fürsprache unterstützen.

[01759-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Testo in lingua spagnola

Las lecturas bíblicas de hoy nos hablan del servicio y nos llaman a seguir a Jesús a través de la vía de la humildad y de la cruz.

El profeta Isaías describe la figura del Siervo de Yahveh (53,10-11) y su misión de salvación. Se trata de un personaje que no ostenta una genealogía ilustre, es despreciado, evitado de todos, acostumbrado al sufrimiento. Uno del que no se conocen empresas grandiosas, ni célebres discursos, pero que cumple el plan de Dios con su presencia humilde y silenciosa y con su propio sufrimiento. Su misión, en efecto, se realiza con el sufrimiento, que le ayuda a comprender a los que sufren, a llevar el peso de las culpas de los demás y a expiarlas. La marginación y el sufrimiento del Siervo del Señor hasta la muerte, es tan fecundo que llega a rescatar y salvar a las muchedumbres.

Jesús es el Siervo del Señor: su vida y su muerte, bajo la forma total del servicio (cf. Flp 2,7), son la fuente de nuestra salvación y de la reconciliación de la humanidad con Dios. El kerigma, corazón del Evangelio, anuncia que las profecías del Siervo del Señor se han cumplido con su muerte y resurrección. La narración de san Marcos describe la escena de Jesús con los discípulos Santiago y Juan, los cuales –sostenidos por su madre– querían sentarse a su derecha y a su izquierda en el reino de Dios (cf. Mc 10,37), reclamando puestos de honor, según su visión jerárquica del reino. El planteamiento con el que se mueven estaba todavía contaminado por sueños de realización terrena. Jesús entonces produce una primera «convulsión» en esas convicciones de los discípulos haciendo referencia a su camino en esta tierra: «El cáliz que yo voy a beber lo beberéis … pero el sentarse a mi derecha o a mi izquierda no me toca a mí concederlo, sino que es para quienes está reservado» (vv. 39-40). Con la imagen del cáliz, les da la posibilidad de asociarse completamente a su destino de sufrimiento, pero sin garantizarles los puestos de honor que ambicionaban. Su respuesta es una invitación a seguirlo por la vía del amor y el servicio, rechazando la tentación mundana de querer sobresalir y mandar sobre los demás.

Frente a los que luchan por alcanzar el poder y el éxito, para hacerse ver, frente a que quieren ser reconocidos por sus propios meritos y trabajos, los discípulos están llamados a hacer lo contrario. Por eso les advierte: «Sabéis que los que son reconocidos como jefes de los pueblos los tiranizan, y que los grandes los oprimen. No será así entre vosotros: el que quiera ser grande entre vosotros, que sea vuestro servidor» (vv. 42-43). Con estas palabras señala que en la comunidad cristiana el modelo de autoridad es el servicio. El que sirve a los demás y vive sin honores ejerce la verdadera autoridad en la Iglesia. Jesús nos invita a cambiar de mentalidad y a pasar del afán del poder al gozo de desaparecer y servir; a erradicar el instinto de dominio sobre los demás y vivir la virtud de la humildad.

Y después de haber presentado un ejemplo de lo que hay que evitar, se ofrece a sí mismo como ideal de referencia. En la actitud del Maestro la comunidad encuentra la motivación para una nueva concepción de la vida: «Porque el Hijo del hombre no ha venido a ser servido, sino a servir y dar su vida en rescate por muchos» (v. 45).

En la tradición bíblica, el Hijo del hombre es el que recibe de Dios «poder, honor y reino» (Dn 7,14). Jesús da un nuevo sentido a esta imagen y señala que él tiene el poder en cuanto siervo, el honor en cuanto que se abaja, la autoridad real en cuanto que está disponible al don total de la vida. En efecto, con su pasión y muerte él conquista el último puesto, alcanza su mayor grandeza con el servicio, y la entrega como don a su Iglesia.

Hay una incompatibilidad entre el modo de concebir el poder según los criterios mundanos y el servicio humilde que debería caracterizar a la autoridad según la enseñanza y el ejemplo de Jesús. Incompatibilidad entre las ambiciones, el carrerismo y el seguimiento de Cristo; incompatibilidad entre los honores, el éxito, la fama, los triunfos terrenos y la lógica de Cristo crucificado. En cambio, sí que hay compatibilidad entre Jesús «acostumbrado a sufrir» y nuestro sufrimiento. Nos lo recuerda la Carta a los Hebreos, que presenta a Cristo como el sumo sacerdote que comparte totalmente nuestra condición humana, menos el pecado: «No tenemos un sumo sacerdote incapaz de compadecerse de nuestras debilidades, sino que ha sido probado en todo, como nosotros, menos en el pecado» (4,15). Jesús realiza esencialmente un sacerdocio de misericordia y de compasión. Ha experimentado directamente nuestras dificultades, conoce desde dentro nuestra condición humana; el no tener pecado no le impide entender a los pecadores. Su gloria no está en la ambición o la sed de dominio, sino en el amor a los hombres, en asumir y compartir su debilidad y ofrecerles la gracia que restaura, en acompañar con ternura infinita, acompañar su atormentado camino.

Cada uno de nosotros, en cuanto bautizado, participa del sacerdocio de Cristo; los fieles laicos del sacerdocio común, los sacerdotes del sacerdocio ministerial. Así, todos podemos recibir la caridad que brota de su Corazón abierto, tanto por nosotros como por los demás: llegando a ser «canales» de su amor, de su compasión, especialmente con los que sufren, los que están angustiados, los que han perdido la esperanza o están solos.

Los santos proclamados hoy sirvieron siempre a los hermanos con humildad y caridad extraordinaria, imitando así al divino Maestro. San Vicente Grossi fue un párroco celoso, preocupado por las necesidades de su gente, especialmente por la fragilidad de los jóvenes. Distribuyó a todos con ardor el pan de la Palabra y fue buen samaritano para los más necesitados.

Santa María de la Purísima, sacando de la fuente de la oración y de la contemplación, vivió personalmente con gran humildad el servicio a los últimos, con una dedicación particular hacia los hijos de los pobres y enfermos.

Los santos esposos Luis Martin y María Azelia Guérin vivieron el servicio cristiano en la familia, construyendo cada día un ambiente lleno de fe y de amor; y en este clima brotaron las vocaciones de las hijas, entre ellas santa Teresa del Niño Jesús.

El testimonio luminoso de estos nuevos santos nos estimulan a perseverar en el camino del servicio alegre a los hermanos, confiando en la ayuda de Dios y en la protección materna de María. Ahora, desde el cielo, velan sobre nosotros y nos sostienen con su poderosa intercesión.

[01759-ES.01] [Texto original: Italiano]

Testo in lingua portoghese

As leituras bíblicas de hoje apresentam-nos o tema do serviço e chamam-nos a seguir Jesus pelo caminho da humildade e da cruz.

O profeta Isaías esboça a figura do Servo do Senhor (53, 10-11) e a sua missão salvífica. Trata-se dum personagem que não se gaba de genealogias ilustres; mas desprezado, evitado por todos, sabe o que é sofrer. Não se lhe atribuem empreendimentos grandiosos nem discursos célebres, mas realiza o plano de Deus através duma presença humilde e silenciosa, através do seu sofrimento. De facto, a sua missão realiza-se por meio do sofrimento, que lhe permite compreender os que sofrem, carregar o fardo das culpas alheias e expiá-las. A marginalização e o sofrimento do Servo do Senhor, suportados até à morte, revelam-se tão fecundos que resgatam e salvam as multidões.

Jesus é o Servo do Senhor: a sua existência e a sua morte, vividas inteiramente sob a forma de serviço (cf. Flp 2, 7), foram causa da nossa salvação e da reconciliação da humanidade com Deus. O querigma, coração do Evangelho, atesta que, na sua morte e ressurreição, cumpriram-se as profecias do Servo do Senhor. A narração de São Marcos descreve a cena de Jesus a contas com os seus discípulos Tiago e João, que – apoiados pela mãe – queriam sentar-se, à sua direita e à sua esquerda, no reino de Deus (cf. Mc 10, 37), reivindicando lugares de honra, de acordo com a sua própria visão hierárquica do reino. A perspectiva, em que se movem, aparece ainda inquinada por sonhos de realização terrena. Então Jesus dá um primeiro «abanão» naquelas convicções dos discípulos, recordando o caminho d’Ele na terra: «Bebereis o cálice que Eu bebo (…), mas o sentar-se à minha direita ou à minha esquerda não pertence a Mim concedê-lo: é daqueles para quem está reservado» (10, 39-40). Com esta imagem do cálice, Ele assegura aos dois discípulos a possibilidade de serem associados plenamente ao seu destino de sofrimento, mas sem garantir os desejados lugares de honra. A sua resposta é um convite a segui-Lo pelo caminho do amor e do serviço, rejeitando a tentação mundana de querer sobressair e mandar nos outros.

À vista de tantos que lutam por obter o poder e o sucesso, por dar nas vistas, frente a tantos que querem fazer valer os seus méritos, as suas realizações, os discípulos são chamados a fazer o contrário. Por isso adverte-os: «Sabeis como aqueles que são considerados governantes das nações fazem sentir a sua autoridade sobre elas, e como os grandes exercem o seu poder. Não deve ser assim entre vós. Quem quiser ser grande entre vós, faça-se vosso servo» (10, 42-43). Com estas palavras, Jesus indica o serviço como estilo da autoridade na comunidade cristã. Quem serve os outros e não goza efectivamente de prestígio, exerce a verdadeira autoridade na Igreja. Jesus convida-nos a mudar a nossa mentalidade e a passar da ambição do poder à alegria de se ocultar e servir; a desarraigar o instinto de domínio sobre os outros e exercer a virtude da humildade.

E, depois de apresentar um modelo a não imitar, oferece-Se a Si mesmo como ideal de referimento. No procedimento do Mestre, a comunidade encontrará o motivo da nova perspectiva de vida: «Pois também o Filho do Homem não veio para ser servido, mas para servir e dar a sua vida em resgate por todos» (10, 45). Na tradição bíblica, o Filho do Homem é aquele que recebe de Deus «as soberanias, a glória e a realeza» (Dn 7, 14). Jesus enche de novo sentido esta imagem, especificando que Ele tem a soberania enquanto servo, a glória enquanto capaz de abaixamento, a autoridade real enquanto disponível ao dom total da vida. Na verdade, é com a sua paixão e morte que conquista o último lugar, alcança o máximo de grandeza no serviço, e oferece-o à sua Igreja.

Há incompatibilidade entre uma forma de conceber o poder segundo critérios mundanos e o serviço humilde que deveria caracterizar a autoridade segundo o ensinamento e o exemplo de Jesus; incompatibilidade entre ambições e carreirismo e o seguimento de Cristo; incompatibilidade entre honras, sucesso, fama, triunfos terrenos e a lógica de Cristo crucificado. Ao contrário, há compatibilidade entre Jesus «que sabe o que é sofrer» e o nosso sofrimento. Assim no-lo recorda a Carta aos Hebreus, que apresenta Cristo como o Sumo Sacerdote que compartilha a nossa condição humana em tudo, excepto no pecado: «de facto, não temos um Sumo Sacerdote que não possa compadecer-se das nossas fraquezas, pois Ele foi provado em tudo como nós, excepto no pecado» (4, 15). Jesus exerce, essencialmente, um sacerdócio de misericórdia e compaixão. Experimentou directamente as nossas dificuldades, conhece a partir de dentro a nossa condição humana; o facto de não ter experimentado o pecado não O impede de compreender os pecadores. A sua glória não é a da ambição ou da sede de domínio, mas a glória de amar os homens, assumir e compartilhar a sua fraqueza e oferecer-lhes a graça que cura, acompanhá-los com ternura infinita, acompanhá-los no seu caminho atribulado.

Cada um de nós, enquanto baptizado, participa a seu modo no sacerdócio de Cristo: os fiéis leigos no sacerdócio comum, os sacerdotes no sacerdócio ministerial. Assim, todos podemos receber a caridade que brota do seu Coração aberto, tanto para nós mesmos como para os outros, tornando-nos «canais» do seu amor, da sua compaixão, especialmente para aqueles que vivem no sofrimento, na angústia, no desânimo e na solidão.

Aqueles que hoje proclamámos Santos, serviram constantemente, com humildade e caridade extraordinárias, os irmãos, imitando assim o Mestre divino. São Vicente Grossi foi pároco zeloso, sempre atento às necessidades do seu povo, especialmente à fragilidade dos jovens. Com ardor, repartiu o pão da Palavra para todos e tornou-se bom samaritano para os mais necessitados.

Santa Maria da Imaculada Conceição, bebendo nas fontes da oração e da contemplação, serviu pessoalmente e com grande humildade os últimos, com uma atenção especial aos filhos dos pobres e aos doentes.

Os Santos esposos Luís Martin e Maria Zélia Guérin viveram o serviço cristão na família, construindo dia após dia um ambiente cheio de fé e amor; e, neste clima, germinaram as vocações das filhas, nomeadamente a de Santa Teresinha do Menino Jesus.

O testemunho luminoso destes novos Santos impele-nos a perseverar no caminho dum serviço alegre aos irmãos, confiando na ajuda de Deus e na protecção materna de Maria. Que eles, do Céu, velem sobre nós e nos apoiem com a sua poderosa intercessão.

[01759-PO.01] [Texto original: Italiano]

[B0796-XX.02]