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Commemorazione del 50.mo anniversario del Sinodo dei Vescovi: Introduzione, Relazione commemorativa e Comunicazioni, 17.10.2015


Introduzione del Cardinale Lorenzo Baldisseri

Relazione Commemorativa del Card. Christoph Schönborn, O.P.

Comunicazioni

Questa mattina nell’Aula Paolo VI in Vaticano si è tenuta la Commemorazione del 50mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi.

Dopo l’introduzione del Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, Card. Lorenzo Baldisseri, il Card. Christoph Schönborn, O.P., Arcivescovo di Vienna e Presidente della Conferenza Episcopale dell’Austria ha tenuto la Relazione commemorativa.

Sono quindi intervenuti - in rappresentanza dei cinque continenti - il Card. Vincent Gerard Nichols, Arcivescovo di Westminster, Presidente della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles (per l’Europa); S.E. Mons. Mathieu Madega Lebouakehan, Vescovo di Mouila, Presidente della Conferenza Episcopale del Gabon (per l’Africa); il Card. Ricardo Ezzati Andrello, Sdb, Arcivescovo di Santiago de Chile (per l’America); Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei (Iraq), Capo del Sinodo della Chiesa Caldea (per l’Asia); e il Card Soane Patita Paini Mafi, Vescovo di Tonga, Presidente della Conferenza Episcopale del Pacifico (CEPAC) (per l’Oceania).

Riportiamo di seguito i testi relativi alla commemorazione del 50mo Anniversario del Sinodo dei Vescovi:

Introduzione del Cardinale Lorenzo Baldisseri

Beatissimo Padre,
Eminenze, Beatitudini, Eccellenze,
Fratelli e Sorelle,

con grande gioia ci troviamo in quest’Aula per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi.

Nella mia qualità di Segretario Generale, desidero ringraziare vivamente Vostra Santità, per aver voluto che, nel corso della XIV Assemblea Generale Ordinaria, si svolgesse questa celebrazione, solennizzata dalla Sua presenza e da quella di tutti i Padri sinodali; dei Cardinali, Arcivescovi e Vescovi invitati a quest’evento; nonché degli Ecc.mi Signori Ambasciatori e dei distinti Rappresentanti di numerose Istituzioni ecclesiastiche e civili.

Un ringraziamento particolare estendo a tutti coloro che, nel corso di questi cinquant’anni, hanno offerto un servizio generoso e competente al cammino sinodale, specialmente ai Segretari Generali che mi hanno preceduto, ai Sotto-Segretari, ai Consultori e agli Officiali di ieri e di oggi.

Infine, desidero salutare cordialmente e ringraziare sentitamente tutti i presenti in quest’Aula.

Il 15 settembre 1965 il Beato Paolo VI promulgò il motu proprio Apostolica sollicitudo, con il quale istituiva il Sinodo dei Vescovi quale «speciale Consiglio permanente di sacri Pastori, e ciò affinché anche dopo il Concilio continuasse a giungere al Popolo cristiano quella larga abbondanza di benefici, che durante il Concilio felicemente si ebbe dalla viva unione [del Sommo Pontefice] con i Vescovi»1. Con l’istituzione del Sinodo, Paolo VI intendeva rispondere all’esigenza di «adattare le vie e i metodi del sacro apostolato alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società», esigenza che richiede di «ricorrere sempre più all’aiuto dei Vescovi per il bene della Chiesa universale»2.

Soltanto pochi mesi prima della conclusione del Concilio Vaticano II, il Sinodo dei Vescovi iniziava il suo cammino: il nuovo organismo riceveva il “testimone” della grande assise ecumenica, affinché lo “spirito collegiale” del Concilio continuasse anche in seguito a “spirare” sulla Chiesa.

Da allora ad oggi si contano 27 Assemblee sinodali, compresa quella in corso: 14 Assemblee Generali Ordinarie, 3 Assemblee Generali Straordinarie, 10 Assemblee Speciali.

Le 14 Assemblee Generali Ordinarie si sono occupate della preservazione e del rafforzamento della fede cattolica, del sacerdozio ministeriale e della formazione dei Presbiteri nelle circostanze attuali, della giustizia nel mondo, dell’evangelizzazione e della catechesi nell’epoca contemporanea, della Penitenza e della Riconciliazione, della vocazione e missione dei Laici, della vita consacrata e del ministero pastorale dei Vescovi, dell’Eucaristia e della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, della nuova evangelizzazione e per due volte della famiglia.

Le tre Assemblee Generali Straordinarie hanno invece trattato della cooperazione tra la Santa Sede e le Conferenze Episcopali, del ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II e, lo scorso anno, della famiglia come prima tappa del cammino sinodale che si sta concludendo.

Dieci sono state le Assemblee Speciali, che per loro natura si riferiscono ad una o più aree geografiche: i Paesi Bassi, l’Europa per due volte, l’Africa per due volte, il Libano, l’America, l’Asia, l’Oceania e il Medioriente.

Il Sinodo, in questo mezzo secolo, ha toccato molteplici temi attinenti alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel nostro tempo. Le varie Assemblee sinodali, che oggi ad uno sguardo d’insieme si mostrano a noi come le tappe di un cammino unitario e coerente, sono divenute uno strumento privilegiato per l’attuazione e la recezione del Concilio Vaticano II, in vista del rinnovamento pastorale della Chiesa e del suo dialogo con il mondo contemporaneo.

È rilevante che ben tre delle 27 Assemblee sinodali si siano concentrate sulla famiglia: una scelta di grande attualità per la Chiesa e per il mondo contemporaneo. Come Vostra Santità ci ha recentemente ricordato, il «respiro mondiale» del Sinodo dei Vescovi ben corrisponde alla «portata universale di questa comunità umana fondamentale e insostituibile che è appunto la famiglia»3.

Parlando ai membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale, San Giovanni Paolo II nel 1983 ha paragonato il Sinodo ad un albero che porta sempre nuovi frutti: «Il Sinodo dei Vescovi – egli ha affermato – è germogliato nel fertile terreno del Concilio Vaticano II, ha potuto vedere il sole grazie alla sensibile mente del mio Predecessore, Paolo VI, ed ha cominciato a portare i suoi frutti sin dalla prima Assemblea Ordinaria del 1967. […] Di fronte a questa ricchezza di frutti già prodotti e di potenzialità ancora non dispiegate dell’ancor giovane istituzione sinodale, è giusto anzitutto rendere grazie a Dio perché ha voluto ispirare la sua fondazione e guidare la sua opera. […] Come ogni istituzione umana, anche il Sinodo dei Vescovi sta crescendo e potrà ancora crescere e sviluppare le sue potenzialità»4.

Anche Vostra Santità ha applicato l’immagine dei frutti all’organismo sinodale: il Sinodo – Ella ha asserito – «è stato uno dei frutti del Concilio Vaticano II. Grazie a Dio, in questi quasi cinquant’anni, si sono potuti sperimentare i benefici di questa istituzione, che, in modo permanente, è posta al servizio della missione e della comunione della Chiesa, come espressione della collegialità»5.

Attraverso il Sinodo – nel quale Vescovi provenienti da tutto il mondo mettono al servizio del Successore di Pietro il loro consiglio, la loro prudenza e la loro esperienza6 – la Chiesa intende sempre più «avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria»7, per proclamare con slancio rinnovato agli uomini del nostro tempo «la gioia del Vangelo [che] riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»8. Questa conversione dev’essere «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale»9.

Santità, Le siamo riconoscenti per aver incoraggiato, fin dall’inizio del Suo ministero petrino, il cammino sinodale, non solo con le Sue parole autorevoli pronunciate in molteplici occasioni, ma anche con la Sua presenza costante alle Assemblee Sinodali e alle riunioni del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale. Nella persuasione che «il cammino della sinodalità […] è il cammino che Dio ci chiede»10, Ella ci esorta con determinazione a «cercare forme sempre più profonde e autentiche dell’esercizio della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione»11.

Soltanto pochi giorni fa, nella prima Congregazione Generale dell’Assemblea in corso, Vostra Santità ci ha ricordato che il Sinodo è il luogo di manifestazione della collegialità episcopale, del rinnovamento della Chiesa nella fedeltà al Vangelo e dell’azione imprevedibile dello Spirito Santo12. Con queste tre preziose indicazioni la strada del Sinodo per il tempo a venire è già tracciata. È una strada che desideriamo continuare a “percorrere insieme”, noi Vescovi uniti cum Petro et sub Petro nel servizio al Popolo santo di Dio.

__________________

[1] Beato Paolo VI, motu proprio Apostolica sollicitudo, 15 settembre 2015, proemio.

2 Ibidem.

3 Francesco, Udienza generale, 16 settembre 2015.

4 San Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 30 aprile 1983.

5 Francesco, Discorso al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 13 giugno 2013.

6 Cf. Francesco, Lettera al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Em.mo Card. Lorenzo Baldisseri, in occasione dell’elevazione alla dignità episcopale del Sotto-Segretario, Rev.mo Mons. Fabio Fabene, 1° aprile 2014

7 Francesco, esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, 25.

8 Ibidem, 1.

9 Ibidem, 27.

10 Francesco, Intervista concessa al quotidiano “La Nación”, 7 dicembre 2014.

11 Francesco, Lettera al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, cit.

12 Francesco, Discorso nella prima Congregazione Generale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 5 ottobre 2015.

 

Relazione Commemorativa del Card. Christoph Schönborn, O.P.

Testo in lingua italiana

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua italiana

Santo Padre, cari fratelli e sorelle nel Signore,

Sono intanto trascorsi due terzi dell’assemblea del Sinodo di quest’anno. Cade bene a proposito potersi fermare, oggi, a rendere grazie a Dio per la creazione del Sinodo dei Vescovi da parte del Beato Papa Paolo VI, che lo istituì, cinquant’anni fa, all’inizio dell’ultima sessione del Concilio, con la Lettera Apostolica sollicitudo del 15 settembre 1965.

Il grande interesse, a livello mondiale, che il Sinodo attuale ha suscitato, non solo mostra come il tema matrimonio e famiglia sia intensamente sentito da molte persone, ben al di là dell’orizzonte della Chiesa cattolica. Mostra anche come sia vitale, anche dopo cinquant’anni, l’istituzione del Sinodo dei Vescovi, di cui il Santo Papa Giovanni Paolo II poteva dire che era “germogliato nel fertile terreno del Concilio Vaticano II”.1

Il Sinodo dei Vescovi e il Concilio sono inseparabilmente legati insieme. A cinquant’anni dalla fine del Concilio possiamo ribadire, con maggiore convinzione, quanto Papa Giovanni Paolo II già nel 1983 constatava: “Il Sinodo dei Vescovi ha contribuito in maniera notevolissima all'attuazione degli insegnamenti e degli orientamenti dottrinali e pastorali del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa universale”. Quest’attuazione è ancora in corso, come di solito succede dopo un concilio.

Infatti, dopo ogni concilio c’è stata, nella lunga storia della Chiesa, la fase della recezione, dell’interpretazione e dell’applicazione delle dottrine e delle disposizioni conciliari. Pensiamo solo a quanto tempo ci volle prima che il primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea (325) trovasse pieno riscontro nel pensiero, nelle dottrine e nella prassi della Chiesa. In un certo senso si può dire che questo processo durò fino al secondo Concilio di Nicea, fino dunque al 787, fino alla conclusione del ciclo dei sette primi grandi concili ecumenici.2 Infatti, solo con il secondo Concilio di Nicea (sulle immagini sacre e il loro significato) si fece luce sul mistero di Cristo nelle sue dimensioni essenziali. Per arrivare a ciò ci vollero pur sempre 450 anni!

Oppure pensiamo al Concilio di Trento, il grande concilio della riforma, nella crisi della riforma protestante. In alcuni luoghi ci son voluti quasi 200 anni prima che le riforme di Trento venissero davvero realizzate. Nell’arcidiocesi di Vienna la riforma per la formazione al sacerdozio fu attuata solo 200 anni dopo la fine del Concilio, con l’istituzione di un Seminario per sacerdoti (1758). Vienna non aveva, infatti, un San Carlo Borromeo che mettesse subito in pratica le riforme volute dal Concilio!

Nel corso degli ultimi cinquant’anni il Sinodo dei Vescovi è certamente stato uno degli strumenti privilegiati per l’attuazione del Vaticano II. Nel 1983 Papa Giovanni Paolo II poteva affermare: “La chiave sinodale di lettura del Concilio è diventata quasi un luogo di interpretazione, di applicazione e di sviluppo del Vaticano II. Il ricco elenco dei temi trattati nei diversi Sinodi rivela da solo l'importanza delle sue assemblee per la Chiesa e per l'attuazione delle riforme volute dal Concilio.”3

Il Sinodo dei Vescovi è un luogo privilegiato di interpretazione del Concilio

Il Sinodo dei Vescovi è certamente solo uno dei luoghi di interpretazione e di applicazione delle riforme volute dal Concilio. Tutta la ricca varietà di espressioni di vita della Chiesa contribuisce al rinnovamento desiderato dal Concilio, a una sua ermeneutica più ampia.

Nei cinquant’anni della sua esistenza, non sono neanche mai mancate critiche al Sinodo dei Vescovi e alla sua efficienza. Non ho bisogno di elencare qui i diversi punti di critica di volta in volta avanzati. Un tema spesso ed ancora discusso è la questione dell’autorità del Sinodo, se esso sia un organo di consulenza a supporto del Ministero Petrino, oppure se abbia anche pieni poteri decisionali. Il Sinodo dei Vescovi è una forma di co-governo della Chiesa universale? O serve soprattutto a vivere la collegialità, la collegialità effettiva ed affettiva fra i vescovi cum et sub Petro? Si è discusso anche molto sul metodo del Sinodo. Si sono criticati spesso aspetti del metodo di lavoro, e qualcosa, nel corso degli anni si è imparato dall’esperienza ed è stato migliorato. Guardiamo con gratitudine ai rinnovamenti di metodo sotto Papa Benedetto XVI e Papa Francesco.

Molto si è scritto, di importante e di valido, circa i fondamenti giuridico-canonici ed ecclesiologici del Sinodo. Penso soprattutto alla lectio magistralis del 1983 dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger sugli “Scopi e metodi del Sinodo dei Vescovi”.4 Con la sua solita chiarezza, egli si è espresso qui sulla collocazione giuridica e teologica del Sinodo dei Vescovi nell’insieme della Chiesa. Le sue spiegazioni non hanno perso di valore.

Già allora, quando l’istituzione del Sinodo dei Vescovi non aveva ancora 20 anni, si ponevano soprattutto due domande, rimaste finora attuali, che il Cardinale Ratzinger nella sua relazione formulò nel modo seguente: “Va discusso se l’attuale figura giuridica del Sinodo corrisponde perfettamente al suo scopo, che viene delineato… nell’ambito di una certa realtà teologica esistente nel Concilio Vaticano II, vale a dire all’interno del rapporto tra missione del Successore di S. Pietro e la responsabilità comune di tutto il collegio del Vescovi, al quale, con e sotto Pietro, è stata affidata la cura della Chiesa universale”. La prima domanda è dunque questa: il Sinodo dei Vescovi, promuove in modo adeguato la collegialità vescovile, cum et sub Petro, nella responsabilità per la Chiesa?

Il Cardinale Ratzinger formulò la seconda domanda nel modo seguente: “Dobbiamo anche indagare se i metodi finora adottati sono veramente adeguati allo scopo del Sinodo.”5

Cominciamo dalla seconda domanda. La questione del metodo accompagna il cammino del Sinodo fin dal principio. Così il Santo Papa Giovanni Paolo II disse, a conclusione della VI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, il 29 ottobre 1983: “Forse questo strumento potrà esser ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente.”

E Papa Francesco: “Trascorsi quasi cinquant’anni dall’istituzione del Sinodo dei Vescovi, avendo anch’io perscrutato i segni dei tempi e nella consapevolezza che per l’esercizio del mio Ministero Petrino serve, quanto mai, ravvivare ancor di più lo stretto legame con tutti i Pastori della Chiesa, desidero valorizzare questa preziosa eredità conciliare.”6

Synodos significa “cammino insieme”. Sinodalità significa “essere insieme in cammino”. Chi è insieme in cammino, ha bisogno di una mèta chiara e di una buona via verso tale mèta. Metodo viene da methodos: “Via verso qualcosa”. Il methodos è del tutto decisivo, se si vuole che il syn-odos abbia un buon esito. I dibattiti sul metodo del Sinodo non sono questioni secondarie di carattere organizzativo. Essi contribuiscono in modo molto decisivo a che il syn-odos conduca al fine.

Quest’inseparabile comunione e relazione intrinseca di synodos e methodos è già chiara agli inizi dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, nelle parole con cui il Beato Papa Paolo VI lo fondò: “Scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi… alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società.”7

Il Concilio di Gerusalemme: modello per il metodo del Sinodo

Per considerare questa relazione intrinseca di synodos e methodos propongo di rivolgere lo sguardo al “Sinodo d’origine”, al modello originario dei sinodi, il cosiddetto “Concilio degli Apostoli” di Gerusalemme. Anche se mi è chiaro che il Concilio di Gerusalemme non sia stato né un concilio né un sinodo nel senso più tardo dei termini, vale tuttavia la pena ritornare costantemente a questo inizio. Mi sembra, infatti, che proprio il metodo allora applicato sia indicativo per il cammino ulteriore del Sinodo dei Vescovi. E possiamo a posteriori certamente affermare: questo primo sinodo ebbe una tale importanza, che ancora oggi viviamo dai suoi frutti.

Cominciò tutto con un drammatico conflitto: “Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: "Se non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi” (At 15,1). Non si trattava di una cosa da poco conto. Era in gioco il tutto del cammino cristiano. Non solo la dottrina, ma la vita. Non meraviglia che la questione suscitasse una grande discussione: “Poiché Paolo e Barnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione” (At 15,2). Non stupisce dunque, che anche a Gerusalemme “sorse una grande discussione” (At 15,7). Infatti, non appena si riunirono, “si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè” (At 15,5).

Il conflitto circa il cammino dei pagani convertiti al cristianesimo mostra qualcosa di molto importante: tale conflitto venne espresso, lo si chiamò chiaramente per nome e se ne discusse apertamente. Questa parresia mi ricorda due frasi che Papa Francesco rivolse a noi Padri Sinodali l’ottobre scorso, all’inizio e alla fine dell’assemblea straordinaria del Sinodo: “Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro. Nessuno dica: ‘questo non si può dire; penserà di me così o così…’ Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia …. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli. Con questi due atteggiamenti si esercita la sinodalità. Per questo vi domando, per favore, questi atteggiamenti nel Signore: parlare con parresia e ascoltare con umiltà”.

Con questi due atteggiamenti si può arrivare anche ad “animate discussioni”. Così avvenne al “Concilio di Gerusalemme”. E così è stato anche per il Sinodo dello scorso ottobre. Nel suo discorso di chiusura, il 18 ottobre 2014, Papa Francesco si è riferito anche espressamente a queste discussioni cariche di tensioni:

“Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni (il Papa ne aveva nominate cinque) e queste animate discussioni: questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant’Ignazio (EE, 6), se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato – con gioia e riconoscenza – discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la ‘suprema lex, la ‘salus animarum (cf. Can. 1752).”

Papa Francesco ci incoraggia a non temere le discussioni, a viverle come quel “movimento degli spiriti” che fa maturare il discernimento degli spiriti e prepara i cuori a riconoscere ciò che il Signore stesso ci mostra, sì, quello che egli ha già deciso (cf. At 15,7), quello che però noi, mediante la preghiera e le fatiche delle nostre discussioni, dobbiamo riconoscere.

Con ciò torno di nuovo a considerare il “Sinodo originario”, il “Concilio di Gerusalemme”. Io vedo nel methodos, nel modo, nel come la giovane Chiesa risolse questo drammatico conflitto, l’insegnamento più importante sul “cammino sinodale” della Chiesa primitiva. Essi non scrissero delle perizie teologiche contro cui poi scrivere e presentare delle controperizie. Il dibattito teologico è importante e imprescindibile. È normale che il synodos, che Papa Francesco ha cominciato scegliendo il tema “matrimonio e famiglia”, suscitasse in tutta la Chiesa un intenso dibattito teologico. In ciò vedo un vero guadagno per lo “sviluppo organico” della dottrina della Chiesa. Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica:

“Grazie all’assistenza dello Spirito Santo, l’intelligenza tanto della realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa:

- “con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro”; in particolare “la ricerca teologica... prosegue nella conoscenza profonda della verità rivelata”;

- “con la profonda intelligenza che [i credenti] provano delle cose spirituali”; “divina eloquia cum legente crescunt – le parole divine crescono insieme con chi le legge”;

- “con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità” (CCC nr. 94).

Così il dibattito teologico degli ultimi mesi è diventato un contributo importante per il cammino sinodale, come pure l’opera del Vaticano II non sarebbe pensabile senza il grande lavoro dei teologi nei decenni prima e durante il Concilio. Che a volte tali dibattiti teologici fossero condotti, come accade ancora oggi, con un certo accanimento, con inasprimento e non sempre nello spirito del reciproco ascolto e dello sforzo di capire i motivi dell’altro, fa parte delle classiche tentazioni di cui Papa Francesco parlò alla fine dell’assemblea straordinaria del Sinodo.

La Chiesa primitiva ha usato però un altro metodo per arrivare a una decisione e per risolvere il conflitto. Questo metodo è certamente importante anche per il dibattito teologico, ma lo è ancora di più per la riuscita del cammino sinodale. Ascoltiamo la narrazione dagli Atti degli Apostoli:

“Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse: "Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro” (At 15, 6-11).

In sintesi: Pietro riferisce quello che Dio stesso ha fatto e in tal modo deciso. Il metodo che Pietro usa consiste nel raccontare le azioni di Dio. Possiamo anche dire: egli riferisce ciò che ha sperimentato come agire di Dio. Da ciò egli tira le conseguenze. Non si tratta del risultato di una riflessione teologica, ma di attenta osservazione e di ascolto dell’agire di Dio.

Come reagisce il “Sinodo”, l’assemblea, al discorso di Pietro? “Tutta l'assemblea tacque” (At 15,12). Essi fanno proprio ciò che Papa Francesco ci aveva pregato di fare nel Sinodo dello scorso anno: Pietro parlò con parresia. E l’assemblea ascoltò “con umiltà”. La testimonianza di Pietro non viene subito “messa al vaglio” e criticata minuziosamente in una grande discussione. La sua parola viene accolta in silenzio e può così essere “meditata nel cuore” (cf. Lc 2, 19 e 51).

Come è importante questo silenzio e questo ascolto con il cuore! In tale atteggiamento essi sono poi pronti a ricevere anche la testimonianza di Paolo e di Barnaba: “Tutta l'assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro” (At 15,12).

Essi raccontavano! Non spiegavano trattati teologici. Non teorizzavano astrattamente sulla salvezza dei pagani, ma esponevano quello che avevano “visto e ascoltato" (cf. At 4,20). Ciò che Pietro e Giovanni dissero davanti al Sinedrio vale ancor più per l’assemblea della Chiesa a Gerusalemme: “Noi non possiamo tacere su quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4, 20).

Anche la testimonianza di Paolo e di Barnaba viene accolta, in un primo momento, dall’assemblea: non si discute subito, ma si ascolta e si accoglie nel cuore.

“Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome” (At 15, 13 seg.). Giacomo conferma ciò che Pietro ha già detto: Dio stesso è intervenuto e ha deciso la cosa. Come autorità egli ripota le parole dei Profeti che confermano in anticipo ciò che il Signore in quei giorni fa per “scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome” (At 15, 13). Così la Scrittura e l’esperienza concordano. L’assemblea, ascoltandole tutte e due, la Scrittura e l’esperienza, riconosce la via e la volontà di Dio. Si arrivò così alla decisione comune “degli apostoli, degli anziani e di tutta la Chiesa” (At 15,22). Il testo continua: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia”(At 15,28 seg.).

Gli Atti degli Apostoli parlano poi anche della recezione delle decisioni di Gerusalemme: “Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l'incoraggiamento (paraklêsei) che infondeva”(At 15,31). Che bello, quando il risultato di un sinodo incoraggia i fedeli! Non sempre fu accolto, con una tale gioia, l’esito di un sinodo.

Tre conclusioni: missione, testimonianza, discernimento

Chiedo indulgenza per essermi dilungato sul “Concilio d’origine” di Gerusalemme. Da ciò voglio cercare di formulare, infine, tre pensieri sul cammino del Sinodo dei Vescovi. L’orientamento alla Sacra Scrittura è essenziale per il nostro “synodos”, per il nostro cammino comune. Li sintetizzo in tre parole chiave: missione, testimonianza, discernimento.

1. La finalità più intima del Sinodo in quanto strumento di applicazione del Vaticano II può essere solo la missione. “Il Sinodo originario” di Gerusalemme ha reso possibile la dinamica missionaria della Chiesa primitiva, l’ha fortemente promossa, portandola a fioritura. La consapevolezza fondamentale che noi tutti, giudei e pagani, “siamo salvati per la grazia del Signore Gesù” (At 15,11), ha aperto ai pagani la porta della Chiesa.

Il successo dell’istituzione “Sinodo dei Vescovi” si misurerà sulla sua capacità di promuovere “la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria” (EG nr. 32). Il “Sinodo dei Vescovi” può davvero essere un vettore trainante per il necessario “passaggio” a tutti i livelli ecclesiali “da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria” (EG nr. 15).

Certamente il Sinodo dei Vescovi non è un concilio. Esso deve sostenere il Papa nel suo servizio alla Chiesa e, insieme con lui, alimentare in chi vi partecipa, “l’entusiasmo per la missione”, così caro sia a San Giovanni Paolo II (Redemptoris missio, 45), sia a Papa Francesco (EG, 265).

2. Ma come può, il Sinodo, sostenere il Papa nella comune dinamica missionaria? Anche qui ci può essere di aiuto guardare al “Sinodo originario” di Gerusalemme. Da 50 anni si è posta ripetutamente la domanda se il Sinodo debba avere non solo un “voto consultativo” ma anche un “voto deliberativo”. Papa Francesco ha sempre sottolineato che il Sinodo non è un parlamento, che è di diversa natura.

Il Beato Papa Paolo VI ha istituito il Sinodo dei Vescovi come un nuovo organo consultativo a livello della Chiesa universale. Certo, i vescovi, in quanto membri del sinodo, rappresentano la loro Chiesa locale, con la loro vita, le loro gioie e preoccupazioni. Nei loro pastori c’è sempre anche, compresente, tutto il popolo di Dio. Ma i vescovi non sono rappresentanti come i deputati in parlamento. Rappresentanza ha un significato diverso nella struttura ecclesiale retta dal principio di comunione e conosciuto per fede. La fede però non può essere rappresentata ma solo testimoniata.

E proprio questo accadde allora a Gerusalemme. Gli apostoli hanno dato testimonianza di quello che hanno visto e ascoltato. Se posso esprimere un desiderio per il futuro cammino del Sinodo dei Vescovi: per favore orientiamoci al Concilio di Gerusalemme! Parliamo in modo meno astratto e distaccato. Testimoniamoci reciprocamente quello che il Signore ci mostra e come noi sperimentiamo il suo agire.

Ho avuto modo di partecipare al Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Ci sono stati molti interventi interessanti. Ma pochissimi hanno dato testimonianza di come noi stessi facciamo esperienza della missione e dell’evangelizzazione. A Gerusalemme Pietro, Paolo e Barnaba hanno parlato di avvenimenti e di esperienze. Noi restiamo troppo spesso nelle teorie, nei “si potrebbe” e “si dovrebbe”, quasi mai parliamo in maniera personale delle nostre esperienze di missione. Ma è questo che si aspettano i nostri fedeli!

3. E proprio questo è il punto decisivo: A Gerusalemme la questione non era quella di un voto consultativo o deliberativo, ma del discernimento della volontà e della via di Dio. Discussioni accese, liti addirittura, e l’intenso disputare fanno naturalmente parte del cammino sinodale. Già a Gerusalemme fu così. Ma lo scopo dei dibattiti, lo scopo dei testimoni è il discernimento comune del volere di Dio. Anche quando si vota (come alla fine di ogni sinodo), non si tratta di lotte di potere, di formazioni di partiti (di cui poi i media con piacere riferiscono), ma di questo processo di formazione comunionale del giudizio, come lo abbiamo visto a Gerusalemme. L’esito infine, così speriamo, non è un compromesso politico su un minimo comune denominatore, bensì questo “valore-aggiunto”, questo plusvalore che dona lo Spirito Santo, così da poter dire, a conclusione: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” (At 15, 28).

Concludo: dall’inizio Papa Francesco ha detto che tutte le strutture giuridiche della Chiesa devono fare in modo di “diventare tutte più missionarie”, affinché tutti siano aiutati ad assumere un atteggiamento missionario capace di evitare il “cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale” (EG, nr. 27). Allora il Sinodo dei Vescovi, per il solo fatto di esserci e di continuare il suo cammino di maturazione al servizio dei Successori di Pietro, è una grazia estremamente preziosa, della quale dobbiamo ringraziare lo Spirito Santo che ha suggerito al Beato Papa Paolo VI la sua istituzione cinquant’anni orsono.

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1Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 30 aprile 1983

2 Cf. Christoph Schönborn, Die Christusikone, 4 ed., Wien 1998, trad. it. L’icona di Cristo, San Paolo ed. 2003

3 Ibidem.

4 Cardinale Joseph Ratzinger sugli “Scopi e metodi del Sinodo dei Vescovi”, in Jozef Tomko (ed.), Il Sinodo dei Vescovi. Natura, metodo, prospettive, Città del Vaticano 1985, 45-58.

5 Loc. cit,. p. 45.

6 Lettera al Card. Baldisseri, 1 aprile 2014.

7 Lettera Apostolica sollicitudo.

 

Testo in lingua tedesca

Heiliger Vater! Liebe Brüder und Schwestern im Herrn!

Inzwischen sind zwei Drittel der diesjährigen Sitzung der Synode vorbei. Es fügt sich schön, dass wir heute innehalten können, um Gott zu danken für die Schaffung der Bischofssynode durch den Seligen Papst Paul VI. vor 50 Jahren, zu Beginn der letzten Sitzungsperiode des Konzils, mit dem Apostolischen Schreiben Motu Proprio „Apostolica sollicitudo“ über die Errichtung der Bischofssynode für die ganze Kirche vom 15. September 1965.

Das große, weltweite Interesse, das die laufende Synode ausgelöst hat, zeigt nicht nur, wie intensiv das Thema Ehe und Familie viele Menschen bewegt, weit über den Raum der Katholischen Kirche hinaus. Es zeigt auch, wie lebendig die Institution der Bischofssynode auch nach fünfzig Jahren ist, von der der heilige Papst Johannes Paul II. sagen konnte, sie sei „hervorgesprossen aus dem fruchtbaren Boden des II. Vatikanischen Konzils“.1

Bischofssynode und Konzil sind untrennbar verbunden. Fünfzig Jahre nach dem Ende des Konzils kann noch überzeugter gesagt werden, was Papst Johannes Paul II schon 1983 feststellte: „Die Bischofssynode hat in bemerkenswerter Weise die Einbindung der Lehre und ihre Orientierung an den Glaubenswahrheiten und Pastoralen Vorgaben des Zweiten Vatikanischen Konzils im Leben der ganzen universalen Kirche beigetragen.“ Diese Aktualisierung ist noch im Gange, wie es meistens nach einem Konzil der Fall ist.

Tatsächlich gab es nach jedem großen Konzil in der langen Geschichte der Kirche die Phase der Rezeption, der Interpretation und der Umsetzung der Lehren und Bestimmungen des Konzils. Denken wir nur daran, wie lange es gedauert hat, bis das erste Ökumenische Konzil, das von Nicea (325), voll im Denken, Lehren und in der Praxis der Kirche umgesetzt war. In gewisser Weise kann man sagen, dass dieser Prozess bis zum Zweiten Konzil von Nicea, also bis 787, bis zum Abschluss des Zyklus der sieben ersten großen ökumenischen Konzilien gedauert hat.2 Denn erst mit dem Zweiten Konzil von Nicea (über die heiligen Bilder und ihre Berechtigung) war das Christusgeheimnis in seinen wesentlichen Dimensionen ausgeleuchtet. Dazu waren immerhin 450 Jahre notwendig!

Oder denken wir an das Trienter Konzil, das große Reformkonzil in der Krise der Reformation. An manchen Orten hat es bis zu 200 Jahre gedauert, bis die Reformen von Trient wirklich umgesetzt wurden. In der Erzdiözese Wien wurde erst 200 Jahre nach dem Ende des Konzils die Reform der Priesterziehung umgesetzt und ein Priesterseminar gegründet (1758). Wien hatte eben keinen hl. Karl Borromäus, um die vom Konzil gewünschten Reformen gleich umzusetzen!

In den vergangenen fünfzig Jahren war die Bischofssynode sicher eines der privilegierten Instrumente zur Umsetzung des Zweiten Vatikanums. Papst Johannes Paul II. konnte 1983 sagen: „Der synodale Schlüssel für die Lektüre der Konzilstexte wurde gleichsam zu einem Ort der Interpretation, der Anwendung und der Weiterentwicklung des Zweiten Vatikanums. Schon die lange Liste der Themen, die in den verschiedenen Synoden behandelt wurden, zeigt die Bedeutung der Sitzungen für die Kirche und für die Umsetzung der Reformen, die das Konzil wollte“ (ebd.).

Die Bischofssynode als privilegierter Ort der Konzilsinterpretation

Gewiss, die Bischofssynode ist nur einer der Orte der Interpretation und der Umsetzung der vom Konzil gewollten Reformen. Die ganze reiche Vielfalt der Lebensäußerungen der Kirche trägt zu der vom Konzil gewünschten Erneuerung bei. Die Bischofssynode ist ein privilegierter Ort der Konzilsinterpretation.

In den fünfzig Jahren ihres Bestehens hat es auch nie an Kritik gefehlt betreffend die Bischofssynode und ihre Effizienz. Ich brauche hier nicht die diversen Kritikpunkte nennen, die immer wieder vorgebracht wurden. So war und ist ein Thema, das häufig besprochen wurde, die Frage der Autorität der Bischofssynode, ob sie ein beratendes Organ ist, das den Dienst des Petrusamtes unterstützt, oder ob sie auch Entscheidungsvollmacht hat. Ist die Bischofssynode eine Form der Mitregierung der Universalkirche? Oder dient sie vor allem, die Kollegialität zu pflegen, die effektive und die affektive Kollegialität unter den Bischöfen cum et sub Petro? Viel wurde auch über die Methode der Bischofssynode debattiert. Immer wieder wurden Aspekte der Arbeitsmethode kritisiert, und manches auch im Lauf der Jahre aus den Erfahrungen gelernt und verbessert. Dankbar sehen wir die Erneuerungen der Methoden unter Papst Benedikt XVI. und Papst Franziskus.

Was soll die Bischofssynode? Was ist ihr Sinn? Ihr Ziel? Was sind ihre theologischen Grundlagen? Über die kirchenrechtlichen und vor allem die ekklesiologischen Grundlagen der Bischofssynode ist viel Wichtiges und Gültiges geschrieben worden. Ich denke vor allem an die lectio magistralis des damaligen Kardinals Joseph Ratzinger, über „Ziele und Methoden der Bischofssynode“.3 In seiner gewohnten Klarheit hat er sich hier zur rechtlichen und theologischen Einordnung der Bischofssynode im Ganzen der Kirche geäußert. Seine Ausführungen haben nichts an Gültigkeit eingebüßt. (Ich werde auf zwei wichtige Ergebnisse seiner Darlegungen noch zurückkommen).

Schon damals, als die Institution der Bischofssynode noch keine zwanzig Jahre alt war, bewegten vor allem zwei Fragen, die bis heute aktuell geblieben sind, und die Kardinal Ratzinger in seinem Vortrag wie folgt formuliert hat: „Es steht zur Diskussion, ob die aktuelle rechtliche Gestalt der Synode für deren Zweck perfekt geeignet ist, der im Umfeld einer bestimmten theologischen Wirklichkeit, die sich im Zweiten Vatikanischen Konzil findet, dargestellt ist: … nämlich innerhalb des Verhältnisses der Sendung des Nachfolgers des Heiligen Petrus und der gemeinsamen Verantwortung des gesamten Bischofskollegiums, dem – mit und unter Petrus – die Sorge für die Weltkirche anvertraut ist.“ Die erste Frage also lautet: Dient die Bischofssynode in angemessener Weise der bischöflichen Kollegialität cum Petro et sub Petro in der Verantwortung für die Kirche?

Die 2. Frage formulierte Kardinal Ratzinger wie folgt: „Wir müssen auch prüfen, ob die bisher verwendeten Methoden für den Zweck der Synode wirklich geeignet sind.“4

Die Frage der Methode bewegt den Weg der Bischofssynode von Anfang an. So sagte der hl. Papst Johannes Paul II am Schluss der sechsten Generalversammlung der Bischofssynode am 29. Oktober 1983: „Möglicherweise kann dieses Instrument noch verbessert und die kollegiale pastorale Verantwortung in einer Synode noch vollkommener zum Ausdruck gebracht werden.“

Und Papst Franziskus: „Beinahe 50 Jahre sind seit der Einführung der Institution der Bischofssynode vergangen, ich habe selber die Zeichen der Zeit geprüft und ich bin mir bewusst, dass es notwendig ist, um mein Petrusamt ausüben zu können, mehr denn je die direkte Verbindung mit allen Hirten der Kirche noch mehr zu beleben, es drängt mich sehr, dieses wertvolle Erbe des Konzils wieder zu würdigen.“5

Synodos heißt „gemeinsamer Weg“. Synodalität heißt „gemeinsam auf dem Weg sein“. Wer gemeinsam auf dem Weg ist, braucht ein klares Ziel. Methode kommt von Methodos: „Weg zu etwas hin“. Soll der Syn-odos gelingen, ist der meth-odos ganz entscheidend. Die Debatten über die Methode der Synode sind keine nebensächlichen Fragen der Organisation. Sie bestimmen sehr prägend mit, ob der Syn-odos zum Ziel führt.

Dieses untrennbare Miteinander und Ineinander von synodos und methodos steht bereits klar am Anfang der Institution der Bischofssynode, in den Worten, mit denen der selige Papst Paul VI. die Bischofssynode eingesetzt hat: „Die apostolische Sorge, in der Wir, die Zeichen der Zeit aufmerksam durchforschend, die Wege und Methoden des geistlichen Apostolates den wachsenden Notwendigkeiten unserer Tage sowie den veränderten Verhältnissen der Gesellschaft anzupassen suchen, drängt Uns dazu, Unsere Verbindung mit den Bischöfen, ‚die der Heilige Geist dazu bestimmt hat …, die Kirche Gottes zu leiten‘ (Apg 20,28), mit noch engeren Banden zu bestärken.“6.

Das Apostelkonzil – Modell für die synodale Methode

Um dieses Ineinander von synodos und methodos zu bedenken, schlage ich vor, auf die „Ursynode“, das Urmodell der Synode zu blicken, auf das sogenannte „Apostelkonzil“ von Jerusalem. Mir scheint nämlich gerade die Methode, die damals angewandt wurde, für den weiteren Weg der Bischofssynode wegweisend zu sein. Und wir können durchaus im Rückblick sagen: diese erste Synode war so erfolgreich, dass wir heute noch von ihren Früchten leben.

Alles begann mit einem dramatischen Konflikt: „Es kamen einige Leute von Judäa herab und lehrten die Brüder: Wenn ihr euch nicht nach dem Brauch des Mose beschneiden lasst, könnt ihr nicht gerettet werden“ (Apg 15,1). Das war keine harmlose Sache. Es ging um Heil oder Unheil. Es ging ums Ganze des christlichen Weges. Nicht nur um die Lehre, sondern ums Leben. Kein Wunder, dass die Frage großen Streit auslöste: „Nach großer Aufregung und heftigen Auseinandersetzungen zwischen ihnen und Paulus und Barnabas beschloss man, Paulus und Barnabas und einige andere von ihnen sollten wegen dieser Streitfrage zu den Aposteln und Ältesten nach Jerusalem hinaufgehen“ (Apg 15,2). Es ist daher nicht verwunderlich, dass dann auch in Jerusalem „ein heftiger Streit entstand“ (Apg 15,7). Denn als sie alle beisammen waren, „erhoben sich einige aus dem Kreis der Pharisäer, die gläubig geworden waren, und sagten: Man muss sie beschneiden und von ihnen fordern, am Gesetz des Mose festzuhalten“ (Apg 15,5).

Der Konflikt um den Weg der Heidenchristen zeigt etwas ganz Wichtiges: Er wurde ausgesprochen. Er wurde offen benannt und offen ausgetragen. Diese Parrhesia erinnert mich an zwei Worte von Papst Franziskus, die er am Anfang und am Ende der außerordentlichen Synodensitzung vom vergangenen Oktober den Synodalen sagte: „Eine Grundbedingung dafür ist es, offen zu sprechen. Keiner soll sagen: ‚Das kann man nicht sagen, sonst könnte man ja schlecht über mich denken…‘ Alles, was sich jemand zu sagen gedrängt fühlt, darf mit Parrhesia [Freimut] ausgesprochen werden. Nach dem letzten Konsistorium (Februar 2014), bei dem über die Familie gesprochen wurde, hat mir ein Kardinal geschrieben: ‚Schade, dass einige Kardinäle aus Respekt vor dem Papst nicht den Mut gehabt haben, gewisse Dinge zu sagen, weil sie meinten, dass der Papst vielleicht anders denken könnte.‘ Das ist nicht in Ordnung, das ist keine Synodalität, weil man alles sagen soll, wozu man sich im Herrn zu sprechen gedrängt fühlt: ohne menschliche Rücksichten, ohne Furcht! Und zugleich soll man in Demut zuhören und offenen Herzens annehmen, was die Brüder sagen. Mit diesen beiden Geisteshaltungen üben wir die Synodalität aus.“.

Mit diesen beiden Haltungen kann es auch zu „heftigen Auseinandersetzungen“ kommen. So war es beim „Konzil von Jerusalem“, dem Apostelkonzil. So war es auch bei der Synode im vergangenen Oktober. In seiner Schlussansprache am 18. Oktober 2014 ist Papst Franziskus auch ausdrücklich auf diese durchaus spannungsgeladenen Diskussionen eingegangen:

„Ich persönlich wäre sehr besorgt und betrübt, hätte es diese Versuchungen [der Papst hatte fünf solche Versuchungen genannt] und diese emotionalen Diskussionen nicht gegeben; das sind Bewegungen des Geistes, wie sie der Heilige Ignatius nennt. Wir hätten alle einverstanden oder schweigsam in einem falschen und ruhigen Frieden bleiben können. Stattdessen habe ich mit Dank und Freude Beiträge und Diskussionen gehört, die voller Glauben sind, voller Einsatz für Pastoral und Lehre, voller Weisheit, Offenheit, Mut und Parrhesia (Freiheit des Wortes). Und ich habe wahrgenommen, dass uns das Wohl der Kirche, der Familien und das ‚höchste Gesetz‘ (suprema lex), das ‚Heil der Seelen‘ (salus animarum), vor Augen stand“ (cf. CIC Can. 1752).

Papst Franziskus ermutigt uns, die Auseinandersetzungen nicht zu fürchten, sie als dieses „movimento degli spiriti“ zu leben, als die treibende Kraft, die die Unterscheidung der Geister reifen lässt und die Herzen bereitet, das zu erkennen, was der Herr selber uns sagt, ja was er schon entschieden hat (vgl. Apg 15,7), was wir aber noch durch Gebet und durch die Mühen unserer Auseinandersetzung erkennen müssen.

Damit wende ich mich wieder der „Ursynode“, dem „Jerusalemer Konzil“ zu. Die wichtigste Lehre über den „synodalen Weg“ der Urkirche sehe ich im methodos, in der Art und Weise, wie die junge Kirche diesen dramatischen Konflikt gelöst hat. Sie haben nicht theologische Gutachten geschrieben, gegen die dann theologische Gegengutachten verfasst und vorgelegt würden. Die theologische Debatte ist wichtig und unerlässlich. Es gehört zum synodos, den Papst Franziskus begonnen hat, indem er das Thema „Ehe und Familie“ gewählt hat, dass eine intensive theologische Debatte in der ganzen Kirche ausgelöst wurde. Ich sehe darin einen echten Gewinn für die „organische Entwicklung“ der Lehre der Kirche. So heißt es im Katechismus der Katholischen Kirche:

„Dank des Beistands des Heiligen Geistes kann das Verständnis der Wirklichkeiten wie auch der Formulierungen des Glaubenserbes im Leben der Kirche wachsen:

- ‚aufgrund des Nachsinnens und des Studiums der Gläubigen, die sie in ihrem Herzen erwägen‘ (DV 8); insbesondere ,die theologische Forschung soll sich ... um eine tiefe Erkenntnis der geoffenbarten Wahrheit bemühen‘ (GS 62,7);

- ‚aufgrund der inneren Einsicht in die geistlichen Dinge, die sie erfahren‘ (DV 8); ‚die göttlichen Worte wachsen mit den Lesenden‘ (Gregor d. Gr., hom. Ez. 1,7,8);

- ‚aufgrund der Verkündigung derer, die mit der Nachfolge im Bischofsamt die sichere Gnadengabe der Wahrheit empfangen haben‘ (DV 8)“ (KKK 94).

So ist die theologische Debatte der letzten Monate ein wichtiger Beitrag zum Weg der Synode, wie ja auch das Werk des Zweiten Vatikanums nicht denkbar gewesen wäre, ohne die große Arbeit der Theologen in den Jahrzehnten vor dem Konzil und während des Konzils. Dass diese theologischen Debatten bisweilen auch mit einiger Verbissenheit, ja Verbitterung und nicht immer im Geist des aufeinander-Hörens und des sich-Bemühens, den anderen in seinen Anliegen zu verstehen geführt wurden und auch heute noch werden, gehört zu den klassischen Versuchungen, von denen Papst Franziskus am Schluss der außerordentlichen Sitzung der Synode gesprochen hat.

Die Urkirche hat aber eine andere Methode verwendet, um zu einer Entscheidung zu finden, um den Konflikt zu lösen. Diese Methode ist sicher auch für die theologische Debatte wichtig. Sie ist es noch mehr für das Gelingen des Synodalen Weges. Hören wir den Bericht der Apostelgeschichte:

„Die Apostel und die Ältesten traten zusammen, um die Frage zu prüfen. Als ein heftiger Streit entstand, erhob sich Petrus und sagte zu ihnen: Brüder, wie ihr wisst, hat Gott schon längst hier bei euch die Entscheidung getroffen, dass die Heiden durch meinen Mund das Wort des Evangeliums hören und zum Glauben gelangen sollen. Und Gott, der die Herzen kennt, bestätigte dies, indem er ihnen ebenso wie uns den Heiligen Geist gab. Er machte keinerlei Unterschied zwischen uns und ihnen; denn er hat ihre Herzen durch den Glauben gereinigt. Warum stellt ihr also jetzt Gott auf die Probe und legt den Jüngern ein Joch auf den Nacken, das weder unsere Väter noch wir tragen konnten? Wir glauben im Gegenteil, durch die Gnade Jesu, des Herrn, gerettet zu werden, auf die gleiche Weise wie jene.“ (Apg 15, 6-11)

Kurz gesagt: Petrus berichtet, was Gott selber getan und damit entschieden hat: Die Methode, die Petrus verwendet, ist das Erzählen der Taten Gottes. Wir können auch sagen: er berichtet, was er als Wirken Gottes erfahren hat. Daraus zieht er die Folgerungen. Sie sind nicht das Ergebnis theologischer Reflexionen, sondern aufmerksames Hinschauen und Hinhören auf Gottes Wirken.

Wie reagiert die „Synode“, die Versammlung, auf die Rede des Petrus? „Da schwieg die ganze Versammlung“ (Apg 15,12). Sie tun genau das, was Papst Franziskus uns in der Synode des vergangenen Jahres zu tun gebeten hatte: Petrus sprach mit Parrhesia. Und die Versammlung hörte zu „in Demut“. Das Zeugnis des Petrus wird nicht gleich in einer großen Debatte „zerpflückt“ und kritisiert. Sein Wort wird mit Schweigen aufgenommen, und kann somit „im Herzen erwogen“ werden (vgl. Lk 2,19.51). Wie wichtig ist dieses Schweigen und mit dem Herzen Hören! In dieser Haltung sind sie dann auch bereit, das Zeugnis von Paulus und Barnabas zu empfangen: „Da schwieg die ganze Versammlung. Und sie hörten Paulus und Barnabas zu, wie sie erzählten, welch große Zeichen und Wunder Gott durch sie unter den Heiden getan hatte“ (Apg 15,12).

Sie erzählten! Sie gaben keine theologische Abhandlung. Sie haben nicht abstrakt theoretisiert über das Heil der Heiden, sondern sie legten dar, was sie „gesehen und gehört“ haben (vgl. Apg 4,20). Was Petrus und Johannes vor dem Hohen Rat sagten, gilt umso mehr für die Versammlung der Kirche in Jerusalem: „Wir können unmöglich schweigen über das, was wir gesehen und gehört haben“ (Apg 4,20).

Auch das Zeugnis von Paulus und Barnabas lässt die Gemeinde zuerst einmal stehen: Es wird nicht gleich diskutiert, sondern gehört und im Herzen aufgenommen. „Als sie geendet hatten, nahm Jakobus das Wort und sagte: Brüder, hört mich an! Simon hat berichtet, dass Gott selbst zuerst eingegriffen hat, um aus den Heiden ein Volk für seinen Namen zu gewinnen“ (Apg 15,13f). Jakobus bestätigt, was bereits Petrus gesagt hat: Gott selber hat eingegriffen und die Sache entscheiden.

Als Autorität führt Jakobus Worte aus den Propheten an, die im Voraus bestätigen, was der Herr in diesen Tagen tut, „um aus den Heiden ein Volk für seinen Namen zu gewinnen“ (Apg 15,14). So stimmen Schrift und Erfahrung überein. Im Hören auf beide, die Schrift und die Erfahrung, erkennt die Versammlung den Weg und den Willen Gottes. So kommt es zum gemeinsamen Beschluss „der Apostel und der Ältesten zusammen mit der ganzen Gemeinde“ (Apg 15,22). Im Schreiben heißt es dann: „Der Heilige Geist und wir haben beschlossen, euch keine weiteren Lasten aufzuerlegen als diese notwendigen Ginge: Götzenopferfleisch, Blut, Ersticktes und Unzucht zu meiden“ (Apg 15,28f).

Die Apostelgeschichte berichtet nun auch von der Rezeption der Beschlüsse von Jerusalem: „Die Brüder lasen den Brief und freuten sich über die Ermutigung (paraklêsei)“ (Apg 15,31). Schön, wenn das Ergebnis einer Synode die Gläubigen ermutigt! Nicht immer wurde das, was schließlich aus einer Synode hervorging, mit solcher Freude aufgenommen.

Die Schlussfolgerungen: Mission, Zeugnis, Unterscheidung

Ich bitte um Nachsicht, dass ich mich länger bei der Jerusalemer „Ursynode“ aufgehalten habe. Ich will versuchen, zum Schluss daraus drei Gedanken über den Weg der Bischofssynode zu formulieren. Die Orientierung an der Heiligen Schrift ist ja wesentlich für unseren „Synodos“, unseren gemeinsamen Weg. Ich fasse sie in drei Stichworte zusammen: Mission, Zeugnis, Unterscheidung.

1. Das innerste Ziel der Synode als Instrument der Umsetzung des II. Vatikanums kann nur die Mission sein. Die „Ursynode“ von Jerusalem hat die missionarische Dynamik der Urkirche ermöglicht, gefördert, ja gewaltig zum Blühen gebracht. Die fundamentale Erkenntnis, dass wir alle, Juden und Heiden, „durch die Gnade Jesu, des Herrn, gerettet wurden“ (Apg 15,11), hat den Heiden das Tor zur Kirche geöffnet.

Der Erfolg der Institution „Bischofssynode“ wird vor allem daran zu messen sein, ob sie „das Leben der Kirche und seinen missionarischen Geist“ (EG n.32) fördert. Die Bischofssynode kann einen fruchtbaren Anstoß geben für den anstehenden Übergang von einer „einfach erhaltenden Seelsorge“ zu einer „explizit missionarischen Seelsorge“ auf allen Ebenen der Kirche“ (EG n.15). Gewiss, die Bischofssynode ist kein Konzil. Sie soll dem Papst bei seinem Dienst für die Kirche unterstützen und gemeinsam mit ihm in der „Begeisterung für die Mission“ fördern, betonten sowohl der hl. Papst Johannes Paul II. (Redemptoris missio, 45), als auch Papst Franziskus (EG, 265).

2. Wie aber kann die Bischofssynode den Papst unterstützen in der gemeinsamen missionarischen Dynamik? Auch hier kann uns der Blick auf die „Ursynode“ von Jerusalem helfen. Seit fünfzig Jahren wurde immer wieder die Frage gestellt, ob die Synode nicht nur ein „voto consultativo“ (beratende Stimme) haben sollte, sondern auch ein „voto deliberativo“ (entscheidende Stimme). Papst Franziskus hat immer wieder betont, die Synode sei kein Parlament. Sie sei anderer Natur.

Der selige Papst Paul VI. hat die Bischofssynode als ein neues beratendes Organ auf der Ebene der ganzen Weltkirche eingesetzt. Gewiss, die Bischöfe als Mitglieder der Synode, repräsentieren ihre Ortskirchen, deren Leben, deren Freuden und Sorgen. In den Hirten ist immer auch das ganze Volk Gottes gegenwärtig. Aber die Bischöfe sind nicht Repräsentanten wie die Abgeordneten im Parlament. Diese Vertretung hat eine wesentlich andere Bedeutung in der kirchlichen Struktur und ist nach dem Prinzip der Gemeinschaft und des Glaubens bestimmt. Nun kann aber der Glaube nicht repräsentiert, sondern nur bezeugt werden.

Genau das aber geschah damals in Jerusalem. Die Apostel haben Zeugnis gegeben von dem, was sie gesehen und gehört haben. Wenn ich einen Wunsch an den zukünftigen Weg der Bischofssynode äußern darf: Bitte nehmen wir Maß am Apostelkonzil! Reden wir weniger abstrakt und distanziert. Bezeugen wir einander, was der Herr uns zeigt und wie wir sein Wirken erfahren.

Ich durfte an der Synode über die Neuevangelisierung teilnehmen. Es gab viele interessante Beiträge. Aber kaum jemand hat davon Zeugnis gegeben, wie wir selber Mission und Evangelisierung erfahren. In Jerusalem haben Petrus, Paulus, Barnabas von ihren Zeugnissen und Erfahrungen gesprochen. Wir bleiben allzu oft in der Theorie, im „man sollte“ und „man müsste“, kaum einmal reden wir persönlich von unseren Missionserfahrungen. Darauf aber warten unsere Gläubigen!

3. Und genau das ist der entscheidende Punkt: In Jerusalem ging es nicht um Beratung oder Entscheidung, sondern um das Unterscheidende des Willens und Weges Gottes. Natürlich gehören heftige Diskussionen, ja sogar Streit und intensives Ringen zum synodalen Weg. So war es schon in Jerusalem. Aber Ziel der Debatten, Ziel der Zeugnisse ist das gemeinsame Unterscheiden des Willens Gottes. Auch dort, wo abgestimmt wird (wie am Ende jeder Synode), geht es nicht um Machtkämpfe, Parteibildungen (über die die Medien dann gerne berichten), sondern um diesen gemeinschaftlichen Prozess zur Bildung eines Urteils, wie wir es in Jerusalem gesehen haben. Im Ende kommt, so hoffen wir, nicht ein politischer Kompromiss heraus, auf einem niedrigen gemeinsamen Nenner, sondern dieser „Mehr-Wert“, den der Heilige Geist schenkt, sodass es am Schluss heißen kann: „Der Heilige Geist und wir haben beschlossen“ (Apg 15,28).

Ich schließe: Papst Franziskus hat von Anfang an gesagt, „die Reform der Strukturen, die für die pastorale Neuausrichtung erforderlich ist, kann nur in diesem Sinn verstanden werden: dafür zu sorgen, dass sie alle missionarischer werden, dass die gewöhnliche Seelsorge in all ihren Bereichen expansiver und offener ist, dass sie die in der Seelsorge Tätigen in eine ständige Haltung des „Aufbruchs“ versetzt und so die positive Antwort all derer begünstigt, denen Jesus seine Freundschaft anbietet. Wie Johannes Paul II. zu den Bischöfen Ozeaniens sagte, muss „jede Erneuerung in der Kirche […] auf Mission abzielen, um nicht in eine Art kirchlicher Introversion zu verfallen.“7 Die Bischofssynode ist aus diesem Grunde da, um auf diesem Weg die Reifung im Dienste der Nachfolge Petri und ein überaus wertvolles Geschenk wofür wir den Heiligen Geist danken müssen, auf den der selige Papst Paul VI hingewiesen hat. Nun ist es fünfzig Jahre her.

_________________

[1] Johannes Paul II., Discorso Consiglio della Segretaria Generale del Sinodo dei Vescovi, 30. April 1983.

2 Vgl. Christoph Schönborn, Die Christusikone. Eine theologische Hinführung, Wien 41998.

3 Kard. Joseph Ratzinger, Scopi e metodi del Sinodo dei Vescovi. In: Josef Tomko (ed.), Il Sinodo dei Vescovi. Natura – metodo – prospettive, Città del Vaticano 1985, 45-58; gekürzte deutsche Ausgabe: Fragen zu Struktur und Aufgaben der Bischofssynode. In: Gesammelte Schriften 8/1, Freiburg/Br. 2010, 556-572.

4 Loc. cit,. p. 45.

5 Papst Franziskus, Lettera al Card. Baldisseri, 1 April 2014

6 Papst Paul VI., Lettera Apostolica sollicitudo, 15. Sept. 1965.

7 Papst Johannes Paul II., Nachsynodales Apostolisches Schreiben Ecclesia in Oceania. 22. November 2001, n.19; Papst Franziskus, Evangelii gaudium n.27.

 

Comunicazioni

EUROPA

Cardinal Vincent Gerard Nichols
Arcivescovo di Westminster, Presidente della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles

Importance and influence of the Synod of Bishops
in the life and mission of the Church in Europe

Most Holy Father, Your Eminences, your Excellencies, Reverend Fathers, Sisters, Ladies and Gentlemen; brothers and sisters in Christ.

It is an honour to speak to you about the Synod of Bishops from a European perspective and in relation to the impact of the Synod of Bishops on Europe. Some of you may well be asking, 'Why is someone from that offshore island speaking on behalf of this great continent?' For an answer you have to ask His Eminence Cardinal Baldisseri.

1. Collegialitas Affectiva

I will begin in a very personal manner. I started my seminary formation in 1963. In September of that year, at the age of 17, I arrived in the Venerable English College, here in Rome, shortly before the Second Session of the Second Vatican Council. For these meetings of the Council all the bishops of England and Wales resided in the English College. For a young 17 year old, the sight of so many bishops was a wonder to behold! I had never seen anything like it. I have become more accustomed to it now! But it was there that I learned my first lesson in the meaning of Episcopal Collegiality, 'collegialitas affectiva'.

If I remember correctly, during that second session, each morning the bishops came down the College staircase, one by one, and were collected at the door, individually, and brought by car to St Peter’s Basilica for the day's proceedings of the Council. It was the prince bishop escorted fittingly to his important task.

By the third and fourth sessions of the Council, however, the scene had changed. Now the bishops came down the stairs together, walking out of the doors of the College and on into the Piazza Farnese where they all entered a bus and travelled together for their day’s work. Now they were brothers in the Lord, bound together in the challenge of a shared task, being fashioned into an affective college in a new spirit flowing through the Church. The Synod of Bishops, created in 1965, was a key way in which that spirit was to be expressed and strengthened. Without doubt, it has fashioned strong and enriching relationships between bishops and between bishops and the Holy Father which would have been unimaginable before the Council.

2. Eurocentrism

My task however is to reflect on the Synod and Europe. In doing so, I ask you to remember that in the course of the 20th Century, Europe was possibly the most clearly divided of all the continents. Two great wars and a long period of 'cold war', two powerful atheistic ideologies, had rendered the continent and its people into powerful warring factions, wars that had cost millions of lives and fashioned inflexible attitudes and stereotypes in the minds of all. Europe was not only deeply divided but also absorbed within itself.

Slowly, the meetings and the work of the Synod of Bishops have contributed to the dissolving of our Euro-centric vision not only of the world but also of the Church. Some may speak of it as the internationalisation of the Curia. But it goes deeper than that.

It has been to do with the profound discovery that the riches of the Church are to be found well beyond its European heartland and the European-led missionary endeavours of the last century and before. For example, here in this Aula, I first came to appreciate the perseverance of the missionary endeavour of the Church in Japan which over a hundred years has born little explicit fruit and yet is continued to this day. The struggles and heroism of the Church in China have been eloquently expressed here simply by the enforced absence of Chinese bishops from this hall. The conflicts faced by the Church in parts of Africa and the vitality of the theological traditions of the Church in South America have all been presented here and shared with us European bishops. We now appreciate particularly that the 'resourcing' of the life and thought of the Church comes from many places, thanks be to God.

For me, one of the most exhilarating moments was during the 1998 Special Assembly of the Synod for Oceania. Mass was celebrated in the St Peter’s Basilica to the sound of conch shell horns and enriched processions and great garlands of flowers evoking the space, beauty and freshness of remote Pacific islands where Christianity was still in its first generation of disciples. How well I remember the joy of bishops from those islands, some of whom had travelled for a week in order to arrive in Rome. They had never imagined that such an embrace awaited them here in Rome. I thank God for the rich variety of Catholic life that the Synods have brought to us all, dissolving for ever the Europe-centred imaging of the Church which can so inhibit our discussions.

3. Synods of European Bishops

The contribution made to Europe by the institution of the Synod of Bishops is, I suppose, most clearly seen in the two Special Assemblies for Europe of the Synod of Bishops which have been held, the first in 1991 and the second in 1999. The memory of these two Synods brings to mind some of the great figures who have held leading roles here: in 1991 Cardinal Lustiger of Paris, Cardinal Glemp from Krakow, Cardinal Vlk from Prague and Cardinal Ruini as Relator. In their lives they embodied some of the great themes of the Church in Europe: relations with Judaism in the light of the Holocaust; the battle for hearts and minds of the Church in Poland; the virtual imprisonment of the Church in Czechoslovakia where for so many years Cardinal Tomasek, Cardinal Vlk's predecessor, had his every move monitored by government observers, both through the windows of his residence and from within. Yet, he was a rock, or, as was told to a friend of mine, he was held by the people, living under the hammer of communism, to be, and I quote, 'the father of our nation.'

That first Synod was intended in the mind of Pope St John Paul II to get the Church breathing with both lungs, both Catholic and Orthodox, even though the first attempt that was needed was to get West and East to breath together. I have to say that, from many points of view, this Special Assembly did not fully live up to those expectations. Suspicions ran too deeply. The language that was used was that of the ‘exchange of gifts', the East having the gifts of strong tested faith and martyrdom and the West being seen as decadent and affluent. For some the ‘exchange of gifts’ became a request for financial support in return for the holiness of heroic faith. The level of self-criticism among us all was not profound. We, from the West, knew something of the challenges we were facing, of secularism, humanism and a culture of indifference, but were still far from facing its depth. Some from the East, in 1991, were looking for a return to a past position of social strength, if not dominance.

There was no final document from this Synod. The distance between East and West was greater than had been realised and the wounds from seventy years of submission to the Soviet Union still hurt too much.

Eight years later the Second European Special Assembly of the Synod contributed to a fine Papal Exhortation, 'Ecclesia in Europa' (28 June 2003). At this Synod there was much more mutuality. In the West we were learning about the real depth and radical nature of the challenges we were facing and were beginning to find a focus on the task of the New Evangelisation, in countries in which socialisation had been accepted as also providing essential Evangelisation. But culture and Gospel were pulling apart rapidly. And the Churches of the East were finding that with their new openness what flooded in most powerfully were the materialistic centred philosophies and cultures of the West, dissolving the religious resolve of many, which for some had been intertwined with heroic resistance to a foreign occupier. Our problems were finding common ground and our encouragement and inspiration, one for another, becoming much more mutual. Europe, from the Atlantic to the Urals, as envisaged by Pope St John Paul II, was becoming more of a reality, but not a Christian or Catholic reality as might have been hoped.

4. Other expressions of Collegiality in Europe

It would be amiss of me not to include in this reflection the emergence and work of the Council of European Bishops' Conferences. Although there have been times of tension around the institution it has, without doubt, continued and complemented the work of the European Synods of Bishops and effectively served the collegiality enjoyed in this continent. Its Presidents have included some of the great leaders of European Catholic life: Cardinal Martini, Cardinal Hume, Cardinal Vlk and its present President, Cardinal Erdő. The annual meetings of the Presidents of every Bishops' Conference in Europe, which have taken place every year since 1996, are vital exchanges of the joys and trials in which both common ground and differences of perspectives are now more easily understood and readily embraced. So too the three great European Ecumenical Assemblies organised by CCEE have made a significant contribution especially to the faith and enthusiasm of the many young people who attended them.

In these ways the work of the Synod of Bishops has been carried forward in Europe.

5. Challenges

There are, of course, challenges facing the Synod itself:

*It is difficult to measure the impact of the Post-Synodal documents. Some stand out:Familiaris Consortio; Christifiledes Laici, Pastores Dabo Vobis, Sacramentum Caritatisand Evangelii Gaudium.Others have had less impact.

*Relationships with the media, especially in western European countries, are always delicate, as a free, investigative press and a desire to control the flow of information are always going to clash.

*Patterns of consultation prior to these Synods on the Family have been invigorating but also frustrating, partly because the questions were fashioned in a manner not conducive to a widespread response and partly because a public consultation carries with it responsibilities of accountability which we have been asked not to fulfil.

*Also, I must confess, that the methodology of the Synod meeting itself demands much stamina! But despite shortfalls, the Synod of Bishops is a transforming gift in the Church, with even more potential yet to be realised.

6. The present moment

Now the world has changed. Europe is not what it was even in 1999. Any parish in the Diocese of Westminster, for example, will have parishioners from 30 or 40 different nations. As we know too well, the migration towards Europe of peoples from wars, violence and poverty in Arab States and from elsewhere is challenging our European sense of presence and status in the world. The European Union is facing critical questions and tensions, especially the temptation to remain a fortress, protecting itself and its material benefits and comforts, which, of course, have been drawn from the world over. Each country has its own challenges and difficulties. Europe has its enemies and must act with vigilance. But, and I quote, 'It is right that we should be silent when children sleep, but not when they die.'

The last meeting of the Presidents of European Bishops' Conference took place a few weeks ago, in Jerusalem, in the presence of the Prefect of the Congregation for Bishops. Not only were we able to give encouragement to our Christian brothers and sisters in the Holy Land, but we could also see some of our common challenges. Among them, perhaps first among them, were the challenges facing the family today and the strength which the family brings. We spoke of the cultural tsunami of 'gender theories' sweeping through sections of our societies. At the same time, we recognised together that the family is the first witness to the faith in society, the first workshop in the faith and the backbone of every parish, the first tutoring in humanity for every person. Europe knows clearly now this challenge and the need to find ways of holding before people the full invitation of marriage in the Lord, its faithfulness, its fruitfulness and its witness. We bishops of Europe, now together, are ready to play our part in this Synod. We thank God with full hearts for all that we have received in this Aula since the institution of the Synod of Bishops fifty years ago and all that we are receiving in these days and those still to come.

Dixi. Gratias.

* * *

AFRICA

S.E. Mons. Mathieu Madega Lebouakehan,
Vescovo di Mouila, Presidente della Conferenza Episcopale del Gabon

‘‘Benedetto sia Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli,
in Cristo.’’(Ef 1,3).

Santo Padre,   
Carissimi figli e figlie di Dio,

Con queste parole di San Paolo agli Efesini desideriamo esprimere oggi il nostro gaudio per il giubileo (Ff. Lv 25,10-11) dei 50 anni del Sinodo dei Vescovi. Tutti insieme lodiamo Dio Padre, Creatore del mondo e di quanto contiene, Lui che ci ha gratificati con il tesoro incommensurabile della fede, grazie al quale diventiamo capaci di conoscere ed di accettare il Suo grande Amore misericordioso. Cantiamo al Signore Gesù Cristo, Nostro Redentore. Benediciamo lo Spirito Santo che ci ha rigenerati mediante il Battesimo e ci ha resi figli Dio e della Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica, nostra Madre.

L’esperienza della cattolicità.

Anni fa, qui a Roma, ad Limina Apostolorum, presso la Sede di Pietro, avevo vissuto la prima  esperienza della cattolicità “incarnata” e visibile della nostra Chiesa, nel Pontificio Collegio Urbano de Propaganda Fide, dove i formatori e gli studenti ecclesiastici provenivano dall’Africa e Madagascar, dall’America, dall’Asia, dall’Australia, dall’Europa Centrale e dall’Europa dell’Est, dal Medio-Oriente e dall’Oceania, coi rispettivi riti: caldei, copti, latini, siro-malabaresi, ecc. Alcuni anni dopo, in Vaticano, avrei avuto la seconda esperienza di cattolicità durante le Assemblee sinodali. Benché dilatata nel tempo, quest’ultima esperienza rimane più pregnante grazie alla costante presenza del Papa con i Padri sinodali, i Delegati fraterni ed altri partecipanti al Sinodo, alle Congregazioni generali quotidiane. Questa ultima esperienza è una specie di crescita in qualità e comprensione della prima esperienza di cattolicità fatta al Collegio Urbano.

Presenza ai Sinodi.

            Dal 1994 al 2015 ho partecipato a 7 Assemblee Sinodali: le due prime come adiutore e le cinque successive come Padre Sinodale.

            1°/- Alla I Assemblea Speciale per l’Africa nel 1994(10/04-8/05/).

            2°/ - Alla IX Assemblea Generale Ordinaria, sulla Vita Consacrata  nel 1994(2-29 ottobre).

            3°/- Nell’anno 2001 alla X Assemblea Generale Ordinaria, sul Vescovo : Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo (30 settembre -27 ottobre 2001).

            4°/- Nel 2009 alla II Assemblea Speciale per l’Africa . La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. ‘‘Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo’’(Mt 5,13.14) (4-25 ottobre 2009).

            5°/- Nel 2012 alla XIII Assemblea Generale Ordinaria. " La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana", (7-28 OTTOBRE 2012)

            6°/- Nel 2014 alla III Assemblea Generale Straordinaria. ‘‘Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione’’ (5-19 ottobre 2014)

            7°/- Nel 2015 alla presente XIV Assemblea Generale Ordinaria. ‘‘La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo’’ (4-25 ottobre 2015).

Il Sinodo dei Vescovi.

Il Sinodo dei Vescovi procede dal Concilio Vaticano II. Istituendolo con il Motu proprio ‘Apostolica Sollicitudo’  del 15 settembre 1965, il Beato Papa Paolo VI affermava quanto segue : ‘‘di Nostra iniziativa e con la Nostra autorità apostolica erigiamo e costituiamo in questa alma Città un consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa universale, soggetto direttamente ed immediatamente alla Nostra potestà, che con nome proprio chiamiamo Sinodo dei Vescovi’’(Ordo Synodi, p.9). La motivazione del Papa è fra altro per dare a tutti i Vescovi Cattolici ‘‘la possibilità di prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla [Sua ] Nostra sollecitudine per la Chiesa universale’’ (ivi.). Il testo del Regolamento del Sinodo dei Vescovi, riveduto da Papa Benedetto, il 29 settembre 2006, stipula ancora : ‘‘Il Sinodo dei Vescovi è direttamente sottoposto all’autorità del Romano Pontefice, al quale spetta propriamente” fra altro ‘‘decidere sui voti espressi ’’ (O.S, Art. 1 § 1. 7° p.27). Il Sinodo dei Vescovi è un ‘‘Organo collegiale’’ avendo come fine ‘‘la ricerca della verità o del bene della Chiesa’’.

Con il Papa Francesco ribadiamo le parole del Beato Paolo VI, ‘‘Padre’’ del Sinodo dei Vescovi :

            ‘‘Che cosa è il Sinodo Episcopale? Tutti ormai lo sanno. È una istituzione ecclesiastica, che noi, interrogando i segni dei tempi, ed ancor più cercando di interpretare in profondità i disegni divini e la costituzione della Chiesa cattolica, abbiamo stabilita dopo il Concilio ecumenico Vaticano secondo, per favorire l’unione e la collaborazione dei Vescovi di tutto il mondo con questa Sede Apostolica, mediante uno studio comune delle condizioni della Chiesa e la soluzione concorde delle questioni relative alla sua missione. Non è un Concilio, non è un Congresso, non è un Parlamento, ma un Sinodo…’’ (Angelus, Domenica 22/09/1974).

Il Papa è l’autorità che, dopo aver valutato e vagliato le conclusioni di un’Assemblea Generale Ordinaria, dà alla Chiesa una Esortazione Apostolica Post-Sinodale,  in genere nell’arco di uno anno (Cf. I Sinodi dal 1980 al 1988 e del 2013) oppure dopo due anni (Cf. I Sinodi del 1979, e dal 1990 al 2010).

Tipi di assemblee sinodali.

Il Sinodo dei Vescovi si riunisce in Assemblee Generali Ordinarie, in Assemblee Generali Straordinarie, e in Assemblee Speciali (Cf. Ordo Synodi Episcoporum. Art.4, p.31). Dal 1965 ad oggi la Chiesa ha celebrato 27 Assemblee Sinodali.

              - 1. Assemblea generale ordinaria, se la materia da trattare, per sua natura o per importanza, quanto al bene della Chiesa universale, sembra richiedere la dottrina, la prudenza e il parere dell'intero Episcopato cattolico; (Esempio : l’assemblea sinodale in corso). Abbiamo un totale di 14 Assemblee Generali Ordinarie finora (1967, 1971, 1974, 1980,1983, 1987, 1990,1994, 2001, 2005,2008, 2012, 2015).

             - 2. Assemblea generale straordinaria, se la materia da trattare, pur riguardando il bene della Chiesa universale, esige una rapida definizione; (Esempio : l’assemblea sinodale dello scorso anno). Ci sono state 3 Assemblee Generali straordinarie (1969, 1985, 2014)

             - 3. Assemblea speciale, se la materia di grande importanza riguarda il bene della Chiesa, riferito ad una o più regioni particolari (Esempio : una  assemblea sinodale per un continente). Questo tipo totalizza 10 Assemblee Speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998, 1998, 1999, 2009, 2010,2014).

L’unità dei Vescovi cum et Sum Petro si è sempre manifestata durante tutti i tipi di assemblea.

Alcuni ricordi

A/- La  I Assemblea Speciale per l’Africa (10/04-8/05/1994).

            Durante la celebrazione della  I Assemblea Speciale per l’Africa, come adiutore, ero anche responsabile dei Padri sinodali ed altri partecipanti al sinodo alloggiati alla Domus Mariae. Grande fu la mia ammirazione nel vedere da vicino i Sacri Pastori e i fedeli vivere insieme nella semplicità amandosi gli uni gli altri con affetto fraterno, e quasi gareggiando nello stimarsi a vicenda (Cf Rm 12,10).

            Riguardo al Messaggio Finale di quella Assemblea, la prima stesura non fu accettata e tutto il messaggio fu ripreso. Nell’Aula sinodale alcuni Padri trovano il Messaggio troppo lungo, tuttavia volevano aggiungere qualche cosa, altri lo dicevano corto, ma volevano toglierne delle parti. La grande gioia era veder l’accordo totale alla fine. In tutti gli altri Sinodi successivi ‘‘il ritornello’’ si rispettava puntualmente.

            Al di là di questi fatterelli, come tutti gli altri Sinodi prima e quelli dopo, l’Assemblea Speciale per l’Africa ebbe al punto di partenza un periodo storico ‘‘veramente turbinoso e pieno di pericoli, ma tanto largamente aperto ai soffi salutari della grazia divina’’ (Cf A.S. in O.S., p.7).

            Il suo frutto maturo è quello di aver fatto ricordare a tutta la Chiesa uno dei suoi nomi, presente nel Nuovo Testamento e nella Lumen Gentium, però spesso dimenticato o trascurato, riproposto alla Chiesa dal Santo Papa Giovani Paolo II, in Ecclesia in Africa, ribadito da Benedetto XVI nonché dal Papa Francesco il mercoledì 29 maggio 2013 : ‘‘La Chiesa Famiglia di Dio’’( Cf. Ef 2,19 soprattutto la traduzione liturgica francese ; L.G, 6 ; ).

            E il punto culmine dei Sinodi è sempre la manifestazione reale della collegialità tra i membri del collegio episcopale col Sommo Pontefice e tra di loro, dopo uno scambio fraterno e fruttuoso di notizie ed esperienza, nell’ascolto reciproco.

B/- La X Assemblea Generale Ordinaria, sul Vescovo : Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo.

            Durante questa Assemblea ricordo che uno dei due Relatori Generali era S.Em. R. il Sig. Card. Jorge Mario BERGOGLIO, S.I., Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina), cioè il nostro Papa Francesco, qui presente in mezzo a Noi; e il Segretario Speciale era S.E.R. Mons. Marcello Semeraro, allora Vescovo di Oria, oggi Vescovo di Albano (Italia).

            ‘‘Un ricordo particolare. Durante una Congregazione Generale, un Padre chiese che l’età dei Vescovi per andare in pensione fosse abbassato, un altro chiese il contrario. Sua Eminenza Jan Peter SCHOTTE rispose, visto che uno chiede il contrario dell’altro, lasciamo dunque le cose come stanno. Chi si stancherà presto si riposerà e chi avrà ancora forza per lavorare, farà la sua opera.’’

Concludendo.

A 50 anni della conclusione del Concilio Vaticano II, l’intuizione del Santo Papa Giovanni XXIII rimane intatta. Tutti i suoi successori hanno accompagnato, o accompagnano tuttora la Chiesa in questo cammino tanto difficile quanto soave. Tutti i Sinodi che si succedono, cercano con i temi trattati, di approfondire l’uno o l’altro aspetto della vita della Chiesa.

Il Sacro Concilio (Sacrosanctum Concilium) Vaticano II, ancorato sulla Parola di Dio (Dei Verbum ) ci insegna che la Chiesa, Luce delle Genti (Lumen gentium), fa sue le gioie e le speranze (Gaudium et spes) degli uomini nel nostro tempo (Nostrae aetate), nel quale gli ‘‘esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone’’ (Dignitatis humanae).

Perciò inviata da Cristo Signore (Christus Dominus) alle genti (Ad gentes) per essere «sacramento universale di salvezza», la Chiesa ‘‘ben consapevole che l'auspicato rinnovamento di tutta’’ se stessa [Optatam Totius] ‘‘dipende in gran parte dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo’’, afferma l'estrema importanza dell'educazione (Gravissimum educationis) nella vita dell'uomo : educazione mediante la quale l’ordine dei presbiteri (Presbyterorum Ordinis ) cerca di ‘‘rendere più intensa l'attività apostolica (Apostolicam actuositatem) del popolo di Dio’’ affinché ‘‘il raggiungimento della carità perfetta (Perfectae Caritatis)’’ come traguardo, possa fra altro ‘‘promuovere il ristabilimento dell'unità [Unitatis redintegratio] fra tutti i cristiani’’, con una grande stima della ricchezza spirituale delle Chiese orientali (Orientalium Ecclesiarium), accogliendo gli strumenti di comunicazione sociale tra le meravigliose invenzioni tecniche (Inter Mirifica).

Ci auguriamo che prima di intraprendere una nuova via, si possa ripercorrere il tragitto già fatto, per fare memoria ‘‘del già accaduto’’, celebrare la Risurrezione e protendersi verso la promessa-invito di Cristo. Non a caso la prima Assemblea Generale Ordinaria dei Sinodo dei Vescovi del 1967 ebbe come tema : ‘‘La preservazione e il rafforzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica.

Apriamo i Nostri cuori alle sollecitazioni dello Spirito Santo perché, cum et sub Petro, vale a dire il Papa Francesco, i Pastori e le pecore possano camminare spediti verso le acque della salvezza.

Gesù, Maria, Giuseppe, pregate per Noi.

* * *

AMERICA

Cardinal Ricardo Ezzati Andrello, Sdb,
Arcivescovo di Santiago de Chile (Cile)

Importancia e influencia del Sínodo de los Obispos
en la Iglesia de Latinoamérica y el Caribe

Agradezco al Santo Padre y a la Secretaría General del Sínodo de los Obispos la oportunidad de dirigirme a esta magna Asamblea de hermanos y hermanas en Cristo.

Por motivos obvios, me referiré únicamente a la importancia del Sínodo de los Obispos para la Iglesia Latinoamericana y de El Caribe. Pido disculpas por no abarcar la totalidad del continente americano.

1.- El Sínodo es una concretización institucional de la communio y, por ello, una característica estructural de la Iglesia, nacida de la igualdad fundamental de todos los fieles quienes, por el sacerdocio bautismal, participan de la misión y responsabilidad de la Iglesia. Frutos de la communio, son también la colegialidad episcopal y los sínodos universales y locales. De esa vida sinodal inicial, la Iglesia que peregrina en América Latina y el Caribe, desde los comienzos de la evangelización y frente a siempre nuevos desafíos, ha buscado respuestas comunes. Así, a lo largo de tres siglos, se llevaron a cabo numerosos Concilios Provinciales y Sínodos locales, que buscaron hacer frente a su misión evangelizadora. De allí nacieron, por ejemplo, las denominadas Juntas en México, y luego, siguiendo las indicaciones del Concilio de Trento, los Concilios Provinciales celebrados en la ciudad de Lima (1552; 1567 y 1582-83), que abarcaba las diócesis existentes desde Nicaragua hasta Chile. En la ciudad de México fueron cinco los Concilios celebrados (1555; 1565; 1771 y 1896).

En un nuevo escenario, y luego de las guerras de independencia, fue de especial significación el Concilio Plenario Latinoamericano, realizado en Roma en 1899. A partir de un trabajo en comunión, frente a una realidad similar, las iglesias locales ampliaron sus horizontes eclesiales generando una conciencia de comunión no solo entre los obispos, sino también en toda la Iglesia Latinoamericana lo que, medio siglo más tarde, daría como fruto las Conferencias Episcopales de Latinoamérica y el Caribe.

2.- La primera Conferencia General del Episcopado Latinoamericano tuvo lugar en Río de Janeiro en 1955, 10 años antes del Concilio Vaticano II y dio origen al Consejo Episcopal Latinoamericano, en una época en que no habían nacido todavía la mayoría de las Conferencias Episcopales en el Continente, por lo que una de sus primeras tareas fue precisamente la promoción de la institución de dichas Conferencias. Fue, sin embargo, la profunda renovación suscitada por el Concilio Vaticano II y la creación en 1965, por parte de Pablo VI, del Sínodo de los Obispos como estructura eclesial permanente y expresión de la comunión eclesial, de la colegialidad episcopal e institución de ayuda a la tarea primacial del Obispo de Roma, que se re-descubrió y renovó la colegialidad episcopal en el Continente. En efecto, la experiencia vivida en el Concilio Vaticano II fue la que dio al CELAM su verdadera auto-conciencia de ser una expresión privilegiada de la colegialidad episcopal latinoamericana. El Concilio fue el momento providencial donde el episcopado latinoamericano tomó forma con una identidad propia y entendió que su afecto colegial se debía transformar en una efectiva solicitud pastoral continental.

3.- En Latinoamérica la aplicación del Concilio fue vividos con mucho entusiasmo e intensidad, pero también en medio de circunstancias históricas difíciles. En ese contexto, el CELAM propuso la realización de la II Conferencia General del Episcopado Latinoamericano para reflexionar sobre “La Iglesia en la actual transformación de América Latina a la luz del Concilio”, celebrada en Medellín (Colombia) en agosto de 1968. Su influencia fue grande. En el espíritu del Concilio, la comunidad eclesial estuvo atenta y respondió de manera creativa a los signos de los tiempos, propios de América Latina y el Caribe, encontrando en los laicos en general y en los pobres en particular, a los protagonistas de una “nueva evangelización”, que debía estar íntimamente unida a la promoción de la justicia y al desarrollo social de la persona y de los pueblos. En adelante, la opción preferencial por los pobres quedó establecida como una característica esencial de nuestra iglesia continental.

4.- En este período de post concilio, el evento más relevante para el tema que nos ocupa fue, sin duda, la realización de la tercera Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos de 1974, sobre “La evangelización del mundo moderno”. Por una parte, porque en la preparación de esa Asamblea Sinodal, el CELAM elaboró un importante documento titulado “Algunos aspectos de la Evangelización en América Latina”, que recogía los aportes de las Conferencias Episcopales y profundizaba en los desafíos que había que enfrentar en el continente. Pero, sobre todo, porque la Exhortación Apostólica de Pablo VI “Evangelii Nuntiandi”, primer documento post sinodal elaborado por un pontífice, tuvo una gran difusión y causó hondo impacto en la comunidad eclesial latinoamericana.

Fruto de todo ello fue la convocación, en 1979, de la III Conferencia General del Episcopado Latinoamericano en Puebla - México, para tratar sobre “La evangelización en el presente y en el futuro de América Latina”. Se asistía a un momento de madurez para la Iglesia del continente. Además de ser una Conferencia con amplia consulta en las bases, se vio ricamente influenciada por el discurso inaugural de S.S. Juan Pablo II, recién elegido Obispo de Roma. La discusión fue muy intensa y eso mismo, probablemente, hizo del Documento Final una piedra miliar de la evangelización en América Latina. Pocos documentos han tenido tanta influencia como éste en la Iglesia del continente. El documento entrelazó profundamente la identidad latinoamericana con la identidad cristiana, de una forma que invitaba a una evangelización que descubriera la obra de Dios en el rostro mestizo y sufriente del pueblo. Su estructura basada en la triple verdad sobre Jesucristo, la Iglesia y el ser humano, a la luz de Evangelii Nuntiandi, mostraba la íntima relación entre evangelización y promoción humana, mientras la eclesiología del documento, basada en la comunión y participación, bien se puede entender como comunión por la participación en la vida de Dios y en la misión de la Iglesia. De allí sus principales acentuaciones pastorales: renovar la opción preferencial por los pobres y los jóvenes y volver a valorar la religiosidad popular de la gente.

5.- La influencia en América Latina y El Caribe de las siguientes Asambleas Generales Ordinarias y Extraordinarias del Sínodo de los Obispos, estuvo marcada por la diversa importancia para la vida de la Iglesia de las temáticas tratadas (catequesis, familia, sacramento de la reconciliación, laicos, formación de los sacerdotes, vida consagrada, obispos, Eucaristía) y por la repercusión de las sucesivas visitas del Papa Juan Pablo II a nuestras tierras, de hondo impacto en el pueblo de Dios.

En un segundo momento de la recepción post conciliar, donde había que asentar y estructurar el impulso renovador del Concilio Vaticano II, cada una de las Asambleas sinodales y las posteriores Exhortaciones Apostólicas post sinodales, impactaron de diversa manera el caminar de la Iglesia del Continente. Destaco:

a.- El Sínodo de 1980 y la posterior Exhortación Apostólica “Familiaris Consortio”, que fueron una importante ayuda para la pastoral y la catequesis. El Documento fue recibido como la charta magna de la enseñanza pastoral de la Iglesia por lo que atañe a la familia y su servicio a la vida.

b.- El Sínodo de 1987 y la sucesiva Exhortación Apostólica “Christifideles Laici”, vino a fortalecer el camino ya emprendido. En efecto, desde la Conferencia de Medellín en 1968, se habían fomentado las comunidades cristianas de base como núcleos vitales y signos de la presencia de Dios en el mundo. En esa iniciativa pastoral estaba presente la enseñanza fundamental acerca de la vocación y misión de los laicos en la Iglesia y el mundo. De esta manera, el Sínodo y la Exhortación Apostólica, vino a profundizar, complementar, orientar y confirmar el amplio desarrollo de la vida laical en la Iglesia de América Latina y del Caribe.

c.- La tensión política y social de los años sesenta y setenta, produjo en Latinoamérica, como en otras partes del mundo, una importante crisis sacerdotal. No solo disminuyó el número de sacerdotes y de vocaciones al sacerdocio ministerial, sino que, se cuestionó la misma misión sacerdotal, como también el tipo de formación que sería adecuado para los futuros pastores del Continente. En ese contexto, el Sínodo de 1990 sobre “La formación de los sacerdotes en las circunstancias actuales” y la posterior Exhortación Apostólica “Pastores dabo bobis” terminó por orientar las diversas búsquedas y optimizar la formación de los futuros sacerdotes.

d.- El Sínodo de 1994 “sobre la vida consagrada y su misión en la Iglesia y en el mundo”, y la Exhortación Apostólica “Vita consecrata”, significó un aporte a la renovación de la vida consagrada, enfrentada a importantes desafíos. Tarea prioritaria ha sido re-significar la vida consagrada de acuerdo al aggiornamento pedido por el Concilio y a su eclesiología de comunión.

6.- La IV Conferencia General del Episcopado Latinoamericano, en Santo Domingo (1992), tuvo por tema: “Nueva evangelización, promoción humana y cultura cristiana. Jesucristo ayer, hoy y siempre”. Centrada en la persona de Jesucristo, al cumplirse el quinto centenario de la Evangelización de América, a pesar de su buen contenido, no logró la repercusión de las anteriores, ni de la siguiente Asamblea.

7.- La Primera Asamblea Especial para América del Sínodo de los Obispos, llevada a cabo en Roma en 1997, con ocasión del Jubileo del año 2000 y su posterior Exhortación Apostólica “Ecclesia in America”, tuvo su particularidad e importancia en que, a diferencia de las otras Conferencias del Episcopado latinoamericano y caribeño, fue de toda América. Para el Papa Juan Pablo II no había sido indiferente la caída del muro este-oeste. Había que romper también en América, el muro norte-sur. Teniendo en cuenta las enormes desigualdades económicas entre norte, centro y sur y la constante inmigración de “latinos” hacia los países del norte, además de la creciente interdependencia económica y cultural entre ambas regiones, el Sínodo para América quiso ser una expresión de comunión y de responsabilidad compartida en los caminos de la evangelización y de la solidaridad de los pueblos de toda América. Como experiencia de comunión fructífera, desde allí en adelante, las reuniones interamericanas de obispos dieron un salto cualitativo y comenzaron a enfrentar temas comunes como no se había hecho antes. Especial relevancia tuvo la categoría pastoral “encuentro con Cristo” que, si es verdadero, conduce “a la conversión, a la comunión y a la solidaridad”. Fue el inicio, la entrega de un método y una orientación para el futuro. El título: “Encuentro con Jesucristo vivo, camino para la conversión, la comunión y la solidaridad”, fue en realidad, un llamado y un camino a emprender.

8.- La V Conferencia General del Episcopado Latinoamericano y del Caribe, en Aparecida, Brasil (2007), continúa la tradición pastoral del continente en la búsqueda, en comunión, de caminos de evangelización. La presencia del Papa Benedicto XVI en la jornada inaugural destacó que el discipulado cristiano implica la vida “en” Cristo. El lema de la Conferencia indicaba con claridad sus prioridades: “Discípulos - misioneros de Jesucristo para que nuestros pueblos en Él tengan vida”. En su documento final, fomenta fuertemente la renovación discipular y misionera de la Iglesia y exhorta a una conversión personal y pastoral para comunicar la vida nueva que brota del encuentro con Cristo. La experiencia que se vivió fue la de un nuevo Pentecostés, sobre todo, por el nuevo ímpetu misionero que de allí surgió, concretizado por el compromiso de una misión continental permanente. Y esta misión se ha transformado en una realidad, aunque con distinta intensidad, en las diversas iglesias locales. Podemos decir que providencialmente fue el Cardenal Jorge María Bergoglio, actual Papa Francisco, el presidente de la Comisión y Redacción del Documento de Aparecida, y con eso, las acentuaciones del Documento y la sensibilidad religiosa de nuestro Continente, han tenido ahora una repercusión mundial.

9.- El Papa Francisco, como fruto de la XIII Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos (2012) sobre “La nueva evangelización para la transmisión de la fe cristiana”, nos regaló la Exhortación Apostólica “Evangelii Gaudium”. Su repercusión en América es grande. Ciertamente se siente una sintonía especial frente a una mirada pastoral que nos es familiar. Sobre todo han sido importantes dos de las acentuaciones centrales del texto: en primer lugar, la insistencia en la alegría de anunciar el Evangelio que implica una conversión, no solo pastoral, sino también de las estructuras eclesiales para que estén todas al servicio de la evangelización. Y, en segundo lugar, el Papa Francisco recuerda, una vez más, la dimensión social del Evangelio y de la evangelización. La Exhortación, en gran sintonía con el Documento de Aparecida, ha suscitado una nueva fuerza evangelizadora en el continente, pero ahora enfocada en los “invisibles” de la sociedad y en las periferias geográficas y existenciales del continente, hacia las cuales hay que salir.

10- Al finalizar estas palabras, quisiera solo destacar que la sinodalidad ha sido un fecundo aporte evangelizador. La experiencia muestra que cuanto mayor ha sido la participación en los eventos sinodales, tanto mayor ha sido su repercusión pastoral en la vida de la Iglesia del Continente. En ese sentido las estructuras del CELAM y de sus Conferencias Generales, son una feliz realización, así como la participación de los obispos latinoamericanos y del Caribe en los Sínodos de los Obispos. Como desafío futuro nos queda pensar y optimizar las formas estructurales que permitan una siempre mayor y más efectiva participación, tanto en el ejercicio de la sinodalidad eclesial, como en la colaboración colegial.

El Espíritu Santo no deja de guiar a la Iglesia. Por eso: “¡Manos a la obra! Porque Yo estoy con Ustedes”, dice el Señor (Ageo 2,4). Gracias.

* * *

ASIA

Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako,
Patriarca di Babilonia dei Caldei (Iraq), Capo del Sinodo della Chiesa Caldea

1. Questa iniziativa geniale ed evangelica fatta nel 1964 da un Pastore con un carisma straordinario come PaoloVI è una iniziativa profetica. Adottare un metodo collettivo che unisce la chiesadi tutti iPaesi per studiare un tema, era una cosa nuova. Ci ha donato una ricchezza straordinaria, soprattutto nel sentirci una sola famigliaepiù forti nelnostro cuore e nella nostra missione di pastori. Dialogare insieme (collegialità) è stato per noi un balsamo spirituale di bellezza profetica.

2. Il nostro grazie va senz’altro ai suoi successori che hannocontinuato la suaidea e non solo ma indiredei sinodi straordinari. Lavorareinsieme per contribuire alla realizzazione di un progetto con tutti gli elementi spiritualied ecclesiali non è facile, ma con la guida sicura dello Spirito Santoha portato sempre dei frutti. Tanti sono i contributi scaturiti e nati dai sinodi durante i 50 anni. La mia riflessione mi porta a dire che insieme, si può lavorare e fare delbene non solo alla chiesa ma anche alla società. I sinodi hannotrattato argomenti che riguardano lavita della chiesa cattolica, teologia, spiritualità, pastorale, missione, disciplina.

3. L’interesse di questi sinodi è l’aggiornamento, cercando didare un senso alla vita dei fedeli con tanta speranza, ciò di cui hanno bisogno.Formare informando è questo il nostro motto nel lavoro che svolgiamo ogni giorno insieme ai nostri collaboratori. Noiorientali siamo abituati alla sinodalità, cioè lavorare insieme. Ma ci dobbiamo realizzare una sinodalità affettiva ed effettiva così pure riguardo alle conferenze episcopali locali.

4. Questi sinodi da cinquanta anni con semplicità, libertà, accortezza ed attenzione ci hannofatto respirare il soffio buono del vento dello Spirito,che ci ha fatto sentirela sua presenza tra noi. Quel ventosoffia ancoraoggi nella nostra terra, nel nostro cuore e nella nostra mente.

5. Come professore poi rettore del seminario maggiore e poi come vescovo ho sempre seguitoe approfittato del messaggio di questi sinodi, enon solo nell'insegnamento ma anche nell’accompagnamento dei seminaristi e fedeli.

6. Come orientali, forse non abbiamo approfittato molto di questi sinodi, dato il nostro esiguo numero, l’ambiente chesempre piena di problemi, di conflitti e di insicurezza, la società musulmana che considera la religione come una cosa sacra e immutabile non facilita il cambiamento. I nostri padri erano più coraggiosi di noi.

7. Ma abbiamo approfittato almeno di due sinodi, il sinodo per il Libano, e per il medio oriente e anche il sinodo per Asia. Siamo piccole Chiese, ci manca il personale, il metodo… Abbiamo bisogno d’essereaiutati e non isolati o marginati… Senza l’aggiornamento non c’è entusiasmo. Il messaggio del Vangelo è per sempre e per tutte le persone e culture… dunque l’aggiornamento è una esigenza e un impegno.

8. Il sinodo approfondisce la comunione e rinforza l’unità nella chiesa e l’universalità. Bisogna lavorare insieme con coraggio ed investire sulla formazione dei nostri preti, religiosi e religiose, fedeli per realizzare una "casa comune" dove tutti possiamo integrarci e amarci da veri cristiani.

9. Invito la chiesa a rivedere e studiare la situazione attuale degli suoi istituti per corrispondere alla situazione attuale in cui vivono i cristiani e per conservare la sua veridicità elo zelo evangelico e pastorale.

10. Credo che ci sono certe cose nella chiesa che sono rimaste fuori uso, e non vanno bene per l'oggi e per le nostre realtà. Per questo è necessario formulare nuovi leggi adatti ai nostri tempi e fedeli.Spero che oggi il sinodo sulle famiglie ci darà un impulso per una nuova pastorale familiare.

11. Il concetto della sinodalità sia integrato nella vita e spiritualità della Chiesa insieme al principio della sussidiarietà per un continuo aggiornamento e rinnovamento nella Chiesa.

12. Si auspica di fare molto più per un seguito dopo ogni sinodo per realizzare i risultati post sinodali nelle strutture della Chiesa.

* * *

OCEANIA

Cardinal Soane Patita Paini Mafi
Vescovo di Tonga, Presidente della Conferenza Episcopale del Pacifico (CEPAC)

Its Contribution to the Life and Mission of the Church in Oceania

Introduction

Most Holy Father, Brothers and Sisters in Christ, I bring warm greetings to you all from Oceania. I wish first of all to thank the Secretary General, Cardinal Lorenzo Baldisseri, for the invitation. What an honour to be here in this most special audience, and in the very presence of our dear Holy Father, Pope Francis. When I greeted the Holy Father last week in Domus Santa Martha as he was coming out of the dining room, he looked me in the eye and greeted me too and saying: “…the baby Cardinal, the baby Cardinal!” Holy Father, I must say, that our people in Oceania would love to see you in person, with your simplicity and sense of humour. So you are most welcome to come to Oceania anytime.

To my fellow Synod Fathers, and brothers and sisters, Happy Anniversary! Today is a very special day for all of us. It is our Golden Jubilee! It is about this great vision of Blessed Pope Paul VI, fifty years ago, that rightly deserves our highest honour and respect today. And we do thank God for the great Spirit of Vatican II.

Back in 1965 I was probably reciting the rosary at my home in Tonga, following my dear parents in their regular family prayers. We were probably praying during those times for the success of Vatican II Council. I was just an innocent young four-year old kid then. I had never dreamt that 50 years later I will be sitting right here in this beautiful Paul VI Hall with the Holy Father and with you all my dear brothers and sisters. It is truly a humbling experience.

Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania.

It was in the wake of Vatican II following that great vision of Blessed Paul VI that few of our bishops gathered together in that post-conciliar spirit and envisioned the creation of what had become today the four Bishops’ Conferences of Oceania. The Catholic Bishops’ Conference of the Pacific, or C.E.P.A.C., came into being in 1974. On that same year the New Zealand Catholic Bishops’ Conference was also formed. In 1979 the Australian Catholic Bishops’ Conference approved its own statutes. And finally, the Catholic Bishops’ Conference of Papua New Guinea and Solomon Islands came into being in 1983. As each Conference continued to grow in strength and maturity, all finally joined together on the 28th of July, 1992, in the formation of what it is now called the Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania or the F.C.B.C.O., in short.

We from Oceania do pay our special respect today to our pioneers who persevered in the efforts of establishing these important bodies for the mission of the church in Oceania. We are thankful likewise for those courageous bishops who were able to make it to Rome all the way from Oceania in order to represent the region at the Vatican II Council way back in the early 60s.

These developments were great efforts that paved the way towards greater unity and closer corporation among churches in Oceania. Likewise a fraternal bond and collegial link to the Universal Church also grew stronger down through the years. The establishment of our Bishops’ Conferences were huge achievements, considering our unique situations in Oceania. Geographically, we consist of small island nations that spread apart throughout the vast Pacific Ocean and that each nation has its own unique political, cultural, religious, and social backgrounds. We do cover almost a third of the earth’s surface and the location of each nation is separated from each other by vast sea water. There are perhaps four larger nations within the region that stand out in the world map, as you all know - Australia, Papua New Guinea, New Zealand, and New Caledonia. The rest are scattered island-nations that each belong to one of the three distinctive tribal groups in the region - Polynesia, Melanesia, and Micronesia.

So without doubt this close connection with the Universal Church had been the primary benefit developed throughout the past 50 years. The opportunity of meeting other bishops around the world had exposed many to receiving great learning experiences from fellow bishops. New ideas had been learnt and new experiences had even led to greater awareness of the difficulties and struggles faced in other parts of the world. New insights and better improvements in pastoral skills were being applied in pastoral ministries. Many bishops had also expressed the learning opportunities gained in the studying and using of the Post-Synodal Apostolic Exhortations in their leadership and pastoral ministries. Notable references were made to the special significance of the Ordinary General Assembly of 2001, on the pastoral role of Bishops. On this point a strong appreciation was expressed on the fact that many dioceses had now come up with professional standard guidelines in light of situations with sexual abuse of children and other forms of abuse or scandalous behaviour that may be caused by church workers.

Above all the most positive feedback from bishops was in regards to that most memorable Special Assembly on Oceania in 1998 held here in Rome. In many ways, this Special Synod was the fruit of the gradual maturation process that flowed from this great vision of Vatican II Council. The real spirit of ‘communio’ and pastoral fellowship among bishops were truly the uplifting experiences felt by all at that Synod. But foremost, what was strongly felt and pondered by bishops was the opportunity of renewing their devotion to the Vicar of Christ and Successor of St Peter.

I must also admit however, that there were times and even still today that some dioceses had gone through difficult moments of trials and challenges in the life of their churches. But still however, the benefit of belonging to the larger church had often provided them with support and guidance. In some cases dioceses had gone through confusion and even disappointments on certain issues regarding certain aspects in the life of the Church. And yet in the end the right solutions were often found and these were largely due to the good spirit of mutual support and cooperation between the local and the Universal Church as a whole.

I would now just pick up briefly on just a couple of events as examples from each of our four Conferences.

Catholic Bishops’ Conference of the Pacific (CEPAC)

Two particular Synods are to mention here:

1. The Apostolic Exhortation, “Catechesis in our Time”, (Catechesi Tradendae), of October 1979, by Saint Pope John Paul II, of which few bishops had taken up the challenge from the Pope and setting up catechetical institutes now in their own dioceses.

2. The Apostolic Exhortation, Reconciliatio et Paenitentia of December 2, 1984, or On Reconciliation and Penance. Some movements towards new spirit of reconciliation were significant in some areas in the region for examples: the people of Mururoa Atoll in Tahiti as they came to terms with the after effects of the atomic testing carried out by France in the 70s and 80s; the Kanak people of New Caledonia and their struggle for independence; the after effects of the civil war in Bougainville; and now with the current struggles of the people of West Papua in search for their own roots and true freedom. Searching for real solution to the plight of West Papua is on-going at these times.

Papua New Guinea and Solomon Islands Catholic Bishops’ Conference

1. The Apostolic Exhortation, Ecclesia in Oceania , of 1998, and its special emphasis on “new evangelization” and call for “communion” had prompted the bishops of the Conference to put stress on efforts to building up this spirit of “communio” as a relevant response to coincide with the call for “new evangelization.”

2. As a sign of her being attentive to the various changes around the region and the need to be able to read these ‘signs of the times’ in light of the gospel, the Bishops’ Conference in March 2014 came out with a statement expressing their condolences to the family of the Iranian asylum seeker killed on Manus Island. The Bishops spoke in one voice to reiterate their opposition to the offshore processing of asylum seekers in Papua New Guinea. A similar statement was also produced by the Australian Bishops on the same issue. Again this was a sign of solidarity and sensitivity to relevant issues happening in our region today.

New Zealand Catholic Bishops’ Conference

1. The Synod of 1987 on The Vocation and Mission of the Lay Faithful and the 1990 Synod on The Formation of Priests were of great significance to the Bishops Conference of New Zealand. The two Apostolic Exhortations that followed the two synods have helped to develop a collaborative ministry between laity and priests in various parishes. The understanding of lay vocation and priestly vocation has been deepened leading to healthier and better way of working together among those in the ministry.

2. The 2005 Ordinary Assembly on the Eucharist is known to have given great momentum to the practice of the Eucharistic Adoration in the parishes and that most parishes in New Zealand were now having periods of daily or weekly adoration to the Holy Eucharist.

Australia Catholic Bishops’ Conference

1. Similar to the experiences of the other three conferences mentioned already, the Australian Bishops had particularly noted the enriching impact received from the 1998 Synod on the Church in Oceania. After the Synod there were huge positive responses towards its document, Ecclesia in Oceania. New approaches and pastoral applications were produced in response to the many challenges in a plural and multi-cultural society such as Australia.

2. A marked improvement could be seen indicating the positive response from bishops to that most admired Apostolic Exhortation given by Saint Pope John Paul II, the Pastores Dabo Vobis, in seminary formations, has been seen as indicating the positive response from bishops and their high admiration for the product of the 1990 Synod – the encyclical, Pastores dabo vobis.

Conclusion

In conclusion it is a great joy then to note that the various synods of the Church since 1965 have inspired the Churches in Oceania. It is clear from the various experiences of the four Bishops Conferences that various Synods of Bishops have positive impacts on the Bishops Conferences and the Churches in Oceania. The synods over the last 50 years have been very positive, encouraging, enriching and uplifting. They provide opportunities to learn from various Conferences, to draw new insights regarding the pastoral care of God’s people, and develop new ideas and new pastoral planning for ministries

The formation of the Federation of Catholic Bishops Conference of Oceania in 1992 speaks volume to the close collaboration of bishops and the collegial manner encouraged by Vatican II. The Apostolic Exhortation Ecclesia in Oceania proved to be a valuable document for the Churches in Oceania. We, the people of Oceania, are reminded by the document to walk the way of Jesus Christ, to tell the truth of Jesus Christ, and to live the life of Jesus Christ

Holy Father, we thank you for your being a true spiritual Father and a sincere model of a Good Shepherd, for all of us in the Church. I wish to assure this General Assembly that our people in Oceania are also ‘in synod’ praying in communion with the whole Church. Our people in Oceania are often mindful, as you always remind us dear Holy Father, to pray earnestly for you, and indeed, they do pray for you always, and especially much harder for this particular Synod on the Family for family life is a reality so close to the hearts of our people. So may I take the chance again on behalf of the Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania to convey our sincere gratitude to you Holy Father for convoking this very important Synod.

[01758-XX.01]

[B0795-XX.01]