Pubblichiamo di seguito l’intervento che S.E. Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha pronunciato questa mattina a Brescia nel corso dell’Incontro dal titolo Dialogo tra i popoli nel nome di Paolo VI, organizzato nella ricorrenza del 50° anniversario della visita del Beato Pontefice all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York:
Intervento di S.E. Mons. Paul R. Gallagher
Signor Ministro degli Affari Esteri,
Signor Sindaco
Eccellenza [Mons. Luciano Monari]
Distinte Autorità civili e militari,
Signore e Signori,
Ringrazio anzitutto per il cortese invito a prendere parte a questo “Dialogo tra i popoli nel nome di Paolo VI”, organizzato nell’ambito delle celebrazioni dell’Anno Montiniano per commemorare il 50° anniversario della storica visita del Beato Pontefice alle Nazioni Unite.
Un anno e qualche mese dopo la sua ascesa al soglio di Pietro, il 6 agosto 1964, il papa Paolo VI pubblicò l’Enciclica Ecclesiam Suam, nella quale proponeva il dialogo fra la Chiesa e il mondo contemporaneo come uno dei cardini del suo Pontificato. Mosso da un profondo amore alla Chiesa di Gesù Cristo, madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza (Ecclesiam Suam, 1), il Beato Paolo VI voleva sempre più chiarire a tutti quanto, da una parte, sia importante per la salvezza dell'umana società, e dall'altra quanto stia a cuore alla Chiesa che ambedue s'incontrino, si conoscano, si amino (idem, 4), cioè che dialoghino tra loro. Questo dialogo che scaturisce dall'amore vicendevole, deve poi estendersi a tutti i popoli.
Il dialogo voluto dal Papa non era però una novità, Fin dalle sue origini, la Chiesa, voluta da Dio quale strumento fondamentale del dialogo tra la Trinità e gli uomini, non ha mai smesso di dialogare con le realtà temporali. Essendo nel mondo senza essere del mondo (cf. Ecclesiam Suam, 44, 51, 60, ecc.; cf. Gv, 17, 15-16), la Chiesa lungo i secoli ha dialogato con il mondo per trasformare tutte le realtà in Gesù Cristo per mezzo dell’amore e, tramite Lui, portare tutte le realtà al Padre (Cfr. Gv, 12, 32 e Ef, 1, 10). Tuttavia, in ogni momento storico, quel dialogo deve essere rinnovato e riproposto, in risposta agli sviluppi della storia e alle attese dei popoli. Così lo intendeva anche papa Montini, impegnandosi in un dialogo performativo con tutta la realtà e con tutti gli uomini, per il bene degli uomini e per il bene della Chiesa stessa ( cf. idem, n. 13).
Pur riconoscendo che gli attori del dialogo Chiesa-mondo sono tutti i membri della Chiesa, gerarchia e fedeli cristiani, e che il campo per il dialogo con il mondo è tutta la realtà umana (Ecclesiam Suam, 19-26), Paolo VI si proponeva il dialogo fra la Chiesa e il mondo moderno anche come una sua particolare vocazione personale (idem, 15), all’interno della quale assegnava un posto fondamentale alla promozione del dialogo fra i popoli, per assicurare la pace e un equo sviluppo umano.
Papa Montini vedeva il tema della pace quale un dovere imperioso e urgente, messo in evidenza sia dagli approfondimenti dottrinali sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo, sia dallo sviluppo delle istituzioni internazionali, rinate dopo l’interruzione provocata dalla seconda guerra mondiale, e cresciute rapidamente in numero e qualità (idem, 17). Il Papa sentiva la premura di contribuire alla educazione dell'umanità a sentimenti ed a procedimenti contrari ad ogni violento e micidiale conflitto, e favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra le nazioni. Perciò si dichiarava sollecito parimenti di assistere, con la proclamazione dei principi umani superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono gli scontri bellici, l'armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra i popoli (idem). Inoltre, seguendo le orme dei precedenti pontificati, si dichiarava disposto ad intervenire, ove l'opportunità ci sia offerta, per coadiuvare le parti contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni (idem). Non dobbiamo dimenticare, poi, che sullo sfondo di questo impegno per la pace di Paolo VI – e in contrasto ad esso – incombeva la minaccia di una guerra nucleare totale, la sfrenata corsa alle armi e le difficili, e alle volte tragiche, “crisi” della guerra fredda, quale la costruzione del muro di Berlino, la crisi dei missili a Cuba, l’inizio dell’intervento statunitense in Vietnam e molti altri conflitti minori.
Di fronte al panorama del mondo a lui contemporaneo, il Beato Paolo VI si augurava che il suo proposito di coltivare e perfezionare il dialogo della Chiesa con il mondo, potesse giovare alla causa della pace fra gli uomini, imponendosi come metodo, che cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del linguaggio ragionevole e sincero e da parte della Chiesa come contributo, di esperienza e di sapienza, che può in tutti ravvivare la considerazione dei valori supremi. L'apertura d'un dialogo … decide per se stessa in favore d'una pace libera ed onesta… Tale apertura, pertanto, non può non denunciare, come delitto e come rovina, la guerra di aggressione, di conquista o di predominio; e non può non estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle del corpo delle nazioni stesse e alle basi sia sociali, che familiari e individuali (Ecclesiam Suam, 110).
La ricchezza dei 15 anni del Pontificato del Beato Paolo VI è straordinaria. Sono stati tanti i momenti e le decisioni che meriterebbero di essere definiti come epocali. Essi, pur significando una grande gioia per la Chiesa e per il mondo, sono frutto di un impegno eroico del Papa, spesso segnato da grandi dolori della sua anima. Anziché cercare l’impresa impossibile di riassumere tutto il Pontificato in questo breve intervento, vorrei fermarmi su alcuni aspetti relazionati con l’attività internazionale della Santa Sede, come parte di quel grande impegno di dialogo con il mondo proposto da papa Montini fin dalla sua elezione.
A questo scopo, ritengo utile offrire alcuni commenti su due documenti cardini in questa visione particolare. Il discorso alle Nazioni Unite, il 4 ottobre 2015, incentrato sulla pace, e l’Enciclica Populorum Progressio, del 26 marzo 1967, che ha lo sviluppo come tema centrale. Parimenti, vorrei rilevare che l’azione internazionale dei tre Pontificati successivi di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco si sviluppa seguendo, in totale sintonia e fedeltà, le grandi linee tracciate da papa Montini. Servirà a questo scopo fare accenno ad alcuni momenti dell’attività internazionale della Santa Sede che sono manifestazione e concretizzazione del dialogo con il mondo voluto da Paolo VI.
Pochi giorni fa, il 25 settembre scorso, il Santo Padre Francesco, iniziava il suo discorso alla 70.ma sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ricollegandosi idealmente alla prima visita di un suo predecessore e chiudeva il suo discorso anche con parole dello stesso intervento di Paolo VI all’ONU, avendo citato prima, in diversi passaggi del suo discorso, le visite al Palazzo di Vetro di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Sottolineava così il Papa la continuità negli indirizzi segnalati da Paolo VI.
Per ciò che riguarda il dialogo fra gli Stati e la costruzione della pace, il memorabile messaggio di Paolo VI nel 1965 potrebbe sintetizzarsi in quattro punti propositivi sull’Organizzazione stessa: a) L’ONU offre agli Stati, quale formula di convivenza pacifica, una sorta di cittadinanza internazionale, che si articola in un sistema ordinato e stabile di vita internazionale (Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965, 2); b) L’Organizzazione esiste e opera per unire le Nazioni, per collegare gli Stati, per mettere insieme gli uni con gli altri, senza lasciar fuori nessuno (idem, 3); c) L’ONU deve seguire la formula dell’eguaglianza, cioè nessuno Stato potrà essere superiore agli altri (idem, 4); d).Il patto giuridico che unisce le Nazioni all’ONU deve intendersi quale un solenne giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità (idem, 5).
Tuttavia, papa Montini aggiunge altri due punti relativi allo sviluppo e alla dignità dell’uomo. 1°) la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, bensì con lo spirito, con le idee, con le opere della pace. Il vertice positivo [dell’ONU] è che non solo… si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri… Si lavora per lo sviluppo e si lavora per i diritti e i doveri fondamentali dell'uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa. In questo modo, secondo Paolo VI, la comunità internazionale organizzata interpreta la sfera superiore della sapienza umana e persino la sacralità dell’uomo. 2°) Il dialogo internazionale tratta anzitutto della vita dell'uomo: … la vita dell'uomo è sacra: nessuno può osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità, deve avere qui la sua più alta professione e la sua più ragionevole difesa… (idem, 7).
Si percepisce facilmente che il discorso di Paolo VI all’ONU è una traccia che guiderà anche le parole alle Nazioni Unite di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di Francesco. Quelle parole dell’ottobre 1965 sono anche le linee guide su cui è stata impostata tutta l’attività internazionale della Santa Sede fino ad oggi.
Al riguardo dello sviluppo e dell’attività della Santa Sede, serve ricordare che la seconda parte dell'Encicilica Populorum Progressio, intitolata “Verso lo sviluppo solidale dell'umanità”, in continuità con il discorso all’ONU, suggeriva linee assai chiare e concrete per “lavorare gli uni per gli altri per realizzare l'auspicata fratellanza universale” (idem, 6). Con notevole comprensione dei rapporti economici, il Santo Padre indicava le finanze e il credito, da una parte, e il commercio internazionale dall'altra, quali campi prioritari per il lavoro comune (Populorum Progressio, 43-65).
I popoli devono mettere le proprie ricchezze al servizio di tutti (idem, 48-49), e lo strumento adatto a tale fine sarebbe un grande fondo mondiale, alimentato dal superfluo delle nazioni ricche e, soprattutto, dal contenimento delle spese militari. Ciò offrirebbe agli Stati una assistenza finanziaria generosa ed equa, senza interessi o con interessi minimi, evitando che siano sopraffatti dai debiti. Tali crediti sarebbero garantiti dal controllo dell'impiego in base a piani convenuti, instaurandosi una collaborazione volontaria...una compartecipazione efficace degli uni con gli altri, in un clima di uguale dignità, per la costruzione di un mondo più umano (idem, 54).
In materia di commercio internazionale la Populorum Progressio conserva, dopo 50 anni, una notevole attualità. Segnalava, infatti, Paolo VI che gli sforzi … dispiegati per aiutare sul piano finanziario e tecnico i paesi in via di sviluppo, sarebbero illusori, se il loro risultato fosse… annullato dal giuoco delle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri (idem, 56). ...Le nazioni altamente industrializzate esportano… soprattutto manufatti, mentre le economie poco sviluppate non hanno da vendere che prodotti agricoli e materie prime. Grazie al progresso tecnico, i primi aumentano rapidamente di valore e trovano sufficienti sbocchi sui mercati, mentre, per contro, i prodotti primari provenienti dai paesi in via di sviluppo subiscono ampie e brusche variazioni di prezzo, che li mantengono ben lontani dal plusvalore progressivo dei primi. Di qui le grandi difficoltà cui si trovano di fronte le nazioni da poco industrializzate, …. (idem, 57).
Serve, pertanto, un sistema di scambi commerciali internazionali, fatto di appositi trattati e accordi, che ristabilisca tra le parti almeno una relativa eguaglianza di possibilità e possa creare una reale uguaglianza nelle discussioni e nelle trattative e a lungo termine...ponendo delle norme generali in vista di regolare certi prezzi, di garantire certe produzioni, di sostenere certe industrie nascenti... un siffatto sforzo comune verso una maggiore giustizia nelle relazioni internazionali tra i popoli arrecherebbe ai paesi in via di sviluppo un aiuto positivo, con effetti non solo immediati, ma duraturi (idem, 61).
È poi noto che papa Montini vedeva il nazionalismo e il razzismo come ostacoli fondamentali all’edificazione di una comunità internazionale solidale, fondata sulla Carta delle Nazioni Unite, su un equo sistema normativo finanziario e commerciale multilaterale e sul rispetto dei diritti umani (idem, 62-63).
Dal Pontificato di Paolo VI fino ad oggi, la storia ci presenta un constante contrasto tra gli innumerevoli sforzi per costruire e mantenere la pace e promuovere lo sviluppo e gli altrettanto innumerevoli ostacoli che si vanno ponendo. Prima, c’è stato il confronto ideologico tra il comunismo e l’Occidente capitalista, accennato dall'Ecclesiam Suam (nn. 103-105). Poi, caduti i muri e reso politicamente irrilevante il confronto ideologico, il riapparire dei nazionalismi, dei razzismi e di pretese guerre “culturali”. Dal punto di vista della Santa Sede, invece, la concordia e la vita pacifica tra i popoli fondata nella supremazia del diritto, nei rapporti economici improntati allo sviluppo solidale e nel rispetto dei diritti umani rimane un orientamento perenne, in parte raggiunto eppure sempre da migliorare e approfondire. Se, in questa ottica, si torna sulla lettura dei discorsi alle Nazioni Unite di Giovanni Paolo II (due volte), di Benedetto XVI, e di papa Francesco, nonché delle grandi encicliche sociali dei successori di Paolo VI – l'ultima la Laudato Si’ – si ritrova facilmente una profonda sintonia e continuità con l’azione e gli insegnamenti di papa Montini.
Nel suo recentissimo intervento all’ONU, il Santo Padre, riecheggiando le parole pronunciate 50 anni fa dal Suo Predecessore, ha ribadito la richiesta di una vera partecipazione e un’incidenza reale ed equa di tutti gli Stati nelle decisioni dell’ONU e di altri organismi multilaterali, in particolare nel Consiglio di Sicurezza e negli Organismi finanziari, che devono servire allo sviluppo sostenibile di tutti. Ha ricordato che il compito delle Nazioni Unite deve essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, perché la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. Il Papa, menzionando l’Agenda 2030 di Sviluppo, ha ricordato il necessario collegamento tra sviluppo e pace, e ha richiamato gli Stati alla concretezza, per assicurare a tutti l’acceso all’alimentazione necessaria, alla casa e ad un lavoro degno, insieme con i diritti umani fondamentali, tra cui la libertà religiosa e il diritto delle famiglie e della Chiesa ad educare. In piena sintonia con Paolo VI, anche papa Francesco ha condannato ogni tipo di guerra, compreso, oggi, il terrorismo e le guerre promosse dal narcotraffico, e ha chiesto un rinnovato impegno per un mondo senza armi nucleari, nel quale trovi piena applicazione il Trattato di non proliferazione.
L’azione internazionale di Paolo VI ha avuto un'altra importante manifestazione, di carattere più tecnico e, pertanto, meno conosciuta nei suoi particolari, ma ugualmente importante. Mi riferisco alla presenza internazionale della Santa Sede, che ha avuto, a partire dal Pontificato di papa Montini, una decisiva crescita e consolidamento.
Come è noto, la presenza internazionale della Santa Sede, quale soggetto sovrano ed indipendente di diritto internazionale ha origini antiche, ma a partire del 1945, con lo sviluppo delle Organizzazioni internazionali, la Santa Sede ha visto anche una sempre più accresciuta presenza in ambito multilaterale. Già come collaboratore di Pio XII, Mons. Giovanni Battista Montini ebbe un importante ruolo nel favorire lo sviluppo di tale presenza, che si rafforzò in seguito alla sua elezione al soglio di Pietro, seguendo le linee delineate nella Ecclesiam suam, nel discorso all’ONU, del 4 ottobre 1965, e nella Populorum Progressio.
Già nel 1964 la Santa Sede si accreditò come “Stato Osservatore” presso l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Lo stesso anno, la Santa Sede partecipò attivamente, in qualità di membro, alla I Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) – poi diventata organo permanente dell’Assemblea Generale –. E’ interessante vedere la coincidenza tra le idee fondanti dell'UNCTAD e i suoi primi programmi con gli orientamenti sul commercio internazionale offerti dai numeri 56-64 della Populorum Progressio. L'UNCTAD, infatti, specialmente nelle sue prime grandi Conferenze (1964, 1968, 1972) cercò di creare una cornice giuridica generale per il commercio internazionale, orientata a bilanciare gli svantaggi dei Paesi più poveri. Cercò pure di diventare una piattaforma per i negoziati commerciali multilaterali e per la promozione degli accordi regionali. La Santa Sede, che è tuttora membro dell’UNCTAD, collaborò in forma attiva al disegno del cosiddetto “sistema delle preferenze generalizzate”. Anche se a causa di diversi fattori, tra cui il nazionalismo denunciato da Paolo VI, l'UNCTAD non riuscì a portare a termine i suoi grandi obiettivi e molte delle sue funzioni sono state di fatto cancellate oppure assorbite dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), creata in 1994, la Santa Sede, anche tramite la sua presenza come Osservatore presso l’OMC dal 1998, ha continuato a collaborare attivamente, nella misura delle sue possibilità e della propria natura, alla costituzione di un sistema commerciale favorevole allo sviluppo dei Paesi più svantaggiati.
All'epoca della Populorum Progressio esisteva già il cosiddetto Gruppo di organizzazioni della Banca Mondiale (World Bank Group, o semplicemente World Bank), creato nel 1944 per dare assistenza agli Stati distrutti dalla guerra. Tuttavia, le audaci e lungimiranti proposte di Paolo VI non hanno avuto nella comunità internazionale un’eco proporzionata a quella avuta in materia commerciale. La Banca Mondiale non è stata mai dotata dagli Stati delle risorse sufficienti per operare nel modo suggerito da papa Montini. Anzi, negli ultimi decenni del secolo scorso, essa si convertì piuttosto in una delle cause del grave problema del debito dei Paesi più poveri. San Giovanni Paolo II riprese con forza gli orientamenti di Paolo VI, con la sua vigorosa ed insistente domanda di condono, o di sostanziale riduzione, del debito estero dei Paesi più poveri. Così, attorno all’anno 2000, si riuscì ad avere un dialogo tra la Santa Sede e le autorità della Banca Mondiale, specialmente per il disegno e la promozione del programma internazionale HIPC (Heavily Indebted Poor Countries). E nel suo recentissimo discorso all'ONU, anche il Santo Padre Francesco è tornato con forza sul problema.
L'azione internazionale della Santa Sede in favore della pace, dello sviluppo e dei diritti umani non si ridusse all’adesione all'UNCTAD ma, lungo tutti i 15 anni del Pontificato di Paolo VI, assunse la forma di un “dialogo” a tutto campo. In quegli anni, la Santa Sede aderì talvolta come membro, più spesso come Osservatore, a molte agenzie internazionali e a molte convenzioni. In particolare, nel 1967 la Santa Sede accreditò un Osservatore presso l'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra. Successivamente cominciò a partecipare come Osservatore presso le sessioni dell’ECOSOC (Consiglio Economico Sociale dell’ONU), presso le Commissioni economiche regionali dello stesso ECOSOC, e presso molte agenzie specializzate, tra cui l'Organizzazione Internazionale del Lavoro e l'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Come parte dell’azione internazionale promossa da Paolo VI, la Santa Sede partecipò alle due grandi Conferenze Diplomatiche per la codificazione del diritto internazionale: la Conferenza di Vienna sul Diritto Diplomatico e la Conferenza di Vienna sul Diritto dei Trattati, diventando poi parte delle due relative Convenzioni. Allo stesso periodo risale pure la presenza della Santa Sede nelle più importanti Organizzazioni regionali, come il Consiglio d'Europa e l'Organizzazione degli Stati Americani. Sempre agli anni tra il 1963 e il 1978 risale la partecipazione allo sviluppo del sistema internazionale di protezione dei diritti umani con l'adesione alla Convenzione contro la Discriminazione Razziale, l’adesione al Trattato sulla non proliferazione della armi nucleari e la partecipazione nella Conferenza per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa.
Il Beato Paolo VI, in seguito ai propositi espressi nella Enciclica Ecclesiam suam (n. 110) continuò a sviluppare gli sforzi di Giovanni XXIII, tesi all’apertura verso i Paesi dell’Europa orientale, aggiungendo all’obiettivo del riconoscimento dei diritti della Santa Sede il desiderio di promuovere la libertà religiosa – compresa la libertà della Chiesa cattolica – e di favorire la pace e la concordia fra i popoli. Il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, ratificato dalla Santa Sede il 25 febbraio 1971, si inserisce tra gli sforzi per contenere la corsa al nucleare e in genere la corsa alle armi. Tuttavia esso servì anche per stabilire canali di dialogo con le autorità dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
La partecipazione comune della Santa Sede e dell’Unione Sovietica ad alcuni trattati multilaterali già supponeva un riconoscimento giuridico internazionale della Santa Sede da parte dell'Unione, come pure una opportunità per il dialogo. L’importanza politica del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, tuttavia, risiede nel fatto che, insieme alla Conferenza di Helsinki, introduce la Santa Sede come attore al centro dei negoziati politici della Guerra fredda e giustifica un dialogo diretto con le Autorità sovietiche. È noto come il Cardinale Casaroli si sia recato personalmente a Mosca per consegnare lo strumento di ratifica e sia stato ricevuto ufficialmente dalle Autorità sovietiche.
Paolo VI voleva che il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari fosse interpretato in senso progressivo, cioè che comportasse l’assunzione di ulteriori impegni, in particolare: a) la parità di accesso alle applicazioni pacifiche della tecnologia nucleare a favore degli Stati parte che non sono potenze nucleari; b) la continuazione dei negoziati per un programma di disarmo generale e completo. In linea con questa prospettiva ambiziosa che la Santa Sede assegnò a tale Trattato, essa chiese un’accelerazione nei negoziati per ottenere risultati rapidi e concreti, e l’abbozzo di un accordo da presentare alla Conferenza sul disarmo, riguardante il disarmo nucleare, il divieto di armi chimiche e batteriologiche, la limitazione delle armi convenzionali e un programma di disarmo generale e completo sottoposto ad un rigoroso controllo internazionale. Così, di fatto tali proposte tracciarono un piano di lavoro della Santa Sede che si manifestò poi, nel Pontificato di Giovanni Paolo II nell’attiva partecipazione ai negoziati e nell’adesione ai più importanti trattati di disarmo1.
Parimenti, quella che oggi è l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) rappresenta il consolidamento di un processo iniziato nel 1969 con una serie di trattative e riunioni per la pace, la sicurezza e la cooperazione in Europa: protagonisti furono i due blocchi contrapposti, occidentale e comunista, e l’esito fu l'adozione dell'Atto Finale di Helsinki nell’agosto 1975. Tale processo vide un’attiva partecipazione della Santa Sede, ne segno di quel dialogo internazionale voluto e promosso da Paolo VI, che non escludeva nemmeno il dialogo con le autorità del blocco comunista (Ecclesiam suam, N. 110).
La Santa Sede, considerata alla stregua di uno Stato, ricevette un invito dal Patto di Varsavia, che Paolo VI seppe raccogliere prontamente. La Santa Sede, con la sua attiva partecipazione al processo di Helsinki, dal 1969 al 1975, riuscì ad ottenere che l’Atto di Helsinki mettese le basi per un minimo esercizio della libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo religioso per i cittadini dell’Europa orientale.
La firma dell'Atto Finale, di converso, dimostrò l'interesse della Santa Sede a non rimanere estranea a un’iniziativa di cooperazione, di pace, di sviluppo, alla quale aderirono la quasi totalità degli Stati europei. La partecipazione della Santa Sede non fu del resto circoscritta al processo di Helsinki, ma costituì una concreta modalità di interpretare in un contesto storico inedito, segnato dalla contrapposizione di due blocchi a livello europeo e mondiale, la sua missione nel mondo al servizio della pace e della sicurezza in Europa. Dopo la firma dell'Atto Finale di Helsinki, Paolo VI espresse in particolare l'appoggio della Santa Sede alle Risoluzioni della Conferenza relative alla difesa dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo quali pilastri per assicurare all'Europa una pace stabile e una mutua cooperazione. Oggi risulta facile apprezzare come l’azione di Paolo VI, in parte incompresa al momento, sia stata una delle cause del processo che culminò nel 1989 con la caduta del muro di Berlino.
Nel volgere verso la conclusione di questo mio intervento, desidero richiamare il recente intervento di papa Francesco all’ONU, che riecheggiando le parole di Paolo VI, formulava proposte concrete per l’attuale congiuntura storica. Diceva papa Francesco: “Vorrei, in modo particolare, che le mie parole fossero come una continuazione delle parole finali del discorso di Paolo VI, pronunciate quasi esattamente 50 anni or sono, ma di perenne valore. «È l’ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi [...] si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo [poiché] il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità» (Discorso ai Rappresentanti degli Stati, 4 ottobre 1965). La casa comune di tutti gli uomini deve continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana… La casa comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di una certa sacralità della natura creata. Tale comprensione e rispetto esigono un grado superiore di saggezza, che accetti la trascendenza – quella di se stesso – rinunci alla costruzione di una élite onnipotente e comprenda che il senso pieno della vita individuale e collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune . Ripetendo le parole di Paolo VI, «l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo» (ibid.)”.
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1 La Convenzione sul divieto o restrizione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate eccessivamente dannose o avere effetti indiscriminati, la Convenzione sul divieto d’impiego, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione; la Convenzione sul divieto di sviluppo, produzione, stoccaggio e uso di armi chimiche e sulla loro distruzione; il Trattato sulla messa al bando totale dei test nucleari e la Convenzione sul divieto di sviluppo, produzione e stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) e tossiche e sulla loro distruzione.
[01652-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0768-XX.01]