Omelia del Santo Padre
Testo in lingua francese
Testo in lingua inglese
Testo in lingua tedesca
Testo in lingua spagnola
Testo in lingua portoghese
Testo in lingua polacca
Alle ore 10 di oggi, XXVII domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione della Santa Messa nella Basilica Vaticana in occasione dell’apertura della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dal tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
Hanno concelebrato con il Santo Padre Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi Maggiori, Arcivescovi, Vescovi e Presbiteri membri del Sinodo.
Dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha tenuto l’omelia che riportiamo di seguito:
Omelia del Santo Padre
«Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1 Gv 4,12).
Le Letture bibliche di questa domenica sembrano scelte appositamente per l’evento di grazia che la Chiesa sta vivendo, ossia L’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema della famiglia che con questa celebrazione eucaristica viene inaugurata.
Esse sono incentrate su tre argomenti: il dramma della solitudine, l’amore tra uomo-donna e la famiglia.
La solitudine
Adamo, come leggiamo nella prima Lettura, viveva nel Paradiso, imponeva i nomi alle altre creature esercitando un dominio che dimostra la sua indiscutibile e incomparabile superiorità, ma nonostante ciò si sentiva solo, perché «non trovò un aiuto che gli corrispondesse» (Gen 2,20) e sperimentò la solitudine.
La solitudine, il dramma che ancora oggi affligge tanti uomini e donne. Penso agli anziani abbandonati perfino dai loro cari e dai propri figli; ai vedovi e alle vedove; ai tanti uomini e donne lasciati dalla propria moglie e dal proprio marito; a tante persone che di fatto si sentono sole, non capite e non ascoltate; ai migranti e ai profughi che scappano da guerre e persecuzioni; e ai tanti giovani vittime della cultura del consumismo, dell’usa e getta e della cultura dello scarto.
Oggi si vive il paradosso di un mondo globalizzato dove vediamo tante abitazioni lussuose e grattacieli, ma sempre meno il calore della casa e della famiglia; tanti progetti ambiziosi, ma poco tempo per vivere ciò che è stato realizzato; tanti mezzi sofisticati di divertimento, ma sempre di più un vuoto profondo nel cuore; tanti piaceri, ma poco amore; tanta libertà, ma poca autonomia… Sono sempre più in aumento le persone che si sentono sole, ma anche quelle che si chiudono nell’egoismo, nella malinconia, nella violenza distruttiva e nello schiavismo del piacere e del dio denaro.
Oggi viviamo, in un certo senso, la stessa esperienza di Adamo: tanta potenza accompagnata da tanta solitudine e vulnerabilità; e la famiglia ne è l’icona. Sempre meno serietà nel portare avanti un rapporto solido e fecondo di amore: nella salute e nella malattia, nella ricchezza e nella povertà, nella buona e nella cattiva sorte. L’amore duraturo, fedele, coscienzioso, stabile, fertile è sempre più deriso e guardato come se fosse roba dell’antichità. Sembrerebbe che le società più avanzate siano proprio quelle che hanno la percentuale più bassa di natalità e la percentuale più alta di aborto, di divorzio, di suicidi e di inquinamento ambientale e sociale.
L’amore tra uomo e donna
Leggiamo ancora nella prima Lettura che il cuore di Dio rimase come addolorato nel vedere la solitudine di Adamo e disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18). Queste parole dimostrano che nulla rende felice il cuore dell’uomo come un cuore che gli assomiglia, che gli corrisponde, che lo ama e che lo toglie dalla solitudine e dal sentirsi solo. Dimostrano anche che Dio non ha creato l’essere umano per vivere in tristezza o per stare solo, ma per la felicità, per condividere il suo cammino con un’altra persona che gli sia complementare; per vivere la stupenda esperienza dell’amore: cioè amare ed essere amato; e per vedere il suo amore fecondo nei figli, come dice il salmo che è stato proclamato oggi (cfr Sal 128).
Ecco il sogno di Dio per la sua creatura diletta: vederla realizzata nell’unione di amore tra uomo e donna; felice nel cammino comune, feconda nella donazione reciproca. È lo stesso disegno che Gesù nel Vangelo di oggi riassume con queste parole: «Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10,6-8; cfr Gen 1,27; 2,24).
Gesù, di fronte alla domanda retorica che Gli è stata fatta – probabilmente come un tranello, per farLo diventare all’improvviso antipatico alla folla che lo seguiva e che praticava il divorzio come realtà consolidata e intangibile –, risponde in maniera schietta e inaspettata: riporta tutto all’origine, all’origine della creazione, per insegnarci che Dio benedice l’amore umano, è Lui che unisce i cuori di un uomo e una donna che si amano e li unisce nell’unità e nell’indissolubilità. Ciò significa che l’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre! Gesù ristabilisce così l’ordine originario ed originante.
La famiglia
«Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 10,9). E’ una esortazione ai credenti a superare ogni forma di individualismo e di legalismo, che nascondono un gretto egoismo e una paura di aderire all’autentico significato della coppia e della sessualità umana nel progetto di Dio.
Infatti, solo alla luce della follia della gratuità dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale unico e usque ad mortem.
Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale, ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà destinata alla solitudine! Infatti la paura di aderire a questo progetto paralizza il cuore umano.
Paradossalmente anche l’uomo di oggi – che spesso ridicolizza questo disegno – rimane attirato e affascinato da ogni amore autentico, da ogni amore solido, da ogni amore fecondo, da ogni amore fedele e perpetuo. Lo vediamo andare dietro agli amori temporanei ma sogna l’amore autentico; corre dietro ai piaceri carnali ma desidera la donazione totale.
Infatti, «ora che abbiamo pienamente assaporato le promesse della libertà illimitata, cominciamo a capire di nuovo l’espressione “tristezza di questo mondo”. I piaceri proibiti hanno perso la loro attrattiva appena han cessato di essere proibiti. Anche se vengono spinti all’estremo e vengono rinnovati all’infinito, risultano insipidi perché sono cose finite, e noi, invece, abbiamo sete di infinito» (Joseph Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg 1989, p. 73).
In questo contesto sociale e matrimoniale assai difficile, la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella fedeltà, nella verità e nella carità. Vivere la sua missione nella fedeltà al suo Maestro come voce che grida nel deserto, per difendere l’amore fedele e incoraggiare le numerosissime famiglie che vivono il loro matrimonio come uno spazio in cui si manifesta l’amore divino; per difendere la sacralità della vita, di ogni vita; per difendere l’unità e l’indissolubilità del vincolo coniugale come segno della grazia di Dio e della capacità dell’uomo di amare seriamente.
La Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella verità che non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti. La verità che protegge l’uomo e l’umanità dalle tentazioni dell’autoreferenzialità e dal trasformare l’amore fecondo in egoismo sterile, l’unione fedele in legami temporanei. «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità» (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 3).
E la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri, ma – fedele alla sua natura di madre – si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia; di essere “ospedale da campo”, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, di uscire dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza.
Una Chiesa che insegna e difende i valori fondamentali, senza dimenticare che «il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27); e che Gesù ha detto anche: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). Una Chiesa che educa all’amore autentico, capace di togliere dalla solitudine, senza dimenticare la sua missione di buon samaritano dell’umanità ferita.
Ricordo san Giovanni Paolo II quando diceva: «L’errore e il male devono essere sempre condannati e combattuti; ma l’uomo che cade o che sbaglia deve essere compreso e amato […] Noi dobbiamo amare il nostro tempo e aiutare l’uomo del nostro tempo» (Discorso all’Azione Cattolica Italiana, 30 dicembre 1978: Insegnamenti I [1978], 450). E la Chiesa deve cercarlo, accoglierlo e accompagnarlo, perché una Chiesa con le porte chiuse tradisce sé stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera: «Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2,11).
Con questo spirito chiediamo al Signore di accompagnarci nel Sinodo e di guidare la sua Chiesa per l’intercessione della Beata Vergine Maria e di san Giuseppe, suo castissimo sposo.
[01624-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Testo in lingua francese
«Si nous nous aimons les uns les autres, Dieu demeure en nous, et, en nous, son amour atteint la perfection » (1Jn 4, 12).
Les lectures bibliques de ce dimanche semblent choisies spécialement pour l’événement de grâce que l’Eglise est en train de vivre, c'est-à-dire l’Assemblée Ordinaire du Synode des Évêques sur le thème de la famille, qui est inauguré par cette célébration eucharistique.
Elles sont centrées sur trois thèmes: le drame de la solitude, l’amour entre l’homme et la femme, et la famille.
La solitude
Adam, comme nous l’avons lu dans la première lecture, vivait dans le Paradis, il donnait leur nom aux autres créatures, exerçant une maîtrise qui montrait son indiscutable et incomparable supériorité; mais, malgré cela, il se sentait seul parce qu’ «il ne trouva aucune aide qui lui corresponde » (Gn 2, 20), et il faisait l’expérience de la solitude.
La solitude, le drame qui, encore aujourd’hui, afflige tant d’hommes et de femmes. Je pense aux personnes âgées, abandonnées même de leurs êtres chers et de leurs propres enfants; aux veufs et aux veuves; à tant d’hommes et de femmes laissés par leur épouse ou par leur mari; à tant de personnes qui, de fait, se sentent seules, incomprises, pas écoutées; aux migrants et aux réfugiés qui fuient les guerres et les persécutions; et à tant de jeunes victimes de la culture de la consommation, de l’utilise et jette, et de la culture du déchet.
Aujourd’hui se vit le paradoxe d’un monde globalisé, où nous voyons beaucoup d’habitations luxueuses et de gratte ciels, mais de moins en moins de chaleur de la maison et de la famille; beaucoup de projets ambitieux, mais peu de temps pour vivre ce qui a été réalisé; beaucoup de moyens sophistiqués de divertissement, mais de plus en plus un vide profond dans le cœur; beaucoup de plaisirs, mais peu d’amour; beaucoup de liberté mais peu d’autonomie… Les personnes qui se sentent seules sont de plus en plus nombreuses, mais aussi celles qui se renferment dans l’égoïsme, dans la mélancolie, dans la violence destructrice et dans l’esclavage du plaisir et du dieu argent.
Nous vivons aujourd’hui, dans un certain sens, la même expérience qu’Adam: beaucoup de puissance, accompagnée de beaucoup de solitude et de vulnérabilité; et la famille en est l’icône. De moins en moins de sérieux pour faire progresser un rapport d’amour solide et fécond: dans la santé comme dans la maladie, dans la richesse comme dans la pauvreté, dans la bonne comme dans la mauvaise fortune. L’amour durable, fidèle, consciencieux, stable, fécond est de plus en plus moqué et regardé comme s’il était une affaire de l’antiquité. Il semblerait que les sociétés les plus avancées soient justement celles qui ont le taux le plus bas de natalité et le taux le plus élevé d’avortements, de divorces, de suicides et de pollution environnementale et sociale.
L’amour entre l’homme et la femme
Nous lisons encore dans la première lecture que le cœur de Dieu est resté comme douloureux devant la vision de la solitude d’Adam, et il a dit: «il n’est pas bon que l’homme soit seul. Je vais lui faire une aide qui lui correspondra » (Gn 2, 18). Ces paroles montrent que rien ne rend heureux le cœur de l’homme qu’un cœur qui lui ressemble, qui lui corresponde, qui l’aime et qui le tire de la solitude et du sentiment d’être seul. Elles montrent aussi que Dieu n’a pas créé l’être humain pour vivre dans la tristesse ni pour rester seul, mais pour le bonheur, pour partager son chemin avec une autre personne qui lui soit complémentaire, pour vivre l’étonnante expérience de l’amour, c'est-à-dire aimer et être aimé, et pour voir la fécondité de son amour dans les enfants, comme le dit le Psaume qui a été proclamé aujourd’hui (cf. Ps 128).
Voilà le rêve de Dieu pour sa créature bien-aimée: la voir se réaliser dans l’union d’amour entre l’homme et la femme; heureuse sur le chemin commun, féconde dans le don réciproque. C’est le même dessein que Jésus, dans l’Évangile de ce jour, résume par ces paroles: «Au commencement de la création, Dieu les fit homme et femme. A cause de cela, l’homme quittera son père et sa mère, il s’attachera à sa femme, et tous deux deviendront une seule chair. Ainsi, ils ne sont plus deux mais une seule chair » (Mc 10, 6-8); (cf. Gn 1, 27; 2, 24).
Jésus, face à la demande rhétorique qui lui est faite – probablement comme un piège, pour le faire devenir tout à coup antipathique à la foule qui le suivait et qui pratiquait le divorce comme réalité enracinée et intangible –, répond de manière franche et inattendue: il fait tout remonter à l’origine, à l’origine de la création, pour nous apprendre que Dieu bénit l’amour humain, que c’est lui qui unit les cœurs d’un homme et d’une femme qui s’aiment et qui les unit dans l’unité et l’indissolubilité. Cela signifie que le but de la vie conjugale n’est pas seulement de vivre ensemble pour toujours, mais de s’aimer pour toujours! Jésus rétablit ainsi l’ordre qui était à l’origine et qui est origine.
La famille
«Donc, ce que Dieu a uni, que l’homme ne le sépare pas » (Mc 10,9). C’est une exhortation aux croyants à dépasser toute forme d’individualisme et de légalisme, qui cache un égoïsme mesquin et une peur de rallier la signification authentique du couple et de la sexualité humaine selon le projet de Dieu.
En effet, c’est seulement à la lumière de la folie de la gratuité de l’amour pascal de Jésus que la folie de la gratuité d’un amour conjugal unique et jusqu’à la mort apparaîtra compréhensible.
Pour Dieu, le mariage n’est pas une utopie propre à l’adolescence, mais un rêve sans lequel sa créature sera destinée à la solitude! En effet, la peur d’adhérer ce projet paralyse le cœur humain.
Paradoxalement aussi, l’homme d’aujourd’hui – qui ridiculise souvent ce dessein – reste attiré et fasciné par tout amour authentique, par tout amour solide, par tout amour fécond, par tout amour fidèle et perpétuel. Nous le voyons suivre les amours temporaires, mais il rêve de l’amour authentique; il court derrière les plaisirs de la chair, mais il désire la donation totale.
En effet, «maintenant que nous avons pleinement savouré les promesses de la liberté sans limite, nous commençons à comprendre de nouveau l’expression ‘’ tristesse de ce monde’’. Les plaisirs interdits ont perdu leur attrait dès qu’ils ont cessé d’être interdits. Même s’ils sont poussés à l’extrême et s’ils sont renouvelés indéfiniment, ils restent insipides parce qu’ils sont des choses finies, et nous, au contraire, nous avons soif d’infini » (Joseph Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg 1989, p. 73).
Dans ce contexte social et matrimonial très difficile, l’Église est appelée à vivre sa mission dans la fidélité, dans la vérité et dans la charité. Vivre sa mission dans la fidélité à son Maître comme une voix qui crie dans le désert, pour défendre l’amour fidèle, et encourager les très nombreuses familles qui vivent leur mariage comme un espace où se manifeste l’amour divin; pour défendre la sacralité de la vie, de toute vie; pour défendre l’unité et l’indissolubilité du lien conjugal comme signe de la grâce de Dieu et de la capacité de l’homme d’aimer sérieusement.
L’Église est appelée à vivre sa mission dans la vérité qui ne change pas selon les modes passagères et les opinions dominantes. La vérité qui protège l’homme et l’humanité des tentations de l’autoréférentialité et de la transformation de l’amour fécond en égoïsme stérile, l’union fidèle en liens passagers. «Dépourvu de vérité, l’amour bascule dans le sentimentalisme. L’amour devient une coque vide susceptible d’être arbitrairement rempli. C’est le risque mortifère qu’affronte l’amour dans une culture sans vérité» (Benoît XVI, Enc. Caritas in veritate, n. 3).
Et l’Église est appelée à vivre sa mission dans la charité qui ne pointe pas du doigt pour juger les autres, mais – fidèle à sa nature de mère – se sent le devoir de chercher et de soigner les couples blessés avec l’huile de l’accueil et de la miséricorde; d’être ‘’hôpital de campagne’’ aux portes ouvertes pour accueillir quiconque frappe pour demander aide et soutien; de plus, de sortir de son propre enclos vers les autres avec un amour vrai, pour marcher avec l’humanité blessée, pour l’inclure et la conduire à la source de salut.
Une Église qui enseigne et défend les valeurs fondamentales, sans oublier que «Le sabbat a été fait pour l’homme, et non pas l’homme pour le sabbat » (Mc 2, 27); et que Jésus a dit aussi: «Ce ne sont pas les gens bien portants qui ont besoin du médecin, mais les malades. Je ne suis pas venu appeler les justes mais les pécheurs » (Mc 2, 17). Une Église qui éduque à l’amour authentique, capable de tirer de la solitude, sans oublier sa mission de bon samaritain de l’humanité blessée.
Je me souviens de Saint Jean Paul II quand il disait: «L’erreur et le mal doivent toujours être condamnés et combattus; mais l’homme qui tombe ou se trompe doit être compris et aimé […] Nous devons aimer notre temps et aider l’homme de notre temps » (Discours à l’Action Catholique Italienne, 30 décembre 1978: Insegnamenti I [1978], 450). Et l’Église doit le chercher, l’accueillir et l’accompagner, parce qu’une Église aux portes closes se trahit elle-même et trahit sa mission, et au lieu d’être un pont devient une barrière:«Celui qui sanctifie, et ceux qui sont sanctifiés, doivent tous avoir la même origine; pour cette raison, Jésus n’a pas honte de les appeler ses frères» (He 2, 11).
Dans cet esprit demandons au Seigneur de nous accompagner dans le Synode et de guider son Église, par l’intercession de la Bienheureuse Vierge Marie et de Saint Joseph, son très chaste époux.
[01624-FR.02] [Texte original: Français]
Testo in lingua inglese
“If we love one another, God abides in us and his love is perfected in us” (1 Jn 4:12).
This Sunday’s Scripture readings seem to have been chosen precisely for this moment of grace which the Church is experiencing: the Ordinary Assembly of the Synod of Bishops on the family, which begins with this Eucharistic celebration.
The readings centre on three themes: solitude, love between man and woman, and the family.
Solitude
Adam, as we heard in the first reading, was living in the Garden of Eden. He named all the other creatures as a sign of his dominion, his clear and undisputed power, over all of them. Nonetheless, he felt alone, because “there was not found a helper fit for him” (Gen 2:20). He was lonely.
The drama of solitude is experienced by countless men and women in our own day. I think of the elderly, abandoned even by their loved ones and children; widows and widowers; the many men and women left by their spouses; all those who feel alone, misunderstood and unheard; migrants and refugees fleeing from war and persecution; and those many young people who are victims of the culture of consumerism, the culture of waste, the throwaway culture.
Today we experience the paradox of a globalized world filled with luxurious mansions and skyscrapers, but a lessening of the warmth of homes and families; many ambitious plans and projects, but little time to enjoy them; many sophisticated means of entertainment, but a deep and growing interior emptiness; many pleasures, but few loves; many liberties, but little freedom… The number of people who feel lonely keeps growing, as does the number of those who are caught up in selfishness, gloominess, destructive violence and slavery to pleasure and money.
Our experience today is, in some way, like that of Adam: so much power and at the same time so much loneliness and vulnerability. The image of this is the family. People are less and less serious about building a solid and fruitful relationship of love: in sickness and in health, for better and for worse, in good times and in bad. Love which is lasting, faithful, conscientious, stable and fruitful is increasingly looked down upon, viewed as a quaint relic of the past. It would seem that the most advanced societies are the very ones which have the lowest birth-rates and the highest percentages of abortion, divorce, suicide, and social and environmental pollution.
Love between man and woman
In the first reading we also hear that God was pained by Adam’s loneliness. He said: “It is not good that the man should be alone; I will make him a helper fit for him” (Gen 2:18). These words show that nothing makes man’s heart as happy as another heart like his own, a heart which loves him and takes away his sense of being alone. These words also show that God did not create us to live in sorrow or to be alone. He made men and women for happiness, to share their journey with someone who complements them, to live the wondrous experience of love: to love and to be loved, and to see their love bear fruit in children, as the Psalm proclaimed today says (cf. Ps 128).
This is God’s dream for his beloved creation: to see it fulfilled in the loving union between a man and a woman, rejoicing in their shared journey, fruitful in their mutual gift of self. It is the same plan which Jesus presents in today’s Gospel: “From the beginning of creation, ‘God made them male and female’. For this reason a man shall leave his father and mother and be joined to his wife, and the two shall become one flesh. So they are no longer two but one flesh” (Mk 10:6-8; cf. Gen 1:27; 2:24).
To a rhetorical question – probably asked as a trap to make him unpopular with the crowd, which practiced divorce as an established and inviolable fact – Jesus responds in a straightforward and unexpected way. He brings everything back to the beginning, to the beginning of creation, to teach us that God blesses human love, that it is he who joins the hearts of two people who love one another, he who joins them in unity and indissolubility. This shows us that the goal of conjugal life is not simply to live together for life, but to love one another for life! In this way Jesus re-establishes the order which was present from the beginning.
Family
“What therefore God has joined together, let not man put asunder” (Mk 10:9). This is an exhortation to believers to overcome every form of individualism and legalism which conceals a narrow self-centredness and a fear of accepting the true meaning of the couple and of human sexuality in God’s plan.
Indeed, only in the light of the folly of the gratuitousness of Jesus’ paschal love will the folly of the gratuitousness of an exclusive and life-long conjugal love make sense.
For God, marriage is not some adolescent utopia, but a dream without which his creatures will be doomed to solitude! Indeed, being afraid to accept this plan paralyzes the human heart.
Paradoxically, people today – who often ridicule this plan – continue to be attracted and fascinated by every authentic love, by every steadfast love, by every fruitful love, by every faithful and enduring love. We see people chase after fleeting loves while dreaming of true love; they chase after carnal pleasures but desire total self-giving.
“Now that we have fully tasted the promises of unlimited freedom, we begin to appreciate once again the old phrase: “world-weariness”. Forbidden pleasures lost their attraction at the very moment they stopped being forbidden. Even if they are pushed to the extreme and endlessly renewed, they prove dull, for they are finite realities, whereas we thirst for the infinite” (JOSEPH RATZINGER, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg, 1989, p. 73).
In this extremely difficult social and marital context, the Church is called to carry out her mission in fidelity, truth and love.
To carry out her mission in fidelity to her Master as a voice crying out in the desert, in defending faithful love and encouraging the many families which live married life as an experience which reveals of God’s love; in defending the sacredness of life, of every life; in defending the unity and indissolubility of the conjugal bond as a sign of God’s grace and of the human person’s ability to love seriously.
The Church is called to carry out her mission in truth, which is not changed by passing fads or popular opinions. The truth which protects individuals and humanity as a whole from the temptation of self-centredness and from turning fruitful love into sterile selfishness, faithful union into temporary bonds. “Without truth, charity degenerates into sentimentality. Love becomes an empty shell, to be filled in an arbitrary way. In a culture without truth, this is the fatal risk facing love” (BENEDICT XVI, Caritas in Veritate, 3).
And the Church is called to carry out her mission in charity, not pointing a finger in judgment of others, but – faithful to her nature as a mother – conscious of her duty to seek out and care for hurting couples with the balm of acceptance and mercy; to be a “field hospital” with doors wide open to whoever knocks in search of help and support; even more, to reach out to others with true love, to walk with our fellow men and women who suffer, to include them and guide them to the wellspring of salvation.
A Church which teaches and defends fundamental values, while not forgetting that “the Sabbath was made for man, not man for the Sabbath” (Mk 2:27); and that Jesus also said: “Those who are well have no need of a physician, but those who are sick; I came not to call the righteous, but sinners” (Mk 2:17). A Church which teaches authentic love, which is capable of taking loneliness away, without neglecting her mission to be a good Samaritan to wounded humanity.
I remember when Saint John Paul II said: “Error and evil must always be condemned and opposed; but the man who falls or who errs must be understood and loved… we must love our time and help the man of our time” (JOHN PAUL II, Address to the Members of Italian Catholic Action, 30 December 1978). The Church must search out these persons, welcome and accompany them, for a Church with closed doors betrays herself and her mission, and, instead of being a bridge, becomes a roadblock: “For he who sanctifies and those who are sanctified have all one origin. That is why he is not ashamed to call them brethren” (Heb 2:11).
In this spirit we ask the Lord to accompany us during the Synod and to guide his Church, through the intercession of the Blessed Virgin Mary and Saint Joseph, her most chaste spouse.
[01624-EN.02] [Original text: English]
Testo in lingua tedesca
»Wenn wir einander lieben, bleibt Gott in uns und seine Liebe ist in uns vollendet« (1Joh 4,12).
Die biblischen Lesungen dieses Sonntags scheinen eigens für das Ereignis der Gnade ausgewählt zu sein, das die Kirche lebt, nämlich die Ordentliche Generalversammlung der Bischofssynode zum Thema Familie, die mit dieser Eucharistiefeier eröffnet wird.
Sie sind auf drei Themen konzentriert: das Drama der Einsamkeit, die Liebe zwischen Mann und Frau und die Familie.
Die Einsamkeit
Adam lebte – wie wir in der ersten Lesung hören – im Paradies. Er gab den anderen Geschöpfen Namen und übte so eine Herrschaft aus, die seine unbestreitbare und unvergleichliche Überlegenheit zeigt. Doch trotz alledem fühlte er sich allein, denn »eine Hilfe, die dem Menschen entsprach, fand er nicht« (Gen 2,20), und machte die Erfahrung der Einsamkeit.
Die Einsamkeit, das Drama, das noch heute viele Männer und Frauen quält… Ich denke an die sogar von ihren Lieben und von den eigenen Kindern verlassenen alten Menschen; an die Witwer und die Witwen; an viele Männer und Frauen, die von ihrer Frau bzw. ihrem Mann verlassen wurden; an viele Menschen, die sich de facto allein, unverstanden und nicht angehört fühlen; an die Migranten und die Flüchtlinge, die vor Krieg und Verfolgung fliehen; an viele junge Menschen, die Opfer der Konsumkultur, der Wegwerfkultur und der Kultur der Aussonderung sind.
Wir erleben heute das Paradox einer globalisierten Welt, in der wir viele Luxuswohnungen und Wolkenkratzer sehen, aber immer weniger die Wärme des Zuhauses und der Familie spüren; viele ehrgeizige Pläne, aber wenig Zeit, um das Erreichte wirklich zu leben; viele ausgeklügelte Mittel zur Unterhaltung, aber eine ständig wachsende Leere im Herzen; viele Vergnügungen, aber wenig Liebe; viel Freiheit, aber wenig Selbständigkeit… Kontinuierlich nimmt die Zahl derer zu, die sich allein fühlen, aber auch derer, die sich im Egoismus, in der Schwermut, in zerstörerischer Gewalt oder in der Sklaverei des Vergnügens oder des Götzen Geld verschließen.
In gewissem Sinn machen wir heute dieselbe Erfahrung wie Adam: so viel Macht gekoppelt mit so viel Einsamkeit und Verwundbarkeit – und in der Familie spiegelt sich diese Situation wider. Immer weniger Ernsthaftigkeit in dem Bemühen, eine solide und fruchtbare Liebesbeziehung durchzutragen: in Gesundheit und Krankheit, in Reichtum und Armut, in guten wie in bösen Tagen. Die dauerhafte, treue, gewissenhafte, tragfähige, fruchtbare Liebe wird immer mehr belächelt und angesehen, als sei sie etwas Altertümliches. Es scheint, dass die am weitesten entwickelten Gesellschaften gerade die sind, die die niedrigste Geburtenrate und die höchste Quote an Abtreibungen, Scheidungen, Freitod, Umweltverschmutzung und sozialer Ungerechtigkeit haben.
Die Liebe zwischen Mann und Frau
Wir hören weiter in der ersten Lesung, dass das Herz Gottes sich beim Anblick der Einsamkeit Adams gleichsam betrübte und er sagte: »Es ist nicht gut, dass der Mensch allein bleibt. Ich will ihm eine Hilfe machen, die ihm entspricht« (Gen 2,18). Diese Worte zeigen, dass nichts das Herz des Menschen so glücklich macht wie ein Herz, das ihm gleicht, das ihm entspricht, das ihn liebt und ihn von der Einsamkeit, von dem Gefühl, allein zu sein, befreit. Sie zeigen auch, dass Gott den Menschen nicht zu einem Leben in Traurigkeit und Alleinsein erschaffen hat, sondern für ein Leben im Glück, in dem er seinen Weg gemeinsam mit einer anderen Person geht, die ihn ergänzt, damit er die wunderbare Erfahrung der Liebe macht: zu lieben und geliebt zu werden; damit er seine fruchtbare Liebe in seinen Kindern sieht, wie der Psalm sagt, der heute rezitiert wurde (vgl. Ps 128).
Das ist der Traum Gottes für sein geliebtes Geschöpf: zu sehen, dass es sich verwirklicht in der Vereinigung der Liebe zwischen Mann und Frau, glücklich auf dem gemeinsamen Weg, fruchtbar in der gegenseitigen Hingabe. Es ist derselbe Plan, den Jesus im heutigen Evangelium mit diesen Worten zusammenfasst: »Am Anfang der Schöpfung aber hat Gott sie als Mann und Frau geschaffen. Darum wird der Mann Vater und Mutter verlassen und sich an seine Frau binden und die zwei werden ein Fleisch sein. Sie sind also nicht mehr zwei, sondern eins« (Mk 10,6-8; vgl. Gen 1,27; 2,24).
Angesichts der rhetorischen Frage, die Jesus gestellt wurde – wahrscheinlich als Falle, um ihn der Menschenmenge, die ihm folgte und bei der die Scheidung als eine fundierte und unantastbare Realität praktiziert wurde, auf einen Schlag unsympathisch zu machen – antwortet er unverblümt und überraschend: Er führt alles auf den Ursprung zurück, auf den Ursprung der Schöpfung, um uns zu lehren, dass Gott die menschliche Liebe segnet, dass er es ist, der die Herzen eines Mannes und einer Frau, die einander lieben, verbindet und dass er sie in der Einheit und Unauflöslichkeit verbindet. Das bedeutet, dass das Ziel des ehelichen Lebens nicht nur darin besteht, für immer zusammenzuleben, sondern für immer einander zu lieben! So stellt Jesus die ursprüngliche und Ursprung gebende Ordnung wieder her.
Die Familie
»Was aber Gott verbunden hat, das darf der Mensch nicht trennen« (Mk 10,9). Das ist eine Aufforderung an die Gläubigen, jede Form von Individualismus und Legalismus zu überwinden; diese verbergen nämlich einen kleinlichen Egoismus und eine Angst davor, die authentische Bedeutung des Paares und der menschlichen Sexualität im Plan Gottes anzunehmen.
In der Tat wird nur im Licht der Torheit der schenkenden Selbstlosigkeit der österlichen Liebe Jesu die Torheit der schenkenden Selbstlosigkeit einer ehelichen Liebe verständlich, die einzig ist und usque ad mortem fortdauert.
Für Gott ist die Ehe keine Utopie der Jugend, sondern ein Traum, ohne den sein Geschöpf zur Einsamkeit bestimmt ist! Tatsächlich lähmt die Angst, diesen Plan anzunehmen, das menschliche Herz.
Paradoxerweise ist auch der Mensch von heute – der diesen Plan oft lächerlich macht – von jeder authentischen Liebe, von jeder tragfähigen Liebe, von jeder fruchtbaren Liebe, von jeder treuen und immerwährenden Liebe angezogen und fasziniert. Wir sehen, wie er den Liebesbeziehungen des Augenblicks nachläuft, doch sein Traum ist die authentische Liebe; er läuft den fleischlichen Genüssen nach, aber er sehnt sich nach der völligen Hingabe.
»Heute, wo die Verheißungen der unbegrenzten Freiheit voll ausgekostet sind, fangen wir an, das Wort von der „Traurigkeit dieser Welt“ neu zu verstehen. Die verbotenen Genüsse verloren ihren Glanz in dem Augenblick, in dem sie nicht mehr verboten waren. Sie mussten und müssen radikalisiert, immer neu gesteigert werden und erscheinen zuletzt doch schal, weil sie alle endlich sind, der Hunger aber nach dem Unendlichen geht« (Joseph Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg/Basel/Wien 1989, S. 73).
In diesem sehr schwierigen Kontext von Gesellschaft und Ehe ist die Kirche berufen, ihre Sendung in Treue, in Wahrheit und in Liebe zu leben.
Ihre Sendung zu leben in der Treue zu ihrem Meister, wie eine Stimme, die in der Wüste ruft, um die treue Liebe zu verteidigen und die zahlreichen Familien zu ermutigen, die ihre Ehe als einen Bereich leben, in dem sich die göttliche Liebe offenbart; um die Heiligkeit des Lebens, eines jeden Lebens zu verteidigen; um die Einheit und die Unauflöslichkeit des ehelichen Bandes zu verteidigen als ein Zeichen der Gnade Gottes und der Fähigkeit des Menschen, ernsthaft zu lieben.
Die Kirche ist berufen, ihre Sendung zu leben in der Wahrheit, die sich nicht mit den flüchtigen Moden oder den herrschenden Meinungen ändert. In der Wahrheit, die den Menschen und die Menschheit vor der Versuchung der Selbstbezogenheit schützt und davor, die fruchtbare Liebe in sterilen Egoismus und die treue Verbundenheit in zeitweilige Bindungen zu verwandeln. »Ohne Wahrheit gleitet die Liebe in Sentimentalität ab. Sie wird ein leeres Gehäuse, das man nach Belieben füllen kann. Das ist die verhängnisvolle Gefahr für die Liebe in einer Kultur ohne Wahrheit« (Benedikt XVI., Enzyklika Caritas in veritate, 3).
Und die Kirche ist berufen, ihre Sendung zu leben in der Liebe, die nicht mit dem Finger auf die anderen zeigt, um sie zu verurteilen, sondern – in Treue zu ihrem Wesen als Mutter – sich verpflichtet fühlt, die verletzten Paare zu suchen und mit dem Öl der Aufnahme und der Barmherzigkeit zu pflegen; ein „Feldlazarett“ zu sein mit offenen Türen, um jeden aufzunehmen, der anklopft und um Hilfe und Unterstützung bittet; mehr noch: aus der eigenen Einzäunung herauszutreten und auf die anderen zuzugehen mit wahrer Liebe, um mit der verletzten Menschheit mitzugehen, um sie mit einzuschließen und sie zur Quelle des Heils zu führen.
Eine Kirche, die die Grundwerte lehrt und verteidigt, ohne zu vergessen, dass »der Sabbat … für den Menschen da [ist], nicht der Mensch für den Sabbat« (Mk 2,27), und dass Jesus auch gesagt hat: »Nicht die Gesunden brauchen den Arzt, sondern die Kranken. Ich bin gekommen, um die Sünder zu rufen, nicht die Gerechten« (Mk 2,17). Eine Kirche, die zur authentischen Liebe erzieht, die fähig ist, aus der Einsamkeit zu befreien, ohne ihre Sendung als barmherziger Samariter für die verletzte Menschheit zu vergessen.
Ich erinnere mich an den heiligen Johannes Paul II., als er sagte: »Der Fehler und das Böse müssen immer verurteilt und bekämpft werden, aber der Mensch, der fällt oder einen Fehler macht, muss verstanden und geliebt werden […] Wir müssen unsere Zeit lieben und dem Menschen unserer Zeit helfen« (Ansprache an die italienische Katholische Aktion, 30. Dezember 1978: Insegnamenti I [1978], 450). Und die Kirche muss ihn suchen, ihn aufnehmen, ihn begleiten, denn eine Kirche mit verschlossenen Türen verrät sich selbst und ihre Sendung, und anstatt eine Brücke zu sein, wird sie eine Barriere: »Denn er, der heiligt, und sie, die geheiligt werden, stammen alle von Einem ab; darum scheut er sich nicht, sie Brüder zu nennen« (Hebr 2,11).
In diesem Geist bitten wir den Herrn, uns in der Synode zu begleiten und seine Kirche auf die Fürsprache der seligen Jungfrau Maria und des heiligen Josefs, ihres tugendsamen Bräutigams, zu leiten.
[01624-DE.02] [Originalsprache: Deutsch]
Testo in lingua spagnola
«Si nos amamos unos a otros, Dios permanece en nosotros su amor ha llegado en nosotros a su plenitud» (1 Jn 4,12).
Las lecturas bíblicas de este domingo parecen elegidas a propósito para el acontecimiento de gracia que la Iglesia está viviendo, es decir, la Asamblea Ordinaria del Sínodo de los Obispos sobre el tema de la familia que se inaugura con esta celebración eucarística.
Dichas lecturas se centran en tres aspectos: el drama de la soledad, el amor entre el hombre y la mujer, y la familia.
La soledad
Adán, como leemos en la primera lectura, vivía en el Paraíso, ponía los nombres a las demás creaturas, ejerciendo un dominio que demuestra su indiscutible e incomparable superioridad, pero aun así se sentía solo, porque «no encontraba ninguno como él que lo ayudase» (Gn 2,20) y experimentaba la soledad.
La soledad, el drama que aún aflige a muchos hombres y mujeres. Pienso en los ancianos abandonados incluso por sus seres queridos y sus propios hijos; en los viudos y viudas; en tantos hombres y mujeres dejados por su propia esposa y por su propio marido; en tantas personas que de hecho se sienten solas, no comprendidas y no escuchadas; en los emigrantes y los refugiados que huyen de la guerra y la persecución; y en tantos jóvenes víctimas de la cultura del consumo, del usar y tirar, y de la cultura del descarte.
Hoy se vive la paradoja de un mundo globalizado en el que vemos tantas casas de lujo y edificios de gran altura, pero cada vez menos calor de hogar y de familia; muchos proyectos ambiciosos, pero poco tiempo para vivir lo que se ha logrado; tantos medios sofisticados de diversión, pero cada vez más un profundo vacío en el corazón; muchos placeres, pero poco amor; tanta libertad, pero poca autonomía… Son cada vez más las personas que se sienten solas, y las que se encierran en el egoísmo, en la melancolía, en la violencia destructiva y en la esclavitud del placer y del dios dinero.
Hoy vivimos en cierto sentido la misma experiencia de Adán: tanto poder acompañado de tanta soledad y vulnerabilidad; y la familia es su imagen. Cada vez menos seriedad en llevar adelante una relación sólida y fecunda de amor: en la salud y en la enfermedad, en la riqueza y en la pobreza, en las buena y en la mala suerte. El amor duradero, fiel, recto, estable, fértil es cada vez más objeto de burla y considerado como algo anticuado. Parecería que las sociedades más avanzadas son precisamente las que tienen el porcentaje más bajo de tasa de natalidad y el mayor promedio de abortos, de divorcios, de suicidios y de contaminación ambiental y social.
El amor entre el hombre y la mujer
Leemos en la primera lectura que el corazón de Dios se entristeció al ver la soledad de Adán y dijo: «No está bien que el hombre esté solo; voy a hacerle alguien como él que le ayude» (Gn 2,18). Estas palabras muestran que nada hace más feliz al hombre que un corazón que se asemeje a él, que le corresponda, que lo ame y que acabe con la soledad y el sentirse solo. Muestran también que Dios no ha creado el ser humano para vivir en la tristeza o para estar solo, sino para la felicidad, para compartir su camino con otra persona que es su complemento; para vivir la extraordinaria experiencia del amor: es decir de amar y ser amado; y para ver su amor fecundo en los hijos, como dice el salmo que se ha proclamado hoy (cf. Sal 128).
Este es el sueño de Dios para su criatura predilecta: verla realizada en la unión de amor entre hombre y mujer; feliz en el camino común, fecunda en la donación reciproca. Es el mismo designio que Jesús resume en el Evangelio de hoy con estas palabras: «Al principio de la creación Dios los creó hombre y mujer. Por eso abandonará el hombre a su padre y a su madre, se unirá a su mujer, y serán los dos una sola carne. De modo que ya no son dos, sino una sola carne» (Mc 10,6-8; cf. Gn 1,27; 2,24).
Jesús, ante la pregunta retórica que le habían dirigido – probablemente como una trampa, para hacerlo quedar mal ante la multitud que lo seguía y que practicaba el divorcio, como realidad consolidada e intangible-, responde de forma sencilla e inesperada: restituye todo al origen, al origen de la creación, para enseñarnos que Dios bendice el amor humano, es él el que une los corazones de un hombre y una mujer que se aman y los une en la unidad y en la indisolubilidad. Esto significa que el objetivo de la vida conyugal no es sólo vivir juntos, sino también amarse para siempre. Jesús restablece así el orden original y originante.
La familia
«Lo que Dios ha unido, que no lo separe el hombre» (Mc 10,9). Es una exhortación a los creyentes a superar toda forma de individualismo y de legalismo, que esconde un mezquino egoísmo y el miedo de aceptar el significado autentico de la pareja y de la sexualidad humana en el plan de Dios.
De hecho, sólo a la luz de la locura de la gratuidad del amor pascual de Jesús será comprensible la locura de la gratuidad de un amor conyugal único y usque ad mortem.
Para Dios, el matrimonio no es una utopía de adolescente, sino un sueño sin el cual su creatura estará destinada a la soledad. En efecto el miedo de unirse a este proyecto paraliza el corazón humano.
Paradójicamente también el hombre de hoy –que con frecuencia ridiculiza este plan– permanece atraído y fascinado por todo amor autentico, por todo amor sólido, por todo amor fecundo, por todo amor fiel y perpetuo. Lo vemos ir tras los amores temporales, pero sueña el amor autentico; corre tras los placeres de la carne, pero desea la entrega total.
En efecto «ahora que hemos probado plenamente las promesas de la libertad ilimitada, empezamos a entender de nuevo la expresión “la tristeza de este mundo”. Los placeres prohibidos perdieron su atractivo cuando han dejado de ser prohibidos. Aunque tiendan a lo extremo y se renueven al infinito, resultan insípidos porque son cosas finitas, y nosotros, en cambio, tenemos sed de infinito» (Joseph Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg 1989, p. 73).
En este contexto social y matrimonial bastante difícil, la Iglesia está llamada a vivir su misión en la fidelidad, en la verdad y en la caridad.
Vive su misión en la fidelidad a su Maestro como voz que grita en el desierto, para defender el amor fiel y animar a las numerosas familias que viven su matrimonio como un espacio en el cual se manifiestan el amor divino; para defender la sacralidad de la vida, de toda vida; para defender la unidad y la indisolubilidad del vinculo conyugal como signo de la gracia de Dios y de la capacidad del hombre de amar en serio.
Vivir su misión en la verdad que no cambia según las modas pasajeras o las opiniones dominantes. La verdad que protege al hombre y a la humanidad de las tentaciones de autoreferencialidad y de transformar el amor fecundo en egoísmo estéril, la unión fiel en vinculo temporal. «Sin verdad, la caridad cae en mero sentimentalismo. El amor se convierte en un envoltorio vacío que se rellena arbitrariamente. Éste es el riesgo fatal del amor en una cultura sin verdad» (Benedicto XVI, Enc. Caritas in veritate, 3).
Y la Iglesia es llamada a vivir su misión en la caridad que no señala con el dedo para juzgar a los demás, sino que -fiel a su naturaleza como madre – se siente en el deber de buscar y curar a las parejas heridas con el aceite de la acogida y de la misericordia; de ser «hospital de campo», con las puertas abiertas para acoge a quien llama pidiendo ayuda y apoyo; aun más, de salir del propio recinto hacia los demás con amor verdadero, para caminar con la humanidad herida, para incluirla y conducirla a la fuente de salvación.
Una Iglesia que enseña y defiende los valores fundamentales, sin olvidar que «el sábado se hizo para el hombre y no el hombre para el sábado» (Mc 2,27); y que Jesús también dijo: «No necesitan médico los sanos, sino los enfermos. No he venido a llamar justos, sino pecadores» (Mc 2,17). Una Iglesia que educa al amor autentico, capaz de alejar de la soledad, sin olvidar su misión de buen samaritano de la humanidad herida.
Recuerdo a san Juan Pablo II cuando decía: «El error y el mal deben ser condenados y combatidos constantemente; pero el hombre que cae o se equivoca debe ser comprendido y amado […] Nosotros debemos amar nuestro tiempo y ayudar al hombre de nuestro tiempo.» (Discurso a la Acción Católica italiana, 30 de diciembre de 1978, 2 c: L’Osservatore Romano, ed. semanal en lengua española, 21 enero 1979, p.9). Y la Iglesia debe buscarlo, acogerlo y acompañarlo, porque una Iglesia con las puertas cerradas se traiciona a sí misma y a su misión, y en vez de ser puente se convierte en barrera: «El santificador y los santificados proceden todos del mismo. Por eso no se avergüenza de llamarlos hermanos» (Hb 2,11).
Con este espíritu, le pedimos al Señor que nos acompañe en el Sínodo y que guíe a su Iglesia a través de la intercesión de la Santísima Virgen María y de San José, su castísimo esposo.
[01624-ES.02] [Texto original: Español]
Testo in lingua portoghese
«Se nos amarmos uns aos outros, Deus permanece em nós e o seu amor chegou à perfeição em nós» (1 Jo 4, 12).
As Leituras bíblicas deste Domingo parecem escolhidas de propósito para o evento de graça que a Igreja está a viver, ou seja, a Assembleia Ordinária do Sínodo dos Bispos que tem por tema a família e é inaugurada com esta celebração eucarística.
Aquelas estão centradas em três argumentos: o drama da solidão, o amor entre homem-mulher e a família.
A solidão
Como lemos na primeira Leitura, Adão vivia no Paraíso, impunha os nomes às outras criaturas, exercendo um domínio que demonstra a sua indiscutível e incomparável superioridade, e contudo sentia-se só, porque «não encontrou auxiliar semelhante a ele» (Gn 2, 20) e sentia a solidão.
A solidão, o drama que ainda hoje aflige muitos homens e mulheres. Penso nos idosos abandonados até pelos seus entes queridos e pelos próprios filhos; nos viúvos e nas viúvas; em tantos homens e mulheres, deixados pela sua esposa e pelo seu marido; em muitas pessoas que se sentem realmente sozinhas, não compreendidas nem escutadas; nos migrantes e prófugos que escapam de guerras e perseguições; e em tantos jovens vítimas da cultura do consumismo, do «usa e joga fora» e da cultura do descarte.
Hoje vive-se o paradoxo dum mundo globalizado onde vemos tantas habitações de luxo e arranha-céus, mas o calor da casa e da família é cada vez menor; muitos projectos ambiciosos, mas pouco tempo para viver aquilo que foi realizado; muitos meios sofisticados de diversão, mas há um vazio cada vez mais profundo no coração; tantos prazeres, mas pouco amor; tanta liberdade, mas pouca autonomia... Aumenta cada vez mais o número das pessoas que se sentem sozinhas, e também daquelas que se fecham no egoísmo, na melancolia, na violência destrutiva e na escravidão do prazer e do deus-dinheiro.
Em certo sentido, hoje vivemos a mesma experiência de Adão: tanto poder acompanhado por tanta solidão e vulnerabilidade; e ícone disso mesmo é a família. Verifica-se cada vez menos seriedade em levar por diante uma relação sólida e fecunda de amor: na saúde e na doença, na riqueza e na pobreza, na boa e na má sorte. Cada vez mais o amor duradouro, fiel, consciencioso, estável, fecundo é objecto de zombaria e olhado como se fosse uma antiguidade. Parece que as sociedades mais avançadas sejam precisamente aquelas que têm a taxa mais baixa de natalidade e a taxa maior de abortos, de divórcios, de suicídios e de poluição ambiental e social.
O amor entre homem e mulher
Ainda na primeira Leitura, lemos que o coração de Deus, ao ver a solidão de Adão, ficou como que entristecido e disse: «Não é conveniente que o homem esteja só; vou dar-lhe uma auxiliar semelhante a ele» (Gn 2, 18). Estas palavras demonstram que nada torna tão feliz o coração do homem como um coração que lhe seja semelhante, lhe corresponda, o ame e tire da solidão e de sentir-se só. Demonstram também que Deus não criou o ser humano para viver na tristeza ou para estar sozinho, mas para a felicidade, para partilhar o seu caminho com outra pessoa que lhe seja complementar; para viver a experiência maravilhosa do amor, isto é, amar e ser amado; e para ver o seu amor fecundo nos filhos, como diz o salmo que foi proclamado hoje (cf. Sal 128).
Tal é o sonho de Deus para a sua dilecta criatura: vê-la realizada na união de amor entre homem e mulher; feliz no caminho comum, fecunda na doação recíproca. É o mesmo desígnio que Jesus, no Evangelho de hoje, resume com estas palavras: «Desde o princípio da criação, Deus fê-los homem e mulher. Por isso, o homem deixará seu pai e sua mãe para se unir à sua mulher, e serão os dois um só. Portanto, já não são dois, mas um só» (Mc 10, 6-8; cf. Gn 1, 27; 2, 24).
Jesus, perante a pergunta retórica que Lhe puseram (provavelmente como uma cilada, para fazê-Lo sem mais aparecer odioso à multidão que O seguia e que praticava o divórcio, como uma realidade consolidada e intangível), responde de maneira franca e inesperada: leva tudo de volta à origem, à origem da criação, para nos ensinar que Deus abençoa o amor humano, é Ele que une os corações de um homem e de uma mulher que se amam e liga-os na unidade e na indissolubilidade. Isto significa que o objectivo da vida conjugal não é apenas viver juntos para sempre, mas amar-se para sempre. Jesus restabelece assim a ordem originária e originadora.
A família
«Pois bem. O que Deus uniu não o separe o homem» (Mc 10, 9). É uma exortação aos crentes para superar toda a forma de individualismo e de legalismo, que se esconde num egoísmo mesquinho e no medo de aderir ao significado autêntico do casal e da sexualidade humana no projecto de Deus.
Com efeito, só à luz da loucura da gratuidade do amor pascal de Jesus é que aparecerá compreensível a loucura da gratuidade dum amor conjugal único e usque ad mortem.
Para Deus, o matrimónio não é utopia da adolescência, mas um sonho sem o qual a sua criatura estará condenada à solidão. De facto, o medo de aderir a este projecto paralisa o coração humano.
Paradoxalmente, também o homem de hoje – que muitas vezes ridiculariza este desígnio – continua atraído e fascinado por todo o amor autêntico, por todo o amor sólido, por todo o amor fecundo, por todo o amor fiel e perpétuo. Vemo-lo ir atrás dos amores temporários, mas sonha com o amor autêntico; corre atrás dos prazeres carnais, mas deseja a doação total.
De facto, «agora que provámos plenamente as promessas da liberdade ilimitada, começamos de novo a compreender a expressão “a tristeza deste mundo”. Os prazeres proibidos perderam o seu fascínio, logo que deixaram de ser proibidos. Mesmo quando são levados ao extremo e repetidos ao infinito, aparecem insípidos, porque são coisas finitas, e nós, ao contrário, temos sede de infinito» (Joseph Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Friburgo 1989, p. 73).
Neste contexto social e matrimonial bastante difícil, a Igreja é chamada a viver a sua missão na fidelidade, na verdade e na caridade. A Igreja é chamada a viver a sua missão na fidelidade ao seu Mestre como voz que grita no deserto, para defender o amor fiel e encorajar as inúmeras famílias que vivem o seu matrimónio como um espaço onde se manifesta o amor divino; para defender a sacralidade da vida, de toda a vida; para defender a unidade e a indissolubilidade do vínculo conjugal como sinal da graça de Deus e da capacidade que o homem tem de amar seriamente.
A Igreja é chamada a viver a sua missão na verdade que não se altera segundo as modas passageiras ou as opiniões dominantes. A verdade que protege o homem e a humanidade das tentações da auto-referencialidade e de transformar o amor fecundo em egoísmo estéril, a união fiel em ligações temporárias. «Sem verdade, a caridade cai no sentimentalismo. O amor torna-se um invólucro vazio, que se pode encher arbitrariamente. É o risco fatal do amor numa cultura sem verdade» (Bento XVI, Enc. Caritas in veritate, 3).
E a Igreja é chamada a viver a sua missão na caridade que não aponta o dedo para julgar os outros, mas – fiel à sua natureza de mãe – sente-se no dever de procurar e cuidar dos casais feridos com o óleo da aceitação e da misericórdia; de ser «hospital de campanha», com as portas abertas para acolher todo aquele que bate pedindo ajuda e apoio; e mais, de sair do próprio redil ao encontro dos outros com amor verdadeiro, para caminhar com a humanidade ferida, para a integrar e conduzir à fonte de salvação.
Uma Igreja que ensina e defende os valores fundamentais, sem esquecer que «o sábado foi feito para o homem e não o homem para o sábado» (Mc 2, 27); e sem esquecer que Jesus disse também: «Não são os que têm saúde que precisam de médico, mas sim os enfermos. Eu não vim chamar os justos, mas os pecadores» (Mc 2, 17). Uma Igreja que educa para o amor autêntico, capaz de tirar da solidão, sem esquecer a sua missão de bom samaritano da humanidade ferida.
Recordo São João Paulo II, quando dizia: «O erro e o mal devem sempre ser condenados e combatidos; mas o homem que cai ou que erra deve ser compreendido e amado. (...) Devemos amar o nosso tempo e ajudar o homem do nosso tempo» [Discurso à Acção Católica Italiana, 30 de Dezembro de 1978: Insegnamenti (1978), 450]. E a Igreja deve procurá-lo, acolhê-lo e acompanhá-lo, porque uma Igreja com as portas fechadas atraiçoa-se a si mesma e à sua missão e, em vez de ser ponte, torna-se uma barreira: «De facto, tanto o que santifica, como os que são santificados, provêm todos de um só; razão pela qual não se envergonha de lhes chamar irmãos» (Heb 2, 11).
Com este espírito, peçamos ao Senhor que nos acompanhe no Sínodo e guie a sua Igreja pela intercessão da Bem-Aventurada Virgem Maria e de São José, seu castíssimo esposo.
[01624-PO.02] [Texto original: Português]
Testo in lingua polacca
„Jeżeli miłujemy się wzajemnie, Bóg trwa w nas i miłość ku Niemu jest w nas doskonała” (1 J 4,12).
Czytania biblijne dzisiejszej niedzieli zdają się być wybrane specjalnie na przeżywane przez Kościół wydarzenie łaski, jakim jest Zgromadzenie Zwyczajne Synodu Biskupów na temat rodziny, który rozpoczyna się tą Eucharystią.
Koncentrują się one na trzech kwestiach: dramat samotności, miłość między kobietą a mężczyzną i rodzina.
Samotność
Adam, jak czytamy w pierwszym czytaniu, żył w raju, nadawał imiona innym stworzeniom, sprawując panowanie, ukazując swoją bezdyskusyjną i niezrównaną wyższość, ale mimo to czuł się sam, bo „nie znalazła się pomoc odpowiednia dla mężczyzny” (Rdz 2,20) i doświadczył samotności.
Samotność, dramat, który także i dziś dotyka wielu mężczyzn i wiele kobiet. Myślę o osobach starszych opuszczonych również przez swoich bliskich, a nawet własne dzieci; o wdowcach i wdowach; o wielu mężczyznach i kobietach porzucanych przez swoją żonę lub męża; o wielu osobach, które faktycznie czują się same, nie zrozumiane i nie wysłuchane; o migrantach i uchodźcach uciekających przed wojną i prześladowaniami; o wielu młodych padających ofiarą kultury konsumpcjonizmu, użycia i wyrzucenia oraz kultury odrzucenia.
Dziś przeżywamy paradoks zglobalizowanego świata, w którym widzimy tak wiele luksusowych domów i wieżowców, ale coraz mniej ciepła domu i rodziny; wiele ambitnych projektów, ale mało czasu, aby żyć tym, co zostało osiągnięte; wiele wyrafinowanych środków rozrywki, ale coraz głębszą pustkę w sercu; wiele przyjemności, ale mało miłości; tak dużo swobody, ale mało autonomii Coraz bardziej przybywa ludzi, którzy czują się sami, ale również tych, którzy zamykają się w egoizmie, w melancholii, w destrukcyjnej przemocy i niewoli przyjemności oraz bożka pieniądza.
Dziś przeżywamy w pewnym sensie doświadczenie Adama: wiele władzy, której towarzyszy wiele samotności i słabości; a rodzina jest tego obrazem. Coraz mniej poważnie traktuje się rozwijanie solidnej i owocnej relacji miłości: w chorobie i zdrowiu, bogactwie i ubóstwie, na dobre i na złe. Miłość trwała, wierna, rzetelna, stabilna, płodna jest coraz bardziej wyśmiewana i postrzegana jakby była staromodną sukienką. Mogłoby się zdawać, że społeczeństwa najbardziej zaawansowane to właśnie te, które mają najniższy odsetek urodzeń i najwyższy wskaźnik aborcji, rozwodów, samobójstw i zanieczyszczenia środowiska naturalnego i społecznego.
Miłość między mężczyzną a kobietą
Czytamy znów w pierwszym czytaniu, że serce Boga było jakby zasmucone, widząc samotność Adama i powiedział: „Nie jest dobrze, żeby mężczyzna był sam, uczynię mu zatem odpowiednią dla niego pomoc” (Rdz 2,18). Słowa te ukazują, że serca mężczyzny nic nie czyni szczęśliwym tak bardzo jak serce istoty do niego podobnej, odpowiadającej mu, która go miłuje i wyrywa z samotności i poczucia osamotnienia. Ukazują również, że Bóg nie stworzył człowieka do życia w smutku i samotności, ale do szczęścia, by dzielić swoje pielgrzymowanie z inną osobą, która byłaby wobec niego komplementarna; by przeżywać wspaniałe doświadczenie miłości: to znaczy kochać i być kochanym; i by widzieć swoją miłość owocną w dzieciach, jak mówi dzisiejszy Psalm (por. Ps 128).
Oto marzenie Boga dla jego ukochanej istoty: wiedzieć ją spełnioną w związku miłości między mężczyzną a kobietą; szczęśliwego na wspólnej drodze, owocnej we wzajemnym darze z siebie. Jest to ten sam plan, jaki Jezus w dzisiejszej Ewangelii podsumowuje w tych słowach: „Na początku stworzenia Bóg stworzył ich jako mężczyznę i kobietę: dlatego opuści człowiek ojca swego i matkę i złączy się ze swoją żoną, i będą oboje jednym ciałem. A tak już nie są dwoje, lecz jedno ciało” (Mk 10,6- 8; por. Rdz 1,27; 2,24).
Jezus, w obliczu zadanego mu pytania retorycznego – prawdopodobnie jako pułapki, aby nagle uczynić Go antypatycznym dla rzesz, które szły za Nim i które praktykowały rozwód, jako coś ugruntowanego i nienaruszalnego – odpowiada w sposób szczery i niespodziewany: odnosi wszystko z powrotem do początku, do początku stworzenia, aby nauczyć nas, że Bóg błogosławi ludzką miłość, że to On jednoczy serca mężczyzny i kobiety, którzy kochają siebie nawzajem i łączy je w jedności i w nierozerwalności. Oznacza to, że celem małżeństwa jest nie tylko życie razem na zawsze, ale miłowanie się na zawsze! W ten sposób Jezus przywraca ład pierwotny i wyjaśniający.
Rodzina
„Co więc Bóg złączył, tego człowiek niech nie rozdziela!” (Mk 10,9). Jest to zachęta skierowana do wierzących, by przezwyciężyć wszelkie formy indywidualizmu i legalizmu, które ukrywają ciasny egoizm i strach przed przystaniem na autentyczne znaczenie małżeństwa i seksualności człowieka w Bożym planie.
W istocie tylko w świetle szaleństwa bezinteresowności paschalnej miłości Jezusa staje się zrozumiałe szaleństwo bezinteresowności miłości małżeńskiej wyłącznej i aż do śmierci.
Dla Boga małżeństwo nie jest młodzieńczą utopią, ale marzeniem, bez której stworzenie będzie skazane na samotność! W istocie lęk przystania na ten plan paraliżuje ludzkie serce.
Paradoksalnie, także człowiek dzisiejszy – który często wyśmiewa ten plan – jest nadal pociągany i zafascynowany każdą prawdziwą miłością, każdą miłością solidną, każdą miłością owocną, każdą miłością wierną i aż do śmierci. Widzimy, że podąża on za miłościami przejściowymi, ale marzy o prawdziwej miłości; ugania się za przyjemnościami ciała, ale pragnie całkowitego daru z siebie.
Rzeczywiście, „teraz, kiedy zasmakowaliśmy w pełni obietnic nieograniczonej wolności, zaczynamy rozumieć na nowo wyrażenie «smutek tego świata». Zakazane przyjemności straciły swoją atrakcyjność skoro tylko przestały być zakazane. Nawet jeśli zostaną posunięte do skrajności i będą nieustannie ponawiane, aż do nieskończoności okazują się mdłe, bo są rzeczami skończonymi, a my natomiast pragniemy nieskończoności” (JOSEPH RATZINGER, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg 1989 str. 73).
W tym dość trudnym kontekście społecznym i małżeńskim Kościół jest powołany, do życia swoją misją w wierności, w prawdzie i miłości. Przeżywać swoją misję w wierności swemu Mistrzowi, jako głos wołający na pustyni, aby bronić miłości wiernej i wspierać rodziny wielodzietne, które przeżywają swoje małżeństwo jako przestrzeń, w której przejawia się miłość Boża; w obronie świętości życia, każdego życia; by bronić jedności i nierozerwalności węzła małżeńskiego jako znaku łaski Bożej i ludzkiej zdolności do kochania na serio.
Kościół jest wezwany, aby przeżywać swoją misję w prawdzie, która się nie zmienia w zależności od chwilowej mody lub panujących opinii. Prawda, która chroni człowieka i ludzkość od pokus autoreferencyjności i przekształcenia owocnej miłości w bezpłodny egoizm, jedności wiernej w związki tymczasowe. „Bez prawdy miłość staje się sentymentalizmem. Miłość staje się pustym słowem, które można dowolnie pojmować” (BENEDYKT XVI, Enc. Caritas in veritate, 3).
Kościół jest wezwany, by przeżywać swoją misję w miłości, która nie wskazuje palcem, aby osądzać innych, ale – wierna swej naturze matki – czuje się zobowiązana do poszukiwania i leczenia par zranionych olejem akceptacji i miłosierdzia; do bycia „szpitalem polowym”, z drzwiami otwartymi na przyjęcie każdego, kto puka z prośbą o pomoc i wsparcie; do wyjścia ze swego ogrodzenia ku innym z prawdziwą miłością, aby iść ze zranioną ludzkością, aby ją włączyć i doprowadzić do źródła zbawienia.
Kościół, który naucza i broni podstawowych wartości, nie zapominając, że „szabat został ustanowiony dla człowieka, a nie człowiek dla szabatu” (Mk 2,27); i że Jezus powiedział także: „Nie potrzebują lekarza zdrowi, lecz ci, którzy się źle mają. Nie przyszedłem powołać sprawiedliwych, ale grzeszników” (Mk 2,17). Kościół, który wychowuje do autentycznej miłości, zdolnej do wyrwania z samotności, nie zapominając o swej misji Miłosiernego Samarytanina zranionej ludzkości.
Pamiętam słowa św. Jana Pawła II, gdy powiedział: „Błąd i zło trzeba zawsze potępiać i zwalczać; ale człowieka, który upada lub błądzi, trzeba zrozumieć i miłować [...] Powinniśmy miłować nasz czas i pomagać człowiekowi naszych czasów” (Przemówienie do włoskiej Akcji Katolickiej, 30 grudnia 1978 roku: Nauczanie papieskie, Pallottinum 1987, s. 210). A Kościół musi tego człowieka poszukiwać, przyjąć go i jemu towarzyszyć, ponieważ Kościół z drzwiami zamkniętymi zdradza samego siebie i swoją misję, a zamiast być mostem staje się przeszkodą: „Tak bowiem Ten, który uświęca, jak ci, którzy mają być uświęceni, z jednego [są] wszyscy. Z tej to przyczyny nie wstydzi się nazwać ich braćmi swymi” (Hbr 2,11).
W tym duchu prosimy Pana, aby nam towarzyszył w Synodzie i prowadził swój Kościół za wstawiennictwem Najświętszej Maryi Panny i świętego Józefa, jej najczystszego oblubieńca.
[01624-PL.03] [Testo originale: Polacco]
[B0756-XX.03]