Omelia del Santo Padre
Testo in lingua francese
Testo in lingua inglese
Testo in lingua tedesca
Testo in lingua spagnola
Testo in lingua portoghese
Testo in lingua polacca
Alle ore 17.30 di oggi, in Piazza San Pietro, ha avuto luogo una veglia di preghiera promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana in vista della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si apre domani sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
L’evento, dal titolo “Le famiglie illuminano il Sinodo – Preghiera per il Sinodo con il Santo Padre Francesco”, è stato introdotto dal saluto di S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario della CEI ed ha alternato momenti di preghiera e riflessione a testimonianze di vita familiare.
Alle ore 19 si è unito alle famiglie in preghiera il Santo Padre, salutato al Suo arrivo dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco.
Nel corso della Veglia, dopo la lettura del Santo Vangelo, Papa Francesco ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:
Omelia del Santo Padre
Care famiglie, buonasera!
A che giova accendere una piccola candela nel buio che ci circonda? Non sarebbe ben altro ciò di cui c’è bisogno per diradare l’oscurità? Ma si possono vincere le tenebre?
In certe stagioni della vita — questa vita pur carica di risorse stupende — simili interrogativi si impongono con forza. Di fronte alle esigenze dell’esistenza, la tentazione porta a tirarsi indietro, a disertare e a chiudersi, magari in nome della prudenza e del realismo, fuggendo così la responsabilità di fare fino in fondo la propria parte.
Ricordate l’esperienza di Elia? Il calcolo umano suscita nel profeta la paura che lo spinge a cercare rifugio. Paura. «Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi [...] Camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: “Che cosa fai qui, Elia?”» (1 Re 19,3.8-9). Poi, sull’Oreb, troverà risposta non nel vento impetuoso che scuote le rocce, non nel terremoto e nemmeno nel fuoco. La grazia di Dio non alza la voce; è un mormorio, che raggiunge quanti sono disposti ad ascoltarne la brezza leggera - quel filo di silenzio sonoro - li esorta ad uscire, a tornare nel mondo, testimoni dell’amore di Dio per l’uomo, perché il mondo creda...
Con questo respiro, proprio un anno fa, in questa stessa Piazza, abbiamo invocato lo Spirito Santo, chiedendo che — nel mettere a tema la famiglia — i Padri sinodali sapessero ascoltare e confrontarsi mantenendo fisso lo sguardo su Gesù, Parola ultima del Padre e criterio di interpretazione di tutto.
Questa sera non può essere un’altra la nostra preghiera. Perché, come ricordava il Metropolita Ignazio IV Hazim, senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi (cfr Discorso alla Conferenza ecumenica di Uppsala, 1968).
Preghiamo, dunque, perché il Sinodo che domani si apre sappia ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare; riconosca, valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità, che la mettono alla prova: la povertà, la guerra, la malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane “buona notizia” da cui sempre ripartire. Dal tesoro della viva tradizione i Padri sappiano attingere parole di consolazione e orientamenti di speranza per famiglie chiamate in questo tempo a costruire il futuro della comunità ecclesiale e della città dell’uomo.
***
Ogni famiglia, infatti, è sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo.
La stessa vicenda di Gesù tra gli uomini prende forma nel grembo di una famiglia, all’interno della quale rimarrà per trent’anni. Una famiglia come tante, la sua, collocata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero.
Charles de Foucauld, forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret. Questo grande esploratore abbandonò in fretta la carriera militare, affascinato dal mistero della Santa Famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della preghiera umile. Guardando alla Famiglia di Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati, egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità.
Per comprendere oggi la famiglia, entriamo anche noi — come Charles de Foucauld — nel mistero della Famiglia di Nazaret, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie; vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo.
È luogo — la famiglia — di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la memoria delle generazioni e si affondano radici che permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia. È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e solidale, che insegna a uscire da se stessi per accogliere l’altro, per perdonare e sentirsi perdonati.
***
Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla.
Nella “Galilea delle genti” del nostro tempo ritroveremo lo spessore di una Chiesa che è madre, capace di generare alla vita e attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione, tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti.
Una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta.
E soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse.
È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti — provati dalla vita — hanno il cuore ferito e sofferente.
Questa Chiesa può rischiarare davvero la notte dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei per prima vive l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del Padre.
[01619-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Testo in lingua francese
Chères familles, bonsoir!
À quoi bon allumer une petite bougie dans l’obscurité qui nous entoure? N’aurait-on pas besoin de tout autre chose pour dissiper l’obscurité? Mais peut-on vaincre les ténèbres?
À certaines époques de la vie – cette vie même pleine de ressources merveilleuses – de semblables interrogations s’imposent avec force. Face aux exigences de l’existence, la tentation amène à se retirer, à déserter et à se fermer, peut-être au nom de la prudence et du réalisme, en fuyant ainsi la responsabilité de faire sa part jusqu’au bout.
Rappelez-vous l’expérience d’Elie? Le calcul humain suscite chez le prophète la peur qui le pousse à chercher refuge. Une peur. «Devant cette menace, Elie se hâta de partir pour sauver sa vie […] Il marcha quarante jours et quarante nuits jusqu’à l’Horeb, la montagne de Dieu. Là, il entra dans une caverne et y passa la nuit. Et voici que la parole du Seigneur lui fut adressée. Il lui dit: “Que fais-tu là, Elie?”» (1 R 19, 3.8-9). Puis sur l’Horeb, il trouvera la réponse non dans le vent impétueux qui brise les rochers, non dans le tremblement de terre et pas même dans le feu. La grâce de Dieu n’élève pas la voix; c’est un murmure, qui rejoint tous ceux qui sont disposés à en écouter la brise légère – ce fil de silence sonore – qui les exhorte à sortir, à retourner dans le monde, témoins de l’amour de Dieu pour l’homme, pour que le monde croie…
Avec ce souffle, il y a presque une année, sur cette même Place, nous avons invoqué l’Esprit Saint, demandant que – en se mettant au thème de la famille – les Pères Synodaux sachent écouter et se confronter en gardant leur regard fixé sur Jésus, Parole ultime du Père et critère d’interprétation de tout.
Ce soir, notre prière ne peut être une autre prière. Parce que, comme le rappelait le Métropolite Ignace IV Hazim, sans l’Esprit Saint, Dieu est loin, le Christ reste dans le passé, l’Église devient une simple organisation, l’autorité se transforme en domination, la mission en propagande, le culte en évocation, l’agir des chrétiens en une morale d’esclaves (cf. Discours à la Conférence œcuménique d’Uppsala, 1968).
Prions donc, pour que le Synode qui s’ouvre demain sache ramener l’expérience conjugale et familiale à une image accomplie de l’homme; qu’il reconnaisse, valorise et propose tout ce qu’il y a en elle de beau, de bon et de saint; qu’il embrasse les situations de vulnérabilité qui la mettent à l’épreuve: la pauvreté, la guerre, la maladie, le deuil, les relations blessées et défaites d’où surgissent malaises, ressentiments et ruptures; qu’il rappelle à ces familles, comme à toutes les familles, que l’Évangile demeure une “Bonne Nouvelle” d’où toujours repartir. Que du trésor de la tradition vivante, les Pères sachent tirer des paroles de consolation et des orientations d’espérance pour des familles appelées à construire en ce temps l’avenir de la communauté ecclésiale et de la cité de l’homme.
***
Chaque famille, en effet, est toujours une lumière, bien que faible, dans l’obscurité du monde.
L’histoire même de Jésus parmi les hommes prend forme dans le sein d’une famille, à l’intérieur de laquelle il restera pendant 30 ans. Une famille comme beaucoup, la sienne, située dans un village perdu de la périphérie de l’Empire.
Charles de Foucauld, peut-être comme peu d’autres, a deviné la portée de la spiritualité qui émane de Nazareth. Ce grand explorateur abandonna en hâte la carrière militaire, fasciné par le mystère de la Sainte Famille, de la relation quotidienne de Jésus avec ses parents et ses proches, du travail silencieux, de la prière humble. Regardant la Famille de Nazareth, frère Charles discerna la stérilité du désir de richesse et de pouvoir; il se fit tout à tous par l’apostolat de la bonté; attiré par la vie érémitique, il comprit qu’on ne grandit pas dans l’amour de Dieu en évitant la servitude des relations humaines. Parce que c’est en aimant les autres qu’on apprend à aimer Dieu; c’est en se penchant vers son prochain qu’on s’élève jusqu’à Dieu. À travers la proximité fraternelle et solidaire avec les plus pauvres et les plus abandonnés, il comprit que, finalement, ce sont eux qui nous évangélisent, en nous aidant à grandir en humanité.
Pour comprendre aujourd’hui la famille, entrons nous aussi – comme Charles de Foucauld – dans le mystère de la Famille de Nazareth, dans sa vie cachée, ordinaire et commune, comme celle du plus grand nombre de nos familles, avec leurs peines et leurs joies simples; vie tissée de patience sereine dans les contrariétés, de respect pour la condition de chacun, de cette humilité qui libère et fleurit dans le service; vie de fraternité qui surgit du fait de se sentir partie d’un unique corps.
La famille est le lieu d’une sainteté évangélique, réalisée dans les conditions les plus ordinaires. Il s’y respire la mémoire des générations et s’y enfoncent des racines qui permettent d’aller loin. C’est le lieu du discernement, où on s’éduque à reconnaître le dessein de Dieu sur sa propre vie et à l’embrasser avec confiance. C’est un lieu de gratuité, de présence discrète, fraternelle et solidaire, qui apprend à sortir de soi-même pour accueillir l’autre, pour pardonner et se sentir pardonnés.
***
Repartons de Nazareth pour un Synode qui, plus que parler de la famille, sache se mettre à son école, dans la disponibilité à en reconnaître toujours la dignité, la consistance et la valeur, malgré les nombreuses peines et contradictions qui peuvent la marquer.
Dans la “ Galilée des nations” de notre temps, nous retrouverons l’épaisseur d’une Église qui est mère, capable d’engendrer à la vie et attentive à donner continuellement la vie, à accompagner avec dévouement, tendresse et force morale. Parce que si nous ne savons pas unir la compassion à la justice, nous finissons par être inutilement sévères et profondément injustes.
Une Église qui est famille sait se situer avec la proximité et l’amour d’un père qui vit la responsabilité du gardien, qui protège sans se substituer, qui corrige sans humilier, qui éduque par l’exemple et la patience. Parfois simplement, par le silence d’une attente priante et ouverte.
Et surtout, une Église d’enfants qui se reconnaissent frères, qui n’arrive jamais à considérer quelqu’un uniquement comme un poids, un problème, un coût, une préoccupation ou un risque: l’autre est essentiellement un don, qui reste tel même quand il parcourt des chemins différents.
C’est une maison ouverte, l’Église, loin des grandeurs extérieures, accueillante dans le style sobre de ses membres et, à cause de cela, accessible à l’espérance de paix qui est présente en chaque homme, y compris en tous ceux qui – éprouvés par la vie – ont le cœur blessé et souffrant.
Cette Église peut vraiment éclairer la nuit de l’homme, lui montrer avec crédibilité le but et en partager les pas, justement parce que, la première, elle vit l’expérience d’être sans cesse régénérée dans le cœur miséricordieux du Père.
[01619-FR.02] [Texte original: Français]
Testo in lingua inglese
Dear Families,
Good evening! What good is it to light a little candle in the darkness? Isn’t there a better way to dispel the darkness? Can the darkness even be overcome?
At some points in life – this life so full of amazing resources – such questions have to be asked. When life proves difficult and demanding, we can be tempted to step back, turn away and withdraw, perhaps even in the name of prudence and realism, and thus flee the responsibility of doing our part as best we can.
Do you remember what happened to Elijah? From a human point of view, the prophet was afraid and tried to run away. Afraid. “Elijah was afraid; he got up and fled for his life… He walked for forty days and forty nights to Horeb, the mountain of God. At that place he came to a cave and spent the night there. Then the word of the Lord came to him, saying: ‘What are you doing here, Elijah?’” (1 Kg 19:3,8-9). On Horeb, he would get his answer not in the great wind which shatters the rocks, not in the earthquake nor even in the fire. God’s grace does not shout out; it is a whisper which reaches all those who are ready to hear the gentle breeze – that still, small voice. It urges them to go forth, to return to the world, to be witnesses to God’s love for mankind, so that the world may believe…
In this vein, just a year ago, in this same Square, we invoked the Holy Spirit and asked that - in discussing the theme of the family - the Synod Fathers might listen attentively to one another, with their gaze fixed on Jesus, the definitive Word of the Father and the criterion by which everything is to be measured.
This evening, our prayer cannot be otherwise. For as Metropolitan Ignatius IV Hazim reminded us, without the Holy Spirit God is far off, Christ remains in the past, the Church becomes a mere organization, authority becomes domination, mission becomes propaganda, worship becomes mystique, Christian life the morality of slaves (cf. Address to the Ecumenical Conference of Uppsala, 1968).
So let us b pray that the Synod which opens tomorrow will show how the experience of marriage and family is rich and humanly fulfilling. May the Synod acknowledge, esteem, and proclaim all that is beautiful, good and holy about that experience. May it embrace situations of vulnerability and hardship: war, illness, grief, wounded relationships and brokenness, which create distress, resentment and separation. May it remind these families, and every family, that the Gospel is always “good news” which once again enables us to start over. From the treasury of the Church’s living tradition may the Fathers draw words of comfort and hope for families called in our own day to build the future of the ecclesial community and the city of man.
* * *
Every family is always a light, however faint, amid the darkness of this world.
Jesus’ own human experience took shape in the heart of a family, where he lived for thirty years. His family was like any number of others, living in an obscure village on the outskirts of the Empire.
Charles de Foucauld, perhaps like few others, grasped the import of the spirituality which radiates from Nazareth. This great explorer hastily abandoned his military career, attracted by the mystery of the Holy Family, the mystery of Jesus’ daily relationship with his parents and neighbours, his quiet labour, his humble prayer. Contemplating the Family of Nazareth, Brother Charles realized how empty the desire for wealth and power really is. Through his apostolate of charity, he became everything to everyone. Attracted by the life of a hermit, he came to understand that we do not grow in the love of God by avoiding the entanglement of human relations. For in loving others, we learn to love God, in stooping down to help our neighbour, we are lifted up to God. Through his fraternal closeness and his solidarity with the poor and the abandoned, he came to understand that it is they who evangelize us, they who help us to grow in humanity.
To understand the family today, we too need to enter - like Charles de Foucauld – into the mystery of the family of Nazareth, into its quiet daily life, not unlike that of most families, with their problems and their simple joys, a life marked by serene patience amid adversity, respect for others, a humility which is freeing and which flowers in service, a life of fraternity rooted in the sense that we are all members of one body.
The family is a place where evangelical holiness is lived out in the most ordinary conditions. There we are formed by the memory of past generations and we put down roots which enable us to go far. The family is a place of discernment, where we learn to recognize God’s plan for our lives and to embrace it with trust. It is a place of gratuitousness. of discreet fraternal presence and solidarity, a place where we learn to step out of ourselves and accept others, to forgive and to feel forgiven.
* * *
Let us set out once more from Nazareth for a Synod which, more than speaking about the family, can learn from the family, readily acknowledging its dignity, its strength and its value, despite all its problems and difficulties.
In the “Galilee of the nations” of our own time, we will rediscover the richness and strength of a Church which is a mother, ever capable of giving and nourishing life, accompanying it with devotion, tenderness, and moral strength. For unless we can unite compassion with justice, we will end up being needlessly severe and deeply unjust.
A Church which is family is also able to show the closeness and love of a father, a responsible guardian who protects without confining, who corrects without demeaning, who trains by example and patience, sometimes simply by a silence which bespeaks prayerful and trusting expectation.
Above all, a Church of children who see themselves as brothers and sisters, will never end up considering anyone simply as a burden, a problem, an expense, a concern or a risk. Other persons are essentially a gift, and always remain so, even when they walk different paths.
The Church is an open house, far from outward pomp, hospitable in the simplicity of her members. That is why she can appeal to the longing for peace present in every man and woman, including those who – amid life’s trials – have wounded and suffering hearts.
This Church can indeed light up the darkness felt by so many men and women. She can credibly point them towards the goal and walk at their side, precisely because she herself first experienced what it is to be endlessly reborn in the merciful heart of the Father.
[01619-EN.02] [Original text: English]
Testo in lingua tedesca
Liebe Familien, guten Abend!
Was nützt es, in der Nacht, die uns umgibt, eine kleine Kerze anzuzünden? Wäre nicht etwas ganz anderes notwendig, um die Dunkelheit aufzulösen? Kann man denn überhaupt die Finsternis besiegen?
Zu gewissen Zeiten im Leben – in diesem an wunderbaren Quellen doch so reichen Leben – drängen sich solche Fragen mit Nachdruck auf. Angesichts der Anforderungen des Lebens besteht die Versuchung, sich zurückzuziehen, davonzulaufen und sich zu verschließen – vielleicht unter dem Vorwand der Vorsicht und des Realismus – und so der Verantwortung zu entfliehen, den eigenen Beitrag bis zum Grunde zu leisten.
Erinnert ihr euch an das Erlebnis des Elija? Die menschliche Berechnung löst im Propheten die Angst aus, die ihn dazu treibt, die Flucht zu ergreifen. Angst… »Elija geriet in Angst, machte sich auf und ging weg, um sein Leben zu retten.« Er wanderte »vierzig Tage und vierzig Nächte bis zum Gottesberg Horeb. Dort ging er in eine Höhle, um darin zu übernachten. Doch das Wort des Herrn erging an ihn: „Was willst du hier, Elija?“« (1Kön 19,3.8-9). Und dann, auf dem Horeb, sollte er eine Antwort finden – nicht im starken, heftigen Sturm, der die Felsen erschüttert, nicht im Erdbeben und auch nicht im Feuer. Die Gnade Gottes erhebt nicht die Stimme; sie ist ein sanftes, leises Säuseln, das die erreicht, die bereit sind, es im Hauch einer leichten Brise wahrzunehmen. Jener Hauch klingenden Schweigens fordert sie auf, herauszukommen und in die Welt zurückzukehren, als Zeugen der Liebe Gottes zum Menschen, damit die Welt glaubt…
In diesem Geist haben wir vor genau einem Jahr auf ebendiesem Platz den Heiligen Geist angerufen und darum gebetet, dass die Synodenväter bei der Behandlung des Themas Familie fähig sein möchten, hinzuhören und sich miteinander auszutauschen, mit festem Blick auf Jesus, der das letzte Wort des Vaters und das Kriterium für die Interpretation von allem ist.
An diesem Abend kann unser Gebet nicht anders sein. Denn – wie der Metropolit Ignatius IV. Hazim sagte – ohne den Heiligen Geist ist Gott fern, bleibt Christus in der Vergangenheit, wird die Kirche eine bloße Organisation, verwandelt sich die Autorität in Herrschaft, wird Mission zu Propaganda, Gottesdienst zu Beschwörung und christliches Handeln zu einer Sklavenmoral (vgl. Ansprache an die ökumenische Konferenz von Uppsala, 1968).
Beten wir also, dass die Synode, die morgen eröffnet wird, die Erfahrung von Ehe und Familie zu einem vollkommenen Menschenbild zurückzuführen weiß; dass sie alles Schöne, Gute und Heilige in ihr erkenne, aufwerte und vor Augen führe; dass sie sich die Situationen von Verwundbarkeit zu Herzen nehme, die für viele Familien eine harte Prüfung darstellen: Armut, Kriege, Krankheit, Trauer, verletzte und zerrissene Beziehungen, die Missbehagen, Groll und Brüche verursachen; dass sie diese Familien wie überhaupt alle Familien daran erinnere, dass das Evangelium die „Frohe Botschaft“ bleibt, von der aus man immer neu beginnen kann. Mögen die Synodenväter fähig sein, aus dem Schatz der lebendigen Überlieferung Worte des Trostes und Orientierungen der Hoffnung zu schöpfen für Familien, die in dieser Zeit dazu berufen sind, die Zukunft der kirchlichen Gemeinschaft und der Stadt des Menschen aufzubauen.
***
Jede Familie ist nämlich immer ein Licht – so schwach es auch sein mag – im Dunkel der Welt.
Die Geschichte Jesu selbst unter den Menschen nimmt Gestalt an im Schoß einer Familie, in der er dreißig Jahre lang bleibt. Und seine Familie ist eine Familie wie viele andere, in einem abgelegenen Dorf am Rande der Imperiums.
Charles de Foucauld hat wie wohl wenige andere die geistliche Bedeutung erfasst, die von Nazareth ausgeht. Dieser große Forscher verließ sehr bald die militärische Laufbahn und war fasziniert vom Geheimnis der Heiligen Familie, vom täglichen Umgang Jesu mit seinen Eltern und den Nachbarn, von der Arbeit im Stillen, vom demütigen Gebet. Bei der Betrachtung der Familie von Nazareth spürte Bruder Charles die Unfruchtbarkeit der Gier nach Reichtum und Macht; mit dem Apostolat der Güte wurde er allen alles. Er, der sich zum Einsiedlerleben hingezogen fühlte, begriff, dass man nicht in der Liebe zu Gott wächst, wenn man die Knechtschaft der menschlichen Beziehungen umgeht. Denn in der Liebe zu den anderen lernt man, Gott zu lieben; indem man sich zum Nächsten niederbeugt, erhebt man sich zu Gott. Durch die brüderliche und solidarische Nähe zu den Ärmsten und Verlassensten verstand er, dass letztlich gerade sie es sind, die uns evangelisieren, indem sie uns helfen, in der Menschlichkeit zu wachsen.
Um die Familie heute zu verstehen, lasst auch uns – wie Charles de Foucauld – in das Geheimnis der Familie von Nazareth eintreten, in ihr verborgenes, alltägliches und gewöhnliches Leben, wie das der Mehrheit unserer Familien ist, mit ihren Mühen und ihren einfachen Freuden. Ein Leben, das durchwoben ist von gelassener Geduld in Widerwärtigkeiten, von Achtung gegenüber der Situation jedes Einzelnen, von jener Demut, die befreit und im Dienen erblüht. Ein Leben in Geschwisterlichkeit, die aus dem Gefühl entspringt, Teil eines einzigen Leibes zu sein.
Die Familie ist Ort einer vom Evangelium inspirierten Heiligkeit, die sich unter den gewöhnlichsten Bedingungen verwirklicht. Dort nimmt man die Erinnerung der Generationen in sich auf und schlägt Wurzeln, die befähigen, sich nach hohen Zielen auszustrecken. Die Familie ist Ort der Unterscheidung, wo man dazu angeleitet wird, den Plan Gottes für das eigene Leben zu erkennen und vertrauensvoll anzunehmen. Die Familie ist Ort der Unentgeltlichkeit, einer taktvollen, brüderlichen und solidarischen Gegenwart, die lehrt, aus sich selbst herauszugehen, um den anderen anzunehmen, um zu vergeben und Vergebung zu spüren.
***
Gehen wir wieder von Nazareth aus für eine Synode, die – mehr noch als über die Familie zu reden – fähig ist, von ihr zu lernen, in der Bereitschaft, immer ihre Würde, ihren Charakter und ihren Wert zu erkennen, trotz aller Mühen und Widersprüche, die sie kennzeichnen mögen.
Im »heidnischen Galiläa « (Mt 4,15) unserer Zeit werden wir die Bedeutung einer Kirche wiederentdecken, die Mutter ist, fähig, zum Leben zu erwecken, achtsam, um ständig das Leben hinzugeben, und beflissen, um mit Hingabe, Zärtlichkeit und moralischer Kraft zu begleiten. Denn wenn wir nicht verstehen, die Gerechtigkeit mit dem Mitleid zu verbinden, werden wir schließlich unnötig streng und zutiefst ungerecht sein.
Eine Kirche, die Familie ist, weiß mit der Liebe und der Nähe eines Vaters zu handeln, der die Verantwortung des Hüters lebt, der beschützt, ohne zu bevormunden, der korrigiert, ohne zu demütigen, der erzieht mit dem guten Vorbild und mit Geduld – bisweilen einfach mit dem Schweigen eines betenden und offenen Wartens.
Vor allem aber wird eine Kirche von Töchtern und Söhnen, die sich als Geschwister erkennen, nie so weit kommen, jemanden nur als eine Last, als ein Problem, als Anlass zu Opfer, Sorge oder Risiko zu betrachten: Der andere ist im Wesentlichen ein Geschenk und bleibt das auch, wenn er andere Wege einschlägt.
Die Kirche ist ein offenes Haus, weit entfernt von Prunksucht, aufnahmebereit im nüchternen Stil ihrer Mitglieder und gerade deshalb zugänglich für die Hoffnung auf Frieden, die in jedem Menschen vorhanden ist, auch in denen, deren Herz durch die Prüfungen des Lebens verletzt und leidend ist.
Diese Kirche kann wahrlich die Nacht des Menschen erhellen, ihm glaubwürdig das Ziel zeigen und seine Schritte mit ihm gehen, gerade weil sie als Erste die Erfahrung macht, im erbarmenden Herzen des Vaters ständig zu neuem Leben erweckt zu werden.
[01619-DE.02] [Originalsprache: Deutsch]
Testo in lingua spagnola
Queridas familias, buenas tardes.
¿Vale la pena encender una pequeña vela en la oscuridad que nos rodea? ¿No se necesitaría algo más para disipar la oscuridad? Pero, ¿se pueden vencer las tinieblas?
En ciertas épocas de la vida –de esta vida llena de recursos estupendos–, preguntas como esta se imponen con apremio. Frente a las exigencias de la existencia, existe la tentación de echarse para atrás, de desertar y encerrarse, a lo mejor en nombre de la prudencia y del realismo, escapando así de la responsabilidad de cumplir a fondo el propio deber.
¿Recuerdan la experiencia de Elías? El cálculo humano le causa al profeta un miedo que lo empuja a buscar refugio. Miedo. «Entonces Elías tuvo miedo, se levantó y se fue para poner a salvo su vida […] Caminó cuarenta días y cuarenta noches hasta el Horeb, el monte de Dios. Allí se introdujo en la cueva y pasó la noche. Le llegó la palabra del Señor preguntando: “¿Qué haces aquí, Elías?”» (1 R 19,3.8-9). Luego, en el Horeb, la respuesta no la encontrará en el viento impetuoso que sacude las rocas, ni en el terremoto, ni tampoco en el fuego. La gracia de Dios no levanta la voz, es un rumor que llega a cuantos están dispuestos a escuchar la suave brisa -Aquel tenue silencio sonoro- los exhorta a salir, a regresar al mundo, a ser testigos del amor de Dios por el hombre, para que el mundo crea…
Con este espíritu, hace precisamente un año, en esta misma plaza, invocábamos al Espíritu Santo pidiéndole que los Padres sinodales –al poner atención en el tema de la familia– supieran escuchar y confrontarse teniendo fija la mirada en Jesús, Palabra última del Padre y criterio de interpretación de la realidad.
Esta noche, nuestra oración no puede ser diferente. Pues, como recordaba el Metropolita Ignacio IV Hazim, sin el Espíritu Santo, Dios resulta lejano, Cristo permanece en el pasado, la Iglesia se convierte en una simple organización, la autoridad se transforma en dominio, la misión en propaganda, el culto en evocación y el actuar de los cristianos en una moral de esclavos (cf. Discurso en la Conferencia Ecuménica de Uppsala, 1968).
Oremos, pues, para que el Sínodo que se abre mañana sepa reorientar la experiencia conyugal y familiar hacia una imagen plena del hombre; que sepa reconocer, valorizar y proponer todo lo bello, bueno y santo que hay en ella; abrazar las situaciones de vulnerabilidad que la ponen a prueba: la pobreza, la guerra, la enfermedad, el luto, las relaciones laceradas y deshilachadas de las que brotan dificultades, resentimientos y rupturas; que recuerde a estas familias, y a todas las familias, que el Evangelio sigue siendo la «buena noticia» desde la que se puede siempre comenzar de nuevo. Que los Padres sepan sacar del tesoro de la tradición viva palabras de consuelo y orientaciones esperanzadoras para las familias, que están llamadas en este tiempo a construir el futuro de la comunidad eclesial y de la ciudad del hombre.
***
Cada familia es siempre una luz, por más débil que sea, en medio de la oscuridad del mundo.
La andadura misma de Jesús entre los hombres toma forma en el seno de una familia, en la cual permaneció treinta años. Una familia como tantas otras, asentada en una aldea insignificante de la periferia del Imperio.
Charles de Foucauld intuyó, quizás como pocos, el alcance de la espiritualidad que emana de Nazaret. Este gran explorador abandonó muy pronto la carrera militar fascinado por el misterio de la Sagrada Familia, por la relación cotidiana de Jesús con sus padres y sus vecinos, por el trabajo silencioso, por la oración humilde. Contemplando a la Familia de Nazaret, el hermano Charles se percató de la esterilidad del afán por las riquezas y el poder; con el apostolado de la bondad se hizo todo para todos; atraído por la vida eremítica, entendió que no se crece en el amor de Dios evitando la servidumbre de las relaciones humanas, porque amando a los otros es como se aprende a amar a Dios; inclinándose al prójimo es como nos elevamos hacia Dios. A través de la cercanía fraterna y solidaria a los más pobres y abandonados entendió que, a fin de cuentas, son precisamente ellos los que nos evangelizan, ayudándonos a crecer en humanidad.
Para entender hoy a la familia, entremos también nosotros –como Charles de Foucauld– en el misterio de la Familia de Nazaret, en su vida escondida, cotidiana y ordinaria, como es la vida de la mayor parte de nuestras familias, con sus penas y sus sencillas alegrías; vida entretejida de paciencia serena en las contrariedades, de respeto por la situación de cada uno, de esa humildad que libera y florece en el servicio; vida de fraternidad que brota del sentirse parte de un único cuerpo.
La familia es lugar de santidad evangélica, llevada a cabo en las condiciones más ordinarias. En ella se respira la memoria de las generaciones y se ahondan las raíces que permiten ir más lejos. Es el lugar de discernimiento, donde se nos educa para descubrir el plan de Dios para nuestra vida y saber acogerlo con confianza. La familia es lugar de gratuidad, de presencia discreta, fraterna, solidaria, que nos enseña a salir de nosotros mismos para acoger al otro, para perdonar y sentirse perdonados.
Volvamos a Nazaret para que sea un Sínodo que, más que hablar sobre la familia, sepa aprender de ella, en la disponibilidad a reconocer siempre su dignidad, su consistencia y su valor, no obstante las muchas penalidades y contradicciones que la puedan caracterizar.
En la «Galilea de los gentiles» de nuestro tiempo encontraremos de nuevo la consistencia de una Iglesia que es madre, capaz de engendrar la vida y atenta a comunicar continuamente la vida, a acompañar con dedicación, ternura y fuerza moral. Porque si no somos capaces de unir la compasión a la justicia, terminamos siendo seres inútilmente severos y profundamente injustos.
Una Iglesia que es familia sabe presentarse con la proximidad y el amor de un padre, que vive la responsabilidad del custodio, que protege sin reemplazar, que corrige sin humillar, que educa con el ejemplo y la paciencia. A veces, con el simple silencio de una espera orante y abierta.
Y una Iglesia sobre todo de hijos, que se reconocen hermanos, nunca llega a considerar al otro sólo como un peso, un problema, un coste, una preocupación o un riesgo: el otro es esencialmente un don, que sigue siéndolo aunque recorra caminos diferentes.
La Iglesia es una casa abierta, lejos de grandezas exteriores, acogedora en el estilo sobrio de sus miembros y, precisamente por ello, accesible a la esperanza de paz que hay dentro de cada hombre, incluidos aquellos que –probados por la vida– tienen el corazón lacerado y dolorido.
Esta Iglesia puede verdaderamente iluminar la noche del hombre, indicarle con credibilidad la meta y compartir su camino, sencillamente porque ella es la primera que vive la experiencia de ser incesantemente renovada en el corazón misericordioso del Padre.
[01619-ES.02] [Texto original: Español]
Traduzione in lingua portoghese
Queridas famílias, boa noite!
Que aproveita acender uma pequena candeia na escuridão que nos rodeia? Bem mais seria necessário para dissipar a obscuridade. Mas podem-se vencer as trevas?
Há certas fases da vida (uma vida que, apesar de tudo, está cheia de recursos maravilhosos) em que estas questões se impõem com toda a sua força. À vista das exigências da vida, sente-se a tentação de voltar atrás, desertar e fechar-se, até mesmo em nome da prudência e do realismo, escapando assim da responsabilidade de fazer cabalmente a própria parte.
Recordais a experiência de Elias? O cálculo humano leva o profeta a encher-se de medo, e este impele-o a refugiar-se. «Elias teve medo e saiu dali para salvar a sua vida. (...) Andou quarenta dias e quarenta noites até chegar ao Horeb, o monte de Deus. Tendo chegado ao Horeb, Elias passou a noite numa caverna, onde lhe foi dirigida a palavra do Senhor: “Que fazes aí, Elias?”» (1 Re 19, 3.8-9). Depois, no Horeb, encontrará a resposta, não no vento impetuoso que fendia as rochas, nem no terremoto, nem sequer no fogo. A graça de Deus não ergue a voz; é um murmúrio, de que se apercebem todos aqueles que estão prontos a ouvir a sua brisa suave: exorta-os a sair, a voltar para o mundo, testemunhas do amor de Deus pelo homem, para que o mundo creia…
Com este fôlego, precisamente há um ano nesta mesma Praça, invocámos o Espírito Santo, pedindo que os Padres sinodais – ao debruçar-se sobre a família – soubessem escutar e dialogar tendo os olhos fixos em Jesus, Palavra definitiva do Pai e critério de interpretação de tudo.
Nesta noite, não pode ser diferente a nossa oração. Porque, como recordava o Metropolita Ignazio IV Hazim, sem o Espírito Santo, Deus fica longe, Cristo permanece no passado, a Igreja torna-se uma simples organização, a autoridade transforma-se em domínio, a missão em propaganda, o culto em evocação, o agir dos cristãos numa moral de escravos (cf. Discurso à Conferência Ecuménica de Uppsala, 1968).
Por isso, rezemos para que o Sínodo, cuja abertura é amanhã, saiba reconduzir a uma figura de homem na sua plenitude a experiência conjugal e familiar; reconheça, valorize e proponha tudo o que nela há de belo, bom e santo; abrace as situações de vulnerabilidade, que a põem à prova: a pobreza, a guerra, a doença, o luto, as relações feridas e desfeitas de que brotam contrariedades, ressentimentos e rupturas; lembre a estas famílias, como a todas as famílias, que o Evangelho permanece uma «boa notícia» donde recomeçar. Do tesouro da tradição viva, os Padres saibam tirar palavras de consolação e directrizes de esperança para famílias chamadas a construir, neste tempo, o futuro da comunidade eclesial e da cidade do homem.
***
Com efeito, cada família é sempre uma luz, ainda que ténue, na escuridão do mundo.
A própria história de Jesus no meio dos homens toma forma no seio duma família e, nela, permanecerá durante 30 anos. A sua é uma família como muitas outras, localizada numa remota aldeia da periferia do Império.
Talvez como poucos mais, Carlos de Foucauld intuiu o alcance da espiritualidade que emana de Nazaré. Este grande explorador apressou-se a deixar a carreira militar, fascinado pelo mistério da Sagrada Família, da relação diária de Jesus com os pais e os vizinhos, do trabalho silencioso, da oração humilde. Olhando para a Família de Nazaré, o irmão Carlos sentiu a esterilidade da avidez de riqueza e poder; com o apostolado da bondade, fez-se tudo para todos; atraído pela vida eremita, compreendeu que não se cresce no amor de Deus, evitando a serventia das relações humanas. Porque é amando os outros que se aprende a amar a Deus; é inclinando-se sobre o próximo que nos elevamos para Deus. Através da aproximação fraterna e solidária aos mais pobres e abandonados, ele compreendeu que, afinal, são precisamente eles que nos evangelizam a nós, ajudando-nos a crescer em humanidade.
Para compreender hoje a família, entremos também nós – como Carlos de Foucauld – no mistério da Família de Nazaré, na sua vida escondida, rotineira e comum, como é a vida da maioria das nossas famílias, com as suas penas e as suas alegrias simples; vida tecida de serena paciência nas contrariedades, de respeito pela condição de cada um, de humildade que liberta e floresce no serviço; vida de fraternidade, que brota de sentir-se parte de um único corpo.
A família é lugar de santidade evangélica, realizada nas condições mais comuns. Nela se respira a memória das gerações e mergulham raízes que permitem chegar longe. É lugar do discernimento, onde nos educam a reconhecer o desígnio de Deus acerca da nossa própria vida e a abraçá-lo com confiança. É lugar de gratuidade, de presença discreta, fraterna e solidária, que ensina a sair de si mesmo para acolher o outro, para perdoar e ser perdoados.
* * *
Recomecemos de Nazaré para termos um Sínodo que, mais do que falar de família, saiba ir à sua escola, com a disponibilidade de reconhecer sempre a sua dignidade, consistência e valor, apesar das muitas fadigas e contradições que a possam marcar.
Na «Galileia dos gentios» do nosso tempo, voltaremos a encontrar a espessura duma Igreja que é mãe, capaz de gerar para a vida e cuidadosa em dar continuamente a vida, em acompanhar com dedicação, ternura e força moral. Porque, se não soubermos unir a compaixão à justiça, acabaremos por ser inutilmente severos e profundamente injustos.
Uma Igreja, que é família, sabe apresentar-se com a proximidade e o amor dum pai, que vive a responsabilidade do guardião, que protege sem substituir, que corrige sem humilhar, que educa com o exemplo e a paciência... e, por vezes, simplesmente com o silêncio duma expectativa orante e aberta.
Sobretudo uma Igreja de filhos que se reconhecem irmãos nunca chega a considerar alguém apenas como um fardo, um problema, um custo, uma preocupação ou um risco: o outro é essencialmente um dom, que continua a ser tal mesmo quando percorre estradas diferentes.
A Igreja é casa aberta, alheada de grandezas exteriores, acolhedora no estilo sóbrio dos seus membros e, por isso mesmo, acessível à esperança de paz que existe dentro de cada homem, incluindo aqueles que – provados pela vida – têm o coração ferido e atribulado.
Uma Igreja assim pode verdadeiramente iluminar a noite do homem, apontar-lhe credivelmente a meta e compartilhar os seus passos, precisamente porque ela foi a primeira que viveu a experiência de ser incessantemente regenerada no coração misericordioso do Pai.
[01619-PO.02] [Texto original: Português]
Traduzione in lingua polacca
Dobry wieczór, drogie rodziny!
Czemu służy zapalenie małej świecy w otaczającej nas ciemności? Czy nie trzeba by czegoś całkiem innego, aby rozproszyć ciemności? Ponadto, czy można przezwyciężyć ciemności?
W pewnych okresach życia - tego życia, w którym jest tyle niezwykłych bogactw - podobne pytania narzucają się z całą mocą. W obliczu wymogów życia, pokusa prowadzi do wycofania się, do dezercji i zamknięcia się w sobie, być może w imię rozwagi i realizmu, uciekając w ten sposób od obowiązku wniesienia swego wkładu.
Czy pamiętacie doświadczenie Eliasza? Ludzkie rachunki rozbudzają w proroku lęk, który skłania go do szukania schronienia. Lęk. „Eliasz zląkłszy się, powstał i ratując się ucieczką, [...] szedł czterdzieści dni i czterdzieści nocy aż do Bożej góry Horeb. Tam wszedł do pewnej groty, gdzie przenocował. Wtedy Pan skierował do niego słowo i przemówił: «Co ty tu robisz, Eliaszu?» (1 Krl 19,3.8-9). Następnie, na górze Horeb, znalazł odpowiedź nie w gwałtownej wichurze druzgocącej skały, nie w trzęsieniu ziemi, ani też w ogniu. Boża łaska nie podnosi głosu; jest to szmer, który dociera do tych, którzy są gotowi słuchać łagodnego powiewu – ta nić dźwięczącej ciszy – w nim wzywa świadków miłości Boga do człowieka, aby wyszli, żeby świat uwierzył ...
Z tym odczuciem, dokładnie rok temu, na tym samym placu, wzywaliśmy Ducha Świętego, prosząc, aby ojcowie synodalni podejmując temat rodziny umieli słuchać i dyskutować między sobą wpatrując się w Jezusa, ostateczne Słowo Ojca i kryterium interpretacji wszystkiego.
Dziś wieczorem nasza modlitwa nie może być inna. Ponieważ, jak przypomniał metropolita Ignacy IV Hazim, bez Ducha Świętego, Bóg jest daleki, Chrystus zostaje w przeszłości, Kościół staje się zwyczajną organizacją, władza przekształca się w panowanie, misja staje się propagandą, kult wspomnieniem, działania chrześcijan moralnością niewolników (por. Przemówienie do Konferencji ekumenicznej w Upsala, 1968).
Módlmy się zatem, aby rozpoczynający się jutro Synod potrafił przywrócić pełnemu obrazowi człowieka doświadczenie małżeństwa i rodziny; by uznał, docenił i zaproponował to, co w nim jest piękne, dobre i święte; by poświęcił uwagę sytuacjom kruchości, które stawiają ją w obliczu prób: ubóstwa, wojny, choroby, śmierci bliskich, poranionych i chaotycznych relacji, z których rodzą się trudności, urazy i porażki; by przypominał tym rodzinom, jak i wszystkim innym rodzinom, że Ewangelia jest nadal „dobrą nowiną”, od której zawsze trzeba na nowo zaczynać. Aby ze skarbca żywej tradycji Ojców potrafił czerpać słowa pociechy oraz nastawienie nadziei dla rodzin powołanych, by w tym czasie budować przyszłość wspólnoty kościelnej i miasta człowieka.
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Każda rodzina zawsze jest w istocie światłem, choćby i słabym, w ciemności świata.
Sama historia Jezusa wśród ludzi nabiera kształtu w łonie rodziny, w obrębie której pozostanie trzydzieści lat. Jego rodzina była taką, jak wiele innych, żyjącą w zagubionej wiosce na obrzeżach imperium.
Karol de Foucauld, jak być może niewielu innych, wyczuł nośność duchowości, która emanuje z Nazaretu. Ten wielki odkrywca nagle porzucił karierę wojskową, zafascynowany tajemnicą Świętej Rodziny, codzienną relacją Jezusa z rodzicami i sąsiadami, cichą pracą, pokorną modlitwą. Patrząc na Rodzinę z Nazaretu, Brat Karol dostrzegł jałowość żądzy bogactwa i władzy; poprzez apostolstwo dobroci stał się wszystkim dla wszystkich; pociągnięty życiem pustelniczym, zdał sobie sprawę, że nie można wzrastać w miłości Boga, unikając niewoli relacji międzyludzkich. Bowiem kochając innych, uczymy się kochać Boga; i pochylając się nad bliźnim, wznosimy się do Boga. Poprzez braterską i solidarną bliskość wobec najuboższych i opuszczonych, uświadomił sobie, że w końcu to oni są tymi, którzy nas ewangelizują, pomagając nam wzrastać w człowieczeństwie.
Aby dziś zrozumieć rodzinę, podobnie jak Karol de Foucauld wkraczamy w tajemnicę Rodziny z Nazaretu, w jej życie ukryte, powszednie i zwyczajne, tak jak życie większości naszych rodzin, z ich cierpieniami i prostymi radościami; życie przeniknięte pogodną cierpliwością w przeciwnościach, poszanowaniem dla statusu każdego, tą pokorą, która wyzwala i rozkwita w służbie; życie rodzące się z poczucia się częścią jednego ciała.
Rodzina jest miejscem ewangelicznej świętości, realizowanej w najbardziej zwyczajnych warunkach. Oddycha się w niej pamięcią pokoleń i zgłębia korzenie, które pozwalają iść daleko. Jest to miejsce rozeznania, gdzie wychowuje się do rozpoznawania Bożego planu odnośnie własnego życia i akceptowania go z ufnością. Jest to miejsce bezinteresowności, dyskretnej obecności, braterskiej i solidarnej, które uczy wychodzenia od siebie, aby przyjąć drugiego, aby przebaczać i mieć poczucie przebaczenia.
* * *
Wyruszamy z Nazaretu na Synod, który oby nie tyle mówił o rodzinie, ile potrafił zasiąść w jej szkole, będąc gotowym do uznawania zawsze jej godności, wielkości i wartości, pomimo wielu trudów i przeciwieństw, jakie mogą ją naznaczyć.
W „Galilei pogan” naszych czasów odnajdziemy znaczenie Kościoła, który jest matką, zdolną rodzić do życia i czuwającą, by nieustanie dawać życie, aby towarzyszyć z poświęceniem, czułością i siłą moralną. Bo jeśli nie potrafimy łączyć współczucia ze sprawiedliwością, to staniemy się bezużytecznie surowymi i głęboko niesprawiedliwymi.
Kościół, będący rodziną, umie przyjąć postawę bliskości i miłości ojca, który przeżywa odpowiedzialność opiekuna, który chroni nie zastępując innych, który koryguje nie upokarzając, który wychowuje poprzez przykład i cierpliwość. Niekiedy, po prostu milczeniem modlitewnego i otwartego oczekiwania.
Przede wszystkim Kościół dzieci, które uznają siebie za braci nigdy nie dopuszcza się traktowania kogoś jedynie jako ciężar, problem, koszt, troskę lub zagrożenie: drugi jest w istocie darem, który pozostaje takim nawet wówczas, gdy idzie innymi drogami.
Kościół jest domem otwartym, dalekim od wielkości zewnętrznych, gościnnym w prostym stylu swoich członków, i właśnie z tego względu dostępny dla nadziei pokoju, która jest w każdym człowieku, w tym także ludzi doświadczonych przez życie, którzy mają serce zranione i cierpiące.
Ten Kościół może naprawdę rozjaśnić noc człowieka, wiarygodnie wskazywać mu cel i dzielić jego kroki, ponieważ sam jako pierwszy żyje doświadczeniem bycia stale odradzanym w miłosiernym sercu Ojca.
[01619-PL.03] [Testo originale: Polacco]
[B0755-XX.03]