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Intervento del Segretario per i Rapporti con gli Stati al Convegno promosso dall’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede e dall’Accademia d’Ungheria in Roma in occasione del 95mo anniversario dell’Istituzione della Nunziatura Apostolica di Budapest (1920) e del 25mo anniversario della sua riapertura (1990), 12.06.2015


Pubblichiamo di seguito l’intervento che S.E. Mons. Paul R. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha pronunciato questa mattina a Roma nel corso del Convegno promosso dall’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede e dall’Accademia d’Ungheria in Roma in occasione del 95° anniversario dell’istituzione della Nunziatura apostolica di Budapest (1920) e del 25° anniversario della sua riapertura (1990):

Intervento di S.E. Mons. Paul R. Gallagher

Eccellenze,
Signore e Signori,

Ringrazio vivamente gli organizzatori per l’invito rivoltomi a introdurre questa conferenza, promossa dall’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede, in collaborazione con l’Accademia d’Ungheria in Roma, in occasione del 95° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Ungheria e del 25° anniversario del loro ristabilimento, dopo 45 anni di rottura.

Venticinque anni fa, precisamente il 7 febbraio 1990, il Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, partì per una visita di sei giorni in Ungheria, accompagnato da Monsignor Francesco Colasuonno, Nunzio Apostolico con incarichi speciali. La visita segnò la ripresa delle relazioni diplomatiche, tramite l’Accordo firmato a Budapest, nel corso della citata visita, il 9 dello stesso mese.

Nell’introdurre l’odierna conferenza, vorrei toccare brevemente il significato di quell’Accordo, stipulato “a seguito della profonda evoluzione politica e sociale prodottasi in Ungheria”, che ha concluso il passato di accordi e norme restrittive della libertà religiosa del periodo di oppressione, ha inaugurato il presente di relazioni amichevoli e ha previsto il futuro di nuovi Accordi bilaterali.

La persecuzione contro la Chiesa Cattolica in Ungheria cominciò con la riforma agraria del 1945, che espropriò la Chiesa della maggior parte delle sue proprietà fondiarie, e proseguì nel 1948 con la nazionalizzazione delle scuole, sino ad allora in gran parte della Chiesa, con gli ostacoli frapposti all’insegnamento religioso nelle scuole, con la repressione delle organizzazioni e della stampa cattoliche, con la soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose nel 1950. Un decreto governativo del 1957 rendeva praticamente impossibile alla Santa Sede provvedere al governo delle Diocesi. Per disposizione del Papa Giovanni XXIII, nel 1963 Mons. Casaroli, allora Sottosegretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari, compì due viaggi a Budapest e a Praga per riprendere i contatti, interrotti da anni, con i governi comunisti. “Si trattava di vedere che cosa fosse possibile fare al servizio della Chiesa nell’Ungheria e nella Cecoslovacchia comuniste, cercando di non limitare il dialogo ai soli ‘casi’ Mindszenty e Beran”(AGOSTINO CASAROLI, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i paesi comunisti (1963-89), Torino 2000, 9). Grazie a tali contatti, il 15 settembre 1964 fu firmato nella sede del Ministero degli Affari Esteri a Budapest un Atto con annesso Protocollo che riconobbe alla Santa Sede il diritto di nominare i Vescovi. Il governo si riservava, tuttavia, di dare o di rifiutare il proprio consenso alle nomine. Ai Vescovi, inoltre, veniva imposto l’obbligo di prestare il giuramento di fedeltà alla Repubblica Popolare Ungherese. Un’altra intesa fu raggiunta il 23 gennaio 1969, relativa alla nomina di undici Arcivescovi, Vescovi ed Amministratori Apostolici, e l’11 gennaio 1975 circa la nomina di cinque nuovi Vescovi. Nonostante le intese parziali, la vita rimaneva difficile per la Chiesa sotto l’occhio vigilante dello stato e dell’ufficio per i culti. L’Accordo del 1990 ha dichiarato chiuso questo periodo: “Le due Parti considerano superate le intese parziali raggiunte con l’Atto sottoscritto a Budapest il 15 settembre 1964 con gli annessi Protocollo e due Allegati e le dichiarano pertanto abrogate”.

In secondo luogo, l’Accordo del 1990 ha inaugurato un nuovo capitolo di rapporti amichevoli, ristabilendo le relazioni diplomatiche fra la Sede Apostolica e l’Ungheria a livello di Nunziatura, da parte della Santa Sede, e di Ambasciata, da parte della Repubblica Ungherese. La Santa Sede sarebbe rappresentata a Budapest da un Nunzio Apostolico, mentre la Repubblica di Ungheria accrediterebbe presso la Sede Apostolica un Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario. Solo un mese più tardi, il 28 marzo, è stato nominato come Nunzio Apostolico in Ungheria S.E. Mons. Angelo Acerbi, al quale è succeduto, nel 1997, l’Arcivescovo Karl-Joseph Rauber, che nel Concistoro del 14 febbraio scorso è stato creato Cardinale di Santa Romana Chiesa. D’ora in poi, le questioni riguardanti la Chiesa Cattolica in Ungheria sarebbero regolate sia dal Codice di Diritto Canonico sia dalle norme della nuova legge sulla libertà di coscienza e di religione e sulle Chiese. Vale la pena ricordare che, caduto in Ungheria il regime comunista, fra i primi atti del nuovo governo vi fu la revisione della legislazione ecclesiastica, con il riconoscimento della piena libertà di religione.

In terzo luogo, l’Accordo citato ha previsto che in futuro “particolari questioni di mutuo interesse che abbisognassero di intese bilaterali” potrebbero “essere risolte di comune accordo”. In questo senso, l’Accordo sull’assistenza religiosa alle Forze Armate e di Polizia di Frontiera, stipulato nel 1994, ha permesso alla Chiesa Cattolica, da secoli radicata nella Nazione ungherese, di svolgere adeguatamente la sua azione pastorale in un ambito vitale e rilevante della società. Esso ha offerto alla Chiesa uno spazio adeguato per adoperarsi, in particolare, all’educazione dei giovani nel rispetto di quei valori etici e morali, quali la pace, la giustizia e il patriottismo, che fanno parte della migliore tradizione nazionale. Un nuovo Accordo, stipulato nel 1997 stabilisce che le attività degli enti ecclesiali di indole sociale ed educativa godono del medesimo trattamento riservato alle analoghe istituzioni statali. Inoltre, ha garantito alla Chiesa un’autonomia finanziaria adeguata al sostentamento delle attività propriamente religiose tramite la restituzione, in parte, dei beni nazionalizzati, tramite l’obbligo dello Stato di fornire un aiuto economico a titolo di indennizzo per i beni che non era possibile restituire alla Chiesa, e, infine, tramite la decisione dei fedeli di destinare alle Chiese l’1% dell’Imposta sui Redditi delle Persone Fisiche in favore delle comunità religiose di loro scelta. L’Accordo che è stato firmato il 21 ottobre 2013 e ratificato il 10 febbraio 2014 ha apportato alcune modifiche a quello del 1997, per aggiornarlo nel contesto delle nuove normative collegate con la Legge Fondamentale dell’Ungheria, promulgata il 25 aprile 2011.

Mi piace rilevare che l’Accordo del 1990 esprime l’ “intento di ripristinare ufficialmente e di sviluppare i reciproci rapporti di amicizia”. L’amicizia è un rapporto alla pari, basato sul rispetto, sulla stima e sulla disponibilità reciproca. Ma l’amicizia ha un significato particolare per i cristiani a causa del disegno di amicizia rivelato da Cristo. Il Signore ha detto ai suoi discepoli: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (Cfr. Dei Verbum 2). Una tale amicizia impegna. La Chiesa, pertanto, “non può non stabilire un dialogo con la società umana, in mezzo alla quale vive” (Christus Dominus 13), ma desidera offrire agli uomini di ogni tempo “il messaggio di amicizia, di salvezza e di speranza che Cristo ha recato nel mondo” (PAOLO VI, Discorso in apertura del secondo periodo del Concilio, 29 settembre 1963). Offre a tutti i popoli la sua amicizia, i suoi servizi e le sue energie spirituali e morali. Allo stesso tempo desidera che i rapporti internazionali si sviluppino sotto il segno dell’amicizia, come ha auspicato il beato Paolo VI nella sua Lettera Enciclica Populorum Progressio, dedicata alla cooperazione tra i Popoli: “Il passato è stato troppo spesso contrassegnato da rapporti di forza tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le relazioni internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e dell’amicizia, dell’interdipendenza nella collaborazione, e della promozione comune sotto la responsabilità di ciascuno” (n. 65).

Da parte sua la Sede Apostolica, dalla quale santo Stefano ricevette la corona, rimasta nei secoli simbolo dell’unità nazionale, ha desiderio di continuare a sviluppare i rapporti di amicizia con l’Ungheria. Mi auguro che i contributi di studiosi che interverranno a questa conferenza facciano conoscere gli importanti avvenimenti della storia ungherese in rapporto con la Santa Sede. Grazie per il vostro ascolto e per la vostra attenzione.

[01012-IT.01] [Testo originale: Italiano]