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Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 49a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 23.01.2015


Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 49a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

 

Intervento di S.E. Mons. Claudio Maria Celli

Intervento dei Professori Chiara Giaccardi e Mauro Magatti

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 49a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema: "Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore".

Intervengono alla conferenza S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; i coniugi: Chiara Giaccardi, Professore Ordinario di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) e Mauro Magatti, Professore Ordinario di Sociologia generale presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano).

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

Intervento di S.E. Mons. Claudio Maria Celli

L’attuale Messaggio si situa nel processo sinodale in corso dedicato alla famiglia. Un Sinodo Straordinario è stato appena celebrato e il prossimo ottobre vedrà la convocazione di un Sinodo Ordinario. Non è ovviamente un Messaggio sulla famiglia, ma sull’intima relazione tra famiglia e comunicazione.

Il Messaggio cerca di mettere a fuoco alcuni aspetti – sarebbe impossibile delinearli tutti o quasi tutti – della correlazione tra famiglia e comunicazione.

Credo che sia importante sottolineare subito quanto il Papa dice alla fine di questo Messaggio rilevando che la famiglia "non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche".

Infatti, a dire di Papa Francesco "I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato".

Da questo testo emerge un messaggio sostanzialmente positivo dato che il Papa afferma che la famiglia continua ad essere una grande risorsa e non solo un problema o una istituzione in crisi.

Come si potrà rilevare il Papa non è primariamente interessato alla problematica esistente tra famiglia e la comunicazione legata alle nuove tecnologie.

Si va al centro della dimensione più profondamente vera e umana della comunicazione:

- "la famiglia è il primo luogo dove impariamo a comunicare"

- "comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo"

- "Il grembo che ci ospita è la prima "scuola" di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo"

- "incontro tra due esseri (madre e figli) è la nostra prima esperienza di comunicazione"

Anche la famiglia è in un certo senso un "grembo" dove si apprende a comunicare nel contesto ampio di una diversità di "generi e di generazioni". E tale comunicare ha come suo principale punto di riferimento il legame che esiste tra i vari membri della famiglia che è tanto più ricca come proposta quanto più è ampio il ventaglio delle persone che la compongono.

Le stesse parole – nel loro contenuto più profondo con cui comunichiamo – le apprendiamo in seno alla famiglia: "Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute" .

Altro punto importante mi sembra essere l’affermazione che la famiglia ha la capacità di comunicarsi e di comunicare e questo in forza del legame che coinvolge i vari membri della famiglia stessa.

Un paragrafo è dedicato alla preghiera, definita come "forma fondamentale di comunicazione" che ha nella famiglia il suo ambiente di scoperta e di esperienza più vero.

Nel Suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, lo scorso anno, Papa Francesco, ispirandosi alla parabola del buon samaritano, aveva sottolineato che la comunicazione "«E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in termini di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la "prossimità" nell'uso dei mezzi di comunicazione e nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Trovo una risposta nella parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell'uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada". "Mi piace definire questo potere della comunicazione come "prossimità"".

Quest’anno, in piena linea di pensiero con quanto scritto, nel 2014, il Papa, ricordando che "Nella famiglia è soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e tuttavia sono così importanti l’una per l’altra" afferma a tutto tondo che è appunto la famiglia "a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come costruzione di prossimità".

E questa "prossimità" non ha come suo raggio di azione solo i membri della famiglia. Rifacendosi all’icona della Visitazione – nel Suo primo Messaggio aveva fatto riferimento alla parabola del buon samaritano – Papa Francesco ricorda che "Visitare comporta aprire le porte, non rinchiudersi nei propri appartamenti, uscire, andare verso l’altro" .

E tutto ciò è espressione e condizione di vita per la famiglia stessa: "Anche la famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa, e le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie".

Interessante, in questo contesto, la lettura del "perdono" come "dinamica di comunicazione" giacché si tratta di "una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere".

Un ampio paragrafo è dedicato ai "media più moderni" e alla loro influenza sulla comunicazione in famiglia e tra le famiglie perché possono ostacolarla o aiutarla.

Il testo riprende evidentemente quanto era già stato sottolineato dal Magistero Pontificio al riguardo; basti pensare a quanto hanno detto al riguardo San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Ma è importante riscoprire ancora una volta che sono i genitori i primi educatori dei figli, che sono sempre più presenti nel continente digitale. Non sarà una presenza che ha primariamente dimensioni tecnologiche – i figli ne sanno normalmente più dei genitori in questo campo – ma una capacità sapienziale.

È ben noto che uno dei grandi rischi è quello che il bambino o l’adolescente si chiudano o isolino in un "mondo virtuale" riducendo di molto il loro necessario inserimento nella vita reale di tutti i giorni, nelle interrelazioni di coinvolgenti amicizie. Con ciò non voglio minimamente dire che i rapporti di affetto o di amicizia che si sviluppano nel contesto delle reti non siano reali. Poi, occorre ricordare che giovani e non giovani siamo chiamati a dare testimonianza a Cristo anche nel contesto digitale, nelle reti sociali, dove tutti noi abitiamo.

[00127-01.01] [Testo originale: Italiano]

Intervento dei Professori Chiara Giaccardi e Mauro Magatti

Il messaggio che quest'anno ci regala Papa Francesco prosegue e approfondisce il tema dello scorso anno: l'incontro e la centralità antropologica anziché tecnologica di una riflessione sulla comunicazione oggi, attraverso il tema della famiglia, che è insieme simbolo, paradigma e contesto concreto della comunicazione.

L'icona della Visitazione getta nuova luce su questi due ambiti esistenziali fondamentali, la famiglia e la comunicazione, e sul loro profondo intreccio.

(Pontorno, Visitazione. Chiostrino dei Voti, Basilica Santissima Annunziata di Firenze. Foto: Mariangela Montanari)

 

1) L'antefatto: annunciazione ed effetti della parola

Comunicazione e ascolto. Antefatto dell'episodio della visitazione è quello dell'annunciazione. Nella loro sequenza, ci offrono un piccolo trattato narrativo sulla comunicazione.

Intanto, la prima mossa della comunicazione non è l'enunciazione, ma l'ascolto. Se non si sa ascoltare non si sa nemmeno parlare. Ascoltare gli altri, la realtà, la Parola in mezzo alle tante parole che ci raggiungono.

All'annuncio dell'angelo Maria, 'donna dell'ascolto', «accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio» (Conc Vat II, Lumen Gentium 53).

Si mette allora in viaggio e raggiunge 'in fretta' la città di Giuda, per andare a trovare la cugina Elisabetta, che in tarda età aspetta un figlio: La parola accolta non è mai senza effetto.

Prendere l'iniziativa e mettersi in cammino. Due movimenti segnano la sua risposta: si alza e si mette in viaggio. Il Vangelo usa il verbo anastàsa, che vuol dire 'alzàtasi' ma anche 'risorta': l'annuncio di una vita nuova è un momento di rinascita.

Sapendoci chiamate a 'mettere al mondo' siamo anche noi rimesse al mondo. Questa novità trasforma e mette in movimento. Fa prendere l'iniziativa:

Primerear, con il neologismo di Papa Francesco. Senza indugi.

Vale anche per la Chiesa. L'origine della missione è l'ascolto, il metodo è il cammino, la destinazione è la visitazione, la prossimità: pensiamo ai viaggi di Giovanni Paolo II e a quello appena concluso di Papa Francesco nelle Filippine. A Tacloban, epicentro del tifone che nel 2013 ha devastato l'isola, ha dichiarato: "Permettetemi una confidenza: quando vidi a Roma questa catastrofe sentii che dovevo essere qui. Quel giorno decisi di fare il viaggio qui. Sono venuto per stare con voi".

Andare a trovare, stare vicino, offrire il dono semplice della propria presenza e del proprio tempo sono i primi messaggi della comunicazione autentica.

Non per dire parole di consolazione, ma per essere accanto:

Comunicare prossimità con la prossimità, che è insieme medium e messaggio.

Solo percorrendo questo cammino verso l'altro la nostra fede si purificherà, perché 'la vera fede vede nella misura in cui cammina' (LF9). Visitare è il frequentativo di videre, vedere: andare a vedere.

Stando fermi la nostra fede, e il nostro modo di parlarne, diventa una collezione di enunciati, un idolo, uno scudo difensivo. Quanti esempi di questa chiusura, sui media tradizionali ma anche sui social media!

L'iniziativa è una risposta: non c'è contraddizione tra obbedire (ascoltare) e intraprendere. Tra invito e libertà. Possiamo dare ciò che abbiamo ricevuto. Maria può visitare perché è stata visitata.

Siamo abilitati ad agire da ciò che abbiamo ricevuto, ma l'azione è una nostra responsabilità, nella libertà.

Maria, piena di iniziativa, non è ossessionata dall'autonomia (il valore supremo che gli immaginari contemporanei esaltano) ma mossa dalla gratitudine e dal desiderio di condividere.

Questo è l'antefatto della visitazione. R.M. Rilke ha ridisegnato in modo toccante, col linguaggio della poesia, la successione di questi due episodi, in tutta la loro concretezza: perché - contro ogni dualismo - siamo carne impastata di spirito, spirito incarnato.

Ancora le era facile l’andare, al principio,
ma nella salita a volte lo avvertiva
il suo corpo miracoloso -
e si fermava, allora, respirando, sugli alti

monti di Giuda. Non la terra, ma per lei
la sua pienezza intorno era distesa;
andando lo sentì: questa grandezza
mai sarà varcata – questa, che ora percepiva.

E la spingeva a posare la mano
sul grembo dell’altra, già più largo.
E barcollarono le donne l’una verso l’altra,
e capelli e vesti si toccarono.

Ciascuna, colma del suo tempio,
nella compagna sua si riparava.
Ah, il Salvatore in lei – ancora un fiore;
ma il Battista in grembo alla cugina
ruppe la sua gioia dando guizzi

 

2) Il grembo materno è la prima scuola di Comunicazione

È ormai acquisito, anche se tardivamente, il ruolo importante che il linguaggio del corpo riveste nella comunicazione interpersonale.

Ma in questo messaggio si dice molto di più: il grembo materno è la prima scuola di comunicazione. Almeno in tre sensi.

- La Comunicazione come ospitalità. Le due donne incinte sono simbolo vivente dell'ospitalità, di chi sa adattare i propri ritmi a quelli dell'ospite, cogliendo con sollecitudine attenta ogni suo segnale di benessere o malessere. 'Scrigni di tenerezza' (don T. Bello) che portano con leggerezza il peso di un essere altro che dimora in loro.

Ospitalità è parola di reciprocità, dove chi ospita e chi è ospitato si definiscono a vicenda, dove la relazione inaugura per entrambi un nuovo modo di esistere.

'Nasco ogni volta che dico un tu', scriveva il poeta Aldo Capitini. L'interlocutore non è mai solo un destinatario, come la madre non è mai solo un 'contenitore' del figlio. Nell'incontro ciascuno è ri-generato a una identità nuova.

L'incontro è anche la condizione del riconoscimento. Che qui si manifesta nella solidarietà affettuosa tra le due donne, nel loro abbraccio di mutuo sostegno.

- Il mistero della voce. Il saluto di Maria ci parla del mistero della voce. Quell'estensione corporea, capace di modulare la parola attraverso il timbro unico (la 'grana', secondo Roland Barthes) di chi la pronuncia. Una parola che non resta mai senza effetti: può accarezzare o ferire, far sorridere o piangere, scaldare o gelare, salvare o uccidere. Se la scrittura, come sosteneva McLuhan, è fatta di 'parole intrappolate' nella pagina, la voce libera la parola e la fa arrivare all'altro in tutta la sua singolare unicità, con l'impronta inconfondibile e carnale di chi la pronuncia. Ma anche in tutta la sua forza.

Un richiamo, oggi, a non lasciare le nostre parole intrappolate nei display. A raggiungere l'altro col suono caldo della nostra voce. E a non usare la voce per ferire.

- Intimità e alterità. La parola di Maria produce una risposta fatta di movimento, sorpresa, gioia: il sussulto. Ascolto e contatto, protezione e attenzione, intimità e alterità: tutte dimensioni fondamentali della comunicazione, che hanno nella relazione mamma-bambino la loro origine e il loro archetipo. È nel grembo materno che impariamo a comunicare attraverso il corpo, ad ascoltare i segnali e a trasmetterli. Magari 'dando guizzi' come Giovanni, e percependone il miracolo, come Elisabetta.

Chi ha avuto questa esperienza sa che l'espressione 'madre surrogata' è un'astrazione, un tecnicismo senza senso.

Una volta nel mondo, a cominciare da quel 'grembo della seconda nascita' che è la famiglia, nei nostri dialoghi non rispondiamo solo con le parole, ma anche col corpo, che a volte è più sincero delle parole stesse nel rispondere all'altro, più eloquente nel comunicare accoglienza o distanza, benevolenza o diffidenza, sollecitudine o disinteresse. L'abbraccio, poi, è il termometro più sensibile (rispetto a tante domande) nel rilevare tensioni, preoccupazioni, paure.

L'esperienza del grembo ci accomuna tutti, anche se poi parleremo lingue diverse. Rimuoverla è causa di analfabetismo affettivo e comunicativo.

 

3) Dalla visitazione alla comunicazione

L'icona della visitazione è fonte di ispirazione per allargare la nostra idea di comunicazione in direzioni nuove.

- La Comunicazione come danza (e non duello). 'Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo'. Giovanni 'danza' nel ventre di Elisabetta. Come commenta s. Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia».

La gioia dell'incontro è la cornice e la premessa di ogni comunicazione autentica. Che è una festa e una danza prima che un dialogo: un movimento gioioso in cui l'altro è riconosciuto, assecondato e anticipato; in cui non ci si preoccupa solo di non pestarsi i piedi, ma di rendere armonioso e gioioso il proprio essere insieme.

- La Comunicazione come benedizione (e non maledizione). Elisabetta poi esclama 'benedetta tu tra le donne, e benedetto il frutto...'

La comunicazione non è 'riempire un vuoto' né 'trasmettere un messaggio', ma gioire e benedire.

Il bimbo sussulta, Elisabetta benedice Maria, la quale intona il canto di lode del Magnificat, che chiama in causa l'autore ultimo di tanta bellezza. In questo circolo virtuoso, dalla gioia dell'incontro scaturisce la benedizione, che non chiude i partecipanti in un circolo ristretto e consolatorio, ma apre verso la sorgente stessa di ogni benedizione: si può gioire perché siamo amati, si possono fare cose grandi perché grandi cose sono state fatte in noi e per noi.

Possiamo cantare la vita perché l'abbiamo accolta: non l'abbiamo creata, ma lasciata esistere, custodita e coltivata a partire dal nostro 'sì', pronunciato nella libertà.

Senza questo sì, la vita si non scorre, si blocca, si spegne.

Benedire e non maledire. Parlare bene e non parlare male, seminando zizzania, facendoci portavoce di messaggi di separazione e rancore, presentando le differenze come fossero inconciliabili, impermeabili alla prossimità.

Una lezione, per la nostra comunicazione interpersonale e mediata. Siamo capaci di benedire, di ringraziare, di non alimentare strumentalmente la contrapposizione e la divisione? Di non afferrare ogni parola sulla scena pubblica e piegarla verso l'una o l'altra delle posizioni precostituite? (Dagli esiti della conferenza stampa del Papa di ritorno dal suo ultimo viaggio non si direbbe).

- La Comunicazione presuppone e include le generazioni. Nella comunicazione c'è sempre l'incontro delle generazioni: intanto grazie alla lingua madre, che è la lingua dei padri, imparata in famiglia. Per quanto inventiamo continuamente parole nuove, ciò che ci consente di comunicare è ciò che abbiamo ricevuto in eredità.

L'icona della visitazione ci parla poi della compresenza delle generazioni, nella forma della presenza fisica o evocata: le madri, il bambino che sussulta in grembo, ma anche il Padre a cui Maria rivolge subito il proprio canto di gratitudine, includendolo nella scena. Se l'incontro è possibile, se la maternità è possibile, è perché siamo stati generati, perché siamo figli: in questa icona il filo orizzontale e quello verticale della generazione si intrecciano come la trama e l'ordito della relazione e della capacità di comunicare.

È la donna che tiene stretto questo filo, insieme delicato e tenace: 'Non perderlo, il filo della vita', scrive Mario Luzi. Senza tenere stretto questo filo la comunicazione è povera e vuota.

Ma anche la vita delle famiglie, tristemente rattrappita in un modello che ha respirato troppo individualismo, rischia di esserlo, con effetti anche drammatici, di solitudine e follia, come gli ormai tanti casi di infanticidio testimoniano.

La prima comunicazione è dunque quella della vita nella trasmissione tra le generazioni. Possiamo generare perché siamo stati generati, e siamo figli amati. Dare perché si è ricevuto (e quindi parlare perché si è ascoltato, riconoscendo con gratitudine il debito - della cultura, della lingua, del sapere, dell'esperienza) è il paradigma, la matrice generativa di ogni comunicazione.

Altra lezione di questa immagine: siamo veramente presenti all'altro se siamo in relazione anche con chi non c'è. Ma non nella forma della 'dislocazione digitale', che piuttosto indebolisce la qualità della nostra presenza, bensì nella nostra capacità di tenere teso 'il filo della vita', fare memoria grata di chi ci ha aiutato a esserci, e a essere ciò che siamo.

- Comunicazione e trasfigurazione. La comunicazione può trasfigurare la realtà o sfigurarla. La visitazione indica la via della trasfigurazione. Due donne semplici, su strade polverose, nella delicata condizione di madri a venire, sono il luogo in cui si rivelano le meraviglie del Signore, dove egli compie 'grandi cose'. La semplicità del loro incontro esprime una gioia che non può essere fabbricata con alcun effetto speciale.

In un mondo prometeico che pretende di trasformare tutto, esercitando in modo sempre più sofisticato la potenza, trasfigurare è l'alternativa 'deponente' (che può agire perché riconosce di aver ricevuto, dunque è grata e consapevole del limite). Proprio perché non ingombra dell'io, apre possibilità inaspettate di grazia e grandezza.

In sintesi:

La Metafora del 'grembo' parla della prima scuola di comunicazione di tutti i linguaggi, in primis quello del corpo, ed è anche il modello di ogni relazione, fatta di prossimità nell'alterità. Non può esserci comunicazione fuori dalla relazione: il paradigma è quello della prossimità, nella reciproca accoglienza, che poi prosegue nella famiglia e arriva nel mondo.

L'icona della visitazione ci invita poi ad allargare i codici della nostra comunicazione (non solo parole ma gesti di prossimità) e la gamma delle nostre possibilità comunicative: esultare, benedire, pregare, perdonare, dispiegando tutta quella che Guardini chiamava 'la libera pienezza della totalità cristiana'.

Questo vale anche per i media: non solo informare, educare, intrattenere (dove senza il suffisso -tainment pare non si possa più comunicare) ma anche raccontare, dare voce, trasformare le possibilità di connessione in invito alla prossimità anziché nastri isolanti che ci riparano dagli altri o muri che ci separano. Dire il buono e non soffiare sul fuoco della contrapposizione. Raccontare l'umano comune, oltre che le differenze.

Sui dispositivi il messaggio offre una indicazione fondamentale: la questione non è, genericamente, se vengono usati bene o male, ma se il baricentro della comunicazione è posto nel suo luogo vitale, l'incontro, anziché affidato semplicemente alla sua possibilità tecnica, la connessione.

Sulla famiglia tanti sono gli spunti che il messaggio ci invita ad approfondire:

- la famiglia è grembo e non bozzolo: riceve e trasmette, ripara ma non isola, è scuola di alterità

- La famiglia è una realtà concreta, imperfetta perché umana, e non modello ideale astratto: la famiglia è il luogo dove si sbaglia sempre, dove le cose per definizione non funzionano mai, ma dove ciononostante si va avanti, grazie al perdono

- La famiglia è un soggetto e non solo un oggetto di contesa nella battaglia tra ideologie; una risorsa e non solo un problema; una 'comunità narrativa' e non solo un dato statistico; la custode di un sogno e non solo un'istituzione in declino

- La famiglia deve aprirsi e respirare oltre se stessa, altrimenti soffoca. Se le famiglie si visitassero di più a vicenda molti gioghi sarebbero più leggeri: Visitarsi per sostenersi, raccontarsi, festeggiare

- La famiglia più bella deve ancora venire! Non serve nostalgia, ma iniziativa e nuove narrazioni.

[00126-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0059-XX.01]