Messaggio del Santo Padre per la 49ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Messaggio del Santo Padre
Testo in lingua francese
Testo in lingua inglese
Testo in lingua tedesca
Testo in lingua spagnola
Testo in lingua portoghese
"Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore" è il tema scelto dal Santo Padre Francesco per la 49ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Papa per la Giornata che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 17 maggio:
Messaggio del Santo Padre
Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore
Il tema della famiglia è al centro di un’approfondita riflessione ecclesiale e di un processo sinodale che prevede due Sinodi, uno straordinario – appena celebrato – ed uno ordinario, convocato per il prossimo ottobre. In tale contesto, ho ritenuto opportuno che il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali avesse come punto di riferimento la famiglia. La famiglia è del resto il primo luogo dove impariamo a comunicare. Tornare a questo momento originario ci può aiutare sia a rendere la comunicazione più autentica e umana, sia a guardare la famiglia da un nuovo punto di vista.
Possiamo lasciarci ispirare dall’icona evangelica della visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39-56). «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!"» (vv. 41-42).
Anzitutto, questo episodio ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la gioia dell’incontro è in un certo senso l’archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. Il grembo che ci ospita è la prima "scuola" di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma. Questo incontro tra due esseri insieme così intimi e ancora così estranei l’uno all’altra, un incontro pieno di promesse, è la nostra prima esperienza di comunicazione. Ed è un'esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi è nato da una madre.
Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un "grembo", che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E’ in famiglia che si impara a parlare nella "lingua materna", cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione.
L’esperienza del legame che ci "precede" fa sì che la famiglia sia anche il contesto in cui si trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. Quando la mamma e il papà fanno addormentare i loro bambini appena nati, molto spesso li affidano a Dio, perché vegli su di essi; e quando sono un po’ più grandi recitano insieme con loro semplici preghiere, ricordando con affetto anche altre persone, i nonni, altri parenti, i malati e i sofferenti, tutti coloro che hanno più bisogno dell’aiuto di Dio. Così, in famiglia, la maggior parte di noi ha imparato la dimensione religiosa della comunicazione, che nel cristianesimo è tutta impregnata di amore, l’amore di Dio che si dona a noi e che noi offriamo agli altri.
Nella famiglia è soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e tuttavia sono così importanti l’una per l’altra, a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità. Ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia: dal saluto di Maria e dal sussulto del bambino scaturisce la benedizione di Elisabetta, a cui segue il bellissimo cantico del Magnificat, nel quale Maria loda il disegno d’amore di Dio su di lei e sul suo popolo. Da un "sì" pronunciato con fede scaturiscono conseguenze che vanno ben oltre noi stessi e si espandono nel mondo. "Visitare" comporta aprire le porte, non rinchiudersi nei propri appartamenti, uscire, andare verso l’altro. Anche la famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa, e le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie.
La famiglia è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell’andare d’accordo. Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell’imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono. Il perdono è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di riconciliazione.
A proposito di limiti e comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all’amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno.
In un mondo, poi, dove così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le chiacchiere il nostro ambiente umano, la famiglia può essere una scuola di comunicazione come benedizione. E questo anche là dove sembra prevalere l’inevitabilità dell’odio e della violenza, quando le famiglie sono separate tra loro da muri di pietra o dai muri non meno impenetrabili del pregiudizio e del risentimento, quando sembrano esserci buone ragioni per dire "adesso basta"; in realtà, benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l’unico modo per spezzare la spirale del male, per testimoniare che il bene è sempre possibile, per educare i figli alla fratellanza.
Oggi i media più moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46ª G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2012). La possono favorire se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro. Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l’incontro, questo "inizio vivo", noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. Ma non vanno lasciati soli; la comunità cristiana è chiamata ad affiancarli perché sappiano insegnare ai figli a vivere nell’ambiente comunicativo secondo i criteri della dignità della persona umana e del bene comune.
La sfida che oggi ci si presenta è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione. E’ questa la direzione verso cui ci spingono i potenti e preziosi mezzi della comunicazione contemporanea. L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme.
Anche la famiglia, in conclusione, non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche, ma un ambiente in cui si impara a comunicare nella prossimità e un soggetto che comunica, una "comunità comunicante". Una comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare. In questo senso è possibile ripristinare uno sguardo capace di riconoscere che la famiglia continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi. I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile.
La famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro.
Dal Vaticano, 23 gennaio 2015
Vigilia della festa di san Francesco di Sales
FRANCISCUS PP.
[00128-01.01] [Testo originale: Italiano]
Testo in lingua francese
Communiquer la famille : milieu privilégié de la rencontre dans la gratuité de l'amour
Le thème de la famille se trouve au Centre d'une réflexion ecclésiale approfondie et d’un processus synodal qui comporte deux synodes, un extraordinaire – qui vient d’être célébré – et un synode ordinaire, convoqué pour octobre prochain. Dans ce contexte, il m’a semblé opportun que la famille soit le point de référence du thème de la prochaine Journée mondiale des communications sociales. La famille est du reste, le premier lieu où l'on apprend à communiquer. Retourner à ce moment originel peut nous aider autant à rendre la communication plus authentique et plus humaine qu’à considérer la famille d'un nouveau point de vue.
Nous pouvons nous laisser inspirer par l'icône évangélique de la visitation de Marie à Elisabeth (Lc 1, 39-56). « Or, quand Élisabeth entendit la salutation de Marie, l’enfant tressaillit en elle. Alors, Élisabeth fut remplie d’Esprit Saint, et s’écria d’une voix forte : "Tu es bénie entre toutes les femmes, et le fruit de tes entrailles est béni" » (v. 41-42).
Tout d'abord, cet épisode nous montre la communication comme un dialogue qui se noue avec le langage du corps. En effet, la première réponse à la salutation de Marie, c’est l'enfant qui la donne en tressaillant de joie dans le sein d'Élisabeth. Exulter pour la joie de la rencontre est en quelque sorte l'archétype et le symbole de toute autre communication que nous apprenons bien avant de venir au monde. Le sein qui nous accueille est la première "école" de communication, faite d’écoute et de contact corporel, où nous commençons à nous familiariser avec le monde extérieur dans un environnement protégé et au rythme rassurant des battements du cœur de la maman. Cette rencontre entre deux êtres aussi intimes et encore aussi étrangers l’un à l’autre, une rencontre pleine de promesses, est notre première expérience de communication. Et c'est une expérience qui nous unit tous, parce que chacun de nous est né d'une mère.
Même après la naissance, nous restons dans un certain sens dans le "sein" que représente la famille. Un sein constitué de personnes différentes, en relation : la famille est le « lieu où l’on apprend à vivre ensemble dans la différence » (Exhort. Apost. Evangelii gaudium, n. 66). Différences de genres et de générations, qui communiquent avant tout afin de s’accueillir mutuellement, car il existe un lien entre elles. Et, plus large est l’éventail de ces relations, plus sont différents les âges, plus riche est notre cadre de vie. C’est le lien qui est au fondement de la parole, qui à son tour, le renforce. Nous n’inventons pas les mots : nous pouvons les utiliser parce que nous les avons reçus. C'est dans la famille que l’on apprend à parler dans la "langue maternelle", c'est-à-dire la langue de nos ancêtres (cf. 2 M 7, 25.27). En famille on se rend compte que d'autres nous ont précédés, qu’ils nous ont mis dans la condition d'exister et de pouvoir à notre tour engendrer la vie et faire quelque chose de bon et de beau. Nous pouvons donner parce que nous avons reçu, et ce cercle vertueux est au cœur de la capacité de la famille à se communiquer et à communiquer ; et, plus généralement, c’est le paradigme de toute communication.
L'expérience du lien qui nous "précède" fait aussi de la famille le contexte où se transmet cette forme fondamentale de la communication qu’est la prière. Quand la maman et le papa font dormir leurs nouveau-nés, très souvent ils les confient à Dieu, pour qu’il veille sur eux ; et quand ils sont un peu plus grands, ils récitent ensemble avec eux des prières simples, se souvenant aussi avec affection d'autres personnes, des grands-parents, d’autres membres de la famille, des malades et de ceux qui souffrent, de toutes les personnes qui ont le plus besoin de l'aide de Dieu. Ainsi, en famille, la plupart d'entre nous ont appris la dimension religieuse de la communication, qui, dans le christianisme, est toute pleine d'amour, de l'amour de Dieu qui se donne à nous et que nous offrons aux autres.
C’est dans la famille que se développe principalement la capacité de s’embrasser, de se soutenir, de s’accompagner, de déchiffrer les regards et les silences, de rire et de pleurer ensemble, entre des personnes qui ne se sont pas choisies et qui pourtant sont si importantes l’une pour l'autre ; cela nous fait comprendre ce qu'est vraiment la communication comme découverte et construction de proximité. Réduire les distances, se rencontrer et s’accueillir mutuellement est un motif de gratitude et de joie : de la salutation de Marie et du tressaillement du bébé jaillit la bénédiction d'Élisabeth, suivie par le beau Cantique du Magnificat, dans lequel Marie fait l'éloge du dessein d'amour de Dieu sur elle et sur son peuple. D’un "oui" prononcé avec foi découlent des conséquences qui vont bien au-delà de nous-mêmes et se répandent dans le monde. "Visiter" signifie ouvrir les portes, et non pas se retirer dans ses appartements, sortir, aller vers l'autre. Ainsi la famille est vivante si elle respire en s’ouvrant au-delà d’elle-même, et les familles qui le font, peuvent communiquer leur message de vie et de communion, peuvent donner réconfort et espérance aux familles plus blessées et faire croître l'Église elle-même, qui est la famille des familles.
La famille est plus que tout autre le lieu où, vivant ensemble au quotidien, l’on fait l'expérience de ses propres limites et de celles des autres, des petits et des grands problèmes de la coexistence, de l'entente mutuelle. La famille parfaite n’existe pas, mais nous ne devons pas avoir peur de l'imperfection, de la fragilité, voire des conflits ; il faut apprendre à les affronter de manière constructive. Ainsi la famille où l’on s’aime malgré les propres limites et les péchés, devient une école de pardon. Le pardon est une communication dynamique, une communication qui s’use et se rompt et qui, à travers le repentir exprimé et accueilli, peut se renouer et faire grandir. Un enfant qui en famille, apprend à écouter les autres, à parler de façon respectueuse, en exprimant son point de vue sans nier celui d’autrui, sera dans la société un constructeur de dialogue et de réconciliation.
A propos des limites et de la communication, les familles avec des enfants souffrant d’un ou de plusieurs handicaps ont beaucoup à nous apprendre. Le déficit moteur, sensoriel ou intellectuel, comporte toujours la tentation de se renfermer ; mais il peut devenir, grâce à l'amour des parents, des frères et sœurs et d’autres personnes amies, une incitation à s’ouvrir, à partager, à communiquer de manière inclusive ; et il peut aider l’école, la paroisse, les associations à être plus accueillantes envers tous, sans exclure personne.
Ensuite, dans un monde où si souvent on maudit, on parle mal, on sème la zizanie, où le bavardage pollue notre environnement humain, la famille peut être une école de la communication comme bénédiction. Et ceci, même là où semble prévaloir de manière inévitable la haine et la violence, lorsque les familles sont séparées par des murs de pierre ou par des murs non moins impénétrables de préjugés et de ressentiments, quand il y aurait de bonnes raisons de dire "ça suffit maintenant" ; en fait, bénir au lieu de maudire, visiter au lieu de rejeter, accueillir au lieu de combattre est le seul moyen de briser la spirale du mal, pour témoigner que le bien est toujours possible et pour éduquer les enfants à la fraternité.
Aujourd'hui les médias plus modernes, qui surtout pour les plus jeunes sont désormais indispensables, peuvent tout aussi bien entraver qu’aider cette communication en famille et entre familles. Ils peuvent l’entraver s’ils deviennent un moyen de se soustraire à l’écoute, de s'isoler de la présence physique, avec la saturation de chaque instant de silence et d'attente, oubliant d’apprendre que « le silence fait partie intégrante de la communication et sans lui aucune parole riche de sens ne peut exister.» (Benoît XVI, Message pour les communications sociales 46e JMCS, 24.01.2012). Ils peuvent la favoriser s’ils aident à dire et à partager, à rester en contact avec ceux qui sont éloignés, à remercier et à demander pardon, à rendre toujours à nouveau possible la rencontre. Redécouvrant chaque jour ce centre vital qu’est la rencontre, ce « début vivant », nous saurons orienter notre relation à l’aide des technologies, plutôt que de nous laisser guider par elles. Dans ce domaine également, les parents sont les premiers éducateurs. Mais ils ne doivent pas être laissés seuls ; la communauté chrétienne est appelée à être à leurs côtés pour qu’ils sachent enseigner aux enfants à vivre dans un monde de communication, conformément aux critères de la dignité de la personne humaine et du bien commun.
Le défi qui se présente à nous aujourd’hui est donc de réapprendre à dire, pas simplement à produire et à consommer l'information. C’est dans cette direction que nous poussent les puissants et précieux moyens de la communication contemporaine. L'information est importante, mais elle n’est pas suffisante, parce que trop souvent elle simplifie, oppose les différences et les diverses visions incitant à prendre parti pour l'une ou l'autre, au lieu d'encourager une vision d’ensemble.
Ainsi, la famille, en fin de compte n'est pas un objet sur lequel on communique des opinions, ou un terrain où l’on se livre à des batailles idéologiques, mais un milieu où l’on apprend à communiquer dans la proximité, et elle est un sujet qui communique, une "communauté communicante". Une communauté qui sait accompagner, célébrer et faire fructifier. En ce sens, il est possible de rétablir un regard capable de reconnaître que la famille continue d'être une grande ressource, et pas seulement un problème ou une institution en crise. Les médias ont tendance à présenter parfois la famille comme s'il s'agissait d'un modèle abstrait à accepter ou à rejeter, à défendre ou à attaquer, et non une réalité concrète à vivre ; ou comme s’il s’agissait d’une idéologie de l’un contre l’autre, plutôt que le lieu où tous nous apprenons ce que signifie communiquer dans l’amour reçu et donné. Dire signifie bien comprendre que nos vies sont tissées dans une seule trame unitaire, que les voix sont multiples et que chacune est irremplaçable.
La famille la plus belle, protagoniste et non pas problématique, est celle qui sait communiquer, en partant du témoignage, de la beauté et de la richesse de la relation entre homme et femme, et entre parents et enfants. Nous ne luttons pas pour défendre le passé, mais nous travaillons avec patience et confiance, dans tous les milieux que nous habitons au quotidien, pour construire l'avenir.
Du Vatican, le 23 Janvier 2015
Vigile de la fête de saint François de Sales
FRANCISCUS PP.
[00128-03.01] [Texte original: Italien]
Testo in lingua inglese
Communicating the Family: A Privileged Place of Encounter with the Gift of Love
The family is a subject of profound reflection by the Church and of a process involving two Synods: the recent extraordinary assembly and the ordinary assembly scheduled for next October. So I thought it appropriate that the theme for the next World Communications Day should have the family as its point of reference. After all, it is in the context of the family that we first learn how to communicate. Focusing on this context can help to make our communication more authentic and humane, while helping us to view the family in a new perspective.
We can draw inspiration from the Gospel passage which relates the visit of Mary to Elizabeth (Lk 1:39-56). "When Elizabeth heard Mary’s greeting, the infant leaped in her womb, and Elizabeth, filled with the Holy Spirit cried out in a loud voice and said, ‘Most blessed are you among women, and blessed is the fruit of your womb’." (vv. 41-42)
This episode first shows us how communication is a dialogue intertwined with the language of the body. The first response to Mary’s greeting is given by the child, who leaps for joy in the womb of Elizabeth. Joy at meeting others, which is something we learn even before being born, is, in one sense, the archetype and symbol of every other form of communication. The womb which hosts us is the first "school" of communication, a place of listening and physical contact where we begin to familiarize ourselves with the outside world within a protected environment, with the reassuring sound of the mother’s heartbeat. This encounter between two persons, so intimately related while still distinct from each other, an encounter so full of promise, is our first experience of communication. It is an experience which we all share, since each of us was born of a mother.
Even after we have come into the world, in some sense we are still in a "womb", which is the family. A womb made up of various interrelated persons: the family is "where we learn to live with others despite our differences" (Evangelii Gaudium, 66). Notwithstanding the differences of gender and age between them, family members accept one another because there is a bond between them. The wider the range of these relationships and the greater the differences of age, the richer will be our living environment. It is this bond which is at the root of language, which in turn strengthens the bond. We do not create our language; we can use it because we have received it. It is in the family that we learn to speak our "mother tongue", the language of those who have gone before us. (cf. 2 Macc 7:25,27). In the family we realize that others have preceded us, they made it possible for us to exist and in our turn to generate life and to do something good and beautiful. We can give because we have received. This virtuous circle is at the heart of the family’s ability to communicate among its members and with others. More generally, it is the model for all communication.
The experience of this relationship which "precedes" us enables the family to become the setting in which the most basic form of communication, which is prayer, is handed down. When parents put their newborn children to sleep, they frequently entrust them to God, asking that he watch over them. When the children are a little older, parents help them to recite some simple prayers, thinking with affection of other people, such as grandparents, relatives, the sick and suffering, and all those in need of God’s help. It was in our families that the majority of us learned the religious dimension of communication, which in the case of Christianity is permeated with love, the love that God bestows upon us and which we then offer to others.
In the family, we learn to embrace and support one another, to discern the meaning of facial expressions and moments of silence, to laugh and cry together with people who did not choose one other yet are so important to each other. This greatly helps us to understand the meaning of communication as recognizing and creating closeness. When we lessen distances by growing closer and accepting one another, we experience gratitude and joy. Mary’s greeting and the stirring of her child are a blessing for Elizabeth; they are followed by the beautiful canticle of the Magnificat, in which Mary praises God’s loving plan for her and for her people. A "yes" spoken with faith can have effects that go well beyond ourselves and our place in the world. To "visit" is to open doors, not remaining closed in our little world, but rather going out to others. So too the family comes alive as it reaches beyond itself; families who do so communicate their message of life and communion, giving comfort and hope to more fragile families, and thus build up the Church herself, which is the family of families.
More than anywhere else, the family is where we daily experience our own limits and those of others, the problems great and small entailed in living peacefully with others. A perfect family does not exist. We should not be fearful of imperfections, weakness or even conflict, but rather learn how to deal with them constructively. The family, where we keep loving one another despite our limits and sins, thus becomes a school of forgiveness. Forgiveness is itself a process of communication. When contrition is expressed and accepted, it becomes possible to restore and rebuild the communication which broke down. A child who has learned in the family to listen to others, to speak respectfully and to express his or her view without negating that of others, will be a force for dialogue and reconciliation in society.
When it comes to the challenges of communication, families who have children with one or more disabilities have much to teach us. A motor, sensory or mental limitation can be a reason for closing in on ourselves, but it can also become, thanks to the love of parents, siblings, and friends, an incentive to openness, sharing and ready communication with all. It can also help schools, parishes and associations to become more welcoming and inclusive of everyone.
In a world where people often curse, use foul language, speak badly of others, sow discord and poison our human environment by gossip, the family can teach us to understand communication as a blessing. In situations apparently dominated by hatred and violence, where families are separated by stone walls or the no less impenetrable walls of prejudice and resentment, where there seem to be good reasons for saying "enough is enough", it is only by blessing rather than cursing, by visiting rather than repelling, and by accepting rather than fighting, that we can break the spiral of evil, show that goodness is always possible, and educate our children to fellowship.
Today the modern media, which are an essential part of life for young people in particular, can be both a help and a hindrance to communication in and between families. The media can be a hindrance if they become a way to avoid listening to others, to evade physical contact, to fill up every moment of silence and rest, so that we forget that "silence is an integral element of communication; in its absence, words rich in content cannot exist." (BENEDICT XVI, Message for the 2012 World Communications Day). The media can help communication when they enable people to share their stories, to stay in contact with distant friends, to thank others or to seek their forgiveness, and to open the door to new encounters. By growing daily in our awareness of the vital importance of encountering others, these "new possibilities", we will employ technology wisely, rather than letting ourselves be dominated by it. Here too, parents are the primary educators, but they cannot be left to their own devices. The Christian community is called to help them in teaching children how to live in a media environment in a way consonant with the dignity of the human person and service of the common good.
The great challenge facing us today is to learn once again how to talk to one another, not simply how to generate and consume information. The latter is a tendency which our important and influential modern communications media can encourage. Information is important, but it is not enough. All too often things get simplified, different positions and viewpoints are pitted against one another, and people are invited to take sides, rather than to see things as a whole.
The family, in conclusion, is not a subject of debate or a terrain for ideological skirmishes. Rather, it is an environment in which we learn to communicate in an experience of closeness, a setting where communication takes place, a "communicating community". The family is a community which provides help, which celebrates life and is fruitful. Once we realize this, we will once more be able to see how the family continues to be a rich human resource, as opposed to a problem or an institution in crisis. At times the media can tend to present the family as a kind of abstract model which has to be accepted or rejected, defended or attacked, rather than as a living reality. Or else a grounds for ideological clashes rather than as a setting where we can all learn what it means to communicate in a love received and returned. Relating our experiences means realizing that our lives are bound together as a single reality, that our voices are many, and that each is unique.
Families should be seen as a resource rather than as a problem for society. Families at their best actively communicate by their witness the beauty and the richness of the relationship between man and woman, and between parents and children. We are not fighting to defend the past. Rather, with patience and trust, we are working to build a better future for the world in which we live.
From the Vatican, 23 January 2015
Vigil of the Memorial of Saint Francis de Sales
FRANCISCUS PP.
[00128-02.01] [Original text: Italian]
Testo in lingua tedesca
Darstellen, was Familie ist: Privilegierter Raum der Begegnung in ungeschuldeter Liebe
Das Thema „Familie" steht im Mittelpunkt einer vertieften Reflexion der Kirche und eines synodalen Prozesses in zwei Synoden – einer gerade abgeschlossenen außerordentlichen und einer ordentlichen, die im kommenden Oktober zusammentritt. In diesem Kontext halte ich es für zweckmäßig, dass das Thema für den nächsten Welttag der Sozialen Kommunikationsmittel auf die Familie Bezug nimmt. Die Familie ist im Übrigen der erste Ort, wo wir lernen zu kommunizieren. Zu diesem ursprünglichen Faktum zurückzugehen, kann uns helfen, die Kommunikation authentischer und menschlicher zu gestalten wie auch die Familie aus einem neuen Blickwinkel zu betrachten.
Wir können uns von der Darstellung des Besuchs von Maria bei Elisabet im Evangelium inspirieren lassen (vgl. Lk 1,39-56). » Als Elisabet den Gruß Marias hörte, hüpfte das Kind in ihrem Leib. Da wurde Elisabet vom Heiligen Geist erfüllt und rief mit lauter Stimme: „Gesegnet bist du mehr als alle anderen Frauen und gesegnet ist die Frucht deines Leibes" « (Lk 1,41-42).
Diese Szene zeigt uns vor allem die Kommunikation als einen Dialog, der sich mit der Körpersprache verbindet. Die erste Antwort auf den Gruß Marias gibt in der Tat das Kind, indem es voll Freude im Schoß Elisabets hüpft. Sich aus Freude an der Begegnung bemerkbar zu machen, ist in gewisser Weise der Archetypus und das Symbol für jede andere Art von Kommunikation, die wir lernen, noch bevor wir zur Welt kommen. Der Mutterleib, der uns beherbergt, ist die erste „Schule" der Kommunikation, die aus Hinhören und Körperkontakt besteht: In einem geschützten Raum und begleitet vom Sicherheit vermittelnden Herzschlag der Mutter beginnen wir, mit der Außenwelt vertraut zu werden. Diese Begegnung von zwei menschlichen Wesen, die einander so vertraut und zugleich noch so fremd sind, eine Begegnung voller Verheißung, ist unsere erste Kommunikationserfahrung. Und es ist eine Erfahrung, die uns allen gemeinsam ist, weil jeder von uns von einer Mutter geboren wurde.
Auch nachdem wir zur Welt gekommen sind, bleiben wir in gewissem Sinn in einem „Schoß", der die Familie ist. Ein Schoß aus unterschiedlichen Personen, die miteinander in Beziehung stehen: Die Familie ist der » Ort, wo man lernt, in der Verschiedenheit zusammenzuleben « (Apostolisches Schreiben Evangelii Gaudium, 66). Geschlechts- und Generationsunterschiede, die vor allem deshalb in Kommunikation treten, weil sie sich gegenseitig annehmen, denn zwischen ihnen besteht ein enges Band. Und je breiter diese Beziehungen gefächert, je unterschiedlicher die Altersstufen sind, umso reicher ist unser Lebensumfeld. Es ist die Bindung, die dem Wort zugrunde liegt, welches seinerseits die Bindung stärkt. Die Worte erfinden wir nicht: Wir können sie gebrauchen, weil wir sie empfangen haben. In der Familie lernt man, in der „Muttersprache" zu sprechen, d. h. in der Sprache unserer Vorfahren (vgl. 2 Makk 7,25.27). In der Familie erfährt man, dass andere uns vorausgegangen sind, uns ins Leben gerufen und uns die Möglichkeit gegeben haben, unsererseits Leben zu zeugen und etwas Gutes und Schönes zu tun. Wir können geben, weil wir empfangen haben, und dieser positive Kreislauf ist der Kern der Fähigkeit der Familie, sich mitzuteilen und in Beziehung zu stehen; und dies ist generell das Paradigma jeder Kommunikation.
Die Erfahrung der Bindung, die uns „vorausgeht", bringt es mit sich, dass die Familie auch der Lebenszusammenhang ist, in dem jene grundlegende Kommunikationsform weitergegeben wird, die das Gebet ist. Wenn Mutter und Vater ihre neugeborenen Kinder zu Bett bringen, vertrauen sie diese sehr oft Gott an, dass er über sie wache; und wenn sie etwas grösser sind, beten die Eltern mit ihnen einfache Gebete und denken dabei mit Zuneigung auch an andere Menschen, an die Großeltern, an andere Verwandte, an die Kranken und die Leidenden und an all jene, die der Hilfe Gottes am meisten bedürfen. So haben die meisten von uns in der Familie die religiöse Dimension der Kommunikation gelernt, die im christlichen Glauben ganz von Liebe geprägt ist, von der Liebe Gottes, der sich uns schenkt und den wir den anderen schenken.
Die Fähigkeit, in der Familie einander zu umarmen, zu unterstützen, zu begleiten, die Blicke und das Schweigen zu deuten, gemeinsam zu lachen und zu weinen, und das unter Menschen, die sich gegenseitig nicht gewählt haben und dennoch so wichtig füreinander sind – diese Fähigkeit ist es vor allem, die uns begreifen lässt, was die Kommunikation als Entdeckung und Bildung von Nähe wirklich ist. Die Distanzen zu verkürzen, indem man einander entgegenkommt und sich gegenseitig annimmt, ist Grund zu Dankbarkeit und Freude: Der Gruß Marias und das frohe Hüpfen des Kindes löst Elisabets Segensspruch aus, auf den der wunderschöne Gesang des Magnificat folgt, in dem Maria den Plan der Liebe Gottes für sie und ihr Volk preist. Aus dem im Glauben gesprochenen „Ja" ergeben sich Konsequenzen, die weit über uns selbst hinausreichen und sich in der Welt ausbreiten. „Besuchen" heißt, Türen zu öffnen, sich nicht in die eigenen Wohnungen zu verschließen, hinaus- und auf den anderen zuzugehen. Auch die Familie ist lebendig, wenn sie „atmet", indem sie sich über sich selbst hinaus öffnet. Und die Familien, die das tun, können ihre Botschaft von Leben und Gemeinschaft mitteilen, sie können den am meisten verletzten Familien Trost und Hoffnung vermitteln und zum Wachstum der Kirche selbst beitragen, die ja eine Familie aus Familien ist.
Die Familie ist mehr als alles andere der Ort, wo man im Miteinander des Alltags die eigenen Grenzen und die der anderen erfährt und mit den kleinen und großen Problemen des Zusammenlebens, des Sich-Vertragens konfrontiert wird. Die vollkommene Familie gibt es nicht; man darf aber keine Angst vor der Unvollkommenheit, vor der Schwäche und nicht einmal vor Konflikten haben; man muss lernen, sie auf konstruktive Weise anzugehen. Deshalb wird die Familie, in der man – mit den eigenen Grenzen und Fehlern – einander gern hat, eine Schule der Vergebung. Die Vergebung ist eine Dynamik der Kommunikation – eine Kommunikation, die sich verschleißt, die zerbricht und die man wieder aufnehmen und wachsen lassen kann, indem man um Vergebung bittet und diese gewährt. Ein Kind, das in der Familie lernt, den anderen zuzuhören, respektvoll zu reden und den eigenen Standpunkt zu vertreten, ohne die Sichtweise anderer abzulehnen, wird in der Gesellschaft Dialog und Versöhnung herbeiführen können.
Im Hinblick auf Grenzen und Kommunikation können wir viel lernen von den Familien mit Kindern, die eine oder mehrere Behinderungen haben. Das motorische, sensorische oder intellektuelle Defizit ist immer eine Versuchung, sich zu verschließen. Dank der Liebe der Eltern, der Geschwister und anderer befreundeter Mitmenschen kann es jedoch ein Anreiz werden, sich zu öffnen, teilzunehmen und in inklusiver Weise zu kommunizieren. Und es kann der Schule, der Pfarrei, den Vereinen helfen, allen gegenüber mehr Annahmebereitschaft zu zeigen und niemanden auszuschließen.
In einer Welt, in der so oft geflucht, anderen Böses nachgeredet, Streit gesät und unsere menschliche Umwelt durch Tratsch vergiftet wird, kann die Familie eine Schule der Kommunikation als Segen sein. Und das auch dort, wo es unvermeidlich scheint, dass Hass und Gewalt vorherrschen – wenn die Familien durch Mauern aus Stein oder die nicht weniger undurchdringlichen Mauern des Vorurteils oder des Ressentiments voneinander getrennt sind, wenn es gute Gründe zu geben scheint zu sagen: „Jetzt reicht´s". In Wirklichkeit ist segnen statt fluchen, besuchen statt abweisen, aufnehmen statt bekämpfen der einzige Weg, um die Spirale des Bösen zu zerbrechen, um Zeugnis zu geben, dass das Gute immer möglich ist, und um die Kinder zur Geschwisterlichkeit zu erziehen.
Heute können die modernsten Medien, die vor allem für die ganz jungen Leute mittlerweile unverzichtbar sind, für die Kommunikation in der Familie und unter den Familien sowohl hinderlich als auch förderlich sein. Sie können hinderlich sein, wenn sie zur Gelegenheit werden, nicht mehr zuzuhören, in einer Gruppe physisch anwesend zu sein, sich innerlich aber abzusondern, jeden Augenblick der Stille und des Wartens zu übertönen und so zu verlernen, dass » die Stille … ein wesentliches Element der Kommunikation [ist] … ohne sie gibt es keine inhaltsreichen Worte « (Benedikt XVI., Botschaft zum 46. Welttag der Sozialen Kommunikationsmittel, 24. 1. 2012). Sie können förderlich sein, wenn sie helfen, zu erzählen und sich auszutauschen, in Kontakt mit denen zu bleiben, die fern sind, Dank zu sagen und um Verzeihung zu bitten und immer wieder Begegnungen zu ermöglichen. Wenn wir täglich diese zentrale Lebensfunktion, welche die Begegnung ist, diesen „lebendigen Anfang" neu entdecken, dann werden wir unser Verhältnis zu den Technologien zu gestalten wissen, statt uns von diesen steuern zu lassen. Auch in diesem Bereich sind die Eltern die ersten Erzieher. Aber sie dürfen nicht allein gelassen werden; die christliche Gemeinde ist dazu aufgerufen, ihnen zur Seite zu stehen, damit sie ihren Kindern beibringen können, in der Welt der Kommunikation nach den Kriterien der Würde des Menschen und des Gemeinwohls zu leben.
Die Herausforderung, vor der wir heute stehen, ist also, wieder erzählen zu lernen, nicht bloß Information zu produzieren und zu konsumieren. Das ist die Richtung, in die uns die mächtigen und hochwertigen Mittel der zeitgenössischen Kommunikation drängen. Die Information ist wichtig, aber sie reicht nicht, weil sie zu oft vereinfacht, die Unterschiede und die verschiedenen Sichtweisen gegeneinander stellt und dazu auffordert, sich für die eine oder die andere zu entscheiden, statt die Zusammenschau zu fördern.
Auch die Familie ist schließlich kein Objekt, über das man Meinungen verbreitet, oder ein Terrain, auf dem ideologische Schlachten ausgefochten werden, sondern ein Bereich, in dem man in engem Miteinander zu kommunizieren lernt, und ein Subjekt, das kommuniziert, eine „kommunizierende Gemeinschaft". Eine Gemeinschaft, die zu begleiten, zu feiern und Frucht zu bringen weiß. In diesem Sinne ist es möglich, eine Sichtweise wiederzugewinnen, die erkennen kann, dass die Familie weiterhin eine große Ressource und nicht nur ein Problem oder eine Institution in Krise ist. Die Medien haben bisweilen die Tendenz, die Familie in einer Weise darzustellen, als wäre sie ein abstraktes Modell, das zu akzeptieren oder abzulehnen, zu verteidigen oder anzugreifen ist, und nicht eine konkrete Realität, die man leben muss; oder als wäre sie eine Ideologie von irgendjemandem gegen jemand anderen, und nicht ein Ort, wo wir alle lernen, was es bedeutet, in der empfangenen und geschenkten Liebe zu kommunizieren. Erzählen bedeutet hingegen zu begreifen, dass unsere Leben in einer einheitlichen Geschichte verflochten sind, dass die Stimmen vielfältig sind und jede unersetzlich ist.
Die schönste Familie – Protagonistin und nicht Problem – ist jene, die vom eigenen Zeugnis ausgehend die Schönheit und den Reichtum der Beziehung zwischen Mann und Frau und jener zwischen Eltern und Kindern zu kommunizieren versteht. Wir kämpfen nicht, um die Vergangenheit zu verteidigen, sondern wir arbeiten mit Geduld und Zuversicht an allen Orten, an denen wir uns täglich aufhalten, um die Zukunft aufzubauen.
Aus dem Vatikan, am 23. Januar 2015,
der Vigil vom Fest des hl. Franz von Sales
FRANCISCUS PP.
[00128-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
Testo in lingua spagnola
Comunicar la familia: ambiente privilegiado del encuentro en la gratuidad del amor
El tema de la familia está en el centro de una profunda reflexión eclesial y de un proceso sinodal que prevé dos sínodos, uno extraordinario –apenas celebrado– y otro ordinario, convocado para el próximo mes de octubre. En este contexto, he considerado oportuno que el tema de la próxima Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales tuviera como punto de referencia la familia. En efecto, la familia es el primer lugar donde aprendemos a comunicar. Volver a este momento originario nos puede ayudar, tanto a comunicar de modo más auténtico y humano, como a observar la familia desde un nuevo punto de vista.
Podemos dejarnos inspirar por el episodio evangélico de la visita de María a Isabel (cf. Lc 1,39-56). «En cuanto Isabel oyó el saludo de María, la criatura saltó en su vientre, e Isabel, llena del Espíritu Santo, exclamó a voz en grito: "¡Bendita tú entre las mujeres y bendito el fruto de tu vientre!"» (vv. 41-42).
Este episodio nos muestra ante todo la comunicación como un diálogo que se entrelaza con el lenguaje del cuerpo. En efecto, la primera respuesta al saludo de María la da el niño saltando gozosamente en el vientre de Isabel. Exultar por la alegría del encuentro es, en cierto sentido, el arquetipo y el símbolo de cualquier otra comunicación que aprendemos incluso antes de venir al mundo. El seno materno que nos acoge es la primera «escuela» de comunicación, hecha de escucha y de contacto corpóreo, donde comenzamos a familiarizarnos con el mundo externo en un ambiente protegido y con el sonido tranquilizador del palpitar del corazón de la mamá. Este encuentro entre dos seres a la vez tan íntimos, aunque todavía tan extraños uno de otro, es un encuentro lleno de promesas, es nuestra primera experiencia de comunicación. Y es una experiencia que nos acomuna a todos, porque todos nosotros hemos nacido de una madre.
Después de llegar al mundo, permanecemos en un «seno», que es la familia. Un seno hecho de personas diversas en relación; la familia es el «lugar donde se aprende a convivir en la diferencia» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 66): diferencias de géneros y de generaciones, que comunican antes que nada porque se acogen mutuamente, porque entre ellos existe un vínculo. Y cuanto más amplio es el abanico de estas relaciones y más diversas son las edades, más rico es nuestro ambiente de vida. Es el vínculo el que fundamenta la palabra, que a su vez fortalece el vínculo. Nosotros no inventamos las palabras: las podemos usar porque las hemos recibido. En la familia se aprende a hablar la lengua materna, es decir, la lengua de nuestros antepasados (cf. 2 M 7,25.27). En la familia se percibe que otros nos han precedido, y nos han puesto en condiciones de existir y de poder, también nosotros, generar vida y hacer algo bueno y hermoso. Podemos dar porque hemos recibido, y este círculo virtuoso está en el corazón de la capacidad de la familia de comunicarse y de comunicar; y, más en general, es el paradigma de toda comunicación.
La experiencia del vínculo que nos «precede» hace que la familia sea también el contexto en el que se transmite esa forma fundamental de comunicación que es la oración. Cuando la mamá y el papá acuestan para dormir a sus niños recién nacidos, a menudo los confían a Dios para que vele por ellos; y cuando los niños son un poco más mayores, recitan junto a ellos oraciones simples, recordando con afecto a otras personas: a los abuelos y otros familiares, a los enfermos y los que sufren, a todos aquellos que más necesitan de la ayuda de Dios. Así, la mayor parte de nosotros ha aprendido en la familia la dimensión religiosa de la comunicación, que en el cristianismo está impregnada de amor, el amor de Dios que se nos da y que nosotros ofrecemos a los demás.
Lo que nos hace entender en la familia lo que es verdaderamente la comunicación como descubrimiento y construcción de proximidad es la capacidad de abrazarse, sostenerse, acompañarse, descifrar las miradas y los silencios, reír y llorar juntos, entre personas que no se han elegido y que, sin embargo, son tan importantes las unas para las otras. Reducir las distancias, saliendo los unos al encuentro de los otros y acogiéndose, es motivo de gratitud y alegría: del saludo de María y del salto del niño brota la bendición de Isabel, a la que sigue el bellísimo canto del Magnificat, en el que María alaba el plan de amor de Dios sobre ella y su pueblo. De un «sí» pronunciado con fe, surgen consecuencias que van mucho más allá de nosotros mismos y se expanden por el mundo. «Visitar» comporta abrir las puertas, no encerrarse en uno mismo, salir, ir hacia el otro. También la familia está viva si respira abriéndose más allá de sí misma, y las familias que hacen esto pueden comunicar su mensaje de vida y de comunión, pueden dar consuelo y esperanza a las familias más heridas, y hacer crecer la Iglesia misma, que es familia de familias.
La familia es, más que ningún otro, el lugar en el que, viviendo juntos la cotidianidad, se experimentan los límites propios y ajenos, los pequeños y grandes problemas de la convivencia, del ponerse de acuerdo. No existe la familia perfecta, pero no hay que tener miedo a la imperfección, a la fragilidad, ni siquiera a los conflictos; hay que aprender a afrontarlos de manera constructiva. Por eso, la familia en la que, con los propios límites y pecados, todos se quieren, se convierte en una escuela de perdón. El perdón es una dinámica de comunicación: una comunicación que se desgasta, se rompe y que, mediante el arrepentimiento expresado y acogido, se puede reanudar y acrecentar. Un niño que aprende en la familia a escuchar a los demás, a hablar de modo respetuoso, expresando su propio punto de vista sin negar el de los demás, será un constructor de diálogo y reconciliación en la sociedad.
A propósito de límites y comunicación, tienen mucho que enseñarnos las familias con hijos afectados por una o más discapacidades. El déficit en el movimiento, los sentidos o el intelecto supone siempre una tentación de encerrarse; pero puede convertirse, gracias al amor de los padres, de los hermanos y de otras personas amigas, en un estímulo para abrirse, compartir, comunicar de modo inclusivo; y puede ayudar a la escuela, la parroquia, las asociaciones, a que sean más acogedoras con todos, a que no excluyan a nadie.
Además, en un mundo donde tan a menudo se maldice, se habla mal, se siembra cizaña, se contamina nuestro ambiente humano con las habladurías, la familia puede ser una escuela de comunicación como bendición. Y esto también allí donde parece que prevalece inevitablemente el odio y la violencia, cuando las familias están separadas entre ellas por muros de piedra o por los muros no menos impenetrables del prejuicio y del resentimiento, cuando parece que hay buenas razones para decir «ahora basta»; el único modo para romper la espiral del mal, para testimoniar que el bien es siempre posible, para educar a los hijos en la fraternidad, es en realidad bendecir en lugar de maldecir, visitar en vez de rechazar, acoger en lugar de combatir.
Hoy, los medios de comunicación más modernos, que son irrenunciables sobre todo para los más jóvenes, pueden tanto obstaculizar como ayudar a la comunicación en la familia y entre familias. La pueden obstaculizar si se convierten en un modo de sustraerse a la escucha, de aislarse de la presencia de los otros, de saturar cualquier momento de silencio y de espera, olvidando que «el silencio es parte integrante de la comunicación y sin él no existen palabras con densidad de contenido» (Benedicto XVI, Mensaje para la XLVI Jornada Mundial de las Comunicaciones Sociales, 24 enero 2012). La pueden favorecer si ayudan a contar y compartir, a permanecer en contacto con quienes están lejos, a agradecer y a pedir perdón, a hacer posible una y otra vez el encuentro. Redescubriendo cotidianamente este centro vital que es el encuentro, este «inicio vivo», sabremos orientar nuestra relación con las tecnologías, en lugar de ser guiados por ellas. También en este campo, los padres son los primeros educadores. Pero no hay que dejarlos solos; la comunidad cristiana está llamada a ayudarles para vivir en el mundo de la comunicación según los criterios de la dignidad de la persona humana y del bien común.
El desafío que hoy se nos propone es, por tanto, volver a aprender a narrar, no simplemente a producir y consumir información. Esta es la dirección hacia la que nos empujan los potentes y valiosos medios de la comunicación contemporánea. La información es importante pero no basta, porque a menudo simplifica, contrapone las diferencias y las visiones distintas, invitando a ponerse de una u otra parte, en lugar de favorecer una visión de conjunto.
La familia, en conclusión, no es un campo en el que se comunican opiniones, o un terreno en el que se combaten batallas ideológicas, sino un ambiente en el que se aprende a comunicar en la proximidad y un sujeto que comunica, una «comunidad comunicante». Una comunidad que sabe acompañar, festejar y fructificar. En este sentido, es posible restablecer una mirada capaz de reconocer que la familia sigue siendo un gran recurso, y no sólo un problema o una institución en crisis. Los medios de comunicación tienden en ocasiones a presentar la familia como si fuera un modelo abstracto que hay que defender o atacar, en lugar de una realidad concreta que se ha de vivir; o como si fuera una ideología de uno contra la de algún otro, en lugar del espacio donde todos aprendemos lo que significa comunicar en el amor recibido y entregado. Narrar significa más bien comprender que nuestras vidas están entrelazadas en una trama unitaria, que las voces son múltiples y que cada una es insustituible.
La familia más hermosa, protagonista y no problema, es la que sabe comunicar, partiendo del testimonio, la belleza y la riqueza de la relación entre hombre y mujer, y entre padres e hijos. No luchamos para defender el pasado, sino que trabajamos con paciencia y confianza, en todos los ambientes en que vivimos cotidianamente, para construir el futuro.
Vaticano, 23 de enero de 2015
Vigilia de la fiesta de San Francisco de Sales.
FRANCISCUS PP.
[00128-04.01] [Texto original: Italiano]
Testo in lingua portoghese
«Comunicar a família: ambiente privilegiado do encontro na gratuidade do amor»
O tema da família encontra-se no centro duma profunda reflexão eclesial e dum processo sinodal que prevê dois Sínodos, um extraordinário – acabado de celebrar – e outro ordinário, convocado para o próximo mês de Outubro. Neste contexto, considerei oportuno que o tema do próximo Dia Mundial das Comunicações Sociais tivesse como ponto de referência a família. Aliás, a família é o primeiro lugar onde aprendemos a comunicar. Voltar a este momento originário pode-nos ajudar quer a tornar mais autêntica e humana a comunicação, quer a ver a família dum novo ponto de vista.
Podemos deixar-nos inspirar pelo ícone evangélico da visita de Maria a Isabel (Lc 1, 39-56). «Quando Isabel ouviu a saudação de Maria, o menino saltou-lhe de alegria no seio e Isabel ficou cheia do Espírito Santo. Então, erguendo a voz, exclamou: "Bendita és tu entre as mulheres e bendito é o fruto do teu ventre"» (vv. 41-42).
Este episódio mostra-nos, antes de mais nada, a comunicação como um diálogo que tece com a linguagem do corpo. Com efeito, a primeira resposta à saudação de Maria é dada pelo menino, que salta de alegria no ventre de Isabel. Exultar pela alegria do encontro é, em certo sentido, o arquétipo e o símbolo de qualquer outra comunicação, que aprendemos ainda antes de chegar ao mundo. O ventre que nos abriga é a primeira «escola» de comunicação, feita de escuta e contacto corporal, onde começamos a familiarizar-nos com o mundo exterior num ambiente protegido e ao som tranquilizador do pulsar do coração da mãe. Este encontro entre dois seres simultaneamente tão íntimos e ainda tão alheios um ao outro, um encontro cheio de promessas, é a nossa primeira experiência de comunicação. E é uma experiência que nos irmana a todos, pois cada um de nós nasceu de uma mãe.
Mesmo depois de termos chegado ao mundo, em certo sentido permanecemos num «ventre», que é a família. Um ventre feito de pessoas diferentes, interrelacionando-se: a família é «o espaço onde se aprende a conviver na diferença» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 66). Diferenças de géneros e de gerações, que comunicam, antes de mais nada, acolhendo-se mutuamente, porque existe um vínculo entre elas. E quanto mais amplo for o leque destas relações, tanto mais diversas são as idades e mais rico é o nosso ambiente de vida. O vínculo está na base da palavra, e esta, por sua vez, revigora o vínculo. Nós não inventamos as palavras: podemos usá-las, porque as recebemos. É em família que se aprende a falar na «língua materna», ou seja, a língua dos nossos antepassados (cf. 2 Mac 7, 21.27). Em família, apercebemo-nos de que outros nos precederam, nos colocaram em condições de poder existir e, por nossa vez, gerar vida e fazer algo de bom e belo. Podemos dar, porque recebemos; e este circuito virtuoso está no coração da capacidade da família de ser comunicada e de comunicar; e, mais em geral, é o paradigma de toda a comunicação.
A experiência do vínculo que nos «precede» faz com que a família seja também o contexto onde se transmite aquela forma fundamental de comunicação que é a oração. Muitas vezes, ao adormecerem os filhos recém-nascidos, a mãe e o pai entregam-nos a Deus, para que vele por eles; e, quando se tornam um pouco maiores, põem-se a recitar juntamente com eles orações simples, recordando carinhosamente outras pessoas: os avós, outros parentes, os doentes e atribulados, todos aqueles que mais precisam da ajuda de Deus. Assim a maioria de nós aprendeu, em família, a dimensão religiosa da comunicação, que, no cristianismo, é toda impregnada de amor, o amor de Deus que se dá a nós e que nós oferecemos aos outros.
Na família, é sobretudo a capacidade de se abraçar, apoiar, acompanhar, decifrar olhares e silêncios, rir e chorar juntos, entre pessoas que não se escolheram e todavia são tão importantes uma para a outra… é sobretudo esta capacidade que nos faz compreender o que é verdadeiramente a comunicação enquanto descoberta e construção de proximidade. Reduzir as distâncias, saindo mutuamente ao encontro e acolhendo-se, é motivo de gratidão e alegria: da saudação de Maria e do saltar de alegria do menino deriva a bênção de Isabel, seguindo-se-lhe o belíssimo cântico do Magnificat, no qual Maria louva o amoroso desígnio que Deus tem sobre Ela e o seu povo. De um «sim» pronunciado com fé, derivam consequências que se estendem muito para além de nós mesmos e se expandem no mundo. «Visitar» supõe abrir as portas, não encerrar-se no próprio apartamento, sair, ir ter com o outro. A própria família é viva, se respira abrindo-se para além de si mesma; e as famílias que assim procedem, podem comunicar a sua mensagem de vida e comunhão, podem dar conforto e esperança às famílias mais feridas, e fazer crescer a própria Igreja, que é uma família de famílias.
Mais do que em qualquer outro lugar, é na família que, vivendo juntos no dia-a-dia, se experimentam as limitações próprias e alheias, os pequenos e grandes problemas da coexistência e do pôr-se de acordo. Não existe a família perfeita, mas não é preciso ter medo da imperfeição, da fragilidade, nem mesmo dos conflitos; preciso é aprender a enfrentá-los de forma construtiva. Por isso, a família onde as pessoas, apesar das próprias limitações e pecados, se amam, torna-se uma escola de perdão. O perdão é uma dinâmica de comunicação: uma comunicação que definha e se quebra, mas, por meio do arrependimento expresso e acolhido, é possível reatá-la e fazê-la crescer. Uma criança que aprende, em família, a ouvir os outros, a falar de modo respeitoso, expressando o seu ponto de vista sem negar o dos outros, será um construtor de diálogo e reconciliação na sociedade.
Muito têm para nos ensinar, a propósito de limitações e comunicação, as famílias com filhos marcados por uma ou mais deficiências. A deficiência motora, sensorial ou intelectual sempre constitui uma tentação a fechar-se; mas pode tornar-se, graças ao amor dos pais, dos irmãos e doutras pessoas amigas, um estímulo para se abrir, compartilhar, comunicar de modo inclusivo; e pode ajudar a escola, a paróquia, as associações a tornarem-se mais acolhedoras para com todos, a não excluírem ninguém.
Além disso, num mundo onde frequentemente se amaldiçoa, insulta, semeia discórdia, polui com as murmurações o nosso ambiente humano, a família pode ser uma escola de comunicação feita de bênção. E isto, mesmo nos lugares onde parecem prevalecer como inevitáveis o ódio e a violência, quando as famílias estão separadas entre si por muros de pedras ou pelos muros mais impenetráveis do preconceito e do ressentimento, quando parece haver boas razões para dizer «agora basta»; na realidade, abençoar em vez de amaldiçoar, visitar em vez de repelir, acolher em vez de combater é a única forma de quebrar a espiral do mal, para testemunhar que o bem é sempre possível, para educar os filhos na fraternidade.
Os meios mais modernos de hoje, irrenunciáveis sobretudo para os mais jovens, tanto podem dificultar como ajudar a comunicação em família e entre as famílias. Podem-na dificultar, se se tornam uma forma de se subtrair à escuta, de se isolar apesar da presença física, de saturar todo o momento de silêncio e de espera, ignorando que «o silêncio é parte integrante da comunicação e, sem ele, não há palavras ricas de conteúdo» (BENTO XVI, Mensagem do XLVI Dia Mundial das Comunicações Sociais, 24/1/2012); e podem-na favorecer, se ajudam a narrar e compartilhar, a permanecer em contacto com os de longe, a agradecer e pedir perdão, a tornar possível sem cessar o encontro. Descobrindo diariamente este centro vital que é o encontro, este «início vivo», saberemos orientar o nosso relacionamento com as tecnologias, em vez de nos deixarmos arrastar por elas. Também neste campo, os primeiros educadores são os pais. Mas não devem ser deixados sozinhos; a comunidade cristã é chamada a colocar-se ao seu lado, para que saibam ensinar os filhos a viver, no ambiente da comunicação, segundo os critérios da dignidade da pessoa humana e do bem comum.
Assim o desafio que hoje se nos apresenta, é aprender de novo a narrar, não nos limitando a produzir e consumir informação, embora esta seja a direcção para a qual nos impelem os potentes e preciosos meios da comunicação contemporânea. A informação é importante, mas não é suficiente, porque muitas vezes simplifica, contrapõe as diferenças e as visões diversas, solicitando a tomar partido por uma ou pela outra, em vez de fornecer um olhar de conjunto.
No fim de contas, a própria família não é um objecto acerca do qual se comunicam opiniões nem um terreno onde se combatem batalhas ideológicas, mas um ambiente onde se aprende a comunicar na proximidade e um sujeito que comunica, uma «comunidade comunicadora». Uma comunidade que sabe acompanhar, festejar e frutificar. Neste sentido, é possível recuperar um olhar capaz de reconhecer que a família continua a ser um grande recurso, e não apenas um problema ou uma instituição em crise. Às vezes os meios de comunicação social tendem a apresentar a família como se fosse um modelo abstracto que se há-de aceitar ou rejeitar, defender ou atacar, em vez duma realidade concreta que se há-de viver; ou como se fosse uma ideologia de alguém contra outro, em vez de ser o lugar onde todos aprendemos o que significa comunicar no amor recebido e dado. Ao contrário, narrar significa compreender que as nossas vidas estão entrelaçadas numa trama unitária, que as vozes são múltiplas e cada uma é insubstituível.
A família mais bela, protagonista e não problema, é aquela que, partindo do testemunho, sabe comunicar a beleza e a riqueza do relacionamento entre o homem e a mulher, entre pais e filhos. Não lutemos para defender o passado, mas trabalhemos com paciência e confiança, em todos os ambientes onde diariamente nos encontramos, para construir o futuro.
Vaticano, 23 de Janeiro – Vigília da Festa de São Francisco de Sales – de 2015.
FRANCISCUS PP.
[00128-06.01] [Texto original: Italiano]
[B0058-XX.02]