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Messaggio del Santo Padre per la XXIII Giornata Mondiale del Malato, 30.12.2014


Messaggio del Santo Padre per la XXIII Giornata Mondiale del Malato

Messaggio del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua polacca

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXIII Giornata Mondiale del Malato, che si celebra l’11 febbraio 2015:

Messaggio del Santo Padre

Sapientia cordis.

«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo»

(Gb 29,15)

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della XXIII Giornata Mondiale del Malato, istituita da san Giovanni Paolo II, mi rivolgo a tutti voi che portate il peso della malattia e siete in diversi modi uniti alla carne di Cristo sofferente; come pure a voi, professionisti e volontari nell’ambito sanitario.

Il tema di quest’anno ci invita a meditare un’espressione del Libro di Giobbe: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (29,15). Vorrei farlo nella prospettiva della "sapientia cordis", la sapienza del cuore.

1. Questa sapienza non è una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti. Essa piuttosto, come la descrive san Giacomo nella sua Lettera, è «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (3,17). È dunque un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio. Facciamo nostra, pertanto, l’invocazione del Salmo: «Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90,12). In questa sapientia cordis, che è dono di Dio, possiamo riassumere i frutti della Giornata Mondiale del Malato.

2. Sapienza del cuore è servire il fratello. Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova (vv.12-13).

Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e"piedi per lo zoppo"! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

3. Sapienza del cuore è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Gesù stesso ha detto: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).

Chiediamo con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla "qualità della vita", per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!

4. Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello. Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo, dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Per questo, vorrei ricordare ancora una volta «l’assoluta priorità dell’"uscita da sé verso il fratello" come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179). Dalla stessa natura missionaria della Chiesa sgorgano «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove» (ibid.).

5. Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe: «Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,13). Ma gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto.

L’esperienza di Giobbe trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014).

Anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis. Si comprende perciò come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5). Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo.

6. Affido questa Giornata Mondiale del Malato alla protezione materna di Maria, che ha accolto nel grembo e generato la Sapienza incarnata, Gesù Cristo, nostro Signore.

O Maria, Sede della Sapienza, intercedi quale nostra Madre per tutti i malati e per coloro che se ne prendono cura. Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore.

Accompagno questa supplica per tutti voi con la mia Benedizione Apostolica.

 

Dal Vaticano, 3 dicembre 2014, Memoria di San Francesco Saverio

FRANCISCUS

[02134-01.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

Sapientia cordis.

"J’étais les yeux de l’aveugle, les pieds du boiteux" 
(Jb 29,15)

Chers frères et sœurs,

À l’occasion de la XXIIIème Journée mondiale du Malade, instaurée par saint Jean-Paul II, je m’adresse à vous tous qui supportez le fardeau de la maladie et êtes unis, de diverses manières, à la chair du Christ souffrant, et à vous également, professionnels et bénévoles de la santé.

Le thème de cette année nous invite à réfléchir sur une phrase du Livre de Job : « J’étais les yeux de l’aveugle, les pieds du boiteux » (29,15). Je voudrais le faire dans la perspective de la « sapientia cordis », la sagesse du cœur.

1. Cette sagesse n’est pas une connaissance théorique, abstraite, fruit de raisonnements. Elle est plutôt, comme le décrit saint Jacques dans son épître, « pure, puis pacifique, indulgente, bienveillante, pleine de pitié et de bons fruits, sans partialité, sans hypocrisie » (3,17). Elle est donc un comportement inspiré par l’Esprit Saint dans l’esprit et le cœur de celui qui sait s’ouvrir à la souffrance des frères et reconnaît en eux l’image de Dieu. Faisons donc nôtre l’invocation du psaume : « Fais-nous savoir comment compter nos jours, que nous venions de cœur à la sagesse ! » (Ps 90,12). Dans cette sapientia cordis, qui est don de Dieu, nous pouvons résumer les fruits de la Journée mondiale du Malade.

2. La sagesse du cœur veut dire servir le frère. Dans le discours de Job qui contient les paroles « j’étais les yeux de l’aveugle, les pieds du boiteux », est mise en évidence la dimension du service à ceux qui en ont besoin, de la part de l’homme juste qui jouit d’une certaine autorité et a une place importante parmi les anciens de la ville. Sa stature morale se manifeste dans le service du pauvre qui demande de l’aide, et également en prenant soin de l’orphelin et de la veuve (v. 12-13).

Que de chrétiens rendent témoignage aujourd’hui encore, non par leurs paroles mais par leur vie enracinée dans une foi authentique, d’être « les yeux de l’aveugle » et les « pieds du boiteux » ! Des personnes qui sont proches des malades ayant besoin d’une assistance permanente, d’une aide pour se laver, s’habiller, se nourrir. Ce service, surtout lorsqu’il se prolonge dans le temps, peut devenir fatigant et pénible. Il est relativement facile de servir pendant quelques jours, mais il est difficile de soigner une personne pendant des mois, voire des années, également si celle-ci n’est plus à même de remercier. Et pourtant, voilà un grand chemin de sanctification ! Dans ces moments, on peut compter de manière particulière sur la proximité du Seigneur, et on est également un soutien spécial à la mission de l’Église.

3. La sagesse du cœur, c’est être avec le frère. Le temps passé à côté du malade est un temps sacré. C’est une louange à Dieu, qui nous conforme à l’image de son Fils, qui « n’est pas venu pour être servi, mais pour servir et donner sa vie en rançon pour une multitude » (Mt 20,28). Jésus lui-même a dit : « Et moi je suis au milieu de vous comme celui qui sert » (Lc 22,27).

Avec une foi vive, nous demandons à l’Esprit Saint de nous donner la grâce de comprendre la valeur de l’accompagnement, si souvent silencieux, qui nous conduit à consacrer du temps à ces sœurs et à ces frères qui, grâce à notre proximité et à notre affection, se sentent davantage aimés et réconfortés. En revanche, quel grand mensonge se dissimule derrière certaines expressions qui insistent tellement sur la « qualité de la vie », pour inciter à croire que les vies gravement atteintes par la maladie ne seraient pas dignes d’être vécues !

4. La sagesse du cœur, c’est la sortie de soi vers le frère. Notre monde oublie parfois la valeur spéciale du temps passé auprès du lit d’un malade, parce qu’on est harcelé par la hâte, par la frénésie de l’action, de la production et on oublie la dimension de la gratuité, de l’acte de prendre soin, de se charger de l’autre. En réalité, derrière cette attitude se dissimule souvent une foi tiède, oublieuse de cette parole du Seigneur qui déclare : « C’est à moi que vous l’avez fait » (Mt 25,40).

Voilà pourquoi je voudrais rappeler à nouveau « la priorité absolue  de "la sortie de soi vers le frère" comme un des deux commandements principaux qui fondent toute norme morale et comme le signe le plus clair pour faire le discernement sur un chemin de croissance spirituelle en réponse au don absolument gratuit de Dieu » (Exhortation apostolique Evangelii gaudium, n. 179). De la nature missionnaire même de l’Église jaillissent « la charité effective pour le prochain, la compassion qui comprend, assiste et encourage » (idem).

5. La sagesse du cœur c’est être solidaire avec le frère sans le juger. La charité a besoin de temps. Du temps pour soigner les malades et du temps pour les visiter. Du temps pour être auprès d’eux comme le firent les amis de Job : « Puis, s’asseyant à terre près de lui, ils restèrent ainsi durant sept jours et sept nuits. Aucun ne lui adressa la parole, au spectacle d’une si grande douleur » (Jb 2,13). Mais les amis de Job cachaient au fond d’eux-mêmes un jugement négatif à son sujet : ils pensaient que son malheur était la punition de Dieu pour une de ses fautes. Au contraire, la véritable charité est un partage qui ne juge pas, qui ne prétend pas convertir l’autre ; elle est libérée de cette fausse humilité qui, au fond, recherche l’approbation et se complaît dans le bien accompli.

L’expérience de Job trouve sa réponse authentique uniquement dans la croix de Jésus, acte suprême de solidarité de Dieu avec nous, totalement gratuit, totalement miséricordieux. Et cette réponse d’amour au drame de la souffrance humaine, spécialement de la souffrance innocente, demeure imprimée pour toujours dans le corps du Christ ressuscité, dans ses plaies glorieuses, qui sont un scandale pour la foi mais sont également preuve de la foi (cf. Homélie pour la canonisation de Jean XXIII et de Jean-Paul II, 27 avril 2014).

De même, lorsque la maladie, la solitude et l’incapacité l’emportent sur notre vie de don, l’expérience de la souffrance peut devenir un lieu privilégié de la transmission de la grâce et une source pour acquérir et renforcer la sapientia cordis. Donc, on peut comprendre que Job, à la fin de son expérience, en s’adressant à Dieu, peut déclarer : « Je ne te connaissais que par ouï-dire, mais maintenant mes yeux t’ont vu » (42,5). Et les personnes plongées dans le mystère de la souffrance et de la douleur, accueilli dans la foi, peuvent également devenir des témoins vivant d’une foi qui permet d’habiter la souffrance elle-même, bien que l’homme, par son intelligence, ne soit pas capable de la comprendre en profondeur.

6. Je confie cette Journée mondiale du Malade à la protection maternelle de Marie, qui a accueilli dans son sein et a donné naissance à la Sagesse incarnée, Jésus-Christ, notre Seigneur.

Ô Marie, Siège de la Sagesse, intercède comme notre Mère pour tous les malades et pour ceux qui en prennent soin. Fais que, dans le service du prochain qui souffre et à travers l’expérience même de la souffrance, nous puissions accueillir et faire croître en nous la véritable sagesse du cœur.

J’accompagne cette invocation pour vous tous de ma bénédiction apostolique.

Du Vatican, le 3 Décembre 2014, Memorial de Saint François Xavier

FRANCISCUS

[02134-03.01] [Texte original: Français]

Testo in lingua inglese

Sapientia Cordis.

"I was eyes to the blind, and feet to the lame"

(Job 29:15)

Dear Brothers and Sisters,

On this, the twenty-third World Day of the Sick, begun by Saint John Paul II, I turn to all of you who are burdened by illness and are united in various ways to the flesh of the suffering Christ, as well as to you, professionals and volunteers in the field of health care.

This year’s theme invites us to reflect on a phrase from the Book of Job: "I was eyes to the blind, and feet to the lame" (Job 29:15). I would like to consider this phrase from the perspective of "sapientia cordis" – the wisdom of the heart.

1. This "wisdom" is no theoretical, abstract knowledge, the product of reasoning. Rather, it is, as Saint James describes it in his Letter, "pure, then peaceable, gentle, open to reason, full of mercy and good fruits, without uncertainty or insincerity" (3:17). It is a way of seeing things infused by the Holy Spirit in the minds and the hearts of those who are sensitive to the sufferings of their brothers and sisters and who can see in them the image of God. So let us take up the prayer of the Psalmist: "Teach us to number our days that we may gain a heart of wisdom" (Ps 90:12). This "sapientia cordis", which is a gift of God, is a compendium of the fruits of the World Day of the Sick.

2. Wisdom of the heart means serving our brothers and sisters. Job’s words: "I was eyes to the blind, and feet to the lame", point to the service which this just man, who enjoyed a certain authority and a position of importance amongst the elders of his city, offered to those in need. His moral grandeur found expression in the help he gave to the poor who sought his help and in his care for orphans and widows (Job 29:12-13).

Today too, how many Christians show, not by their words but by lives rooted in a genuine faith, that they are "eyes to the blind" and "feet to the lame"! They are close to the sick in need of constant care and help in washing, dressing and eating. This service, especially when it is protracted, can become tiring and burdensome. It is relatively easy to help someone for a few days but it is difficult to look after a person for months or even years, in some cases when he or she is no longer capable of expressing gratitude. And yet, what a great path of sanctification this is! In those difficult moments we can rely in a special way on the closeness of the Lord, and we become a special means of support for the Church’s mission.

3. Wisdom of the heart means being with our brothers and sisters. Time spent with the sick is holy time. It is a way of praising God who conforms us to the image of his Son, who "came not to be served but to serve, and to give his life as a ransom for many" (Mt 20:28). Jesus himself said: "I am among you as one who serves" (Lk 22:27).

With lively faith let us ask the Holy Spirit to grant us the grace to appreciate the value of our often unspoken willingness to spend time with these sisters and brothers who, thanks to our closeness and affection, feel more loved and comforted. How great a lie, on the other hand, lurks behind certain phrases which so insist on the importance of "quality of life" that they make people think that lives affected by grave illness are not worth living!

4. Wisdom of the heart means going forth from ourselves towards our brothers and sisters. Occasionally our world forgets the special value of time spent at the bedside of the sick, since we are in such a rush; caught up as we are in a frenzy of doing, of producing, we forget about giving ourselves freely, taking care of others, being responsible for others. Behind this attitude there is often a lukewarm faith which has forgotten the Lord’s words: "You did it unto me’ (Mt 25:40).

For this reason, I would like once again to stress "the absolute priority of ‘going forth from ourselves toward our brothers and sisters’ as one of the two great commandments which ground every moral norm and as the clearest sign for discerning spiritual growth in response to God’s completely free gift" (Evangelii Gaudium, 179). The missionary nature of the Church is the wellspring of an "effective charity and a compassion which understands, assists and promotes" (ibid).

5. Wisdom of the heart means showing solidarity with our brothers and sisters while not judging them. Charity takes time. Time to care for the sick and time to visit them. Time to be at their side like Job’s friends: "And they sat with him on the ground seven days and seven nights, and no one spoke a word to him, for they saw that his suffering was very great" (Job 2:13). Yet Job’s friends harboured a judgement against him: they thought that Job’s misfortune was a punishment from God for his sins. True charity is a sharing which does not judge, which does not demand the conversion of others; it is free of that false humility which, deep down, seeks praise and is self-satisfied about whatever good it does.

Job’s experience of suffering finds its genuine response only in the cross of Jesus, the supreme act of God’s solidarity with us, completely free and abounding in mercy. This response of love to the drama of human pain, especially innocent suffering, remains for ever impressed on the body of the risen Christ; his glorious wounds are a scandal for faith but also the proof of faith (cf. Homily for the Canonization of John XXIII and John Paul II, 27 April 2014).

Even when illness, loneliness and inability make it hard for us to reach out to others, the experience of suffering can become a privileged means of transmitting grace and a source for gaining and growing in sapientia cordis. We come to understand how Job, at the end of his experience, could say to God: "I had heard of you by the hearing of the ear, but now my eye sees you" (42:5). People immersed in the mystery of suffering and pain, when they accept these in faith, can themselves become living witnesses of a faith capable of embracing suffering, even without being able to understand its full meaning.

6. I entrust this World Day of the Sick to the maternal protection of Mary, who conceived and gave birth to Wisdom incarnate: Jesus Christ, our Lord.

O Mary, Seat of Wisdom, intercede as our Mother for all the sick and for those who care for them! Grant that, through our service of our suffering neighbours, and through the experience of suffering itself, we may receive and cultivate true wisdom of heart!

With this prayer for all of you, I impart my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 3 December 2014, Memorial of Saint Francis Xavier

FRANCISCUS

[02134-02.01] [Original text: English]

Testo in lingua tedesca

Sapentia cordis.

"Auge war ich für den Blinden, dem Lahmen wurde ich zum Fuß"

(Ijob 29,15)

Liebe Brüder und Schwestern,

anlässlich des XXIII. Weltkrankentags, der seinerzeit vom heiligen Johannes Paul II. eingeführt wurde, wende ich mich an euch alle, die ihr die Last der Krankheit tragt und auf verschiedene Weise mit dem Leib des leidenden Christus verbunden seid, wie auch an euch Berufstätige und Freiwillige im Bereich des Gesundheitswesens.

Das Thema dieses Jahres lädt uns ein, über ein Wort aus dem Buch Ijob nachzudenken: » Auge war ich für den Blinden, dem Lahmen wurde ich zum Fuß « (29,15). Ich möchte es aus der Perspektive der „sapientiacordis", der Weisheit des Herzens tun.

1. Diese Weisheit ist nicht eine theoretische, abstrakte Erkenntnis, Frucht einer Überlegung. Sie ist vielmehr – wie der heilige Jakobus sie in seinem Brief beschreibt – » erstens heilig, sodann friedlich, freundlich, gehorsam, voll Erbarmen und reich an guten Früchten, sie ist unparteiisch, sie heuchelt nicht « (3,17). Sie ist also eine vom Heiligen Geist eingegebene Geistes- und Herzenshaltung dessen, der sich dem Leiden der Mitmenschen zu öffnen weiß und in ihnen das Abbild Gottes erkennt. Machen wir uns daher die Bitte aus dem Psalm zu Eigen: » Unsre Tage zu zählen, lehre uns! Dann gewinnen wir ein weises Herz « (90,12). In dieser sapientiacordis, die ein Geschenk Gottes ist, können wir die Früchte des Weltkrankentags zusammenfassen.

2. Weisheit des Herzens bedeutet, dem Mitmenschen zu dienen. In der Rede des Ijob, aus der das Wort stammt: » Auge war ich für den Blinden, dem Lahmen wurde ich zum Fuß «, wird die Dimension des Dienstes an den Notleidenden deutlich, den dieser gerechte Mann geleistet hat, der eine gewisse Autorität besitzt und einen Ehrenplatz unter den Ältesten der Stadt einnimmt. Seine moralische Größe zeigt sich im Dienst am Armen, der um Hilfe schreit, und in der Sorge für den Waisen und die Witwe (vgl. 29,12-13).

Wie viele Christen bezeugen auch heute – nicht mit Worten, sondern mit ihrem in einem aufrichtigen Glauben verwurzelten Leben –, dass sie „Auge für den Blinden" und „Fuß für den Lahmen" sind! Menschen, welche den Kranken nahe sind, die einer ständigen Betreuung bedürfen, einer Hilfe, um sich zu waschen, um sich anzuziehen, um zu essen. Dieser Dienst kann, besonders wenn er sich über lange Zeit hinzieht, mühsam und drückend werden. Es ist relativ leicht, einige Tage lang zu dienen, schwierig aber ist es, einen Menschen über Monate oder sogar Jahre hin zu pflegen, auch wenn dieser nicht mehr in der Lage ist zu danken. Und doch, welch wichtiger Weg der Heiligung ist dies! In solchen Zeiten kann man sich in besonderer Weise auf die Nähe des Herrn verlassen, und man unterstützt auch auf ganz eigene Art die Sendung der Kirche.

3. Weisheit des Herzens bedeutet, bei dem Mitmenschen zu verweilen. Die an der Seite des Kranken verbrachte Zeit ist eine heilige Zeit. Sie ist ein Lob Gottes, der uns nach dem Bild seines Sohnes gestaltet, der » nicht gekommen [ist], um sich dienen zu lassen, sondern um zu dienen und sein Leben hinzugeben als Lösegeld für viele « (Mt 20,28). Jesus selbst hat gesagt: » Ich aber bin unter euch wie der, der bedient « (Lk 22,27).

Bitten wir in lebendigem Glauben den Heiligen Geist, dass er uns die Gnade schenke, den Wert der oftmals schweigenden Begleitung zu erkennen. Das wird uns dazu führen, Zeit zu haben für diese Schwestern und Brüder, die sich dank unserer Nähe und unserer Zuneigung mehr geliebt und getröstet fühlen. Welch große Lüge verbirgt sich dagegen hinter gewissen Äußerungen, die so beharrlich die „Lebensqualität" betonen, um zu dem Glauben zu verleiten, ein von schwerer Krankheit befallenes Leben sei nicht wert, gelebt zu werden!

4. Weisheit des Herzens bedeutet, aus sich selbst heraus- und auf den Mitmenschen zuzugehen. Unsere Welt vergisst manchmal den besonderen Wert der am Krankenbett verbrachten Zeit, weil man von der Eile, von der Hektik des Tuns, des Produzierens bedrängt ist und die Dimension der Unentgeltlichkeit vergisst, den Aspekt, den anderen zu umsorgen und sich seiner anzunehmen. Letztlich liegt hinter dieserHaltung oft ein halbherziger Glaube, der jenes Wort des Herrn vergessen hat, der sagt: » Das habt ihr mir getan « (Mt 25,40).

Deshalb möchte ich noch einmal erinnern an » die absolute Vorrangigkeit des „Aus-sich-Herausgehens auf den Mitmenschen zu" als eines der beiden Hauptgebote, die jede sittliche Norm begründen, und als deutlichstes Zeichen, anhand dessen man den Weg geistlichen Wachstums als Antwort auf das völlig ungeschuldete Geschenk Gottes überprüfen kann « (Apostolisches Schreiben Evangeliigaudium, 179). Aus der missionarischen Natur der Kirche selbst entspringt » die wirkliche Nächstenliebe, das Mitgefühl, das versteht, beisteht und fördert « (ebd.).

5. Weisheit des Herzens bedeutet, solidarisch mit dem Mitmenschen zu sein, ohne ihn zu beurteilen. Die Nächstenliebe braucht Zeit. Zeit, um die Kranken zu pflegen, und Zeit, um sie zu besuchen. Zeit, um bei ihnen zu verweilen, wie es die Freunde Ijobs taten: » Sie saßen bei ihm auf der Erde sieben Tage und sieben Nächte; keiner sprach ein Wort zu ihm. Denn sie sahen, dass sein Schmerz sehr groß war« (Ijob 2,13). Doch die Freunde Ijobs verbargen in ihrem Innern ein negatives Urteil über ihn: Sie meinten, sein Unglück sei die Strafe Gottes für eine Schuld. Die wahre Nächstenliebe ist hingegen eine Teilnahme, die nicht urteilt, die sich nicht anmaßt, den anderen zu bekehren; sie ist frei von jener falschen Demut, die unterschwellig Anerkennung sucht, und freut sich über das vollbrachte Gute.

Die Erfahrung Ijobs findet ihre authentische Antwort allein im Kreuz Jesu, dem äußersten, völlig ungeschuldeten, ganz und gar barmherzigen Akt der Solidarität Gottes mit uns. Und diese Antwort der Liebe auf die Tragödie des menschlichen Leidens – speziell des unschuldigen Leidens – bleibt dem Leib des auferstandenen Christus für immer eingeprägt, in jenen glorreichen Wunden, die ein Ärgernis für den Glauben, aber auch ein Nachweis für den Glauben sind (vgl. Homilie zur Heiligsprechung von Johannes XXIII. und Johannes Paul II., 27. April 2014).

Auch wenn die Krankheit, die Einsamkeit und die Unfähigkeit die Oberhand über unser Leben der Hingabe gewinnen, kann die Erfahrung des Leidens ein bevorzugter Ort der Vermittlung der Gnade sein und eine Quelle, um die sapientiacordis zu erwerben und zu stärken. Darum versteht man, wieso Ijob sich am Ende seiner Erfahrung mit den Worten an Gott wenden kann: » Vom Hörensagen nur hatte ich von dir vernommen; jetzt aber hat mein Auge dich geschaut « (42,5). Auch die im Geheimnis von Leid und Schmerz versunkenen Menschen können, wenn dieses im Glauben angenommen wird, lebendige Zeugen eines Glaubens werden, der es erlaubt, sich im Leiden selbst niederzulassen, obwohl der Mensch mit seiner Intelligenz nicht fähig ist, es bis zum Grunde zu begreifen.

6. Ich vertraue diesen Welttag der Kranken dem mütterlichen Schutz Marias an, die die menschgewordene Weisheit, Jesus Christus, unseren Herrn, in ihrem Schoß empfangen und geboren hat.

O Maria, Sitz der Weisheit, tritt du als unsere Mutter für alle Kranken ein und für die, welche sie pflegen. Gib, dass wir im Dienst am leidenden Nächsten und durch die eigene Erfahrung des Schmerzes die wahre Weisheit des Herzens aufnehmen und in uns wachsen lassen können.

Diese inständige Bitte für euch alle begleite ich mit meinem Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, am 3. Dezember 2014, dem Gedenktag des heiligen Franz Xaver

FRANCISCUS

[02134-05.01] [Originalsprache: Deutsch]

Testo in lingua spagnola

Sapientia cordis.

«Era yo los ojos del ciego y del cojo los pies»

(Jb 29,15)

Queridos hermanos y hermanas:

Con ocasión de la XXIII Jornada Mundial de Enfermo, instituida por san Juan Pablo II, me dirijo a vosotros que lleváis el peso de la enfermedad y de diferentes modos estáis unidos a la carne de Cristo sufriente; así como también a vosotros, profesionales y voluntarios en el ámbito sanitario.

El tema de este año nos invita a meditar una expresión del Libro de Job: «Era yo los ojos del ciego y del cojo los pies» (29,15). Quisiera hacerlo en la perspectiva de la sapientia cordis, la sabiduría del corazón.

1. Esta sabiduría no es un conocimiento teórico, abstracto, fruto de razonamientos. Antes bien, como la describe Santiago en su Carta, es «pura, además pacífica, complaciente, dócil, llena de compasión y buenos frutos, imparcial, sin hipocresía» (3,17). Por tanto, es una actitud infundida por el Espíritu Santo en la mente y en el corazón de quien sabe abrirse al sufrimiento de los hermanos y reconoce en ellos la imagen de Dios. De manera que, hagamos nuestra la invocación del Salmo: «¡A contar nuestros días enséñanos / para que entre la sabiduría en nuestro corazón!» (Sal 90,12). En esta sapientia cordis, que es don de Dios, podemos resumir los frutos de la Jornada Mundial del Enfermo.

2. Sabiduría del corazón es servir al hermano. En el discurso de Job que contiene las palabras «Era yo los ojos del ciego y del cojo los pies», se pone en evidencia la dimensión de servicio a los necesitados de parte de este hombre justo, que goza de cierta autoridad y tiene un puesto de relieve entre los ancianos de la ciudad. Su talla moral se manifiesta en el servicio al pobre que pide ayuda, así como también en el ocuparse del huérfano y de la viuda (vv.12-13).

Cuántos cristianos dan testimonio también hoy, no con las palabras, sino con su vida radicada en una fe genuina, y son «ojos del ciego» y «del cojo los pies». Personas que están junto a los enfermos que tienen necesidad de una asistencia continuada, de una ayuda para lavarse, para vestirse, para alimentarse. Este servicio, especialmente cuando se prolonga en el tiempo, se puede volver fatigoso y pesado. Es relativamente fácil servir por algunos días, pero es difícil cuidar de una persona durante meses o incluso durante años, incluso cuando ella ya no es capaz de agradecer. Y, sin embargo, ¡qué gran camino de santificación es éste! En esos momentos se puede contar de modo particular con la cercanía del Señor, y se es también un apoyo especial para la misión de la Iglesia.

3. Sabiduría del corazón es estar con el hermano. El tiempo que se pasa junto al enfermo es un tiempo santo. Es alabanza a Dios, que nos conforma a la imagen de su Hijo, el cual «no ha venido para ser servido, sino para servir y a dar su vida como rescate por muchos» (Mt 20,28). Jesús mismo ha dicho: «Yo estoy en medio de vosotros como el que sirve» (Lc 22,27).

Pidamos con fe viva al Espíritu Santo que nos otorgue la gracia de comprender el valor del acompañamiento, con frecuencia silencioso, que nos lleva a dedicar tiempo a estas hermanas y a estos hermanos que, gracias a nuestra cercanía y a nuestro afecto, se sienten más amados y consolados. En cambio, qué gran mentira se esconde tras ciertas expresiones que insisten mucho en la «calidad de vida», para inducir a creer que las vidas gravemente afligidas por enfermedades no serían dignas de ser vividas.

4. Sabiduría del corazón es salir de sí hacia el hermano. A veces nuestro mundo olvida el valor especial del tiempo empleado junto a la cama del enfermo, porque estamos apremiados por la prisa, por el frenesí del hacer, del producir, y nos olvidamos de la dimensión de la gratuidad, del ocuparse, del hacerse cargo del otro. En el fondo, detrás de esta actitud hay frecuencia una fe tibia, que ha olvidado aquella palabra del Señor, que dice: «A mí me lo hicisteis» (Mt 25,40).

Por esto, quisiera recordar una vez más «la absoluta prioridad de la "salida de sí hacia el otro" como uno de los mandamientos principales que fundan toda norma moral y como el signo más claro para discernir acerca del camino de crecimiento espiritual como respuesta a la donación absolutamente gratuita de Dios» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 179). De la misma naturaleza misionera de la Iglesia brotan «la caridad efectiva con el prójimo, la compasión que comprende, asiste y promueve» (ibíd.).

5. Sabiduría del corazón es ser solidarios con el hermano sin juzgarlo. La caridad tiene necesidad de tiempo. Tiempo para curar a los enfermos y tiempo para visitarles. Tiempo para estar junto a ellos, como hicieron los amigos de Job: «Luego se sentaron en el suelo junto a él, durante siete días y siete noches. Y ninguno le dijo una palabra, porque veían que el dolor era muy grande» (Jb 2,13). Pero los amigos de Job escondían dentro de sí un juicio negativo sobre él: pensaban que su desventura era el castigo de Dios por una culpa suya. La caridad verdadera, en cambio, es participación que no juzga, que no pretende convertir al otro; es libre de aquella falsa humildad que en el fondo busca la aprobación y se complace del bien hecho.

La experiencia de Job encuentra su respuesta auténtica sólo en la Cruz de Jesús, acto supremo de solidaridad de Dios con nosotros, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. Y esta respuesta de amor al drama del dolor humano, especialmente del dolor inocente, permanece para siempre impregnada en el cuerpo de Cristo resucitado, en sus llagas gloriosas, que son escándalo para la fe pero también son verificación de la fe (Cf Homilía con ocasión de la canonización de Juan XXIII y Juan Pablo II, 27 de abril de 2014).

También cuando la enfermedad, la soledad y la incapacidad predominan sobre nuestra vida de donación, la experiencia del dolor puede ser lugar privilegiado de la transmisión de la gracia y fuente para lograr y reforzar la sapientia cordis. Se comprende así cómo Job, al final de su experiencia, dirigiéndose a Dios puede afirmar: «Yo te conocía sólo de oídas, mas ahora te han visto mis ojos» (42,5). De igual modo, las personas sumidas en el misterio del sufrimiento y del dolor, acogido en la fe, pueden volverse testigos vivientes de una fe que permite habitar el mismo sufrimiento, aunque con su inteligencia el hombre no sea capaz de comprenderlo hasta el fondo.

6. Confío esta Jornada Mundial del Enfermo a la protección materna de María, que ha acogido en su seno y ha generado la Sabiduría encarnada, Jesucristo, nuestro Señor.

Oh María, Sede de la Sabiduría, intercede, como Madre nuestra por todos los enfermos y los que se ocupan de ellos. Haz que en el servicio al prójimo que sufre y a través de la misma experiencia del dolor, podamos acoger y hacer crecer en nosotros la verdadera sabiduría del corazón.

Acompaño esta súplica por todos vosotros con la Bendición Apostólica.

Vaticano, 30 de diciembre de 2014, Memorial de San Francisco Javier

FRANCISCUS

[02134-04.01] [Texto original: Español]

 

Testo in lingua portoghese

Sapientia cordis.

«Eu era os olhos do cego e servia de pés para o coxo" 
(Job 29, 15)
»

Queridos irmãos e irmãs,

por ocasião do XXIII Dia Mundial do Doente, instituído por São João Paulo II, dirijo-me a todos vós que carregais o peso da doença, encontrando-vos de várias maneiras unidos à carne de Cristo sofredor, bem como a vós, profissionais e voluntários no campo da saúde.

O tema deste ano convida-nos a meditar uma frase do livro de Job: «Eu era os olhos do cego e servia de pés para o coxo» (29, 15). Gostaria de o fazer na perspectiva da «sapientia cordis», da sabedoria do coração.

1. Esta sabedoria não é um conhecimento teórico, abstracto, fruto de raciocínios; antes, como a descreve São Tiago na sua Carta, é «pura (…), pacífica, indulgente, dócil, cheia de misericórdia e de bons frutos, imparcial, sem hipocrisia» (3, 17). Trata-se, por conseguinte, de uma disposição infundida pelo Espírito Santo na mente e no coração de quem sabe abrir-se ao sofrimento dos irmãos e neles reconhece a imagem de Deus. Por isso, façamos nossa esta invocação do Salmo: «Ensina-nos a contar assim os nossos dias, / para podermos chegar à sabedoria do coração» (Sal 90/89, 12). Nesta sapientia cordis, que é dom de Deus, podemos resumir os frutos do Dia Mundial do Doente.

2. Sabedoria do coração é servir o irmão. No discurso de Job que contém as palavras «eu era os olhos do cego e servia de pés para o coxo», evidencia-se a dimensão de serviço aos necessitados por parte deste homem justo, que goza duma certa autoridade e ocupa um lugar de destaque entre os anciãos da cidade. A sua estatura moral manifesta-se no serviço ao pobre que pede ajuda, bem como no cuidado do órfão e da viúva (cf. 29, 12-13).

Também hoje quantos cristãos dão testemunho – não com as palavras mas com a sua vida radicada numa fé genuína – de ser «os olhos do cego» e «os pés para o coxo»! Pessoas que permanecem junto dos doentes que precisam de assistência contínua, de ajuda para se lavar, vestir e alimentar. Este serviço, especialmente quando se prolonga no tempo, pode tornar-se cansativo e pesado; é relativamente fácil servir alguns dias, mas torna-se difícil cuidar de uma pessoa durante meses ou até anos, inclusive quando ela já não é capaz de agradecer. E, no entanto, que grande caminho de santificação é este! Em tais momentos, pode-se contar de modo particular com a proximidade do Senhor, sendo também de especial apoio à missão da Igreja.

3. Sabedoria do coração é estar com o irmão. O tempo gasto junto do doente é um tempo santo. É louvor a Deus, que nos configura à imagem do seu Filho, que «não veio para ser servido, mas para servir e dar a sua vida para resgatar a multidão» (Mt 20, 28). Foi o próprio Jesus que o disse: «Eu estou no meio de vós como aquele que serve» (Lc 22, 27).

Com fé viva, peçamos ao Espírito Santo que nos conceda a graça de compreender o valor do acompanhamento, muitas vezes silencioso, que nos leva a dedicar tempo a estas irmãs e a estes irmãos que, graças à nossa proximidade e ao nosso afecto, se sentem mais amados e confortados. E, ao invés, que grande mentira se esconde por trás de certas expressões que insistem muito sobre a «qualidade da vida» para fazer crer que as vidas gravemente afectadas pela doença não mereceriam ser vividas!

4. Sabedoria do coração é sair de si ao encontro do irmão. Às vezes, o nosso mundo esquece o valor especial que tem o tempo gasto à cabeceira do doente, porque, obcecados pela rapidez, pelo frenesim do fazer e do produzir, esquece-se a dimensão da gratuidade, do prestar cuidados, do encarregar-se do outro. No fundo, por detrás desta atitude, há muitas vezes uma fé morna, que esqueceu a palavra do Senhor que diz: «a Mim mesmo o fizestes» (Mt 25, 40).

Por isso, gostaria de recordar uma vez mais a «absoluta prioridade da "saída de si próprio para o irmão", como um dos dois mandamentos principais que fundamentam toda a norma moral e como o sinal mais claro para discernir sobre o caminho de crescimento espiritual em resposta à doação absolutamente gratuita de Deus» (Exort. ap. Evangelii gaudium, 179). É da própria natureza missionária da Igreja que brotam «a caridade efectiva para com o próximo, a compaixão que compreende, assiste e promove» (Ibid., 179).

5. Sabedoria do coração é ser solidário com o irmão, sem o julgar. A caridade precisa de tempo. Tempo para cuidar dos doentes e tempo para os visitar. Tempo para estar junto deles, como fizeram os amigos de Job: «Ficaram sentados no chão, ao lado dele, sete dias e sete noites, sem lhe dizer palavra, pois viram que a sua dor era demasiado grande» (Job 2, 13). Mas, dentro de si mesmos, os amigos de Job escondiam um juízo negativo acerca dele: pensavam que a sua infelicidade fosse o castigo de Deus por alguma culpa dele. Pelo contrário, a verdadeira caridade é partilha que não julga, que não tem a pretensão de converter o outro; está livre daquela falsa humildade que, fundamentalmente, busca aprovação e se compraz com o bem realizado.

A experiência de Job só encontra a sua resposta autêntica na Cruz de Jesus, acto supremo de solidariedade de Deus para connosco, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E esta resposta de amor ao drama do sofrimento humano, especialmente do sofrimento inocente, permanece para sempre gravada no corpo de Cristo ressuscitado, naquelas suas chagas gloriosas que são escândalo para a fé, mas também verificação da fé (cf. Homilia na canonização de João XXIII e João Paulo II, 27 de Abril de 2014).

Mesmo quando a doença, a solidão e a incapacidade levam a melhor sobre a nossa vida de doação, a experiência do sofrimento pode tornar-se lugar privilegiado da transmissão da graça e fonte para adquirir e fortalecer a sapientia cordis. Por isso se compreende como Job, no fim da sua experiência, pôde afirmar dirigindo-se a Deus: «Os meus ouvidos tinham ouvido falar de Ti, mas agora vêem-Te os meus próprios olhos» (42, 5). Também as pessoas imersas no mistério do sofrimento e da dor, se acolhido na fé, podem tornar-se testemunhas vivas duma fé que permite abraçar o próprio sofrimento, ainda que o homem não seja capaz, pela própria inteligência, de o compreender até ao fundo.

6. Confio este Dia Mundial do Doente à protecção materna de Maria, que acolheu no ventre e gerou a Sabedoria encarnada, Jesus Cristo, nosso Senhor.

Ó Maria, Sede da Sabedoria, intercedei como nossa Mãe por todos os doentes e quantos cuidam deles. Fazei que possamos, no serviço ao próximo sofredor e através da própria experiência do sofrimento, acolher e fazer crescer em nós a verdadeira sabedoria do coração.

Acompanho esta súplica por todos vós com a minha Bênção Apostólica.

Vaticano, 3 de Dezembro – Memória de São Francisco Xavier – do ano 2014.

FRANCISCUS

[02134-06.01] [Texto original: Português]

Testo in lingua polacca

Sapientia cordis.

"Niewidomemu byłem oczami, chromemu służyłem za nogi".

(Hi 29,15)

Drodzy bracia i siostry,

z okazji XXIII Światowego Dnia Chorego, ustanowionego przez św. Jana Pawła II, zwracam się do Was wszystkich, którzy nosicie ciężar choroby i na wiele sposobów jesteście złączeni z cierpiącym ciałem Chrystusa; jak również do Was, pracowników i wolontariuszy zaangażowanych w służbie zdrowia.

Temat w tym roku zaprasza nas do medytacji słów z Księgi Hioba: "Niewidomemu byłem oczami, chromemu służyłem za nogi" (29,15). Chciałbym ją podjąć w perspektywie mądrości serca (sapientia cordis).

1. Mądrość ta nie jest znajomością teoretyczną, abstrakcyjną, wynikiem rozumowania. Raczej jest ona, jak określa ją św. Jakub w swoim Liście, "czysta, dalej, skłonna do zgody, ustępliwa, posłuszna, pełna miłosierdzia i dobrych owoców, wolna od względów ludzkich i obłudy" (3,17). Z tego też powodu jest ona postawą wlaną przez Ducha Świętego w umysły i serca tych, którzy potrafią otworzyć się na cierpienia braci i dostrzec w nich obraz Boga. Uczyńmy zatem naszym zawołanie Psalmu: "Naucz nas liczyć dni nasze / abyśmy osiągnęli mądrość serca" (Ps 90,12). W tej mądrości serca (sapientia cordis, która jest darem Boga, możemy zebrać owoce Światowego Dnia Chorego.

2. Mądrością serca jest służba bliźniemu. W mowie Hioba, która zawiera słowa "Niewidomemu byłem oczami, chromemu służyłem za nogi" jest podkreślony wymiar służby potrzebującym ze strony tego prawego człowieka, który cieszy się autorytetem i zajmuje szczególne miejsce wśród starszych miasta. Jego postawa moralna przejawia się w służbie ubogiemu, który prosi o pomoc, a także w trosce o sierotę i wdowę (por. Hi 29, 12-13).

Jakże wielu chrześcijan także dziś świadczy, nie słowami, ale swoim życiem, zakorzenionym w szczerej wierze, że są "oczami niewidomego" i "stopami chromego"! Osoby, będące blisko chorych, którzy potrzebują stałej opieki, pomocy w umyciu się, ubraniu czy spożywaniu posiłków. Ta posługa, szczególnie gdy jest rozciągnięta w czasie, może stać się męcząca i ciężka. Jest stosunkowo łatwo służyć przez kilka dni, ale trudno pielęgnować osobę przez wiele miesięcy lub nawet lat, także wówczas, gdy nie jest ona już w stanie wyrazić swojej wdzięczności. Tymczasem, jakże to wielka droga uświęcenia! W tych chwilach, wnosząc również wyjątkowy wkład w misję Kościoła, można liczyć w sposób szczególny na bliskość Pana.

3. Mądrość serca to trwanie przy bliźnim. Czas spędzony obok chorego jest czasem świętym. To uwielbienie Boga, który kształtuje nas na obraz swego Syna, który "nie przyszedł, aby Mu służono, lecz aby służyć i dać swoje życie na okup za wielu" (Mt 20, 28). Jezus sam powiedział: "Ja jestem pośród was jako ten, który służy" (Łk 22, 27).Prośmy z żywą wiarą Ducha Świętego, aby dał nam łaskę zrozumienia wartości towarzyszenia, często w sposób cichy, tym naszym siostrom i braciom, którzy, dzięki naszej bliskości i naszej życzliwości, poczują się bardziej kochani i umocnieni. Jakież wielkie kłamstwo kryje się natomiast w niektórych wyrażeniach, które kładą nacisk na tzw. "jakość życia", przekonując do uwierzenia, że życie poważnie dotknięte chorobą nie jest warte dalszej egzystencji!

4. Mądrość serca to wyjście poza siebie ku bliźniemu. Świat, w którym żyjemy zapomina niekiedy o szczególnej wartości, jaką ma czas spędzony przy łóżku chorego, gdyż jest się pochłoniętym przez pośpiech, nawał obowiązków, rzeczy do wykonania i w ten sposób łatwo zapomina się o wartości bezinteresownej opieki nad bliźnim. U źródeł takiej postawy jest często letnia wiara, która zapomniała o słowach Pana: "Wszystko to Mnieście uczynili" (Mt 25, 40).

Dlatego chciałbym przypomnieć raz jeszcze, "absolutny priorytet, jakim jest wyjście poza siebie ku bratu", jako jedno z dwóch głównych przykazań stanowiących fundament wszelkich norm moralnych i jako najjaśniejszy znak przy dokonywaniu rozeznania na drodze duchowego rozwoju, w odpowiedzi na absolutnie bezinteresowny dar Boga. (Adhortacja Apostolska, Evangelii gaudium, 179). Z samej natury misyjnej Kościoła wypływa "czynna miłość wobec bliźniego, współczucie, które rozumie, towarzyszy i promuje" (tamże). 

5. Mądrość serca oznacza być solidarnym z bliźnim bez osądzania go. Miłość potrzebuje czasu. Czasu, aby leczyć chorych i czasu na ich odwiedzanie. Czasu, aby zatrzymać się przy nich, jak przyjaciele Hioba: "Siedzieli z nim na ziemi siedem dni i siedem nocy, nikt nie wyrzekł słowa, bo widzieli ogrom jego bólu" (Hi 2,13). Przyjaciele Hioba jednakże ukrywali w sobie negatywny osąd o nim: myśleli, że jego nieszczęście było karą Bożą za popełnioną winę. Natomiast prawdziwa miłość jest dzieleniem się bez osądzania, bez usiłowania nawracania drugiego; jest wolna od fałszywej pokory, która w gruncie rzeczy szuka uznania i chełpi się z dokonanego czynu.

Doświadczenie Hioba znajduje swoją autentyczną odpowiedź tylko w Krzyżu Jezusa, najwyższym akcie solidarności Boga z nami, zupełnie darmowym, bezgranicznie miłosiernym. I ta właśnie odpowiedź miłości na dramat ludzkiego cierpienia, zwłaszcza cierpienia niezawinionego, pozostaje na zawsze wpisana w ciało Chrystusa zmartwychwstałego, w te Jego chwalebne rany, które są zgorszeniem dla wiary, ale są również sprawdzianem wiary (por. Homilia podczas Kanonizacji Jana XXIII i Jana Pawła II, 27 kwietnia 2014 r.).

Nawet wówczas, gdy choroba, samotność i niepełnosprawność przeważają w naszym życiu, będącym darem dla innych, doświadczenie bólu może stać się uprzywilejowanym czasem łaski i źródłem do uzyskania i umocnienia mądrości serca. W ten sposób staje się zrozumiałe, dlaczego Hiob u kresu swego doświadczenia, zwracając się do Boga, mógł stwierdzić: "Dotąd Cię znałem ze słyszenia, obecnie ujrzałem Cię wzrokiem" (Hi 42,5). Również osoby zanurzone w tajemnicy cierpienia i bólu, przyjętego jednak z wiarą, mogą stać się żywymi świadkami tej wiary, która pozwala współistnieć z samym cierpieniem, pomimo że ludzka inteligencja nie jest w stanie do końca go zrozumieć.

6. Macierzyńskiej opiece Maryi, która przyjęła w swoim łonie i zrodziła Mądrość wcieloną, Jezusa Chrystusa, naszego Pana, powierzam tegoroczny Światowy Dzień Chorego.

O Maryjo, Stolico Mądrości, jako nasza Matka wstawiaj się za wszystkimi chorymi i za tymi, którzy się nimi opiekują. Spraw, abyśmy w służbie cierpiącemu człowiekowi i przez samo doświadczenie cierpienia, mogli przyjąć i rozwijać w sobie prawdziwą mądrość serca.

Z tym błaganiem w intencji Was wszystkich łączę moje Apostolskie Błogosławieństwo.

Watykan, 3 grudnia 2014 r., w liturgiczne wspomnienie św. Franciszka Ksawerego

FRANCISCUS

 [02134-09.01] [Testo originale: Polacco]

[B0992-XX.02]