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Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 48.ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2015), 10.12.2014


Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 48.ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2015)

Intervento del Card. Peter Kodwo Appiah Turkson

Intervento di S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B.

Intervento del Dott. Vittorio V. Alberti

Intervento di Sr. Gabriella Bottani, SMC

Alle ore 12 di oggi si tiene, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2015 e che ha per tema: "Non più schiavi, ma fratelli".

Intervengono alla conferenza stampa l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B., Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; il Dott. Vittorio V. Alberti, Officiale del Dicastero e la Rev.da Sr. Gabriella Bottani, Suora Missionaria Comboniana, della Rete Internazionale della Vita Consacrata contro la Tratta di Persone (dell’UISG) e responsabile di Talitha Kum.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

Intervento del Card. Peter Kodwo Appiah Turkson

Sono lieto di darvi il benvenuto alla presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2015. In esso, il Papa intende continuare le sue riflessioni sviluppate nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2014 sul tema: Fraternità, fondamento e via per la pace, che considerava la fraternità in stretto rapporto con la pace; mentre il tema scelto per il Messaggio del 2015 - Non più schiavi, ma fratelli – riguarda non solo il fondamento della pace ma la sua realizzazione concreta nei rapporti interpersonali. Pertanto, esso vuol essere un invito a trasformare le relazioni sociali da un rapporto di dipendenza-schiavitù, e di negazione dell’umanità dell’altro, a un rapporto di fraternità vissuta tra fratelli e sorelle perché figli dello stesso Padre. Un cammino di conversione per i credenti che porta a riconoscere nell’altro non un nemico da combattere o un essere inferiore da sfruttare ma un fratello e/o una sorella da amare e, perché amato, da liberare da tutte le catene della schiavitù.

Prendendo spunto dalla Lettera di San Paolo a Filemone, e da altri passi della Bibbia, il Santo Padre mostra che nel disegno di Dio per l’umanità non c’è posto per la schiavizzazione degli altri, perché Dio chiama tutti i suoi figli a rinnovare i loro rapporti interpersonali rispettando in ciascuno di loro l’immagine e la somiglianza di Dio cosi come la dignità intangibile di ogni persona, fiduciosi nella Buona Novella di Gesù Cristo che è capace di rinnovare il cuore dell’uomo, laddove il peccato ha abbondato.

Lungo la storia umana, il peccato ha più volte interrotto la fraternità tra gli uomini ma Dio per mezzo dei profeti e del suo diletto Figlio, non ha mai cessato di invitarli alla conversione, al ritorno a Lui, rinnovando sempre la Sua Alleanza con l’umanità. In Gesù, Egli ha voluto fare "nuove tutte le cose" (Ap 21,5), redimendo perfino le relazioni tra uno schiavo e il suo padrone, da un rapporto di superiorità a una relazione di filiazione adottiva e di fraternità in Cristo.

Come ben si sa, il rifiuto della fraternità continua purtroppo ancora oggi e si traduce nelle forme più svariate di schiavitù moderna, che il Santo Padre ha recentemente sottolineato e richiamato: "Malgrado i grandi sforzi di molti, la schiavitù moderna continua ad essere un flagello atroce che è presente, su larga scala, in tutto il mondo, persino come turismo. Questo crimine di "lesa umanità" si maschera dietro apparenti abitudini accettate, ma in realtà fa le sue vittime nella prostituzione, nella tratta delle persone, il lavoro forzato, il lavoro schiavo, la mutilazione, la vendita di organi, il consumo di droga, il lavoro dei bambini. Si nasconde dietro porte chiuse, in luoghi particolari, nelle strade, nelle automobili, nelle fabbriche, nelle campagne, nei pescherecci e in molte altre parti. E questo succede sia nelle città che nei villaggi, nei centri di accoglienza delle nazioni più ricche e di quelle più povere del mondo. E la cosa peggiore è che questa situazione, disgraziatamente, si aggrava ogni giorno di più".1

Nella prospettiva dell’impegno comune contro la tratta delle persone ed altre forme di schiavitù, vorrei sottolineare brevemente alcuni punti:

La schiavitù, frutto e segno della rottura della fraternità e del rifiuto della comunione (n. 2), un tempo ammessa dalla legge civile come diritto alla proprietà di un’altra persona (n.3), è oggi un "reato di lesa umanità" che come già detto, assume vari volti nel contesto della globalizzazione, creando nuovi bisogni, nuove forme di povertà e nuove schiavitù (n. 4).

In questo anno dedicato alla famiglia, un’attenzione particolare va rivolta all’istituzione familiare in quanto prima scuola della vita e luogo primario della fraternità. Non si può permettere che la famiglia, da luogo di accoglienza e di promozione della vita, si trasformi in luogo in cui la vita è tradita, disprezzata, negata, manipolata e venduta come se si potesse disporre di questo dono secondo i propri interessi.

Per sconfiggere la piaga della schiavitù moderna, occorre un impegno comune, una "mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso" (n. 6), che coinvolga sia il livello locale – famiglie, scuole, parrocchie… – sia quello globale di istituzioni statali e della società civile. E’ importante che tutti gli attori sociali operino a tutti i livelli, per eliminare questa "piaga di lesa umanità".

Da parte sua, la Chiesa di Gesù Cristo, che annuncia la Buona Novella della liberazione dal peccato e da ogni forma di asservimento, deve continuare la sua missione di annunciare la Parola in ogni occasione opportuna e non opportuna (cfr 2 Tm 4,2), denunciando ogni forma di schiavitù e di violazione della dignità della persona umana, offrendo allo stesso tempo nel suo seno – anche attraverso quei piccoli gesti quotidiani di accoglienza e prossimità - la testimonianza di una vita libera, rinnovata e aperta alla Trascendenza.

Pertanto, sull’esempio di Santa Giuseppina Bakhita, già schiava, divenuta poi "libera figlia di Dio", guardiamo con speranza a colui che ha sconfitto il male, Gesù Cristo, l’artefice e l’icona della liberazione dell’umanità e della libertà dei figli di Dio. Dobbiamo lavorare insieme e non stancarci mai finché ci sarà una persona ridotta in schiavitù in questo mondo, perché nessun si può liberare a prescindere dagli altri, dall’umanità e dalla creazione che, come dice San Paolo nella Lettera ai Romani, "attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,19…21). 
Grazie.

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1 Discorso, Cerimonia in Vaticano per la firma della Dichiarazione congiunta dei Leader religiosi contro la schiavitù, 02.12.2014.

[02028-01.01] [Testo originale: Italiano]

 

Intervento di S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B.

Per meglio comprendere il profondo significato del Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2015, occorre situarlo all’interno della missione religiosa ed etica della Chiesa. Essa si interessa della tratta delle persone non primariamente per ragioni politiche o partitiche, come potrebbe risultare dalla lettura di chi tende ad equiparare la comunità ecclesiale a qualsiasi società di carattere civile. La Chiesa si preoccupa dello scandaloso ed abominevole fenomeno della tratta degli esseri umani e della loro schiavitù, anzitutto a partire dalla sua esperienza della incarnazione-redenzione di Cristo. Al centro della missione della Chiesa sta l’amore per l’uomo, specie per i più diseredati, perché Cristo, facendosi carne, ha accettato di vivere in ciascuno di essi ed in essi vuole essere amato ed accolto, condizionando ad una tale condotta la verifica ultima della nostra esistenza sulla terra. La missione della Chiesa, imperniata su un ministero essenzialmente religioso, ha inevitabilmente risvolti pubblici di civilizzazione. Unendosi ad altre comunità religiose e a uomini e donne di buona volontà, fa confluire in una grande opera di collaborazione le proprie energie, specie mediante i christifideles laici, per la difesa e la promozione della dignità trascendente di ogni persona, ed infonde vigore morale alle coscienze, vigore che deve permeare il diritto e l’azione politica.

È noto come la Chiesa, con la sua opera di evangelizzazione e il suo umanesimo, fin dai primi secoli abbia svolto un ruolo di primo piano nell’abolizione dell’istituto della schiavitù, che era accettato e regolato dallo stesso diritto statuale. La Chiesa ha indubbiamente contribuito all’evoluzione positiva delle coscienze, ciò che ha condotto a considerare la schiavitù un «reato di lesa umanità».

E tuttavia, questo tristissimo fenomeno non è mai stato definitivamente debellato. Come constata papa Francesco, nonostante i numerosi accordi firmati dalla Comunità internazionale, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne – nei modi più diversi vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili alla schiavitù. È un dato sconfortante, che testimonia in parte il fallimento non solo della politica, ma anche delle società contemporanee, della loro cultura, dei loro ethos. Il Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2015, passando in rassegna i le nuove forme di schiavitù, inchioda tutti, singoli e gruppi, a prendere atto con un serio esame di coscienza di tali forme barbare ed incivili di esistenza, presenti nelle nostre stesse città, a cui sovente non si presta sufficiente attenzione. Parliamo di:

a) lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti, a livello formale e informale nelle diverse tipologie del lavoro, da quello domestico a quello agricolo, a quello nell’industria manifatturiera, mineraria, tanto nei Paesi in cui la legislazione in materia dei diritti del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto in quelli in cui il lavoro è tutelato, ma dove viene praticato illegalmente il cosiddetto «lavoro nero»;

b) molti migranti che, nei loro drammatici viaggi, intrapresi nella speranza di un futuro migliore, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni, abusati fisicamente e sessualmente;

c) persone, tra cui molti minori, costrette a prostituirsi. Si tratta di veri e propri schiavi sessuali; di donne e soprattutto bambine date forzatamente in sposa, a volte anche vendute a tal fine, o trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza avere la possibilità di negare il proprio consenso;

d) minori e adulti, che sono fatti oggetto di mercimonio per l’espianto di organi, per l’arruolamento nei vari eserciti, per l’accattonaggio, per ogni tipo di attività illegali come lo smercio di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale;

e) persone rapite e tenute in cattività da gruppi terroristici in vista del riscatto e, in genere, per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti spariscono senza lasciar traccia, alcuni vengono venduti anche più volte, seviziati, mutilati, uccisi.

Papa Francesco e, suo tramite, la Chiesa, ai fini di una reazione coraggiosa e della costruzione di una coesistenza giusta e pacifica che abbatta definitivamente la schiavitù, ne elenca alcune cause. La loro analisi permette di approntare soluzioni pertinenti, mobilitando istituzioni e società civili. Sono cause di tipo religioso ed antropologico, sociale e politico, economico e morale, alcune delle quali a carattere fortemente patologico: conflitti armati, violenze, criminalità, terrorismo.

Queste cause reclamano il superamento di un’indifferenza generalizzata. Accanto ad un urgente e convergente lavoro istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili, esigono un vasto impegno da parte della società civile, articolato secondo tre linee fondamentali: il soccorso alle vittime; la riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo; la reintegrazione nella società di destinazione o di origine: lavoro, peraltro, svolto in maniera esemplare da diverse Congregazioni religiose

Le istituzioni – siano esse Stati, organizzazioni intergovernative e della società civile, ma anche il mondo imprenditoriale – sono chiamate, in particolare, a sviluppare una cooperazione a diversi livelli, che includa cioè soggetti nazionali ed internazionali, per combattere le reti transnazionali del crimine organizzato, le quali gestiscono la tratta delle persone ed il traffico illegale dei migranti.

Uno snodo decisivo per l’azione di contrasto, secondo papa Francesco, è dato dalle legislazioni nazionali riguardanti le migrazioni, il lavoro, le adozioni, la delocalizzazione delle imprese e la commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento, che devono realmente, e non solo formalmente, rispettare la dignità delle persone: «Sono necessarie – egli scrive ! leggi giuste, incentrate sulla persona umana che difendano i suoi diritti fondamentali e li ripristino se violati, riabilitando chi è vittima e assicurandone l’incolumità, nonché meccanismi efficaci di controllo della corretta applicazione di tali norme, che non lascino spazio alla corruzione e all’impunità».

Si può dire che la piaga della schiavitù moderna può essere guarita mediante quello Stato sociale, che oggi viene progressivamente smantellato sotto i colpi di un neoliberismo che non riconosce la relazionalità e la solidarietà. Infatti, può essere prevenuta mediante una democrazia ad alta intensità, ovvero inclusiva, ove è reso possibile a tutti l’accesso all’educazione, al lavoro, alla sicurezza sanitaria, alla casa, al cibo. Così, può essere vinta mediante l’affermazione di uno Stato di diritto che, come ha asserito papa Francesco davanti al Parlamento europeo (25 novembre 2014), poggia sulla dignità trascendente dell’uomo e va preservato da quel neoindividualismo libertario e da quel neoutilitarismo che oggi sembrano sgretolarlo, ponendo in gioco i diritti, la sicurezza delle norme e la certezza delle pene.

Sul ruolo degli Stati paiono particolarmente forti le parole del pontefice, rivolte alla Delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale sul delitto della tratta delle persone (23 ottobre 2014): «E, dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale».

Il MGMP 2015 menziona anche il ruolo della Santa Sede, che ha moltiplicato gli appelli alla Comunità internazionale ed ha organizzato alcuni incontri allo scopo di dare maggiore visibilità al fenomeno di questa tratta infame e di agevolare la collaborazione tra diversi attori. È di appena qualche giorno fa la firma del pontefice su una Dichiarazione congiunta con i leader religiosi mondiali da Lui convocati a Roma (2 dicembre 2014).

Molto, tuttavia, rimane ancora da fare. È per questo che tutti hanno l’imperativo morale di impegnarsi a fondo, affinché la nostra generazione sia finalmente l’ultima a dover combattere il turpe commercio di vite umane.

[02029-01.01] [Testo originale: Italiano]

 

Intervento del Dott. Vittorio V. Alberti

Combattere la schiavitù perché la schiavitù è il male. Ma chi ha creato il male? Chi è il responsabile?

Non più schiavi, ma fratelli. Nel sottosuolo di questo titolo, all’apparenza semplice, infuria una delle questioni più tormentose della filosofia e della teologia: il rapporto tra il male e la libertà.

Che vuol dire non più schiavi? Perché Dio permette la schiavitù? Dio è innocente o è colpevole?

Platone sostiene che il Dio non è causa del male, cioè il Dio è innocente: Theòs Anaítios.

Dice Papa Francesco: «ogni essere umano è una persona libera». Sotto le sue parole c’è Sant’Agostino, che dice, come Platone, che Dio non è causa del male, ma ne è origine, cioè Dio origina il male ma non ne è colpevole. Perché? Perché solo così si può realizzare la libertà dell’uomo. E’ l’uomo che sceglie il male o il bene, ed è libero in virtù di tale possibilità di scelta.

Dio, insomma, per farci liberi, ci rende capaci di fare il male, cioè ci rende capaci di fare schiavi i nostri fratelli.

Questo fa capire che la libertà – letta dalla prospettiva cristiana – è il primo dono che Dio dà all’uomo, prima ancora della vita, come si vede molto chiaramente per esempio in Dante, nella Commedia.

Questa premessa per dire cosa? Che la libertà, che esiste in virtù della possibilità di fare il male, è la stessa che occorre costruire per sradicare il suo opposto, cioè la schiavitù. In altre parole: la libertà va costruita, ma, per esserci, deve necessariamente fare i conti col male. Questa che sembra una terribile contraddizione, in realtà è una dialettica che conduce all’azione, l’azione che Papa Francesco invoca. E qual è l’azione? La necessità di riunirci per liberare in hac vita, in questa vita.

Noi dobbiamo liberare sia lo schiavo, sia lo schiavista. La schiavitù, infatti, annienta la dignità dell’uomo in catene, così come quella di chi queste catene le stringe ai suoi polsi.

Ma ciò da cui dobbiamo liberare, cioè il male, deve essere conosciuto perché noi stessi possiamo concepire e realizzare la liberazione. Ed ecco come inquadrare la dichiarazione firmata dai leader religiosi il 2 dicembre. Francesco, infatti, ha parlato (cito) di «iniziativa storica e azione concreta, di lavorare insieme per sradicare il terribile flagello».

Aggiungo che questa struttura filosofica è la stessa che fa capire a fondo cosa ha voluto realizzare Papa Francesco con i movimenti popolari, che non è stata un’adesione al marxismo o in genere a un’ideologia politica, ma il risultato di una dialettica che conduce ad una affermazione chiara. Questa: i poveri sono il centro del Vangelo. Essi sono il centro, ma non per questo devono restare poveri. E, al tempo stesso, la Verità non è statica, informata cioè a un monolitico dogmatismo, ma va ricercata liberamente in ogni cosa, battendo ogni via, anche la più impensabile. E, di qui, ancora la libertà, la libertà del pensiero insita nel cristianesimo, al di là di tanti pregiudizi interni ed esterni alla Chiesa Cattolica.

Tale concezione vale, inoltre, anche per la condanna del crimine, delle organizzazioni criminali e delle mafie, condotta da Papa Francesco, e per la quale ricordiamo il Messaggio del 2014.

Uno degli episodi più importanti della cronaca recente è stato il salvataggio di manoscritti del XIII secolo da parte di un frate domenicano, il padre Nageeb, costretto a fuggire da Qaraqosh, in Iraq, dalla minaccia del fondamentalismo.

Perché è importante? Perché per combattere la schiavitù occorre prenderne coscienza. E il prendere coscienza rinvia ad una comprensione e a un’azione.

Le schiavitù vanno conosciute: ecco la conoscenza, così come conoscenza, storia e bellezza era ed è in quei manoscritti salvati. E la conoscenza significa portare alla luce (l’etimologia della parola "verità" è "portare alla luce") tanto più se si pensa a un fenomeno come la schiavitù, con i suoi innumerevoli volti, che, come ha detto Papa Francesco, si nasconde: «si nasconde dietro porte chiuse, in luoghi particolari, nelle strade, nelle automobili, nelle fabbriche, nelle campagne, nei pescherecci e in molte altre parti. E questo succede sia [nelle] nazioni più ricche [che in] quelle più povere del mondo».

Vorrei, quindi, porre l’enfasi sulla cultura, specie qui, oggi, tra persone che lavorano nella mediazione dei fatti, dunque nel pensiero, nell’opinione pubblica.

Quando immaginiamo la schiavitù, pensiamo a uomini in catene, agli schiavi nelle piantagioni, a turpi angherie, a reclusioni coatte. E riteniamo che essa sia stata superata tanto tempo fa. Ma oggi la schiavitù è diffusissima, molto più di quanto si ritenga, e si mostra in tanti modi: più di quelli coi quali si mostrava nel passato.

I media, gli attori culturali possono e devono fare di più per sensibilizzare all’azione ciascuno di noi, al di là delle nostre appartenenze. E qui, uno speciale incoraggiamento viene espresso da Papa Francesco alle donne, alla loro azione nella cultura e nella comunicazione.

Gli intellettuali, le istituzioni culturali, le arti, l’istruzione, il libero dibattito per la formazione di coscienze civili che rigettino lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Ecco cosa fare.

«La pace, ancor prima d’essere una politica, è uno spirito; ancor prima di esprimersi, vittoriosa o vinta, nelle vicende storiche o nelle relazioni sociali, si esprime, si forma, si afferma nelle coscienze"2» disse Paolo VI.

Papa Francesco nel Messaggio parla di «indifferenza generale», di necessaria «visibilità», e parla di «mobilitazione». Prendere coscienza, conoscenza e mobilitarsi. Ecco il compito decisivo della cultura.

Un esempio: quanti di noi conosce, nel mondo cattolico e fuori del mondo cattolico, Josephine Backita? Ho qui per voi alcuni segnalibro dove si racconta la sua storia.

La sudanese Josephine fu venduta schiava da bambina e per tanti anni torturata. Il suo nome, Bakhita, in arabo vuol dire "fortunata". Josephine bambina dimenticò il suo stesso nome quando fu rapita e ridotta in schiavitù, così le fu dato questo appellativo, finché, attraverso l’inferno che passò, giunse alla libertà.

A lei e ai troppi invisibili dimenticati, senza un nome e una voce, Papa Francesco dedica questo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2015.

Sono loro, infatti, i grandi protagonisti del Messaggio. Ed è ad essi che anche la cultura deve dare voce. Così, grazie alla preziosa presenza, qui in Sala Stampa, di persone direttamente impegnate contro la tratta delle persone, propongo la realizzazione di un testo che ne raccolga i contributi, in modo da dare, come Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, un ulteriore sostegno a tutti loro.

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2 Paolo VI, Omelia, 1 gennaio 1970.

[02030-01.01] [Testo originale: Italiano]

 

Intervento di Sr. Gabriella Bottani, SMC 3

"Non più schiavi e non più schiave, ma fratelli e sorelle"

Queste parole scelte per il giorno mondiale della pace, sono un invito chiaro, un appello pressante a tutte le persone di buona volontà a superare ogni forma di sfruttamento della vita, per costruire insieme la pace, nel rispetto di tutte le persone. L’appello lanciato dal Santo Padre Papa Francesco, ha per noi vita consacrata la forza della voce di Dio che ci chiama e ci chiede di rinnovare il nostro impegno contro tutte le forme di schiavitù. Dio ci chiama, perché ascolta il "clamore del suo popolo" (Es 3,7) e la nostra risposta individuale e collettiva scaturisce dall’ascolto del grido di dolore di tanti bambini e bambine, uomini e donne, oggetto di sfruttamento a fine di lucro.

Provate a mettere una mano davanti alla bocca e a gridare! Il grido rimane soffocato, muto, nessuno ci ascolta. Questa é una delle dinamiche che usiamo in Brasile per poter parlare della tratta di persone. La mano rappresenta un sistema socio economico che cerca di nascondere la sofferenza che provoca, rendendo silenzioso il grido delle vittime. Noi religiose, al contrario, abbiamo scelto di accogliere queste voci scomode, perché ci dicono che questo sistema socio economico è un enorme fracasso umano. La sofferenza accolta delle vittime delegittima alla radice il potere costruito sul lucro.

Il messaggio per il giorno mondiale della pace ci aiuta a cambiare prospettiva e risveglia in noi l’"insopprimibile anelito alla fraternità", conversione profonda, controcorrente, che ci porta ad uscire da una mentalità di uso dell’altro e dell’altra, di sottomissione, di ogni forma di sfruttamento e di mercificazione della vita, e di uso dell’altro soltanto a scopo di lucro. L’altro, l’altra è figlio e figlia di Dio, quindi inequivocabilmente fratello e sorella.

La vita consacrata da sempre è stata impegnata nella lotta contro la schiavitù e ogni forma di sfruttamento della vita assumendo forme via via differenti per rispondere alle sfide presentate nelle diverse epoche. Oggi, nel contesto della globalizzazione abbiamo avviato un’azione intercongregazionale e internazionale: Talitha Kum. Progetto dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) che è iniziato nel 2001 promuovendo in tutto il mondo un cammino di formazione e di impegno comune attraverso reti intercongregazionali contro la tratta di persone. Oggi, le reti nate con la Vita Consacrata femminile sono aperte a tutti coloro che si identificano con la nostra causa. Talitha Kum, nasce ufficialmente nel 2009 come una rete di reti: ne conta attualmente 23 ed è presente in 81 paesi in tutti i continenti, con più di mille religiose di diverse congregazioni impegnate. Le attività svolte sono diverse secondo i contesti in cui operiamo: accompagnamento ai sopravviventi della tratta; progetti preventivi di formazione e sensibilizzazione; impegno per politiche sociali più efficaci contro la tratta.

Nella sala ci sono sorelle impegnate attivamente da diversi anni nelle reti territoriali membri di Talitha Kum, che insieme a me sono disponibili alla fine della conferenza stampa a rispondere alle domande:

Sr. Eugenia Bonetti – Missionaria della Consolata, rientrata in Italia dopo 24 anni di servizio in Kenia. Nel 1993 ha cominciato ad assistere le donne immigrate vittime della tratta di persone sfruttate sessualmente. Dal 2000, dirige l’ufficio contro la tratta dell’Unione Superiore Maggiori Italiane (USMI). Come presidente di Slaves No More, Sr. Eugenia coordina il reinserimento delle vittime della tratta nei loro paesi di origine.

Sr. Sharmi D’Souza – Suore di Maria Immacolata, la sua congregazione dal 2010 è impegnata attivamente in India contro la tratta. All’inizio le suore erano coinvolte soprattutto in azioni di sensibilizzazione sulla tratta di persone, diffondendo informazioni circa un processo migratorio sicuro. Attualmente questa congregazione è impegnata nella riabiltazione delle vittime della tratta, offrendo aiuto legale alle vittime e promuovendo programmi di sensibilizzazione comunitaria contro la tratta, lavoro minorile e altre forme di sfruttamento.

Sr. Monica Chikwe - Suore Ospedaliere della Misericordia, viene dalla Nigeria, paese d’origine di molte delle vittime della tratta. In questo contesto la priorità delle sorelle sono azioni preventive alla tratta e di riabilitazione di coloro che sono stati vittimizzati. In Italia Sr. Monica collabora con sr. Eugenia all’USMI con il compito specifico di aiutare le donne accolte nelle varie case rifugio ad ottenere i documenti dall’Ambasciata Nigeriana. Visita il centro di detenzione di Ponte Galera. È coordinatrice del progetto di rimpatrio di Slave No More in collaborazione con le suore in Nigeria

Vorrei concludere con le parole di una giovane donna sopravvissuta alla tratta con finalità di adozione illegale e vittima di abuso da parte della famiglia adottiva che, profondamente commossa di fronte all’impegno contro la tratta di alcune religiose in Brasile ha esclamato: "in voi la Chiesa mi sta venendo incontro, questo sta curando le mie ferite profonde, e mi ha aperto un nuovo cammino di libertà".

È proprio questo impegno di Chiesa e come Chiesa che la Vita Consacrata vuole vivere in fedeltà al Vangelo, impegno portato avanti insieme ad altre organizzazioni ecclesiali e sostenuto da Papa Francesco che, con forza e determinazione nel suo messaggio ci dice "non più schiavi, non più schiave, ma fratelli e sorelle".

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3 Sr. Gabriella Bottani – Suora Missionaria Comboniana, Italiana, impegnata contro la tratta di persone dal 2007. Dal 2009 al 2014 membro della coordinazione nazionale della rete contro la tratta di persone della Conferenza Brasiliana dei Religiosi (CRB). Attualmente è responsabile di Talitha Kum.

[02031-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0942-XX.01]