Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della 48.ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2015) Messaggio del Santo Padre
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Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 48.ma Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2015 sul tema: "Non più schiavi, ma fratelli":
Messaggio del Santo Padre
Non più schiavi, ma fratelli
1. All’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una grazia e un dono di Dio all’umanità, desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, così come ad ogni popolo e nazione del mondo, ai capi di Stato e di Governo e ai responsabili delle diverse religioni, i miei fervidi auguri di pace, che accompagno con la mia preghiera affinché cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità.
Nel messaggio per il 1° gennaio scorso, avevo osservato che al «desiderio di una vita piena … appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare».1 Essendo l’uomo un essere relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo sviluppo che siano riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle quali desidero brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio, possiamo considerare tutti gli uomini "non più schiavi, ma fratelli".
In ascolto del progetto di Dio sull’umanità
2. Il tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano e, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. Così scrive l’Apostolo delle genti: «E’ stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo» (Fm 15-16). Onesimo è diventato fratello di Filemone diventando cristiano. Così la conversione a Cristo, l’inizio di una vita di discepolato in Cristo, costituisce una nuova nascita (cfr 2 Cor 5,17; 1 Pt 1,3) che rigenera la fraternità quale vincolo fondante della vita familiare e basamento della vita sociale.
Nel Libro della Genesi (cfr 1,27-28) leggiamo che Dio creò l’uomo maschio e femmina e li benedisse, affinché crescessero e si moltiplicassero: Egli fece di Adamo ed Eva dei genitori, i quali, realizzando la benedizione di Dio di essere fecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fraternità, quella di Caino e Abele. Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio.
Ma la fraternità esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità. In quanto fratelli e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in relazione con le altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la stessa origine, natura e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternità costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana creata da Dio.
Purtroppo, tra la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), vi è la realtà negativa del peccato, che più volte interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e la nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia umana. Non soltanto Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per invidia commettendo il primo fratricidio. «L’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro».2
Anche nella storia della famiglia di Noè e dei suoi figli (cfr Gen 9,18-27), è l’empietà di Cam nei confronti del padre Noè che spinge quest’ultimo a maledire il figlio irriverente e a benedire gli altri, quelli che lo avevano onorato, dando luogo così a una disuguaglianza tra fratelli nati dallo stesso grembo.
Nel racconto delle origini della famiglia umana, il peccato di allontanamento da Dio, dalla figura del padre e dal fratello diventa un’espressione del rifiuto della comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento (cfr Gen 9,25-27), con le conseguenze che ciò implica e che si protraggono di generazione in generazione: rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta dall’oblazione di Cristo sulla croce, fiduciosi che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia … per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 5,20.21). Egli, il Figlio amato (cfr Mt 3,17), è venuto per rivelare l’amore del Padre per l’umanità. Chiunque ascolta il Vangelo e risponde all’appello alla conversione diventa per Gesù «fratello, sorella e madre» (Mt 12,50), e pertanto figlio adottivo di suo Padre (cfr Ef 1,5).
Non si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue l’imperativo della conversione: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). Tutti quelli che hanno risposto con la fede e la vita a questa predicazione di Pietro sono entrati nella fraternità della prima comunità cristiana (cfr 1 Pt 2,17; At 1,15.16; 6,3; 15,23): ebrei ed ellenisti, schiavi e uomini liberi (cfr 1 Cor 12,13; Gal 3,28), la cui diversità di origine e stato sociale non sminuisce la dignità di ciascuno né esclude alcuno dall’appartenenza al popolo di Dio. La comunità cristiana è quindi il luogo della comunione vissuta nell’amore tra i fratelli (cfr Rm 12,10; 1 Ts 4,9; Eb 13,1; 1 Pt 1,22; 2 Pt 1,7).
Tutto ciò dimostra come la Buona Novella di Gesù Cristo, mediante il quale Dio fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5)3, sia anche capace di redimere le relazioni tra gli uomini, compresa quella tra uno schiavo e il suo padrone, mettendo in luce ciò che entrambi hanno in comune: la filiazione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo. Gesù stesso disse ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).
I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi
3. Fin da tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono state epoche nella storia dell’umanità in cui l’istituto della schiavitù era generalmente accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi, invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera, poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce.
Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità,4 è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile.
Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore.
Penso anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al "lavoro schiavo".
Penso alle persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori, ed alle schiave e agli schiavi sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso.
Non posso non pensare a quanti, minori e adulti, sono fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale.
Penso infine a tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, seviziati, mutilati, o uccisi.
Alcune cause profonde della schiavitù
4. Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine.
Accanto a questa causa ontologica – rifiuto dell’umanità nell’altro –, altre cause concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù. Tra queste, penso anzitutto alla povertà, al sottosviluppo e all’esclusione, specialmente quando essi si combinano con il mancato accesso all’educazione o con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro. Non di rado, le vittime di traffico e di asservimento sono persone che hanno cercato un modo per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false promesse di lavoro, e che invece sono cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo.
Anche la corruzione di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata tra le cause della schiavitù. Infatti, l’asservimento ed il traffico delle persone umane richiedono una complicità che spesso passa attraverso la corruzione degli intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di altri attori statali o di istituzioni diverse, civili e militari. «Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il dominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori».5
Altre cause della schiavitù sono i conflitti armati, le violenze, la criminalità e il terrorismo. Numerose persone vengono rapite per essere vendute, oppure arruolate come combattenti, oppure sfruttate sessualmente, mentre altre si trovano costrette a emigrare, lasciando tutto ciò che possiedono: terra, casa, proprietà, e anche i familiari. Queste ultime sono spinte a cercare un’alternativa a tali condizioni terribili anche a rischio della propria dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal modo, in quel circolo vizioso che le rende preda della miseria, della corruzione e delle loro perniciose conseguenze.
Un impegno comune per sconfiggere la schiavitù
5. Spesso, osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico illegale dei migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della schiavitù, si ha l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale.
Se questo è, purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in favore delle vittime. Tali istituti operano in contesti difficili, dominati talvolta dalla violenza, cercando di spezzare le catene invisibili che tengono legate le vittime ai loro trafficanti e sfruttatori; catene le cui maglie sono fatte sia di sottili meccanismi psicologici, che rendono le vittime dipendenti dai loro aguzzini, tramite il ricatto e la minaccia ad essi e ai loro cari, ma anche attraverso mezzi materiali, come la confisca dei documenti di identità e la violenza fisica. L’azione delle congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo e la loro reintegrazione nella società di destinazione o di origine.
Questo immenso lavoro, che richiede coraggio, pazienza e perseveranza, merita apprezzamento da parte di tutta la Chiesa e della società. Ma esso da solo non può naturalmente bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento della persona umana. Occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili. Inoltre, come le organizzazioni criminali utilizzano reti globali per raggiungere i loro scopi, così l’azione per sconfiggere questo fenomeno richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da parte dei diversi attori che compongono la società.
Gli Stati dovrebbero vigilare affinché le proprie legislazioni nazionali sulle migrazioni, sul lavoro, sulle adozioni, sulla delocalizzazione delle imprese e sulla commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento del lavoro siano realmente rispettose della dignità della persona. Sono necessarie leggi giuste, incentrate sulla persona umana, che difendano i suoi diritti fondamentali e li ripristinino se violati, riabilitando chi è vittima e assicurandone l’incolumità, nonché meccanismi efficaci di controllo della corretta applicazione di tali norme, che non lascino spazio alla corruzione e all’impunità. E’ necessario anche che venga riconosciuto il ruolo della donna nella società, operando anche sul piano culturale e della comunicazione per ottenere i risultati sperati.
Le organizzazioni intergovernative, conformemente al principio di sussidiarietà, sono chiamate ad attuare iniziative coordinate per combattere le reti transnazionali del crimine organizzato che gestiscono la tratta delle persone umane ed il traffico illegale dei migranti. Si rende necessaria una cooperazione a diversi livelli, che includa cioè le istituzioni nazionali ed internazionali, così come le organizzazioni della società civile ed il mondo imprenditoriale.
Le imprese6, infatti, hanno il dovere di garantire ai loro impiegati condizioni di lavoro dignitose e stipendi adeguati, ma anche di vigilare affinché forme di asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo nelle catene di distribuzione. Alla responsabilità sociale dell’impresa si accompagna poi la responsabilità sociale del consumatore. Infatti, ciascuna persona dovrebbe avere la consapevolezza che «acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico».7
Le organizzazioni della società civile, dal canto loro, hanno il compito di sensibilizzare e stimolare le coscienze sui passi necessari a contrastare e sradicare la cultura dell’asservimento.
Negli ultimi anni, la Santa Sede, accogliendo il grido di dolore delle vittime della tratta e la voce delle congregazioni religiose che le accompagnano verso la liberazione, ha moltiplicato gli appelli alla comunità internazionale affinché i diversi attori uniscano gli sforzi e cooperino per porre termine a questa piaga.8 Inoltre, sono stati organizzati alcuni incontri allo scopo di dare visibilità al fenomeno della tratta delle persone e di agevolare la collaborazione tra diversi attori, tra cui esperti del mondo accademico e delle organizzazioni internazionali, forze dell’ordine di diversi Paesi di provenienza, di transito e di destinazione dei migranti, e rappresentanti dei gruppi ecclesiali impegnati in favore delle vittime. Mi auguro che questo impegno continui e si rafforzi nei prossimi anni.
Globalizzare la fraternità, non la schiavitù né l’indifferenza
6. Nella sua opera di «annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società»9, la Chiesa si impegna costantemente nelle azioni di carattere caritativo a partire dalla verità sull’uomo. Essa ha il compito di mostrare a tutti il cammino verso la conversione, che induca a cambiare lo sguardo verso il prossimo, a riconoscere nell’altro, chiunque sia, un fratello e una sorella in umanità, a riconoscerne la dignità intrinseca nella verità e nella libertà, come ci illustra la storia di Giuseppina Bakhita, la santa originaria della regione del Darfur in Sudan, rapita da trafficanti di schiavi e venduta a padroni feroci fin dall’età di nove anni, e diventata poi, attraverso dolorose vicende, "libera figlia di Dio" mediante la fede vissuta nella consacrazione religiosa e nel servizio agli altri, specialmente i piccoli e i deboli. Questa Santa, vissuta fra il XIX e il XX secolo, è anche oggi testimone esemplare di speranza10 per le numerose vittime della schiavitù e può sostenere gli sforzi di tutti coloro che si dedicano alla lotta contro questa «piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo».12
In questa prospettiva, desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un saluto, un "buongiorno" o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà.
Dobbiamo riconoscere che siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso. Per questo motivo lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, e a tutti coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli delle istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di non rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo12, che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: "Che cosa hai fatto del tuo fratello?" (cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2014
FRANCISCUS
_________________
1
N. 1. 2
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2014, 2. 3
Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 11. 4
Cfr Discorso alla Delegazione internazionale dell’Associazione di Diritto Penale, 23 ottobre 2014: L’Osservatore Romano, 24 ottobre 2014, p. 4. 5
Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei Movimenti popolari, 28 ottobre 2014: L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2014, p. 7. 6
Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, La vocazione del leader d’impresa. Una riflessione, Milano e Roma, 2013. 7
Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 66. 8
Cfr Messaggio al Sig. Guy Ryder, Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in occasione della 103ª sessione della Conferenza dell’O.I.L., 22 maggio 2014: L’Osservatore Romano, 29 maggio 2014, p. 7. 9
Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 5. 10
«Mediante la conoscenza di questa speranza lei era "redenta", non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio. Capiva ciò che Paolo intendeva quando ricordava agli Efesini che prima erano senza speranza e senza Dio nel mondo – senza speranza perché senza Dio» (Benedetto XVI, Lett.enc. Spe salvi, 3). 11
Discorso ai partecipanti alla II Conferenza Internazionale Combating Human Trafficking: Church and Law Enforcement in partnership, 10 aprile 2014: L’Osservatore Romano, 11 aprile 2014, p. 7; cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 270. 12
Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24; 270. [02027-01.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
No longer slaves, but brothers and sisters
1. At the beginning of this New Year, which we welcome as God’s gracious gift to all humanity, I offer heartfelt wishes of peace to every man and woman, to all the world’s peoples and nations, to heads of state and government, and to religious leaders. In doing so, I pray for an end to wars, conflicts and the great suffering caused by human agency, by epidemics past and present, and by the devastation wrought by natural disasters. I pray especially that, on the basis of our common calling to cooperate with God and all people of good will for the advancement of harmony and peace in the world, we may resist the temptation to act in a manner unworthy of our humanity.
In my Message for Peace last year, I spoke of "the desire for a full life… which includes a longing for fraternity which draws us to fellowship with others and enables us to see them not as enemies or rivals, but as brothers and sisters to be accepted and embraced".1 Since we are by nature relational beings, meant to find fulfilment through interpersonal relationships inspired by justice and love, it is fundamental for our human development that our dignity, freedom and autonomy be acknowledged and respected. Tragically, the growing scourge of man’s exploitation by man gravely damages the life of communion and our calling to forge interpersonal relations marked by respect, justice and love. This abominable phenomenon, which leads to contempt for the fundamental rights of others and to the suppression of their freedom and dignity, takes many forms. I would like briefly to consider these, so that, in the light of God’s word, we can consider all men and women "no longer slaves, but brothers and sisters".
Listening to God’s plan for humanity
2. The theme I have chosen for this year’s message is drawn from Saint Paul’s letter to Philemon, in which the Apostle asks his co-worker to welcome Onesimus, formerly Philemon’s slave, now a Christian and, therefore, according to Paul, worthy of being considered a brother. The Apostle of the Gentiles writes: "Perhaps this is why he was parted from you for a while, that you might have him back for ever, no longer as a slave but more than a slave, as a beloved brother" (vv. 15-16). Onesimus became Philemon’s brother when he became a Christian. Conversion to Christ, the beginning of a life lived Christian discipleship, thus constitutes a new birth (cf. 2 Cor 5:17; 1 Pet 1:3) which generates fraternity as the fundamental bond of family life and the basis of life in society.
In the Book of Genesis (cf. 1:27-28), we read that God made man male and female, and blessed them so that they could increase and multiply. He made Adam and Eve parents who, in response to God’s command to be fruitful and multiply, brought about the first fraternity, that of Cain and Abel. Cain and Abel were brothers because they came forth from the same womb. Consequently they had the same origin, nature and dignity as their parents, who were created in the image and likeness of God.
But fraternity also embraces variety and differences between brothers and sisters, even though they are linked by birth and are of the same nature and dignity. As brothers and sisters, therefore, all people are in relation with others, from whom they differ, but with whom they share the same origin, nature and dignity. In this way, fraternity constitutes the network of relations essential for the building of the human family created by God.
Tragically, between the first creation recounted in the Book of Genesis and the new birth in Christ whereby believers become brothers and sisters of the "first-born among many brethren" (Rom 8:29), there is the negative reality of sin, which often disrupts human fraternity and constantly disfigures the beauty and nobility of our being brothers and sisters in the one human family. It was not only that Cain could not stand Abel; he killed him out of envy and, in so doing, committed the first fratricide. "Cain’s murder of Abel bears tragic witness to his radical rejection of their vocation to be brothers. Their story (cf. Gen 4:1-16) brings out the difficult task to which all men and women are called, to live as one, each taking care of the other".2
This was also the case with Noah and his children (cf. Gen 9:18-27). Ham’s disrespect for his father Noah drove Noah to curse his insolent son and to bless the others, those who honoured him. This created an inequality between brothers born of the same womb.
In the account of the origins of the human family, the sin of estrangement from God, from the father figure and from the brother, becomes an expression of the refusal of communion. It gives rise to a culture of enslavement (cf. Gen 9:25-27), with all its consequences extending from generation to generation: rejection of others, their mistreatment, violations of their dignity and fundamental rights, and institutionalized inequality. Hence, the need for constant conversion to the Covenant, fulfilled by Jesus’ sacrifice on the cross, in the confidence that "where sin increased, grace abounded all the more… through Jesus Christ" (Rom 5:20-21). Christ, the beloved Son (cf. Mt 3:17), came to reveal the Father’s love for humanity. Whoever hears the Gospel and responds to the call to conversion becomes Jesus’ "brother, sister and mother" (Mt 12:50), and thus an adopted son of his Father (cf. Eph 1:5).
One does not become a Christian, a child of the Father and a brother or sister in Christ, as the result of an authoritative divine decree, without the exercise of personal freedom: in a word, without being freely converted to Christ. Becoming a child of God is necessarily linked to conversion: "Repent, and be baptized, every one of you, in the name of Jesus Christ for the forgiveness of your sins; and you shall receive the gift of the Holy Spirit" (Acts 2:38). All those who responded in faith and with their lives to Peter’s preaching entered into the fraternity of the first Christian community (cf. 1 Pet 2:17; Acts 1:15-16, 6:3, 15:23): Jews and Greeks, slaves and free (cf. 1 Cor 12:13; Gal 3:28). Differing origins and social status did not diminish anyone’s dignity or exclude anyone from belonging to the People of God. The Christian community is thus a place of communion lived in the love shared among brothers and sisters (cf. Rom 12:10; 1 Thess 4:9; Heb 13:1; 1 Pet 1:22; 2 Pet 1:7).
All of this shows how the Good News of Jesus Christ, in whom God makes "all things new" (Rev 21:5),3 is also capable of redeeming human relationships, including those between slaves and masters, by shedding light on what both have in common: adoptive sonship and the bond of brotherhood in Christ. Jesus himself said to his disciples: "No longer do I call you servants, for the servant does not know what his master is doing; but I have called you friends, for all that I have heard from my Father I have made known to you" (Jn 15:15).
The many faces of slavery yesterday and today
3. From time immemorial, different societies have known the phenomenon of man’s subjugation by man. There have been periods of human history in which the institution of slavery was generally accepted and regulated by law. This legislation dictated who was born free and who was born into slavery, as well as the conditions whereby a freeborn person could lose his or her freedom or regain it. In other words, the law itself admitted that some people were able or required to be considered the property of other people, at their free disposition. A slave could be bought and sold, given away or acquired, as if he or she were a commercial product.
Today, as the result of a growth in our awareness, slavery, seen as a crime against humanity,4 has been formally abolished throughout the world. The right of each person not to be kept in a state of slavery or servitude has been recognized in international law as inviolable.
Yet, even though the international community has adopted numerous agreements aimed at ending slavery in all its forms, and has launched various strategies to combat this phenomenon, millions of people today – children, women and men of all ages – are deprived of freedom and are forced to live in conditions akin to slavery.
I think of the many men and women labourers, including minors, subjugated in different sectors, whether formally or informally, in domestic or agricultural workplaces, or in the manufacturing or mining industry; whether in countries where labour regulations fail to comply with international norms and minimum standards, or, equally illegally, in countries which lack legal protection for workers’ rights.
I think also of the living conditions of many migrants who, in their dramatic odyssey, experience hunger, are deprived of freedom, robbed of their possessions, or undergo physical and sexual abuse. In a particular way, I think of those among them who, upon arriving at their destination after a gruelling journey marked by fear and insecurity, are detained in at times inhumane conditions. I think of those among them, who for different social, political and economic reasons, are forced to live clandestinely. My thoughts also turn to those who, in order to remain within the law, agree to disgraceful living and working conditions, especially in those cases where the laws of a nation create or permit a structural dependency of migrant workers on their employers, as, for example, when the legality of their residency is made dependent on their labour contract. Yes, I am thinking of "slave labour".
I think also of persons forced into prostitution, many of whom are minors, as well as male and female sex slaves. I think of women forced into marriage, those sold for arranged marriages and those bequeathed to relatives of their deceased husbands, without any right to give or withhold their consent.
Nor can I fail to think of all those persons, minors and adults alike, who are made objects of trafficking for the sale of organs, for recruitment as soldiers, for begging, for illegal activities such as the production and sale of narcotics, or for disguised forms of cross-border adoption.
Finally, I think of all those kidnapped and held captive by terrorist groups, subjected to their purposes as combatants, or, above all in the case of young girls and women, to be used as sex slaves. Many of these disappear, while others are sold several times over, tortured, mutilated or killed.
Some deeper causes of slavery
4. Today, as in the past, slavery is rooted in a notion of the human person which allows him or her to be treated as an object. Whenever sin corrupts the human heart and distances us from our Creator and our neighbours, the latter are no longer regarded as beings of equal dignity, as brothers or sisters sharing a common humanity, but rather as objects. Whether by coercion or deception, or by physical or psychological duress, human persons created in the image and likeness of God are deprived of their freedom, sold and reduced to being the property of others. They are treated as means to an end.
Alongside this deeper cause – the rejection of another person’s humanity – there are other causes which help to explain contemporary forms of slavery. Among these, I think in the first place of poverty, underdevelopment and exclusion, especially when combined with a lack of access to education or scarce, even non-existent, employment opportunities. Not infrequently, the victims of human trafficking and slavery are people who look for a way out of a situation of extreme poverty; taken in by false promises of employment, they often end up in the hands of criminal networks which organize human trafficking. These networks are skilled in using modern means of communication as a way of luring young men and women in various parts of the world.
Another cause of slavery is corruption on the part of people willing to do anything for financial gain. Slave labour and human trafficking often require the complicity of intermediaries, be they law enforcement personnel, state officials, or civil and military institutions. "This occurs when money, and not the human person, is at the centre of an economic system. Yes, the person, made in the image of God and charged with dominion over all creation, must be at the centre of every social or economic system. When the person is replaced by mammon, a subversion of values occurs".5
Further causes of slavery include armed conflicts, violence, criminal activity and terrorism. Many people are kidnapped in order to be sold, enlisted as combatants, or sexually exploited, while others are forced to emigrate, leaving everything behind: their country, home, property, and even members of their family. They are driven to seek an alternative to these terrible conditions even at the risk of their personal dignity and their very lives; they risk being drawn into that vicious circle which makes them prey to misery, corruption and their baneful consequences.
A shared commitment to ending slavery
5. Often, when considering the reality of human trafficking, illegal trafficking of migrants and other acknowledged or unacknowledged forms of slavery, one has the impression that they occur within a context of general indifference.
Sadly, this is largely true. Yet I would like to mention the enormous and often silent efforts which have been made for many years by religious congregations, especially women’s congregations, to provide support to victims. These institutes work in very difficult situations, dominated at times by violence, as they work to break the invisible chains binding victims to traffickers and exploiters. Those chains are made up of a series of links, each composed of clever psychological ploys which make the victims dependent on their exploiters. This is accomplished by blackmail and threats made against them and their loved ones, but also by concrete acts such as the confiscation of their identity documents and physical violence. The activity of religious congregations is carried out in three main areas: in offering assistance to victims, in working for their psychological and educational rehabilitation, and in efforts to reintegrate them into the society where they live or from which they have come.
This immense task, which calls for courage, patience and perseverance, deserves the appreciation of the whole Church and society. Yet, of itself, it is not sufficient to end the scourge of the exploitation of human persons. There is also need for a threefold commitment on the institutional level: to prevention, to victim protection and to the legal prosecution of perpetrators. Moreover, since criminal organizations employ global networks to achieve their goals, efforts to eliminate this phenomenon also demand a common and, indeed, a global effort on the part of various sectors of society.
States must ensure that their own legislation truly respects the dignity of the human person in the areas of migration, employment, adoption, the movement of businesses offshore and the sale of items produced by slave labour. There is a need for just laws which are centred on the human person, uphold fundamental rights and restore those rights when they have been violated. Such laws should also provide for the rehabilitation of victims, ensure their personal safety, and include effective means of enforcement which leave no room for corruption or impunity. The role of women in society must also be recognized, not least through initiatives in the sectors of culture and social communications.
Intergovernmental organizations, in keeping with the principle of subsidiarity, are called to coordinate initiatives for combating the transnational networks of organized crime which oversee the trafficking of persons and the illegal trafficking of migrants. Cooperation is clearly needed at a number of levels, involving national and international institutions, agencies of civil society and the world of finance.
Businesses6 have a duty to ensure dignified working conditions and adequate salaries for their employees, but they must also be vigilant that forms of subjugation or human trafficking do not find their way into the distribution chain. Together with the social responsibility of businesses, there is also the social responsibility of consumers. Every person ought to have the awareness that "purchasing is always a moral – and not simply an economic – act".7
Organizations in civil society, for their part, have the task of awakening consciences and promoting whatever steps are necessary for combating and uprooting the culture of enslavement.
In recent years, the Holy See, attentive to the pain of the victims of trafficking and the voice of the religious congregations which assist them on their path to freedom, has increased its appeals to the international community for cooperation and collaboration between different agencies in putting an end to this scourge.8 Meetings have also been organized to draw attention to the phenomenon of human trafficking and to facilitate cooperation between various agencies, including experts from the universities and international organizations, police forces from migrants’ countries of origin, transit, or destination, and representatives of ecclesial groups which work with victims. It is my hope that these efforts will continue to expand in years to come.
Globalizing fraternity, not slavery or indifference
6. In her "proclamation of the truth of Christ’s love in society",9 the Church constantly engages in charitable activities inspired by the truth of the human person. She is charged with showing to all the path to conversion, which enables us to change the way we see our neighbours, to recognize in every other person a brother or sister in our human family, and to acknowledge his or her intrinsic dignity in truth and freedom. This can be clearly seen from the story of Josephine Bakhita, the saint originally from the Darfur region in Sudan who was kidnapped by slave-traffickers and sold to brutal masters when she was nine years old. Subsequently – as a result of painful experiences – she became a "free daughter of God" thanks to her faith, lived in religious consecration and in service to others, especially the most lowly and helpless. This saint, who lived at the turn of the twentieth century, is even today an exemplary witness of hope10 for the many victims of slavery; she can support the efforts of all those committed to fighting against this "open wound on the body of contemporary society, a scourge upon the body of Christ". 11
In the light of all this, I invite everyone, in accordance with his or her specific role and responsibilities, to practice acts of fraternity towards those kept in a state of enslavement. Let us ask ourselves, as individuals and as communities, whether we feel challenged when, in our daily lives, we meet or deal with persons who could be victims of human trafficking, or when we are tempted to select items which may well have been produced by exploiting others. Some of us, out of indifference, or financial reasons, or because we are caught up in our daily concerns, close our eyes to this. Others, however, decide to do something about it, to join civic associations or to practice small, everyday gestures – which have so much merit! – such as offering a kind word, a greeting or a smile. These cost us nothing but they can offer hope, open doors, and change the life of another person who lives clandestinely; they can also change our own lives with respect to this reality.
We ought to recognize that we are facing a global phenomenon which exceeds the competence of any one community or country. In order to eliminate it, we need a mobilization comparable in size to that of the phenomenon itself. For this reason I urgently appeal to all men and women of good will, and all those near or far, including the highest levels of civil institutions, who witness the scourge of contemporary slavery, not to become accomplices to this evil, not to turn away from the sufferings of our brothers and sisters, our fellow human beings, who are deprived of their freedom and dignity. Instead, may we have the courage to touch the suffering flesh of Christ,12 revealed in the faces of those countless persons whom he calls "the least of these my brethren" (Mt 25:40, 45).
We know that God will ask each of us: What did you do for your brother? (cf. Gen 4:9-10). The globalization of indifference, which today burdens the lives of so many of our brothers and sisters, requires all of us to forge a new worldwide solidarity and fraternity capable of giving them new hope and helping them to advance with courage amid the problems of our time and the new horizons which they disclose and which God places in our hands.
From the Vatican, 8 December 2014
FRANCISCUS
_________________
1
No. 1. 2
Message for the 2014 World Day of Peace, 2. 3
Cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 11. 4
Cf. Address to Delegates of the International Association of Penal Law, 23 October 2014: L’Osservatore Romano, 24 October 2014, p. 4. 5
Address to Participants in the World Meeting of Popular Movements, 28 October 2014: L’Osservatore Romano, 29 October 2014, p. 7. 6
Cf. PONTIFICAL COUNCIL FOR JUSTICE AND PEACE, Vocation of the Business Leader: A Reflection, 2013. 7
BENEDICT XVI, Encyclical Letter Caritas in Veritate, 66. 8
Cf. Message to Mr Guy Ryder, Director General of the International Labour Organization, on the occasion of the 103rd Session of the ILO, 22 May 2014: L’Osservatore Romano, 29 May 2014, p. 7. 9
BENEDICT XVI, Encyclical Letter Caritas in Veritate, 5. 10
"Through the knowledge of this hope she was ‘redeemed’, no longer a slave, but a free child of God. She understood what Paul meant when he reminded the Ephesians that previously they were without hope and without God in the world – without hope because without God" (BENEDICT XVI, Encyclical Letter Spe Salvi, 3). 11
Address to Participants in the Second International Conference on Combating Human Trafficking: Church and Law Enforcement in Partnership, 10 April 2014: L’Osservatore Romano, 11 April 2014, p. 7; cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 270. 12
Cf. Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium, 24 and 270. [02027-02.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua francese
Non plus esclaves, mais frères
1. Au début d’une nouvelle année, que nous accueillons comme une grâce et un don de Dieu à l’humanité, je désire adresser à chaque homme et femme, ainsi qu’à chaque peuple et à chaque nation du monde, aux Chefs d’État et de Gouvernement ainsi qu’aux responsables des diverses religions, mes vœux fervents de paix, que j’accompagne de ma prière afin que cessent les guerres, les conflits et les nombreuses souffrances provoqués soit par la main de l’homme soit par de vieilles et nouvelles épidémies comme par les effets dévastateurs des calamités naturelles. Je prie de manière particulière pour que, répondant à notre vocation commune de collaborer avec Dieu et avec tous les hommes de bonne volonté pour la promotion de la concorde et de la paix dans le monde, nous sachions résister à la tentation de nous comporter de manière indigne de notre humanité.
Dans le message pour le 1er janvier dernier, j’avais observé qu’au « désir d’une vie pleine… appartient une soif irrépressible de fraternité, qui pousse vers la communion avec les autres, en qui nous ne trouvons pas des ennemis ou des concurrents, mais des frères à accueillir et à embrasser »1. L’homme étant un être relationnel, destiné à se réaliser dans le contexte de rapports interpersonnels inspirés par la justice et la charité, il est fondamental pour son développement que soient reconnues et respectées sa dignité, sa liberté et son autonomie. Malheureusement, le fléau toujours plus répandu de l’exploitation de l’homme par l’homme blesse gravement la vie de communion et la vocation à tisser des relations interpersonnelles empreintes de respect, de justice et de charité. Cet abominable phénomène, qui conduit à piétiner la dignité et les droits fondamentaux de l’autre et à en anéantir la liberté et la dignité, prend de multiples formes sur lesquelles je désire réfléchir brièvement, afin que, à la lumière de la Parole de Dieu, nous puissions considérer tous les hommes « non plus esclaves, mais frères ».
À l’écoute du projet de Dieu sur l’humanité
2. Le thème que j’ai choisi pour le présent message rappelle la Lettre de saint Paul à Philémon, dans laquelle l’Apôtre demande à son collaborateur d’accueillir Onésime, autrefois esclave de Philémon et maintenant devenu chrétien, et donc, selon Paul, digne d’être considéré comme un frère. Ainsi, l’Apôtre des gentils écrit : « Il t’a été retiré pour un temps qu’afin de t’être rendu pour l’éternité, non plus comme un esclave, mais bien mieux qu’un esclave, comme un frère très cher » (Phm 1, 15-16). Onésime est devenu frère de Philémon en devenant chrétien. Ainsi la conversion au Christ, le début d’une vie de disciple dans le Christ, constitue une nouvelle naissance (cf. 2 Co 5, 17 ; 1 P 1, 3) qui régénère la fraternité comme lien fondateur de la vie familiale et fondement de la vie sociale.
Quand, dans le Livre de la Genèse (cf. 1, 27-28), nous lisons que Dieu créa l’homme homme et femme et les bénit, afin qu’ils grandissent et se multiplient, il fit d’Adam et d’Êve des parents qui, en accomplissant la bénédiction de Dieu d’être féconds et de se multiplier, ont généré la première fraternité, celle de Caïn et Abel. Caïn et Abel sont frères, parce qu’ils viennent du même sein, et donc ils ont la même origine, la même nature et la même dignité que leurs parents, créés à l’image et à la ressemblance de Dieu.
Mais la fraternité exprime aussi la multiplicité et la différence qui existent entre les frères, bien que liés par la naissance et ayant la même nature et la même dignité. En tant que frères et sœurs, toutes les personnes sont donc par nature en relation avec les autres, dont elles se différencient mais avec lesquelles elles partagent la même origine, la même nature et la même dignité. C’est en raison de cela que la fraternité constitue le réseau de relations fondamentales pour la construction de la famille humaine créée par Dieu.
Malheureusement, entre la première création racontée dans le Livre de la Genèse et la nouvelle naissance dans le Christ, qui rend les croyants frères et sœurs du «premier né d’une multitude de frères» (Rm 8, 29), il y a la réalité négative du péché qui, à plusieurs reprises, rompt la fraternité issue de la création et déforme continuellement la beauté et la noblesse du fait d’être frères et sœurs de la même famille humaine. Non seulement Caïn ne supporte pas son frère Abel, mais il le tue par envie en commettant le premier fratricide. « Le meurtre d’Abel par Caïn atteste tragiquement le rejet radical de la vocation à être frères. Leur histoire (cf. Gn 4, 1-16) met en évidence la tâche difficile à laquelle tous les hommes sont appelés, de vivre unis, en prenant soin l’un de l’autre »2.
Pareillement, dans l’histoire de la famille de Noé et de ses fils (cf. Gn 9, 18-27), c’est l’impiété de Cham à l’égard de son père Noé qui pousse celui-ci à maudire le fils irrévérencieux et à bénir les autres, ceux qui l’avaient honoré, en créant ainsi une inégalité entre frères nés du même sein.
Dans le récit des origines de la famille humaine, le péché d’éloignement de Dieu, de la figure du père et du frère devient une expression du refus de la communion et se traduit par la culture de l’asservissement (cf. Gn 9, 25-27), avec les conséquences que cela implique et qui se prolongent de génération en génération : refus de l’autre, maltraitance des personnes, violation de la dignité et des droits fondamentaux, institutionnalisation d’inégalités. D’où la nécessité d’une continuelle conversion à l’Alliance, accomplie par l’oblation du Christ sur la croix, confiants que « là où le péché s’est multiplié, la grâce a surabondé… par Jésus Christ Notre Seigneur » (Rm 5, 20. 21). Lui, le « Fils aimé » (cf. Mt 3, 17), est venu révéler l’amour du Père pour l’humanité. Quiconque écoute l’Évangile et répond à l’appel à la conversion devient pour Jésus « un frère, une sœur et une mère » (Mt 12, 50), et par conséquent fils adoptif de son Père (cf. Ep 1, 5).
On ne devient cependant pas chrétien, fils du Père et frères dans le Christ, par une disposition divine autoritaire, sans l’exercice de la liberté personnelle, c’est-à-dire sans se convertir librement au Christ. Le fait d’être fils de Dieu suit l’impératif de la conversion : « Convertissez-vous, et que chacun de vous soit baptisé au nom de Jésus-Christ pour le pardon de ses péchés, et vous recevrez alors le don du Saint Esprit » (Ac 2, 38). Tous ceux qui ont répondu, par la foi et dans la vie, à cette prédication de Pierre sont entrés dans la fraternité de la première communauté chrétienne (cf. 1 P 2, 17 ; Ac 1, 15.16 ; 6, 3 ; 15, 23) : juifs et grecs, esclaves et hommes libres (cf. 1 Co 12, 13 ; Ga 3, 28), dont la diversité d’origine et de condition sociale ne diminue pas la dignité propre à chacun ni n’exclut personne de l’appartenance au peuple de Dieu. La communauté chrétienne est donc le lieu de la communion vécue dans l’amour entre les frères (cf. Rm 12, 10 ; 1 Th 4, 9 ; He 13, 1 ; 1 P 1, 22 ; 2 P 1, 7).
Tout cela démontre que la Bonne Nouvelle de Jésus Christ, par qui Dieu fait « toutes choses nouvelles » (Ap 21, 5)3, est aussi capable de racheter les relations entre les hommes, y compris celle entre un esclave et son maître, en mettant en lumière ce que tous deux ont en commun : la filiation adoptive et le lien de fraternité dans le Christ. Jésus lui-même a dit à ses disciples : « Je ne vous appelle plus serviteurs, car le serviteur ne sait pas ce que fait son maître ; mais je vous appelle mes amis, car tout ce que j’ai entendu de mon Père, je vous l’ai fait connaître » (Jn 15, 15).
Les multiples visages de l’esclavage hier et aujourd’hui
3. Depuis les temps immémoriaux, les diverses sociétés humaines connaissent le phénomène de l’asservissement de l’homme par l’homme. Il y a eu des époques dans l’histoire de l’humanité où l’institution de l’esclavage était généralement acceptée et régulée par le droit. Ce dernier établissait qui naissait libre et qui, au contraire, naissait esclave, et également dans quelles conditions la personne, née libre, pouvait perdre sa liberté ou la reconquérir. En d’autre termes, le droit lui-même admettait que certaines personnes pouvaient ou devaient être considérées comme la propriété d’une autre personne, laquelle pouvait en disposer librement ; l’esclave pouvait être vendu et acheté, cédé et acquis comme s’il était une marchandise.
Aujourd’hui, suite à une évolution positive de la conscience de l’humanité, l’esclavage, crime de lèse humanité4, a été formellement aboli dans le monde. Le droit de chaque personne à ne pas être tenue en état d’esclavage ou de servitude a été reconnu dans le droit international comme norme contraignante.
Et pourtant, bien que la communauté internationale ait adopté de nombreux accords en vue de mettre un terme à l’esclavage sous toutes ses formes, et mis en marche diverses stratégies pour combattre ce phénomène, aujourd’hui encore des millions de personnes – enfants, hommes et femmes de tout âge – sont privées de liberté et contraintes à vivre dans des conditions assimilables à celles de l’esclavage.
Je pense aux nombreux travailleurs et travailleuses, même mineurs, asservis dans les divers secteurs, au niveau formel et informel, du travail domestique au travail agricole, de l’industrie manufacturière au secteur minier, tant dans les pays où la législation du travail n’est pas conforme aux normes et aux standards minimaux internationaux que, même illégalement, dans les pays où la législation protège le travailleur.
Je pense aussi aux conditions de vie de nombreux migrants qui, dans leur dramatique parcours, souffrent de la faim, sont privés de liberté, dépouillés de leurs biens ou abusés physiquement et sexuellement. Je pense à ceux d’entre eux qui, arrivés à destination après un voyage dans des conditions physiques très dures et dominé par la peur et l’insécurité, sont détenus dans des conditions souvent inhumaines. Je pense à ceux d’entre eux que les diverses circonstances sociales, politiques et économiques poussent à vivre dans la clandestinité, et à ceux qui, pour rester dans la légalité, acceptent de vivre et de travailler dans des conditions indignes, spécialement quand les législations nationales créent ou permettent une dépendance structurelle du travailleur migrant par rapport à l’employeur, en conditionnant, par exemple, la légalité du séjour au contrat de travail… Oui, je pense au « travail esclave ».
Je pense aux personnes contraintes de se prostituer, parmi lesquelles beaucoup sont mineures, et aux esclaves sexuels ; aux femmes forcées de se marier, à celles vendues en vue du mariage ou à celles transmises par succession à un membre de la famille à la mort du mari sans qu’elles aient le droit de donner ou de ne pas donner leur propre consentement.
Je ne peux pas ne pas penser à tous ceux qui, mineurs ou adultes, font l’objet de trafic et de commerce pour le prélèvement d’organes, pour être enrôlés comme soldats, pour faire la mendicité, pour des activités illégales comme la production ou la vente de stupéfiants, ou pour des formes masquées d’adoption internationale.
Je pense enfin à tous ceux qui sont enlevés et tenus en captivité par des groupes terroristes, asservis à leurs fins comme combattants ou, surtout en ce qui concerne les jeunes filles et les femmes, comme esclaves sexuelles. Beaucoup d’entre eux disparaissent, certains sont vendus plusieurs fois, torturés, mutilés, ou tués.
Quelques causes profondes de l’esclavage
4. Aujourd’hui comme hier, à la racine de l’esclavage, il y a une conception de la personne humaine qui admet la possibilité de la traiter comme un objet. Quand le péché corrompt le cœur de l’homme, et l’éloigne de son Créateur et de ses semblables, ces derniers ne sont plus perçus comme des êtres d’égale dignité, comme frères et sœurs en humanité, mais sont vus comme des objets. La personne humaine, créée à l’image et à la ressemblance de Dieu, par la force, par la tromperie ou encore par la contrainte physique ou psychologique, est privée de sa liberté, commercialisée, réduite à être la propriété de quelqu’un, elle est traitée comme un moyen et non comme une fin.
À côté de cette cause ontologique – refus de l’humanité dans l’autre –, d’autres causes concourent à expliquer les formes contemporaines d’esclavage. Parmi elles, je pense surtout à la pauvreté, au sous-développement et à l’exclusion, spécialement quand ils se combinent avec le manque d’accès à l’éducation ou avec une réalité caractérisée par de faibles, sinon inexistantes, opportunités de travail. Fréquemment, les victimes de trafic et de d’asservissement sont des personnes qui ont cherché une manière de sortir d’une condition de pauvreté extrême, en croyant souvent à de fausses promesses de travail, et qui au contraire sont tombées entre les mains de réseaux criminels qui gèrent le trafic d’êtres humains. Ces réseaux utilisent habilement les technologies informatiques modernes pour appâter des jeunes, et des très jeunes, partout dans le monde.
De même, la corruption de ceux qui sont prêts à tout pour s’enrichir doit être comptée parmi les causes de l’esclavage. En effet, l’asservissement et le trafic des personnes humaines requièrent une complicité qui souvent passe par la corruption des intermédiaires, de certains membres des forces de l’ordre ou d’autres acteurs de l’État ou de diverses institutions, civiles et militaires. « Cela arrive quand au centre d’un système économique se trouve le dieu argent et non l’homme, la personne humaine. Oui, au centre de tout système social ou économique doit se trouver la personne, image de Dieu, créée pour être le dominateur de l’univers. Quand la personne est déplacée et qu’arrive le dieu argent se produit ce renversement des valeurs »5.
D’autres causes de l’esclavage sont les conflits armés, les violences, la criminalité et le terrorisme. De nombreuses personnes sont enlevées pour être vendues, ou enrôlées comme combattantes, ou bien exploitées sexuellement, tandis que d’autres sont contraintes à émigrer, laissant tout ce qu’elles possèdent : terre, maison, propriétés, ainsi que les membres de la famille. Ces dernières sont poussées à chercher une alternative à ces conditions terribles, même au risque de leur dignité et de leur survie, en risquant d’entrer ainsi dans ce cercle vicieux qui en fait une proie de la misère, de la corruption et de leurs pernicieuses conséquences.
Un engagement commun pour vaincre l’esclavage
5. Souvent, en observant le phénomène de la traite des personnes, du trafic illégal des migrants et d’autres visages connus et inconnus de l’esclavage, on a l’impression qu’il a lieu dans l’indifférence générale.
Si, malheureusement, cela est vrai en grande partie, je voudrais cependant rappeler l’immense travail silencieux que de nombreuses congrégations religieuses, surtout féminines, réalisent depuis de nombreuses années en faveur des victimes. Ces instituts œuvrent dans des contextes difficiles, dominés parfois par la violence, en cherchant à briser les chaînes invisibles qui lient les victimes à leurs trafiquants et exploiteurs ; des chaînes dont les mailles sont faites de mécanismes psychologiques subtils qui rendent les victimes dépendantes de leurs bourreaux par le chantage et la menace, pour eux et leurs proches, mais aussi par des moyens matériels, comme la confiscation des documents d’identité et la violence physique. L’action des congrégations religieuses s’articule principalement autour de trois actions : le secours aux victimes, leur réhabilitation du point de vue psychologique et de la formation, et leur réintégration dans la société de destination ou d’origine.
Cet immense travail, qui demande courage, patience et persévérance, mérite l’estime de toute l’Église et de la société. Mais à lui seul, il ne peut naturellement pas suffire pour mettre un terme au fléau de l’exploitation de la personne humaine. Il faut aussi un triple engagement, au niveau institutionnel, de la prévention, de la protection des victimes et de l’action judiciaire à l’égard des responsables. De plus, comme les organisations criminelles utilisent des réseaux globaux pour atteindre leurs objectifs, de même l’engagement pour vaincre ce phénomène requiert un effort commun et tout autant global de la part des divers acteurs qui composent la société.
Les États devraient veiller à ce que leurs propres législations nationales sur les migrations, sur le travail, sur les adoptions, sur la délocalisation des entreprises et sur la commercialisation des produits fabriqués grâce à l’exploitation du travail soient réellement respectueuses de la dignité de la personne. Des lois justes sont nécessaires, centrées sur la personne humaine, qui défendent ses droits fondamentaux et les rétablissent s’ils sont violés, en réhabilitant la victime et en assurant sa sécurité, ainsi que des mécanismes efficaces de contrôle de l’application correcte de ces normes, qui ne laissent pas de place à la corruption et à l’impunité. Il est aussi nécessaire que soit reconnu le rôle de la femme dans la société, en œuvrant également sur le plan de la culture et de la communication pour obtenir les résultats espérés.
Les organisations intergouvernementales, conformément au principe de subsidiarité, sont appelées à prendre des initiatives coordonnées pour combattre les réseaux transnationaux du crime organisé qui gèrent la traite des personnes humaines et le trafic illégal des migrants. Une coopération à divers niveaux devient nécessaire, qui inclue les institutions nationales et internationales, ainsi que les organisations de la société civile et le monde de l’entreprise.
Les entreprises6, en effet, ont le devoir de garantir à leurs employés des conditions de travail dignes et des salaires convenables, mais aussi de veiller à ce que des formes d’asservissement ou de trafic de personnes humaines n’aient pas lieu dans les chaînes de distribution. La responsabilité sociale de l’entreprise est accompagnée par la responsabilité sociale du consommateur. En effet, chaque personne devrait avoir conscience qu’« acheter est non seulement un acte économique mais toujours aussi un acte moral »7.
Les organisations de la société civile, de leur côté, ont le devoir de sensibiliser et de stimuler les consciences sur les pas nécessaires pour contrecarrer et éliminer la culture de l’asservissement.
Ces dernières années, le Saint-Siège, en accueillant le cri de douleur des victimes du trafic et la voix des congrégations religieuses qui les accompagnent vers la libération, a multiplié les appels à la communauté internationale afin que les différents acteurs unissent leurs efforts et coopèrent pour mettre un terme à ce fléau8. De plus, certaines rencontres ont été organisées dans le but de donner une visibilité au phénomène de la traite des personnes et de faciliter la collaboration entre divers acteurs, dont des experts du monde académique et des organisations internationales, des forces de l’ordre de différents pays de provenance, de transit et de destination des migrants, et des représentants des groupes ecclésiaux engagés en faveur des victimes. Je souhaite que cet engagement continue et se renforce dans les prochaines années.
Globaliser la fraternité, non l’esclavage ni l’indifférence
6. Dans son œuvre d’« annonce de la vérité de l’amour du Christ dans la société »9, l’Église s’engage constamment dans les actions de caractère caritatif à partir de la vérité sur l’homme. Elle a la tâche de montrer à tous le chemin vers la conversion, qui amène à changer le regard sur le prochain, à reconnaître dans l’autre, quel qu’il soit, un frère et une sœur en humanité, à en reconnaître la dignité intrinsèque dans la vérité et dans la liberté, comme nous l’illustre l’histoire de Joséphine Bakhita, la sainte originaire de la région du Darfour au Soudan, enlevée par des trafiquants d’esclaves et vendue à des maîtres terribles dès l’âge de neuf ans, et devenue ensuite, à travers de douloureux événements, ‘‘libre fille de Dieu’’ par la foi vécue dans la consécration religieuse et dans le service des autres, spécialement des petits et des faibles. Cette sainte, qui a vécu entre le XIXème et le XXème siècle, est aujourd’hui un témoin et un modèle d’espérance10 pour les nombreuses victimes de l’esclavage, et elle peut soutenir les efforts de tous ceux qui se consacrent à la lutte contre cette « plaie dans le corps de l’humanité contemporaine, une plaie dans la chair du Christ »11.
Dans cette perspective, je désire inviter chacun, dans son rôle et dans ses responsabilités particulières, à faire des gestes de fraternité à l’égard de ceux qui sont tenus en état d’asservissement. Demandons-nous comment, en tant que communauté ou comme individus, nous nous sentons interpelés quand, dans le quotidien, nous rencontrons ou avons affaire à des personnes qui pourraient être victimes du trafic d’êtres humains, ou quand nous devons choisir d’acheter des produits qui peuvent, en toute vraisemblance, avoir été fabriqués par l’exploitation d’autres personnes. Certains d’entre nous, par indifférence ou parce qu’assaillis par les préoccupations quotidiennes, ou pour des raisons économiques, ferment les yeux. D’autres, au contraire, choisissent de faire quelque chose de positif, de s’engager dans les associations de la société civile ou d’effectuer de petits gestes quotidiens – ces gestes ont tant de valeur ! – comme adresser une parole, une salutation, un « bonjour », ou un sourire, qui ne nous coûtent rien mais qui peuvent donner l’espérance, ouvrir des voies, changer la vie d’une personne qui vit dans l’invisibilité, et aussi changer notre vie par la confrontation à cette réalité.
Nous devons reconnaître que nous sommes en face d’un phénomène mondial qui dépasse les compétences d’une seule communauté ou nation. Pour le combattre, il faut une mobilisation de dimensions comparables à celles du phénomène lui-même. Pour cette raison, je lance un appel pressant à tous les hommes et à toutes les femmes de bonne volonté, et à tous ceux qui, de près ou de loin, y compris aux plus hauts niveaux des institutions, sont témoins du fléau de l’esclavage contemporain, à ne pas se rendre complices de ce mal, à ne pas détourner le regard face aux souffrances de leurs frères et sœurs en humanité, privés de la liberté et de la dignité, mais à avoir le courage de toucher la chair souffrante du Christ12, qui se rend visible à travers les innombrables visages de ceux que Lui-même appelle « ces plus petits de mes frères » (Mt 25, 40.45).
Nous savons que Dieu demandera à chacun de nous : Qu’as-tu fait de ton frère ? (cf. Gn 4, 9-10). La mondialisation de l’indifférence, qui aujourd’hui pèse sur les vies de beaucoup de sœurs et de frères, requiert que nous nous fassions tous les artisans d’une mondialisation de la solidarité et de la fraternité, qui puisse leur redonner l’espérance et leur faire reprendre avec courage le chemin à travers les problèmes de notre temps et les perspectives nouvelles qu’il apporte et que Dieu met entre nos mains.
Du Vatican, le 8 décembre 2014
FRANCISCUS
_________________
1
N. 1. 2
Message pour la Journée Mondiale de la Paix 2014, n. 2. 3
Cf. Exhort. ap., Evangelii gaudium, n. 11. 4
Cf. Discours à la Délégation internationale de l’Association de Droit Pénal, 23 octobre 2014 : L’Osservatore romano, ed. fr., n. 3.353 (30 oct. 2014), p. 8. 5
Discours aux Participants à la Rencontre mondiale des Mouvements populaires, 28 octobre 2014 : L’Osservatore romano, ed. fr., n. 3.353 (30 oct. 2014), p. 6. 6
Conseil Pontifical ‘‘Justice et Paix’’, La vocation du dirigeant d’entreprise. Une réflexion, Milan et Rome, 2013. 7
Benoît XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 66. 8
Cf. Message à M. Guy Ryder, Directeur Général de l’Organisation Internationale du Travail, à l’occasion de la 103ème session de la Conférence de l’Organisation Internationale du Travail (Genève, 28 mai-12 juin 2014), 22 mai 2014 : L’Osservatore romano, ed. fr., n. 3.333 (5 juin 2014), p. 5. 9
Benoît XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 5. 10
« Par la connaissance de cette espérance, elle était « rachetée », elle ne se sentait plus une esclave, mais une fille de Dieu libre. Elle comprenait ce que Paul entendait lorsqu'il rappelait aux Éphésiens qu'avant ils étaient sans espérance et sans Dieu dans le monde – sans espérance parce que sans Dieu» (Benoît XVI, Lett. enc. Spe salvi, n. 3). 11
Discours aux participants à la IIème Conférence Internationale sur la traite des êtres humains, 10 avril 2014 : DC n. 2516 (2014), p. 113 ; cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, n. 270. 12
Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, nn. 24.270. [02027-03.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua tedesca
Nicht mehr Knechte, sondern Brüder
1. Zu Beginn eines neuen Jahres, das wir als Gnade und Geschenk Gottes an die Menschheit annehmen, möchte ich an jeden Mann und jede Frau sowie an alle Völker und Nationen der Welt, an die Staatsoberhäupter und die Regierungschefs und an die Verantwortlichen der verschiedenen Religionen meine herzlichen Friedenswünsche richten, begleitet von meinem Gebet, dass die Kriege, die Konflikte und die vielen Leiden enden mögen, welche sowohl von Menschenhand als auch durch alte und neue Epidemien und durch die verheerenden Auswirkungen der Naturkatastrophen verursacht werden. Besonders bete ich dafür, dass wir – entsprechend unserer gemeinsamen Berufung, mit Gott und mit allen Menschen guten Willens für die Förderung von Eintracht und Frieden in der Welt zusammenzuarbeiten – bewusst der Versuchung widerstehen, uns in einer Weise zu verhalten, die der Würde unseres Menschseins nicht gerecht wird.
In der Botschaft zum vergangenen 1. Januar hatte ich gesagt, dass zum » Wunsch nach einem erfüllten Leben […] ein unstillbares Verlangen nach Brüderlichkeit [gehört], das zu einer Gemeinschaft mit den anderen drängt, in denen wir nicht Feinde oder Konkurrenten sehen, sondern Geschwister, die man aufnimmt und umarmt «.1 Da der Mensch ein relationales Wesen ist, dazu bestimmt, sich im Zusammenhang zwischenmenschlicher Beziehungen zu verwirklichen, die auf Gerechtigkeit und Liebe ausgerichtet sind, ist es für seine Entwicklung grundlegend, dass seine Würde, seine Freiheit und seine Autonomie anerkannt und geachtet werden. Leider verletzt das immer noch verbreitete Übel der Ausbeutung des Menschen durch den Menschen in schwerwiegender Weise das gemeinschaftliche Leben und die Berufung, von Achtung, Gerechtigkeit und Liebe geprägte zwischenmenschliche Beziehungen zu knüpfen. Dieses abscheuliche Phänomen, das dazu führt, die Grundrechte des anderen mit Füßen zu treten und seine Freiheit und seine Würde zu vernichten, nimmt vielfältige Formen an, über die ich einige kurze Überlegungen anstellen möchte, damit wir im Licht des Wortes Gottes in allen Menschen „nicht mehr Knechte, sondern Brüder" sehen.
Hinhören auf den Plan Gottes für die Menschheit
2. Das Thema, das ich für diese Botschaft gewählt habe, knüpft an den Philemonbrief des heiligen Paulus an. Darin bittet der Apostel seinen Mitarbeiter Philemon, Onesimus, dessen ehemaligen Sklaven, der nun Christ geworden und darum – nach Paulus – würdig ist, als Bruder betrachtet zu werden, wieder aufzunehmen. Der Völkerapostel schreibt: » Vielleicht wurde er nur deshalb eine Weile von dir getrennt, damit du ihn für ewig zurückerhältst, nicht mehr als Sklaven, sondern als weit mehr: als geliebten Bruder « (Phlm 15-16). Onesimus ist dadurch, dass er Christ wurde, zum Bruder Philemons geworden. So stellt die Bekehrung zu Christus, der Beginn eines Lebens der Jüngerschaft in Christus, eine neue Geburt dar (vgl. 2 Kor 5,17; 1 Petr 1,3), welche die Brüderlichkeit als grundlegende Bindung des Familienlebens und als Basis des gesellschaftlichen Lebens zu neuem Leben erweckt.
Im Buch Genesis (vgl. 1,27-28) steht, dass Gott den Menschen als Mann und Frau schuf und sie segnete, damit sie wachsen und sich vermehren sollten: Er machte Adam und Eva zu Eltern, welche den Segen Gottes, fruchtbar zu sein und sich zu vermehren, Wirklichkeit werden ließen und das erste Bruderpaar, Kain und Abel, zeugten. Kain und Abel sind Brüder, weil sie aus dem gleichen Schoß hervorgegangen sind, und darum haben sie den gleichen Ursprung, die gleiche Natur und die gleiche Würde ihrer Eltern, die als Gottes Abbild und ihm ähnlich erschaffen sind.
Doch die Brüderlichkeit drückt auch die Vielfalt und den Unterschied aus, der unter den Geschwistern besteht, obwohl sie durch die Geburt verbunden sind und die gleiche Natur und die gleiche Würde besitzen. Als Brüder und Schwestern stehen also alle Menschen von Natur aus in Beziehung zu den anderen, von denen sie sich unterscheiden, mit denen sie aber in Bezug auf Ursprung, Natur und Würde gleich sind. Kraft dieser Tatsache bildet die Brüderlichkeit das Netz grundlegender Beziehungen für den Aufbau der von Gott erschaffenen Menschheitsfamilie.
Leider steht zwischen der ersten Schöpfung, die im Buch Genesis erzählt wird, und der neuen Geburt in Christus, welche die Gläubigen zu Brüdern und Schwestern des » Erstgeborenen von vielen Brüdern « (Röm 8,29) macht, die negative Wirklichkeit der Sünde, die immer wieder die kreatürliche Brüderlichkeit unterbricht und ständig die Schönheit und den Adel, Brüder und Schwestern der einen Menschheitsfamilie zu sein, entstellt. Kain erträgt nicht nur nicht seinen Bruder Abel, sondern aus Neid tötet er ihn und begeht damit den ersten Brudermord. » Der Mord an Abel durch Kain bestätigt in tragischer Weise die radikale Ablehnung der Berufung, Brüder zu sein. Ihre Geschichte (vgl. Gen 4,1-16) verdeutlicht die schwierige Aufgabe, zu der alle Menschen gerufen sind, nämlich vereint zu leben und füreinander zu sorgen. «2
Auch in der Geschichte der Familie Noachs und seiner Söhne (vgl. Gen 9,18-27) ist es der Frevel Hams gegenüber seinem Vater Noach, der diesen dazu treibt, seinen ehrfurchtslosen Sohn zu verfluchen und die anderen, die ihn geehrt hatten, zu segnen und damit eine Ungleichheit zwischen Brüdern zu schaffen, die demselben Mutterschoß entstammten.
In der Erzählung von den Ursprüngen der Menschheitsfamilie wird die Sünde der Entfernung von Gott, von der Figur des Vaters und vom Bruder zum Ausdruck der Verweigerung der Gemeinschaft und führt zur Kultur der Verknechtung (vgl. Gen 9,25-27), mit den dazugehörenden Folgen, die von Generation zu Generation fortdauern: Ablehnung des anderen, Misshandlung von Menschen, Verletzung der Würde und der Grundrechte, Institutionalisierung der Ungleichheiten. Von daher ergibt sich die Notwendigkeit einer ständigen Umkehr zum Bund, der durch das Kreuzesopfer Christi erfüllt wurde. Dabei haben wir die Zuversicht, dass » wo … die Sünde mächtig wurde, … die Gnade übergroß geworden [ist] … durch Jesus Christus« (Röm 5,20.21). Er, der » geliebte Sohn « (vgl. Mt 3,17), ist gekommen, um die Liebe des Vaters zur Menschheit zu offenbaren. Jeder, der das Evangelium hört und dem Aufruf zur Umkehr Folge leistet, wird für Jesus » Bruder und Schwester und Mutter « (Mt 12,50) und daher Adoptivsohn bzw. -tochter seines Vaters (vgl. Eph 1,5).
Man wird jedoch nicht Christ, Sohn oder Tochter des Vaters und Bruder bzw. Schwester Christi durch eine autoritäre göttliche Anordnung, ohne den Gebrauch der persönlichen Freiheit, das heißt ohne sich freiwillig zu Christus zu bekehren. Kind Gottes wird, wer der Aufforderung zur Umkehr Folge leistet: » Kehrt um und jeder von euch lasse sich auf den Namen Jesu Christi taufen zur Vergebung seiner Sünden; dann werdet ihr die Gabe des Heiligen Geistes empfangen « (Apg 2,38). Alle, die auf diese Predigt von Petrus mit dem Glauben und mit ihrem Leben geantwortet haben, sind in die Brüderlichkeit der ersten christlichen Gemeinschaft eingetreten (vgl. 1 Petr 2,17; Apg 1,15.16; 6,3; 15,23): Juden und Griechen, Sklaven und Freie (vgl.1 Kor 12,13; Gal 3,28), deren Verschiedenheit in Bezug auf ihre Herkunft und ihren gesellschaftlichen Stand nicht die Würde jedes Einzelnen schmälert, noch irgendjemanden aus der Zugehörigkeit zum Volk Gottes ausschließt. Die christliche Gemeinde ist also der Ort der in der Liebe gelebten Gemeinschaft unter Geschwistern (vgl. Röm 12,10; 1 Thess 4,9; Hebr 13,1; 1 Petr 1,22; 2 Petr 1,7).
All das zeigt, wie die Frohe Botschaft Jesu Christi, durch den Gott » alles neu « macht (Offb 21,5)3, auch imstande ist, die Beziehungen zwischen den Menschen wieder in Ordnung zu bringen, einschließlich der zwischen einem Sklaven und seinem Herrn, indem sie das hervorhebt, was beiden gemeinsam ist: die Adoptivkindschaft und die geschwisterliche Bindung in Christus. Jesus selbst sagte zu seinen Jüngern: » Ich nenne euch nicht mehr Knechte; denn der Knecht weiß nicht, was sein Herr tut. Vielmehr habe ich euch Freunde genannt; denn ich habe euch alles mitgeteilt, was ich von meinem Vater gehört habe « (Joh 15,15).
Die vielfältigen Gesichter der Sklaverei gestern und heute
3. Seit unerdenklichen Zeiten kennen die verschiedenen menschlichen Gesellschaften das Phänomen der Verknechtung des Menschen durch den Menschen. Es gab Epochen in der Geschichte der Menschheit, in denen die Einrichtung der Sklaverei allgemein akzeptiert und durch das Recht geregelt war. Dieses schrieb fest, wer frei und wer dagegen als Sklave geboren wurde und unter welchen Bedingungen ein als Freier geborener Mensch seine Freiheit verlieren bzw. wiedererwerben konnte. Mit anderen Worten, das Recht selbst ließ zu, dass einige Menschen als Eigentum eines anderen betrachtet werden konnten oder mussten, der frei über sie verfügen konnte; der Sklave konnte verkauft und gekauft, an andere abgetreten und erworben werden, als sei er eine Ware.
Heute ist infolge einer positiven Entwicklung des Bewusstseins der Menschheit die Sklaverei, ein Verbrechen gegen die Menschheit,4 weltweit formell abgeschafft. Das Recht eines jeden Menschen, nicht in Sklaverei oder Knechtschaft gehalten zu werden, ist im Völkerrecht als unabdingbarer Grundsatz anerkannt.
Doch obwohl die internationale Gesellschaft zahlreiche Abkommen getroffen hat mit dem Ziel, der Sklaverei in all ihren Formen ein Ende zu setzen, und verschiedene Strategien eingeleitet hat, um dieses Phänomen zu bekämpfen, werden noch heute Millionen Menschen – Kinder, Männer und Frauen jeden Alters – ihrer Freiheit beraubt und gezwungen, unter Bedingungen zu leben, die denen der Sklaverei vergleichbar sind.
Ich denke an viele – auch minderjährige – Arbeiter und Arbeiterinnen, die in den verschiedenen Bereichen sowohl auf vertraglicher Ebene als auch inoffiziell geknechtet sind – von der häuslichen bis zur landwirtschaftlichen Arbeit, vom Einsatz in der verarbeitenden Industrie bis zu dem im Bergbau, sowohl in den Ländern, in denen das Arbeitsrecht nicht mit den internationalen Minimalstandards übereinstimmt, als auch – obschon illegal – in denen, deren Gesetzgebung den Arbeiter schützt.
Ich denke auch an die Lebensbedingungen vieler Migranten, die auf ihrem dramatischen Weg Hunger leiden, ihrer Freiheit beraubt werden, die um ihr Hab und Gut gebracht oder physisch und sexuell missbraucht werden. Ich denke an diejenigen unter ihnen, die, nach schwerster, von Angst und Unsicherheit geprägter Reise ans Ziel gelangt, unter manchmal unmenschlichen Bedingungen gefangen gehalten werden. Ich denke an diejenigen unter ihnen, die durch die verschiedenen sozialen, politischen und wirtschaftlichen Umstände in die Illegalität gedrängt werden, und an diejenigen, die, um in der Legalität zu bleiben, akzeptieren, unter unwürdigen Bedingungen zu leben und zu arbeiten, besonders wenn die nationalen Gesetze eine strukturelle Abhängigkeit des Wanderarbeiters vom Arbeitgeber schaffen oder zulassen, indem sie zum Beispiel die Aufenthaltsgenehmigung vom Arbeitsvertrag abhängig machen… Ja, ich denke an „Sklavenarbeit".
Ich denke an die Menschen, die zur Prostitution gezwungen werden, unter denen viele Minderjährige sind, und an die sexuellen Slavinnen und Sklaven; an die Frauen, die zur Heirat genötigt werden, an diejenigen, die im Hinblick auf die Ehe verkauft werden, oder an die, welche beim Tod ihres Ehemannes als Erbe einem Familienangehörigen übergeben werden, ohne das Recht zu haben, ihr Einverständnis zu geben oder zu verweigern.
Unmöglich kann ich die Minderjährigen und Erwachsenen übergehen, die als Handelsware verschachert werden für die Explantation von Organen, um als Soldaten rekrutiert zu werden, um zu betteln, um illegale Aktivitäten wie die Herstellung oder den Verkauf von Drogen auszuüben, oder für verschleierte Formen internationaler Adoption.
Schließlich denke ich an alle, die von terroristischen Gruppen entführt, in Gefangenschaft gehalten und deren Zwecken unterworfen werden als Kämpfer oder – was vor allem die Mädchen und die Frauen betrifft – als sexuelle Sklavinnen. Viele von ihnen verschwinden, einige werden immer wieder verkauft, misshandelt, verstümmelt oder getötet.
Einige tiefe Ursachen der Sklaverei
4. Heute wie gestern liegt an der Wurzel der Sklaverei ein Verständnis vom Menschen, das die Möglichkeit zulässt, ihn wie einen Gegenstand zu behandeln. Wenn die Sünde das Herz des Menschen verdirbt und es von seinem Schöpfer und seinen Mitmenschen entfernt, werden Letztere nicht mehr als Wesen gleicher Würde, als Brüder und Schwestern im Menschsein wahrgenommen, sondern als Objekte betrachtet. Der Mensch, der als Abbild Gottes und ihm ähnlich erschaffen ist, wird mit Gewalt, mit List oder durch physischen bzw. psychologischen Zwang seiner Freiheit beraubt, kommerzialisiert und zum Eigentum eines anderen herabgemindert; er wird als Mittel und nicht als Zweck behandelt.
Neben dieser ontologischen Ursache – die Ablehnung des Menschseins des anderen – tragen noch weitere Ursachen zur Erklärung der heutigen Formen von Sklaverei bei. Unter diesen denke ich vor allem an die Armut, die Unterentwicklung und die Ausschließung, besonders wenn sie sich mit einem fehlenden Zugang zur Ausbildung oder mit einer Situation verbinden, die durch spärliche, wenn nicht sogar fehlende Arbeitsmöglichkeiten gekennzeichnet ist. Nicht selten sind die Opfer des Handels und der Verknechtung Menschen, die einen Weg gesucht haben, aus einer Lage extremer Armut auszubrechen. Dabei haben sie häufig falschen Verheißungen einer Arbeit Glauben geschenkt und sind stattdessen in die Hände der kriminellen Netze gefallen, die den Menschenhandel betreiben. Diese Netze bedienen sich geschickt der modernen Informationstechnologien, um junge und sehr junge Menschen aus aller Welt anzulocken.
Auch die Korruption derer, die zu allem bereit sind, um sich zu bereichern, ist zu den Ursachen der Sklaverei zu zählen. Tatsächlich verlangen die Verknechtung und der Handel von Menschen eine Komplizenschaft, die oft ihren Weg über die Korruption der Mittelsmänner nimmt – einige Mitglieder der Ordnungskräfte oder anderer staatlicher Akteure oder verschiedener ziviler und militärischer Einrichtungen. » Das passiert, wenn im Zentrum eines Wirtschaftssystems der Götze Geld steht und nicht der Mensch, die menschliche Person. Ja, im Zentrum jedes sozialen oder wirtschaftlichen Systems muss der Mensch stehen, das Ebenbild Gottes, geschaffen, um Herr des Universums zu sein. Wenn die Person beiseitegeschoben wird und der Götze Geld ins Spiel kommt, dann werden die Werte über den Haufen geworfen. «5
Weitere Ursachen der Sklaverei sind die bewaffneten Konflikte, die Gewalt, die Kriminalität und der Terrorismus. Zahlreiche Menschen werden entführt, um verkauft oder als Kämpfer rekrutiert oder sexuell ausgebeutet zu werden, während andere sich gezwungen sehen, auszuwandern und ihren ganzen Besitz zu verlassen: Grund und Boden, Haus, Eigentum und auch die Angehörigen. Sie stehen unter dem Druck, eine Alternative zu diesen schrecklichen Bedingungen zu suchen, auch auf die Gefahr hin, ihre Würde und ihr Leben aufs Spiel zu setzen, und riskieren, auf diese Weise in jenen Teufelskreis zu geraten, der sie zum Opfer von Elend und Korruption und deren unheilvollen Folgen macht.
Ein gemeinsamer Einsatz, um die Sklaverei zu überwinden
5. Wenn man das Phänomen des Menschenhandels, des illegalen Transports von Migranten und anderer bekannter wie unbekannter Gesichter der Sklaverei betrachtet, hat man oft den Eindruck, dass es unter allgemeiner Gleichgültigkeit stattfindet.
Auch wenn das leider großenteils zutrifft, möchte ich doch an die enorme Arbeit erinnern, die viele – besonders weibliche – Ordensgemeinschaften seit vielen Jahren im Stillen für die Opfer vollbringen. Diese Institute wirken in schwierigen, manchmal von der Gewalt beherrschten Umfeldern und versuchen, die unsichtbaren Ketten zu sprengen, mit denen die Opfer an ihre Händler und Ausbeuter gefesselt sind – Ketten, deren Maschen aus feinen psychologischen Mechanismen bestehen, welche die Opfer von ihren Peinigern abhängig machen durch Erpressung und Drohung ihnen und ihren Lieben gegenüber, aber auch durch materielle Mittel wie die Einziehung der Ausweise und die physische Gewalt. Die Tätigkeit der Ordensgemeinschaften gliedert sich hauptsächlich um drei Einsatzbereiche: die Hilfe für die Opfer, ihre Rehabilitation unter psychologischem und formativem Gesichtspunkt sowie ihre Wiedereingliederung in die Gesellschaft ihres Ziel- oder ihres Herkunftslandes.
Diese ungeheure Arbeit, die Mut, Geduld und Ausdauer erfordert, verdient die Würdigung der ganzen Kirche und der Gesellschaft. Doch sie allein kann natürlich nicht genügen, um dem Übel der Ausbeutung des Menschen ein Ende zu setzen. Es bedarf auch eines dreifachen Einsatzes auf institutioneller Ebene in der Vorbeugung, im Schutz der Opfer und in einem gerichtlichen Vorgehen gegen die Verantwortlichen. Und wie die kriminellen Organisationen sich globaler Netze bedienen, um ihre Ziele zu erreichen, so erfordert die Aktion zur Überwindung dieses Phänomens außerdem eine gemeinsame ebenso globale Anstrengung seitens der verschiedenen Akteure, welche die Gesellschaft bilden.
Die Staaten müssten darüber wachen, dass ihre nationale Gesetzgebung zur Migration, zur Arbeit, zu Adoptionen, zur Standortverlagerung der Unternehmen und zur Vermarktung von Produkten, die durch die Ausbeutung der Arbeit hergestellt werden, wirklich die Würde der Person achten. Es sind gerechte Gesetze notwendig, die den Menschen in den Mittelpunkt stellen, seine Grundrechte verteidigen und sie im Fall ihrer Verletzung wiederherstellen, indem sie die Opfer rehabilitieren und ihnen die Unversehrtheit gewährleisten. Außerdem bedarf es wirksamer Kontrollmechanismen für die korrekte Anwendung dieser Vorschriften, die keinen Raum lassen für Korruption und Straffreiheit. Zudem ist es notwendig, dass die Rolle der Frau in der Gesellschaft anerkannt wird; um diesbezüglich die erhofften Ergebnisse zu erzielen, muss auch auf kultureller Ebene sowie im Bereich der Kommunikation gearbeitet werden.
Die zwischenstaatlichen Organisationen sind gemäß dem Prinzip der Subsidiarität berufen, aufeinander abgestimmte Initiativen durchzuführen, um die nationenübergreifenden Netze der organisierten Kriminalität zu bekämpfen, welche den Menschenhandel und den illegalen Transport der Migranten betreiben. Es ist eine Zusammenarbeit auf verschiedenen Ebenen notwendig, und zwar so, dass sie die nationalen und internationalen Institutionen ebenso einschließt wie die Organisationen der Zivilgesellschaft und die Welt des Unternehmertums.
Die Unternehmen6 haben nämlich die Pflicht, ihren Angestellten würdige Arbeitsbedingungen und angemessene Löhne zu garantieren, aber auch darüber zu wachen, dass in den Verteilerketten keine Formen von Verknechtung oder Menschenhandel vorkommen. Mit der sozialen Verantwortung des Unternehmens geht dann die soziale Verantwortung des Verbrauchers einher. In der Tat müsste jeder Mensch sich bewusst sein, » dass das Kaufen nicht nur ein wirtschaftlicher Akt, sondern immer auch eine moralische Handlung ist «.7
Die Organisationen der Zivilgesellschaft haben ihrerseits die Aufgabe, die Gewissen zu sensibilisieren und sie zu den Schritten anzuregen, die notwendig sind, um der Kultur der Verknechtung entgegenzuwirken und sie auszurotten.
In den letzten Jahren hat der Heilige Stuhl den schmerzvollen Aufschrei der Opfer des Menschenhandels und die Stimme der Ordenskongregationen, die sie in die Freiheit begleiten, aufgegriffen und seine Appelle an die internationale Gemeinschaft vervielfacht, damit die verschiedenen Akteure ihre Bemühungen miteinander verknüpfen und zusammenarbeiten, um diesem Übel ein Ende zu setzen.8 Außerdem wurden einige Treffen organisiert mit dem Ziel, das Phänomen des Menschenhandels ins Rampenlicht zu rücken und die Zusammenarbeit der verschiedenen Akteure - unter anderem Sachverständige aus dem Bereich der Wissenschaft und der internationalen Organisationen, Ordnungskräfte verschiedener Herkunfts -, Durchgangs - und Zielländer der Migranten und Vertreter der kirchlichen Gruppen, die sich für die Opfer einsetzen - zu erleichtern. Ich hoffe, dass dieser Einsatz in den kommenden Jahren fortgesetzt und verstärkt wird.
Die Brüderlichkeit globalisieren, nicht die Sklaverei noch die Gleichgültigkeit
6. In ihrem Werk der » Verkündigung der Wahrheit der Liebe Christi in der Gesellschaft «9 engagiert sich die Kirche ständig in den Tätigkeiten karitativer Art auf der Basis der Wahrheit über den Menschen. Sie hat die Aufgabe, allen den Weg zur Umkehr zu zeigen, die dazu anregt, den Nächsten mit anderen Augen zu sehen, im anderen, wer immer er sei, einen Bruder und eine Schwester im Menschsein zu erkennen und ihm seine innere Würde in der Wahrheit und in der Freiheit zuzugestehen. Das zeigt uns die Geschichte der Giuseppina Bakhita, der Heiligen aus der Region Darfur im Sudan. Sie wurde von Sklavenhändlern entführt und im Alter von neun Jahren an grausame Herren verkauft. Auf dem Weg über schmerzliche Erfahrungen wurde sie dann durch den Glauben, den sie als Ordensfrau und im Dienst an den anderen – besonders den Geringen und Schwachen – lebte, eine „freie Tochter Gottes". Diese Heilige, die an der Schwelle vom 19. zum 20. Jahrhundert lebte, ist auch heute eine beispielhafte Zeugin der Hoffnung10 für die zahlreichen Opfer der Sklaverei und kann die Bemühungen all derer unterstützen, die sich dem Kampf gegen diese » Wunde im Leib der heutigen Menschheit « widmen, » eine Wunde im Fleisch Christi «.11
In dieser Perspektive möchte ich jeden einladen, in seiner Rolle und seinen besonderen Verantwortlichkeiten Gesten der Brüderlichkeit denen gegenüber zu vollbringen, die in einem Zustand der Verknechtung gehalten werden. Fragen wir uns, wie wir uns als Gemeinschaft oder als Einzelne angefragt fühlen, wenn wir im Alltag Menschen begegnen oder mit ihnen zu tun haben, die Opfer des Menschenhandels sein könnten, oder wenn wir entscheiden müssen, ob wir Produkte kaufen, die aus gutem Grund vermuten lassen, dass sie durch die Ausbeutung anderer Menschen hergestellt worden sind. Einige von uns schließen aus Gleichgültigkeit oder weil sie durch die täglichen Sorgen abgelenkt sind oder aus finanziellen Gründen die Augen. Andere entscheiden sich hingegen, etwas Positives zu tun, sich in den Vereinen der Zivilgesellschaft zu engagieren oder kleine alltägliche Gesten zu vollbringen, wie zum Beispiel ein gutes Wort, einen Gruß, ein „Guten Tag" oder ein Lächeln. Wie wertvoll sind diese Gesten! Sie kosten uns nichts, können aber Hoffnung geben, Wege öffnen, einem Menschen, der in der Unsichtbarkeit lebt, das Leben verändern und auch unser Leben in der Gegenüberstellung mit dieser Wirklichkeit verändern.
Wir müssen zugeben, dass wir vor einem weltweiten Phänomen stehen, das über die Zuständigkeiten einer einzelnen Gemeinschaft oder Nation hinausgeht. Um es zu überwinden, bedarf es einer Mobilisierung von vergleichbaren Ausmaßen wie denen des Phänomens selbst. Aus diesem Grund richte ich einen eindringlichen Appell an alle Männer und Frauen guten Willens und an alle, die aus der Nähe oder aus der Ferne – auch in den höchsten Ebenen der Institutionen – Zeugen der Plage der heutigen Sklaverei sind, nicht zu Komplizen dieses Übels zu werden, angesichts der Leiden ihrer Brüder und Schwestern im Menschsein, die ihrer Freiheit und ihrer Würde beraubt sind, nicht wegzuschauen, sondern den Mut zu haben, mit dem leidenden Leib Christi in Berührung zu kommen12, der sich in den zahllosen Gesichtern derer zeigt, die er selbst seine » geringsten Brüder « nennt (Mt 25,40.45).
Wir wissen, dass Gott jeden von uns fragen wird: „Was hast du mit deinem Bruder gemacht?" (vgl. Gen 4,9-10). Die Globalisierung der Gleichgültigkeit, die heute auf dem Leben so vieler Schwestern und Brüder lastet, verlangt von uns allen, zu Urhebern einer Globalisierung der Solidarität und der Brüderlichkeit zu werden, die ihnen die Hoffnung zurückgeben und ihnen helfen kann, mutig den Weg durch die Probleme unserer Zeit wieder aufzunehmen und die neuen Perspektiven wiederzugewinnen, die er mit sich bringt und die Gott in unsere Hände legt.
Aus dem Vatikan, am 8. Dezember 2014
FRANCISCUS
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Nr. 1 2
Botschaft zum Weltfriedenstag 2014, 2. 3
Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 11. mer am internationalen Treffen der Volksbewegungen (28. Oktober 2014). 4
Vgl. Ansprache an eine Delegation der internationalen Strafrechtsgesellschaft (AIDP) (23. Oktober 2014). 5
Ansprache an die Teilnehmer am internationalen Treffen der Volksbewegungen (28. Oktober 2014). 6
Vgl. Päpstlicher Rat für Gerechtigkeit und Frieden, La vocazione del leader d’impresa. Una riflessione [Die Berufung zum Unternehmensleiter. Eine Überlegung], Mailand und Rom, 2013. 7
Benedikt XVI., Enzyklika Caritas in veritate, 66. 8
Vgl. Botschaft an Herrn Guy Ryder, Generaldirektor der Internationalen Arbeitsorganisation, anlässlich der 103. Sitzung der Konferenz der ILO (22. Mai 2014). 9
Benedikt XVI., Enzyklika Caritas in veritate, 5. 10
» Durch diese Hoffnungserkenntnis war sie "erlöst", nun keine Sklavin mehr, sondern freies Kind Gottes. Sie verstand, was Paulus sagte, wenn er die Epheser daran erinnerte, dass sie vorher ohne Hoffnung und ohne Gott in der Welt gewesen waren – ohne Hoffnung, weil ohne Gott « (Benedikt XVI., Enzyklika Spe salvi, 3). 11
Ansprache an die Teilnehmer der II. Internationalen Konferenz Combating Human Trafficking: Church and Law Enforcement in partnership (10. April 2014); vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 270. 12
Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium 24; 270. [02027-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
No esclavos, sino hermanos
1. Al comienzo de un nuevo año, que recibimos como una gracia y un don de Dios a la humanidad, deseo dirigir a cada hombre y mujer, así como a los pueblos y naciones del mundo, a los jefes de Estado y de Gobierno, y a los líderes de las diferentes religiones, mis mejores deseos de paz, que acompaño con mis oraciones por el fin de las guerras, los conflictos y los muchos de sufrimientos causados por el hombre o por antiguas y nuevas epidemias, así como por los devastadores efectos de los desastres naturales. Rezo de modo especial para que, respondiendo a nuestra común vocación de colaborar con Dios y con todos los hombres de buena voluntad en la promoción de la concordia y la paz en el mundo, resistamos a la tentación de comportarnos de un modo indigno de nuestra humanidad.
En el mensaje para el 1 de enero pasado, señalé que del «deseo de una vida plena… forma parte un anhelo indeleble de fraternidad, que nos invita a la comunión con los otros, en los que encontramos no enemigos o contrincantes, sino hermanos a los que acoger y querer».1 Siendo el hombre un ser relacional, destinado a realizarse en un contexto de relaciones interpersonales inspiradas por la justicia y la caridad, es esencial que para su desarrollo se reconozca y respete su dignidad, libertad y autonomía. Por desgracia, el flagelo cada vez más generalizado de la explotación del hombre por parte del hombre daña seriamente la vida de comunión y la llamada a estrechar relaciones interpersonales marcadas por el respeto, la justicia y la caridad. Este fenómeno abominable, que pisotea los derechos fundamentales de los demás y aniquila su libertad y dignidad, adquiere múltiples formas sobre las que deseo hacer una breve reflexión, de modo que, a la luz de la Palabra de Dios, consideremos a todos los hombres «no esclavos, sino hermanos».
A la escucha del proyecto de Dios sobre la humanidad
2. El tema que he elegido para este mensaje recuerda la carta de san Pablo a Filemón, en la que le pide que reciba a Onésimo, antiguo esclavo de Filemón y que después se hizo cristiano, mereciendo por eso, según Pablo, que sea considerado como un hermano. Así escribe el Apóstol de las gentes: «Quizá se apartó de ti por breve tiempo para que lo recobres ahora para siempre; y no como esclavo, sino como algo mejor que un esclavo, como un hermano querido» (Flm 15-16). Onésimo se convirtió en hermano de Filemón al hacerse cristiano. Así, la conversión a Cristo, el comienzo de una vida de discipulado en Cristo, constituye un nuevo nacimiento (cf. 2 Co 5,17; 1 P 1,3) que regenera la fraternidad como vínculo fundante de la vida familiar y base de la vida social.
En el libro del Génesis, leemos que Dios creó al hombre, varón y hembra, y los bendijo, para que crecieran y se multiplicaran (cf. 1,27-28): Hizo que Adán y Eva fueran padres, los cuales, cumpliendo la bendición de Dios de ser fecundos y multiplicarse, concibieron la primera fraternidad, la de Caín y Abel. Caín y Abel eran hermanos, porque vienen del mismo vientre, y por lo tanto tienen el mismo origen, naturaleza y dignidad de sus padres, creados a imagen y semejanza de Dios.
Pero la fraternidad expresa también la multiplicidad y diferencia que hay entre los hermanos, si bien unidos por el nacimiento y por la misma naturaleza y dignidad. Como hermanos y hermanas, todas las personas están por naturaleza relacionadas con las demás, de las que se diferencian pero con las que comparten el mismo origen, naturaleza y dignidad. Gracias a ello la fraternidad crea la red de relaciones fundamentales para la construcción de la familia humana creada por Dios.
Por desgracia, entre la primera creación que narra el libro del Génesis y el nuevo nacimiento en Cristo, que hace de los creyentes hermanos y hermanas del «primogénito entre muchos hermanos» (Rm 8,29), se encuentra la realidad negativa del pecado, que muchas veces interrumpe la fraternidad creatural y deforma continuamente la belleza y nobleza del ser hermanos y hermanas de la misma familia humana. Caín, además de no soportar a su hermano Abel, lo mata por envidia cometiendo el primer fratricidio. «El asesinato de Abel por parte de Caín deja constancia trágicamente del rechazo radical de la vocación a ser hermanos. Su historia (cf. Gn 4,1-16) pone en evidencia la dificultad de la tarea a la que están llamados todos los hombres, vivir unidos, preocupándose los unos de los otros».2
También en la historia de la familia de Noé y sus hijos (cf. Gn 9,18-27), la maldad de Cam contra su padre es lo que empuja a Noé a maldecir al hijo irreverente y bendecir a los demás, que sí lo honraban, dando lugar a una desigualdad entre hermanos nacidos del mismo vientre.
En la historia de los orígenes de la familia humana, el pecado de la separación de Dios, de la figura del padre y del hermano, se convierte en una expresión del rechazo de la comunión traduciéndose en la cultura de la esclavitud (cf. Gn 9,25-27), con las consecuencias que ello conlleva y que se perpetúan de generación en generación: rechazo del otro, maltrato de las personas, violación de la dignidad y los derechos fundamentales, la institucionalización de la desigualdad. De ahí la necesidad de convertirse continuamente a la Alianza, consumada por la oblación de Cristo en la cruz, seguros de que «donde abundó el pecado, sobreabundó la gracia... por Jesucristo» (Rm 5,20.21). Él, el Hijo amado (cf. Mt 3,17), vino a revelar el amor del Padre por la humanidad. El que escucha el evangelio, y responde a la llamada a la conversión, llega a ser en Jesús «hermano y hermana, y madre» (Mt 12,50) y, por tanto, hijo adoptivo de su Padre (cf. Ef 1,5).
No se llega a ser cristiano, hijo del Padre y hermano en Cristo, por una disposición divina autoritativa, sin el concurso de la libertad personal, es decir, sin convertirse libremente a Cristo. El ser hijo de Dios responde al imperativo de la conversión: «Convertíos y sea bautizado cada uno de vosotros en el nombre de Jesús, el Mesías, para perdón de vuestros pecados, y recibiréis el don del Espíritu Santo» (Hch 2,38). Todos los que respondieron con la fe y la vida a esta predicación de Pedro entraron en la fraternidad de la primera comunidad cristiana (cf. 1 P 2,17; Hch 1,15.16; 6,3; 15,23): judíos y griegos, esclavos y hombres libres (cf. 1 Co 12,13; Ga 3,28), cuya diversidad de origen y condición social no disminuye la dignidad de cada uno, ni excluye a nadie de la pertenencia al Pueblo de Dios. Por ello, la comunidad cristiana es el lugar de la comunión vivida en el amor entre los hermanos (cf. Rm 12,10; 1 Ts 4,9; Hb 13,1; 1 P 1,22; 2 P 1,7).
Todo esto demuestra cómo la Buena Nueva de Jesucristo, por la que Dios hace «nuevas todas las cosas» (Ap 21,5),3 también es capaz de redimir las relaciones entre los hombres, incluida aquella entre un esclavo y su amo, destacando lo que ambos tienen en común: la filiación adoptiva y el vínculo de fraternidad en Cristo. El mismo Jesús dijo a sus discípulos: «Ya no os llamo siervos, porque el siervo no sabe lo que hace su señor; a vosotros os llamo amigos, porque todo lo que he oído a mi Padre os lo he dado a conocer» (Jn 15,15).
Múltiples rostros de la esclavitud de entonces y de ahora
3. Desde tiempos inmemoriales, las diferentes sociedades humanas conocen el fenómeno del sometimiento del hombre por parte del hombre. Ha habido períodos en la historia humana en que la institución de la esclavitud estaba generalmente aceptada y regulada por el derecho. Éste establecía quién nacía libre, y quién, en cambio, nacía esclavo, y en qué condiciones la persona nacida libre podía perder su libertad u obtenerla de nuevo. En otras palabras, el mismo derecho admitía que algunas personas podían o debían ser consideradas propiedad de otra persona, la cual podía disponer libremente de ellas; el esclavo podía ser vendido y comprado, cedido y adquirido como una mercancía.
Hoy, como resultado de un desarrollo positivo de la conciencia de la humanidad, la esclavitud, crimen de lesa humanidad,4 está oficialmente abolida en el mundo. El derecho de toda persona a no ser sometida a esclavitud ni a servidumbre está reconocido en el derecho internacional como norma inderogable.
Sin embargo, a pesar de que la comunidad internacional ha adoptado diversos acuerdos para poner fin a la esclavitud en todas sus formas, y ha dispuesto varias estrategias para combatir este fenómeno, todavía hay millones de personas –niños, hombres y mujeres de todas las edades– privados de su libertad y obligados a vivir en condiciones similares a la esclavitud.
Me refiero a tantos trabajadores y trabajadoras, incluso menores, oprimidos de manera formal o informal en todos los sectores, desde el trabajo doméstico al de la agricultura, de la industria manufacturera a la minería, tanto en los países donde la legislación laboral no cumple con las mínimas normas y estándares internacionales, como, aunque de manera ilegal, en aquellos cuya legislación protege a los trabajadores.
Pienso también en las condiciones de vida de muchos emigrantes que, en su dramático viaje, sufren el hambre, se ven privados de la libertad, despojados de sus bienes o de los que se abusa física y sexualmente. En aquellos que, una vez llegados a su destino después de un viaje durísimo y con miedo e inseguridad, son detenidos en condiciones a veces inhumanas. Pienso en los que se ven obligados a la clandestinidad por diferentes motivos sociales, políticos y económicos, y en aquellos que, con el fin de permanecer dentro de la ley, aceptan vivir y trabajar en condiciones inadmisibles, sobre todo cuando las legislaciones nacionales crean o permiten una dependencia estructural del trabajador emigrado con respecto al empleador, como por ejemplo cuando se condiciona la legalidad de la estancia al contrato de trabajo... Sí, pienso en el «trabajo esclavo».
Pienso en las personas obligadas a ejercer la prostitución, entre las que hay muchos menores, y en los esclavos y esclavas sexuales; en las mujeres obligadas a casarse, en aquellas que son vendidas con vistas al matrimonio o en las entregadas en sucesión, a un familiar después de la muerte de su marido, sin tener el derecho de dar o no su consentimiento.
No puedo dejar de pensar en los niños y adultos que son víctimas del tráfico y comercialización para la extracción de órganos, para ser reclutados como soldados, para la mendicidad, para actividades ilegales como la producción o venta de drogas, o para formas encubiertas de adopción internacional.
Pienso finalmente en todos los secuestrados y encerrados en cautividad por grupos terroristas, puestos a su servicio como combatientes o, sobre todo las niñas y mujeres, como esclavas sexuales. Muchos de ellos desaparecen, otros son vendidos varias veces, torturados, mutilados o asesinados.
Algunas causas profundas de la esclavitud
4. Hoy como ayer, en la raíz de la esclavitud se encuentra una concepción de la persona humana que admite el que pueda ser tratada como un objeto. Cuando el pecado corrompe el corazón humano, y lo aleja de su Creador y de sus semejantes, éstos ya no se ven como seres de la misma dignidad, como hermanos y hermanas en la humanidad, sino como objetos. La persona humana, creada a imagen y semejanza de Dios, queda privada de la libertad, mercantilizada, reducida a ser propiedad de otro, con la fuerza, el engaño o la constricción física o psicológica; es tratada como un medio y no como un fin.
Junto a esta causa ontológica –rechazo de la humanidad del otro– hay otras que ayudan a explicar las formas contemporáneas de la esclavitud. Me refiero en primer lugar a la pobreza, al subdesarrollo y a la exclusión, especialmente cuando se combinan con la falta de acceso a la educación o con una realidad caracterizada por las escasas, por no decir inexistentes, oportunidades de trabajo. Con frecuencia, las víctimas de la trata y de la esclavitud son personas que han buscado una manera de salir de un estado de pobreza extrema, creyendo a menudo en falsas promesas de trabajo, para caer después en manos de redes criminales que trafican con los seres humanos. Estas redes utilizan hábilmente las modernas tecnologías informáticas para embaucar a jóvenes y niños en todas las partes del mundo.
Entre las causas de la esclavitud hay que incluir también la corrupción de quienes están dispuestos a hacer cualquier cosa para enriquecerse. En efecto, la esclavitud y la trata de personas humanas requieren una complicidad que con mucha frecuencia pasa a través de la corrupción de los intermediarios, de algunos miembros de las fuerzas del orden o de otros agentes estatales, o de diferentes instituciones, civiles y militares. «Esto sucede cuando al centro de un sistema económico está el dios dinero y no el hombre, la persona humana. Sí, en el centro de todo sistema social o económico, tiene que estar la persona, imagen de Dios, creada para que fuera el dominador del universo. Cuando la persona es desplazada y viene el dios dinero sucede esta trastocación de valores».5
Otras causas de la esclavitud son los conflictos armados, la violencia, el crimen y el terrorismo. Muchas personas son secuestradas para ser vendidas o reclutadas como combatientes o explotadas sexualmente, mientras que otras se ven obligadas a emigrar, dejando todo lo que poseen: tierra, hogar, propiedades, e incluso la familia. Éstas últimas se ven empujadas a buscar una alternativa a esas terribles condiciones aun a costa de su propia dignidad y supervivencia, con el riesgo de entrar de ese modo en ese círculo vicioso que las convierte en víctimas de la miseria, la corrupción y sus consecuencias perniciosas.
Compromiso común para derrotar la esclavitud
5. Con frecuencia, cuando observamos el fenómeno de la trata de personas, del tráfico ilegal de los emigrantes y de otras formas conocidas y desconocidas de la esclavitud, tenemos la impresión de que todo esto tiene lugar bajo la indiferencia general.
Aunque por desgracia esto es cierto en gran parte, quisiera mencionar el gran trabajo silencioso que muchas congregaciones religiosas, especialmente femeninas, realizan desde hace muchos años en favor de las víctimas. Estos Institutos trabajan en contextos difíciles, a veces dominados por la violencia, tratando de romper las cadenas invisibles que tienen encadenadas a las víctimas a sus traficantes y explotadores; cadenas cuyos eslabones están hechos de sutiles mecanismos psicológicos, que convierten a las víctimas en dependientes de sus verdugos, a través del chantaje y la amenaza, a ellos y a sus seres queridos, pero también a través de medios materiales, como la confiscación de documentos de identidad y la violencia física. La actividad de las congregaciones religiosas se estructura principalmente en torno a tres acciones: la asistencia a las víctimas, su rehabilitación bajo el aspecto psicológico y formativo, y su reinserción en la sociedad de destino o de origen.
Este inmenso trabajo, que requiere coraje, paciencia y perseverancia, merece el aprecio de toda la Iglesia y de la sociedad. Pero, naturalmente, por sí solo no es suficiente para poner fin al flagelo de la explotación de la persona humana. Se requiere también un triple compromiso a nivel institucional de prevención, protección de las víctimas y persecución judicial contra los responsables. Además, como las organizaciones criminales utilizan redes globales para lograr sus objetivos, la acción para derrotar a este fenómeno requiere un esfuerzo conjunto y también global por parte de los diferentes agentes que conforman la sociedad.
Los Estados deben vigilar para que su legislación nacional en materia de migración, trabajo, adopciones, deslocalización de empresas y comercialización de los productos elaborados mediante la explotación del trabajo, respete la dignidad de la persona. Se necesitan leyes justas, centradas en la persona humana, que defiendan sus derechos fundamentales y los restablezcan cuando son pisoteados, rehabilitando a la víctima y garantizando su integridad, así como mecanismos de seguridad eficaces para controlar la aplicación correcta de estas normas, que no dejen espacio a la corrupción y la impunidad. Es preciso que se reconozca también el papel de la mujer en la sociedad, trabajando también en el plano cultural y de la comunicación para obtener los resultados deseados.
Las organizaciones intergubernamentales, de acuerdo con el principio de subsidiariedad, están llamadas a implementar iniciativas coordinadas para luchar contra las redes transnacionales del crimen organizado que gestionan la trata de personas y el tráfico ilegal de emigrantes. Es necesaria una cooperación en diferentes niveles, que incluya a las instituciones nacionales e internacionales, así como a las organizaciones de la sociedad civil y del mundo empresarial.
Las empresas6, en efecto, tienen el deber de garantizar a sus empleados condiciones de trabajo dignas y salarios adecuados, pero también han de vigilar para que no se produzcan en las cadenas de distribución formas de servidumbre o trata de personas. A la responsabilidad social de la empresa hay que unir la responsabilidad social del consumidor. Pues cada persona debe ser consciente de que «comprar es siempre un acto moral, además de económico».7
Las organizaciones de la sociedad civil, por su parte, tienen la tarea de sensibilizar y estimular las conciencias acerca de las medidas necesarias para combatir y erradicar la cultura de la esclavitud.
En los últimos años, la Santa Sede, acogiendo el grito de dolor de las víctimas de la trata de personas y la voz de las congregaciones religiosas que las acompañan hacia su liberación, ha multiplicado los llamamientos a la comunidad internacional para que los diversos actores unan sus esfuerzos y cooperen para poner fin a esta plaga.8 Además, se han organizado algunos encuentros con el fin de dar visibilidad al fenómeno de la trata de personas y facilitar la colaboración entre los diferentes agentes, incluidos expertos del mundo académico y de las organizaciones internacionales, organismos policiales de los diferentes países de origen, tránsito y destino de los migrantes, así como representantes de grupos eclesiales que trabajan por las víctimas. Espero que estos esfuerzos continúen y se redoblen en los próximos años.
Globalizar la fraternidad, no la esclavitud ni la indiferencia
6. En su tarea de «anuncio de la verdad del amor de Cristo en la sociedad»,9 la Iglesia se esfuerza constantemente en las acciones de carácter caritativo partiendo de la verdad sobre el hombre. Tiene la misión de mostrar a todos el camino de la conversión, que lleve a cambiar el modo de ver al prójimo, a reconocer en el otro, sea quien sea, a un hermano y a una hermana en la humanidad; reconocer su dignidad intrínseca en la verdad y libertad, como nos lo muestra la historia de Josefina Bakhita, la santa proveniente de la región de Darfur, en Sudán, secuestrada cuando tenía nueve años por traficantes de esclavos y vendida a dueños feroces. A través de sucesos dolorosos llegó a ser «hija libre de Dios», mediante la fe vivida en la consagración religiosa y en el servicio a los demás, especialmente a los pequeños y débiles. Esta Santa, que vivió entre los siglos XIX y XX, es hoy un testigo ejemplar de esperanza10 para las numerosas víctimas de la esclavitud y un apoyo en los esfuerzos de todos aquellos que se dedican a luchar contra esta «llaga en el cuerpo de la humanidad contemporánea, una herida en la carne de Cristo».11
En esta perspectiva, deseo invitar a cada uno, según su puesto y responsabilidades, a realizar gestos de fraternidad con los que se encuentran en un estado de sometimiento. Preguntémonos, tanto comunitaria como personalmente, cómo nos sentimos interpelados cuando encontramos o tratamos en la vida cotidiana con víctimas de la trata de personas, o cuando tenemos que elegir productos que con probabilidad podrían haber sido realizados mediante la explotación de otras personas. Algunos hacen la vista gorda, ya sea por indiferencia, o porque se desentienden de las preocupaciones diarias, o por razones económicas. Otros, sin embargo, optan por hacer algo positivo, participando en asociaciones civiles o haciendo pequeños gestos cotidianos –que son tan valiosos–, como decir una palabra, un saludo, un «buenos días» o una sonrisa, que no nos cuestan nada, pero que pueden dar esperanza, abrir caminos, cambiar la vida de una persona que vive en la invisibilidad, e incluso cambiar nuestras vidas en relación con esta realidad.
Debemos reconocer que estamos frente a un fenómeno mundial que sobrepasa las competencias de una sola comunidad o nación. Para derrotarlo, se necesita una movilización de una dimensión comparable a la del mismo fenómeno. Por esta razón, hago un llamamiento urgente a todos los hombres y mujeres de buena voluntad, y a todos los que, de lejos o de cerca, incluso en los más altos niveles de las instituciones, son testigos del flagelo de la esclavitud contemporánea, para que no sean cómplices de este mal, para que no aparten los ojos del sufrimiento de sus hermanos y hermanas en humanidad, privados de libertad y dignidad, sino que tengan el valor de tocar la carne sufriente de Cristo,12 que se hace visible a través de los numerosos rostros de los que él mismo llama «mis hermanos más pequeños» (Mt 25,40.45).
Sabemos que Dios nos pedirá a cada uno de nosotros: ¿Qué has hecho con tu hermano? (cf. Gn 4,9-10). La globalización de la indiferencia, que ahora afecta a la vida de tantos hermanos y hermanas, nos pide que seamos artífices de una globalización de la solidaridad y de la fraternidad, que les dé esperanza y los haga reanudar con ánimo el camino, a través de los problemas de nuestro tiempo y las nuevas perspectivas que trae consigo, y que Dios pone en nuestras manos.
Vaticano, 8 de diciembre de 2014
FRANCISCUS
_________________
1
N. 1. 2
Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz 2014, 2. 3
Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 11. 4
Cf. Discurso a la Asociación internacional de Derecho penal, 23 octubre 2014: L’Osservatore Romano, Ed. lengua española, 31 octubre 2014, p. 8. 5
Discurso a los participantes en el encuentro mundial de los movimientos populares, 28 octubre 2014: L’Osservatore Romano, Ed. lengua española, 31 octubre 2014, p. 3. 6
Cf. Pontificio Consejo para la Justicia y la Paz, La vocazione del leader d’impresa. Una riflessione, Milano e Roma, 2013. 7
Benedicto XVI, Cart. enc. Caritas in veritate, 66. 8
Cf. Mensaje al Sr. Guy Ryder, Director general de la Organización internacional del trabajo, con motivo de la Sesión 103 de la Conferencia de la OIT, 22 mayo 2014: L’Osservatore Romano, Ed. leng. española 6 junio 2014, p. 3. 9
Benedicto XVI, Carta. enc. Caritas in veritate, 5. 10
«A través del conocimiento de esta esperanza ella fue "redimida", ya no se sentía esclava, sino hija libre de Dios. Entendió lo que Pablo quería decir cuando recordó a los Efesios que antes estaban en el mundo sin esperanza y sin Dios» (Benedicto XVI, Carta. enc. Spe salvi, 3). 11
Discurso a los participantes en la II Conferencia internacional sobre la Trata de personas: Church and Law Enforcement in partnership, 10 abril 2014: L’Osservatore Romano, Ed. leng. española 11 abril 2014, p. 9; cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 270. 12
Cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 24; 270. [02027-04.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Já não escravos, mas irmãos
1. No início dum novo ano, que acolhemos como uma graça e um dom de Deus para a humanidade, desejo dirigir, a cada homem e mulher, bem como a todos os povos e nações do mundo, aos chefes de Estado e de Governo e aos responsáveis das várias religiões, os meus ardentes votos de paz, que acompanho com a minha oração a fim de que cessem as guerras, os conflitos e os inúmeros sofrimentos provocados quer pela mão do homem quer por velhas e novas epidemias e pelos efeitos devastadores das calamidades naturais. Rezo de modo particular para que, respondendo à nossa vocação comum de colaborar com Deus e com todas as pessoas de boa vontade para a promoção da concórdia e da paz no mundo, saibamos resistir à tentação de nos comportarmos de forma não digna da nossa humanidade.
Já, na minha mensagem para o 1º de Janeiro passado, fazia notar que «o anseio duma vida plena (…) contém uma aspiração irreprimível de fraternidade, impelindo à comunhão com os outros, em quem não encontramos inimigos ou concorrentes, mas irmãos que devemos acolher e abraçar».1 Sendo o homem um ser relacional, destinado a realizar-se no contexto de relações interpessoais inspiradas pela justiça e a caridade, é fundamental para o seu desenvolvimento que sejam reconhecidas e respeitadas a sua dignidade, liberdade e autonomia. Infelizmente, o flagelo generalizado da exploração do homem pelo homem fere gravemente a vida de comunhão e a vocação a tecer relações interpessoais marcadas pelo respeito, a justiça e a caridade. Tal fenómeno abominável, que leva a espezinhar os direitos fundamentais do outro e a aniquilar a sua liberdade e dignidade, assume múltiplas formas sobre as quais desejo deter-me, brevemente, para que, à luz da Palavra de Deus, possamos considerar todos os homens, «já não escravos, mas irmãos».
À escuta do projecto de Deus para a humanidade
2. O tema, que escolhi para esta mensagem, inspira-se na Carta de São Paulo a Filémon; nela, o Apóstolo pede ao seu colaborador para acolher Onésimo, que antes era escravo do próprio Filémon mas agora tornou-se cristão, merecendo por isso mesmo, segundo Paulo, ser considerado um irmão. Escreve o Apóstolo dos gentios: «Ele foi afastado por breve tempo, a fim de que o recebas para sempre, não já como escravo, mas muito mais do que um escravo, como irmão querido» (Flm 15-16). Tornando-se cristão, Onésimo passou a ser irmão de Filémon. Deste modo, a conversão a Cristo, o início duma vida de discipulado em Cristo constitui um novo nascimento (cf. 2 Cor 5, 17; 1 Ped 1, 3), que regenera a fraternidade como vínculo fundante da vida familiar e alicerce da vida social.
Lemos, no livro do Génesis (cf. 1, 27-28), que Deus criou o ser humano como homem e mulher e abençoou-os para que crescessem e se multiplicassem: a Adão e Eva, fê-los pais, que, no cumprimento da bênção de Deus para ser fecundos e multiplicar-se, geraram a primeira fraternidade: a de Caim e Abel. Saídos do mesmo ventre, Caim e Abel são irmãos e, por isso, têm a mesma origem, natureza e dignidade de seus pais, criados à imagem e semelhança de Deus.
Mas, apesar de os irmãos estarem ligados por nascimento e possuírem a mesma natureza e a mesma dignidade, a fraternidade exprime também a multiplicidade e a diferença que existe entre eles. Por conseguinte, como irmãos e irmãs, todas as pessoas estão, por natureza, relacionadas umas com as outras, cada qual com a própria especificidade e todas partilhando a mesma origem, natureza e dignidade. Em virtude disso, a fraternidade constitui a rede de relações fundamentais para a construção da família humana criada por Deus.
Infelizmente, entre a primeira criação narrada no livro do Génesis e o novo nascimento em Cristo – que torna, os crentes, irmãos e irmãs do «primogénito de muitos irmãos» (Rom 8, 29) –, existe a realidade negativa do pecado, que interrompe tantas vezes a nossa fraternidade de criaturas e deforma continuamente a beleza e nobreza de sermos irmãos e irmãs da mesma família humana. Caim não só não suporta o seu irmão Abel, mas mata-o por inveja, cometendo o primeiro fratricídio. «O assassinato de Abel por Caim atesta, tragicamente, a rejeição radical da vocação a ser irmãos. A sua história (cf. Gen 4, 1-16) põe em evidência o difícil dever, a que todos os homens são chamados, de viver juntos, cuidando uns dos outros».2
Também na história da família de Noé e seus filhos (cf. Gen 9, 18-27), é a falta de piedade de Cam para com seu pai, Noé, que impele este a amaldiçoar o filho irreverente e a abençoar os outros que o tinham honrado, dando assim lugar a uma desigualdade entre irmãos nascidos do mesmo ventre.
Na narração das origens da família humana, o pecado de afastamento de Deus, da figura do pai e do irmão torna-se uma expressão da recusa da comunhão e traduz-se na cultura da servidão (cf. Gen 9, 25-27), com as consequências daí resultantes que se prolongam de geração em geração: rejeição do outro, maus-tratos às pessoas, violação da dignidade e dos direitos fundamentais, institucionalização de desigualdades. Daqui se vê a necessidade duma conversão contínua à Aliança levada à perfeição pela oblação de Cristo na cruz, confiantes de que, «onde abundou o pecado, superabundou a graça (…) por Jesus Cristo» (Rom 5, 20.21). Ele, o Filho amado (cf. Mt 3, 17), veio para revelar o amor do Pai pela humanidade. Todo aquele que escuta o Evangelho e acolhe o seu apelo à conversão, torna-se, para Jesus, «irmão, irmã e mãe» (Mt 12, 50) e, consequentemente, filho adoptivo de seu Pai (cf. Ef 1, 5).
No entanto, os seres humanos não se tornam cristãos, filhos do Pai e irmãos em Cristo por imposição divina, isto é, sem o exercício da liberdade pessoal, sem se converterem livremente a Cristo. Ser filho de Deus requer que primeiro se abrace o imperativo da conversão: «Convertei-vos – dizia Pedro no dia de Pentecostes – e peça cada um o baptismo em nome de Jesus Cristo, para a remissão dos seus pecados; recebereis, então, o dom do Espírito Santo» (Act 2, 38). Todos aqueles que responderam com a fé e a vida àquela pregação de Pedro, entraram na fraternidade da primeira comunidade cristã (cf. 1 Ped 2, 17; Act 1, 15.16; 6, 3; 15, 23): judeus e gregos, escravos e homens livres (cf. 1 Cor 12, 13; Gal 3, 28), cuja diversidade de origem e estado social não diminui a dignidade de cada um, nem exclui ninguém do povo de Deus. Por isso, a comunidade cristã é o lugar da comunhão vivida no amor entre os irmãos (cf. Rom 12, 10; 1 Tes 4, 9; Heb 13, 1; 1 Ped 1, 22; 2 Ped 1, 7).
Tudo isto prova como a Boa Nova de Jesus Cristo – por meio de Quem Deus «renova todas as coisas» (Ap 21, 5)3 – é capaz de redimir também as relações entre os homens, incluindo a relação entre um escravo e o seu senhor, pondo em evidência aquilo que ambos têm em comum: a filiação adoptiva e o vínculo de fraternidade em Cristo. O próprio Jesus disse aos seus discípulos: «Já não vos chamo servos, visto que um servo não está ao corrente do que faz o seu senhor; mas a vós chamei-vos amigos, porque vos dei a conhecer tudo o que ouvi ao meu Pai» (Jo 15, 15).
As múltiplas faces da escravatura, ontem e hoje
3. Desde tempos imemoriais, as diferentes sociedades humanas conhecem o fenómeno da sujeição do homem pelo homem. Houve períodos na história da humanidade em que a instituição da escravatura era geralmente admitida e regulamentada pelo direito. Este estabelecia quem nascia livre e quem, pelo contrário, nascia escravo, bem como as condições em que a pessoa, nascida livre, podia perder a sua liberdade ou recuperá-la. Por outras palavras, o próprio direito admitia que algumas pessoas podiam ou deviam ser consideradas propriedade de outra pessoa, a qual podia dispor livremente delas; o escravo podia ser vendido e comprado, cedido e adquirido como se fosse uma mercadoria qualquer.
Hoje, na sequência duma evolução positiva da consciência da humanidade, a escravatura – delito de lesa humanidade4 – foi formalmente abolida no mundo. O direito de cada pessoa não ser mantida em estado de escravidão ou servidão foi reconhecido, no direito internacional, como norma inderrogável.
Mas, apesar de a comunidade internacional ter adoptado numerosos acordos para pôr termo à escravatura em todas as suas formas e ter lançado diversas estratégias para combater este fenómeno, ainda hoje milhões de pessoas – crianças, homens e mulheres de todas as idades – são privadas da liberdade e constrangidas a viver em condições semelhantes às da escravatura.
Penso em tantos trabalhadores e trabalhadoras, mesmo menores, escravizados nos mais diversos sectores, a nível formal e informal, desde o trabalho doméstico ao trabalho agrícola, da indústria manufactureira à mineração, tanto nos países onde a legislação do trabalho não está conforme às normas e padrões mínimos internacionais, como – ainda que ilegalmente – naqueles cuja legislação protege o trabalhador.
Penso também nas condições de vida de muitos migrantes que, ao longo do seu trajecto dramático, padecem a fome, são privados da liberdade, despojados dos seus bens ou abusados física e sexualmente. Penso em tantos deles que, chegados ao destino depois duma viagem duríssima e dominada pelo medo e a insegurança, ficam detidos em condições às vezes desumanas. Penso em tantos deles que diversas circunstâncias sociais, políticas e económicas impelem a passar à clandestinidade, e naqueles que, para permanecer na legalidade, aceitam viver e trabalhar em condições indignas, especialmente quando as legislações nacionais criam ou permitem uma dependência estrutural do trabalhador migrante em relação ao dador de trabalho como, por exemplo, condicionando a legalidade da estadia ao contrato de trabalho... Sim! Penso no «trabalho escravo».
Penso nas pessoas obrigadas a prostituírem-se, entre as quais se contam muitos menores, e nas escravas e escravos sexuais; nas mulheres forçadas a casar-se, quer as que são vendidas para casamento quer as que são deixadas em sucessão a um familiar por morte do marido, sem que tenham o direito de dar ou não o próprio consentimento.
Não posso deixar de pensar a quantos, menores e adultos, são objecto de tráfico e comercialização para remoção de órgãos, para ser recrutados como soldados, para servir de pedintes, para actividades ilegais como a produção ou venda de drogas, ou para formas disfarçadas de adopção internacional.
Penso, enfim, em todos aqueles que são raptados e mantidos em cativeiro por grupos terroristas, servindo os seus objectivos como combatentes ou, especialmente no que diz respeito às meninas e mulheres, como escravas sexuais. Muitos deles desaparecem, alguns são vendidos várias vezes, torturados, mutilados ou mortos.
Algumas causas profundas da escravatura
4. Hoje como ontem, na raiz da escravatura, está uma concepção da pessoa humana que admite a possibilidade de a tratar como um objecto. Quando o pecado corrompe o coração do homem e o afasta do seu Criador e dos seus semelhantes, estes deixam de ser sentidos como seres de igual dignidade, como irmãos e irmãs em humanidade, passando a ser vistos como objectos. Com a força, o engano, a coacção física ou psicológica, a pessoa humana – criada à imagem e semelhança de Deus – é privada da liberdade, mercantilizada, reduzida a propriedade de alguém; é tratada como meio, e não como fim.
Juntamente com esta causa ontológica – a rejeição da humanidade no outro –, há outras causas que concorrem para se explicar as formas actuais de escravatura. Entre elas, penso em primeiro lugar na pobreza, no subdesenvolvimento e na exclusão, especialmente quando os três se aliam com a falta de acesso à educação ou com uma realidade caracterizada por escassas, se não mesmo inexistentes, oportunidades de emprego. Não raro, as vítimas de tráfico e servidão são pessoas que procuravam uma forma de sair da condição de pobreza extrema e, dando crédito a falsas promessas de trabalho, caíram nas mãos das redes criminosas que gerem o tráfico de seres humanos. Estas redes utilizam habilmente as tecnologias informáticas modernas para atrair jovens e adolescentes de todos os cantos do mundo.
Entre as causas da escravatura, deve ser incluída também a corrupção daqueles que, para enriquecer, estão dispostos a tudo. Na realidade, a servidão e o tráfico das pessoas humanas requerem uma cumplicidade que muitas vezes passa através da corrupção dos intermediários, de alguns membros das forças da polícia, de outros actores do Estado ou de variadas instituições, civis e militares. «Isto acontece quando, no centro de um sistema económico, está o deus dinheiro, e não o homem, a pessoa humana. Sim, no centro de cada sistema social ou económico, deve estar a pessoa, imagem de Deus, criada para que fosse o dominador do universo. Quando a pessoa é deslocada e chega o deus dinheiro, dá-se esta inversão de valores».5
Outras causas da escravidão são os conflitos armados, as violências, a criminalidade e o terrorismo. Há inúmeras pessoas raptadas para ser vendidas, recrutadas como combatentes ou exploradas sexualmente, enquanto outras se vêem obrigadas a emigrar, deixando tudo o que possuem: terra, casa, propriedades e mesmo os familiares. Estas últimas, impelidas a procurar uma alternativa a tão terríveis condições, mesmo à custa da própria dignidade e sobrevivência, arriscam-se assim a entrar naquele círculo vicioso que as torna presa da miséria, da corrupção e das suas consequências perniciosas.
Um compromisso comum para vencer a escravatura
5. Quando se observa o fenómeno do comércio de pessoas, do tráfico ilegal de migrantes e de outras faces conhecidas e desconhecidas da escravidão, fica-se frequentemente com a impressão de que o mesmo tem lugar no meio da indiferença geral.
Sem negar que isto seja, infelizmente, verdade em grande parte, apraz-me mencionar o enorme trabalho que muitas congregações religiosas, especialmente femininas, realizam silenciosamente, há tantos anos, a favor das vítimas. Tais institutos actuam em contextos difíceis, por vezes dominados pela violência, procurando quebrar as cadeias invisíveis que mantêm as vítimas presas aos seus traficantes e exploradores; cadeias, cujos elos são feitos não só de subtis mecanismos psicológicos que tornam as vítimas dependentes dos seus algozes, através de chantagem e ameaça a eles e aos seus entes queridos, mas também através de meios materiais, como a apreensão dos documentos de identidade e a violência física. A actividade das congregações religiosas está articulada a três níveis principais: o socorro às vítimas, a sua reabilitação sob o perfil psicológico e formativo e a sua reintegração na sociedade de destino ou de origem.
Este trabalho imenso, que requer coragem, paciência e perseverança, merece o aplauso da Igreja inteira e da sociedade. Naturalmente o aplauso, por si só, não basta para se pôr termo ao flagelo da exploração da pessoa humana. Faz falta também um tríplice empenho a nível institucional: prevenção, protecção das vítimas e acção judicial contra os responsáveis. Além disso, assim como as organizações criminosas usam redes globais para alcançar os seus objectivos, assim também a acção para vencer este fenómeno requer um esforço comum e igualmente global por parte dos diferentes actores que compõem a sociedade.
Os Estados deveriam vigiar por que as respectivas legislações nacionais sobre as migrações, o trabalho, as adopções, a transferência das empresas e a comercialização de produtos feitos por meio da exploração do trabalho sejam efectivamente respeitadoras da dignidade da pessoa. São necessárias leis justas, centradas na pessoa humana, que defendam os seus direitos fundamentais e, se violados, os recuperem reabilitando quem é vítima e assegurando a sua incolumidade, como são necessários também mecanismos eficazes de controle da correcta aplicação de tais normas, que não deixem espaço à corrupção e à impunidade. É preciso ainda que seja reconhecido o papel da mulher na sociedade, intervindo também no plano cultural e da comunicação para se obter os resultados esperados.
As organizações intergovernamentais são chamadas, no respeito pelo princípio da subsidiariedade, a implementar iniciativas coordenadas para combater as redes transnacionais do crime organizado que gerem o mercado de pessoas humanas e o tráfico ilegal dos migrantes. Torna-se necessária uma cooperação a vários níveis, que englobe as instituições nacionais e internacionais, bem como as organizações da sociedade civil e do mundo empresarial.
Com efeito, as empresas6 têm o dever não só de garantir aos seus empregados condições de trabalho dignas e salários adequados, mas também de vigiar por que não tenham lugar, nas cadeias de distribuição, formas de servidão ou tráfico de pessoas humanas. A par da responsabilidade social da empresa, aparece depois a responsabilidade social do consumidor. Na realidade, cada pessoa deveria ter consciência de que «comprar é sempre um acto moral, para além de económico».7
As organizações da sociedade civil, por sua vez, têm o dever de sensibilizar e estimular as consciências sobre os passos necessários para combater e erradicar a cultura da servidão.
Nos últimos anos, a Santa Sé, acolhendo o grito de sofrimento das vítimas do tráfico e a voz das congregações religiosas que as acompanham rumo à libertação, multiplicou os apelos à comunidade internacional pedindo que os diversos actores unam os seus esforços e cooperem para acabar com este flagelo.8 Além disso, foram organizados alguns encontros com a finalidade de dar visibilidade ao fenómeno do tráfico de pessoas e facilitar a colaboração entre os diferentes actores, incluindo peritos do mundo académico e das organizações internacionais, forças da polícia dos diferentes países de origem, trânsito e destino dos migrantes, e representantes dos grupos eclesiais comprometidos em favor das vítimas. Espero que este empenho continue e se reforce nos próximos anos.
Globalizar a fraternidade, não a escravidão nem a indiferença
6. Na sua actividade de «proclamação da verdade do amor de Cristo na sociedade»,9 a Igreja não cessa de se empenhar em acções de carácter caritativo guiada pela verdade sobre o homem. Ela tem o dever de mostrar a todos o caminho da conversão, que induz a voltar os olhos para o próximo, a ver no outro – seja ele quem for – um irmão e uma irmã em humanidade, a reconhecer a sua dignidade intrínseca na verdade e na liberdade, como nos ensina a história de Josefina Bakhita, a Santa originária da região do Darfur, no Sudão. Raptada por traficantes de escravos e vendida a patrões desalmados desde a idade de nove anos, haveria de tornar-se, depois de dolorosas vicissitudes, «uma livre filha de Deus» mediante a fé vivida na consagração religiosa e no serviço aos outros, especialmente aos pequenos e fracos. Esta Santa, que viveu a cavalo entre os séculos XIX e XX, é também hoje testemunha exemplar de esperança10 para as numerosas vítimas da escravatura e pode apoiar os esforços de quantos se dedicam à luta contra esta «ferida no corpo da humanidade contemporânea, uma chaga na carne de Cristo».11
Nesta perspectiva, desejo convidar cada um, segundo a respectiva missão e responsabilidades particulares, a realizar gestos de fraternidade a bem de quantos são mantidos em estado de servidão. Perguntemo-nos, enquanto comunidade e indivíduo, como nos sentimos interpelados quando, na vida quotidiana, nos encontramos ou lidamos com pessoas que poderiam ser vítimas do tráfico de seres humanos ou, quando temos de comprar, se escolhemos produtos que poderiam razoavelmente resultar da exploração de outras pessoas. Há alguns de nós que, por indiferença, porque distraídos com as preocupações diárias, ou por razões económicas, fecham os olhos. Outros, pelo contrário, optam por fazer algo de positivo, comprometendo-se nas associações da sociedade civil ou praticando no dia-a-dia pequenos gestos como dirigir uma palavra, trocar um cumprimento, dizer «bom dia» ou oferecer um sorriso; estes gestos, que têm imenso valor e não nos custam nada, podem dar esperança, abrir estradas, mudar a vida a uma pessoa que tacteia na invisibilidade e mudar também a nossa vida face a esta realidade.
Temos de reconhecer que estamos perante um fenómeno mundial que excede as competências de uma única comunidade ou nação. Para vencê-lo, é preciso uma mobilização de dimensões comparáveis às do próprio fenómeno. Por esta razão, lanço um veemente apelo a todos os homens e mulheres de boa vontade e a quantos, mesmo nos mais altos níveis das instituições, são testemunhas, de perto ou de longe, do flagelo da escravidão contemporânea, para que não se tornem cúmplices deste mal, não afastem o olhar à vista dos sofrimentos de seus irmãos e irmãs em humanidade, privados de liberdade e dignidade, mas tenham a coragem de tocar a carne sofredora de Cristo,12 o Qual Se torna visível através dos rostos inumeráveis daqueles a quem Ele mesmo chama os «meus irmãos mais pequeninos» (Mt 25, 40.45).
Sabemos que Deus perguntará a cada um de nós: Que fizeste do teu irmão? (cf. Gen 4, 9-10). A globalização da indiferença, que hoje pesa sobre a vida de tantas irmãs e de tantos irmãos, requer de todos nós que nos façamos artífices duma globalização da solidariedade e da fraternidade que possa devolver-lhes a esperança e levá-los a retomar, com coragem, o caminho através dos problemas do nosso tempo e as novas perspectivas que este traz consigo e que Deus coloca nas nossas mãos.
Vaticano, 8 de Dezembro de 2014.
FRANCISCUS
_________________
1
N. 1. 2
Mensagem para o Dia Mundial da Paz 2014, 2. 3
Cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 11. 4
Cf. Discurso à Delegação internacional da Associação de Direito Penal (23 de Outubro de 2014): L’Osservatore Romano (ed. portuguesa de 30/X/2014), 9. 5
Discurso aos participantes no Encontro mundial dos Movimentos Populares (28 de Outubro de 2014): L’Osservatore Romano (ed. portuguesa de 06/XI/2014), 9. 6
Cf. PONTIFÍCIO CONSELHO «JUSTIÇA E PAZ», La vocazione del leader d’impresa. Una riflessione (Milão e Roma, 2013). 7
BENTO XVI, Carta enc. Caritas in veritate, 66. 8
Cf. Mensagem ao Senhor Guy Rydes, Director-Geral da Organização Internacional do Trabalho, por ocasião da 103ª sessão da Conferência da O.I.T. (22 de Maio de 2014): L’Osservatore Romano (ed. portuguesa de 05/VI/2014), 7. 9
BENTO XVI, Carta enc. Caritas in veritate, 5. 10
«Mediante o conhecimento desta esperança, ela estava "redimida", já não se sentia escrava, mas uma livre filha de Deus. Entendia aquilo que Paulo queria dizer quando lembrava aos Efésios que, antes, estavam sem esperança e sem Deus no mundo: sem esperança porque sem Deus» (BENTO XVI, Carta enc. Spe salvi, 3). 11
Discurso aos participantes na II Conferência Internacional «Combating Human Trafficking: Church and Law Enforcement in partnership» (10 de Abril de 2014): L’Osservatore Romano (ed. portuguesa de 17/IV/2014), 8; cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 270. 12
Cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 24; 270. [02027-06.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Już nie niewolnicy, lecz bracia
1. Na początku nowego roku, który uznajemy za łaskę i dar Boży dla ludzkości, pragnę skierować do każdego mężczyzny i kobiety, jak również do wszystkich ludów i narodów świata, do szefów państw i rządów, do zwierzchników różnych religii najlepsze życzenia pokoju, którym towarzyszy moja modlitwa, by ustały wojny, konflikty i liczne cierpienia powodowane zarówno przez człowieka, jak i przez stare i nowe epidemie oraz niszczące skutki katastrof naturalnych. Modlę się w sposób szczególny, abyśmy odpowiadając na nasze wspólne powołanie do współpracy z Bogiem i ze wszystkimi ludźmi dobrej woli na rzecz szerzenia zgody i pokoju na świecie, umieli oprzeć się pokusie postępowania w sposób niegodny naszego człowieczeństwa.
W orędziu na 1 stycznia 2014 r. stwierdziłem, że „do pragnienia życia pełnego (...) należy nieodparte dążenie do braterstwa, pobudzające do jedności z innymi, w których znajdujemy nie wrogów czy konkurentów, ale braci, których trzeba serdecznie przyjąć1". Ponieważ człowiek jest istotą relacyjną, mającą realizować się w kontekście relacji międzyludzkich, inspirowanych sprawiedliwością i miłością, to zasadnicze znaczenie dla jego rozwoju ma uznanie i respektowanie jego godności, wolności i autonomii. Niestety, coraz bardziej rozpowszechniona plaga wyzysku człowieka przez człowieka poważnie godzi w życie w jedności i powołanie do nawiązywania relacji międzyludzkich nacechowanych szacunkiem, sprawiedliwością i miłością. To odrażające zjawisko, prowadzące do pogwałcenia podstawowych praw drugiego oraz unicestwienia jego wolności i godności, przybiera różne formy, które pragnę pokrótce rozważyć w świetle Słowa Bożego, abyśmy mogli uznawać wszystkich ludzi „już nie za niewolników, lecz za braci".
Wsłuchując się w Boży plan wobec ludzkości
2. Wybrany przeze mnie temat obecnego orędzia nawiązuje do Listu św. Pawła do Filemona, w którym Apostoł prosi swojego współpracownika o przyjęcie Onezyma, byłego niewolnika tegoż Filemona, który stał się obecnie chrześcijaninem, a więc, według Pawła, godnym tego, by go uznać za brata. Apostoł Narodów pisze w następujący sposób: „Może bowiem po to oddalił się od ciebie na krótki czas, abyś go odebrał na zawsze, już nie jako niewolnika, lecz więcej niż niewolnika, jako brata umiłowanego" (Flm 15-16). Onezym stał się bratem Filemona, stając się chrześcijaninem. W ten sposób nawrócenie do Chrystusa, będące początkiem życia w charakterze uczniów Chrystusa, stanowi nowe narodziny (por. 2 Kor 5, 17; 1 P 1, 3), odradzające braterstwo jako podstawową więź życia rodzinnego i fundament życia społecznego.
W Księdze Rodzaju (por. 1, 27-28) czytamy, że Bóg stworzył człowieka jako mężczyznę i niewiastę, pobłogosławił ich, aby rozwijali się i rozmnażali: uczynił On Adama i Ewę rodzicami, którzy spełniając Boże błogosławieństwo do bycia płodnymi i rozmnażania się, zrodzili pierwsze braterstwo – braterstwo Kaina i Abla. Kain i Abel byli braćmi, ponieważ pochodzili z tego samego łona, a zatem mieli takie samo pochodzenie, taką samą naturę i godność jak ich rodzice, stworzeni na obraz i podobieństwo Boga.
Jednakże braterstwo wyraża także różnorodność i różnicę istniejącą między braćmi, choć są oni związani przez narodzenie i mają tę samą naturę oraz tę samą godność. Tak więc wszyscy ludzie, jako bracia i siostry, są z natury w relacji z innymi, od których się różnią, ale z którymi łączy ich to samo pochodzenie, ta sama natura i godność. Na tej właśnie podstawie braterstwo stanowi sieć relacji o fundamentalnym znaczeniu dla budowania rodziny ludzkiej, stworzonej przez Boga.
Niestety, pomiędzy pierwszym stworzeniem, o którym opowiada Księga Rodzaju, a nowymi narodzinami w Chrystusie, które czynią wierzących braćmi i siostrami Tego, który jest „pierworodnym między wielu braćmi" (Rz 8, 29), istnieje negatywna rzeczywistość grzechu, który niejednokrotnie zrywa braterstwo wynikające ze stworzenia i stale oszpeca piękno i szlachetność bycia braćmi i siostrami w tej samej rodzinie ludzkiej. Kain nie tylko nie może znieść swego brata Abla, ale zabija go z zazdrości, popełniając pierwsze bratobójstwo. „Zabicie Abla przez Kaina w tragiczny sposób świadczy o radykalnym odrzuceniu powołania do bycia braćmi. Ich historia (por. Rdz 4, 1-16) ukazuje trudne zadanie, do którego realizacji powołani są wszyscy ludzie: by żyć razem, wzajemnie o siebie się troszcząc"2.
Także w historii rodziny Noego i jego synów (por. Rdz 9, 18-27) jest niegodziwość Chama wobec swego ojca, która pobudza Noego do przeklęcia nieokazującego szacunku syna, a pobłogosławienia innych, tych, którzy go szanowali, co spowodowało nierówność między braćmi zrodzonymi z tego samego łona.
W opowiadaniu o początkach rodziny ludzkiej grzech oddalenia się od Boga, od postaci ojca i brata, staje się wyrazem odrzucenia komunii i przekłada się na kulturę zniewolenia (por. Rdz 1, 25-27), z konsekwencjami, jakie to za sobą pociąga, które trwają z pokolenia na pokolenie: odrzucanie drugiego, maltretowanie osób, pogwałcenie godności i podstawowych praw, instytucjonalizacja nierówności. Wynika stąd konieczność nieustannego nawracania do Przymierza, wypełnionego przez ofiarę Chrystusa na krzyżu, w ufności, że „gdzie (…) wzmógł się grzech, tam jeszcze obficiej rozlała się łaska (...) przez Jezusa Chrystusa" (Rz 5, 20. 21). On, Syn umiłowany (Mt 3, 17), przyszedł, aby objawić miłość Ojca do ludzkości. Kto słucha Ewangelii i odpowiada na wezwanie do nawrócenia, staje się dla Jezusa „bratem, siostrą i matką" (Mt 12, 50), a zatem przybranym synem Jego Ojca (por. Ef 1, 5).
Nie stajemy się jednak chrześcijanami, dziećmi Ojca i braćmi w Chrystusie, na mocy autorytatywnego zrządzenia Boga, bez zaangażowania wolności osobistej, to znaczy bez dobrowolnego nawrócenia do Chrystusa. Bycie dzieckiem Bożym wynika z imperatywu nawrócenia: „Nawróćcie się (...) i niech każdy z was przyjmie chrzest w imię Jezusa Chrystusa na odpuszczenie grzechów waszych, a otrzymacie w darze Ducha Świętego" (Dz 2, 38). Ci wszyscy, którzy wiarą i życiem odpowiedzieli na to przepowiadanie Piotra, weszli w braterstwo pierwszej wspólnoty chrześcijańskiej (por. 1 P 2, 17; Dz 1, 15. 16; 6, 3; 15, 23): Żydzi i Grecy, niewolnicy i wolni (por. 1 Kor 12, 13; Ga 3, 28), których różnice pochodzenia i statusu społecznego nie umniejszają godności każdego, ani też nie wykluczają nikogo z przynależności do ludu Bożego. Wspólnota chrześcijańska jest zatem miejscem komunii, przeżywanej w miłości braterskiej (por. Rz 12, 10; 1 Tes 4, 9; Hbr 13, 1; 1 P 1, 22; 2 P 1, 7).
Wszystko to ukazuje, że Dobra Nowina Jezusa Chrystusa, przez którego Bóg „czyni wszystko nowe" (Ap 21, 5)3, jest w stanie także wyzwolić relacje między ludźmi, w tym również między niewolnikiem a jego panem, uwydatniając to, co obydwaj mają wspólnego: przybrane synostwo i więź braterstwa w Chrystusie. Sam Jezus powiedział do swoich uczniów: „Już was nie nazywam sługami, bo sługa nie wie, co czyni jego pan, ale nazwałem was przyjaciółmi, albowiem oznajmiłem wam wszystko, co usłyszałem od Ojca mego" (J 15, 15).
Różne oblicza niewolnictwa wczoraj i dziś
3. Od niepamiętnych czasów różne społeczeństwa ludzkie znają zjawisko zniewolenia człowieka przez człowieka. Były okresy w historii ludzkości, w których instytucja niewolnictwa była powszechnie akceptowana i uregulowana przez prawo. Ustanawiało ono, kto rodził się wolnym, a kto niewolnikiem, a także – w jakich warunkach osoba, która urodziła się wolna, mogła utracić swą wolność albo ją odzyskać. Innymi słowy, samo prawo dopuszczało, że niektóre osoby mogły lub powinny być uznawane za własność innej osoby, która mogła nimi swobodnie rozporządzać; niewolnik mógł być sprzedawany i kupowany, odstępowany i nabywany, jakby był towarem.
Dzisiaj, w wyniku pozytywnego rozwoju świadomości ludzkości, niewolnictwo – zbrodnia obrazy człowieczeństwa4 – zostało formalnie zniesione na świecie. Prawo każdej osoby do tego, aby nie była trzymana w warunkach niewoli lub w poddaństwie zostało uznane w prawie międzynarodowym za normę nieodwołalną.
Jednak, pomimo że wspólnota międzynarodowa przyjęła liczne porozumienia w celu położenia kresu niewolnictwu we wszystkich jego formach i zainicjowała różne strategie, by zwalczyć to zjawisko, dziś nadal miliony osób – dzieci, mężczyzn i kobiet w każdym wieku – są pozbawiane wolności i zmuszane do życia w warunkach zbliżonych do niewolnictwa.
Myślę o wielu pracownikach i pracownicach, także nieletnich, zniewalanych w różnych dziedzinach, formalnie i nieformalnie, od pracy domowej po rolnictwo, od przemysłu manufakturowego po górnictwo, zarówno w krajach, w których prawo pracy nie jest zgodne z minimalnymi normami i standardami międzynarodowymi, jak również, aczkolwiek wbrew prawu, w tych, w których ustawodawstwo chroni pracowników.
Myślę też o warunkach życia wielu migrantów, którzy podczas swej dramatycznej podróży cierpią głód, są pozbawiani wolności, ograbiani ze swych dóbr czy też wykorzystywani fizycznie i seksualnie. Myślę o tych spośród nich, którzy przybywszy do celu po niezwykle uciążliwej i zdominowanej strachem i poczuciem zagrożenia podróży, są przetrzymywani w warunkach niekiedy nieludzkich. Myślę o tych spośród nich, których różne okoliczności społeczne, polityczne i ekonomiczne zmuszają do życia w sytuacji nielegalności, oraz o tych, którzy, aby być w zgodzie z prawem, godzą się na życie i pracę w warunkach niegodnych, zwłaszcza kiedy ustawodawstwo krajowe stwarza lub zezwala na strukturalną zależność pracownika- migranta od pracodawcy, na przykład uzależniając legalność pobytu od umowy o pracę... Tak, mam na myśli „pracę niewolniczą".
Myślę o osobach zmuszanych do prostytucji, wśród których jest wiele nieletnich, oraz o niewolnicach i niewolnikach seksualnych; o kobietach zmuszanych do małżeństwa, o kobietach sprzedawanych w celach małżeńskich czy przekazywanych w sukcesji jednemu z krewnych po śmierci męża bez przyznania im prawa do wyrażenia swej zgody lub niezgody.
Nie mogę nie myśleć o osobach, nieletnich i dorosłych, które stają się przedmiotem handlu – są sprzedawane w celu eksplantacji organów, dla rekrutowania jako żołnierzy, w celach żebrania, dla działań nielegalnych, takich jak produkcja lub sprzedaż narkotyków, albo nielegalne formy adopcji międzynarodowej.
Myślę wreszcie o tych wszystkich, którzy są porywani i więzieni przez grupy terrorystyczne, wykorzystywani do ich celów, jako bojownicy lub, zwłaszcza w przypadku dziewcząt i kobiet, jako niewolnice seksualne. Wielu z nich znika, niektórzy są wielokrotnie sprzedawani, torturowani, okaleczani lub zabijani.
Niektóre istotne przyczyny niewoli
4. Dziś, podobnie jak w przeszłości, u podstaw niewolnictwa leży koncepcja osoby ludzkiej, która dopuszcza możliwość traktowania jej jak przedmiot. Kiedy grzech niszczy serce człowieka i oddala go od jego Stwórcy oraz podobnych mu ludzi, nie postrzega on ich jako istoty o równej godności, jako braci i siostry w człowieczeństwie, ale jako przedmioty. Osoba ludzka, stworzona na obraz i podobieństwo Boga, siłą, podstępem czy przymusem fizycznym lub psychicznym pozbawiana jest wolności, staje się towarem, czyjąś własnością; jest traktowana jako środek, a nie cel.
Obok tej przyczyny ontologicznej – odmówienia drugiemu człowieczeństwa – inne przyczyny pomagają wyjaśnić współczesne formy niewolnictwa. Wśród nich, myślę przede wszystkim o ubóstwie, niedorozwoju i wykluczeniu, szczególnie gdy łączą się one z brakiem dostępu do oświaty lub z rzeczywistością nacechowaną niewielkimi, jeśli w ogóle istniejącymi, możliwościami pracy. Nierzadko ofiarami handlu ludźmi i niewolnictwa są osoby, które szukały sposobu wyjścia z sytuacji skrajnego ubóstwa, często wierząc fałszywym obietnicom zatrudnienia, a zamiast tego wpadły w sieci organizacji przestępczych, zajmujących się handlem ludźmi. Sieci te umiejętnie korzystają z nowoczesnych technologii informatycznych, aby wabić dzieci i młodych ludzi w każdym zakątku świata.
Do przyczyn niewolnictwa trzeba zaliczyć także korupcję ludzi gotowych na wszystko, żeby się wzbogacić. Istotnie, do wyzyskiwania ludzi i handlu nimi potrzebny jest udział innych, który często uzyskuje się korumpując pośredników, pracowników sił porządkowych czy innych funkcjonariuszy państwowych lub różnych instytucji cywilnych i wojskowych. „Dzieje się tak wtedy, kiedy w centrum systemu gospodarczego jest bóg pieniądz, a nie człowiek, osoba ludzka. Tak, w centrum każdego systemu społecznego i gospodarczego musi być osoba, obraz Boga, stworzona, aby była mianownikiem wszechświata. Gdy osoba zostaje przesunięta i pojawia się bóg pieniędz, dochodzi do tego przemieszania wartości"5.
Innymi przyczynami niewolnictwa są konflikty zbrojne, przemoc, przestępczość i terroryzm. Wiele osób zostaje porwanych w celu sprzedaży lub zwerbowania jako bojowników czy też wykorzystywania seksualnego. Inne natomiast są zmuszone emigrować zostawiając wszystko, co mają: ziemię, dom, to, co posiadają, a nawet członków rodziny. Muszą one poszukiwać alternatywy dla tych strasznych warunków, nawet za cenę swej godności i przetrwania, ryzykując tym samym, że znajdą się w błędnym kręgu, który je wydaje na łup nędzy, korupcji i ich zgubnych konsekwencji.
Wspólne zaangażowanie na rzecz zwalczania niewolnictwa
5. Obserwując zjawisko handlu ludźmi, nielegalnego przemytu migrantów oraz innych znanych i nieznanych form niewolnictwa, często odnosimy wrażenie, że jego występowaniu towarzyszy powszechna obojętność.
Choć jest to, niestety, w znacznej mierze prawda, chciałbym przypomnieć ogromną cichą pracę, którą od tylu lat prowadzi na rzecz ofiar wiele zgromadzeń zakonnych, zwłaszcza żeńskich. Instytuty te działają w trudnych środowiskach, niekiedy zdominowanych przez przemoc, próbując zerwać niewidzialne łańcuchy wiążące ofiary z handlarzami i wyzyskiwaczami; łańcuchy, których ogniwa stanowią zarówno subtelne mechanizmy psychologiczne, które uzależniają ofiary od ich oprawców, poprzez szantaż i grożenie im samym i ich bliskim, ale również przez środki materialne, takie jak zabieranie dokumentów tożsamości i przemoc fizyczna. Działanie zgromadzeń zakonnych wyraża się głównie w trzech dziełach: pomocy dla ofiar, ich rehabilitacji pod względem psychologicznym i wychowawczym oraz ich reintegracji w społeczeństwie, w którym się znalazły lub w ojczyźnie.
Ta ogromna praca, która wymaga odwagi, cierpliwości i wytrwałości zasługuje na uznanie ze strony całego Kościoła i społeczeństwa. Ale sama nie może oczywiście wystarczyć, aby położyć kres pladze wykorzystywania osoby ludzkiej. Potrzebne jest również trojakie zaangażowanie na poziomie instytucji, mające na celu zapobieganie, ochronę ofiar i postępowanie sądowe w stosunku do osób odpowiedzialnych. Ponadto, tak jak organizacje przestępcze używają sieci globalnych, aby osiągnąć swoje cele, tak też działania zmierzające do zwalczania tego zjawiska wymagają wspólnego i równie globalnego wysiłku ze strony różnych części składowych społeczeństwa.
Państwa powinny czuwać, aby ich ustawodawstwo krajowe w zakresie imigracji, pracy, adopcji, przenoszenia firm i komercjalizacji towarów wyprodukowanych metodą wyzysku pracowników rzeczywiście szanowały godność osoby. Konieczne są sprawiedliwe ustawy, których centrum stanowi osoba ludzka, broniące jej podstawowych praw i przywracające je, jeśli zostały naruszone, rehabilitujące tych, którzy są ofiarami, i zapewniające im nietykalność, a także skuteczne mechanizmy kontroli poprawnego stosowania tych norm, uniemożliwiającego korupcję i bezkarność. Konieczne jest również uznanie roli kobiety w społeczeństwie, poprzez działania także na płaszczyźnie kulturowej oraz komunikacji społecznej, by uzyskać pożądane rezultaty.
Organizacje międzyrządowe, zgodnie z zasadą pomocniczości, są zobowiązane do podejmowania skoordynowanych inicjatyw w celu zwalczania międzynarodowych sieci zorganizowanej przestępczości, które zajmują się handlem ludźmi i nielegalnym przemytem migrantów. Konieczna staje się współpraca na różnych poziomach, obejmująca instytucje krajowe i międzynarodowe, a także organizacje społeczne i świat biznesu.
Przedsiębiorstwa6, mają bowiem obowiązek zapewniać swoim pracownikom godne warunki pracy i godziwe wynagrodzenie, ale również czuwać nad tym, by formy niewolnictwa i handlu ludźmi nie występowały w łańcuchach dystrybucji. Z odpowiedzialnością społeczną przedsiębiorstwa łączy się z kolei odpowiedzialność społeczna konsumenta. Każdy człowiek powinien być bowiem świadomy, że „kupno jest zawsze aktem moralnym, nie tylko ekonomicznym"7.
Ze swej strony organizacje społeczeństwa obywatelskiego mają za zadanie pobudzać sumienia i uwrażliwiać je na podejmowanie koniecznych kroków, by zwalczać i wykorzeniać kulturę pracy niewolniczej.
W ostatnich latach Stolica Apostolska, poruszona przez krzyk bólu ofiar handlu ludźmi i głos zgromadzeń zakonnych, które towarzyszą im w drodze do wyzwolenia, mnożyła apele do wspólnoty międzynarodowej, aby różne strony połączyły wysiłki i współpracowały na rzecz położenia kresu tej pladze8. Ponadto zorganizowano różne spotkania, mające na celu nagłośnienie zjawiska handlu ludźmi oraz ułatwienie współpracy między różnymi stronami, w tym ekspertami akademickimi oraz organizacjami międzynarodowymi, organami ścigania z różnych krajów pochodzenia, tranzytu i przeznaczenia migrantów, a także przedstawicielami grup kościelnych działających na rzecz ofiar. Chciałbym, aby ta działalność była kontynuowana i umacniała się w najbliższych latach.
Trzeba globalizować braterstwo, a nie niewolnictwo czy obojętność
6. W swoim dziele „głoszenia prawdy miłości Chrystusa w rzeczywistości społecznej"9 Kościół angażuje się stale w działalność charytatywną, opierając się na prawdzie o człowieku. Jego zadaniem jest ukazywanie wszystkim drogi do nawrócenia, które skłania do zmiany spojrzenia na bliźniego, do uznania w drugim człowieku, niezależnie od tego, kim jest, brata i siostry w człowieczeństwie, do uznania jego przyrodzonej godności w prawdzie i wolności, co pokazuje historia Józefiny Bakhity, świętej z regionu Darfuru w Sudanie, porwanej przez handlarzy niewolników i sprzedanej okrutnym właścicielom w wieku dziewięciu lat. Stała się ona następnie, poprzez bolesne wydarzenia, „wolnym dzieckiem Bożym" dzięki wierze przeżywanej w konsekracji zakonnej i w posługiwaniu innym, zwłaszcza maluczkim i słabym. Ta święta, która żyła na przełomie XIX i XX w., jest także dziś przykładnym świadkiem nadziei10 dla wielu ofiar niewolnictwa i może wspierać wysiłki tych wszystkich, którzy poświęcają się zwalczaniu tej „rany na ciele współczesnej ludzkości, rany na ciele Chrystusa"11.
W tej perspektywie pragnę zachęcić każdego, aby w ramach swojej roli i szczególnych obowiązków, wykonywał gesty braterstwa wobec tych, którzy są przetrzymywani w stanie zniewolenia. Zadajmy sobie pytanie, czy my, jako wspólnoty lub jako osoby, czujemy się poruszeni, kiedy w życiu codziennym spotykamy się, czy mamy do czynienia z osobami, które mogłyby być ofiarami handlu ludźmi, lub gdy stajemy przed wyborem, czy kupić produkty, które – biorąc na zdrowy rozsądek – mogły być wytworzone metodą wyzysku innych osób. Niektórzy z nas, powodowani obojętnością, czy też rozproszeni przez codzienne problemy lub z przyczyn ekonomicznych, przymykają na to oczy. Natomiast inni postanawiają zrobić coś pozytywnego, zaangażować się w działalność stowarzyszeń społeczeństwa obywatelskiego lub wykonywać drobne codzienne gesty – te gesty mają wielką wartość! – jak odezwanie się, przywitanie, powiedzenie „dzień dobry" czy uśmiech, które nic nas nie kosztują, a mogą dać nadzieję, otworzyć drogi, zmienić życie osoby, której życie jest niewidzialne, a także zmienić nasze życie w zetknięciu z tą rzeczywistością.
Musimy przyznać, że mamy do czynienia ze zjawiskiem ogólnoświatowym, które przekracza zakres kompetencji jednej wspólnoty czy państwa. Aby je zwalczyć, potrzebna jest mobilizacja o zasięgu porównywalnym do tego zjawiska. Dlatego kieruję naglący apel do wszystkich mężczyzn i kobiet dobrej woli i do wszystkich, którzy – z bliska bądź z daleka – także na najwyższych szczeblach instytucji, są świadkami plagi współczesnego niewolnictwa, by nie stawali się współwinni tego zła, by nie odwracali oczu od cierpienia swoich braci i sióstr w człowieczeństwie, pozbawionych wolności i godności, ale mieli odwagę dotknąć cierpiącego ciała Chrystusa12, który staje się widzialny przez niezliczone oblicza tych, o których On sam mówi „ci bracia moi najmniejsi" (Mt 25, 40. 45).
Wiemy, że Bóg zapyta każdego z nas: „Cóżeś uczynił z twoim bratem?" (por. Rdz 4, 10). Globalizacja obojętności, która dziś jest ciężarem w życiu tak wielu sióstr i braci, wzywa nas, byśmy stali się budowniczymi globalizacji solidarności i braterstwa, która będzie mogła przywrócić im nadzieję i sprawić, by z odwagą na nowo wyruszyli w drogę przez problemy naszych czasów i nowe perspektywy, jakie niesie ona z sobą, a Bóg składa w nasze ręce.
Watykan, 8 grudnia 2014 r.
FRANCISCUS
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1
Por. n. 1. 2
Orędzie na Światowy Dzień Pokoju 2014 r., 2. 3
Por. Adhort. apost. Evangelii gaudium, 11. 4
Por. Przemówienie do delegacji Międzynarodowego Stowarzyszenia Prawa Karnego, 23 października 2014 r., «L’Osservatore Romano», wyd. polskie, n. 11/2014, ss. 37-41. 5
Przemówienie do uczestników Światowego Spotkania Ruchów Ludowych, 28 października 2014 r.; «L’Osservatore Romano», wyd. polskie, n. 11/2014, s. 46. 6
Por. PAPIESKA RADA „IUSTITIA ET PAX", Powołanie lidera biznesu. Refleksja, Wydawnictwo Księży Sercanów – Dehon, Kraków 2012. 7
BENEDYKT XVI, Enc. Caritas in veritate, 66. 8
Por. Przesłanie do Guya Rydera, dyrektora generalnego Międzynarodowej Organizacji Pracy, z okazji 103. sesji Konferencji MOP, 22 maja 2014 r.: «L’Osservatore Romano», 29 maja 2014 r., s. 7. 9
BENEDYKT XVI, Enc. Caritas in veritate, 5. 10
„Przez poznanie tej nadziei została «odkupiona», nie czuła się już niewolnicą, ale wolną córką Boga. Rozumiała to, co św. Paweł miał na myśli, gdy przypominał Efezjanom, że przedtem byli pozbawieni nadziei i Boga na ziemi – nie mieli nadziei, bo nie mieli Boga": BENEDYKT XVI, Enc. Spe salvi, 3. 11
Przemówienie do uczestników II Międzynarodowej Konferencji Combating Human Trafficking: Church and Law Enforcement in partnership, 10 kwietnia 2014 r.: «L’Osservatore Romano», wyd. polskie, n. 5/2014, s. 24.; por. Adhort. apost. Evangelii gaudium, 270. 12
Por. Adhort. apost. Evangelii gaudium, 24; 270. [02027-09.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua russa
ПОСЛАНИЕ ЕГО СВЯТЕЙШЕСТВА ФРАНЦИСКА К ПРАЗДНОВАНИЮ ВСЕМИРНОГО ДНЯ МИРА
1 ЯНВАРЯ 2015 ГОДА
Уже не рабы, но братья
1. В начале нового года, который мы принимаем как благодать и дар Божий человечеству, я хочу обратиться к каждому человеку, а также к каждому народу и стране мира, к главам государств и правительств и к лидерам различных религий с моими горячими пожеланиями мира, сопровождая их молитвами о том, дабы прекратились войны, конфликты и страдания, причиной которых является как сам человек, так и уже давно известные и вновь появляющиеся эпидемии и разрушительное воздействие стихийных бедствий. Я особо молюсь о том, дабы, отвечая на наше общее призвание сотрудничать с Богом и со всеми людьми доброй воли ради укрепления согласия и мира в мире, мы умели противостоять искушению вести себя недостойно нашей человечности.
В Послании на первое января прошлого года я отметил, что «желанию полноценной жизни … свойственна неистребимая жажда братства. Это чувство братства подталкивает к общению с другими, в которых мы находим не врагов или конкурентов, а братьев, которых следует принять и обнять».