Visita al Santuario dei martiri di Seo So-Mun a Seoul
Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha lasciato la Nunziatura Apostolica di Seoul e si è recato in auto al Santuario dei martiri di Seo So-Mun che sorge sul luogo del martirio dei 103 cattolici coreani canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1984. Al suo arrivo al Santuario, due giovani lo hanno aiutato a deporre una corona di fiori e lo hanno accompagnato in una preghiera silenziosa. Il Papa si è quindi trasferito alla Porta di Gwanghwamun di Seoul per la Santa Messa di Beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri.
[01281-01.01]
Santa Messa di Beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, presso la Porta di Gwanghwamun di Seoul
Omelia del Santo Padre
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua spagnola
Alle ore 10, presso la Porta di Gwanghwamun di Seoul, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa di Beatificazione di Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, appartenenti alla prima generazione di cattolici coreani, uccisi in odio alla fede tra il 1791 e il 1888, durante le persecuzioni contro i cristiani.
Alla presenza di oltre 800.000 fedeli, il Presidente della Commissione per la Beatificazione, S.E. Mons. Francis Xavier Ahn Myong-ok, Vescovo di Masan, ha chiesto al Papa di procedere alla beatificazione, ed il Postulatore ha presentato la biografia dei Servi di Dio. Quindi il Santo Padre ha letto la formula di Beatificazione e fissato la data della loro festa al 29 maggio.
Di seguito pubblichiamo il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
«Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35). Con queste parole san Paolo ci parla della gloria della nostra fede in Gesù: non soltanto Cristo è risorto dai morti ed è asceso al cielo, ma ci ha uniti a sé, rendendoci partecipi della sua vita eterna. Cristo è vittorioso e la sua vittoria è la nostra!
Oggi celebriamo questa vittoria in Paolo Yun Ji-chung e nei suoi 123 compagni. I loro nomi si aggiungono a quelli dei Santi Martiri Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni, ai quali poc’anzi ho reso omaggio. Tutti vissero e morirono per Cristo ed ora regnano con Lui nella gioia e nella gloria. Con san Paolo ci dicono che, nella morte e risurrezione del suo Figlio, Dio ci ha donato la vittoria più grande di tutte. Infatti, «né morte né vita, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Gesù Cristo, nostro Signore» (Rm 8,38-39).
La vittoria dei martiri, la loro testimonianza resa alla potenza dell’amore di Dio continua a portare frutti anche oggi in Corea, nella Chiesa che riceve incremento dal loro sacrificio. La celebrazione del beato Paolo e dei suoi compagni ci offre l’opportunità di ritornare ai primi momenti, agli albori della Chiesa in Corea. Invita voi, cattolici coreani, a ricordare le grandi cose che Dio ha compiuto in questa terra e a custodire come tesoro il lascito di fede e di carità a voi affidato dai vostri antenati.
Nella misteriosa provvidenza di Dio, la fede cristiana non giunse ai lidi della Corea attraverso missionari; vi entrò attraverso i cuori e le menti della gente coreana stessa. Essa fu stimolata dalla curiosità intellettuale, dalla ricerca della verità religiosa. Attraverso un iniziale incontro con il Vangelo, i primi cristiani coreani aprirono le loro menti a Gesù. Volevano conoscere di più su questo Cristo che ha sofferto, è morto ed è risorto dai morti. L’apprendere qualcosa su Gesù condusse presto ad un incontro con il Signore stesso, ai primi battesimi, al desiderio di una vita sacramentale ed ecclesiale piena, e agli inizi di un impegno missionario. Ha portato inoltre i suoi frutti in comunità che traevano ispirazione dalla Chiesa primitiva, nella quale i credenti erano veramente un cuore solo e un’anima sola, senza badare alle tradizionali differenze sociali, ed avevano ogni cosa in comune (cfr At 4,32).
Questa storia ci dice molto sull’importanza, la dignità e la bellezza della vocazione dei laici! Rivolgo il mio saluto ai tanti fedeli laici qui presenti, in particolare alle famiglie cristiane che ogni giorno mediante il loro esempio educano i giovani alla fede e all’amore riconciliatore di Cristo. In maniera speciale saluto i molti sacerdoti presenti; attraverso il loro generoso ministero trasmettono il ricco patrimonio di fede coltivato dalle passate generazioni di cattolici coreani.
Il Vangelo odierno contiene un importante messaggio per tutti noi. Gesù chiede al Padre di consacrarci nella verità e di custodirci dal mondo. Anzitutto, è significativo che, mentre Gesù chiede al Padre di consacrarci e di custodirci, non gli chiede di toglierci dal mondo. Sappiamo che invia i suoi discepoli perché siano lievito di santità e di verità nel mondo: il sale della terra, la luce del mondo. In questo, i martiri ci indicano la strada.
Qualche tempo dopo che i primi semi della fede furono piantati in questa terra, i martiri e la comunità cristiana dovettero scegliere tra seguire Gesù o il mondo. Avevano udito l’avvertimento del Signore, e cioè che il mondo li avrebbe odiati a causa sua (Gv 17,14); sapevano il prezzo dell’essere discepoli. Per molti ciò significò la persecuzione e, più tardi, la fuga sulle montagne, dove formarono villaggi cattolici. Erano disposti a grandi sacrifici e a lasciarsi spogliare di quanto li potesse allontanare da Cristo: i beni e la terra, il prestigio e l’onore, poiché sapevano che solo Cristo era il loro vero tesoro.
Oggi molto spesso sperimentiamo che la nostra fede viene messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo. E tuttavia i martiri ci richiamano a mettere Cristo al di sopra di tutto e a vedere tutto il resto in questo mondo in relazione a Lui e al suo Regno eterno. Essi ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire.
L’esempio dei martiri, inoltre, ci insegna l’importanza della carità nella vita di fede. Fu la purezza della loro testimonianza a Cristo, manifestata nell’accettazione dell’uguale dignità di tutti i battezzati, che li condusse ad una forma di vita fraterna che sfidava le rigide strutture sociali del loro tempo. Fu il loro rifiuto di dividere il duplice comandamento dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo che li portò ad una così grande sollecitudine per le necessità dei fratelli. Il loro esempio ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà; dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi.
Se seguiamo l’esempio dei martiri e crediamo nella parola del Signore, allora comprenderemo la sublime libertà e la gioia con la quale essi andarono incontro alla morte. Inoltre vedremo che la celebrazione odierna abbraccia gli innumerevoli martiri anonimi, in questo Paese e nel resto del mondo, i quali, specie nell’ultimo secolo, hanno offerto la propria vita per Cristo o hanno sofferto pesanti persecuzioni a causa del suo nome.
Oggi è un giorno di grande gioia per tutti i coreani. L’eredità del beato Paolo Yun Ji-chung e dei suoi Compagni – la loro rettitudine nella ricerca della verità, la loro fedeltà ai sommi principi della religione che hanno scelto di abbracciare, nonché la loro testimonianza di carità e di solidarietà verso tutti – tutto ciò fa parte della ricca storia del popolo coreano. L’eredità dei martiri può ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo così alla pace e alla difesa dei valori autenticamente umani in questo Paese e nel mondo intero.
Possano le preghiere di tutti i martiri coreani, in unione con quelle della Madonna, Madre della Chiesa, ottenerci la grazia di perseverare nella fede e in ogni opera buona, nella santità e nella purezza di cuore, e nello zelo apostolico di testimoniare Gesù in questa amata Nazione, in tutta l’Asia e sino ai confini della terra. Amen.
[01274-01.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua inglese
Who shall separate us from the love of Christ? (Rom 8:35). With these words, Saint Paul speaks of the glory of our faith in Jesus: not only has Christ risen from the dead and ascended to heaven, but he has united us to himself and he grants us a share in his eternal life. Christ is victorious and his victory is ours!
Today we celebrate this victory in Paul Yun Ji-chung and his 123 companions. Their names now stand alongside those of the holy martyrs Andrew Kim Taegon, Paul Chong Hasang and companions, to whom I just paid homage. All of them lived and died for Christ, and now they reign with him in joy and in glory. With Saint Paul, they tell us that, in the death and resurrection of his Son, God has granted us the greatest victory of all. For "neither death, nor life, nor angels, nor principalities, nor things present, nor things to come, nor powers, nor height, nor depth, nor anything else in all creation, will be able to separate us from the love of God in Christ Jesus our Lord" (Rom 8:38-39).
The victory of the martyrs, their witness to the power of God’s love, continues to bear fruit today in Korea, in the Church which received growth from their sacrifice. Our celebration of Blessed Paul and Companions provides us with the opportunity to return to the first moments, the infancy as it were, of the Church in Korea. It invites you, the Catholics of Korea, to remember the great things which God has wrought in this land and to treasure the legacy of faith and charity entrusted to you by your forebears.
In God’s mysterious providence, the Christian faith was not brought to the shores of Korea through missionaries; rather, it entered through the hearts and minds of the Korean people themselves. It was prompted by intellectual curiosity, the search for religious truth. Through an initial encounter with the Gospel, the first Korean Christians opened their minds to Jesus. They wanted to know more about this Christ who suffered, died, and rose from the dead. Learning about Jesus soon led to an encounter with the Lord, the first baptisms, the yearning for a full sacramental and ecclesial life, and the beginnings of missionary outreach. It also bore fruit in communities inspired by the early Church, in which the believers were truly one in mind and heart, regardless of traditional social differences, and held all things in common (cf. Acts 4:32).
This history tells us much about the importance, the dignity and the beauty of the vocation of the laity. I greet the many lay faithful present, and in particular the Christian families who daily by their example teach the faith and the reconciling love of Christ to our young. In a special way, too, I greet the many priests present; by their dedicated ministry they pass on the rich patrimony of faith cultivated by past generations of Korean Catholics.
Today’s Gospel contains an important message for all of us. Jesus asks the Father to consecrate us in truth, and to protect us from the world.
First of all, it is significant that, while Jesus asks the Father to consecrate and protect us, he does not ask him to take us out of the world. We know that he sends his disciples forth to be a leaven of holiness and truth in the world: the salt of the earth, the light of the world. In this, the martyrs show us the way.
Soon after the first seeds of faith were planted in this land, the martyrs and the Christian community had to choose between following Jesus or the world. They had heard the Lord’s warning that the world would hate them because of him (Jn 17:14); they knew the cost of discipleship. For many, this meant persecution, and later flight to the mountains, where they formed Catholic villages. They were willing to make great sacrifices and let themselves be stripped of whatever kept them from Christ – possessions and land, prestige and honor – for they knew that Christ alone was their true treasure.
So often we today can find our faith challenged by the world, and in countless ways we are asked to compromise our faith, to water down the radical demands of the Gospel and to conform to the spirit of this age. Yet the martyrs call out to us to put Christ first and to see all else in this world in relation to him and his eternal Kingdom. They challenge us to think about what, if anything, we ourselves would be willing to die for.
The example of the martyrs also teaches us the importance of charity in the life of faith. It was the purity of their witness to Christ, expressed in an acceptance of the equal dignity of all the baptized, which led them to a form of fraternal life that challenged the rigid social structures of their day. It was their refusal to separate the twin commandment of love of God and love of neighbor which impelled them to such great solicitude for the needs of the brethren. Their example has much to say to us who live in societies where, alongside immense wealth, dire poverty is silently growing; where the cry of the poor is seldom heeded; and where Christ continues to call out to us, asking us to love and serve him by tending to our brothers and sisters in need.
If we follow the lead of the martyrs and take the Lord at his word, then we will understand the sublime freedom and joy with which they went to their death. We will also see today’s celebration as embracing the countless anonymous martyrs, in this country and throughout the world, who, especially in the last century, gave their lives for Christ or suffered grave persecution for his name.
Today is a day of great rejoicing for all Koreans. The heritage of Blessed Paul Yun Ji-chung and his companions – their integrity in the search for truth, their fidelity to the highest principles of the religion which they chose to embrace, and their testimony of charity and solidarity with all – these are part of the rich history of the Korean people. The legacy of the martyrs can inspire all men and women of good will to work in harmony for a more just, free and reconciled society, thus contributing to peace and the protection of authentically human values in this country and in our world.
May the prayers of all the Korean martyrs, in union with those of Our Lady, Mother of the Church, obtain for us the grace of perseverance in faith and in every good work, holiness and purity of heart, and apostolic zeal in bearing witness to Jesus in this beloved country, throughout Asia, and to the ends of the earth. Amen.
[01274-02.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua spagnola
«¿Quién nos separará del amor de Cristo?» (Rm 8,35). Con estas palabras, san Pablo nos habla de la gloria de nuestra fe en Jesús: no sólo resucitó de entre los muertos y ascendió al cielo, sino que nos ha unido a él y nos ha hecho partícipes de su vida eterna. Cristo ha vencido y su victoria es la nuestra.
Hoy celebramos esta victoria en Pablo Yun Ji-chung y sus 123 compañeros. Sus nombres quedan unidos ahora a los de los santos mártires Andrés Kim Teagon, Pablo Chong Hasang y compañeros, a los que he venerado hace unos momentos. Vivieron y murieron por Cristo, y ahora reinan con él en la alegría y en la gloria. Con san Pablo, nos dicen que, en la muerte y resurrección de su Hijo, Dios nos ha concedido la victoria más grande de todas. En efecto, «ni muerte, ni vida, ni ángeles, ni principados, ni presente, ni futuro, ni potencias, ni altura, ni profundidad, ni ninguna otra criatura podrá separarnos del amor de Dios manifestado en Cristo Jesús, nuestro Señor» (Rm 8,38-39).
La victoria de los mártires, su testimonio del poder del amor de Dios, sigue dando frutos hoy en Corea, en la Iglesia que sigue creciendo gracias a su sacrificio. La celebración del beato Pablo y compañeros nos ofrece la oportunidad de volver a los primeros momentos, a la infancia –por decirlo así– de la Iglesia en Corea. Los invita a ustedes, católicos de Corea, a recordar las grandezas que Dios ha hecho en esta tierra, y a custodiar como un tesoro el legado de fe y caridad confiado a ustedes por sus antepasados.
En la misteriosa providencia de Dios, la fe cristiana no llegó a las costas de Corea a través de los misioneros; sino que entró por el corazón y la mente de los propios coreanos. En efecto, fue suscitada por la curiosidad intelectual, por la búsqueda de la verdad religiosa. Tras un encuentro inicial con el Evangelio, los primeros cristianos coreanos abrieron su mente a Jesús. Querían saber más acerca de este Cristo que sufrió, murió y resucitó de entre los muertos. El conocimiento de Jesús pronto dio lugar a un encuentro con el Señor mismo, a los primeros bautismos, al deseo de una vida sacramental y eclesial plena y al comienzo de un compromiso misionero. También dio como fruto comunidades que se inspiraban en la Iglesia primitiva, en la que los creyentes eran verdaderamente un solo corazón y una sola mente, sin dejarse llevar por las diferencias sociales tradicionales, y teniendo todo en común (cf. Hch 4,32).
Esta historia nos habla de la importancia, la dignidad y la belleza de la vocación de los laicos. Saludo a los numerosos fieles laicos aquí presentes, y en particular a las familias cristianas, que día a día, con su ejemplo, educan a los jóvenes en la fe y en el amor reconciliador de Cristo. También saludo de manera especial a los numerosos sacerdotes que hoy están con nosotros; con su generoso ministerio transmiten el rico patrimonio de fe cultivado por las pasadas generaciones de católicos coreanos.
El Evangelio de hoy contiene un mensaje importante para todos nosotros. Jesús pide al Padre que nos consagre en la verdad y nos proteja del mundo.
Es significativo, ante todo, que Jesús pida al Padre que nos consagre y proteja, pero no que nos aparte del mundo. Sabemos que él envía a sus discípulos para que sean fermento de santidad y verdad en el mundo: la sal de la tierra, la luz del mundo. En esto, los mártires nos muestran el camino.
Poco después de que las primeras semillas de la fe fueran plantadas en esta tierra, los mártires y la comunidad cristiana tuvieron que elegir entre seguir a Jesús o al mundo. Habían escuchado la advertencia del Señor de que el mundo los odiaría por su causa (cf. Jn 17,14); sabían el precio de ser discípulos. Para muchos, esto significó persecución y, más tarde, la fuga a las montañas, donde formaron aldeas católicas. Estaban dispuestos a grandes sacrificios y a despojarse de todo lo que pudiera apartarles de Cristo –pertenencias y tierras, prestigio y honor–, porque sabían que sólo Cristo era su verdadero tesoro.
En nuestros días, muchas veces vemos cómo el mundo cuestiona nuestra fe, y de múltiples maneras se nos pide entrar en componendas con la fe, diluir las exigencias radicales del Evangelio y acomodarnos al espíritu de nuestro tiempo. Sin embargo, los mártires nos invitan a poner a Cristo por encima de todo y a ver todo lo demás en relación con él y con su Reino eterno. Nos hacen preguntarnos si hay algo por lo que estaríamos dispuestos a morir.
Además, el ejemplo de los mártires nos enseña también la importancia de la caridad en la vida de fe. La autenticidad de su testimonio de Cristo, expresada en la aceptación de la igual dignidad de todos los bautizados, fue lo que les llevó a una forma de vida fraterna que cuestionaba las rígidas estructuras sociales de su época. Fue su negativa a separar el doble mandamiento del amor a Dios y amor al prójimo lo que les llevó a una solicitud tan fuerte por las necesidades de los hermanos. Su ejemplo tiene mucho que decirnos a nosotros, que vivimos en sociedades en las que, junto a inmensas riquezas, prospera silenciosamente la más denigrante pobreza; donde rara vez se escucha el grito de los pobres; y donde Cristo nos sigue llamando, pidiéndonos que le amemos y sirvamos tendiendo la mano a nuestros hermanos necesitados.
Si seguimos el ejemplo de los mártires y creemos en la palabra del Señor, entonces comprenderemos la libertad sublime y la alegría con la que afrontaron su muerte. Veremos, además, cómo la celebración de hoy incluye también a los innumerables mártires anónimos, en este país y en todo el mundo, que, especialmente en el siglo pasado, han dado su vida por Cristo o han sufrido lacerantes persecuciones por su nombre.
Hoy es un día de gran regocijo para todos los coreanos. El legado del beato Pablo Yun Ji-chung y compañeros –su rectitud en la búsqueda de la verdad, su fidelidad a los más altos principios de la religión que abrazaron, así como su testimonio de caridad y solidaridad para con todos– es parte de la rica historia del pueblo coreano. La herencia de los mártires puede inspirar a todos los hombres y mujeres de buena voluntad a trabajar en armonía por una sociedad más justa, libre y reconciliada, contribuyendo así a la paz y a la defensa de los valores auténticamente humanos en este país y en el mundo entero.
Que la intercesión de los mártires coreanos, en unión con la de Nuestra Señora, Madre de la Iglesia, nos alcance la gracia de la perseverancia en la fe y en toda obra buena, en la santidad y la pureza de corazón, y en el celo apostólico de dar testimonio de Jesús en este querido país, en toda Asia, y hasta los confines de la tierra. Amén.
[01274-04.01] [Texto original: Italiano]
Al termine della Messa di Beatificazione, dopo il ringraziamento dell’Arcivescovo di Seoul, Card. Andrew Yeom Soo-jung, il Papa è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica.
[B0577-XX.02]