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Cappella Papale per la Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27.04.2014


Cappella Papale per la Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II

Omelia del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua polacca

Alle ore 10 di questa mattina, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, il Santo Padre Francesco ha celebrato l’Eucaristia sul sagrato della Basilica Vaticana per la Canonizzazione dei Beati GIOVANNI XXIII, Papa (1881-1963) e GIOVANNI PAOLO II, Papa (1920-2005).

Hanno concelebrato con il Santo Padre oltre 150 cardinali e 700 vescovi, come pure il Papa emerito Benedetto XVI. All’altare sono saliti i Cardinali Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio; Giovanni Battista Re, dell’Ordine dei Vescovi; Stanisław Dziwisz, Arcivescovo di Kraków; Agostino Vallini, Vicario per la Diocesi di Roma e il Vescovo di Bergamo, Mons. Francesco Beschi.

All’inizio del Rito, il Cardinale Angelo Amato, SDB, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, accompagnato dai Postulatori P. Giovangiuseppe Califano, OFM, e Sławomir Oder, ha rivolto al Papa le tre petizioni, quindi il Santo Padre Francesco ha pronunciato la Formula di Canonizzazione con la quale ha dichiarato e proclamato Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.

Di seguito pubblichiamo il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della solenne celebrazione:

Omelia del Santo Padre

Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto.

Egli le mostrò già la prima volta in cui apparve agli Apostoli, la sera stessa del giorno dopo il sabato, il giorno della Risurrezione. Ma quella sera, come abbiamo sentito, non c’era Tommaso; e quando gli altri gli dissero che avevano visto il Signore, lui rispose che se non avesse visto e toccato quelle ferite, non avrebbe creduto. Otto giorni dopo, Gesù apparve di nuovo nel cenacolo, in mezzo ai discepoli: c’era anche Tommaso; si rivolse a lui e lo invitò a toccare le sue piaghe. E allora quell’uomo sincero, quell’uomo abituato a verificare di persona, si inginocchiò davanti a Gesù e disse: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).

Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: «Dalle sue piaghe siete stati guariti» (1 Pt 2,24; cfr Is 53,5).

San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia.

Sono stati sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria.

In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava «una speranza viva», insieme con una «gioia indicibile e gloriosa» (1 Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza.

Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli (cfr 2,42-47), che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura. E’ una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità.

E questa è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio san Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il Papa della docilità allo Spirito Santo.

In questo servizio al Popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene.

Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama.

[00663-01.02] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

Au centre de ce dimanche qui conclut l’Octave de Pâques, et que saint Jean Paul II a voulu dédier à la Divine Miséricorde, il y a les plaies glorieuses de Jésus ressuscité.

Il les montre dès la première fois qu’il apparaît aux Apôtres, le soir même du jour qui suit le sabbat, le jour de la résurrection. Mais ce soir là, nous l’avons entendu, Thomas n’est pas là ; et quand les autres lui disent qu’ils ont vu le Seigneur, il répond que s’il ne voyait pas et ne touchait pas les blessures, il ne croirait pas. Huit jours après, Jésus apparut de nouveau au Cénacle, parmi les disciples, Thomas aussi était là ; il s’adresse à lui et l’invite à toucher ses plaies. Et alors cet homme sincère, cet homme habitué à vérifier en personne, s’agenouille devant Jésus et lui dit « Mon Seigneur et mon Dieu » (Jn 20,28).

Les plaies de Jésus sont un scandale pour la foi, mais elles sont aussi la vérification de la foi. C’est pourquoi dans le corps du Christ ressuscité les plaies ne disparaissent pas, elles demeurent, parce qu’elles sont le signe permanent de l’amour de Dieu pour nous, et elles sont indispensables pour croire en Dieu. Non pour croire que Dieu existe, mais pour croire que Dieu est amour, miséricorde, fidélité. Saint Pierre, reprenant Isaïe, écrit aux chrétiens : « Par ses plaies vous avez été guéris » (1P 2,24 ; Cf. Is 53,5).

Saint Jean XXIII et saint Jean Paul II ont eu le courage de regarder les plaies de Jésus, de toucher ses mains blessées et son côté transpercé. Ils n’ont pas eu honte de la chair du Christ, ils ne se sont pas scandalisés de lui, de sa croix ; ils n’ont pas eu honte de la chair du frère (Cf. Is 58,7), parce qu’en toute personne souffrante ils voyaient Jésus. Ils ont été deux hommes courageux, remplis de la liberté et du courage (parresia) du Saint Esprit, et ils ont rendu témoignage à l’Église et au monde de la bonté de Dieu, de sa miséricorde.

Il ont été des prêtres, des évêques, des papes du XXème siècle. Ils en ont connu les tragédies, mais n’en ont pas été écrasés. En eux, Dieu était plus fort ; plus forte était la foi en Jésus Christ rédempteur de l’homme et Seigneur de l’histoire ; plus forte était en eux la miséricorde de Dieu manifestée par les cinq plaies ; plus forte était la proximité maternelle de Marie.

En ces deux hommes, contemplatifs des plaies du Christ et témoins de sa miséricorde, demeurait une « vivante espérance », avec une « joie indicible et glorieuse » (1P 1,3.8). L’espérance et la joie que le Christ ressuscité donne à ses disciples, et dont rien ni personne ne peut les priver. L’espérance et la joie pascales, passées à travers le creuset du dépouillement, du fait de se vider de tout, de la proximité avec les pécheurs jusqu’à l’extrême, jusqu’à l’écœurement pour l’amertume de ce calice. Ce sont l’espérance et la joie que les deux saints Papes ont reçues en don du Seigneur ressuscité, qui à leur tour les ont données au peuple de Dieu, recevant en retour une éternelle reconnaissance.

Cette espérance et cette joie se respiraient dans la première communauté des croyants, à Jérusalem, dont parlent les Actes des Apôtres (Cf. 2, 42-47), que nous avons entendus en seconde lecture. C’est une communauté dans laquelle se vit l’essentiel de l’Évangile, c'est-à-dire l’amour, la miséricorde, dans la simplicité et la fraternité.

C’est l’image de l’Église que le Concile Vatican II a eu devant lui. Jean XXIII et Jean Paul II ont collaboré avec le Saint Esprit pour restaurer et actualiser l’Église selon sa physionomie d’origine, la physionomie que lui ont donnée les saints au cours des siècles. N’oublions pas que ce sont, justement, les saints qui vont de l’avant et font grandir l’Église. Dans la convocation du Concile, saint Jean XXIII a montré une délicate docilité à l’Esprit Saint, il s’est laissé conduire et a été pour l’Église un pasteur, un guide-guidé, guidé par l’Esprit. Cela a été le grand service qu’il a rendu à l’Église. C’est pourquoi j’aime penser à lui comme le Pape de la docilité à l’Esprit Saint.

Dans ce service du Peuple de Dieu, saint Jean Paul II a été le Pape de la famille. Lui-même a dit un jour qu’il aurait voulu qu’on se souvienne de lui comme du Pape de la famille. Cela me plaît de le souligner alors que nous vivons un chemin synodal sur la famille et avec les familles, un chemin que, du Ciel, certainement, il accompagne et soutient.

Que ces deux nouveaux saints Pasteurs du Peuple de Dieu intercèdent pour l’Église, afin que, durant ces deux années de chemin synodal, elle soit docile au Saint Esprit dans son service pastoral de la famille. Qu’ils nous apprennent à ne pas nous scandaliser des plaies du Christ, et à entrer dans le mystère de la miséricorde divine qui toujours espère, toujours pardonne, parce qu’elle aime toujours.

[00663-03.02] [Texte original: Français]

Testo in lingua inglese

At the heart of this Sunday, which concludes the Octave of Easter and which Saint John Paul II wished to dedicate to Divine Mercy, are the glorious wounds of the risen Jesus.

He had already shown those wounds when he first appeared to the Apostles on the very evening of that day following the Sabbath, the day of the resurrection. But, as we have heard, Thomas was not there that evening, and when the others told him that they had seen the Lord, he replied that unless he himself saw and touched those wounds, he would not believe. A week later, Jesus appeared once more to the disciples gathered in the Upper Room. Thomas was also present; Jesus turned to him and told him to touch his wounds. Whereupon that man, so straightforward and accustomed to testing everything personally, knelt before Jesus with the words: "My Lord and my God!" (Jn 20:28).

The wounds of Jesus are a scandal, a stumbling block for faith, yet they are also the test of faith. That is why on the body of the risen Christ the wounds never pass away: they remain, for those wounds are the enduring sign of God’s love for us. They are essential for believing in God. Not for believing that God exists, but for believing that God is love, mercy and faithfulness. Saint Peter, quoting Isaiah, writes to Christians: "by his wounds you have been healed" (1 Pet 2:24, cf. Is 53:5).

Saint John XXIII and Saint John Paul II were not afraid to look upon the wounds of Jesus, to touch his torn hands and his pierced side. They were not ashamed of the flesh of Christ, they were not scandalized by him, by his cross; they did not despise the flesh of their brother (cf. Is 58:7), because they saw Jesus in every person who suffers and struggles. These were two men of courage, filled with the parrhesia of the Holy Spirit, and they bore witness before the Church and the world to God’s goodness and mercy.

They were priests, and bishops and popes of the twentieth century. They lived through the tragic events of that century, but they were not overwhelmed by them. For them, God was more powerful; faith was more powerful – faith in Jesus Christ the Redeemer of man and the Lord of history; the mercy of God, shown by those five wounds, was more powerful; and more powerful too was the closeness of Mary our Mother.

In these two men, who looked upon the wounds of Christ and bore witness to his mercy, there dwelt a living hope and an indescribable and glorious joy (1 Pet 1:3,8). The hope and the joy which the risen Christ bestows on his disciples, the hope and the joy which nothing and no one can take from them. The hope and joy of Easter, forged in the crucible of self-denial, self-emptying, utter identification with sinners, even to the point of disgust at the bitterness of that chalice. Such were the hope and the joy which these two holy popes had received as a gift from the risen Lord and which they in turn bestowed in abundance upon the People of God, meriting our eternal gratitude.

This hope and this joy were palpable in the earliest community of believers, in Jerusalem, as we have heard in the Acts of the Apostles (cf. 2:42-47). It was a community which lived the heart of the Gospel, love and mercy, in simplicity and fraternity.

This is also the image of the Church which the Second Vatican Council set before us. John XXIII and John Paul II cooperated with the Holy Spirit in renewing and updating the Church in keeping with her pristine features, those features which the saints have given her throughout the centuries. Let us not forget that it is the saints who give direction and growth to the Church. In convening the Council, Saint John XXIII showed an exquisite openness to the Holy Spirit. He let himself be led and he was for the Church a pastor, a servant-leader, guided by the Holy Spirit. This was his great service to the Church; for this reason I like to think of him as the the pope of openness to the Holy Spirit.

In his own service to the People of God, Saint John Paul II was the pope of the family. He himself once said that he wanted to be remembered as the pope of the family. I am particularly happy to point this out as we are in the process of journeying with families towards the Synod on the family. It is surely a journey which, from his place in heaven, he guides and sustains.

May these two new saints and shepherds of God’s people intercede for the Church, so that during this two-year journey toward the Synod she may be open to the Holy Spirit in pastoral service to the family. May both of them teach us not to be scandalized by the wounds of Christ and to enter ever more deeply into the mystery of divine mercy, which always hopes and always forgives, because it always loves.

[00663-02.02] [Original text: English]

Testo in lingua tedesca

Im Mittelpunkt dieses Sonntags, der die Osteroktav beschließt und den der heilige Johannes Paul II. der Göttlichen Barmherzigkeit geweiht hat, stehen die glorreichen Wunden des auferstandenen Jesus.

Schon beim ersten Mal, als Jesus am Abend des Tages nach dem Sabbat, am Tag der Auferstehung, den Aposteln erschien, zeigte er ihnen seine Wunden. An jenem Abend war aber Thomas, wie wir gehört haben, nicht dabei. Und als die anderen ihm sagten, dass sie den Herrn gesehen hatten, antwortete er, er werde nicht glauben, bevor er jene Wunden nicht gesehen und berührt habe. Acht Tage darauf erschien Jesus erneut im Abendmahlssaal inmitten der Jünger, und auch Thomas war da. Jesus wandte sich an ihn und forderte ihn auf, seine Wunden zu berühren. Und da kniete dieser ehrliche Mann, der daran gewöhnt war, alles selbst zu überprüfen, vor Jesus nieder und sagte: »Mein Herr und mein Gott!« (Joh 20,28).

Die Wunden Jesu sind ein Ärgernis für den Glauben, aber sie sind auch ein Nachweis für den Glauben. Darum verschwinden die Wunden am Leib des auferstandenen Christus nicht; sie bleiben, denn diese Wunden sind das ständige Zeichen der Liebe Gottes zu uns, und sie sind unerlässlich für den Glauben an Gott. Nicht um zu glauben, dass Gott existiert, sondern um zu glauben, dass Gott Liebe, Barmherzigkeit und Treue ist. Der heilige Petrus nimmt die Worte des Propheten Jesaja auf und schreibt an die Christen: »Durch seine Wunden seid ihr geheilt« (1 Petr 2,24; vgl. Jes 53,5).

Der heilige Johannes XXIII. und der heilige Johannes Paul II. hatten den Mut, die Wundmale Jesu anzuschauen, seine verwundeten Hände und seine durchbohrte Seite zu berühren. Sie haben sich der Leiblichkeit Christi nicht geschämt, haben an ihm, an seinem Kreuz keinen Anstoß genommen; sie haben die Leiblichkeit des Mitmenschen nicht gescheut (vgl. Jes 58,7), denn in jedem leidenden Menschen sahen sie Jesus. Sie waren zwei mutige Männer, erfüllt vom Freimut des Heiligen Geistes, und haben der Kirche und der Welt Zeugnis gegeben von der Güte Gottes und von seiner Barmherzigkeit.

Sie waren Priester und Bischöfe und Päpste des 20. Jahrhunderts. Dessen Tragödien haben sie erfahren, sind davon aber nicht überwältigt worden. Stärker war in ihnen Gott; stärker war der Glaube an Jesus Christus, den Erlöser des Menschen und Herrn der Geschichte; stärker war in ihnen die Barmherzigkeit Gottes, die sich in diesen fünf Wunden offenbart; stärker war die mütterliche Liebe Marias.

In diesen beiden Männern, die in der Betrachtung der Wunden Christi lebten und Zeugen seiner Barmherzigkeit waren, wohnte »eine lebendige Hoffnung« vereint mit »unsagbarer, von himmlischer Herrlichkeit verklärter Freude« (1 Petr 1,3.8) – die Hoffnung und die Freude, die der auferstandene Christus seinen Jüngern schenkt und die nichts und niemand ihnen nehmen kann. Die österliche Hoffnung und die österliche Freude, die den Schmelztiegel der Entäußerung und der inneren Leere, der Nähe zu den Sündern bis zum Letzten, bis zum Überdruss angesichts der Bitterkeit dieses Kelches durchschritten haben: Das sind die Hoffnung und die Freude, mit denen die beiden heiligen Päpste vom auferstandenen Herrn beschenkt wurden und die sie ihrerseits in Fülle an das Volk Gottes verschenkt haben, wofür sie ewigen Dank empfangen.

Diese Hoffnung und diese Freude bildeten das Klima, in dem die Urgemeinde der Gläubigen in Jerusalem lebte, von der uns die Apostelgeschichte berichtet, die wir in der zweiten Lesung gehört haben (vgl. 2,42-47). Es ist eine Gemeinde, in der das Wesentliche des Evangeliums gelebt wird, nämlich die Liebe und die Barmherzigkeit in Einfachheit und Brüderlichkeit.

Und das ist das Bild der Kirche, das dem Zweiten Vatikanischen Konzil vorschwebte. Johannes XXIII. und Johannes Paul II. haben mit dem Heiligen Geist zusammengearbeitet, um die Kirche entsprechend ihrer ursprünglichen Gestalt wiederherzustellen und zu aktualisieren, entsprechend der Gestalt, die ihr im Laufe der Jahrhunderte die Heiligen verliehen haben. Vergessen wir nicht, dass es gerade die Heiligen sind, die die Kirche voranbringen und wachsen lassen. In der Einberufung des Konzils hat der heilige Johannes XXIII. eine feinfühlige Folgsamkeit gegenüber dem Heiligen Geist bewiesen, hat sich führen lassen und war für die Kirche ein Hirte, ein geführter Führer, geführt vom Heiligen Geist. Das war sein großer Dienst an der Kirche; darum denke ich gerne an ihn als den Papst der Folgsamkeit gegenüber dem Heiligen Geist.

In diesem Dienst am Volk Gottes ist der heilige Johannes Paul II. der Papst der Familie gewesen. So wollte er, wie er einmal sagte, in die Erinnerung eingehen: als Papst der Familie. Ich hebe das gerne hervor, da wir gerade einen Weg zur Synode über die Familie und mit den Familien beschreiten, den er vom Himmel her sicher begleitet und unterstützt.

Mögen diese beiden neuen heiligen Hirten des Gottesvolkes mit ihrer Fürsprache für die Kirche eintreten, damit sie in diesen zwei Jahren des Synodenweges fügsam sei gegenüber dem Heiligen Geist in ihrem pastoralen Dienst an der Familie. Mögen beide uns lehren, keinen Anstoß zu nehmen an den Wunden Christi und in das Geheimnis der göttlichen Barmherzigkeit einzudringen, die immer hofft und immer verzeiht, weil sie immer liebt.

[00663-05.02] [Originalsprache: Deutsch]

Testo in lingua spagnola

En el centro de este domingo, con el que se termina la octava de pascua, y que san Juan Pablo II quiso dedicar a la Divina Misericordia, están las llagas gloriosas de Cristo resucitado.

Él ya las enseñó la primera vez que se apareció a los apóstoles la misma tarde del primer día de la semana, el día de la resurrección. Pero Tomás aquella tarde, como hemos escuchado, no estaba; y, cuando los demás le dijeron que habían visto al Señor, respondió que, mientras no viera y tocara aquellas llagas, no lo creería. Ocho días después, Jesús se apareció de nuevo en el cenáculo, en medio de los discípulos, y Tomás también estaba; se dirigió a él y lo invitó a tocar sus llagas. Y entonces, aquel hombre sincero, aquel hombre acostumbrado a comprobar personalmente las cosas, se arrodilló delante de Jesús y dijo: «Señor mío y Dios mío» (Jn 20,28).

Las llagas de Jesús son un escándalo para la fe, pero son también la comprobación de la fe. Por eso, en el cuerpo de Cristo resucitado las llagas no desaparecen, permanecen, porque aquellas llagas son el signo permanente del amor de Dios por nosotros, y son indispensables para creer en Dios. No para creer que Dios existe, sino para creer que Dios es amor, misericordia, fidelidad. San Pedro, citando a Isaías, escribe a los cristianos: «Sus heridas nos han curado» (1 P 2,24; cf. Is 53,5).

San Juan XXIII y san Juan Pablo II tuvieron el valor de mirar las heridas de Jesús, de tocar sus manos llagadas y su costado traspasado. No se avergonzaron de la carne de Cristo, no se escandalizaron de él, de su cruz; no se avergonzaron de la carne del hermano (cf. Is 58,7), porque en cada persona que sufría veían a Jesús. Fueron dos hombres valerosos, llenos de la parresia del Espíritu Santo, y dieron testimonio ante la Iglesia y el mundo de la bondad de Dios, de su misericordia.

Fueron sacerdotes y obispos y papas del siglo XX. Conocieron sus tragedias, pero no se abrumaron. En ellos, Dios fue más fuerte; fue más fuerte la fe en Jesucristo Redentor del hombre y Señor de la historia; en ellos fue más fuerte la misericordia de Dios que se manifiesta en estas cinco llagas; más fuerte la cercanía materna de María.

En estos dos hombres contemplativos de las llagas de Cristo y testigos de su misericordia había «una esperanza viva», junto a un «gozo inefable y radiante» (1 P 1,3.8). La esperanza y el gozo que Cristo resucitado da a sus discípulos, y de los que nada ni nadie les podrá privar. La esperanza y el gozo pascual, purificados en el crisol de la humillación, del vaciamiento, de la cercanía a los pecadores hasta el extremo, hasta la náusea a causa de la amargura de aquel cáliz. Ésta es la esperanza y el gozo que los dos papas santos recibieron como un don del Señor resucitado, y que a su vez dieron abundantemente al Pueblo de Dios, recibiendo de él un reconocimiento eterno.

Esta esperanza y esta alegría se respiraba en la primera comunidad de los creyentes, en Jerusalén, de la que hablan los Hechos de los Apóstoles (cf. 2,42-47), como hemos escuchado en la segunda Lectura. Es una comunidad en la que se vive la esencia del Evangelio, esto es, el amor, la misericordia, con simplicidad y fraternidad.

Y ésta es la imagen de la Iglesia que el Concilio Vaticano II tuvo ante sí. Juan XXIII y Juan Pablo II colaboraron con el Espíritu Santo para restaurar y actualizar la Iglesia según su fisionomía originaria, la fisionomía que le dieron los santos a lo largo de los siglos. No olvidemos que son precisamente los santos quienes llevan adelante y hacen crecer la Iglesia. En la convocatoria del Concilio, san Juan XXIII demostró una delicada docilidad al Espíritu Santo, se dejó conducir y fue para la Iglesia un pastor, un guía-guiado, guiado por el Espíritu. Éste fue su gran servicio a la Iglesia; por eso me gusta pensar en él como el Papa de la docilidad al Espíritu santo.

En este servicio al Pueblo de Dios, san Juan Pablo II fue el Papa de la familia. Él mismo, una vez, dijo que así le habría gustado ser recordado, como el Papa de la familia. Me gusta subrayarlo ahora que estamos viviendo un camino sinodal sobre la familia y con las familias, un camino que él, desde el Cielo, ciertamente acompaña y sostiene.

Que estos dos nuevos santos pastores del Pueblo de Dios intercedan por la Iglesia, para que, durante estos dos años de camino sinodal, sea dócil al Espíritu Santo en el servicio pastoral a la familia. Que ambos nos enseñen a no escandalizarnos de las llagas de Cristo, a adentrarnos en el misterio de la misericordia divina que siempre espera, siempre perdona, porque siempre ama.

[00663-04.02] [Texto original: Español]

Testo in lingua portoghese

No centro deste domingo, que encerra a Oitava de Páscoa e que São João Paulo II quis dedicar à Misericórdia Divina, encontramos as chagas gloriosas de Jesus ressuscitado.

Já as mostrara quando apareceu pela primeira vez aos Apóstolos, ao anoitecer do dia depois do sábado, o dia da Ressurreição. Mas, naquela noite – como ouvimos –, Tomé não estava; e quando os outros lhe disseram que tinham visto o Senhor, respondeu que, se não visse e tocasse aquelas feridas, não acreditaria. Oito dias depois, Jesus apareceu de novo no meio dos discípulos, no Cenáculo, encontrando-se presente também Tomé; dirigindo-Se a ele, convidou-o a tocar as suas chagas. E então aquele homem sincero, aquele homem habituado a verificar tudo pessoalmente, ajoelhou-se diante de Jesus e disse: «Meu Senhor e meu Deus!» (Jo 20, 28).

Se as chagas de Jesus podem ser de escândalo para a fé, são também a verificação da fé. Por isso, no corpo de Cristo ressuscitado, as chagas não desaparecem, continuam, porque aquelas chagas são o sinal permanente do amor de Deus por nós, sendo indispensáveis para crer em Deus: não para crer que Deus existe, mas sim que Deus é amor, misericórdia, fidelidade. Citando Isaías, São Pedro escreve aos cristãos: «pelas suas chagas, fostes curados» (1 Ped 2, 24; cf. Is 53, 5).

São João XXIII e São João Paulo II tiveram a coragem de contemplar as feridas de Jesus, tocar as suas mãos chagadas e o seu lado trespassado. Não tiveram vergonha da carne de Cristo, não se escandalizaram d’Ele, da sua cruz; não tiveram vergonha da carne do irmão (cf. Is 58, 7), porque em cada pessoa atribulada viam Jesus. Foram dois homens corajosos, cheios da parresia do Espírito Santo, e deram testemunho da bondade de Deus, da sua misericórdia, à Igreja e ao mundo.

Foram sacerdotes, bispos e papas do século XX. Conheceram as suas tragédias, mas não foram vencidos por elas. Mais forte, neles, era Deus; mais forte era a fé em Jesus Cristo, Redentor do homem e Senhor da história; mais forte, neles, era a misericórdia de Deus que se manifesta nestas cinco chagas; mais forte era a proximidade materna de Maria.

Nestes dois homens contemplativos das chagas de Cristo e testemunhas da sua misericórdia, habitava «uma esperança viva», juntamente com «uma alegria indescritível e irradiante» (1 Ped 1, 3.8). A esperança e a alegria que Cristo ressuscitado dá aos seus discípulos, e de que nada e ninguém os pode privar. A esperança e a alegria pascais, passadas pelo crisol do despojamento, do aniquilamento, da proximidade aos pecadores levada até ao extremo, até à náusea pela amargura daquele cálice. Estas são a esperança e a alegria que os dois santos Papas receberam como dom do Senhor ressuscitado, tendo-as, por sua vez, doado em abundância ao Povo de Deus, recebendo sua eterna gratidão.

Esta esperança e esta alegria respiravam-se na primeira comunidade dos crentes, em Jerusalém, de que falam os Actos dos Apóstolos (cf. 2, 42-47), que ouvimos na segunda Leitura. É uma comunidade onde se vive o essencial do Evangelho, isto é, o amor, a misericórdia, com simplicidade e fraternidade.

E esta é a imagem de Igreja que o Concílio Vaticano II teve diante de si. João XXIII e João Paulo II colaboraram com o Espírito Santo para restabelecer e actualizar a Igreja segundo a sua fisionomia originária, a fisionomia que lhe deram os santos ao longo dos séculos. Não esqueçamos que são precisamente os santos que levam avante e fazem crescer a Igreja. Na convocação do Concílio, São João XXIII demonstrou uma delicada docilidade ao Espírito Santo, deixou-se conduzir e foi para a Igreja um pastor, um guia-guiado, guiado pelo Espírito. Este foi o seu grande serviço à Igreja; por isso gosto de pensar nele como o Papa da docilidade ao Espírito Santo.

Neste serviço ao Povo de Deus, São João Paulo II foi o Papa da família. Ele mesmo disse uma vez que assim gostaria de ser lembrado: como o Papa da família. Apraz-me sublinhá-lo no momento em que estamos a viver um caminho sinodal sobre a família e com as famílias, um caminho que ele seguramente acompanha e sustenta do Céu.

Que estes dois novos santos Pastores do Povo de Deus intercedam pela Igreja para que, durante estes dois anos de caminho sinodal, seja dócil ao Espírito Santo no serviço pastoral à família. Que ambos nos ensinem a não nos escandalizarmos das chagas de Cristo, a penetrarmos no mistério da misericórdia divina que sempre espera, sempre perdoa, porque sempre ama.

[00663-06.02] [Texto original: Português]

Testo in lingua polacca

W centrum dzisiejszej niedzieli wieńczącej Oktawę Wielkanocy, a którą św. Jan Paweł II zechciał poświęcić Miłosierdziu Bożemu, znajdują się chwalebne rany Jezusa zmartwychwstałego.

Pokazał je już po raz pierwszy, gdy ukazał się apostołom, wieczorem tego samego dnia po szabacie, w dniu Zmartwychwstania. Ale tamtego wieczoru, jak słyszeliśmy, nie było Tomasza i gdy inni powiedzieli mu, że widzieli Pana, odpowiedział, że jeśli nie zobaczy i nie dotknie tych ran, nie uwierzy. Osiem dni później Jezus ukazał się ponownie w Wieczerniku, pośród uczniów i był tam również Tomasz. Zwrócił się wówczas do niego i poprosił, by dotknął Jego ran. Wówczas ten szczery człowiek, przyzwyczajony do osobistego sprawdzania, ukląkł przed Jezusem i powiedział: „Pan mój i Bóg mój” (J 20, 28).

Rany Jezusa są zgorszeniem dla wiary, ale są również sprawdzianem wiary. Dlatego w ciele Chrystusa Zmartwychwstałego rany nie zanikają, lecz pozostają, gdyż rany te są trwałym znakiem miłości Boga do nas i są niezbędne, by wierzyć w Boga. Nie po to, by wierzyć, że Bóg istnieje, ale aby wierzyć, że Bóg jest miłością, miłosierdziem i wiernością. Święty Piotr, cytując Izajasza, pisze do chrześcijan: „Krwią Jego ran zostaliście uzdrowieni” (1 P 2, 24; por. Iz 53, 5).

Święty Jan XXIII i święty Jan Paweł II mieli odwagę oglądania ran Jezusa, dotykania Jego zranionych rąk i Jego przebitego boku. Nie wstydzili się ciała Chrystusa, nie gorszyli się Nim, Jego krzyżem. Nie wstydzili się ciała swego brata (por. Iz 58, 7), ponieważ w każdej osobie cierpiącej dostrzegali Jezusa. Byli to dwaj ludzie mężni, pełni parezji [męstwa] Ducha Świętego i złożyli Kościołowi i światu świadectwo dobroci Boga i Jego miłosierdzia.

Byli kapłanami, biskupami i papieżami dwudziestego wieku. Poznali jego tragedie, ale nie byli nimi przytłoczeni. Silniejszy był w nich Bóg; silniejsza była w nich wiara w Jezusa Chrystusa, Odkupiciela człowieka i Pana historii; silniejsze było w nich miłosierdzie Boga, które objawia się w tych pięciu ranach; silniejsza była macierzyńska bliskość Maryi.

W tych dwóch ludziach kontemplujących rany Chrystusa i świadkach Jego miłosierdzia była "żywa nadzieja" wraz z "radością niewymowną i pełną chwały" (1 P 1,3.8). Nadzieja i radość, jaką zmartwychwstały Chrystus daje swoim uczniom i których nic i nikt nie może ich pozbawić. Paschalna nadzieja i radość, przeszedłszy przez tygiel odarcia z szat, ogołocenia, bliskości z grzesznikami aż do końca, aż do mdłości z powodu goryczy tego kielicha. Oto są nadzieja i radość, jaką dwaj święci papieże otrzymali w darze od zmartwychwstałego Pana i z kolei przekazali obficie Ludowi Bożemu, otrzymując za to nagrodę wieczną.

Tą nadzieją i tą radością żyła pierwsza wspólnota wierzących w Jerozolimie, o której mówią nam Dzieje Apostolskie, które słyszeliśmy w drugim czytaniu (por. 2, 42-47). Jest to wspólnota, w której żyje się tym, co najistotniejsze z Ewangelii, to znaczy miłością, miłosierdziem, w prostocie i braterstwie.

Taki obraz Kościoła miał przed sobą Sobór Watykański. Jan XXIII i Jan Paweł II współpracowali z Duchem Świętym, aby odnowić i dostosować Kościół do jego pierwotnego obrazu, który nadali mu święci w ciągu wieków. Nie zapominajmy, że to właśnie święci prowadzą Kościół naprzód i sprawiają, że się rozwija. Zwołując Sobór, św. Jan XXIII okazał taktowne posłuszeństwo Duchowi Świętemu, dał się Jemu prowadzić i był dla Kościoła pasterzem, przewodnikiem, który sam był prowadzony – prowadzony przez Ducha. To była jego wielka posługa dla Kościoła; dlatego osobiście lubię myśleć o nim, jako o papieżu posłuszeństwa Duchowi Świętemu.

W tej posłudze Ludowi Bożemu Jan św. Paweł II był papieżem rodziny. Kiedyś sam tak powiedział, że chciałby zostać zapamiętany jako papież rodziny. Chętnie to podkreślam w czasie, gdy przeżywamy proces synodalny o rodzinie i z rodzinami, proces, któremu na pewno On z nieba towarzyszy i go wspiera.

Niech ci obaj nowi święci pasterze Ludu Bożego wstawiają się za Kościołem, aby w ciągu tych dwóch lat procesu synodalnego był on posłuszny Duchowi Świętemu w posłudze duszpasterskiej dla rodziny. Niech nas obaj nauczą, byśmy nie gorszyli się ranami Chrystusa, abyśmy wnikali w tajemnicę Bożego Miłosierdzia, które zawsze żywi nadzieję, zawsze przebacza, bo zawsze miłuje.

[00663-09.02] [Testo originale: Polacco]

[B0301-XX.02]