MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXIX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (13 APRILE 2014) ● MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
● TESTO IN LINGUA FRANCESE
● TESTO IN LINGUA INGLESE
● TESTO IN LINGUA TEDESCA
● TESTO IN LINGUA SPAGNOLA
● TESTO IN LINGUA PORTOGHESE
● TESTO IN LINGUA POLACCA
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Francesco invia ai giovani e alle giovani del mondo, in occasione della 29.ma Giornata Mondiale della Gioventù che sarà celebrata il 13 aprile 2014, Domenica delle Palme, a livello diocesano:
● MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3)
Cari giovani,
è impresso nella mia memoria lo straordinario incontro che abbiamo vissuto a Rio de Janeiro, nella XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù: una grande festa della fede e della fraternità! La brava gente brasiliana ci ha accolto con le braccia spalancate, come la statua del Cristo Redentore che dall’alto del Corcovado domina il magnifico scenario della spiaggia di Copacabana. Sulle rive del mare Gesù ha rinnovato la sua chiamata affinché ognuno di noi diventi suo discepolo missionario, lo scopra come il tesoro più prezioso della propria vita e condivida questa ricchezza con gli altri, vicini e lontani, fino alle estreme periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.
La prossima tappa del pellegrinaggio intercontinentale dei giovani sarà a Cracovia, nel 2016. Per scandire il nostro cammino, nei prossimi tre anni vorrei riflettere insieme a voi sulle Beatitudini evangeliche, che leggiamo nel Vangelo di san Matteo (5,1-12).Quest’anno inizieremo meditando sulla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3);per il 2015 propongo «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8);e infine, nel 2016, il tema sarà «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).
1. La forza rivoluzionaria delle Beatitudini
Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C’era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata "discorso della montagna". Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui.
Nel proclamare le Beatitudini Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell’amore, la sola che conduce alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, umiliazioni, lotta per la giustizia, fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità, persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare.
Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati "perdenti", deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l’arroganza del potere, l’affermazione di sé a scapito degli altri.
Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo percorrere per arrivare alla vera gioia. Si tratta di una grande sfida di fede. Gesù non ha avuto paura di chiedere ai suoi discepoli se volevano davvero seguirlo o piuttosto andarsene per altre vie (cfrGv6,67). E Simone detto Pietro ebbe il coraggio di rispondere: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv6,68). Se saprete anche voi dire "sì" a Gesù, la vostra giovane vita si riempirà di significato, e così sarà feconda.
2. Il coraggio della felicità
Ma che cosa significa "beati" (in greco makarioi)? Beati vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un’idea "in piccolo" della vita. Aspirate invece a cose grandi! Allargate i vostri cuori! Come diceva il beato Piergiorgio Frassati, «vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I. Bonini, 27 febbraio 1925). Nel giorno della Beatificazione di Piergiorgio Frassati, il 20 maggio 1990, Giovanni Paolo II lo chiamò «uomo delle Beatitudini» (Omelia nella S. Messa: AAS 82 [1990], 1518).
Se veramente fate emergere le aspirazioni più profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c’è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte "a basso prezzo" che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere, l’avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. È molto triste vedere una gioventù "sazia", ma debole.
San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: «Siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (1 Gv2,14). I giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si "abbuffano" di altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!
3. Beati i poveri in spirito…
La prima Beatitudine, tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito, perché a loro appartiene il Regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo. In che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione?
Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa significa«poveri in spirito».Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (2,5-7). Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr2 Cor 8,9). E’ il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.
L’aggettivo greco ptochós(povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire "mendicante". Va legato al concetto ebraico di anawim, i "poveri di Iahweh", che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui.
Gesù, come ha ben saputo vedere santa Teresa di Gesù Bambino, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, un bisognoso in cerca d’amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell’uomo come di un «mendicante di Dio» (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete (n. 2560).
San Francesco d’Assisi ha compreso molto bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Nella sua preghiera il Poverello passava ore a domandare al Signore: «Chi sei tu? Chi sono io?». Si spogliò di una vita agiata e spensierata per sposare "Madonna Povertà", per imitare Gesù e seguire il Vangelo alla lettera. Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.
Voi dunque mi potreste domandare: come possiamo concretamente far sì che questa povertà in spirito si trasformi in stile di vita, incida concretamente nella nostra esistenza? Vi rispondo in tre punti.
Prima di tutto cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Il Signore ci chiama a uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà, a non cedere alla cultura del consumo. Si tratta di cercare l’essenzialità, di imparare a spogliarci di tante cose superflue e inutili che ci soffocano. Distacchiamoci dalla brama di avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato. Mettiamo Gesù al primo posto. Lui ci può liberare dalle idolatrie che ci rendono schiavi. Fidatevi di Dio, cari giovani! Egli ci conosce, ci ama e non si dimentica mai di noi. Come provvede ai gigli del campo (cfrMt 6,28), non lascerà che ci manchi nulla! Anche per superare la crisi economica bisogna essere pronti a cambiare stile di vita, a evitare i tanti sprechi. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà.
In secondo luogo, per vivere questa Beatitudine abbiamo tutti bisogno di conversione per quanto riguarda i poveri. Dobbiamo prenderci cura di loro, essere sensibili alle loro necessità spirituali e materiali. A voi giovani affido in modo particolare il compito di rimettere al centro della cultura umana la solidarietà. Di fronte a vecchie e nuove forme di povertà – la disoccupazione, l’emigrazione, tante dipendenze di vario tipo –, abbiamo il dovere di essere vigilanti e consapevoli, vincendo la tentazione dell’indifferenza. Pensiamo anche a coloro che non si sentono amati, non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati, delusi, intimoriti. Dobbiamo imparare a stare con i poveri. Non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un’occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente.
Ma – e questo è il terzo punto – i poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labre, il quale dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull’umiltà e la fiducia in Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc18,9-14), Gesù presenta quest’ultimo come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due piccole monete nel tesoro del tempio è esempio della generosità di chi, anche avendo poco o nulla, dona tutto(Lc 21,1-4).
4. … perché di essi è il Regno dei cieli
Tema centrale nel Vangelo di Gesù è il Regno di Dio. Gesù è il Regno di Dio in persona, è l’Emmanuele, Dio-con-noi. Ed è nel cuore dell’uomo che il Regno, la signoria di Dio si stabilisce e cresce. Il Regno è allo stesso tempo dono e promessa. Ci è già stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo il Padre: «Venga il tuo regno».
C’è un legame profondo tra povertà ed evangelizzazione, tra il tema della scorsa Giornata Mondiale della Gioventù - «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19) - e quello di quest’anno: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Il Signore vuole una Chiesa povera che evangelizzi i poveri. Quando inviò i Dodici in missione, Gesù disse loro: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,9-10).La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda. Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi. L’evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia.
Come abbiamo visto, la Beatitudine dei poveri in spirito orienta il nostro rapporto con Dio, con i beni materiali e con i poveri. Davanti all’esempio e alle parole di Gesù, avvertiamo quanto abbiamo bisogno di conversione, di far sì che sulla logica dell’avere di più prevalga quella dell’essere di più!I santi sono coloro che più ci possono aiutare a capire il significato profondo delle Beatitudini. La canonizzazione di Giovanni Paolo II nella seconda domenica di Pasqua, in questo senso, è un evento che riempie il nostro cuore di gioia. Lui sarà il grande patrono delle GMG, di cui è stato l’iniziatore e il trascinatore. E nella comunione dei santi continuerà ad essere per tutti voi un padre e un amico.
Nel prossimo mese di aprile ricorre anche il trentesimo anniversario della consegna ai giovani della Croce del Giubileo della Redenzione. Proprio a partire da quell’atto simbolico di Giovanni Paolo II iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora continua ad attraversare i cinque continenti. Molti ricordano le parole con cui il Papa, la domenica di Pasqua del 1984, accompagnò il suo gesto: «Carissimi giovani, al termine dell’Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest’Anno Giubilare: la Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità, ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione».
Cari giovani, il Magnificat, il cantico di Maria, povera in spirito, è anche il canto di chi vive le Beatitudini. La gioia del Vangelo sgorga da un cuore povero, che sa esultare e meravigliarsi per le opere di Dio, come il cuore della Vergine, che tutte le generazioni chiamano"beata" (cfr Lc 1,48). Lei, la madre dei poveri e la stella della nuova evangelizzazione, ci aiuti a vivere il Vangelo, a incarnare le Beatitudini nella nostra vita, ad avere il coraggio della felicità.
Dal Vaticano, 21 gennaio 2014, memoria di Sant’Agnese, vergine e martire
FRANCESCO
[00188-01.01] [Testo originale: Italiano]
● TESTO IN LINGUA FRANCESE
« Heureux les pauvres de cœur, car le Royaume des Cieux est à eux » (Mt 5, 3)
Bien chers jeunes,
L’extraordinaire rencontre que nous avons vécue à Rio de Janeiro, lors de la XXVIIIème Journée Mondiale de la Jeunesse, est encore imprimée dans ma mémoire : une grande fête de la foi et de la fraternité ! La population brésilienne nous a accueillis à bras ouverts, comme la statue du Christ Rédempteur qui, du haut du Corcovado domine la magnifique baie de Copacabana. Au bord de la mer, Jésus a renouvelé son appel pour que chacun de nous devienne son disciple-missionnaire, qu’il le découvre comme le trésor le plus précieux de sa vie et partage cette richesse avec les autres, proches et lointains, jusqu’aux extrêmes périphéries géographiques et existentielles de notre temps.
La prochaine étape du pèlerinage intercontinental des jeunes sera à Cracovie, en 2016. Pour rythmer notre marche, j’aimerais, durant les trois années qui viennent, réfléchir avec vous sur les Béatitudes évangéliques que nous pouvons lire dans l’Évangile selon saint Matthieu (5, 1-12). Cette année nous commencerons par méditer la première : « Heureux les pauvres de cœur, car le Royaume des Cieux est à eux » (Mt 5, 3) ; pour 2015 je propose « Heureux les cœurs purs, car ils verront Dieu » (Mt 5, 8) ; et enfin, en 2016, le thème sera « Heureux les miséricordieux, car ils obtiendront miséricorde » (Mt 5, 7).
1. La force révolutionnaire des Béatitudes
Cela fait toujours du bien de lire et de méditer les Béatitudes ! Jésus les a proclamées au cours de sa première grande prédication, au bord du lac de Galilée. Il y avait une grande foule et il est monté sur la colline, pour instruire ses disciples, c’est pourquoi cette prédication est appelée "le discours sur la montagne". Dans la Bible, la montagne est perçue comme le lieu où Dieu se révèle, et Jésus en prêchant sur la colline se présente comme le maître divin, comme le nouveau Moïse. Et que révèle-t-il ? Jésus révèle le chemin de la vie, ce chemin qu’il parcourt lui-même, plus encore, qu’il est lui-même, et il le propose comme le chemin du vrai bonheur. Pendant toute sa vie, de sa naissance dans la grotte de Bethléem jusqu’à sa mort sur la croix et sa résurrection, Jésus a incarné les Béatitudes. Toutes les promesses du Royaume de Dieu se sont accomplies en lui.
En proclamant les Béatitudes Jésus nous invite à le suivre, à parcourir avec lui la voie de l’amour, la seule qui conduise à la vie éternelle. Ce n’est pas une route facile, mais le Seigneur nous assure de sa grâce et il ne nous laisse jamais seuls. La pauvreté, les afflictions, les humiliations, les luttes pour la justice, les fatigues de la conversion quotidienne, les combats pour vivre l’appel à la sainteté, les persécutions et bien d’autres défis sont présents dans notre vie. Mais si nous ouvrons la porte au Christ, si nous le laissons entrer dans notre histoire, si nous partageons avec lui nos joies et nos souffrances, nous ferons l’expérience d’une paix et d’une joie que seul Dieu, amour infini, peut nous donner.
Les Béatitudes de Jésus sont porteuses d’une nouveauté révolutionnaire, d’un modèle de bonheur contraire à celui qui nous est communiqué habituellement par les médias, par la pensée dominante. Pour la mentalité du monde, c’est un scandale que Dieu soit venu se faire l’un d’entre nous, qu’il soit mort sur une croix ! Dans cette logique mondaine, ceux que Jésus proclame bienheureux sont considérés comme "perdants", faibles. Au contraire le succès à tout prix, le bien être, l’arrogance du pouvoir, l’affirmation de soi au dépens des autres, sont exaltés.
Jésus nous interpelle, chers jeunes, pour que nous répondions à son offre de vie, pour que nous décidions quelle voie nous voulons parcourir pour arriver à la vraie joie. Il s’agit d’un grand défi pour la foi. Jésus n’a pas eu peur de demander à ses disciples s’ils voulaient vraiment le suivre ou s’ils préféraient s’en aller par d’autres chemins (cf. Jn 6, 67). Et Simon surnommé Pierre a eu le courage de répondre : « Seigneur, à qui irions-nous ? Tu as les paroles de la vie éternelle » (Jn 6, 68). Si vous aussi savez dire "oui" à Jésus, votre vie de jeune se remplira de sens, et ainsi, elle sera féconde.
2. Le courage du bonheur
Mais que signifie au juste le mot "bienheureux" (en grec makarioi) ? Cela veut dire vraiment heureux. Alors, dites-moi : aspirez-vous vraiment au bonheur ? À une époque où l’on est attiré par tant d’apparences de bonheurs, on risque de se contenter de peu, ou d’avoir une idée de la vie "en miniature". Au contraire, aspirez à de grandes choses ! Élargissez vos cœurs ! Comme disait le bienheureux Pier Giorgio Frassati, « vivre sans foi, sans patrimoine à défendre, sans soutenir une lutte continue pour la vérité, ce n’est pas vivre mais vivoter. Nous ne devons jamais vivoter, mais vivre » (Lettre à I. Bonini, 27 février 1925). Le jour de la Béatification de Pier Giorgio Frassati, le 20 mai 1990, Jean-Paul II l’a appelé "l’homme des Béatitudes" (Homélie de la Messe : AAS 82 [1990], 1518).
Si vraiment vous laissez émerger les aspirations les plus profondes de votre cœur, vous vous rendrez compte qu’il y a une soif inextinguible de bonheur en vous, et c’est cela qui vous permettra de distinguer et de refuser les nombreuses offres "à bon prix" que vous rencontrez autour de vous. Quand nous recherchons le succès, le plaisir, la possession égoïste et que nous en faisons des idoles, nous pouvons, certes, expérimenter des moments d’ivresse, une fausse impression de satisfaction ; mais à la fin nous devenons esclaves, nous ne sommes jamais satisfaits, nous sommes poussés à vouloir toujours plus. Et c’est vraiment triste de voir une jeunesse "repue", mais molle.
Saint Jean écrivait aux jeunes en leur disant : « vous êtes forts, la parole de Dieu demeure en vous et vous avez vaincu le Mauvais » (1 Jn 2, 14). Les jeunes qui choisissent le Christ sont forts, ils se nourrissent de sa Parole et ils ne "se goinfrent" pas d’autres choses ! Ayez le courage d’aller à contre-courant. Ayez le courage du vrai bonheur ! Dites non à la culture du provisoire, de la superficialité et du rejet, qui ne vous estime pas capables d’assumer des responsabilités et d’affronter les grands défis de la vie !
3. Heureux les pauvres de cœur…
La première Béatitude, le thème de la prochaine Journée Mondiale de la Jeunesse, déclare bienheureux les pauvres de cœur, parce que le Royaume des Cieux leur appartient. En des temps où de nombreuses personnes souffrent à cause de la crise économique, associer la pauvreté et le bonheur peut sembler un contre sens. Comment pouvons-nous concevoir la pauvreté comme une bénédiction ?
Essayons d’abord de comprendre ce que signifie "pauvres de cœur". Quand le Fils de Dieu s’est fait homme, il a choisi la voie de la pauvreté, du dépouillement. Comme le dit saint Paul dans la Lettre aux Philippiens : « Ayez entre vous les mêmes sentiments qui sont dans le Christ Jésus : Lui, de condition divine, ne retint pas jalousement le rang qui l’égalait à Dieu. Mais il s’anéantit lui-même, prenant condition d’esclave, et devenant semblable aux hommes ». (2, 5-7). Jésus est Dieu qui se dépouille de sa gloire. Nous voyons ici le choix de la pauvreté de Dieu : de riche qu’il était, il s’est fait pauvre pour nous enrichir par sa pauvreté (cf. 2 Cor 8, 9). C’est le mystère que nous contemplons dans la crèche, en voyant le Fils de Dieu dans une mangeoire ; puis sur la croix, où le dépouillement arrive à son comble.
L’adjectif grec ptochós (pauvre) n’a pas seulement une signification matérielle, mais veut dire "mendiant". Il est relié au concept juif d’anawim, les "pauvres du Seigneur", qui évoque humilité, conscience de ses propres limites, de sa propre condition existentielle de pauvreté. Les anawim se fient au Seigneur, ils savent qu’ils dépendent de Lui.
Comme a bien su le voir sainte Thérèse de l’Enfant Jésus, dans son Incarnation Jésus se présente comme un mendiant, un nécessiteux en quête d’amour. Le Catéchisme de l’Église Catholique parle de l’homme comme d’un "mendiant de Dieu" (n. 2559) et il nous dit que la prière est la rencontre de la soif de Dieu avec notre soif (n. 2560).
Saint François d’Assise a très bien compris le secret de la Béatitude des pauvres de cœur. En effet, quand Jésus lui parla en la personne du lépreux et du Crucifié, il reconnut la grandeur de Dieu et l’humilité de sa propre condition. Dans sa prière le Poverello passait des heures à demander au Seigneur : « Qui es-tu ? Qui suis-je ? ». Il se dépouilla d’une vie aisée et insouciante pour épouser "Dame Pauvreté", pour imiter Jésus et suivre l’Évangile à la lettre. François a vécu l’imitation du Christ pauvre et l’amour pour les pauvres de façon indissociable, comme les deux faces d’une même médaille.
Vous pourrez donc me demander : comme pouvons-nous concrètement transformer cette pauvreté de cœur en un style de vie qui influence réellement notre existence ? Je vous réponds en trois points.
Essayez avant tout d’être libres en face des choses. Le Seigneur nous appelle à un style de vie évangélique caractérisé par la sobriété, à ne pas céder à la culture de la consommation. Il faut rechercher ce qui est essentiel, apprendre à se dépouiller des mille choses superflues et inutiles qui nous étouffent. Détachons-nous du désir de posséder ; ne faisons pas de l’argent une idole, pour ensuite le gaspiller. Mettons Jésus à la première place. Lui peut nous libérer de l’idolâtrie qui nous rend esclaves. Chers jeunes, ayez confiance en Dieu ! Il nous connaît, il nous aime et ne nous oublie jamais. De même qu’il prend soin du lys des champs (cf. Mt 6, 28), il ne nous laissera manquer de rien ! Pour vaincre la crise économique, il faut aussi être prêt à changer de style de vie, et à éviter les nombreux gaspillages. De même qu’il est nécessaire d’avoir le courage du bonheur, il faut avoir aussi le courage de la sobriété.
Deuxièmement, pour vivre cette Béatitude nous avons tous besoin d’une conversion en ce qui concerne les pauvres. Nous devons prendre soin d’eux, être sensibles envers leurs nécessités spirituelles et matérielles. À vous les jeunes, je confie d’une façon particulière la tâche de remettre la solidarité au centre de la culture humaine. Face aux anciennes et aux nouvelles formes de pauvreté – le chômage, l’émigration, les dépendances en tout genre –, nous avons le devoir d’être attentifs et vigilants, et de vaincre la tentation de l’indifférence. Pensons aussi à ceux qui ne se sentent pas aimés, qui n’ont pas d’espoir pour l’avenir, qui renoncent à s’engager dans la vie parce qu’ils sont découragés, déçus, craintifs. Nous devons apprendre à rester avec les pauvres. N’ayons pas la bouche pleine de belles paroles sur les pauvres ! Rencontrons-les, regardons-les dans les yeux, écoutons-les. Les pauvres sont pour nous une occasion concrète de rencontrer le Christ lui-même, de toucher sa chair souffrante.
Mais – et voici le troisième point – les pauvres ne sont pas seulement des personnes à qui nous pouvons donner quelque chose. Eux aussi ont beaucoup à nous offrir et à nous apprendre. Nous avons tant à apprendre de la sagesse des pauvres ! Pensez qu’un saint du XVIIIème siècle, Benoît Joseph Labre, qui dormait dans les rues de Rome et vivait des dons faits par les gens, était devenu le conseiller spirituel d’un grand nombre de personnes, parmi lesquelles même des nobles et des prélats. D’une certaine façon, les pauvres sont comme des maîtres pour nous. Ils nous montrent qu’une personne ne vaut pas tant par ce qu’elle possède ou par ce qu’elle a sur son compte en banque. Un pauvre, une personne privée de biens matériels, conserve toujours sa dignité. Les pauvres peuvent nous en apprendre beaucoup aussi sur l’humilité et la confiance en Dieu. Dans la parabole du pharisien et du publicain (Lc 18, 9-14), Jésus présente ce dernier comme un modèle parce qu’il est humble et se reconnaît pécheur. De même la veuve qui jette deux petites pièces dans le trésor du temple est un exemple de la générosité de celui qui n’ayant pratiquement rien, donne tout (Lc 21,1-4).
4. … parce que le Royaume des Cieux est à eux
Le thème central de l’Évangile de Jésus est le Royaume de Dieu. Jésus est le Royaume de Dieu en personne, il est l’Emmanuel, Dieu-avec-nous. C’est dans le cœur de l’homme que s’installe le Royaume de Dieu et que son règne avance. Le Royaume est à la fois un don et une promesse. Il nous est déjà donné en Jésus, mais il doit encore s’accomplir en plénitude. C’est pourquoi nous prions le Père chaque jour : « Que ton règne vienne ».
Il existe un lien profond entre pauvreté et évangélisation, entre le thème de la dernière Journée Mondiale de la Jeunesse – « Allez donc, de toutes les nations faites des disciples » (Mt 28, 19) – et celui de cette année : « Heureux les pauvres de cœur, car le Royaume des Cieux est à eux » (Mt 5, 3). Le Seigneur désire une Église pauvre et qui évangélise les pauvres. Quand il envoya les Douze en mission, Jésus leur dit : « Ne vous procurez ni or, ni argent, ni menue monnaie pour vos ceintures, ni besace pour la route, ni deux tuniques, ni sandales, ni bâton : car l’ouvrier mérite sa nourriture » (Mt 10, 9-10). La pauvreté évangélique est la condition fondamentale pour que le Royaume de Dieu s’étende. Les joies les plus belles et spontanées que j’ai vues au cours de ma vie sont celles de personnes pauvres et qui ont peu de choses à quoi tenir. L’évangélisation de notre temps sera possible seulement à travers la contagion de la joie.
Comme nous l’avons vu, la Béatitude des pauvres de cœur oriente notre rapport avec Dieu, avec les biens matériels et avec les pauvres. Face à l’exemple et aux paroles de Jésus, nous sentons combien notre conversion est nécessaire, afin que la logique de l’être plus l’emporte sur celle de l’avoir plus ! Les saints peuvent vraiment nous aider à comprendre le sens profond des Béatitudes. La canonisation de Jean-Paul II le deuxième dimanche de Pâques, est en ce sens un événement qui remplit notre cœur de joie. Ce sera lui le grand patron des JMJ, dont il a été l’initiateur et le leader. Et il restera pour vous tous, dans la communion des saints, un père et un ami.
Au mois d’avril prochain nous fêterons également le trentième anniversaire de la remise aux jeunes de la Croix du Jubilé de la Rédemption. C’est justement à partir de cet acte symbolique de Jean-Paul II que commença le grand pèlerinage des jeunes qui, depuis lors, continue de traverser les cinq continents. Beaucoup se souviennent des paroles avec lesquelles, le dimanche de Pâques 1984, le Pape accompagna son geste : « Très chers jeunes, au terme de cette Année Sainte, je vous confie le signe même de cette année jubilaire: la Croix du Christ ! Apportez-la au monde comme signe de notre Seigneur Jésus-Christ pour l'humanité, et annoncez à tous que le Salut et la Rédemption ne se trouvent que dans le Christ, mort et ressuscité ».
Chers jeunes, le Magnificat, le cantique de Marie, pauvre de cœur, est aussi le chant de quiconque vit les Béatitudes. La joie de l’Évangile jaillit d’un cœur pauvre, qui sait exulter et s’émerveiller pour les œuvres de Dieu, comme le cœur de la Vierge, que toutes les générations appellent "bienheureuse" (cf. Lc 1, 48). Mère des pauvres, Étoile de la nouvelle évangélisation, qu’Elle nous aide à vivre l’Évangile, à incarner les Béatitudes dans notre vie, et à avoir le courage du bonheur.
Du Vatican, le 21 janvier 2014, mémoire de sainte Agnès, vierge et martyre.
FRANÇOIS
[00188-03.01] [Texte original: Italien]
● TESTO IN LINGUA INGLESE
"Blessed are the poor in spirit, for theirs is the kingdom of heaven" (Mt 5:3)
Dear Young Friends,
How vividly I recall the remarkable meeting we had in Rio de Janeiro for the Twenty-eighth World Youth Day. It was a great celebration of faith and fellowship! The wonderful people of Brazil welcomed us with open arms, like the statue of Christ the Redeemer which looks down from the hill of Corcovado over the magnificent expanse of Copacabana beach. There, on the seashore, Jesus renewed his call to each one of us to become his missionary disciples. May we perceive this call as the most important thing in our lives and share this gift with others, those near and far, even to the distant geographical and existential peripheries of our world.
The next stop on our intercontinental youth pilgrimage will be in Krakow in 2016. As a way of accompanying our journey together, for the next three years I would like to reflect with you on the Beatitudes found in the Gospel of Saint Matthew (5:1-12). This year we will begin by reflecting on the first Beatitude: "Blessed are the poor in spirit, for theirs is the kingdom of heaven" (Mt 5:3). For 2015 I suggest: "Blessed are the pure in heart, for they shall see God" (Mt 5:8). Then, in 2016, our theme will be: "Blessed are the merciful, for they shall obtain mercy" (Mt 5:7).
1. The revolutionary power of the Beatitudes
It is always a joyful experience for us to read and reflect on the Beatitudes! Jesus proclaimed them in his first great sermon, preached on the shore of the sea of Galilee. There was a very large crowd, so Jesus went up on the mountain to teach his disciples. That is why it is known as "the Sermon on the Mount". In the Bible, the mountain is regarded as a place where God reveals himself. Jesus, by preaching on the mount, reveals himself to be a divine teacher, a new Moses. What does he tell us? He shows us the way to life, the way that he himself has taken. Jesus himself is the way, and he proposes this way as the path to true happiness. Throughout his life, from his birth in the stable in Bethlehem until his death on the cross and his resurrection, Jesus embodied the Beatitudes. All the promises of God’s Kingdom were fulfilled in him.
In proclaiming the Beatitudes, Jesus asks us to follow him and to travel with him along the path of love, the path that alone leads to eternal life. It is not an easy journey, yet the Lord promises us his grace and he never abandons us. We face so many challenges in life: poverty, distress, humiliation, the struggle for justice, persecutions, the difficulty of daily conversion, the effort to remain faithful to our call to holiness, and many others. But if we open the door to Jesus and allow him to be part of our lives, if we share our joys and sorrows with him, then we will experience the peace and joy that only God, who is infinite love, can give.
The Beatitudes of Jesus are new and revolutionary. They present a model of happiness contrary to what is usually communicated by the media and by the prevailing wisdom. A worldly way of thinking finds it scandalous that God became one of us and died on a cross! According to the logic of this world, those whom Jesus proclaimed blessed are regarded as useless, "losers". What is glorified is success at any cost, affluence, the arrogance of power and self-affirmation at the expense of others.
Jesus challenges us, young friends, to take seriously his approach to life and to decide which path is right for us and leads to true joy. This is the great challenge of faith. Jesus was not afraid to ask his disciples if they truly wanted to follow him or if they preferred to take another path (cf. Jn 6:67). Simon Peter had the courage to reply: "Lord, to whom shall we go? You have the words of eternal life" (Jn 6:68). If you too are able to say "yes" to Jesus, your lives will become both meaningful and fruitful.
2. The courage to be happy
What does it mean to be "blessed" (makarioi in Greek)? To be blessed means to be happy. Tell me: Do you really want to be happy? In an age when we are constantly being enticed by vain and empty illusions of happiness, we risk settling for less and "thinking small" when it come to the meaning of life. Think big instead! Open your hearts! As Blessed Piergiorgio Frassati once said, "To live without faith, to have no heritage to uphold, to fail to struggle constantly to defend the truth: this is not living. It is scraping by. We should never just scrape by, but really live" (Letter to I. Bonini, 27 February 1925). In his homily on the day of Piergiorgio Frassati’s beatification (20 May 1990), John Paul II called him "a man of the Beatitudes" (AAS 82 [1990], 1518).
If you are really open to the deepest aspirations of your hearts, you will realize that you possess an unquenchable thirst for happiness, and this will allow you to expose and reject the "low cost" offers and approaches all around you. When we look only for success, pleasure and possessions, and we turn these into idols, we may well have moments of exhilaration, an illusory sense of satisfaction, but ultimately we become enslaved, never satisfied, always looking for more. It is a tragic thing to see a young person who "has everything", but is weary and weak.
Saint John, writing to young people, told them: "You are strong, and the word of God abides in you, and you have overcome the evil one" (1 Jn 2:14). Young people who choose Christ are strong: they are fed by his word and they do not need to ‘stuff themselves’ with other things! Have the courage to swim against the tide. Have the courage to be truly happy! Say no to an ephemeral, superficial and throwaway culture, a culture that assumes that you are incapable of taking on responsibility and facing the great challenges of life!
3. Blessed are the poor in spirit...
The first Beatitude, our theme for the next World Youth Day, says that the poor in spirit are blessed for theirs is the kingdom of heaven. At a time when so many people are suffering as a result of the financial crisis, it might seem strange to link poverty and happiness. How can we consider poverty a blessing?
First of all, let us try to understand what it means to be "poor in spirit". When the Son of God became man, he chose the path of poverty and self-emptying. As Saint Paul said in his letter to the Philippians: "Let the same mind be in you that was in Christ Jesus, who, though he was in the form of God, did not count equality with God a thing to be grasped, but emptied himself, taking the form of a servant, being born in human likeness" (2:5-7). Jesus is God who strips himself of his glory. Here we see God’s choice to be poor: he was rich and yet he became poor in order to enrich us through his poverty (cf. 2 Cor 8:9). This is the mystery we contemplate in the crib when we see the Son of God lying in a manger, and later on the cross, where his self-emptying reaches its culmination.
The Greek adjective ptochós (poor) does not have a purely material meaning. It means "a beggar", and it should be seen as linked to the Jewish notion of the anawim, "God’s poor". It suggests lowliness, a sense of one’s limitations and existential poverty. The anawim trust in the Lord, and they know that they can count on him.
As Saint Therese of the Child Jesus clearly saw, by his incarnation Jesus came among us as a poor beggar, asking for our love. The Catechism of the Catholic Church tells us that "man is a beggar before God" (No. 2559) and that prayer is the encounter of God’s thirst and our own thirst (No. 2560).
Saint Francis of Assisi understood perfectly the secret of the Beatitude of the poor in spirit. Indeed, when Jesus spoke to him through the leper and from the crucifix, Francis recognized both God’s grandeur and his own lowliness. In his prayer, the Poor Man of Assisi would spend hours asking the Lord: "Who are you?" "Who am I?" He renounced an affluent and carefree life in order to marry "Lady Poverty", to imitate Jesus and to follow the Gospel to the letter. Francis lived in imitation of Christ in his poverty and in love for the poor – for him the two were inextricably linked – like two sides of one coin.
You might ask me, then: What can we do, specifically, to make poverty in spirit a way of life, a real part of our own lives? I will reply by saying three things.
First of all, try to be free with regard to material things. The Lord calls us to a Gospel lifestyle marked by sobriety, by a refusal to yield to the culture of consumerism. This means being concerned with the essentials and learning to do without all those unneeded extras which hem us in. Let us learn to be detached from possessiveness and from the idolatry of money and lavish spending. Let us put Jesus first. He can free us from the kinds of idol-worship which enslave us. Put your trust in God, dear young friends! He knows and loves us, and he never forgets us. Just as he provides for the lilies of the field (cf. Mt 6:28), so he will make sure that we lack nothing. If we are to come through the financial crisis, we must be also ready to change our lifestyle and avoid so much wastefulness. Just as we need the courage to be happy, we also need the courage to live simply.
Second, if we are to live by this Beatitude, all of us need to experience a conversion in the way we see the poor. We have to care for them and be sensitive to their spiritual and material needs. To you young people I especially entrust the task of restoring solidarity to the heart of human culture. Faced with old and new forms of poverty – unemployment, migration and addictions of various kinds – we have the duty to be alert and thoughtful, avoiding the temptation to remain indifferent. We have to remember all those who feel unloved, who have no hope for the future and who have given up on life out of discouragement, disappointment or fear. We have to learn to be on the side of the poor, and not just indulge in rhetoric about the poor! Let us go out to meet them, look into their eyes and listen to them. The poor provide us with a concrete opportunity to encounter Christ himself, and to touch his suffering flesh.
However – and this is my third point – the poor are not just people to whom we can give something. They have much to offer us and to teach us. How much we have to learn from the wisdom of the poor! Think about it: several hundred years ago a saint, Benedict Joseph Labré, who lived on the streets of Rome from the alms he received, became a spiritual guide to all sorts of people, including nobles and prelates. In a very real way, the poor are our teachers. They show us that people’s value is not measured by their possessions or how much money they have in the bank. A poor person, a person lacking material possessions, always maintains his or her dignity. The poor can teach us much about humility and trust in God. In the parable of the pharisee and the tax-collector (cf. Lk 18:9-14), Jesus holds the tax-collector up as a model because of his humility and his acknowledgment that he is a sinner. The widow who gave her last two coins to the temple treasury is an example of the generosity of all those who have next to nothing and yet give away everything they have (Lk 21:1-4).
4. … for theirs is the kingdom of heaven
The central theme of the Gospel is the kingdom of God. Jesus is the kingdom of God in person; he is Immanuel, God-with-us. And it is in the human heart that the kingdom, God’s sovereignty, takes root and grows. The kingdom is at once both gift and promise. It has already been given to us in Jesus, but it has yet to be realized in its fullness. That is why we pray to the Father each day: "Thy kingdom come".
There is a close connection between poverty and evangelization, between the theme of the last World Youth Day – "Go therefore, and make disciples of all nations!" (Mt 28:19) – and the theme for this year: "Blessed are the poor in spirit, for theirs is the kingdom of heaven" (Mt 5:3). The Lord wants a poor Church which evangelizes the poor. When Jesus sent the Twelve out on mission, he said to them: "Take no gold, nor silver, nor copper in your belts, no bag for your journey, nor two tunics, nor sandals, nor a staff; for the labourers deserve their food" (Mt 10:9-10). Evangelical poverty is a basic condition for spreading the kingdom of God. The most beautiful and spontaneous expressions of joy which I have seen during my life were by poor people who had little to hold onto. Evangelization in our time will only take place as the result of contagious joy.
We have seen, then, that the Beatitude of the poor in spirit shapes our relationship with God, with material goods and with the poor. With the example and words of Jesus before us, we realize how much we need to be converted, so that the logic of being more will prevail over that of having more! The saints can best help us to understand the profound meaning of the Beatitudes. So the canonization of John Paul II, to be celebrated on the Second Sunday of Easter, will be an event marked by immense joy. He will be the great patron of the World Youth Days which he inaugurated and always supported. In the communion of saints he will continue to be a father and friend to all of you.
This month of April marks the thirtieth anniversary of the entrustment of the Jubilee Cross of the Redemption to the young. That symbolic act by John Paul II was the beginning of the great youth pilgrimage which has since crossed the five continents. The Pope’s words on that Easter Sunday in 1984 remain memorable: "My dear young people, at the conclusion of the Holy Year, I entrust to you the sign of this Jubilee Year: the cross of Christ! Carry it throughout the world as a symbol of the love of the Lord Jesus for humanity, and proclaim to everyone that it is only in Christ, who died and rose from the dead, that salvation and redemption are to be found".
Dear friends, the Magnificat, the Canticle of Mary, poor in spirit, is also the song of everyone who lives by the Beatitudes. The joy of the Gospel arises from a heart which, in its poverty, rejoices and marvels at the works of God, like the heart of Our Lady, whom all generations call "blessed" (cf. Lk 1:48). May Mary, Mother of the poor and Star of the new evangelization help us to live the Gospel, to embody the Beatitudes in our lives, and to have the courage always to be happy.
From the Vatican, 21 January 2014, Memorial of Saint Agnes, Virgin and Martyr
FRANCIS
[00188-02.01] [Original text: Italian]
● TESTO IN LINGUA TEDESCA
»Selig, die arm sind vor Gott; denn ihnen gehört das Himmelreich« (Mt 5,3)
Liebe junge Freunde,
tief in mein Gedächtnis eingegraben ist die außerordentliche Begegnung, die wir in Rio de Janeiro während des XXVIII. Weltjugendtags erlebt haben: ein großes Fest des Glaubens und der Brüderlichkeit! Die guten brasilianischen Menschen haben uns mit weit offenen Armen empfangen, wie die Christus-Statue, die von der Höhe des Corcovado aus die großartige Szenerie des Strandes von Copacabana beherrscht. An der Küste des Meeres hat Jesus seinen Ruf erneuert, damit jeder von uns sein missionarischer Jünger wird, ihn als den kostbarsten Schatz seines Lebens entdeckt und mit den anderen teilt, mit Nahen und Fernen, bis an die äußersten geographischen und existenziellen Ränder unserer Zeit.
Die nächste Etappe der internationalen Pilgerreise der Jugendlichen wird 2016 in Krakau sein. Um unseren Weg abzustecken, möchte ich in den kommenden drei Jahren gemeinsam mit euch über die Seligpreisungen nachdenken, die wir im Matthäusevangelium lesen (5,1-12). In diesem Jahr beginnen wir mit der Betrachtung der ersten: »Selig, die arm sind vor Gott; denn ihnen gehört das Himmelreich« (Mt 5,3); für das Jahr 2015 schlage ich vor: »Selig, die ein reines Herz haben; denn sie werden Gott schauen« (Mt 5,8); und schließlich 2016 wird das Thema sein: »Selig die Barmherzigen; denn sie werden Erbarmen finden« (Mt 5,7).
1. Die umwälzende Kraft der Seligpreisungen
Es tut uns immer sehr gut, die Seligpreisungen zu lesen und zu meditieren! Jesus hat sie in seiner ersten großen Verkündigung am Ufer des Sees von Galiläa ausgerufen. Es war eine große Menschenmenge da, und er stieg auf den Hügel, um seine Jünger zu lehren; darum wird jene Predigt „Bergpredigt" genannt. In der Bibel wird der Berg als der Ort angesehen, an dem Gott sich offenbart, und Jesus, der auf dem Hügel predigt, erscheint als göttlicher Lehrer, als neuer Mose. Und was teilt er mit? Jesus vermittelt den Weg des Lebens, jenen Weg, den er selbst beschreitet, ja, der er selber ist, und er stellt ihn vor als den Weg des wahren Glücks. In seinem ganzen Leben, von der Geburt in der Grotte von Bethlehem bis zum Tod am Kreuz und zur Auferstehung hat Jesus die Seligpreisungen verkörpert. Alle Verheißungen des Gottesreiches haben sich in ihm erfüllt.
Indem er die Seligpreisungen verkündet, lädt Jesus uns ein, ihm zu folgen, mit ihm den Weg der Liebe zu gehen, den einzigen, der zum ewigen Leben führt. Es ist kein einfacher Weg, doch der Herr sichert uns seine Gnade zu und lässt uns nie allein. Armut, Trübsal, Demütigungen, der Kampf für die Gerechtigkeit, die Mühen der täglichen Umkehr, das Ringen, um die Berufung zur Heiligkeit zu leben, Verfolgungen und viele andere Herausforderungen sind in unserem Leben gegenwärtig. Doch wenn wir Jesus die Tür öffnen, wenn wir ihm in unserer Geschichte Raum geben, mit ihm unsere Freuden und Leiden teilen, dann werden wir einen Frieden und eine Freude erfahren, die nur Gott, die unendliche Liebe, geben kann.
Die Seligpreisungen Jesu sind Träger einer umwälzenden Neuheit, eines Modells von Glück, das im Gegensatz zu dem steht, das gewöhnlich von den Medien, vom herrschenden Denken vermittelt wird. Für die weltliche Mentalität ist es ein Skandal, dass Gott gekommen sei, um einer von uns zu werden, dass er an einem Kreuz gestorben sein soll! In der Logik dieser Welt werden die, welche Jesus selig preist, als „Verlierer", als die Schwachen betrachtet. Dagegen werden der Erfolg um jeden Preis, der Wohlstand, die Arroganz der Macht, das Sich-Durchsetzen auf Kosten der anderen verherrlicht.
Jesus befragt uns, liebe junge Freunde, damit wir auf seinen Lebensvorschlag antworten, damit wir uns entscheiden, welchen Weg wir einschlagen wollen, um zur wahren Freude zu gelangen. Es geht um eine große Herausforderung des Glaubens. Jesus hat sich nicht gescheut, seine Jünger zu fragen, ob sie ihm wirklich folgen oder lieber andere Wege gehen wollten (vgl. Joh 6,67). Und Simon, der Petrus genannt wurde, hatte den Mut zu antworten: »Herr, zu wem sollen wir gehen? Du hast Worte des ewigen Lebens« (Joh 6,68). Wenn auch ihr „Ja" zu Jesus sagen könnt, wird sich euer junges Leben mit Sinn erfüllen und so fruchtbar sein.
2. Der Mut zum Glück
Aber was bedeutet „selig" (griechisch makarioi)? Selig bedeutet glücklich. Sagt mir: Strebt ihr wirklich nach dem Glück? In einer Zeit, in der man von so vielen Formen scheinbaren Glücks angezogen wird, läuft man Gefahr, sich mit wenig zu begnügen, eine Lebensvorstellung „im Kleinen" zu haben. Strebt dagegen nach großen Dingen! Macht Eure Herzen weit! Der selige Piergiorgio Frassati sagte: »Leben ohne Glauben, ohne ein Erbe, das man verteidigen muss, ohne in einem ständigen Ringen die Wahrheit zu vertreten, ist nicht leben, sondern dahinkümmern. Wir dürfen niemals dahinkümmern, sondern sollen leben« (Brief an I. Bonini, 27. Februar 1925). Am Tag der Seligsprechung von Piergiorgio Frassati, am 20. Mai 1990, nannte Johannes Paul II. ihn einen »Mann der Seligpreisungen« (Predigt in der Eucharistiefeier: AAS 82 [1990], 1518).
Wenn ihr das innerste Streben eures Herzens wirklich zutage treten lasst, werdet ihr merken, dass in euch ein unstillbares Verlangen nach Glück wohnt, und das wird euch ermöglichen, die vielen „Billigangebote", die ihr in eurer Umgebung findet, zu entlarven und zurückzuweisen. Wenn wir den Erfolg, das Vergnügen, das egoistische Besitzen suchen und daraus Götzen machen, können wir zwar auch Momente des Rausches, ein trügerisches Gefühl der Befriedigung empfinden, doch schließlich werden wir zu Sklaven, sind niemals zufrieden und fühlen uns gedrängt, immer noch mehr zu suchen. Es ist sehr traurig, eine „satte", aber schwache Jugend zu sehen.
Der heilige Johannes wendete sich an die Jugendlichen mit den Worten: »Ich schreibe euch … dass ihr stark seid, dass das Wort Gottes in euch bleibt und dass ihr den Bösen besiegt habt« (1 Joh 2,14). Die Jugendlichen, welche Christus wählen, sind stark, sie nähren sich von seinem Wort und „stopfen" sich nicht „voll" mit anderen Dingen! Habt den Mut, gegen den Strom zu schwimmen! Habt den Mut zum wahren Glück! Sagt „Nein" zur Kultur des Provisorischen, der Oberflächlichkeit und der Aussonderung – eine Kultur, die euch für unfähig hält, Verantwortung zu übernehmen und die großen Herausforderungen des Lebens anzugehen!
3. Selig, die arm sind vor Gott…
Die erste Seligpreisung, das Thema des nächsten Weltjugendtags, erklärt diejenigen für selig, die arm sind vor Gott, denn ihnen gehört das Himmelreich. In einer Zeit, in der viele Menschen unter der Wirtschaftskrise leiden, kann es unangebracht erscheinen, Armut mit Glück zu verbinden. In welchem Sinn können wir die Armut als einen Segen auffassen?
Zuallererst versuchen wir zu begreifen, was »arm vor Gott« bedeutet. Als der Sohn Gottes Mensch wurde, hat er einen Weg der Armut, der Entäußerung gewählt. Wie der heilige Paulus im Brief an die Philipper sagt: » Seid untereinander so gesinnt, wie es dem Leben in Christus Jesus entspricht: Er war Gott gleich, hielt aber nicht daran fest, wie Gott zu sein, sondern er entäußerte sich und wurde wie ein Sklave und den Menschen gleich« (2,5-7). Jesus ist Gott, der sich seiner Herrlichkeit entäußert. Hier sehen wir die Wahl der Armut Gottes: Er, der reich war, wurde arm, um uns durch seine Armut reich zu machen (vgl. 2 Kor 8,9). Es ist das Geheimnis, das wir in den Weihnachtsbildern betrachten, wenn wir den Sohn Gottes in einer Futterkrippe sehen; und dann am Kreuz, wo die Entäußerung ihren Höhepunkt erreicht.
Das griechische Adjektiv ptochós (arm) hat keine nur materielle Bedeutung, sondern meint „bettelnd". Es ist mit dem hebräischen Begriff der anawim, der „Armen Jahwes" zu verbinden, der an Demut erinnert, an das Bewusstsein der eigenen Grenzen, der eigenen Daseinsbedingung der Armut. Die anawim vertrauen auf den Herrn; sie wissen, dass sie von ihm abhängen.
Wie die heilige Theresa vom Kinde Jesu sehr gut gesehen hat, zeigt Jesus sich in seiner Menschwerdung als Bettler, als ein Bedürftiger auf der Suche nach Liebe. Der Katechismus der Katholischen Kirche sagt, dass der Mensch »vor Gott ein Bettler« ist (Nr. 2559) und dass im Gebet der Durst Gottes unserem Durst begegnet (vgl. Nr. 2560).
Der heilige Franziskus von Assisi hat das Geheimnis der Seligkeit der Armen vor Gott sehr gut verstanden. In der Tat, als Jesus in der Person des Aussätzigen und im Gekreuzigten zu ihm sprach, erkannte er die Größe Gottes und die eigene Situation der Niedrigkeit. In seinem Gebet verbrachte Franziskus Stunden mit der Frage: »Wer bist du? Wer bin ich?« Er legte sein bequemes und sorgloses Leben ab, um sich mit der „Herrin Armut" zu vermählen, um Jesus nachzuahmen und das Evangelium wörtlich zu nehmen. Franziskus hat die Nachfolge des armen Christus und die Liebe zu den Armen untrennbar miteinander verbunden gelebt, wie die beiden Seiten einer Medaille.
Ihr könntet mich also fragen: Wie können wir praktisch erreichen, dass diese Armut vor Gott zum Lebensstil wird und konkret unser Leben prägt? Ich antworte euch in drei Punkten.
Versucht vor allem, den Dingen gegenüber frei zu sein. Der Herr ruft uns zu einem evangeliumsgemäßen, schlichten Lebensstil und ermahnt uns, nicht der Kultur des Konsums zu erliegen. Es geht darum, die Wesentlichkeit zu suchen, zu lernen, viel Überflüssiges und Unnötiges, das uns erstickt, abzulegen. Kommen wir von der Habgier los, vom vergötterten und dann verschwendeten Geld. Geben wir Jesus den ersten Platz. Er kann uns von den Vergötterungen befreien, die uns zu Sklaven machen. Vertraut auf Gott, liebe junge Freunde! Er kennt uns, er liebt uns und vergisst uns nie. Wie er für die Lilien des Feldes sorgt (vgl. Mt 6,28), so lässt er es uns an nichts fehlen! Auch um die Wirtschaftskrise zu überwinden, muss man bereit sein, seinen Lebensstil zu ändern und die vielen Verschwendungen zu vermeiden. So wie der Mut zum Glück nötig ist, braucht es auch den Mut zur Genügsamkeit.
An zweiter Stelle bedürfen wir alle, um diese Seligkeit zu leben, der der Umkehr in Bezug auf die Armen. Wir müssen uns um sie kümmern, ihre geistigen und materiellen Bedürfnisse einfühlsam wahrnehmen. Euch Jugendlichen übertrage ich in besonderer Weise die Aufgabe, ins Zentrum der menschlichen Kultur wieder die Solidarität zu setzen. Gegenüber alten und neuen Formen der Armut – Arbeitslosigkeit, Auswanderung, viele Abhängigkeiten verschiedener Art – haben wir die Pflicht, wachsam und informiert zu sein und die Versuchung zur Gleichgültigkeit zu überwinden. Denken wir auch an diejenigen, die sich nicht geliebt fühlen, die keine Zukunftshoffnung haben, die es aufgeben, sich im Leben zu engagieren, weil sie entmutigt, enttäuscht und verängstigt sind. Wir müssen lernen, den Armen nahe zu sein. Nehmen wir den Mund nicht voll mit schönen Worten über die Armen! Gehen wir auf sie zu, sehen wir ihnen in die Augen, hören wir ihnen zu! Die Armen sind für uns eine konkrete Gelegenheit, Christus selbst zu begegnen, seinen leidenden Leib zu berühren.
Doch – und dies ist der dritte Punkt – die Armen sind nicht nur Menschen, denen wir etwas geben können. Auch sie haben uns viel zu geben, viel zu lehren. Wir haben so viel von der Weisheit der Armen zu lernen! Bedenkt, dass ein Heiliger des 18. Jahrhunderts, Benedikt Joseph Labre, der in Rom auf der Straße schlief und von den Almosen der Leute lebte, zum geistlichen Berater vieler Menschen wurde, darunter auch Adelige und Prälaten. In gewissem Sinn sind die Armen für uns wie Lehrmeister. Sie lehren uns, dass der Wert eines Menschen nicht nach seinem Besitz bemessen wird, danach, wie viel er auf seinem Bankkonto hat. Ein Armer, ein Mensch ohne materielle Güter behält immer seine Würde. Die Armen können uns auch viel über die Demut und das Gottvertrauen lehren. Im Gleichnis vom Pharisäer und dem Zöllner (Lk 18,9-14) stellt Jesus Letzteren als Vorbild dar, weil er demütig ist und sich als Sünder bekennt. Auch die Witwe, die zwei kleine Münzen in den Opferkasten des Tempels wirft, ist ein Beispiel der Großherzigkeit derer, die, obwohl sie wenig oder nichts besitzen, alles hergeben (vgl. Lk 21,1-4).
4. …denn ihnen gehört das Himmelreich
Das zentrale Thema im Evangelium Jesu ist das Reich Gottes. Jesus ist das Gottesreich in Person, er ist der Immanuel, der Gott-mit-uns. Und das Herz des Menschen ist der Ort, wo dieses Reich, die Herrschaft Gottes, sich niederlässt und wächst. Das Reich ist zugleich Gabe und Verheißung. In Jesus ist es uns schon gegeben, aber es muss noch seine ganze Erfüllung erreichen. Darum beten wir täglich zum Vater: »Dein Reich komme«.
Es besteht eine enge Verbindung zwischen Armut und Evangelisierung, zwischen dem Thema des letzten Weltjugendtags – »Geht und macht alle Völker zu meinen Jüngern« (vgl. Mt 28,19) – und dem von diesem Jahr: »Selig, die arm sind vor Gott; denn ihnen gehört das Himmelreich« (Mt 5,3). Der Herr möchte eine arme Kirche, die den Armen das Evangelium bringt. Als Jesus die Zwölf aussandte, sagte er zu ihnen: »Steckt nicht Gold, Silber und Kupfermünzen in euren Gürtel. Nehmt keine Vorratstasche mit auf den Weg, kein zweites Hemd, keine Schuhe, keinen Wanderstab; denn wer arbeitet, hat ein Recht auf seinen Unterhalt« (Mt 10,9-10). Die evangelische Armut ist eine Grundvoraussetzung, damit das Reich Gottes sich ausbreitet. Die schönsten und spontansten Freuden, die ich im Laufe meines Lebens gesehen habe, sind die armer Menschen, die wenig haben, an das sie sich klammern können. Die Evangelisierung wird in unserer Zeit nur durch Übertragung von Freude möglich sein.
Wie wir gesehen haben, gibt uns die Seligpreisung derer, die arm sind vor Gott, eine Orientierung für unsere Beziehung zu Gott, zu den materiellen Gütern und zu den Armen. Angesichts des Beispiels und der Worte Jesu werden wir gewahr, wie sehr wir der Umkehr bedürfen und dafür sorgen müssen, dass über die Logik des mehr Habens die des mehr Seins siegt! Die Heiligen sind diejenigen, die uns am besten helfen können, den tiefen Sinn der Seligpreisungen zu begreifen. Die Heiligsprechung Johannes Pauls II. am zweiten Sonntag in der Osterzeit ist in diesem Sinn ein Ereignis, das unser Herz mit Freude erfüllt. Er wird der große Patron der Weltjugendtage sein, deren Initiator und geistlicher Motor er war. Und in der Gemeinschaft der Heiligen wird er euch allen ein Vater und ein Freund bleiben.
In den kommenden April fällt auch der dreißigste Jahrestag der Übergabe des Jubliäumskreuzes an die Jugendlichen. Eigens von dieser symbolischen Handlung Johannes Pauls II. her nahm die große Jugendpilgerschaft ihren Anfang, die seither unentwegt die fünf Kontinente durchzieht. Viele erinnern sich an die Worte, mit denen der Papst am Ostersonntag 1984 seine Geste begleitete: »Liebe Jugendliche, am Ende des Heiligen Jahres übergebe ich euch das Zeichen dieses Jubiläumsjahres: das Kreuz Christi! Tragt es in die Welt als Zeichen der Liebe Jesu, des Herrn, zur Menschheit, und verkündet allen, dass es allein im gestorbenen und auferstandenen Christus Heil und Erlösung gibt.«
Liebe junge Freunde, das Magnificat, der Lobgesang Marias, die arm war vor Gott, ist auch der Lobgesang derer, die die Seligpreisungen leben. Die Freude des Evangeliums entspringt aus einem armen Herzen, das über die Werke Gottes jubeln und staunen kann wie das Herz der Jungfrau, die alle Geschlechter „selig" preisen (vgl. Lk 1,48). Sie, die Mutter der Armen und der Stern der neuen Evangelisierung, helfe uns, das Evangelium zu leben, die Seligkeiten in unserem Leben zu verkörpern und den Mut zum Glück zu haben.
Aus dem Vatikan, am 21. Januar 2014, dem Gedenktag der heiligen Märtyrin Agnes
FRANZISCUS
[00188-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
● TESTO IN LINGUA SPAGNOLA
«Bienaventurados los pobres de espíritu, porque de ellos es el reino de los cielos» (Mt 5,3)
Queridos jóvenes:
Tengo grabado en mi memoria el extraordinario encuentro que vivimos en Río de Janeiro, en la XXVIII Jornada Mundial de la Juventud. ¡Fue una gran fiesta de la fe y de la fraternidad! La buena gente brasileña nos acogió con los brazos abiertos, como la imagen de Cristo Redentor que desde lo alto del Corcovado domina el magnífico panorama de la playa de Copacabana. A orillas del mar, Jesús renovó su llamada a cada uno de nosotros para que nos convirtamos en sus discípulos misioneros, lo descubramos como el tesoro más precioso de nuestra vida y compartamos esta riqueza con los demás, los que están cerca y los que están lejos, hasta las extremas periferias geográficas y existenciales de nuestro tiempo.
La próxima etapa de la peregrinación intercontinental de los jóvenes será Cracovia, en 2016. Para marcar nuestro camino, quisiera reflexionar con vosotros en los próximos tres años sobre las Bienaventuranzas que leemos en el Evangelio de San Mateo (5,1-12). Este año comenzaremos meditando la primera de ellas: «Bienaventurados los pobres de espíritu, porque de ellos es el reino de los cielos» (Mt 5,3); el año 2015: «Bienaventurados los limpios de corazón, porque ellos verán a Dios» (Mt 5,8); y por último, en el año 2016 el tema será: «Bienaventurados los misericordiosos, porque ellos alcanzarán misericordia» (Mt 5,7).
1. La fuerza revolucionaria de las Bienaventuranzas
Siempre nos hace bien leer y meditar las Bienaventuranzas. Jesús las proclamó en su primera gran predicación, a orillas del lago de Galilea. Había un gentío tan grande, que subió a un monte para enseñar a sus discípulos; por eso, esa predicación se llama el "sermón de la montaña". En la Biblia, el monte es el lugar donde Dios se revela, y Jesús, predicando desde el monte, se presenta como maestro divino, como un nuevo Moisés. Y ¿qué enseña? Jesús enseña el camino de la vida, el camino que Él mismo recorre, es más, que Él mismo es, y lo propone como camino para la verdadera felicidad. En toda su vida, desde el nacimiento en la gruta de Belén hasta la muerte en la cruz y la resurrección, Jesús encarnó las Bienaventuranzas. Todas las promesas del Reino de Dios se han cumplido en Él.
Al proclamar las Bienaventuranzas, Jesús nos invita a seguirle, a recorrer con Él el camino del amor, el único que lleva a la vida eterna. No es un camino fácil, pero el Señor nos asegura su gracia y nunca nos deja solos. Pobreza, aflicciones, humillaciones, lucha por la justicia, cansancios en la conversión cotidiana, dificultades para vivir la llamada a la santidad, persecuciones y otros muchos desafíos están presentes en nuestra vida. Pero, si abrimos la puerta a Jesús, si dejamos que Él esté en nuestra vida, si compartimos con Él las alegrías y los sufrimientos, experimentaremos una paz y una alegría que sólo Dios, amor infinito, puede dar.
Las Bienaventuranzas de Jesús son portadoras de una novedad revolucionaria, de un modelo de felicidad opuesto al que habitualmente nos comunican los medios de comunicación, la opinión dominante. Para la mentalidad mundana, es un escándalo que Dios haya venido para hacerse uno de nosotros, que haya muerto en una cruz. En la lógica de este mundo, los que Jesús proclama bienaventurados son considerados "perdedores", débiles. En cambio, son exaltados el éxito a toda costa, el bienestar, la arrogancia del poder, la afirmación de sí mismo en perjuicio de los demás.
Queridos jóvenes, Jesús nos pide que respondamos a su propuesta de vida, que decidamos cuál es el camino que queremos recorrer para llegar a la verdadera alegría. Se trata de un gran desafío para la fe. Jesús no tuvo miedo de preguntar a sus discípulos si querían seguirle de verdad o si preferían irse por otros caminos (cf. Jn 6,67). Y Simón, llamado Pedro, tuvo el valor de contestar: «Señor, ¿a quién vamos a acudir? Tú tienes palabras de vida eterna» (Jn 6,68). Si sabéis decir "sí" a Jesús, entonces vuestra vida joven se llenará de significado y será fecunda.
2. El valor de ser felices
Pero, ¿qué significa "bienaventurados" (en griego makarioi)? Bienaventurados quiere decir felices. Decidme: ¿Buscáis de verdad la felicidad? En una época en que tantas apariencias de felicidad nos atraen, corremos el riesgo de contentarnos con poco, de tener una idea de la vida "en pequeño". ¡Aspirad, en cambio, a cosas grandes! ¡Ensanchad vuestros corazones! Como decía el beato Piergiorgio Frassati: «Vivir sin una fe, sin un patrimonio que defender, y sin sostener, en una lucha continua, la verdad, no es vivir, sino ir tirando. Jamás debemos ir tirando, sino vivir» (Carta a I. Bonini, 27 de febrero de 1925). En el día de la beatificación de Piergiorgio Frassati, el 20 de mayo de 1990, Juan Pablo II lo llamó «hombre de las Bienaventuranzas» (Homilía en la S. Misa: AAS 82 [1990], 1518).
Si de verdad dejáis emerger las aspiraciones más profundas de vuestro corazón, os daréis cuenta de que en vosotros hay un deseo inextinguible de felicidad, y esto os permitirá desenmascarar y rechazar tantas ofertas "a bajo precio" que encontráis a vuestro alrededor. Cuando buscamos el éxito, el placer, el poseer en modo egoísta y los convertimos en ídolos, podemos experimentar también momentos de embriaguez, un falso sentimiento de satisfacción, pero al final nos hacemos esclavos, nunca estamos satisfechos, y sentimos la necesidad de buscar cada vez más. Es muy triste ver a una juventud "harta", pero débil.
San Juan, al escribir a los jóvenes, decía: «Sois fuertes y la palabra de Dios permanece en vosotros, y habéis vencido al Maligno» (1 Jn 2,14). Los jóvenes que escogen a Jesús son fuertes, se alimentan de su Palabra y no se "atiborran" de otras cosas. Atreveos a ir contracorriente. Sed capaces de buscar la verdadera felicidad. Decid no a la cultura de lo provisional, de la superficialidad y del usar y tirar, que no os considera capaces de asumir responsabilidades y de afrontar los grandes desafíos de la vida.
3. Bienaventurados los pobres de espíritu…
La primera Bienaventuranza, tema de la próxima Jornada Mundial de la Juventud, declara felices a los pobres de espíritu, porque a ellos pertenece el Reino de los cielos. En un tiempo en el que tantas personas sufren a causa de la crisis económica, poner la pobreza al lado de la felicidad puede parecer algo fuera de lugar. ¿En qué sentido podemos hablar de la pobreza como una bendición?
En primer lugar, intentemos comprender lo que significa «pobres de espíritu». Cuando el Hijo de Dios se hizo hombre, eligió un camino de pobreza, de humillación. Como dice San Pablo en la Carta a los Filipenses: «Tened entre vosotros los sentimientos propios de Cristo Jesús. El cual, siendo de condición divina, no retuvo ávidamente el ser igual a Dios; al contrario, se despojó de sí mismo tomando la condición de esclavo, hecho semejante a los hombres» (2,5-7). Jesús es Dios que se despoja de su gloria. Aquí vemos la elección de la pobreza por parte de Dios: siendo rico, se hizo pobre para enriquecernos con su pobreza (cf. 2 Cor 8,9). Es el misterio que contemplamos en el belén, viendo al Hijo de Dios en un pesebre, y después en una cruz, donde la humillación llega hasta el final.
El adjetivo griego ptochós (pobre) no sólo tiene un significado material, sino que quiere decir "mendigo". Está ligado al concepto judío de anawim, los "pobres de Yahvé", que evoca humildad, conciencia de los propios límites, de la propia condición existencial de pobreza. Los anawim se fían del Señor, saben que dependen de Él.
Jesús, como entendió perfectamente santa Teresa del Niño Jesús, en su Encarnación se presenta como un mendigo, un necesitado en busca de amor. El Catecismo de la Iglesia Católica habla del hombre como un «mendigo de Dios» (n.º 2559) y nos dice que la oración es el encuentro de la sed de Dios con nuestra sed (n.º 2560).
San Francisco de Asís comprendió muy bien el secreto de la Bienaventuranza de los pobres de espíritu. De hecho, cuando Jesús le habló en la persona del leproso y en el Crucifijo, reconoció la grandeza de Dios y su propia condición de humildad. En la oración, el Poverello pasaba horas preguntando al Señor: «¿Quién eres tú? ¿Quién soy yo?». Se despojó de una vida acomodada y despreocupada para desposarse con la "Señora Pobreza", para imitar a Jesús y seguir el Evangelio al pie de la letra. Francisco vivió inseparablemente la imitación de Cristo pobre y el amor a los pobres, como las dos caras de una misma moneda.
Vosotros me podríais preguntar: ¿Cómo podemos hacer que esta pobreza de espíritu se transforme en un estilo de vida, que se refleje concretamente en nuestra existencia? Os contesto con tres puntos.
Ante todo, intentad ser libres en relación con las cosas. El Señor nos llama a un estilo de vida evangélico de sobriedad, a no dejarnos llevar por la cultura del consumo. Se trata de buscar lo esencial, de aprender a despojarse de tantas cosas superfluas que nos ahogan. Desprendámonos de la codicia del tener, del dinero idolatrado y después derrochado. Pongamos a Jesús en primer lugar. Él nos puede liberar de las idolatrías que nos convierten en esclavos. ¡Fiaros de Dios, queridos jóvenes! Él nos conoce, nos ama y jamás se olvida de nosotros. Así como cuida de los lirios del campo (cfr. Mt 6,28), no permitirá que nos falte nada. También para superar la crisis económica hay que estar dispuestos a cambiar de estilo de vida, a evitar tanto derroche. Igual que se necesita valor para ser felices, también es necesario el valor para ser sobrios.
En segundo lugar, para vivir esta Bienaventuranza necesitamos la conversión en relación a los pobres. Tenemos que preocuparnos de ellos, ser sensibles a sus necesidades espirituales y materiales. A vosotros, jóvenes, os encomiendo en modo particular la tarea de volver a poner en el centro de la cultura humana la solidaridad. Ante las viejas y nuevas formas de pobreza –el desempleo, la emigración, los diversos tipos de dependencias–, tenemos el deber de estar atentos y vigilantes, venciendo la tentación de la indiferencia. Pensemos también en los que no se sienten amados, que no tienen esperanza en el futuro, que renuncian a comprometerse en la vida porque están desanimados, desilusionados, acobardados. Tenemos que aprender a estar con los pobres. No nos llenemos la boca con hermosas palabras sobre los pobres. Acerquémonos a ellos, mirémosles a los ojos, escuchémosles. Los pobres son para nosotros una ocasión concreta de encontrar al mismo Cristo, de tocar su carne que sufre.
Pero los pobres –y este es el tercer punto– no sólo son personas a las que les podemos dar algo. También ellos tienen algo que ofrecernos, que enseñarnos. ¡Tenemos tanto que aprender de la sabiduría de los pobres! Un santo del siglo XVIII, Benito José Labre, que dormía en las calles de Roma y vivía de las limosnas de la gente, se convirtió en consejero espiritual de muchas personas, entre las que figuraban nobles y prelados. En cierto sentido, los pobres son para nosotros como maestros. Nos enseñan que una persona no es valiosa por lo que posee, por lo que tiene en su cuenta en el banco. Un pobre, una persona que no tiene bienes materiales, mantiene siempre su dignidad. Los pobres pueden enseñarnos mucho, también sobre la humildad y la confianza en Dios. En la parábola del fariseo y el publicano (cf. Lc 18,9-14), Jesús presenta a este último como modelo porque es humilde y se considera pecador. También la viuda que echa dos pequeñas monedas en el tesoro del templo es un ejemplo de la generosidad de quien, aun teniendo poco o nada, da todo (cf. Lc 21,1-4).
4. … porque de ellos es el Reino de los cielos
El tema central en el Evangelio de Jesús es el Reino de Dios. Jesús es el Reino de Dios en persona, es el Enmanuel, Dios-con-nosotros. Es en el corazón del hombre donde el Reino, el señorío de Dios, se establece y crece. El Reino es al mismo tiempo don y promesa. Ya se nos ha dado en Jesús, pero aún debe cumplirse en plenitud. Por ello pedimos cada día al Padre: «Venga a nosotros tu reino».
Hay un profundo vínculo entre pobreza y evangelización, entre el tema de la pasada Jornada Mundial de la Juventud –«Id y haced discípulos a todos los pueblos» (Mt 28,19)– y el de este año: «Bienaventurados los pobres de espíritu, porque de ellos es el reino de los cielos» (Mt 5,3). El Señor quiere una Iglesia pobre que evangelice a los pobres. Cuando Jesús envió a los Doce, les dijo: «No os procuréis en la faja oro, plata ni cobre; ni tampoco alforja para el camino; ni dos túnicas, ni sandalias, ni bastón; bien merece el obrero su sustento» (Mt 10,9-10). La pobreza evangélica es una condición fundamental para que el Reino de Dios se difunda. Las alegrías más hermosas y espontáneas que he visto en el transcurso de mi vida son las de personas pobres, que tienen poco a que aferrarse. La evangelización, en nuestro tiempo, sólo será posible por medio del contagio de la alegría.
Como hemos visto, la Bienaventuranza de los pobres de espíritu orienta nuestra relación con Dios, con los bienes materiales y con los pobres. Ante el ejemplo y las palabras de Jesús, nos damos cuenta de cuánta necesidad tenemos de conversión, de hacer que la lógica del ser más prevalezca sobre la del tener más. Los santos son los que más nos pueden ayudar a entender el significado profundo de las Bienaventuranzas. La canonización de Juan Pablo II el segundo Domingo de Pascua es, en este sentido, un acontecimiento que llena nuestro corazón de alegría. Él será el gran patrono de las JMJ, de las que fue iniciador y promotor. En la comunión de los santos seguirá siendo para todos vosotros un padre y un amigo.
El próximo mes de abril es también el trigésimo aniversario de la entrega de la Cruz del Jubileo de la Redención a los jóvenes. Precisamente a partir de ese acto simbólico de Juan Pablo II comenzó la gran peregrinación juvenil que, desde entonces, continúa a través de los cinco continentes. Muchos recuerdan las palabras con las que el Papa, el Domingo de Ramos de 1984, acompañó su gesto: «Queridos jóvenes, al clausurar el Año Santo, os confío el signo de este Año Jubilar: ¡la Cruz de Cristo! Llevadla por el mundo como signo del amor del Señor Jesús a la humanidad y anunciad a todos que sólo en Cristo muerto y resucitado hay salvación y redención».
Queridos jóvenes, el Magnificat, el cántico de María, pobre de espíritu, es también el canto de quien vive las Bienaventuranzas. La alegría del Evangelio brota de un corazón pobre, que sabe regocijarse y maravillarse por las obras de Dios, como el corazón de la Virgen, a quien todas las generaciones llaman "dichosa" (cf. Lc 1,48). Que Ella, la madre de los pobres y la estrella de la nueva evangelización, nos ayude a vivir el Evangelio, a encarnar las Bienaventuranzas en nuestra vida, a atrevernos a ser felices.
Vaticano, 21 de enero de 2014, Memoria de Santa Inés, Virgen y Mártir
FRANCISCO
[00188-04.01] [Texto original: Italiano]
● TESTO IN LINGUA PORTOGHESE
«Felizes os pobres em espírito, porque deles é o Reino do Céu» (Mt 5, 3)
Queridos jovens,
Permanece gravado na minha memória o encontro extraordinário que vivemos no Rio de Janeiro, na XXVIII Jornada Mundial da Juventude: uma grande festa da fé e da fraternidade. A boa gente brasileira acolheu-nos de braços escancarados, como a estátua de Cristo Redentor que domina, do alto do Corcovado, o magnífico cenário da praia de Copacabana. Nas margens do mar, Jesus fez ouvir de novo a sua chamada para que cada um de nós se torne seu discípulo missionário, O descubra como o tesouro mais precioso da própria vida e partilhe esta riqueza com os outros, próximos e distantes, até às extremas periferias geográficas e existenciais do nosso tempo.
A próxima etapa da peregrinação intercontinental dos jovens será em Cracóvia, em 2016. Para cadenciar o nosso caminho, gostaria nos próximos três anos de reflectir, juntamente convosco, sobre as Bem-aventuranças que lemos no Evangelho de São Mateus (5, 1-12). Começaremos este ano meditando sobre a primeira: «Felizes os pobres em espírito, porque deles é o Reino do Céu» (Mt 5, 3); para 2015, proponho: «Felizes os puros de coração, porque verão a Deus» (Mt 5, 8); e finalmente, em 2016, o tema será: «Felizes os misericordiosos, porque alcançarão misericórdia» (Mt 5, 7).
1. A força revolucionária das Bem-aventuranças
É-nos sempre muito útil ler e meditar as Bem-aventuranças! Jesus proclamou-as no seu primeiro grande sermão, feito na margem do lago da Galileia. Havia uma multidão imensa e Ele, para ensinar os seus discípulos, subiu a um monte; por isso é chamado o «sermão da montanha». Na Bíblia, o monte é visto como lugar onde Deus Se revela; pregando sobre o monte, Jesus apresenta-Se como mestre divino, como novo Moisés. E que prega Ele? Jesus prega o caminho da vida; aquele caminho que Ele mesmo percorre, ou melhor, que é Ele mesmo, e propõe-no como caminho da verdadeira felicidade. Em toda a sua vida, desde o nascimento na gruta de Belém até à morte na cruz e à ressurreição, Jesus encarnou as Bem-aventuranças. Todas as promessas do Reino de Deus se cumpriram n’Ele.
Ao proclamar as Bem-aventuranças, Jesus convida-nos a segui-Lo, a percorrer com Ele o caminho do amor, o único que conduz à vida eterna. Não é uma estrada fácil, mas o Senhor assegura-nos a sua graça e nunca nos deixa sozinhos. Na nossa vida, há pobreza, aflições, humilhações, luta pela justiça, esforço da conversão quotidiana, combates para viver a vocação à santidade, perseguições e muitos outros desafios. Mas, se abrirmos a porta a Jesus, se deixarmos que Ele esteja dentro da nossa história, se partilharmos com Ele as alegrias e os sofrimentos, experimentaremos uma paz e uma alegria que só Deus, amor infinito, pode dar.
As Bem-aventuranças de Jesus são portadoras duma novidade revolucionária, dum modelo de felicidade oposto àquele que habitualmente é transmitido pelos mass media, pelo pensamento dominante. Para a mentalidade do mundo, é um escândalo que Deus tenha vindo para Se fazer um de nós, que tenha morrido numa cruz. Na lógica deste mundo, aqueles que Jesus proclama felizes são considerados «perdedores», fracos. Ao invés, exalta-se o sucesso a todo o custo, o bem-estar, a arrogância do poder, a afirmação própria em detrimento dos outros.
Queridos jovens, Jesus interpela-nos para que respondamos à sua proposta de vida, para que decidamos qual estrada queremos seguir a fim de chegar à verdadeira alegria. Trata-se dum grande desafio de fé. Jesus não teve medo de perguntar aos seus discípulos se verdadeiramente queriam segui-Lo ou preferiam ir por outros caminhos (cf. Jo 6, 67). E Simão, denominado Pedro, teve a coragem de responder: «A quem iremos nós, Senhor? Tu tens palavras de vida eterna» (Jo 6, 68). Se souberdes, vós também, dizer «sim» a Jesus, a vossa vida jovem encher-se-á de significado, e assim será fecunda.
2. A coragem da felicidade
O termo grego usado no Evangelho é makarioi, «bem-aventurados». E «bem-aventurados» quer dizer felizes. Mas dizei-me: vós aspirais deveras à felicidade? Num tempo em que se é atraído por tantas aparências de felicidade, corre-se o risco de contentar-se com pouco, com uma ideia «pequena» da vida. Vós, pelo contrário, aspirai a coisas grandes! Ampliai os vossos corações! Como dizia o Beato Pierjorge Frassati, «viver sem uma fé, sem um património a defender, sem sustentar numa luta contínua a verdade, não é viver, mas ir vivendo. Não devemos jamais ir vivendo, mas viver» (Carta a I. Bonini, 27 de Fevereiro de 1925). Em 20 de Maio de 1990, no dia da sua beatificação, João Paulo II chamou-lhe «homem das Bem-aventuranças» (Homilia na Santa Missa: AAS 82 [1990], 1518).
Se verdadeiramente fizerdes emergir as aspirações mais profundas do vosso coração, dar-vos-eis conta de que, em vós, há um desejo inextinguível de felicidade, e isto permitir-vos-á desmascarar e rejeitar as numerosas ofertas «a baixo preço» que encontrais ao vosso redor. Quando procuramos o sucesso, o prazer, a riqueza de modo egoísta e idolatrando-os, podemos experimentar também momentos de inebriamento, uma falsa sensação de satisfação; mas, no fim de contas, tornamo-nos escravos, nunca estamos satisfeitos, sentimo-nos impelidos a buscar sempre mais. É muito triste ver uma juventude «saciada», mas fraca.
Escrevendo aos jovens, São João dizia: «Vós sois fortes, a palavra de Deus permanece em vós e vós vencestes o Maligno» (1 Jo 2, 14). Os jovens que escolhem Cristo são fortes, nutrem-se da sua Palavra e não se «empanturram» com outras coisas. Tende a coragem de ir contra a corrente. Tende a coragem da verdadeira felicidade! Dizei não à cultura do provisório, da superficialidade e do descartável, que não vos considera capazes de assumir responsabilidades e enfrentar os grandes desafios da vida.
3. Felizes os pobres em espírito…
A primeira Bem-aventurança, tema da próxima Jornada Mundial da Juventude, declara felizes os pobres em espírito, porque deles é o Reino do Céu. Num tempo em que muitas pessoas penam por causa da crise económica, pode parecer inoportuno acostar pobreza e felicidade. Em que sentido podemos conceber a pobreza como uma bênção?
Em primeiro lugar, procuremos compreender o que significa «pobres em espírito». Quando o Filho de Deus Se fez homem, escolheu um caminho de pobreza, de despojamento. Como diz São Paulo, na Carta aos Filipenses: «Tende entre vós os mesmos sentimentos que estão em Cristo Jesus: Ele, que é de condição divina, não considerou como uma usurpação ser igual a Deus; no entanto, esvaziou-Se a Si mesmo, tomando a condição de servo e tornando-Se semelhante aos homens» (2, 5-7). Jesus é Deus que Se despoja da sua glória. Vemos aqui a escolha da pobreza feita por Deus: sendo rico, fez-Se pobre para nos enriquecer com a sua pobreza (cf. 2 Cor 8, 9). É o mistério que contemplamos no presépio, vendo o Filho de Deus numa manjedoura; e mais tarde na cruz, onde o despojamento chega ao seu ápice.
O adjectivo grego ptochós (pobre) não tem um significado apenas material, mas quer dizer «mendigo». Há que o ligar com o conceito hebraico de anawim (os «pobres de Iahweh»), que evoca humildade, consciência dos próprios limites, da própria condição existencial de pobreza. Os anawim confiam no Senhor, sabem que dependem d’Ele.
Como justamente soube ver Santa Teresa do Menino Jesus, Cristo na sua Encarnação apresenta-Se como um mendigo, um necessitado em busca de amor. O Catecismo da Igreja Católica fala do homem como dum «mendigo de Deus» (n. 2559) e diz-nos que a oração é o encontro da sede de Deus com a nossa (n. 2560).
São Francisco de Assis compreendeu muito bem o segredo da Bem-aventurança dos pobres em espírito. De facto, quando Jesus lhe falou na pessoa do leproso e no Crucifixo, ele reconheceu a grandeza de Deus e a própria condição de humildade. Na sua oração, o Poverello passava horas e horas a perguntar ao Senhor: «Quem és Tu? Quem sou eu?» Despojou-se duma vida abastada e leviana, para desposar a «Senhora Pobreza», a fim de imitar Jesus e seguir o Evangelho à letra. Francisco viveu a imitação de Cristo pobre e o amor pelos pobres de modo indivisível, como as duas faces duma mesma moeda.
Posto isto, poder-me-íeis perguntar: Mas, em concreto, como é possível fazer com que esta pobreza em espírito se transforme em estilo de vida, incida concretamente na nossa existência? Respondo-vos em três pontos.
Antes de mais nada, procurai ser livres em relação às coisas. O Senhor chama-nos a um estilo de vida evangélico caracterizado pela sobriedade, chama-nos a não ceder à cultura do consumo. Trata-se de buscar a essencialidade, aprender a despojarmo-nos de tantas coisas supérfluas e inúteis que nos sufocam. Desprendamo-nos da ambição de possuir, do dinheiro idolatrado e depois esbanjado. No primeiro lugar, coloquemos Jesus. Ele pode libertar-nos das idolatrias que nos tornam escravos. Confiai em Deus, queridos jovens! Ele conhece-nos, ama-nos e nunca se esquece de nós. Como provê aos lírios do campo (cf. Mt 6, 28), também não deixará que nos falte nada! Mesmo para superar a crise económica, é preciso estar prontos a mudar o estilo de vida, a evitar tantos desperdícios. Como é necessária a coragem da felicidade, também é precisa a coragem da sobriedade.
Em segundo lugar, para viver esta Bem-aventurança todos necessitamos de conversão em relação aos pobres. Devemos cuidar deles, ser sensíveis às suas carências espirituais e materiais. A vós, jovens, confio de modo particular a tarefa de colocar a solidariedade no centro da cultura humana. Perante antigas e novas formas de pobreza – o desemprego, a emigração, muitas dependências dos mais variados tipos –, temos o dever de permanecer vigilantes e conscientes, vencendo a tentação da indiferença. Pensemos também naqueles que não se sentem amados, não olham com esperança o futuro, renunciam a comprometer-se na vida porque se sentem desanimados, desiludidos, temerosos. Devemos aprender a estar com os pobres. Não nos limitemos a pronunciar belas palavras sobre os pobres! Mas encontremo-los, fixemo-los olhos nos olhos, ouçamo-los. Para nós, os pobres são uma oportunidade concreta de encontrar o próprio Cristo, de tocar a sua carne sofredora.
Mas – e chegamos ao terceiro ponto – os pobres não são pessoas a quem podemos apenas dar qualquer coisa. Eles têm tanto para nos oferecer, para nos ensinar. Muito temos nós a aprender da sabedoria dos pobres! Pensai que um Santo do século XVIII, Bento José Labre – dormia pelas ruas de Roma e vivia das esmolas da gente –, tornara-se conselheiro espiritual de muitas pessoas, incluindo nobres e prelados. De certo modo, os pobres são uma espécie de mestres para nós. Ensinam-nos que uma pessoa não vale por aquilo que possui, pelo montante que tem na conta bancária. Um pobre, uma pessoa sem bens materiais, conserva sempre a sua dignidade. Os pobres podem ensinar-nos muito também sobre a humildade e a confiança em Deus. Na parábola do fariseu e do publicano (cf. Lc 18, 9-14), Jesus propõe este último como modelo, porque é humilde e se reconhece pecador. E a própria viúva, que lança duas moedinhas no tesouro do templo, é exemplo da generosidade de quem, mesmo tendo pouco ou nada, dá tudo (Lc 21, 1-4).
4. … porque deles é o Reino do Céu
Tema central no Evangelho de Jesus é o Reino de Deus. Jesus é o Reino de Deus em pessoa, é o Emanuel, Deus connosco. E é no coração do homem que se estabelece e cresce o Reino, o domínio de Deus. O Reino é, simultaneamente, dom e promessa. Já nos foi dado em Jesus, mas deve ainda realizar-se em plenitude. Por isso rezamos ao Pai cada dia: «Venha a nós o vosso Reino».
Há uma ligação profunda entre pobreza e evangelização, entre o tema da última Jornada Mundial da Juventude – «Ide e fazei discípulos entre todas as nações» (Mt 28, 19) – e o tema deste ano: «Felizes os pobres em espírito, porque deles é o Reino do Céu» (Mt 5, 3). O Senhor quer uma Igreja pobre, que evangelize os pobres. Jesus, quando enviou os Doze em missão, disse-lhes: «Não possuais ouro, nem prata, nem cobre, em vossos cintos; nem alforge para o caminho, nem duas túnicas, nem sandálias, nem cajado; pois o trabalhador merece o seu sustento» (Mt 10, 9-10). A pobreza evangélica é condição fundamental para que o Reino de Deus se estenda. As alegrias mais belas e espontâneas que vi ao longo da minha vida eram de pessoas pobres que tinham pouco a que se agarrar. A evangelização, no nosso tempo, só será possível por contágio de alegria.
Como vimos, a Bem-aventurança dos pobres em espírito orienta a nossa relação com Deus, com os bens materiais e com os pobres. À vista do exemplo e das palavras de Jesus, damo-nos conta da grande necessidade que temos de conversão, de fazer com que a lógica do ser mais prevaleça sobre a lógica do ter mais. Os Santos são quem mais nos pode ajudar a compreender o significado profundo das Bem-aventuranças. Neste sentido, a canonização de João Paulo II, no segundo domingo de Páscoa, é um acontecimento que enche o nosso coração de alegria. Ele será o grande patrono das Jornadas Mundiais da Juventude, de que foi o iniciador e impulsionador. E, na comunhão dos Santos, continuará a ser, para todos vós, um pai e um amigo.
No próximo mês de Abril, tem lugar também o trigésimo aniversário da entrega aos jovens da Cruz do Jubileu da Redenção. Foi precisamente a partir daquele acto simbólico de João Paulo II que principiou a grande peregrinação juvenil que, desde então, continua a atravessar os cinco continentes. Muitos recordam as palavras com que, no domingo de Páscoa do ano 1984, o Papa acompanhou o seu gesto: «Caríssimos jovens, no termo do Ano Santo, confio-vos o próprio sinal deste Ano Jubilar: a Cruz de Cristo! Levai-a ao mundo como sinal do amor do Senhor Jesus pela humanidade, e anunciai a todos que só em Cristo morto e ressuscitado há salvação e redenção».
Queridos jovens, o Magnificat, o cântico de Maria, pobre em espírito, é também o canto de quem vive as Bem-aventuranças. A alegria do Evangelho brota dum coração pobre, que sabe exultar e maravilhar-se com as obras de Deus, como o coração da Virgem, que todas as gerações chamam «bem-aventurada» (cf. Lc 1, 48). Que Ela, a mãe dos pobres e a estrela da nova evangelização, nos ajude a viver o Evangelho, a encarnar as Bem-aventuranças na nossa vida, a ter a coragem da felicidade.
Vaticano, 21 de Janeiro – Memória de Santa Inês, virgem e mártir - de 2014.
FRANCISCO
[00188-06.01] [Texto original: Italiano]
● TESTO IN LINGUA POLACCA
„Błogosławieni ubodzy w duchu, albowiem do nich należy królestwo niebieskie" (Mt 5,3)
Drodzy młodzi,
W mojej pamięci głęboko zapisało się niezwykłe spotkanie, jakie przeżyliśmy w Rio de Janeiro podczas XXVIII Światowego Dnia Młodzieży: było to wielkie święto wiary i braterstwa! Wspaniali Brazylijczycy powitali nas z szeroko otwartymi ramionami, tak jak figura Chrystusa Odkupiciela, która z góry Corcovado dominuje nad cudowną scenerią plaży Copacabana. Nad brzegiem morza Jezus ponowił swoje wezwanie, aby każdy z nas stał się Jego uczniem misjonarzem, odkrył Go, jako najcenniejszy skarb swojego życia i dzielił się tym bogactwem z innymi, bliskimi i dalekimi, aż po najdalsze peryferie geograficzne i egzystencjalne współczesności.
Następny etap międzykontynentalnej pielgrzymki młodzieży będzie w Krakowie w roku 2016. Aby nadać rytm naszej drodze, chciałbym wraz z wami w ciągu najbliższych trzech lat zastanowić się nad ewangelicznymi Błogosławieństwami, które czytamy w Ewangelii świętego Mateusza (5, 1-12). W tym roku rozpoczniemy rozważając pierwsze: „Błogosławieni ubodzy w duchu, albowiem do nich należy królestwo niebieskie" (Mt 5,3); na rok 2015 proponuję: „Błogosławieni czystego serca, albowiem oni Boga oglądać będą" (Mt 5, 8); i wreszcie w roku 2016 tematem będzie: „Błogosławieni miłosierni, albowiem oni miłosierdzia dostąpią" (Mt 5,7).
1. Rewolucyjna siła Błogosławieństw
Zawsze wielką korzyścią jest czytanie i rozważanie Błogosławieństw! Jezus głosił je w swoim pierwszym wielkim kazaniu, na brzegu Jeziora Galilejskiego. Był tam wielki tłum, a On wyszedł na wzgórze, aby nauczyć swoich uczniów, dlatego jest ono nazywane „Kazaniem na Górze". W Biblii góra jest postrzegana jako miejsce, gdzie objawia się Bóg, a Jezus głoszący kazanie na wzgórzu przedstawia się jako Boży Nauczyciel, jako nowy Mojżesz. A co przekazuje? Jezus przekazuje drogę życia, tę drogę, którą On sam przebywa, a wręcz którą On sam jest i proponuje ją jako drogę prawdziwego szczęścia. W całym swym życiu, od narodzin w grocie w Betlejem, aż po śmierć na krzyżu i zmartwychwstanie, Jezus był ucieleśnieniem Błogosławieństw. W Nim zostały wypełnione wszystkie obietnice Królestwa Bożego.
Głosząc Błogosławieństwa Jezus zachęca nas, byśmy poszli za Nim, byśmy wraz z Nim szli drogą miłości, jedyną, która prowadzi do życia wiecznego. To nie jest to droga łatwa, ale Pan nam zapewnia swoją łaskę i nigdy nie pozostawia nas samymi. W naszym życiu obecne jest ubóstwo, ucisk, upokorzenia, walka o sprawiedliwość, trudy codziennego nawrócenia, walka, by żyć powołaniem do świętości, prześladowania i tak wiele innych wyzwań. Ale jeśli otworzymy drzwi Jezusowi, jeśli pozwolimy, aby był On obecny w naszej historii, jeśli będziemy z Nim dzielić radości i smutki, to doświadczymy pokoju i radości, które może dać tylko Bóg, nieskończona miłość.
Błogosławieństwa Jezusa niosą rewolucyjną nowość, wzór szczęścia będącego przeciwieństwem tego, co jest zwykle przekazywane przez media, przez dominującą myśl. Dla mentalności światowej zgorszeniem jest to, że Bóg przyszedł, aby być jednym z nas, że umarł na krzyżu! W logice tego świata ci, których Jezus nazywa błogosławionymi są uważani za „przegranych", za słabych. Gloryfikuje się natomiast sukces za wszelką cenę, dobrobyt, arogancję władzy, autoafirmację kosztem innych.
Drodzy młodzi, Jezus stawia przed nami wzywanie, abyśmy odpowiedzieli na Jego propozycję życia, abyśmy postanowili, jaką drogą chcemy iść, żeby osiągnąć prawdziwą radość. Jest to wielkie wyzwanie wiary. Jezus nie bał się zapytać swoich uczniów, czy chcą rzeczywiście pójść za Nim, czy też raczej wolą odejść i pójść innymi drogami (por. J 6,67). A Szymon zwany Piotrem miał odwagę powiedzieć: „Panie, do kogóż pójdziemy? Ty masz słowa życia wiecznego"(J 6,68). Jeśli i wy będziecie umieli powiedzieć Jezusowi „tak", to wasze młode życie wypełni się znaczeniem i w ten sposób będzie owocne.
2. Odwaga szczęścia
Ale co to znaczy „błogosławieni" (po grecku makarioi)? Błogosławiony oznacza szczęśliwy. Powiedzcie mi: czy naprawdę pragniecie szczęścia? Gdy jesteśmy pociągani licznymi pozorami szczęścia, grozi nam, że zadowolimy się byle czym, że będziemy mieli mało ambitną ideę życia. Dążcie natomiast do tego, co wielkie! Poszerzcie wasze serca! Jak mawiał bł. Piergiorgio Frassati: „Życie bez wiary, bez dziedzictwa, którego się broni, bez podtrzymywania prawdy w nieustannej walce, to jest nie życie, lecz wegetacja. My nigdy nie powinniśmy wegetować, zawsze powinniśmy żyć" (List do I. Bonini, 27 lutego 1925). W dniu beatyfikacji Piergiorgio Frassatiego, 20 maja 1990 roku, papież Jan Paweł II nazwał go „człowiekiem błogosławieństw" (Homilia podczas Mszy św.: AAS 82 [ 1990], 1518).
Jeśli naprawdę sprawicie, że ujawnią się najgłębsze oczekiwania waszego serca, to zdacie sobie sprawę, że jest w was niegasnące pragnienie szczęścia, a to wam pozwoli zdemaskować i odrzucić wiele „tanich" ofert, jakie znajdujecie wokół siebie. Kiedy poszukujemy sukcesu, przyjemności, egoistycznego posiadania i czynimy z tego bożki, to możemy wprawdzie doświadczać chwil upojenia, fałszywego poczucia zaspokojenia, ale w końcu stajemy się niewolnikami, nigdy nie jesteśmy zadowoleni, jesteśmy pobudzani, by szukać coraz bardziej. Bardzo smutno widzieć młodzież „sytą", ale słabą.
Święty Jan pisząc do młodych mówił: „Jesteście mocni i nauka Boża trwa w was, i zwyciężyliście Złego" (1J 2,14). Ludzie młodzi, którzy wybierają Chrystusa są silni, karmią się Jego Słowem i nie „opychają się" innymi rzeczami! Miejcie odwagę iść pod prąd. Miejcie odwagę prawdziwego szczęścia! Powiedzcie „nie" kulturze tego, co tymczasowe, powierzchowności i odrzucenia, która uważa, że nie jesteście w stanie wziąć nas siebie odpowiedzialności i zmierzyć się z wielkimi wyzwaniami życia!
3. Błogosławieni ubodzy w duchu …
Pierwsze błogosławieństwo, temat najbliższego Światowego Dnia Młodzieży, ogłasza szczęśliwymi ubogich w duchu, albowiem do nich należy królestwo niebieskie. W czasach, gdy tak wiele osób cierpi z powodu kryzysu gospodarczego, zestawienie ubóstwa i szczęścia może wydawać się nie na miejscu. W jakim sensie możemy pojmować ubóstwo jako błogosławieństwo?
Przede wszystkim starajmy się zrozumieć, co znaczy „ubodzy w duchu". Kiedy Syn Boży stał się człowiekiem, wybrał drogę ubóstwa, ogołocenia. Jak mówi św. Paweł w Liście do Filipian: „Niech was ożywiają uczucia znamienne dla Jezusa Chrystusa. On, istniejąc w postaci Bożej, nie skorzystał ze sposobności, aby na równi być z Bogiem, lecz ogołocił samego siebie, przyjąwszy postać sługi, stawszy się podobnym do ludzi" (2,5-7). Jezus jest Bogiem, który ogołocił się ze swej chwały. Tutaj widzimy Boży wybór ubóstwa: On „będąc bogaty, dla nas stał się ubogim, aby nas ubóstwem swoim ubogacić" (por. 2 Kor 8,9). Jest to tajemnica, którą kontemplujemy w szopce, widząc Syna Bożego w żłobie, a następnie na krzyżu, gdzie ogołocenie osiąga swój szczyt.
Greckie określenie ptochós (ubogi) ma nie tylko znaczenia materialne, ale oznacza „żebrak". Należy je wiązać z żydowskim pojęciem anawim, „ubogimi Jahwe", które przywołuje pokorę, świadomość swoich ograniczeń, swojej zasadniczej egzystencjalnej kondycji ubóstwa. Anawim ufają Panu, wiedzą, że od Niego zależą.
Jak to dobrze potrafiła dostrzec święta Teresa od Dzieciątka Jezus, Pan Jezus w swoim wcieleniu ukazuje się jako żebrak, potrzebujący, poszukujący miłości. Katechizm Kościoła Katolickiego mówi o człowieku jako „żebraku wobec Boga" (n. 2559 ) i powiada nam, że modlitwa jest spotkaniem pragnienia Boga z naszym pragnieniem (n. 2560).
Święty Franciszek z Asyżu bardzo dobrze zrozumiał tajemnicę błogosławieństwa ubogich w duchu. Rzeczywiście, kiedy Jezus przemówił do niego w osobie trędowatego i z krucyfiksu, rozpoznał on wielkość Boga oraz swoją kondycję pokory. W swojej modlitwie Biedaczyna spędzał godziny pytając Pana: „Kim Ty jesteś? Kim jestem ja?". Ogołocił się z życia dostatniego i beztroskiego, aby poślubić „Panią Biedę", aby naśladować Jezusa i dosłownie iść za Ewangelią. Franciszek żył naśladowaniem Chrystusa ubogiego i miłością do ubogich nieodłącznie, jak dwa oblicza tego samego medalu.
Możecie więc mnie zapytać: jak konkretnie możemy sprawić, aby to ubóstwo ducha przekształciło się w styl życia, aby konkretnie wpływało na nasze życie? Odpowiem wam w trzech punktach.
Przede wszystkim starajcie się być wolni wobec rzeczy. Pan nas wzywa do życia ewangelicznego, naznaczonego umiarkowaniem, nie uleganiem kulturze konsumpcji. Chodzi o poszukiwanie tego, co najistotniejsze, nauczenie się ogołocenia z wielu tłumiących nas rzeczy powierzchownych i zbędnych. Zdystansujmy się od żądzy posiadania, od pieniądza najpierw traktowanego bałwochwalczo, a następnie marnowanego. Postawmy Jezusa na pierwszym miejscu. On nas może uwolnić od zniewalającego nas bałwochwalstwa. Pokładajcie ufność w Bogu, droga młodzieży! On nas zna, kocha nas i nigdy o nas nie zapomina. Tak jak troszczy się o lilie polne (por. Mt 6,28), tak też nie pozwoli aby czegokolwiek nam zabrakło. Również by przezwyciężyć kryzys gospodarczy trzeba być gotowym do zmiany stylu życia, do unikania wielu przypadków marnotrawstwa. Tak jak potrzebna jest odwaga szczęścia, tak też trzeba odwagi umiarkowania.
Po drugie, aby żyć tym błogosławieństwem wszyscy potrzebujemy nawrócenia wobec ubogich. Musimy zatroszczyć się o nich, być wrażliwymi na ich potrzeby duchowe i materialne. Wam, młodym powierzam zwłaszcza zadanie stawiania solidarności w centrum ludzkiej kultury. W obliczu dawnych i nowych form ubóstwa - bezrobocia, emigracji, wielu różnego rodzaju uzależnień - mamy obowiązek być czujnymi i świadomymi, przezwyciężając pokusę obojętności. Pomyślmy także o tych, którzy nie czują się kochani, nie mają nadziei na przyszłość, rezygnują z zaangażowania w życie, bo są zrażeni, rozczarowani, zastraszeni. Musimy nauczyć się przebywania z ubogimi. Nie wypełniajmy naszych ust ładnymi słowami o ubogich! Spotkajmy ich, spójrzmy im w oczy, wysłuchajmy ich. Ubodzy są dla nas konkretną okazją spotkania samego Chrystusa, dotknięcia Jego cierpiącego ciała.
Ale - i to jest trzeci punkt – ubodzy są nie tylko osobami, którym możemy coś dać. Również oni mają nam wiele do zaoferowania, aby nas nauczyć. Wiele można się nauczyć z mądrości ubogich! Pomyślcie, że jeden z świętych XVIII wieku, Benedykt Józef Labre, który spał w Rzymie na ulicy i żył z ofiar ludzi, stał się doradcą duchowym wielu osób, w tym szlachty i hierarchów. W pewnym sensie ubodzy są dla nas jakby nauczycielami. Uczą nas, że osoba jest warta nie tyle, ze względu na to jak dużo posiada, jak wiele ma na koncie w banku. Ubogi, osoba pozbawiona dóbr materialnych zawsze zachowuje swoją godność. Ubodzy mogą nas wiele nauczyć także o pokorze i ufności w Bogu. W przypowieści o faryzeuszu i celniku (Łk 18,9-14), Jezus przedstawia celnika jako wzór, bo jest on pokorny i uznaje siebie za grzesznika. Także wdowa, która wrzuciła dwie drobne monety do skarbca świątyni jest przykładem ofiarności tych, którzy, chociaż mając niewiele lub nic, dają wszystko (Łk 21,1-4).
4 . ... albowiem do nich należy królestwo niebieskie
Głównym tematem Jezusowej Ewangelii jest Królestwo Boże. Jezus jest uosobieniem Królestwa Bożego, jest Emmanuelem, Bogiem-z-nami. To w sercu człowieka jest ustanawiane i wzrasta Królestwo, panowanie Boga. Królestwo jest jednocześnie darem i obietnicą. Zostało nam już dane w Jezusie, ale jeszcze się musi dokonać w pełni. Dlatego każdego dnia modlimy się do Ojca: „Przyjdź królestwo Twoje".
Istnieje głębokie powiązanie między ubóstwem a ewangelizacją, między tematem ostatniego Światowego Dnia Młodzieży - „Idźcie i nauczajcie wszystkie narody" (Mt 28,19), a tematem bieżącego roku: „Błogosławieni ubodzy w duchu, albowiem do nich należy królestwo niebieskie" (Mt 5,3). Pan chce Kościoła ubogiego ewangelizującego ubogich. Jezus, kiedy posłał Dwunastu na misję, powiedział im: „Nie zdobywajcie złota ani srebra, ani miedzi do swych trzosów. Nie bierzcie na drogę torby ani dwóch sukien, ani sandałów, ani laski! Wart jest bowiem robotnik swej strawy" (Mt 10, 9-10). Ewangeliczne ubóstwo jest podstawowym warunkiem, aby rozprzestrzeniało się Królestwo Boże. Najpiękniejsze i najbardziej spontaniczne radości, jakie przeżyłem w czasie mojego życia, to radości ludzi ubogich, którzy mają niewiele tego, czego mogliby się trzymać. Ewangelizacja w naszych czasach będzie możliwa jedynie przez zarażanie radością.
Jak widzieliśmy, błogosławieństwo ubogich w duchu, ukierunkowuje naszą relację z Bogiem, z dobrami materialnymi i z ubogimi. W świetle przykładu i słów Jezusa dostrzegamy, jak bardzo potrzebujemy nawrócenia, sprawienia, aby nad logiką posiadania więcej przeważała logika bycia bardziej! Święci to ci, którzy mogą nam najbardziej pomóc zrozumieć głęboki sens błogosławieństw. Dlatego kanonizacja Jana Pawła II, w drugą niedzielę wielkanocną jest wydarzeniem, które napełnia nasze serca radością. Będzie On wielkim patronem Światowego Dnia Młodzieży, którego był inicjatorem i promotorem. A we wspólnocie świętych nadal będzie on dla was wszystkich ojcem i przyjacielem.
W kwietniu przypadnie także trzydziesta rocznica przekazania młodym Krzyża Jubileuszu Odkupienia. Właśnie od tego aktu symbolicznego Jana Pawła II rozpoczęła się wielka pielgrzymka młodzieżowa, która od tej pory nadal przemierza pięć kontynentów. Wielu pamięta słowa, które w Niedzielę Wielkanocną 1984 roku towarzyszyły jego gestowi: „Droga młodzieży, na zakończenie Roku Świętego powierzam wam znak tego Roku Jubileuszowego: Krzyż Chrystusa! Nieście go na cały świat jako znak miłości Pana Jezusa do ludzkości i głoście wszystkim, że tylko w Chrystusie umarłym i zmartwychwstałym jest zbawienie i odkupienie".
Drodzy młodzi, Magnificat, pieśń Maryi, ubogiej w duchu to także pieśń tych, którzy żyją Błogosławieństwami. Radość Ewangelii wypływa z serca ubogiego, które potrafi radować się i zadziwić dziełami Boga, jak serce Dziewicy, którą wszystkie pokolenia nazywają „błogosławioną" (por. Łk 1,48). Niech Ona, Matka ubogich i gwiazda nowej ewangelizacji, pomaga nam żyć Ewangelią, urzeczywistniać Błogosławieństwa w naszym życiu i mieć odwagę szczęścia.
Watykan, 21 stycznia 2014, we wspomnienie św. Agnieszki, dziewicy i męczennicy
FRANCISZEK
[00188-09.01] [Testo originale: Italiano]