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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE, 26.11.2013


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE

INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

INTERVENTO DI S.E. MONS. LORENZO BALDISSERI

INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium del Santo Padre Francesco sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale.
Intervengono: S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione; S.E. Mons. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

 TESTO IN LINGUA ITALIANA

 TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

 TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

 TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

 TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Evangelii gaudium: l’Esortazione Apostolica di Papa Francesco scritta alla luce della gioia per riscoprire la sorgente dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Si potrebbe riassumere in questa espressione l’intero contenuto del nuovo documento che Papa Francesco offre alla Chiesa per delineare le vie di impegno pastorale che la riguarderanno da vicino nel prossimo futuro. Un invito a recuperare una visione profetica e positiva della realtà senza distogliere lo sguardo dalle difficoltà. Papa Francesco infonde coraggio e provoca a guardare avanti nonostante il momento di crisi, facendo ancora una volta della croce e risurrezione di Cristo il "vessillo della vittoria" (85).

A più riprese, Papa Francesco fa riferimento alle Propositiones del Sinodo dell’ottobre 2012, mostrando quanto il contributo sinodale sia stato un punto di riferimento importante per la redazione di questa Esortazione. Il testo, comunque, va oltre l’esperienza del Sinodo. Il Papa imprime in queste pagine non solo la sua esperienza pastorale precedente, ma soprattutto il suo richiamo a cogliere il momento di grazia che la Chiesa sta vivendo per intraprendere con fede, convinzione, ed entusiasmo la nuova tappa del cammino di evangelizzazione. Prolungando l’insegnamento di Evangelii nuntiandi, di Paolo VI, egli pone di nuovo al centro la persona di Gesù Cristo, il primo evangelizzatore, che oggi chiama ognuno di noi a partecipare con lui all’opera della salvezza (12). "L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa" (15) –afferma il Santo Padre- per questo è necessario cogliere il tempo favorevole per scorgere e vivere la "nuova tappa" dell’evangelizzazione (17). Essa si articola su due tematiche particolari che segnano la trama basilare dell’Esortazione. Da una parte, Papa Francesco si rivolge alle Chiese particolari perché, vivendo in prima persona le sfide e le opportunità proprie di ogni contesto culturale, siano in grado di proporre gli aspetti peculiari della nuova evangelizzazione nei loro Paesi. Dall’altra, il Papa traccia un denominatore comune per permettere a tutta la Chiesa, e ad ogni singolo evangelizzatore, di ritrovare una metodologia comune per convincersi che l’impegno di evangelizzazione è sempre un cammino partecipato, condiviso e mai isolato. I sette punti, raccolti nei cinque capitoli dell’Esortazione, costituiscono le colonne fondanti della visione di Papa Francesco per la nuova evangelizzazione: la riforma della Chiesa in uscita missionaria, le tentazioni degli agenti pastorali, la Chiesa intesa come totalità del popolo di Dio che evangelizza, l’omelia e la sua preparazione, l’inclusione sociale dei poveri, la pace e il dialogo sociale, le motivazioni spirituali per l’impegno missionario. Il mastice che tiene unite queste tematiche si concentra nell’amore misericordioso di Dio che va incontro ad ogni persona per manifestare il cuore della sua rivelazione: la vita di ogni persona acquista senso nell’incontro con Gesù Cristo e nella gioia di condividere questa esperienza di amore con gli altri (8).

Il primo capitolo, quindi, si sviluppa alla luce della riforma in chiave missionaria della Chiesa, chiamata ad "uscire" da se stessa per incontrare gli altri. È la "dinamica dell’esodo e del dono dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre" (21), ciò che il Papa esprime in queste pagine. La Chiesa che deve fare sua "l’intimità di Gesù che è un’intimità itinerante" (23). Il Papa, come ormai siamo abituati, indugia in espressioni ad effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice. Tra tutte, quella di "primerear"; cioè Dio ci precede nell’amore indicando alla Chiesa il cammino da seguire. Essa non si trova in un vicolo cieco, ma ripercorre le orme stesse di Cristo (cfr1 Pt 2,21); pertanto, ha certezza del cammino da compiere. Questo non le fa paura, sa che deve "andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un inesauribile desiderio di offrire misericordia" (24). Perché questo avvenga, Papa Francesco ripropone con forza la richiesta della "conversione pastorale". Ciò significa, passare da una visione burocratica, statica e amministrativa della pastorale a una prospettiva missionaria; anzi, una pastorale in stato permanente di evangelizzazione(25). Come, infatti, ci sono strutture che facilitano e sostengono la pastorale missionaria, purtroppo "ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore" (26). La presenza di prassi pastorali stantie e rancide obbliga, quindi, all’audacia di essere creativi per ripensare l’evangelizzazione. In questo senso afferma il Papa: "Un’individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia" (33).

È necessario, pertanto, "concentrarsi sull’essenziale"(35) e sapere che solo una dimensione sistematica, cioè unitaria, progressiva e proporzionata della fede può essere di vero aiuto. Ciò comporta per la Chiesa la capacità di evidenziare la "gerarchia delle verità" e il suo adeguato riferimento con il cuore del Vangelo (37-39). Ciò evita di cadere nel pericolo di una presentazione della fede fatta solo alla luce di alcune questioni morali come se queste prescindessero dal loro rapporto con la centralità dell’amore. Fuori da questa prospettiva, "l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo" (39). C’è un forte richiamo del Papa, quindi, perché si giunga a un sano equilibrio tra il contenuto della fede e il linguaggio che lo esprime. Può accadere, a volte, che la rigidità con cui si intende conservare la precisione del linguaggio, vada a danno del contenuto, compromettendo la visione genuina della fede(41).

Un passaggio certamente importante, in questo capitolo, è il n. 32 dove Papa Francesco mostra l’urgenza per portare a termine alcune prospettive del Vaticano II. In particolare il compito dell’esercizio del Primato del Successore di Pietro, e delle Conferenze Episcopali. Già Giovanni Paolo II in Ut unum sint, aveva avanzato una richiesta di aiuto per comprendere meglio i compiti del Papa nel dialogo ecumenico. Ora, Papa Francesco prosegue su questa richiesta e vede che una più coerente forma di aiuto potrebbe giungere se si sviluppasse ulteriormente lo Statuto delle Conferenze Episcopali. Un ulteriore passaggio di particolare intensità, per le conseguenze che porterà nella pastorale, sono i nn. 38-45: il cuore del Vangelo "si incarna nei limiti del linguaggio umano". La dottrina, cioè, si inserisce nella "gabbia del linguaggio" –per usare un’espressione cara a Wittgenstein- ciò comporta l’esigenza di un reale discernimento tra la povertà e i limiti del linguaggio con la ricchezza –spesso ancora sconosciuta- del contenuto di fede. Il pericolo che la Chiesa possa a volte non considerare questa dinamica è reale; può succedere, quindi, che su alcune posizioni vi sia un arroccamento ingiustificato con il rischio di sclerotizzare il messaggio evangelico senza percepirne più la dinamica propria dello sviluppo.

Il secondo capitolo è dedicato a recepire le sfide del mondo contemporaneo e a superare le facili tentazioni che minano la nuova evangelizzazione. In primo luogo, afferma il Papa, è necessario recuperare la propria identità senza avere complessi di inferiorità che portano poi ad "occultare la propria identità e le convinzioni… che finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono" (79). Ciò fa cadere i cristiani in un "relativismo ancora più pericoloso di quello dottrinale" (80), perché intacca direttamente lo stile di vita dei credenti. Avviene così, che in molte espressioni della nostra pastorale le iniziative risentano di pesantezza perché al primo posto viene messa l’iniziativa e non la persona. Sostiene il Papa, che la tentazione di una "spersonalizzazione della persona" per favorire l’organizzazione, è reale e comune. Alla stessa stregua, le sfide nell’evangelizzazione dovrebbero essere accolte più come una chance per crescere, che non come un motivo per cadere in depressione. Bando quindi al "senso della sconfitta" (85). E’ necessario recuperare il rapporto interpersonale perché abbia il primato sulla tecnologia dell’incontro, fatto con il telecomando in mano per stabilire come, dove, quando e per quanto tempo incontrare gli altri a partire dalla proprie preferenze(88). Tra queste sfide, comunque, oltre alle usuali e più diffuse, è necessario cogliere quelle che hanno una valenza più diretta nella vita. Il senso di "quotidiana precarietà, con conseguenze funeste", le varie forme di "disparità sociale", il "feticismo del denaro e la dittatura di un’economia senza volto", la "esasperazione del consumo" e il "consumismo sfrenato"... insomma, si è dinanzi a una "globalizzazione dell’indifferenza" e a un "disprezzo beffardo" nei confronti dell’etica con un permanente tentativo di emarginare ogni richiamo critico nei confronti del predominio del mercato che con la sua teoria della "ricaduta favorevole" illude sulla reale possibilità di andare a favore dei poveri (cfr nn. 52-64). Se la Chiesa oggi appare ancora fortemente credibile in tanti Paesi del mondo, anche là dove è minoranza, questo è dovuto alla sua opera di carità e solidarietà (65).

Nell’evangelizzazione per il nostro tempo, pertanto, soprattutto dinanzi alle sfide delle grandi "culture urbane" (71), i cristiani sono invitati a fuggire da due espressioni che ne minano la natura stessa, e che Papa Francesco definisce "mondanità" (93). In primo luogo, il "fascino dello gnosticismo"; una fede cioè rinchiusa in se stessa, nelle sue certezze dottrinali, e che fa delle proprie esperienze il criterio di verità per il giudizio degli altri. Inoltre, il "neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico" di quanti ritengono che la grazia sia solo un accessorio mentre ciò che crea progresso è solo il proprio impegno e le proprie forze. Tutto questo contraddice l’evangelizzazione. Crea una sorta di "elitarismo narcisista" che deve essere evitato (94). Cosa vogliamo essere, si domanda il Papa, "Generali di eserciti sconfitti" oppure "semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere"? Il rischio di una "Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali" (96), non è recondito, ma reale. Occorre, quindi, non soccombere a queste tentazioni, ma offrire la testimonianza della comunione (99). Essa si fa forte della complementarità. A partire da questa considerazione, Papa Francesco espone l’esigenza per la promozione del laicato e della donna; dell’impegno per le vocazioni e dei sacerdoti. Guardare alla Chiesa con il progresso compiuto in questi decenni richiede di evitare la mentalità del potere, ma a far crescere quella del servizio per la costruzione unitaria della Chiesa (102-108).

L’evangelizzazione è un compito di tutto il popolo di Dio, nessuno escluso. Essa, non è riservata né può essere delegata a un gruppo particolare. Tutti i battezzati sono direttamente coinvolti. Papa Francesco spiega, nel terzo capitolo dell’Esortazione, come essa si possa sviluppare e le tappe che ne esprimono il progresso. In primo luogo, si sofferma a evidenziare il "primato della grazia" che opera instancabilmente nella vita ogni evangelizzatore(112). Sviluppa, inoltre, il tema del grande ruolo svolto dalle varie culture nel loro processo di inculturazione del Vangelo, e previene dal cadere nella "vanitosa sacralizzazione della propria cultura" (117). Indica poi il percorso fondamentale della nuova evangelizzazione nell’incontro interpersonale (127-129) e nella testimonianza di vita (121). Insiste, infine, perché si valorizzi la pietà popolare, perché esprime la fede genuina di tante persone che in questo modo danno vera testimonianza dell’incontro semplice con l’amore di Dio (122-126). Da ultimo, un invito del Papa ai teologi perché studino le mediazioni necessarie per giungere alla valorizzazione delle varie forme di evangelizzazione (133), mentre si sofferma più a lungo sul tema dell’omelia come forma privilegiata dell’evangelizzazione che richiede una autentica passione e amore per la Parola di Dio e per il popolo che ci è affidato (135-158).

Il quarto capitolo è dedicato alla riflessione sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Un tema caro a Papa Francesco perché "se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice" (176). È il grande tema del legame tra l’annuncio del Vangelo e la promozione della vita umana in tutte le sue espressioni. Una promozione integrale di ogni persona che impedisce di rinchiudere la religione come un fatto privato senza alcuna incidenza nella vita sociale e pubblica. Una "fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo" (183). Due grandi tematiche appartengono a questa sezione dell’Esortazione. Il Papa ne parla con particolare passione evangelica, consapevole che segneranno il futuro dell’umanità: anzitutto, "l’inclusione sociale dei poveri"; inoltre,"la pace e il dialogo sociale".

Per quanto concerne il primo punto, con la nuova evangelizzazione la Chiesa sente come propria missione quella di "collaborare per risolvere le cause strumentali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri", come pure quella di "gesti semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete" che ogni giorno sono dinanzi ai nostri occhi(188). Ciò che giunge da queste dense pagine, è un invito a riconoscere la "forza salvifica" che i poveri possiedono, e che deve essere posta al centro della vita della Chiesa con la nuova evangelizzazione (198). Ciò significa, comunque, riscoprire anzitutto l’attenzione, l’urgenza e la consapevolezza di questa tematica, prima ancora di ogni esperienza concreta. Non solo, l’opzione fondamentale verso i poveri che preme di essere realizzata, sostiene Papa Francesco, è primariamente quella di una "attenzione spirituale" e "religiosa"; essa è prioritaria su ogni altra forma(200). Su questi temi, la parola di Papa Francesco è franca, detta con parresia e senza circonlocuzioni. Un "Pastore di una Chiesa senza frontiere" (210), non può permettersi di volgere lo sguardo altrove. Ecco perché mentre chiede con forza di considerare il tema dei migranti, denuncia con altrettanta chiarezza le nuove forme di schiavitù: "Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete di prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità" (211). A scanso di equivoci, il Papa difende con altrettanta forza la vita umana nel suo primo inizio e la dignità di ogni essere vivente (213). Per quanto concerne il secondo aspetto, il Papa enuclea quattro principi che sono come il denominatore comune per la crescita nella pace e la sua concreta applicazione sociale. Memore, forse, dei suoi studi su R. Guardini, Papa Francesco sembra creare una nuova opposizione polare; ricorda infatti che "Il tempo è superiore allo spazio", "l’unità prevale sul conflitto", la "realtà è più importante dell’idea" e che il "tutto è superiore alla parte". Questi principi si aprono alla dimensione del dialogo come primo contributo per la pace. Esso si estende nel corso della Esortazione all’ambito della scienza, nei confronti dell’ecumenismo e delle religioni non cristiane.

L’ultimo capitolo intende esprimere lo "spirito della nuova evangelizzazione" (260). Esso si sviluppa sotto il primato dell’azione dello Spirito Santo che infonde sempre e di nuovo l’impulso missionario a partire dalla vita di preghiera, dove la contemplazione occupa il posto centrale(264). La Vergine Maria "stella della nuova evangelizzazione" è presentata, a conclusione, come l’icona della genuina azione di annuncio e trasmissione del Vangelo che la Chiesa è chiamata a compiere nei prossimi decenni con entusiasmo forte e immutato amore per il Signore Gesù.

"Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!" (83). È un linguaggio chiaro, immediato, senza retorica né sottointesi, quello con cui ci si incontra in questa Esortazione Apostolica. Papa Francesco va al cuore dei problemi che vive l’uomo di oggi e che, da parte della Chiesa, richiedono molto più di una semplice presenza. A lei è chiesta una fattiva azione programmatica e una rinnovata prassi pastorale che evidenzi il suo impegno per la nuova evangelizzazione. Il Vangelo deve giungere a tutti, senza esclusione di sorta. Alcuni, comunque, sono privilegiati. A scanso di equivoci, Papa Francesco presenta il suo orientamento: "Non tanto gli amici e i vicini ricchi, bensì soprattutto i poveri, gli infermi coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati… non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro" (48).

Come in altri momenti cruciali della storia, così anche oggi la Chiesa sente l’urgenza di affinare lo sguardo per compiere l’evangelizzazione alla luce dell’adorazione; con uno "sguardo contemplativo" per vedere ancora i segni della presenza di Dio. Segni dei tempi non solo incoraggianti, ma posti come criterio per una efficace testimonianza (71). Primo fra tutti, Papa Francesco ricorda il mistero centrale della nostra fede: "Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada" (3). Quella che Papa Francesco ci indica, alla fine, è la Chiesa che si fa compagna di strada di quanti sono nostri contemporanei nella ricerca di Dio e nel desiderio di vederlo.

[01757-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Evangelii gaudium : l’Exhortation apostolique du Pape François écrite à la lumière de la joie, pour redécouvrir la source de l’évangélisation dans le monde contemporain. C’est ainsi que l’on pourrait résumer le contenu de ce nouveau document que le Pape François donne à l’Eglise pour préciser les chemins que la pastorale doit emprunter dans un avenir immédiat. C’est une invitation à retrouver une vision prophétique et positive de la réalité, sans pour autant se cacher les difficultés. Le François nous encourage et nous engage à regarder devant nous, au-delà de ce temps de crise, faisant une nouvelle fois de la croix et de la résurrection du Christ l’ « étendard de la victoire » (85).

A plusieurs reprises, le Pape François fait référence aux Propositiones du Synode d’octobre 2012, montrant ainsi combien la contribution du Synode fut importante dans la rédaction de cette Exhortation. Le document va cependant plus loin que l’expérience synodale. Le Pape y imprime non seulement sa propre expérience pastorale, mais aussi l’invitation à accueillir le moment de grâce que vit l’Eglise, afin d’avancer avec foi, conviction et enthousiasme la nouvelle étape de l’évangélisation. Reprenant l’enseignement de Evangelii nuntiandi de Paul VI, il place de nouveau au centre la personne de Jésus Christ, premier évangélisateur qui appelle chacun de nous à prendre part avec lui à l’œuvre du salut (12). « L’action missionnaire est le paradigme de toute œuvre de l’Eglise » (15) affirme le Saint Père. C’est pourquoi il nous faut accueillir ce temps favorable pour discerner et vivre la « nouvelle étape » de l’évangélisation (17) qui s’articule autour de deux thèmes qui forment la trame de l’Exhortation. D’une part, le Pape François s’adresse aux Eglises particulières, confrontées aux défis et aux opportunités propres aux différents contextes culturels, pour qu’elles soient en mesure de spécifier le travail de nouvelle évangélisation dans leurs pays. D’autre part, le Pape indique un dénominateur commun, pour que toute l’Eglise, et chaque évangélisateur, puisse adopter une méthode commune, signe que l’évangélisation est un chemin où l’on marche à plusieurs, jamais de façon isolée. Les sept points, regroupés dans les cinq chapitres de l’Exhortation, constituent la vision du Pape à propos de la nouvelle évangélisation : la réforme de l’Eglise sur la voie de la mission, les tentations des agents pastoraux, l’Eglise comprise comme la totalité du Peuple de Dieu qui évangélise, l’homélie et sa préparation, l’intégration sociale des pauvres, la paix et le dialogue social, les motivations spirituelles de l’engagement missionnaire. Le lien entre tous ces thèmes est l’amour miséricordieux de Dieu qui va à la rencontre de chacun pour manifester le cœur de la révélation : la vie de chacun trouve son sens dans la rencontre de Jésus-Christ et dans la joie de partager cette expérience d’amour avec les autres (8).

Le premier chapitre développe la réforme de l’Eglise sur la voie de la mission, appelée à « sortir » d’elle-même pour aller à la rencontre des autres. Le Pape y exprime la « dynamique de l’exode et du don que représente le fait de sortir de soi, de cheminer et de semer toujours, et toujours plus loin » (21). L’Eglise doit faire sienne l’ »intimité de Jésus qui est une intimité itinérante » (23). Comme nous y sommes désormais habitués, le Pape s’attarde en des expressions qui font leur effet et crée des néologismes pour faire comprendre la nature de l’évangélisation. Parmi eux, le « primerear », c’est-à-dire Dieu qui nous précède dans l’amour, montrant à l’Eglise le chemin à parcourir. L’Eglise n’est pas dans une obscure impasse, mais avance sur les pas du Christ (Cf 1 P 2, 21), pour cela sûre du chemin qu’elle parcourt. C’est pourquoi elle avance sans peur. Elle sait qu’elle doit « aller à la rencontre, chercher ceux qui sont loin, parvenir jusqu’aux croisements des routes pour inviter les exclus. Son désir de proposer la miséricorde est inépuisable » (24). Pour aller dans cette voie, le Pape François insiste sur la « conversion pastorale », qui veut dire passer d’une vision bureaucratique, statique et administrative de la pastorale à une perspective missionnaire, où la pastorale est en état permanent d’évangélisation (25). De même qu’il y a des structures qui facilitent et soutiennent la pastorale missionnaire, il y a malheureusement « des structures ecclésiales qui peuvent conditionner le dynamisme évangélisateur » (26). L’existence de pratiques pastorales dépassées et fanées oblige à la créativité pour repenser l’évangélisation. En ce sens, le Pape affirme : « Une détermination des objectifs sans un travail de recherche communautaire des moyens à prendre pour les atteindre est vouée à demeurer une pure fantaisie » (33).

Il faut donc « se concentrer sur l’essentiel » (35) et savoir que seule une dimension systématique, c’est-à-dire unifiée, progressive et proportionnée de la foi, peut nous venir en aide. L’Eglise doit pouvoir établir une « hiérarchie des vérités » et sa relation avec le cœur de l’Evangile (37-39). Il nous faudra éviter de tomber dans le piège d’une présentation de la foi seulement sous son aspect moral, en d’éloignant du caractère central de l’amour. Dans le cas contraire, l’ « édifice moral de l’Eglise risque de s’effondrer comme un château de carte, et ceci est le plus grand danger » (39). Le Pape insiste fortement pour que l’on trouve l’équilibre entre le contenu de la foi et le langage pour l’exprimer. La rigidité avec laquelle on tient à la précision du langage peut parfois en ruiner le contenu en se détournant d’une authentique vision de la foi (41).

Le passage important de ce chapitre est le n° 32 où le Pape François montre l’urgence qu’il y a à avancer dans certaines perspectives de Vatican II. Il s’agit en particulier du primat du Successeur de Pierre et des Conférences épiscopales. Déjà, dans Ut unum sint, Jean-Paul II avait demandé qu’on l’aide à mieux comprendre les objectifs du Pape dans le dialogue œcuménique. Le Pape François va dans le même sens et se demande si une telle aide ne pourrait pas parvenir d’une évolution du statut des Conférences épiscopales. Un autre passage (n° 38-45) est particulièrement important quant aux conséquences qu’il implique dans la pastorale : le cœur de l’Évangile « s’incarne dans les limites du langage humain ». La doctrine s’insère dans la « cage du langage », pour employer une expression chère à Wittgenstein, ce qui implique un vrai discernement entre la pauvreté et les limites du langage, et la richesse – souvent encore inconnue – du contenu de la foi. Le danger est réel que l’Église ne prenne pas en compte cette dynamique. Il peut ainsi arriver que sur certaines positions, il y ait comme un enfermement et une sclérose du message évangélique, en n’en percevant plus le développement propre.

Le deuxième chapitre est consacré aux défis du monde contemporain et aux tentations qui amoindrissent la nouvelle évangélisation. Tout d’abord, le pape affirme qu’il est nécessaire de retrouver son identité sans complexe d’infériorité qui amènerait à « cacher son identité et ses convictions… parvenant ainsi à étouffer la joie de la mission en une sorte d’obsession d’être comme tout le monde et d’avoir ce que les autres possèdent » (79). Les chrétiens tombent alors dans un « relativisme encore plus dangereux que le relativisme doctrinal » (80), parce qu’il touche directement la façon de vivre des chrétiens. Il arrive ainsi que dans de nombreuses manifestations de la pastorale, les initiatives sont plombées par la mise en avant de l’initiative et non des personnes. Le pape affirmé que la tentation est réelle et commune d’une « dépersonnalisation de la personne ». De la même façon, le défi de l’évangélisation devrait être abordé comme une chance pour croître, plutôt que comme une raison de tomber en dépression. Mort à l’ « esprit défaitiste » (88). Il nous faut retrouver le primat de la relation personnelle sur la technique de la rencontre qui déciderait comment, où et pour combien de temps il faudrait rencontrer les autres en partant de ses préférences (88). Parmi ces défis, il nous faut relever ceux qui ont un rapport direct avec la vie. La « précarité quotidienne avec ses funestes conséquences », les différentes formes de « disparité sociale », le « fétichisme de l’argent et la dictature d’une économie sans visage », l’ « exaspération de la consommation » et le « consumérisme effréné »… nous place face à une « globalisation de l’indifférence » et une « dépréciation moqueuse » de la morale, qui exclut toute critique de la domination du marché, qui, à travers la théorie de la « rechute favorable » illusionne sur les réelles possibilités d’agir en faveur des pauvres (Cf. N° 52-64). Si l’Eglise demeure crédible en beaucoup de pays du monde, y compris là où elle est minoritaire, c’est en raison de ses œuvres de charité et de solidarité (65).

Pour l’évangélisation de notre temps, face au défi des grandes « cultures urbaines », les chrétiens sont invités à fuir deux expressions qui en détruisent la nature et que le Pape François appelle « mondanité » (93). Il s’agit en premier lieu de la « fascination du gnosticisme » : une foi repliée sur elle-même, sur ses certitudes doctrinales, et qui transforme l’expérience qu’on en fait en critères de vérité pour juger les autres. Le « néo pélagianisme autoréférentiel et prométhéen » de ceux pour qui la grâce n’est qu’un accessoire tandis que leur engagement et leurs forces sont seuls responsables du progrès. Tout ceci contredit l’évangélisation et crée une sorte d’ « élitisme narcissique » qui doit être repoussé (94). Qui voulons-nous être, se demande le Pape ? « Généraux d’armées défaites » ou bien « simples soldats d’un bataillon qui continue à combattre » ? Le risque d’une « Eglise mondaine drapée dans le spirituel et le pastoral » (96) est bien réel. Il nous faut donc résister à ces tentations et offrir le témoignage de la communion (99) qui s’appuie sur la complémentarité. A partir de là, le Pape François milite pour la promotion des laïcs et des femmes, de l’engagement pour les vocations et les prêtres. Regarder ce que l’Eglise a accompli comme progrès ces dernières années nous éloigne d’une mentalité de pouvoir, au profit du service pour une construction unifiée de l’Eglise (102-108).

L’évangélisation est la mission de tout le peuple de Dieu, sans exclusive. Elle ne peut être réservée ou déléguée à un groupe particulier. Tous les baptisés sont directement concernés. Dans le troisième chapitre de l’Exhortation, le Pape François en explique le développement et ses étapes. On met en évidence en premier lieu le « primat de la grâce » qui agit inlassablement dans la vie de tout évangélisateur (112). Puis est développé le rôle des différentes cultures dans le processus d’inculturation de l’Evangile, et le danger de tomber dans « l’orgueilleuse sacralisation de sa propre culture » (117). Enfin, on parle du rôle fondamental de la rencontre personnelle (127-129) et du témoignage de vie (121). On insiste enfin sur la valeur de la piété populaire, où s’exprime la foi authentique de tant de personnes qui donnent ainsi le témoignage de la simplicité de la rencontre de l’amour de Dieu (122-126). Pour terminer, le Pape invite les théologiens à valoriser les diverses formes d’évangélisation (133), et s’arrête assez longuement sur l’homélie comme forme privilégiée d’évangélisation, et qui demande une vraie passion et un vrai amour de la Parole de Dieu et du peuple qui nous est confié (135-158).

Le quatrième chapitre est consacré à la dimension sociale de l’évangélisation. C’est un thème cher au Pape François parce que « si cette dimension n’est pas clairement prise en compte, on court le risque de défigurer le sens authentique et intégral de la mission d’évangélisation » (176). C’est le thème majeur du lien entre l’annonce de l’Evangile et la promotion de la vie humaine en toutes ses expressions. La promotion intégrale de toute personne nous empêche d’enfermer la religion en un fait privé, dépourvu de conséquences sur la vie sociale et publique. Une « foi authentique implique toujours un désir profond de changer le monde (183). Deux grands thèmes font partie de ce passage de l’Exhortation. Le Pape en parle avec une grande passion évangélique, conscient que l’avenir de l’humanité est en jeu : l’ « intégration sociale des pauvres » et « la paix et le dialogue social ».

S’agissant du premier point, l’église, à travers la nouvelle évangélisation ressent comme sienne la mission de « collaborer pour résoudre les causes instrumentales de la pauvreté et pour promouvoir le développement intégral des pauvres », comme d’accomplir « des gestes simples et quotidiens de solidarité face à la misère concrète « qui est chaque jour devant nos yeux »(188). Ce qui ressort de ces pages denses, c’est l’appel à reconnaître la « force salvifique » des pauvres, et qui doit être au centre de la vie de l’Eglise avec la nouvelle évangélisation (198). Il nous faut donc redécouvrir d’abord l’attention, l’urgence, la conscience de ce thème, avant toute expérience concrète. Pour le Pape François, non seulement l’option fondamentale pour les pauvres doit être réalisée, mais elle est d’abord une « attention spirituelle » et « religieuse » et est pour cela prioritaire (200). Sur ces thèmes, la Parole du Pape François est franche et sans détour. Un « Pasteur d’une Eglise sans frontière » 8 210), ne peut se permettre de regarder ailleurs. C’est pourquoi il demande avec force de considérer la question des migrants et énonce clairement les nouvelles formes d’esclavage. « Où est celui qui tue chaque jour dans la petite fabrique clandestine, dans le système de prostitution, les enfants utilisés pour mendier, en celui qui doit travailler caché parce qu’il n’est pas régularisé ? Ne nous leurrons pas. Il y a de nombreuses complicités » (211). De mille manières, le Pape défend la vie humaine depuis son commencement et la dignité de tout être vivant (213). Sur le second aspect, le Pape énonce quatre principes qui sont le dénominateur commun pour l’avancée de la paix et sa traduction sociale. Peut-être en mémoire de ses études sur R. Guardini, le Pape François semble créer une nouvelle opposition polaire. Il rappelle en effet que « le temps est supérieur à l’espace », « l’unité a le dessus sur le conflit », la « réalité est plus importante que les idées », et « le tout est supérieur aux parties ». Ceci nous amène au dialogue comme première contribution à la paix, et qui concerne, dans l’Exhortation, la science, l’œcuménisme et le rapport avec les religions non chrétiennes.

Le dernier chapitre parle de l’ « esprit de la nouvelle évangélisation » (260). Elle se développe sous l’action de l’Esprit Saint qui anime de façon toujours nouvelle l’élan missionnaire à partir de la vie de prière où la contemplation tient la place centrale (264). La Vierge Marie « étoile de la nouvelle évangélisation » est présentée, en conclusion, comme l’icône de l’annonce et la transmission de l’Evangile que l’Église est appelée à vivre avec enthousiasme et dans l’amour du Seigneur Jésus.

« Ne nous laissons pas voler la joie de l’évangélisation ! » (83). Le langage de cette Exhortation apostolique est clair et immédiat, sans rhétorique ni sous-entendu. Le Pape François va au cœur des problèmes de l’homme d’aujourd’hui, qui demandent à l’Église plus qu’une simple présence. Il lui est demandé de renouveler ses programmes et sa pratique pastorale dans le sens de la nouvelle évangélisation. L’Evangile doit être adressé à tous, sans exclusive. Certains, cependant, sont privilégiés. Sans équivoque, le Pape François précise son orientation : « Ce ne sont pas tant les amis et les riches voisins, mais plutôt les pauvres, les infirmes, ceux qui sont souvent dévalorisés et oubliés….. aucun doute ou explication ne doivent affaiblir ce message si clair » (48).

Comme en d’autres moments importants de son histoire, l’Eglise d’aujourd’hui ressent le besoin d’un regard attentif pour évangéliser à la lumière de l’adoration, avec ce « regard contemplatif » pour voir les signes de la présence de Dieu. Les signes des temps ne sont pas seulement encouragés, mais ils deviennent critères d’un témoignage efficace (71). Premier d’entre nous, le Pape François nous rappelle le mystère central de notre foi : « Ne nous éloignons pas de la résurrection de Jésus, ne nous donnons jamais pour vaincus, arrivera ce qui arrivera » (3). L’Eglise du Pape François se fait compagnon de route de nos contemporains en recherche de Dieu et désireux de le voir.

[01757-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

If we were to sum up Pope Francis’s Evangelii Gaudium in a few words, we could say that it is an Apostolic Exhortation written around the theme of Christian joy in order that the Church may rediscover the original source of evangelization in the contemporary world. Pope Francis offers this document to the Church as a map and guide to her pastoral mission in the near future. It is an invitation to recover a prophetic and positive vision of reality without ignoring the current challenges. Pope Francis instills courage and urges us to look ahead despite the present crisis, making the cross and the resurrection of Christ once again our "the victory banner" (85).

The several references in Evangelii Gaudium to the Propositions of the October, 2012 Synod on the New Evangelization for the Transmission of the Christian Faith are a testimony to the extent to which the last Synod has influenced the drafting of this Exhortation. This text, however, goes beyond the experience of the Synod. The Pope commits to paper not only his previous pastoral experience, but above all his call to seize the moment of grace in which the Church is living in order to embrace with faith, conviction and enthusiasm a new phase in the journey of evangelization. Extending the teaching of the Apostolic Exhortation Evangelii nuntiandi of Paul VI (1975), he emphasizes the centrality of the person of Jesus Christ, the first evangelizer, who today calls each and every one of us to participate with him in the work of salvation (12). "The Church’s missionary action is the paradigm for all of her endeavors" (15), affirms the Holy Father, so that it is necessary to seize this favorable moment in order to catch sight of and live out this "new stage" of evangelization (17). This missionary action is articulated in two themes which mark the basic outline of the Exhortation. On the one hand, Pope Francis addresses the particular Churches because, living in the first-person the challenges and opportunities characteristic of their cultural context, they are able to highlight aspects of the new evangelization which are peculiar to their countries. On the other hand, the Pope sets out a common denominator in order that the whole Church, and each individual evangelizer, may discover a common methodology born of the conviction that evangelization is always participatory, shared and never isolated. The following seven points, gathered together in the five chapters of the Exhortation, constitute the fundamental pillars of Pope Francis’ vision of the new evangelization: the reform of the Church in a missionary key, the temptations of pastoral agents, the Church understood as the totality of the People of God which evangelizes, the homily and its preparation, the social inclusion of the poor, peace and social dialogue, and the spiritual motivations for the Church’s missionary action. The cement which binds these themes together is concentrated in the merciful love of God which goes forth to meet every person in order to manifest the heart of his revelation: the life of every person acquires meaning in the encounter with Jesus Christ and in the joy of sharing this experience of love with others (8).

The first chapter, therefore, proceeds in the light of the reform of the Church in a missionary key, called as she is to "go out" of herself in order to meet others. It is "the dynamic of exodus and the gift of going out of oneself, walking and sowing ever a new, always further and beyond" (21), that the Pope explains in these pages. The Church must make "this intimacy of Jesus, which is an itinerant intimacy", its own intimacy (23). The Pope, as we are already accustomed to, makes use of effective expressions and creates neologisms to grasp the nature of the Church’s evangelizing action. First among these is the concept of "primerear", namely God preceding us in love and indicating to the Church the path to follow. The Church does not find herself in a dead-end, but is following in the very footsteps of Christ (cfr. 1 Peter 2,21). Thus the Church is certain of the path she must follow. She does not tread this path in fear since she knows that she is called "to go out in search of those who are far from her and arrive at the crossroads in order to invite those who are excluded. She is filled with an unlimited desire to offer mercy." (24). In order for this to occur, Pope Francis again stresses the need for "pastoral conversion" (25). This involves passing from a bureaucratic, static and administrative vision of pastoral ministry to a perspective which is not only missionary but is in a permanent state of evangelization (25). In fact, alongside the structures which facilitate and sustain the Church’s missionary activity there are, unfortunately, "ecclesial structures which can jeopardize the dynamism of evangelization" (26). The existence of stagnant and stale pastoral practices obliges us, therefore, to be boldly creative in order to rethink evangelization. In this sense, the Pope affirms that: "an identification of the goals without adequate research on the part of the community as to how to achieve them is doomed to end in mere fantasy" (33).

It is necessary, therefore, "to concentrate on what is essential" (35) and to know that only a systematic approach, i.e. one that is unitary, progressive and proportional to the faith, can be of true assistance. This implies for the Church the capacity to bring out "the hierarchy of truths" and its proper reference to the heart of the Gospel (37-39), thereby avoiding the danger of presenting the faith only in the light of some moral questions as if these could stand apart from the centrality of love. If we lose sight of this perspective, "the moral edifice of the Church runs the risk of becoming a house of cards, and this is our biggest danger" (39). So there is a strong appeal from the Pope to find a healthy balance between the content of the faith and the language in which it is expressed. It may happen at times that the rigidity of linguistic precision can be to the detriment of content, thus compromising the genuine vision of the faith (41).

One of the central passages in this chapter is certainly paragraph 32 in which Pope Francis illustrates the urgency of bringing to fruition some of the perspectives of the Second Vatican Council, in particular the exercise of the Primacy of the Successor of Peter and of the role of Episcopal Conferences. John Paul II in Ut unum sint, had already requested assistance in order to better understand the obligations of the Pope in ecumenical dialogue. Now, Pope Francis continues in this request and sees that a more coherent form of assistance could be derived from the further development of the theoretical foundations of Episcopal Conferences. Another passage of particular intensity for its pastoral implications are paragraphs 38-45. The heart of the Gospel "is incarnate within the limits of the human language". As a consequence, doctrine is inserted into "the cage of language"—to use Wittgenstein’s expression—which implies the necessity of a real discernment between the poverty and the limits of language, on the one hand, and the often yet to be discovered richness of the content of faith, on the other. The danger that the Church may at times fail to consider this dynamic is a real one, giving rise to an unjustified fortress mentality in relation to certain questions which risks rendering the Gospel message inflexible while at the same time losing sight of the dynamic proper to its development.

The second chapter is dedicated to recognizing the challenges of the contemporary world and to overcoming the easy temptations which undermine the New Evangelization. In the first place, the Pope affirms, we must recover our identity without those inferiority complexes which lead to "concealing our identity and convictions … and end up suffocating the joy of our mission as we become obsessed over becoming like everyone else possessing the things which they possess" (79). This makes Christians fall into "a kind of relativism which is more dangerous than the doctrinal one" (80), because it impinges directly on the lifestyle of believers. So it happens that many expressions of our pastoral activity suffer from a kind of weariness which derives from placing the accent on the initiatives themselves and not on the person. The Pope believes that the temptation of a "de-personalization of the person" in order to become better organized is both real and common. By the same token, the challenges in evangelization should be accepted more as a chance to grow and as not as a reason for falling into depression. There should be no talk, then, of a "sense of defeat" (85). It is essential that we recover interpersonal relationships to which we must accord a priority over the technology which seeks to govern relationships as with a remote control, deciding where, when and for how long to meet others on the basis of one’s own preferences (88). As well as the more usual and more diffuse challenges, however, we must be alive to those which impinge more directly on our lives: the sense of "daily uncertainty, with evil consequences", the various forms of "social disparity", the "fetishism of money and the dictatorship of a faceless economy", the "exasperation of consumption" and "unbridled consumerism".... In short, we find ourselves in the presence of a "globalization of indifference" and a "sneering contempt" towards ethics, accompanied by a constant attempt to marginalize every critical warning over the supremacy of the market which, with its "trickle down" creates the illusion of helping the poor (cfr nn. 52-64). If the Church today appears still highly credible in many countries of the world, even where it is a minority, its is because of her works of charity and solidarity (65).

In the evangelization of our time, therefore, and most especially in the face of the challenges of the great "urban cultures" (71), Christians are invited to flee from two phenomena which undermine its very nature and which Pope Francis defines as "worldliness" (93). First, the "charm of Gnosticism" which implies a faith closed in on itself, not least in its own doctrinal certainties, and which erects its own experience as the criterion of truth by which to judge others. Second, a "self-referential and Promethean Neo-Pelagianism" of those who maintain that the grace is only an accessory while progress is obtained only through personal commitment and force. All of this stands in contradiction to evangelization. It creates a type of "narcissistic elitism" which must be avoided (94). Who do we want to be, asks the Pope, "Generals of defeated troops" or "foot soldiers of a platoon which continues to fight"? The risk of a "worldly Church in spiritual or pastoral trappings" (96), is not hidden but real. It is vital, then, not to succumb to these temptations but to offer the testimony of communion (99). This testimony is reinforced by complementarity. Starting from this consideration, Pope Francis explains the necessity of the promotion of lay people and women, and the need to foster vocations and the priestly life. To look upon the Church in the light of the progress of these last decades demands that we subtract ourselves from a mentality of power and embrace a logic of service for the united construction of the Church (102-108).

Evangelization is the task of the entire People of God, without exception. It is not, nor could it be, reserved or delegated to any particular group. All baptized people are directly involved. Pope Francis explains, in the third chapter of the Exhortation, how evangelization may develop and the various stages which may indicate its progress. First, he is keen to underline the "the primacy of grace" which works tirelessly in the life of every evangelizer (112). Then the Pope develops the theme of the great role played by various cultures in the process of the inculturation of the Gospel, and which prevents a particular culture from falling into a "vainglorious sacralization of itself" (117). He then indicates the fundamental direction of the new evangelization in the interpersonal relationships (127-129) and in the testimony of life (121). He insists, furthermore, on rediscovering the value of popular piety as an expression of the genuine faith of many people who thereby give true testimony of their simple encounter with the love of God (122-126). Finally, the Pope invites theologians to study the mediations necessary in order to arrive at an appreciation of the various forms of evangelization (133), reflecting more at length on the homily as a privileged from of evangelization which requires an authentic passion and love for the Word of God and for the people to whom it is entrusted (135-158).

The fourth chapter is given over to a reflection on the social dimension of evangelization. This is a theme which is dear to Pope Francis since, as he states, "If this dimension is not explained in the correct way, we run the risk of disfiguring the authentic and full meaning of the mission of evangelization" (176). This is the great theme of the link between the preaching of the Gospel and the promotion of human life in all of its expressions. This promotion of every human being must be holistic and capable of avoiding the relegation of religion to the private sphere, with no incidence in social and public life. A "faith which is authentic always implies a profound desire to change the world" (183). Two great themes emerge in this section of the Exhortation: the "social inclusion of the poor" and "peace and social dialogue". The particular evangelical passion with which the Pope speaks about them is indicative of his conviction that they will decide the future of humanity.

As far as concerns the "social inclusion of the poor", with the New Evangelization the Church feels it is her mission "to contribute to the resolution of the instrumental causes of poverty and to promote the integral development of the poor", as well as undertaking "simple and daily gestures of solidarity in the face of the many concrete situations of need" which are constantly before our eyes (188). What emerges from these closely written pages is an invitation to recognise the "salvific force" which the poor possess and which must be brought to the center of the life of the Church with the New Evangelization (198). This implies that first of all, before any concrete experience, there be a rediscovery of the attention due to this theme together with its urgency and the need to promote its awareness. Moreover, the fundamental option for the poor which asks to be put into practice is, in the mind of Pope Francis, primarily a "religous and spiritual attention" which must take priority over all else (200). On these questions Pope Francis speaks with extreme frankness and clarity. The "Shepherd of a Church without borders" (210) cannot allow himself to look away. This is why the Pope demands that we consider the problems of migration and is equally strong in his denunciation of the new forms of slavery. "Where is the person that you are killing every day in his secret little factory, in networks of prostitution, in children used for professional begging, in those who must work in secret because they are irregular? Let us not pretend. All of us have some share of responsability in these situations" (211). Also, the Pope is equally forceful in his defence of human life in its beginning and of the dignity of every human person (213). Concerning this latter aspect, the Pope enounces four principles which serve as a common denominator for the promotion of peace and its concrete social application. Recalling, perhaps, his studies into Romano Guardini, Pope Francis seems to create a new polar opposition. He reminds us that "time is superior to space", "unity prevails over conflict", "reality is more important than ideas", and that "the whole is greater than its parts". These principles open up to the dimension of dialogue as the first contribution towards peace, a dimension which is extended in the Exhortation to the areas of science, ecumenism and non-Christian religions.

The final chapter seeks to express the "spirit of the New Evangelization" (260). This is developed under the primacy of the action of the Holy Spirit which always and anew infuses the missionary impluse in the Church beginning with the life of prayer whose center is contemplation (264). In conclusion, the Virgin Mary, "Star of the New Evangelization" is presented as the icon of every authentic preaching and transmission of the Gospel which the Church is called to undertake in the coming decades with a strong enthusiasm and an unchanging love for the Lord Jesus.

"Let us not allow ourselves to be robbed of the joy of evangelization" (83). The language of this Apostolic Exhortation is clear, immediate, free from rhetoric and insinuations. Pope Francis goes to the heart of the problems which touch the lives of men and women of today and which demand of the Church more than a simple presence. The Church is asked to actively program a renewed pastoral practice which reflects her engagement in the New Evangelization. The Gospel must reach everyone, without exception. Some, however, are more privileged than others. Pope Francis leaves us in no doubt as to his position: "Not so much friends and rich neighbours, but above all the poor, the sick, those who are often ignored and forgotten … there must be no doubts or explanations which weaken the clarity of this message" (48).

As in other crucial moments of her history, it is with a sense of urgency that the Church prepares to engage in the New Evangelization in a spirit of adoration so as to behold once again, with a "contemplative gaze", the signs of the presence of God. The signs of the times are not only encouraging, but are serve as a criterion for effective witness (71). Pope Francis reminds us, first of all, of the central mystery of our faith: "Let us not run away from the resurrection of Jesus, let us not surrender, come what may" (3). He shows us a Church which is the companion of those who are our contemporaries in the seeking after God and in the desire to see him.

[01757-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Evangelii gaudium: Die Apostolische Exhortation von Papst Franziskus ist geschrieben im Licht der Freude darüber, dass die Quelle der Evangelisierung in der Welt von heute zu entdecken ist. Dieser Satz kann den Inhalt des neuen Dokumentes zusammenfassen, welches Papst Franziskus der Kirche übergibt, um die Grundlinien ihres pastoralen Einsatzes zu beschreiben, den die unmittelbare Zukunft verlangt. Es ist eine Einladung, die Gegenwart aus einer prophetischen Vision und positiv zu betrachten, ohne dabei ihre Schwierigkeiten zu übersehen. Papst Franziskus ermutigt und fordert heraus nach vorne zu schauen, trotz der momentanen Krise. Einmal mehr sieht er das Kreuz und die Auferstehung als das „Siegeszeichen", das uns auf diesem Weg anführt.(85)

Wiederholt bezieht sich Papst Franziskus auf die Propositionen der Synode vom Oktober 2012. Er zeigt damit wie sehr der Synodenbeitrag ein wichtiger Bezugspunkt bei der Verfassung dieser Exhortation war. Der Text geht jedoch über die Erfahrung der Bischofsversammlung hinaus. Der Papst hat auf diesen Seiten nicht nur seine vorausgehenden pastorale Erfahrungenzum Ausdruck gebracht, er lädt auch ein, den Augenblick der Gnade zu nutzen den die Kirche momentan erlebt, und mit Glaube, Überzeugung und Enthusiasmus einen neuen Abschnitt auf dem Weg der Evangelisierung zu betreten. In der Fortführung der Lehre von Paul VI in Evangelii nuntiandi stellt er erneut die Person Jesus Christus ins Zentrum. Er ist der erste Evangelisierer, der einen jeden von uns heute einlädt mit ihm am "Werk der Erlösung" (12) teilzuhaben.„Das missionarische Wirken ist das Paradigma allen kirchlichen Handelns" (15) unterstreicht der Papst. Darum gilt es den günstigen Zeitpunkt zu nutzen, um die „neue Etappe" der Evangelisierung zu erkennen und zu leben (17).Diese drückt sich in zwei besonderen Thematiken aus, die den roten Faden der Exhortation bilden. Auf der einen Seite wendet sich Papst Franziskus an die Ortskirchen. Diese leben und erleben aus erster Hand die Herausforderungen und Chancen ihres kulturellen Umfeldes. Sie sollen in der Lage sein, die besonderen Aspekte einer Neuevangelisierung in ihren Ländern vorzuschlagen. Auf der anderen Seite zeichnet der Papst einen gemeinsamen Nenner, der es der ganzen Kirche und jedem einzelnen Evangeliserer erlauben, eine gemeinsame Methode zu entdecken, und so sicherzustellen, dass der Evangelisierungsprozess auf einem gemeinsamen Weg geschieht, von allen geteilt wird und nicht isoliert stattfindet. Die sieben Punkte, aufgeteilt auf die fünf Kapitel der Exhortation, bilden die tragenden Säulen der Vision von Papst Franziskus für die Neuevangelisierung:Die Reform der Kirche in missionarischer Perspektive; die Versuchungen denen pastorale Mitarbeiter ausgesetzt sind; die Kirche als Ganzheit des evangelisierenden Gottesvolkes; die Predigt und ihre Vorbereitung; die gesellschaftliche Einbeziehung der Armen; Friede und sozialer Dialog und spirituelle Gründe für den missionarischen Einsatz. Der „Klebstoff", der diese Themen verbindet ist hauptsächlich die erbarmende Liebe Gottes, der jedem Menschen entgegenkommt und ihm das Herzstück seiner Offenbarung anbietet: Das Leben einer jeden Person erfährt Sinn in der Begegnung mit Jesus Christus und in der Freude, die das Teilen und Mit-Teilen dieser Liebeserfahrung mit sich bringt (8).

Das erste Kapitel entfaltet sich im Licht der Reform der Kirche, die – in der grundgelegten missionarischen Perspektive – dazu berufen ist, aus sich selbst „heraus zu gehen" und den Anderen zu begegnen. Der Papst bringt auf diesen Seiten die "Dynamik des Exodus und das Geschenk des aus sich Herausgehens, des Beschreiten des Weges und die immer neue Aussaat an immer neuen Orten" (21) zum Ausdruck. Die Kirche muss sich den Still „der tiefgehenden Beziehungen Jesu aneignen, die immer ‚itinerante’ Beziehungen sind, Beziehungen auf dem Weg" (23).Wir sind es mittlerweile gewohnt, dass der Papst gerne eindrückliche Bilder und Worte wählt. So haben wir auch hier Wortschöpfungen, mit denen er versucht die Natur des evangelisierenden Handelns einzufangen. Hier ist besonders der Begriff des "zuvorkommenden Gottes"(Das ist ein Versuch den Begriff "primerear" annähernd ins Deutsche zu übersetzen. A.d.Ü.) zu nennen, mit dem er zum Ausdruck bringt, dass Gott uns in seiner Liebe immer zuvorkommt und so der Kirche den Weg weist, dem es zu folgen gilt. Diese findet sich keinesfalls in einer Sackgasse, sondern folgt den Fußspuren Jesu (vgl.1 Pet 2,21); darum vertraut sie dem Weg, den es zu gehen gilt. Er macht ihr keine Angst. Sie weiß, dass sie den "Weg der Begegnung gehen muss, die zu suchen hat, die fern sind, und an den Wegkreuzungen die Ausgegrenzten einzuladen hat. Sie lebt aus dem unerschöpflichen Verlangen Barmherzigkeit anzubieten" (24).Damit das geschehen kann, wiederholt Papst Franziskus erneut die Forderung nach einer "pastorale Bekehrung". Dies geschieht durch den Wechsel von einer Pastoral, die eher auf Statistiken beruht sowie bürokratisch und administrativ geprägt ist, hin zu einer missionarischen Ausrichtung, ja zu einer Pastoral im Zustand „ständiger Evangelisierung" (25). Wie es natürlich hilfreiche Strukturen gibt, die eine missionarische Pastoral unterstützen, so gibt es leider auch "kirchliche Strukturen, die die Dynamik der Evangelisierung behindern" (26). Das Vorhandensein einer abgestandenen und veralteten Pastoral zwingt dazu die Evangelisierung auf kreative Art neu zu denken. In diesem Zusammenhang betont der Papst: „Ziele zu benennen ohne eine angemessene gemeinschaftliche Suche nach den Wegen wie diese erreicht werden können, führt unweigerlich zu Luftschlössern" (33).

Es ist darum notwendig, sich "auf das Wesentliche zu konzentrieren" (35) und zu wissen, dass nur eine systematische, d.h. einheitliche, fortschreitende und angemessene Dimension des Glaubens wirklich hilfreich ist. Das bringt für die Kirche die Fähigkeit mit sich, die "Hierarchie der Wahrheiten" deutlich zu machen und ihren angemessenen Bezug zum Kern des Evangeliums (37-39). Das verhindert der Versuchung zu erliegen, den Glauben allein im Licht einiger moralischer Fragen zu präsentieren, so als wären diese losgelöst von der zentralen Rolle der Liebe. Ohne eine solche Perspektive, "besteht die Gefahr, dass das moralische Gebäude der Kirche zum Kartenhaus wird. Das ist unsere größte Gefahr."(39) Der Papst unterstreicht also stark, dass es zu einem gesunden Gleichgewicht kommen muss zwischen dem Glaubensinhalt und der Sprache, mit dem dieser zum Ausdruck gebracht wird. Es kann geschehen, dass die Unbeweglichkeit mit der man die Exaktheit der Sprache zu erhalten versucht, letztlich dem Inhalt schadet und die ursprünglichen Vision des Glaubens kompromittiert. (41)

Ein wichtiger Abschnitt in diesem Kapitle ist die Nr. 32. Papst Franziskus zeigt dort die Dringlichkeit auf, einige Perspektiven des 2. Vatikanischen Konzils zu Ende zu führen. Im Besonderen geht es dabei um die Art und Weise wie des Primates des Nachfolgers Petri ausgeübt wird und um die Bischofskonferenzen. Schon Johannes Paul II. hatte in Ut unum sint um Vorschläge gebeten, wie man die Aufgabe des Papstes im ökumenischen Kontext besser verstehen könnte. Papst Franziskus erneuert nun diese Bitte. Er sieht eine angemessene Hilfe in der Weiterentwicklung des Statutes der Bischofskonferenzen. Ein weiterer Schritt, der wegen seiner Folgen für die Pastoral von großer Bedeutung ist, sind die Nummern 38 bis 45: Der Kern des Evangeliums „inkarniert sich in den Grenzen der menschlichen Sprache". Die Lehre begibt sich sozusagen in den "Käfig der Sprache" – um es mit einem Lieblingsausdruck von Wittgenstein zu sagen. Das zwingt zu einer wirklichen Unterscheidung zwischen der Armseligkeit und den Grenzen der Sprache und dem - oft unerkannten - Reichtum des Glaubensinhaltes. Es besteht die wirkliche Gefahr, dass die Kirche diese Dynamik nicht immer wahrnimmt. Es kann dann bei einigen Positionen zu einer ungerechtfertigten Versteifung kommen mit dem Risiko die gesamte Botschaft des Evangeliums zu verhärten und ihre Entwicklungsdynamik nicht mehr wahrnehmen zu können.

Das zweite Kapitel widmet sich den Herausforderungen der Welt von heute und der Überwindung allzu leichter Lösungen, die eine wirkliche Bedrohung der Neuevangelisierung darstellen können. An die erste Stelle stellt der Papst die Stärkung der eigenen Identität, ohne Minderwertigkeitskomplexe. Den diese führen dazu, "die eigene Identität und die eigenen Überzeugungen zu verstecken… und ersticken die Freude an der Mission in dem zwanghaften Versuch wie die Anderen sein zu wollen und das zu haben was die Anderen haben" (79). Das lässt die Christen in einen "Relativismus fallen, der noch gefährlicher ist als der doktrinäre" (80),denn er prägt unmittelbar den Lebensstil der Gläubigen. Es geschieht dann, dass in vielen pastoralen Initiativen eine Schwerfälligkeit spürbar ist, weil an erster Stelle die Initiative steht und nicht die Person. Der Papst hält die Versuchung einer "Entpersonalisierung der Menschen" zugunsten einer Organisation für real und verbreitet. In der gleichen Art und Weise gilt es, die Herausforderungen der Evangelisierung als Chance zum Wachstum wahrzunehmen und nicht als Anlass, um in Depression zu versinken. Ein Veto also für das "Gefühlder Niederlage"(85). Es ist notwendig die Bedeutung der zwischenmenschlichen Beziehungen wiederzugewinnen und ihnen den ersten Platz einzuräumen vor der "Technik der Begegnung", bei der wir mit der Fernbedienung in die Hand bestimmen wollen, wie, wo, wann und wie lang wir anderen entsprechend unserer eigenen Vorlieben begegnen wollen (88). Unter diesen Herausforderungen gilt es nicht nur die offensichtlichsten und am meisten verbreiteten zu sehen, sondern gerade die wahrzunehmen, die eine unmittelbare Bedeutung für das Leben haben: Die Erfahrung des "täglichen Mangels mit tödlichen Folgen", der verschiedenen Formen "sozialer Ungleichheit", des "Fetischismus des Geldes und der Diktatur einer Wirtschaft ohne Gesicht", eines "wildgewordenen und ungezügelten Konsums". Alles in allem befinden wir uns inmitten einer "Globalisierung der Gleichgültigkeit" und einer „höhnischen Verachtung" der Ethik. Es besteht der andauernde Versuch jeden kritischen Zwischenruf an den Rand zu drängen, der erklingt Angesichts der Vorherrschaft des Marktes, der mit seiner Theorie vom "Überfluss der irgendwann einmal den Armen zu Gute kommt" falsche Hoffnungen für die Armen weckt(vgl. Nr. 52-64). Wenn die Kirche heute in vielen Ländern, selbst dort wo sie eine Minderheit ist, große Glaubwürdigkeit genießt, dann vor allem wegen ihrer sozialen Werke und der gelebten Solidarität (65).

Um in unserer Zeit zu evangelisieren, besonders angesichts der Herausforderung der großen „städtischen Kulturen" (71) müssen die Christen zwei Dinge vermeiden, die Papst Franziskus als „Weltlichkeit" definiert (93). Als erstes ist das der "Reiz des Gnostizismus";ein Glaube, der in sich selbst und seine doktrinären Sicherheiten verschlossen ist und der aus den eigenen Erfahrungen das Kriterium der Wahrheit ableitet mit dem er Andere beurteilet. Als zweites ist es die "neopelagianische Selbstbezogenheit" derer, die glauben, dass die Gnade nur eine Schmuckstück sei, während das was wirklichFortschritt bewirkt die eigenen Anstrengungen und die eigene Kraft sind. All das widerspricht der Evangelisierung. Es schafft vielmehr eine Art "elitären Narzissmus" den es zu vermeiden gilt(94). Was wollen wir sein, fragt sich der Papst: "Generäle eines besiegten Heeres" oder "einfache Soldaten in einer Einheit die weiter kämpft"? Das Risiko einer „verweltlichten Kirche unter einem geistlichen oder pastoralen Deckmantel"(96) ist nicht fern, sondern sehr real. Umso wichtiger ist es nicht in diese Versuchungen zu verfallen, sondern das Zeugnis der Gemeinschaft abzulegen(99). Diese wird gestärkt durch die Komplementarität. Davon ausgehend betont Papst Franziskus die Notwendigkeit, Laien und die Frauen zu fördern und sich für Berufungen und die Priester einzusetzen. Mit Blick auf die Entwicklung der Kirche in den letzten Jahrzehnten ruft er dazu auf, die Mentalität der Macht aufzugeben und sich einer Haltung des Dienstes hinzugeben, um so die Kirche in Einheit aufzubauen (102-108).

Die Evangelisierung ist Aufgabe des ganzen Volkes Gottes. Keiner ist davon ausgeschlossen. Sie ist weder reserviert für einzelne Gruppen noch kann sie an einzelne Gruppen allein delegiert werden. Alle Getauften sind von ihr gefordert. Papst Franziskus erklärt im dritten Kapitel der Exhortation, wie die Evangelisierung sich entwickeln kann und welches die verschiedenen Etappen sind. Zunächst aber betont er den „Primat der Gnade", die unermüdlich im Leben eines jeden Evangelisierers wirkt (112). Er entwickelt außerdem die große Rolle der verschiedenen Kulturen im Prozess der Inkulturation des Evangeliums und warnt davor in die Versuchung der „eitlen Sakralisierung der eigenen Kultur" zu fallen (117). Er weist darüber hinaus auf die fundamentale Bedeutung der interpersonalen Begegnung für die Neuevangelisierung hin(127-129) und auf das Zeugnis des Lebens (121). Er besteht darauf, dass die Volksfrömmigkeit in ihrem Wert wahrgenommen wird, drückt sie doch den ursprünglichen Glauben vieler Menschen aus, die auf diese Weise von der einfachen Begegnung mit der Liebe Gottes Zeugnis ablegen(122-126). Als letztes lädt der Papst die Theologenein, sie mögen die notwendigen Vermittlungen studieren, die notwendig sind, um die verschiedenen Formen der Evangelisierung aufzuwerten (133). Gleichzeitig beschäftigt er sich lange mit dem Thema der Pedigt als privilegierte Form der Evangelisierung. Sie braucht eine echte Leidenschaft und Liebe sowohl für das Wort Gottes als auch für das Volk Gottes das uns anvertraut ist (135-158).

Das vierte Kapitel ist der sozialen Dimension der Evangelisierung gewidmet. Ein Thema, das Papst Franziskus am Herzen liegt, denn "wenn diese Dimension nicht ausreichend zum Ausdruck kommt, laufen wir Gefahr, die authentische und ganzheitliche Bedeutung der evangelisierenden Mission zu entstellen"(176). Es geht um das große Thema der Verbindung von Verkündigung des Evangeliums und der Förderung des menschlichen Lebens in all seinen Ausdrucksformen. Es geht um eine ganzheitliche Förderung jedes Menschen, die die Reduzierung der Religion auf ein privates Phänomen und ohne jeden Einfluss auf das öffentliche und soziale Leben ausschließt."Echter Glaube beinhaltet stets den tiefen Wunsch die Welt zu verändern." (183) Zwei große Themenkreise gehören zu diesem Teil der Exhortation. Der Papst spricht von ihnen mit einer besonderen evangelischen Leidenschaft weil er weiß, dass die Zukunft der Menschheit von ihnen abhängt: Es geht besonders um „die Einbeziehung der Armen in die Gesellschaft" und um „den Frieden und den sozialen Dialog".

In Bezug auf den ersten Punkt sieht es die Kirche im Zuge der Neuevangelisierung als ihre Mission an "mitzuarbeiten, um die Ursachen der Armut zu beheben und um die ganzheitliche Entwicklung der Armen zu fördern". Auch ist sie „angesichts des konkreten Elends", das wir täglich vor unseren Augen haben, aufgerufen zu "einfachen und alltäglichen Gesten der Solidarität"(188). Aus diesen dichten Seiten kommt uns die Einladung entgegen, die „heilbringende Kraft" der Armen zu erkennen, die durch die Neuevangelisierung ins Zentrum der Kirche gebracht werden muss (198). Das bedeutet vor jeder konkreten Erfahrung vor allem die Wichtigkeit und Dringlichkeit der Thematik anzuerkennen. Die grundlegende Option für die Armen die es zu verwirklichen gilt, unterstreicht Papst Franziskus, ist in erster Linie eine "geistliche und religiöse Achtsamkeit". Diese hat Vorrang vor allen anderen Formen (200). Zu diesen Themen spricht Papst Franziskus mit aller Offenheit und Klarheit. Der „Hirte einer Kirche ohne Grenzen" (210), kann sich nicht erlauben den Blick abzuwenden. Darum bittet er mit Nachdruck sich des Themas der Migration anzunehmen und klagt gleichzeitig die neuen Formen der Sklaverei an: "Wo ist der, den du täglich fast zu Tote schindest in illegalen Arbeitsstellen, im Netzwerk der Prostitution, in den Kindern die du zum Betteln schickst, in dem, der im Verborgenen arbeiten muss weil er illegal ist? Machen wir nicht so als wüssten wir von nichts. Es gibtviele Formender Komplizenschaft." (211).Um Missverständnissen vorzubeugen: Der Papst verteidigt mit gleicher Kraft das menschliche Leben vom ersten Augenblick an sowie die Würde eines jeden Lebewesen (213). Was den zweiten Punkt angeht, zeigt der Papst vier Prinzipien auf, die so etwas wie der gemeinsame Nenner für die Entwicklung des Friedens sind und für seine konkrete soziale Umsetzung. Vielleicht eingedenk seiner Studien zu Romano Guardini scheint Papst Franziskus eine neue Gegensatz-Lehre (opposizione polare) zu schaffen. Er erinnert etwa daran, dass "die Zeit dem Raum übergeordnet ist", "die Einheit über dem Konflikt steht", die „Wirklichkeit wichtiger ist als die Idee" und „das Gesamt wichtiger ist als die einzelnen Teile". Diese Prinzipien öffnen sich auf die Dimension des Dialoges als erster Beitrag für den Frieden. Im Verlauf der Exhortation wird dieser Beitrag ausgedehnt auf den Bereich der Wissenschaft, des Ökumenismus und der nichtchristlichen Religionen.

Das letzte Kapitel will den "Geist der Neuevangelsierung" (260) zum Ausdruck bringen. Diese geschieht unter dem Primat des Wirkens des hl. Geistes. Dieser schenkt immer neue missionarische Impulse, die vom Gebetsleben ausgehen, wobei das betrachtende Gebet den zentralen Platz einnimmt (264).Maria, "Stern der Neuevangelisierung" wird am Ende als die Ikone der ursprünglichen Aktion der Verkündigung und Weitergabe des Evangeliums vorgestellt. Ihr hat die Kirche in den folgenden Jahrzehnten mit Enthusiasmus und unwandelbarer Liebe zum Jesus zu folgen.

"Lassen wir uns nicht die Freude an der Evangelisierung stehlen!" (83) In dieser Exhortation treffen wir auf eine klare und unmittelbare Sprache, ohne unnötige Rethorik und Selbstverständlichkeiten. Papst Franziskus spricht die Probleme an, die die Menschen von heute erleben und die von der Kirche mehr als nur ein einfaches "Dasein" verlangen. Von ihr wird ein wirksames programmatisches Handeln erwartet und eine erneuerte Pastoral die den Einsatz für die Neuevangelisierung deutlich macht. Das Evangelium muss zu allen gelangen, ohne Ausnahme. Einige sind dabei bevorzugt. Um Missverständnisse zu vermeiden, stellt Papst Franziskus klar: "Das sind nicht so sehr die Freunde und reichen Nachbarn, sondern vor allem die Armen, die Kranken, die Verachteten und Vergessenen... Darüber besteht kein Zweifel und es gibt keine Erklärungen die diese klare Nachricht schwächen könnten." (48)

Wie in anderen entscheidenden Momenten der Geschichte spürt die Kirche auch jetzt wieder, dass sie, um den Auftrag zur Evangelisierung zu erfüllen, den Blick schärfen muss durch die Anbetung. Ein "kontemplativer Blick" ist notwendig, um die Zeichen der Gegenwart Gottes zu sehen. Diese Zeichen sind nicht nur ermutigend, sie dienen auch als Kriterium für ein wirksames Zeugnis (71). Vor allem anderen erinnert uns der Papst an das zentrale Geheimnis unseres Glaubens: "Flüchten wir nicht vor der Auferstehung Jesu, geben wir nie auf, geschehe was geschehen mag." (3). Was Papst Franziskus uns am Ende aufzeigt ist eine Kirche, die mit uns auf dem Weg ist, auf dem Weg auch mit den vielen Zeitgenossen, die auf der Suche nach Gott sind und ihn sehen wollen.

[01757-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Evangelii gaudium: Exhortación Apostólica escrita bajo la luz de la alegría con el fin de redescubrir la fuente de la evangelización en el mundo contemporáneo. En esta expresión se podría resumir todo el contenido del nuevo documento que el Papa Francisco ofrece a la Iglesia para delinear los caminos del compromiso pastoral que la ocuparán en el futuro cercano. Una invitación a recuperar una visión profética y positiva de la realidad, sin por ello dejar de ver las dificultades. El Papa Francisco infunde valentía e invita a mirar hacia adelante no obstante el momento de crisis, haciendo una vez más de la cruz y de la resurrección de Cristo la "insignia de la victoria" (85).

En varias ocasiones el Papa Francisco hace referencia a las Propositiones del Sínodo de octubre de 2012, demostrando cuánto la contribución sinodal haya sido un importante punto de referencia para la redacción de la Exhortación. De todas maneras, el texto va más allá de la experiencia del Sínodo. El Papa imprime en estas páginas no solo su anterior experiencia pastoral, sino sobre todo su llamado a aprovechar el momento de gracia que la Iglesia está viviendo para emprender con fe, convicción y entusiasmo la nueva etapa del camino de evangelización. Continuando la enseñanza de la Evangelii nuntiandi de Pablo VI, él coloca de nuevo al centro la persona de Jesucristo, el primer evangelizador, quien llama hoy a cada uno de nosotros a participar con él en la obra de salvación (12). "La acción misionera es el paradigma de cualquier obra de la Iglesia" (15) – afirma el Santo Padre –; por ello es necesario captar el tiempo favorable para vislumbrar y vivir la "nueva etapa" de la evangelización (17). Esta se articula en dos temáticas particulares las cuales marcan la estructura fundamental de la Exhortación. Por una parte, el Papa Francisco se dirige a las iglesias particulares para que, viviendo en primera persona los desafíos y las oportunidades propias de cada contexto cultural, estén en grado de proponer los aspectos peculiares de la nueva evangelización en sus países. Por otra, el Papa traza un denominador común que le permita a toda la Iglesia, y a cada evangelizador en particular, reencontrar una metodología común para convencerse de que el compromiso de evangelización es siempre un camino participado, compartido y jamás aislado. Los siete puntos, recogidos en los cinco capítulos de la Exhortación, constituyen las columnas basilares de la visión del Papa Francisco sobre la nueva evangelización: la reforma de la Iglesia en salida misionera, las tentaciones de los agentes pastorales, la Iglesia entendida como totalidad del pueblo de Dios que evangeliza, la homilía y su preparación, la inclusión social de los pobres, la paz y el diálogo social, las motivaciones espirituales en el compromiso misionero. El elemento que mantiene unidas estas temáticas se concentra en el amor misericordioso de Dios que sale al encuentro de cada persona para manifestar el corazón de su revelación: la vida de cada persona adquiere sentido en el encuentro con Jesucristo y en la alegría de compartir esta experiencia de amor con los demás (8).

Así entonces, el primer capítulo se desarrolla a la luz de la reforma de la Iglesia en clave misionera, llamada a "salir" de sí misma para encontrar a otros. Es la "dinámica del éxodo y del don de salir de sí, del caminar y del sembrar siempre de nuevo, siempre más" (21), lo que el Papa expresa en estas páginas. La Iglesia que debe hacer suya la "intimidad de Jesús que es una intimidad itinerante" (23). El Papa, como ya es habitual, profundiza sobre algunas expresiones impactantes y crea neologismos para hacer entender la naturaleza misma de la acción evangelizadora. Entre ellos, por ejemplo, "primerear"; esto quiere decir que Dios nos precede en el amor, indicando a la Iglesia el camino que debe seguir. Ella no se encuentra en una vía sin salida, sino que va tras las huellas mismas de Cristo (cfr. 1 Pt 2,21); por tanto, tiene la certeza acerca del camino que debe recorrer. Esto no le provoca miedo, sabe que debe "ir al encuentro, buscar a los alejados y llegar a los cruces de los caminos para invitar los excluidos. Vive un inagotable deseo de ofrecer misericordia" (24). Para que esto suceda, el Papa Francisco vuelve a proponer con vehemencia la exigencia de la "conversión pastoral". Esto significa pasar de una visión burocrática, estática y administrativa de la pastoral a una perspectiva misionera, mejor aún, a una pastoral en estado permanente de evangelización (25). En efecto, así como existen estructuras que facilitan y sostienen la pastoral misionera, lamentablemente también "hay estructuras eclesiales que pueden terminar condicionando el dinamismo evangelizador" (26). La presencia de prácticas pastorales anticuadas y rancias obliga entonces a la audacia de ser creativos para repensar la evangelización. En este sentido el Papa afirma: "Una individuación de los fines sin una adecuada búsqueda comunitaria de los medios para alcanzarlos está condenada a convertirse en mera fantasía" (33).

Es necesario, por tanto, "concentrarse en lo esencial" (35) y saber que solamente una dimensión sistemática, es decir, unitaria, progresiva y proporcionada de la fe puede ayudar verdaderamente. Esto implica para la Iglesia la capacidad de evidenciar la "jerarquía de las verdades" y su adecuada referencia con el corazón del Evangelio (37-39). Esto impide caer en el peligro de una presentación de la fe hecha solo a la luz de algunas cuestiones morales como si ellas pudieran prescindir de su relación con la centralidad del amor. Fuera de esta perspectiva, "el edificio moral de la Iglesia corre el riesgo de convertirse en un castillo de naipes, y este es nuestro mayor peligro" (39). Aparece entonces un fuerte reclamo del Papa para que se establezca un sano equilibrio entre el contenido de la fe y el lenguaje que lo expresa. Puede suceder, a veces, que la rigidez con la que se pretende conservar la precisión del lenguaje, vaya en detrimento del contenido, comprometiendo así la visión genuina de la fe (41).

Un pasaje realmente importante en este capítulo es el número 32, en el que el Papa Francisco muestra la urgencia de llevar a cabo algunas perspectivas del Vaticano II. En particular la tarea del ejercicio del Primado del Sucesor de Pedro y la de las Conferencias Episcopales. Ya Juan Pablo II en Ut unum sint, había solicitado ayuda para comprender mejor los deberes del Papa en el diálogo ecuménico. Ahora el Papa Francisco continúa haciéndolo y entrevé que una forma de ayuda más concreta al respecto podría llegar si se desarrollase mayormente el estatuto de las Conferencias Episcopales. Otro pasaje de particular intensidad, por las consecuencias que tendrá en la pastoral, son los números 38-45: el corazón del Evangelio "se encarna en los límites del lenguaje humano". Es decir, la doctrina se aloja en la "jaula del lenguaje" – por usar una expresión muy querida por Wittgenstein –, lo cual implica la exigencia de un verdadero discernimiento entre la pobreza y los límites del lenguaje, con la riqueza – en ocasiones todavía desconocida – del contenido de la fe. El peligro de que en ocasiones la Iglesia pueda no considerar esta dinámica es real; puede suceder entonces que sobre algunas posiciones exista una cerrazón injustificada, con el consiguiente riesgo de esclerotizar el mensaje evangélico, haciendo que no se pueda percibir más la dinámica propia de su desarrollo.

El segundo capítulo está dedicado a acoger los desafíos del mundo contemporáneo y a superar las fáciles tentaciones que minan la nueva evangelización. En primer lugar, afirma el Papa, es necesario recuperar la propia identidad, sin esos complejos de inferioridad que conducen a "ocultar la propia identidad y las convicciones… [y] que terminan sofocando la alegría de la misión en una especie de obsesión por ser como todos los demás y por tener lo que los otros tienen" (79). Esto hace que los cristianos caigan en un "relativismo incluso más peligroso que el doctrinal" (80), porque termina corroyendo el estilo de vida de los creyentes. Sucede entonces que en muchas expresiones de nuestra pastoral las iniciativas resientan la pesadez, pues en el primer puesto se coloca la iniciativa y no la persona. Sostiene el Papa que la tentación de una "despersonalización de la persona" para favorecer la organización, es real y común. Del mismo modo, los desafíos de la nueva evangelización deberían ser asumidos más como una oportunidad para crecer y no como un motivo para caer en depresión. Hay que desterrar entonces "el sentido de la derrota" (85). Es necesario recuperar la relación interpersonal para que tenga el primado sobre la tecnología del encuentro hecho con el control remoto en mano, con el que se establece cómo, dónde, cuándo y por cuánto tiempo encontrar a los demás según las propias preferencias (88). De todas maneras, entre los múltiples desafíos, además de aquellos que son más corrientes y más recurrentes, es necesario individuar los que inciden de un modo más directo en la vida. El sentido de "precariedad cotidiana, con consecuencias funestas", las variadas formas de "disparidad social", el "fetichismo del dinero y la dictadura de una economía sin rostro", la "exasperación del consumo" y el "consumismo desenfrenado"… en fin, nos encontramos ante una "globalización de la indiferencia" y ante un "desprecio socarrón" en relación a la ética, en donde se pretende continuamente marginar cualquier reclamo crítico de frente al predominio del mercado que con su teoría de la "filtración de la riqueza", engaña acerca sobre la posibilidad real de favorecer a los pobres (cfr. nn. 52-64). Si la Iglesia aparece todavía con una gran credibilidad en tantos países del mundo, incluidos aquellos donde es minoría, esto se debe a su obra de caridad y solidaridad (65).

En la evangelización de nuestro tiempo, por tanto, especialmente ante los retos de las grandes "culturas urbanas" (71), los cristianos están invitados a escapar de dos expresiones que lesionan su misma naturaleza y que el Papa Francisco define en general como "mundanidad" (93). En primer lugar , la "fascinación del gnosticismo"; es decir, una fe cerrada en sí misma, en sus certezas doctrinales y que hace de sus propias experiencias el criterio de verdad para juzgar a los demás. Además, el "neopelagianismo autorreferencial y prometeico" de cuantos sostienen que la gracia es solo un accesorio mientras lo que crea progreso es únicamente el proprio empeño y las propias fuerzas. Todo esto contradice la evangelización. Crea una especie de "elitismo narcisista" que debe ser evitado (94). Qué cosa queremos ser, se pregunta el Papa, ¿"generales de ejércitos derrotados" o "simples soldados de un escuadrón que continua batallando"? el riesgo de una "Iglesia mundana detrás de telones espirituales o pastorales" (96), no es recóndito, sino real. Es preciso, entonces, no sucumbir a estas tentaciones, sino ofrecer el testimonio de la comunión (99). Esta se hace fuerte en la complementariedad. A partir de esta consideración, el Papa Francisco expone la exigencia de promover el laicado y la mujer; del compromiso con las vocaciones comenzando por los propios sacerdotes. Mirar la Iglesia con todos los avances realizados en estos decenios requiere evitar la mentalidad del poder y transformarla por aquella del servicio a la construcción unitaria de la Iglesia (102-108).

La evangelización es una tarea de todo el pueblo de Dios, ninguno está excluido. Ella no está reservada ni puede ser delegada a un grupo particular. Todos los bautizados están directamente involucrados en ella. El Papa Francisco explica, en el tercer capítulo de la Exhortación, cómo ella se puede desarrollar y las etapas que expresan su progreso. En primer lugar se detiene a evidenciar el "primado de la gracia" que obra sin descanso en la vida de cada evangelizador (112). Desarrolla, además, el tema del inmenso papel desempeñado por las diversas culturas en su proceso de inculturación del Evangelio, y previene sobre terminar cayendo en la "vanidosa sacralización de la propia cultura" (117). Luego indica el itinerario fundamental de la nueva evangelización en el encuentro interpersonal (127-129) y en el testimonio de vida (121). Finalmente, aboga por que la piedad popular sea valorizada, pues ella expresa la fe genuina de tantas personas que en este mundo dan un verdadero testimonio de la simplicidad del encuentro con el amor de Dios (122-126). Por último, el Papa hace una invitación a los teólogos para que estudien las mediaciones necesarias a fin de lograr una valorización de las distintas formas de evangelización (133), no sin antes considerar ampliamente el tema de la homilía como forma privilegiada de evangelización, la cual necesita una auténtica pasión y amor por la Palabra de Dios y por el pueblo que se nos ha confiado (135-158).

El cuarto capítulo está dedicado a la reflexión sobre la dimensión social de la evangelización. Un tema muy apreciado por el Papa Francisco porque "si esta dimensión no se explicita debidamente, se corre siempre el riesgo de desfigurar el significado autentico e integral de la misión evangelizadora" (176). Es el grande tema del vínculo entre el anuncio del Evangelio y la promoción de la vida humana en todas sus expresiones. Una promoción integral de cada persona es lo que impide reducir la religión a un hecho privado, sin ninguna incidencia en la vida pública y social. Una "fe auténtica implica siempre un profundo deseo de cambiar el mundo" (183). A esta sección de la Exhortación pertenecen dos grandes temas. El Papa habla de ellos con particular pasión evangélica, consciente que determinarán el futuro de la humanidad: ante todo, "la inclusión social de los pobres"; además, "la paz y el diálogo social".

En lo que se refiere al primer punto, con la nueva evangelización la Iglesia siente como misión propia "colaborar para resolver las causas instrumentales de la pobreza y para promover el desarrollo integral de los pobres", como también la de "gestos simples y cotidianos de solidaridad de frente a miserias muy concretas" que cada día encontramos delante de nuestros ojos (188). Lo que emerge de estas densas páginas es una invitación a reconocer la "fuerza salvífica" que poseen los pobres y que debe ser puesta en el centro de la vida de la Iglesia mediante la nueva evangelización (198). De todas maneras, esto significa que es necesario, ante todo, redescubrir la atención, urgencia y conciencia de esta temática, mucho antes de cualquier experiencia concreta. La opción fundamental por los pobres que urge realizar, sostiene el Papa Francisco, es principalmente, aunque no exclusivamente, una "atención espiritual" y "religiosa"; esta forma es prioritaria sobre cualquier otro modo de atención (200). Sobre estos temas la palabra del Papa es franca, dicha con parresia y sin circunlocuciones. Un "Pastor de una Iglesia sin fronteras" (210), no se puede permitir mirar hacia otro lado. Es por esto que mientras pide con fuerza considerar el tema de los migrantes, denuncia con igual claridad las nuevas formas de esclavitud: "¿Dónde está aquel que estás matando cada día en la pequeña fábrica clandestina, en la red de prostitución, en los niños que usas para la mendicidad, en aquel que debe trabajar a escondidas porque no está debidamente contratado? No aparentemos que aquí no pasa nada. Existen muchas complicidades" (211). Para evitar equívocos, el Papa defiende con la misma fuerza la vida humana desde su primer comienzo y la dignidad de todo ser viviente (213). En lo que concierne al segundo aspecto, el Papa propone cuatro principios que son como el denominador común para crecer en la paz y para su aplicación social concreta. Haciendo memoria, tal vez, de sus estudios sobre Romano Guardini, el Papa Francisco parece crear una nueva oposición polar; recuerda, en efecto, que el "el tiempo es superior al espacio", "la unidad prevalece sobre el conflicto", la "realidad es más importante que la idea" y que el "todo es superior a la parte". Estos principios se abren a la dimensión del diálogo como primera contribución para la paz y se extiende, a lo largo de la Exhortación, al ámbito de la ciencia, del ecumenismo y de las religiones no cristianas.

El último capítulo busca expresar el "espíritu de la nueva evangelización" (260). Este se desarrolla bajo el primado de la acción del Espíritu Santo que infunde siempre y de nuevo el impulso misionero, a partir de la vida de oración en la que la contemplación ocupa el puesto central (264). La Virgen María "estrella de la nueva evangelización" es presentada, al finalizar, como el icono de la genuina acción de anuncio y transmisión del Evangelio que la Iglesia está llamada a realizar en las próximas décadas, con gran entusiasmo e inmutable amor por el Señor Jesús.

"¡No nos dejemos robar la alegría de la evangelización!" (83). Es un lenguaje claro, inmediato, sin retórica ni subterfugios, el que escuchamos en esta Exhortación Apostólica. El Papa Francisco va al núcleo de los problemas que vive el hombre de hoy y que, de parte de la Iglesia, exigen mucho más que una simple presencia. A ella se la pide una diligente acción programática y una renovada praxis pastoral que manifieste su compromiso por la nueva evangelización. El Evangelio debe llegar a todos, sin ningún tipo de exclusión. Algunos, sin embargo, son privilegiados. Para evitar equívocos, el Papa Francisco presenta su orientación: "No tanto los amigos y los vecinos ricos, sino especialmente los pobres, los enfermos, aquellos que con frecuencia son despreciados y olvidados… no deben quedar dudas ni subsistir explicaciones que debiliten este mensaje tan claro" (48).

Como en otros momentos cruciales de la historia, también hoy la Iglesia siente la urgencia de afinar la mirada para cumplir la evangelización a la luz de la adoración; con una "mirada contemplativa" para continuar viendo los signos de la presencia de Dios. Signos de los tiempos no solo estimulantes, sino puestos como criterio para un testimonio eficaz (71). El Papa Francisco es el primero de todos en recordar el misterio central de nuestra fe: "No huyamos de la resurrección de Jesús, non nos demos por vencidos jamás, suceda lo que suceda" (3). A la postre, la que nos está indicando el Papa Francisco es la Iglesia que se hace compañera de camino de cuantos son nuestros contemporáneos en la búsqueda de Dios y en el deseo de verlo.

[01757-04.01] [Texto original: Italiano]

INTERVENTO DI S.E. MONS. LORENZO BALDISSERI

 TESTO IN LINGUA ITALIANA

TRADUZIONE  IN LINGUA  INGLESE

 TRADUZIONE  IN LINGUA  SPAGNOLA

TESTO IN  LINGUA  ITALIANA

Il documento Evangelii Gaudium (EG) del Santo Padre Francesco nasce dalla XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi su "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana" (2012), come annuncio di gioia ai cristiani discepoli e missionari e a tutta l’umanità. Il Santo Padre ha avuto nelle mani le Propositiones dei Padri sinodali, le ha fatte proprie, rielaborandole in modo personale, ed ha scritto un documento programmatico e esortativo, utilizzando la forma di "Esortazione Apostolica", la cui centralità è la missionarietà, a tutto campo. Ciò che colpisce fin dalle prime pagine è la presentazione gioiosa del Vangelo - perciò Evangelii Gaudium -, che si esprime addirittura con la ripetizione, in tutto il testo, della parola "gioia" per ben 59 volte.

Il Papa ha tenuto conto delle Propositiones citandole 27 volte. Su questa base, proveniente dalla riflessione dei Padri sinodali, egli sviluppa l’Esortazione in un solido quadro dottrinale, fondato sui riferimenti biblici e magisteriali, con una presentazione tematica dei vari aspetti della fede, ove si affermano i principî e le dottrine incarnate nella vita. Tale sviluppo è arricchito da rimandi ai Padri della Chiesa, tra cui Sant’Ireneo, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino - per citarne alcuni -; è ulteriormente sostenuto dall’apporto di Maestri medioevali come il Beato Isacco della Stella, San Tommaso d’Aquino e Tommaso da Kempis; tra i teologi moderni compaiono il Beato John Henry Newman, Henri De Lubac e Romano Guardini, e altri scrittori, tra cui Georges Bernanos.

In modo particolare, è da notare la frequentazione, nel testo, di vari riferimenti ad Esortazioni Apostoliche come l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI (13 occorrenze), e ad altre Post-sinodali come Christifideles laici; Familiaris consortio; Pastores dabo vobis; Ecclesia in Africa, in Asia, in Oceania, in America, in Medio Oriente, in Europa; Verbum Domini. Inoltre, si registra l’attenzione data ai pronunciamenti degli Episcopati latinoamericani, come ai documenti di Puebla e di Aparecida; a quello dei Patriarchi Cattolici del Medio Oriente nella XVI Assemblea; a quelli delle Conferenze Episcopali di India, Stati Uniti, Francia, Brasile, Filippine e Congo.

Il tema della sinodalità è introdotto già all’interno della parte iniziale che tratta "La trasformazione missionaria della Chiesa". Nella prospettiva della «Chiesa in uscita» (n. 20) «da sé verso il fratello» (n. 179), il Santo Padre propone una «pastorale in conversione» a 360 gradi, partendo dalla parrocchia (cfr. n. 28), dalle comunità di base, movimenti ed altre forme associative (cfr. n. 29), dalle Chiese particolari (cfr. n. 30), fino «a pensare a una conversione del papato» (n. 32). Si percepisce che egli desidera includere in questa «pastorale in conversione» una speciale attenzione all’espressione collegiale dell’esercizio del primato; pertanto afferma: «anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale» (n. 32).

Riferendosi al Concilio Vaticano II, in analogia con le antiche Chiese patriarcali, il Santo Padre auspica che le Conferenze Episcopali possano «sviluppare un contributo molteplice e fecondo perché l’affetto collegiale trovi concrete applicazioni» (LG n. 22; EG n. 32). Questa espressione di sinodalità aiuterebbe a concrete attribuzioni circa l’autorità dottrinale e di governo (cfr. n. 32). Sotto il profilo ecumenico - grazie anche all’esperienza della presenza al Sinodo del Patriarca di Costantinopoli e dell’Arcivescovo di Canterbury (cfr. n. 245) -, la sinodalità si esprime in modo particolare, poiché, attraverso il dialogo «con i fratelli ortodossi, i cattolici hanno la possibilità di apprendere qualcosa di più circa il significato della collegialità episcopale e sull’esperienza della sinodalità» (n. 246).

Un altro elemento significativo, a questo proposito, è rappresentato dalla ricezione, nella Esortazione Apostolica - che è un documento a carattere universale - degli stimoli pastorali provenienti dalle varie Chiese locali del mondo. Ciò significa mostrare l’esercizio della collegialità in atto. In tale senso, il rilievo dato dal Santo Padre all’uscita missionaria della Chiesa verso le periferie esistenziali, mediante la conversione pastorale, proviene dalla sua personale esperienza di Arcivescovo di Buenos Aires e in quanto direttamente coinvolto nella stesura del documento di Aparecida (cfr. n. 25). A tale esperienza pastorale si deve pure l’ampio spazio dedicato alla pietà popolare, che in America Latina e Caraibi «i vescovi chiamano anche "spiritualità popolare" o "mistica popolare". Si tratta di una "vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici"» (n. 124).

Facendo eco ad una celebre definizione di San Tommaso, secondo cui "la grazia suppone la natura", il Santo Padre, attingendo al documento di Puebla, conia la bella espressione: «La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (n. 115). Questo aperto apprezzamento per le diverse culture che si dispongono all’accoglienza del Vangelo, e lo informano con le loro ricchezze, conduce il Santo Padre a ridimensionare la pretesa assolutezza di qualsiasi cultura, per cui «non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con la proposta evangelica» (n. 117). Al riguardo, «i Vescovi dell’Oceania hanno chiesto che lì la Chiesa "sviluppi una comprensione e una presentazione della verità di Cristo che parta dalle tradizioni e dalle culture della regione"» (n. 118).

Altri temi sono affrontati con riferimenti precisi, provenienti da diverse regioni del mondo. Il dialogo tra le religioni, posto in termini di apertura nella verità e nell’amore, è presentato dal testo del Papa: «in primo luogo come una conversazione sulla vita umana o semplicemente, come propongono i Vescovi dell’India "un’attitudine di apertura verso di loro, condividendo le loro gioie e le loro pene"» (n. 250). Nei confronti dell’Islam «è indispensabile l’adeguata formazione degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro propria identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni sottostanti ai loro reclami e di portare alla luce le convinzioni comuni. […] Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché, come hanno insegnato i Patriarchi Cattolici del Medio Oriente, "noi sappiamo che il vero Islam e il Corano sono innocenti di ogni violenza"» (n. 253).

Particolarmente cara al Santo Padre, in ragione della sua urgenza mondiale, è "La dimensione sociale dell’evangelizzazione", alla quale dedica una parte consistente del documento. L’esperienza latinoamericana e caraibica di una Chiesa profondamente immersa nella vita del popolo ha provocato una cura attenta ai poveri, agli esclusi, agli oppressi, ed ha suscitato anche una grande riflessione teologica, le cui ripercussioni hanno varcato i confini, assumendo volti contestuali propri, nelle diverse aree del mondo, partecipi della medesima condizione sociale (cfr. n. 176 segg.). Nella sua esposizione del tema, il Papa parla dell’inclusione sociale dei poveri, che presenta come un grido per la giustizia e la dignità, che la Chiesa deve ascoltare (cfr. n. 186 segg.). Sono in gioco anche le cause strutturali della povertà. Non si tratta solo di solidarietà spicciola, ma di trasformazioni strutturali. «Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci» (n. 189). Non si esclude nemmeno il grido di interi popoli che reclamano i loro diritti come nazioni, ai quali deve essere permesso «di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino» (PP n. 15, EG n. 189).

Infine, trattando del rapporto tra bene comune e pace sociale, il Papa afferma che «l’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità» (n. 230), perché lo Spirito Santo ipse armonia est.

[01752-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE   IN LINGUA   INGLESE

The Holy Father’s document Evangelii Gaudium (EG) is the outcome of the 13th Ordinary General Assembly of the Synod of Bishops on "New Evangelization for the Transmission of Christian Faith" (2012), a proclamation of joy to Christian disciples and missionaries, and to all humanity. The Holy Father received and reviewed the Synod Fathers’ Propositiones, and made them his own, re-elaborating them in a personal way, and has written a programmatic, exhortative document in the form of an "Apostolic Exhortation", central to which is mission in its fullest sense. A striking aspect, from the very first pages onwards, is the joyful presentation of the Gospel – thus, Evangelii Gaudium – which is expressed also in the repetition, 59 times throughout the text, of the word "joy".

The Pope has taken the Propositiones into account, citing them 27 times). On this basis, emerging from the reflections of the Synod Fathers, he develops the Exhortation within a solid doctrinal framework, founded on biblical and magisterial references, with a thematic presentation of the various aspects of faith, in which he affirms the principles and the doctrines incarnate in life. This development is enriched by references to the Fathers of the Church, including St. Irenaeus, St. Ambrose and St. Augustine, to mention just a few, and is further supported by the work of Medieval masters such as Blessed Isaac de l’Etoile, St. Thomas Aquinas and Thomas à Kempis, modern theologians including Blessed John Henry Newman, Henri De Lubac and Romano Guardini, and other writers such as Georges Bernanos.

In particular, there are frequent textual references to Apostolic Exhortations such as Paul VI’s Evangelii nuntiandi (13 references), and other post-Synodal texts such as Christifideles laici; Familiaris consortio; Pastores dabo vobis; Ecclesia in Africa, in Asia, in Oceania, in America, in Medio Oriente, in Europa and Verbum Domini. Furthermore, significant attention is paid to the pronouncements of the Latin American episcopates, as well as the Puebla and Aparecida documents, those of the Catholic Patriarchs of the Middle East in their 16th Assembly, and those of the Episcopal Conferences of India, the United States, France, Brazil, the Philippines, and Congo.

The theme of synodality is introduced in the first part of the document, which deals with "The Church’s missionary transformation". From the perspective of a Church who "goes forth" (20), "from ourselves to our brothers and sisters" (179), the Holy Father proposes a complete "pastoral of conversion", starting from the parish (cf. 28), from grass-roots communities, movements and other forms of association (cf. 29), from the particular Churches (cf. 30), even to "a conversion of the papacy" (32). It is clear that he intends to include in this "pastoral of conversion" special attention to the exercise of the primacy; he therefore affirms that "the papacy and the central structures of the universal Church also need to hear the call to pastoral conversion" (32).

With reference to the Vatican Council II, along with the ancient patriarchal Churches, the Holy Father expresses his hope that the Episcopal Conferences may be able "to contribute in many and fruitful ways to the concrete realization of the collegial spirit" (LG 22, EG 32). This expression of synodality would bring specific attributions, in relation to doctrinal authority and governance (cf. 32). With regard to ecumenism – and thanks also to the presence at the Synod of the Patriarch of Constantinople and the Archbishop of Canterbury (cf. 245), synodality is expressed in a particular way since, through "dialogue with our Orthodox brothers and sisters, we Catholics have the opportunity to learn more about the meaning of episcopal collegiality and their experience of synodality" (246).

In this respect, a further significant element is represented by the acceptance, in the Apostolic Exhortation – which is a document of a universal nature – of pastoral stimuli from the various local Churches throughout the world. This means demonstrating the implementation of collegiality in process. In this regard, the prominence given by the Holy Father to the Church’s missionary reach to existential peripheries, through pastoral conversion, comes from his personal experience as Archbishop of Buenos Aires and, as a result, his direct involvement in the preparation of the Aparecida document (25). This pastoral experience also underlies the ample consideration given to popular piety, which the Latin America and the Caribbean bishops also refer to as "popular spirituality" or "the people’s mysticism". It is "truly a spirituality incarnated in the culture of the lowly" (124).

Echoing a celebrated definition by St. Thomas, according to which "grace presupposes nature", the Holy Father, drawing upon the Puebla document, coins a beautiful expression: "grace supposes culture, and God’s gift becomes flesh in the culture of those who receive it" (115). This open appreciation of the different cultures who are disposed to welcoming the Gospel, and inform it with their own richness, leads the Holy Father to redress claims of the absolute nature of any culture, so that "it is not essential to impose a specific cultural form, no matter how beautiful or ancient it may be, together with the Gospel" (117). In this regard, "the Bishops of Oceania asked that the Church ‘develop an understanding and a presentation of the truth of Christ working from the traditions and cultures of the region’" (118).

Other themes are considered with precise references, from various regions in the world. Interreligious dialogue, viewed in terms of openness in truth and in love, is presented in the Pope’s text "a matter of ‘being open to them, sharing their joys and sorrows’" (250). With regard to Islam, "suitable training is essential for all involved, not only so that they can be solidly and joyfully grounded in their own identity, but so that they can also acknowledge the values of others, appreciate the concerns underlying their demands and shed light on shared beliefs. … Faced with disconcerting episodes of violent fundamentalism, our respect for true followers of Islam should lead us to avoid hateful generalisations, for as the Catholic Patriarchs of the Middle East have taught us, authentic Islam and the proper reading of the Koran are opposed to every form of violence" (253).

Particularly dear to the Holy Father, on account of the worldwide urgency of the issue, is "The social dimension of evangelization", to which he dedicates a substantial part of the document. The Latin American and Caribbean experience of a Church profoundly immersed in the life of the people has given rise to close attention to the poor, the marginalised and the oppressed, and has also provoked significant theological reflection, the repercussions of which have crossed borders, assuming specific contextual forms in the different areas of the world which experience the same social condition (cf. 176 et seq.). In his presentation of the theme, the Pope speaks about the social inclusion of the poor, which appears as a call for justice and dignity that must be heard by the Church (cf. 186 et seq.). The structural causes of poverty are also in play. This is not a matter merely of a simplistic solidarity but rather of structural transformations. "Changing structures without generating new convictions and attitudes will only ensure that those same structures will become, sooner or later, corrupt, oppressive and ineffectual" (189). He does not even exclude the call of entire populations who claim their rights as nations, who need to be permitted "to become the artisans of their destiny" (PP 15, EG 190).

Finally, considering the relationship between the common good and social peace, the Pope affirms that "The message of peace is not about a negotiated settlement but rather the conviction that the unity brought by the Spirit can harmonize every diversity" (230), since the Holy Spirit ipse armonia est.

[01752-02.01] [Original text: Italian - working translation]

TRADUZIONE  IN LINGUA  SPAGNOLA

El documento Gaudium Evangelii (EG) del Santo Padre Francisco nace de la XIII Asamblea General Ordinaria del Sínodo de los Obispos sobre "La nueva evangelización para la transmisión de la fe cristiana" (2012), como un anuncio de alegría a los cristianos y a todos los discípulos y misioneros y a toda la humanidad. El Santo Padre ha tenido en sus manos las Proposiciones de los Padres sinodales, las hizo propias, reelaborándolas en modo personal, y escribió un documento de programático y exhortativo, utilizando la fórmula de "Exhortación Apostólica", cuya centralidad es la misionariedad, a todo campo. Lo que llama la atención desde la primera página es la presentación gozosa del Evangelio – por esto Evangelii Gaudium - que se expresa incluso por la repetición, en todo el texto, de la palabra " alegría " hasta un máximo de 59 veces.

El Papa ha tenido en cuenta las Proposiciones citándolas 27 veces. Sobre esta base, a partir de las reflexiones de los Padres sinodales, desarrolla la Exhortación en un sólido marco doctrinal, fundado en referencias bíblicas y magisteriales, con una presentación temática de los diversos aspectos de la fe, en el que se afirman los principios y las doctrinas encarnadas en la vida. Este desarrollo se enriquece con referencias a los Padres de la Iglesia, entre ellos San Ireneo, San Ambrosio y San Agustín - por citar algunos - además se apoya en la contribución de los Maestros medievales, como el Beato Isaac de Stella, San Tomás de Aquino y Tomás de Kempis; entre los teólogos modernos aparecen el beato John Henry Newman, Henri De Lubac y Romano Guardini, y otros escritores, entre ellos Georges Bernanos.

En particular, hay que tener en cuenta, en el texto, de varias referencias a las Exhortaciones apostólicas como Evangelii nuntiandi de Pablo VI (13 citas), y otras post-sinodales como la Christifideles laici; Familiaris Consortio, Pastores dabo Vobis, Ecclesia in África, in Asia, in Oceanía, in América, in Medio Oriente, in Europa; Verbum Domini. Además, está la atención dada a los pronunciamientos de las Conferencias Episcopales de América Latina, como los documentos de Puebla y Aparecida; a los de los Patriarcas Católicos de Oriente Medio en la XVI Asamblea, a los de las Conferencias Episcopales de la India, Estados Unidos, Francia, Brasil, Filipinas y el Congo.

El tema de la sinodalidad se introduce ya en la parte inicial que trata de "La transformación misionera de la Iglesia". En la perspectiva de la "Iglesia en salida" (n. 20) "de la salida de sí hacia el hermano" (nº 179), el Santo Padre propone una "pastoral en conversión" de 360 grados, a partir de la parroquia (cf. n. 28), de las comunidades de base, movimientos y otras formas asociativas (cf. n. 29 ), de las Iglesias particulares (cf. n. 30), hasta "pensar en una conversión del papado" (n. 32). Se siente que desea incluir en esta "pastoral en conversión" una especial atención a la expresión colegial del ejercicio del primado; por lo tanto, dice, "también el papado y las estructuras centrales de la Iglesia universal, necesitan escuchar el llamado a una conversión pastoral" (n. 32).

Refiriéndose al Concilio Vaticano II, en analogía con las antiguas Iglesias patriarcales, el Santo Padre desea que las Conferencias Episcopales puedan "desarrollar una obra múltiple y fecunda a fin de que el afecto colegial tenga una aplicación concreta" (Lumen Gentium, n. 22, Evangelium Gaudium, n. 32). Esta expresión de sinodalidad ayudaría a atribuciones concretas acerca de la autoridad doctrinal y de gobierno (cf. n. 32). Bajo el punto de vista ecuménico - gracias también a la experiencia de la presencia en el Sínodo del Patriarcado de Constantinopla y del arzobispo de Canterbury (cf. n 245.) -, la sinodalidad se expresa de un modo especial, ya que, a través del diálogo "con los hermanos ortodoxos, los católicos tenemos la posibilidad de aprender algo más sobre el sentido de la colegialidad episcopal y sobre su experiencia de la sinodalidad" (n. 246).

Otro elemento importante en este sentido está representado por la recepción, en la Exhortación Apostólica - que es un documento de carácter universal -, de los estímulos pastorales procedentes de las diversas Iglesias locales de todo el mundo. Esto significa mostrar el ejercicio de la colegialidad en acto. En este sentido, el énfasis dado por el Santo Padre a la salida misionera de la Iglesia a las periferias existenciales, a través de la conversión pastoral, proviene de su experiencia personal de Arzobispo de Buenos Aires y en cuanto está directamente involucrado en la redacción del documento de Aparecida (ver n. 25). A esta experiencia pastoral se debe también el gran espacio dedicado a la piedad popular, que en América Latina y el Caribe "los obispos llaman también "espiritualidad popular" o "mística popular". Se trata de una "verdadera espiritualidad encarnada en la cultura de los sencillos"" (n. 124).

Haciendo eco a una famosa definición de Santo Tomás, según la cual "la gracia supone la naturaleza", el Santo Padre, basándose en el documento de Puebla, acuñó la hermosa expresión: "La gracia supone la cultura, y el don de Dios se encarna en la cultura de quien lo recibe" (n. 115). Esta abierta apreciación de las diferentes culturas que se predisponen a la recepción del Evangelio, y lo informan con sus riquezas, lleva al Santo Padre a ridimensionar las pretensiones de carácter absoluto de cualquier cultura, por lo que "no es indispensable imponer una determinada forma cultural, por más bella y antigua que sea, junto con la propuesta del Evangelio" (n. 117). En este sentido, "los Obispos de Oceanía han pedido que la Iglesia "desarrolle una comprensión y una presentación de la verdad de Cristo que arranque de las tradiciones y culturas de la región' "(n. 118).

Otros temas se abordan con referencias precisas, procedentes de diferentes regiones del mundo. El diálogo entre las religiones, puesto en términos de apertura en la verdad y en el amor, es presentado por el texto del Papa, "en el primer lugar como una conversación sobre la vida humana o, simplemente, como proponen los obispos de la India, "estar abierto a ellos, compartiendo sus alegrías y sus penas' "(n. 250). En relación al Islam "es indispensable la formación adecuada de los interlocutores, no sólo porque estén firme y gozosamente arraigados en su propia identidad, sino porque sean capaces de reconocer los valores de los demás, comprender las preocupaciones subyacentes a sus alegaciones y llevar a la luz las convicciones comunes. [... ] Frente a episodios de fundamentalismo violento que nos preocupan, el afecto hacia los auténticos creyentes del Islam debe llevarnos a evitar generalizaciones odiosas, porque, como han enseñado los Patriarcas Católicos de Oriente Medio, "sabemos que el verdadero Islam y una adecuada interpretación del Corán se oponen a toda violencia' " (n. 253).

Especialmente querida por el Santo Padre, por su urgencia en todo el mundo, es "La dimensión social de la evangelización", a la que dedica una parte sustancial del documento. La experiencia latinoamericana y del Caribe de una Iglesia profundamente inmersa en la vida del pueblo ha llevado a una cuidadosa atención hacia los pobres, los marginados, los oprimidos, y ha despertado también una gran reflexión teológica, cuyas repercusiones han traspasado las fronteras, asumiendo rostros contextuales propios en las diversas áreas del mundo, que comparten la misma condición social (cf. n. 176 y ss.). En su exposición del tema, el Papa habla de la inclusión social de los pobres, que presenta como un grito por la justicia y la dignidad, que la Iglesia debe escuchar (cf. n. 186 y ss.). Están también en juego las causas estructurales de la pobreza. No se trata sólo de la pequeña solidaridad, sino de transformación estructural. "Un cambio en las estructuras sin generar nuevas convicciones y actitudes dará lugar a que esas mismas estructuras tarde o temprano, se vuelvan corruptas, pesadas e ineficaces" (n. 189). No se excluye tampoco el grito de pueblos enteros que reclaman sus derechos como naciones, a los cuales se les debe permitir "llegar a ser por sí mismos artífices de su destino" (PP. 15, EG, n. 189).

Por último, tratando de la relación entre el bien común y la paz social, el Papa afirma que "el anuncio de paz no es el de una paz negociada, sino la convicción de que la unidad del Espíritu armoniza todas las diversidades" (nº 230), porque el Espíritu Santo ipse armonía est.

[01752-04.01] [Texto original: Italiano - Traducción no oficial]

INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI

 TESTO   IN  LINGUA ITALIANA

 TRADUZIONE    IN LINGUA INGLESE

 TRADUZIONE    IN LINGUA SPAGNOLA

TESTO    IN  LINGUA ITALIANA

Mi è stato chiesto di presentare questo Documento Pontificio per quanto riguarda la sua dimensione comunicativa e per quanto la comunicazione entra nella tematica della nuova evangelizzazione. Il mio intervento vuole prendere in considerazione due punti fondamentali.

I. Stile del documento

Si tratta di una Esortazione Apostolica e come tale ha un suo stile e un suo linguaggio proprio. Mi piace sottolineare che il tono è quasi colloquiale con la caratteristica propria di un profondo afflato pastorale. Come dice il Papa Francesco: "desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice". Si percepisce, leggendo il testo, che ci troviamo di fronte ad un pastore che è a colloquio meditativo con i fedeli.

Emerge una caratteristica propria: il Papa utilizza un linguaggio sereno, cordiale, diretto in sintonia con lo stile manifestato in questi mesi di pontificato.

II. Come emerge il ruolo della comunicazione in questa nuova tappa evangelizzatrice, anche perché il Papa vuole "indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni".

Emerge, innanzitutto, la consapevolezza del Papa di quanto sta avvenendo nel mondi di oggi, specialmente nel campo della salute, educazione, comunicazione. il Papa è consapevole dei progressi/successi ottenuti dall’uomo in questi tre campi (n. 52) e fa riferimento alle evidenti innovazioni tecnologiche: "Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo". (n. 52).

Senza dubbio si tratta di progresso e di successi, ma il Papa, è pienamente consapevole che l’attuale società dell’informazione, è satura indiscriminatamente di dati, tutti allo stesso livello e che finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali. Per questo motivo, il Papa, sottolinea che è necessaria una vera educazione che insegni a pensare criticamente ed offra un appropriato percorso di maturazione dei valori. (n. 64).

Il documento riconosce altresì che le attuali maggiori possibilità di comunicazione possono tradursi in più ampie possibilità di incontro tra tutti. Di qui l’esigenza di scoprire e trasmettere la mistica del vivere insieme, di mescolarsi, di incontrarsi. (n. 87).

Emerge altresì la consapevolezza che "Nuove culture continuano a generarsi in queste enormi geografie umane dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù." Il Papa sottolinea addirittura che una "cultura inedita palpita e si progetta nella città". (n. 73)

Non manca anche un rilievo circa l’atteggiamento della cultura mediatica nei confronti del messaggio della Chiesa. Al numero 79 il Papa sottolinea che "La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto".

Un ampio settore, come era prevedibile, è dedicato ad analizzare come il messaggio è comunicato. Non mancano alcuni rilievi su questo fatto. Il Papa è consapevole della velocità della comunicazione odierna e di come a volte i media operano una selezione interessata dei vari contenuti. Ecco perché c’è il rischio che il messaggio possa apparire mutilato e ridotto ad aspetti secondari. C’è il rischio che alcune questioni dell’insegnamento morale della Chiesa rimangano fuori del contesto che dà loro senso o che a volte il messaggio sembri identificarsi con quegli aspetti secondari che non manifestano il cuore autentico del messaggio di Gesù Cristo.

Di fronte a questi rischi il Papa ritiene che si debba essere realisti, vale a dire non dare per scontato che gli interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva. (n. 34)

Per questo motivo, il Papa sottolinea che "Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere". (n. 35)

L’annuncio deve concentrarsi sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta quindi deve semplificarsi senza perdere per questo profondità e verità e diventare così più convincente e radiosa. (n. 35)

Ampi spazi sono poi destinati a riflettere su un tema che mi è particolarmente caro, vale a dire il tema del linguaggio. Il Papa, facendo riferimento agli attuali e rapidi enormi cambiamenti culturali, ricorda che si deve prestare "una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità". (n. 41)

A questo proposito il Papa ricorda che "A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo" e in questa linea il Papa insiste sottolineando come "Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano. In tal modo, siamo fedeli ad una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza". (n. 41)

Il tema del linguaggio è certamente una grande sfida per la Chiesa oggi. Una sfida che deve essere accolta consapevolmente e con decisione, con audacia e saggezza come ricordava Paolo VI in Evangelii Nuntiandi.

Papa Francesco fa rilevare nel contempo: "non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce, qualche oscurità che non toglie fermezza alla sua adesione" (n. 42) e ricorda a tutti noi che "vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell’amore, al di là della chiarezza con cui se ne possono cogliere le ragioni e gli argomenti". (n. 42)

Alla luce di quanto sopra emerge che l’impegno evangelizzatore "si muove tra i limiti del linguaggio e delle circostanze" (n. 45). Si dovrà annunciare al "meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile". (n. 45)

E il Papa continua: un cuore missionario "Mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze, mai opta per la rigidità autodifensiva". (n. 45) A lui spetta crescere nella comprensione del Vangelo, nel discernimento dei sentieri dello spirito, non rinunciare al bene possibile "benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada". (45)

In questo contesto il Papa pone – era da prevedersi – una particolare attenzione alla omelia e, alla luce di quanto sopra, riconosce che il problema non è solamente sapere ciò che si deve dire, ma non trascurare il "come", il modo concreto di sviluppare una predicazione. (n. 157)

Conoscendo lo stile comunicativo di Papa Francesco non sorprende che, in questo contesto, sottolinei il fatto che uno degli sforzi più necessari è quello di imparare ad usare immagini nella predicazione, "vale a dire a parlare con immagini" (n. 157) e qui proprio in questa esortazione scopriamo che all’origine del Suo stile comunicativo c’è l’ insegnamento che un Suo vecchio maestro aveva dato al giovane Bergoglio: "una buona omelia deve contenere un’idea, un sentimento, un’immagine".

Sempre affrontando il tema del linguaggio il Papa ricorda che la semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Deve essere il linguaggio che i destinatari comprendono, per non correre il rischio di parlare a vuoto. (n. 158)

A questo proposito il Papa sottolinea pastoralmente che "Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente". (n.158)

Pertanto, potremmo dire che il cammino è quello di una semplicità, di una chiarezza e di una dimensione positiva. (n. 159) Infatti "una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività".

Vorrei dedicare l’ultima sottolineatura di questo mio intervento al tema della via della bellezza, "via pulchritudinis" (propositio 20, n. 167) "Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda". (n. 167)

Tutte le espressioni, dice il Papa, di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù e ricorda a tutti noi che la stima della bellezza è necessaria per poter giungere al cuore umano e fare risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto. Si ricorda pertanto l’uso dell’arte nell’opera evangelizzatrice della Chiesa e il Papa non esita a parlare di un nuovo "linguaggio parabolico" .

Termino questo mio intervento con una ulteriore citazione prospettica di Papa Francesco che dà senso alla nostra attività comunicativa nella Chiesa "Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali". (n. 167)

Questa è la sfida che Papa Francesco pone a tutti noi e, per quanto mi concerne, sfida che il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali vuole assumere in pienezza e rispondervi positivamente.

[01756-01.01] [Testo originale: Italiano]

 TRADUZIONE     IN  LINGUA INGLESE

I have been invited to present this papal Exhortation with a focus on its communicative dimension and a consideration of how communications is central to the theme of the new evangelization. My reflection is shaped by two fundamental considerations.

1. The Style of the Document

The document is an Apostolic Exhortation and, as such, has its own style and language. I would like to point out that it has an almost conversational feel to it which reflects a unique and profound pastoral sensitivity. As Pope Francis writes, "I wish to encourage the Christian faithful to embark upon a new chapter of evangelization". Reading the text, you have the sense of a pastor who is conducting a meditative conversation with the faithful.

The character of the document is determined by the language which the Pope uses. It is the simple, familiar and direct language which has been the hallmark of the style that has emerged in the months of his pontificate.

2. How does the role of communication emerge in this new phase of evangelization, given that the Pope wants to point out "new paths for the Church’s journey in years to come"?

It is immediately clear that the Pope is aware of what is happening in today’s world, especially in the fields of health, education, and communications. He is aware of the progress made in these three areas (n. 52) and he makes reference to technological innovation, saying, "We are in an age of knowledge and information, which has led to new and often anonymous kinds of power." (n.52).

There is no doubt that there has been progress and achievement in these fields, but the Pope is also aware that the current information society bombards us indiscriminately with data, all treated as of equal importance, which can lead to great superficiality in the area of moral discernment. For this reason the Pope emphasizes the need for a true education which teaches how to think critically and encourages the development of mature moral values (n. 64).

The document also recognizes that the current, enhanced possibilities for communication can open wider avenues of encounter among people. Hence the need to discover and share the mystery of living together, of mingling and encounter (n. 87).

What also emerges is the awareness that, "New cultures are constantly being born in these vast new expanses where Christians are no longer the customary interpreters or generators of meaning. Instead, they themselves take from these cultures new languages, symbols, messages and paradigms which propose new approaches to life, approaches often in contrast with the Gospel of Jesus." The Pope underscores even that "A completely new culture has come to life and continues to grow in the cities" (n. 73).

There is an awareness of the attitude of media culture towards the Church’s message. In n. 79, the Pope underscores that "At times our media culture and some intellectual circles convey a marked scepticism with regard to the Church’s message, along with a certain cynicism."

As to be expected, a great deal of attention is focused on analysing how the message is communicated. It is worth attending to some of the observations. The Pope is aware of the speed of communication today and how at times the media have a selective interest in various types of content. This is why there is a risk that the message can appear to be distorted or reduced to secondary considerations. The risk is that some questions regarding the Church’s moral teachings might be taken out of the context which gives them meaning or, at times, that the message seems to focus on secondary questions which do not reveal the authentic heart of the message of Jesus Christ.

In confronting these risks, the Pope maintains that we must be realistic, we should not "assume that our audience understands the full background to what we are saying, or is capable of relating what we say to the very heart of the Gospel which gives them meaning, beauty and attractiveness" (n. 34). For this reason the Pope emphasises that "Pastoral ministry in a missionary style is not obsessed with the disjointed transmission of a multitude of doctrines to be insistently imposed." (n. 35)

In our proclamation of the message we must concentrate on the essence, on what is truly beautiful, most significant, most attractive and at the same time truly necessary. We must keep the message simple without losing anything of its depth and truth so that it remains convincing and powerful. (n. 35)

Much attention is given to reflection on a theme, which is of particular interest to me, that of language. The Pope makes reference to the increasingly rapid and radical change of culture and reminds us that we must "constantly seek ways of expressing unchanging truths in a language which brings out their abiding newness." (n. 41)

In this regard, the Pope recalls that "There are times when the faithful, in listening to completely orthodox language, take away something alien to the authentic Gospel of Jesus Christ, because that language is alien to their own way of speaking to and understanding one another." In particular, the Pope insists that, "With the holy intent of communicating the truth about God and humanity, we sometimes give them a false god or a human ideal which is not really Christian. In this way, we hold fast to a formulation while failing to convey its substance." (n. 41)

The theme of language is certainly a great challenge for the Church today. It is a challenge which must be faced with awareness and decision, and with "boldness and wisdom", as Pope Paul VI recalled in Evangelii Nuntiandi.

Pope Francis notes at the same time that, "We will never be able to make the Church’s teachings easily understood or readily appreciated by everyone. Faith always remains something of a cross; it retains a certain obscurity which does not detract from the firmness of its assent." (n. 42) And he reminds us all that "Some things are understood and appreciated only from the standpoint of this assent, which is a sister to love, beyond the range of clear reasons and arguments." (n. 42)

In the light of what emerges here, the mission of evangelization "operates within the limits of language and of circumstances" (n. 45). We must consistently strive "to communicate more effectively the truth of the Gospel in a specific context, without renouncing the truth, the goodness and the light which it can bring whenever perfection is not possible." (n. 45)

Pope Francis continues: a missionary heart "never closes itself off, never retreats into its own security, never opts for rigidity and defensiveness." (n. 45) It knows it must grow in understanding the Gospel, in discerning the ways of the Spirit, doing the best it can "even if in the process, its shoes get soiled by the mud of the street." (n. 45)

It is no surprise then that in this context the Pope attaches special importance to the homily. In light of these previous considerations, he recognizes that the problem is not only knowing what has to be said, but that of attending to the "how", the actual steps to developing a homily (n. 157).

For all of us who are familiar with the communicative style of Pope Francis, it comes as no surprise that in this context he insists that one of the most necessary skills is to learn how to use images in preaching, "how to appeal to imagery" (n.157). Here in this Exhortation itself we discover that one of the origins of his communicative style came from something he learned from one of his professors when he was younger, that a good homily should have "an idea, a sentiment, an image".

Continuing with the theme of language, the Pope reminds us that simplicity also involves the vocabulary used. It must be a language people understand to avoid the risk of speaking into a vacuum.

The Pope, with great pastoral insight, points out that "The greatest risk for a preacher is that he becomes so accustomed to his own language that he thinks that everyone else naturally understands and uses it" (n. 158).

Therefore, we could say that the suggested approach is one marked by simplicity, clarity and positivity. He says, "Positive preaching always offers hope, points to the future, does not leave us trapped in negativity" (n. 159).

In conclusion, I would like to highlight the theme of the way of beauty - via pulchritudinis (propositio 20, n. 167): "Proclaiming Christ means showing that to believe in and to follow him is not only something right and true, but also something beautiful, capable of filling life with new splendour and profound joy" (n. 167).

The Pope says all expressions of authentic beauty can be recognized as a path which helps us to encounter the Lord Jesus. He reminds all of us that the appreciation of beauty is necessary to be able to touch the human heart and enable the truth and goodness of the Risen Christ to radiate within it. He recalls the use of art in the Church’s evangelizing efforts and the Pope does not hesitate to speak of a new "language of parables".

I conclude with another quote from Pope Francis which gives meaning to the Church’s communications efforts: "We must be bold enough to discover new signs and new symbols, new flesh to embody and communicate the word, and different forms of beauty which are valued in different cultural settings."

This is the challenge which Pope Francis poses for all of us, and one to which the Pontifical Council for Social Communications is committed to respond fully and positively.

[01756-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE      IN  LINGUA SPAGNOLA

Se me ha pedido presentar este documento pontificio en relación a su dimensión comunicativa, sobre cómo y por qué la comunicación entra en la temática de la nueva evangelización. Mi intervención toma en cuenta dos puntos fundamentales.

I. El estilo del documento

Se trata de una Exhortación Apostólica y como tal tiene un estilo y un lenguaje propios. Me gustaría subrayar que el tono es coloquial con una característica propia de profunda inspiración pastoral.

Como dice Papa Francisco, "deseo dirigirme a los fieles cristianos, invitarles a una nueva etapa evangelizadora". Leyendo el texto se percibe que nos encontramos con un pastor que se pone en coloquio de meditación con sus fieles.

Destaca una característica propia: el Papa usa un lenguaje sereno, cordial, directo y en sintonía con el estilo con el que se ha manifestado estos meses de pontificado.

II. La forma en la que emerge el papel de la comunicación en esta nueva etapa evangelizadora, sobre todo porque el Papa quiere "indicar la dirección en el camino de la Iglesia para los próximos años".

Emerge sobre todo la conciencia del Papa acerca de lo que está aconteciendo en el mundo de hoy, especialmente en el campo de la salud, la educación y la comunicación. El Papa es consciente de los adelantos/logros obtenidos por el hombre en estos tres campos (n.52) y hace referencia a las evidentes innovaciones tecnológicas: "Estamos en la era del conocimiento y la información, fuente de nuevas formas de un poder muchas veces anónimo." (n.52)

Sin duda se trata de progreso y de éxitos, sin embargo el Papa es totalmente consciente de que la sociedad de la información actual nos satura indiscriminadamente con datos, todos al mismo nivel y que terminan conduciéndonos a una tremenda superficialidad a la hora de plantear las cuestiones morales. Por consiguiente, se hace necesaria una educación que enseñe a pensar críticamente y que ofrezca un camino de maduración en valores. (n.64).

El documento reconoce que las mayores posibilidades de comunicación también pueden traducirse en amplias posibilidades de encuentro entre todos. De aquí la exigencia de descubrir y transmitir la mística de vivir juntos, de mezclarnos, de encontrarnos (n.87).

Emerge también la conciencia de que "las nuevas culturas continúan gestándose en estas enormes geografías humanas en las que el cristiano ya no suele ser promotor o generador de sentido, sino que recibe de ellas otros lenguajes, símbolos, mensajes y paradigmas que ofrecen nuevas orientaciones de vida, frecuentemente en contraste con el Evangelio de Jesús." El Papa remarca asimismo que una "cultura inédita late y se elabora en la ciudad ". (n.73)

Tampoco falta una mención sobre la actitud de la cultura mediática en relación al mensaje de la Iglesia. En el número 79, el Papa subraya que "la cultura mediática y algunos ambientes intelectuales, a veces, transmiten una marcada desconfianza hacia el mensaje de la Iglesia, y un cierto desencanto."

Como era previsible, un amplio sector está dedicado al análisis de cómo el mensaje viene comunicado. No faltan algunas observaciones sobre este tema. El Papa es consciente de la velocidad de la comunicación moderna y de cómo, a veces, los medios de comunicación realizan una selección interesada de distintos contenidos. Por este motivo se corre el riesgo que el mensaje aparezca mutilado y reducido sólo a aspectos secundarios. Existe el riesgo que algunas cuestiones de la enseñanza moral de la Iglesia permanezcan fuera del contexto que les dan sentido, o que a veces el mensaje parezca identificarse con aquellos aspectos secundarios que no manifiestan el corazón auténtico del mensaje de Jesucristo.

Frente a estos riesgos, el Papa retiene conveniente ser realistas, es decir, no dar por supuesto que nuestros interlocutores conocen el trasfondo completo de lo que decimos o que pueden conectar nuestro discurso con el núcleo esencial del Evangelio que le otorga sentido, hermosura y atractivo. (n.34).

Por este motivo, el Papa subraya que "una pastoral en clave misionera no se obsesiona por la transmisión desarticulada de una multitud de doctrinas que se intenta imponer a fuerza de insistencia." (n.35)

El anuncio debe concentrarse en lo esencial, que es lo más bello, lo más grande, lo más atractivo y al mismo tiempo lo más necesario. La propuesta se simplifica, sin perder por ello profundidad y verdad, y así se vuelve más contundente y radiante.

Se destina una amplia reflexión a un tema que personalmente es de mi interés; es decir, el tema del lenguaje. El Papa, refiriéndose a las enormes y rápidas transformaciones culturales actuales, nos recuerda que es necesario prestar "una constante atención para intentar expresar las verdades de siempre en un lenguaje que permita advertir su permanente novedad." (n.41).

A este propósito, el Papa recuerda que "a veces, escuchando un lenguaje completamente ortodoxo, lo que los fieles reciben, debido al lenguaje que ellos utilizan y comprenden, es algo que no responde al verdadero Evangelio de Jesucristo" y en este sentido subraya que "con la santa intención de comunicarles la verdad sobre Dios y sobre el ser humano, en algunas ocasiones les damos un falso dios o un ideal humano que no es verdaderamente cristiano. De ese modo, somos fieles a una formulación, pero no entregamos la substancia". (n.41).

En efecto, el tema del lenguaje es una gran desafío para la Iglesia actual. Un desafío que debe ser acogido conscientemente y con decisión, con audacia y sabiduría como recordaba el papa Pablo VI en Evengelii Nuntiandi.

El Papa Francisco, al mismo tiempo, remarca que "nunca podremos convertir las enseñanzas de la Iglesia en algo fácilmente comprendido y felizmente valorado por todos. La fe siempre conserva un aspecto de cruz, alguna oscuridad que no le quita la firmeza de su adhesión." (n.42) y nos recuerda a todos que "hay cosas que sólo se comprenden y valoran desde esa adhesión que es hermana del amor, más allá de la claridad con que puedan percibirse las razones y argumentos." (n.42).

Según lo que se ha expresado hasta aquí, emerge que "la tarea evangelizadora se mueve entre los límites del lenguaje y de las circunstancias" (n.45). Se procurará "comunicar mejor la verdad del Evangelio en un contexto determinado, sin renunciar a la verdad, al bien y a la luz que pueda aportar cuando la perfección no es posible." (n.45).

El Papa continúa: un corazón misionario "nunca se repliega en sus seguridades, nunca opta por la rigidez autodefensiva." (n.45). Él tiene la responsabilidad de crecer en la comprensión del Evangelio y en el discernimiento de los senderos del Espíritu, sin renunciar al bien posible, "aunque corra el riesgo de mancharse con el barro del camino." (n.45)

En este contexto el Papa - como era de esperarse - pone una particular atención en la homilía, y según lo que se ha expresado hasta aquí, reconoce que el problema no es solamente saber aquello que se debe decir, sino también prestar atención al "cómo"; es decir al modo concreto de desarrollar una predicación (n.157)

Conociendo el estilo comunicativo del Papa Francisco, no sorprende que, en este contexto, insista en el hecho de que uno de los esfuerzos más necesarios es de aprender a utilizar imágenes en la predicación, "es decir a hablar con imágenes" (n. 157) y precisamente en esta exhortación descubrimos que en el origen de su estilo  comunicativo, se encuentra la enseñanza que un viejo maestro había dado al joven Bergoglio: una buena homilía debe contener "una idea, un sentimiento, una imagen".

Continuando con el tema del lenguaje, el Papa recuerda que la simplicidad está relacionada con el lenguaje utilizado. Debe ser un lenguaje que los destinatarios puedan comprender para no correr el riesgo de hablar al vacío. (n.158)

En este sentido, el Papa subraya pastoralmente que "el mayor riesgo para un predicador es acostumbrarse a su propio lenguaje y pensar que todos los demás lo usan y lo comprenden espontáneamente". (n. 158)

Por lo tanto, podríamos decir que el camino es el de la simplicidad, la claridad y la dimensión positiva. (n. 159) En efecto "una predicación positiva siempre da esperanza, orienta hacia el futuro, no nos deja encerrados en la negatividad". 

Quisiera poner el último énfasis de mi intervención en el tema de la belleza, via pulchritudinis (propositio 20, n. 267): "Anunciar a Cristo significa mostrar que creer en Él y seguirlo no es sólo algo verdadero y justo, sino también bello, capaz de colmar la vida de un nuevo resplandor y de un gozo profundo". (n. 167)

Todas las expresiones de verdadera belleza - dice el Papa - pueden ser reconocidas como un sendero que ayuda a encontrarse con el Señor Jesús; el aprecio de la belleza es necesario para poder llegar al corazón humano y hacer resplandecer en él la verdad y la bondad del Resucitado. Se nos recuerda por tanto el uso del arte en la tarea evangelizadora de la Iglesia; y el Papa no duda en hablar de un nuevo "lenguaje parabólico".

Culmino mi intervención con una ulterior cita de Papa Francisco que da sentido a nuestra actividad comunicativa en la Iglesia "hay que atreverse a encontrar los nuevos signos, los nuevos símbolos, una nueva carne para la transmisión de la Palabra, las formas diversas de belleza que se valoran en diferentes ámbitos culturales".

Papa Francisco nos pone a todos delante ese desafío; y por lo que se refiere a nosotros se trata de un desafío que el Pontificio Consejo para las Comunicaciones Sociales desea asumir en plenitud para responder positivamente.

[01756-04.01] [Texto original: Italiano]

[B0784-XX.02]