MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (19 GENNAIO 2014) ● MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
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"Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore" è il tema scelto dal Papa per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 19 gennaio 2014.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Francesco ha preparato in vista di tale Giornata:
● MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
"Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore"
Cari fratelli e sorelle!
Le nostre società stanno sperimentando, come mai è avvenuto prima nella storia, processi di mutua interdipendenza e interazione a livello globale, che, se comprendono anche elementi problematici o negativi, hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia umana, non solo negli aspetti economici, ma anche in quelli politici e culturali. Ogni persona, del resto, appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli. Da questa constatazione nasce il tema che ho scelto per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno: "Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore".
Tra i risultati dei mutamenti moderni, il crescente fenomeno della mobilità umana emerge come un "segno dei tempi"; così l’ha definito il Papa Benedetto XVI (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006). Se da una parte, infatti, le migrazioni denunciano spesso carenze e lacune degli Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della terra, la tutela e la promozione della dignità e della centralità di ogni essere umano.
Dal punto di vista cristiano, anche nei fenomeni migratori, come in altre realtà umane, si verifica la tensione tra la bellezza della creazione, segnata dalla Grazia e dalla Redenzione, e il mistero del peccato. Alla solidarietà e all’accoglienza, ai gesti fraterni e di comprensione, si contrappongono il rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfruttamento, del dolore e della morte. A destare preoccupazione sono soprattutto le situazioni in cui la migrazione non è solo forzata, ma addirittura realizzata attraverso varie modalità di tratta delle persone e di riduzione in schiavitù. Il "lavoro schiavo" oggi è moneta corrente! Tuttavia, nonostante i problemi, i rischi e le difficoltà da affrontare, ciò che anima tanti migranti e rifugiati è il binomio fiducia e speranza; essi portano nel cuore il desiderio di un futuro migliore non solo per se stessi, ma anche per le proprie famiglie e per le persone care.
Che cosa comporta la creazione di un "mondo migliore"? Questa espressione non allude ingenuamente a concezioni astratte o a realtà irraggiungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca di uno sviluppo autentico e integrale, a operare perché vi siano condizioni di vita dignitose per tutti, perché trovino giuste risposte le esigenze delle persone e delle famiglie, perché sia rispettata, custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha donato. Il Venerabile Paolo VI descriveva con queste parole le aspirazioni degli uomini di oggi: «essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la dignità umana; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più» (Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 6).
Il nostro cuore desidera un "di più" che non è semplicemente un conoscere di più o un avere di più, ma è soprattutto un essere di più. Non si può ridurre lo sviluppo alla mera crescita economica, conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri (cfr Mt 25,31-46); se si è capaci di passare da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza.
Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più. È impressionante il numero di persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. In cammino con migranti e rifugiati, la Chiesa si impegna a comprendere le cause che sono alle origini delle migrazioni, ma anche a lavorare per superare gli effetti negativi e a valorizzare le ricadute positive sulle comunità di origine, di transito e di destinazione dei movimenti migratori.
Purtroppo, mentre incoraggiamo lo sviluppo verso un mondo migliore, non possiamo tacere lo scandalo della povertà nelle sue varie dimensioni. Violenza, sfruttamento, discriminazione, emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali, sia di individui che di collettività, sono alcuni dei principali elementi della povertà da superare. Molte volte proprio questi aspetti caratterizzano gli spostamenti migratori, legando migrazioni e povertà. In fuga da situazioni di miseria o di persecuzione verso migliori prospettive o per avere salva la vita, milioni di persone intraprendono il viaggio migratorio e, mentre sperano di trovare compimento alle attese, incontrano spesso diffidenza, chiusura ed esclusione e sono colpiti da altre sventure, spesso anche più gravi e che feriscono la loro dignità umana.
La realtà delle migrazioni, con le dimensioni che assume nella nostra epoca della globalizzazione, chiede di essere affrontata e gestita in modo nuovo, equo ed efficace, che esige anzitutto una cooperazione internazionale e uno spirito di profonda solidarietà e compassione. E’ importante la collaborazione ai vari livelli, con l’adozione corale degli strumenti normativi che tutelino e promuovano la persona umana. Papa Benedetto XVI ne ha tracciato le coordinate affermando che «tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati» (Lett. enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, 62). Lavorare insieme per un mondo migliore richiede il reciproco aiuto tra Paesi, con disponibilità e fiducia, senza sollevare barriere insormontabili. Una buona sinergia può essere di incoraggiamento ai governanti per affrontare gli squilibri socio-economici e una globalizzazione senza regole, che sono tra le cause di migrazioni in cui le persone sono più vittime che protagonisti. Nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a questo fenomeno, che è così ampio da interessare ormai tutti i Continenti nel duplice movimento di immigrazione e di emigrazione.
E’ importante poi sottolineare come questa collaborazione inizi già con lo sforzo che ogni Paese dovrebbe fare per creare migliori condizioni economiche e sociali in patria, di modo che l’emigrazione non sia l’unica opzione per chi cerca pace, giustizia, sicurezza e pieno rispetto della dignità umana. Creare opportunità di lavoro nelle economie locali, eviterà inoltre la separazione delle famiglie e garantirà condizioni di stabilità e di serenità ai singoli e alle collettività.
Infine, guardando alla realtà dei migranti e rifugiati, vi è un terzo elemento che vorrei evidenziare nel cammino di costruzione di un mondo migliore, ed è quello del superamento di pregiudizi e precomprensioni nel considerare le migrazioni. Non di rado, infatti, l’arrivo di migranti, profughi, richiedenti asilo e rifugiati suscita nelle popolazioni locali sospetti e ostilità. Nasce la paura che si producano sconvolgimenti nella sicurezza sociale, che si corra il rischio di perdere identità e cultura, che si alimenti la concorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, che si introducano nuovi fattori di criminalità. I mezzi di comunicazione sociale, in questo campo, hanno un ruolo di grande responsabilità: tocca a loro, infatti, smascherare stereotipi e offrire corrette informazioni, dove capiterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animo dei più. In questo, è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla "cultura dello scarto" – ad un atteggiamento che abbia alla base la "cultura dell’incontro", l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore. Anche i mezzi di comunicazione sono chiamati ad entrare in questa "conversione di atteggiamenti" e a favorire questo cambio di comportamento verso i migranti e i rifugiati.
Penso a come anche la Santa Famiglia di Nazaret abbia vissuto l’esperienza del rifiuto all’inizio del suo cammino: Maria «diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Anzi, Gesù, Maria e Giuseppe hanno sperimentato che cosa significhi lasciare la propria terra ed essere migranti: minacciati dalla sete di potere di Erode, furono costretti a fuggire e a rifugiarsi in Egitto (cfr Mt 2,13-14). Ma il cuore materno di Maria e il cuore premuroso di Giuseppe, Custode della Santa Famiglia, hanno conservato sempre la fiducia che Dio mai abbandona. Per la loro intercessione, sia sempre salda nel cuore del migrante e del rifugiato questa stessa certezza.
La Chiesa, rispondendo al mandato di Cristo "Andate e fate discepoli tutti i popoli", è chiamata ad essere il Popolo di Dio che abbraccia tutti i popoli, e porta a tutti i popoli l’annuncio del Vangelo, poiché nel volto di ogni persona è impresso il volto di Cristo! Qui si trova la radice più profonda della dignità dell’essere umano, da rispettare e tutelare sempre. Non sono tanto i criteri di efficienza, di produttività, di ceto sociale, di appartenenza etnica o religiosa quelli che fondano la dignità della persona, ma l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27) e, ancora di più, l’essere figli di Dio; ogni essere umano è figlio di Dio! In lui è impressa l’immagine di Cristo! Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo. Le migrazioni possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione, aprire spazi alla crescita di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera.
Cari migranti e rifugiati! Non perdete la speranza che anche a voi sia riservato un futuro più sicuro, che sui vostri sentieri possiate incontrare una mano tesa, che vi sia dato di sperimentare la solidarietà fraterna e il calore dell’amicizia! A tutti voi e a coloro che dedicano la loro vita e le loro energie al vostro fianco assicuro la mia preghiera e imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 5 agosto 2013
FRANCESCO
[01335-01.01] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
"Migrants et réfugiés : vers un monde meilleur"
Chers frères et sœurs !
Nos sociétés font l’expérience, comme cela n’est jamais arrivé auparavant dans l’histoire, de processus d’interdépendance mutuelle et d’interaction au niveau mondial, qui, s’ils comprennent aussi des éléments problématiques ou négatifs, ont pour objectif d’améliorer les conditions de vie de la famille humaine, non seulement dans ses aspects économiques, mais aussi dans ses aspects politiques et culturels. Du reste, chaque personne appartient à l’humanité et partage l’espérance d’un avenir meilleur avec toute la famille des peuples. De cette constatation est né le thème que j’ai choisi pour la Journée mondiale du Migrant et du Réfugié de cette année : « Migrants et réfugiés : vers un monde meilleur ».
Parmi les résultats des mutations modernes, le phénomène croissant de la mobilité humaine émerge comme un « signe des temps » ; ainsi l’a défini le Pape Benoît XVI (cf. Message pour la Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié 2006). Si d’une part, en effet, les migrations trahissent souvent des carences et des lacunes des États et de la Communauté internationale, de l’autre elles révèlent aussi l’aspiration de l’humanité à vivre l’unité dans le respect des différences, l’accueil et l’hospitalité qui permettent le partage équitable des biens de la terre, la sauvegarde et la promotion de la dignité et de la centralité de tout être humain.
Du point de vue chrétien, aussi bien dans les phénomènes migratoires, que dans d’autres réalités humaines, se vérifie la tension entre la beauté de la création, marquée par la Grâce et la Rédemption, et le mystère du péché. À la solidarité et à l’accueil, aux gestes fraternels et de compréhension, s’opposent le refus, la discrimination, les trafics de l’exploitation, de la souffrance et de la mort. Ce sont surtout les situations où la migration n’est pas seulement forcée, mais même réalisée à travers diverses modalités de traite des personnes et de réduction en esclavage qui causent préoccupation. Le « travail d’esclave » est aujourd’hui monnaie courante ! Toutefois, malgré les problèmes, les risques et les difficultés à affronter, ce qui anime de nombreux migrants et réfugiés c’est le binôme confiance et espérance ; ils portent dans leur cœur le désir d’un avenir meilleur non seulement pour eux-mêmes, mais aussi pour leurs familles et pour les personnes qui leur sont chères.
Que comporte la création d’un « monde meilleur » ? Cette expression ne fait pas allusion naïvement à des conceptions abstraites ou à des réalités hors d’atteinte, mais oriente plutôt à la recherche d’un développement authentique et intégral, à travailler pour qu’il y ait des conditions de vie dignes pour tous, pour que les exigences des personnes et des familles trouvent de justes réponses, pour que la création que Dieu nous a donnée soit respectée, gardée et cultivée. Le Vénérable Paul VI décrivait avec ces mots les aspirations des hommes d’aujourd’hui : « être affranchis de la misère, trouver plus sûrement leur subsistance, la santé, un emploi stable ; participer davantage aux responsabilités, hors de toute oppression, à l’abri des situations qui offensent leur dignité d’hommes ; être plus instruits ; en un mot, faire, connaître, et avoir plus, pour être plus » (Lett. enc. Populorum progressio, 26 mars 1967, n. 6).
Notre cœur désire un « plus » qui n’est pas seulement un connaître plus ou un avoir plus, mais qui est surtout un être plus. Le développement ne peut être réduit à la simple croissance économique, obtenue, souvent sans regarder aux personnes plus faibles et sans défense. Le monde peut progresser seulement si l’attention première est dirigée vers la personne ; si la promotion de la personne est intégrale, dans toutes ses dimensions, incluse la dimension spirituelle ; si personne n’est délaissé, y compris les pauvres, les malades, les prisonniers, les nécessiteux, les étrangers (cf. Mt 25, 31-46) ; si on est capable de passer d’une culture du rejet à une culture de la rencontre et de l’accueil.
Migrants et réfugiés ne sont pas des pions sur l’échiquier de l’humanité. Il s’agit d’enfants, de femmes et d’hommes qui abandonnent ou sont contraints d’abandonner leurs maisons pour diverses raisons, et qui partagent le même désir légitime de connaître, d’avoir mais surtout d’être plus. Le nombre de personnes qui émigrent d’un continent à l’autre, de même que celui de ceux qui se déplacent à l’intérieur de leurs propres pays et de leurs propres aires géographiques, est impressionnant. Les flux migratoires contemporains constituent le plus vaste mouvement de personnes, sinon de peuples, de tous les temps. En marche avec les migrants et les réfugiés, l’Église s’engage à comprendre les causes qui sont aux origines des migrations, mais aussi à travailler pour dépasser les effets négatifs et à valoriser les retombées positives sur les communautés d’origine, de transit et de destination des mouvements migratoires.
Malheureusement, alors que nous encourageons le développement vers un monde meilleur, nous ne pouvons pas taire le scandale de la pauvreté dans ses diverses dimensions. Violence, exploitation, discrimination, marginalisation, approches restrictives aux libertés fondamentales, aussi bien des individus que des collectivités, sont quelques-uns des principaux éléments de la pauvreté à vaincre. Bien des fois justement ces aspects caractérisent les déplacements migratoires, liant migrations et pauvreté. Fuyant des situations de misère ou de persécution vers des perspectives meilleures, ou pour avoir la vie sauve, des millions de personnes entreprennent le voyage migratoire et, alors qu’elles espèrent trouver la réalisation de leurs attentes, elles rencontrent souvent méfiance, fermeture et exclusion et sont frappées par d’autres malheurs, souvent encore plus graves et qui blessent leur dignité humaine.
La réalité des migrations, avec les dimensions qu’elle présente en notre époque de la mondialisation, demande à être affrontée et gérée d’une manière nouvelle, équitable et efficace, qui exige avant tout une coopération internationale et un esprit de profonde solidarité et de compassion. La collaboration aux différents niveaux est importante, avec l’adoption, par tous, des instruments normatifs qui protègent et promeuvent la personne humaine. Le Pape Benoît XVI en a tracé les lignes en affirmant qu’« une telle politique doit être développée en partant d’une étroite collaboration entre les pays d’origine des migrants et les pays où ils se rendent; elle doit s’accompagner de normes internationales adéquates, capables d’harmoniser les divers ordres législatifs, dans le but de sauvegarder les exigences et les droits des personnes et des familles émigrées et, en même temps, ceux des sociétés où arrivent ces mêmes émigrés » (Lett. enc. Caritas in veritate, 29 juin 2009, n. 62). Travailler ensemble pour un monde meilleur réclame une aide réciproque entre pays, avec disponibilité et confiance, sans élever de barrières insurmontables. Une bonne synergie peut encourager les gouvernants pour affronter les déséquilibres socioéconomiques et une mondialisation sans règles, qui font partie des causes des migrations dans lesquelles les personnes sont plus victimes que protagonistes. Aucun pays ne peut affronter seul les difficultés liées à ce phénomène, qui est si vaste qu’il concerne désormais tous les continents dans le double mouvement d’immigration et d’émigration.
Il est important, ensuite, de souligner comment cette collaboration commence déjà par l’effort que chaque pays devrait faire pour créer de meilleures conditions économiques et sociales chez lui, de sorte que l’émigration ne soit pas l’unique option pour celui qui cherche paix, justice, sécurité, et plein respect de la dignité humaine. Créer des possibilités d’embauche dans les économies locales, évitera en outre la séparation des familles, et garantira les conditions de stabilité et de sérénité, à chacun et aux collectivités.
Enfin, regardant la réalité des migrants et des réfugiés, il y a un troisième élément que je voudrais mettre en évidence sur le chemin de la construction d’un monde meilleur ; c’est celui du dépassement des préjugés et des incompréhensions dans la manière dont on considère les migrations. Souvent, en effet, l’arrivée de migrants, de personnes déplacées, de demandeurs d’asile et de réfugiés suscite chez les populations locales suspicion et hostilité. La peur nait qu’il se produise des bouleversements dans la sécurité de la société, que soit couru le risque de perdre l’identité et la culture, que s’alimente la concurrence sur le marché du travail, ou même, que soient introduits de nouveaux facteurs de criminalité. Les moyens de communication sociale, en ce domaine ont une grande responsabilité : il leur revient, en effet, de démasquer les stéréotypes et d’offrir des informations correctes où il arrivera de dénoncer l’erreur de certains, mais aussi de décrire l’honnêteté, la rectitude et la grandeur d’âme du plus grand nombre. En cela, un changement d’attitude envers les migrants et les réfugiés est nécessaire de la part de tous ; le passage d’une attitude de défense et de peur, de désintérêt ou de marginalisation – qui, en fin de compte, correspond à la « culture du rejet » – à une attitude qui ait comme base la « culture de la rencontre », seule capable de construire un monde plus juste et fraternel, un monde meilleur. Les moyens de communication, eux aussi, sont appelés à entrer dans cette « conversion des attitudes » et à favoriser ce changement de comportement envers les migrants et les réfugiés.
Je pense aussi à la manière dont la Sainte Famille de Nazareth a vécu l’expérience du refus au début de sa route : Marie « mit au monde son fils premier né ; elle l’emmaillota et le coucha dans une mangeoire, car il n’y avait pas de place pour eux dans la salle commune » (Lc 2,7). Plus encore, Jésus, Marie et Joseph ont fait l’expérience de ce que signifie laisser sa propre terre et être migrants : menacés par la soif de pouvoir d’Hérode, ils ont été contraints de fuir et de se réfugier en Égypte (cf. Mt 2, 13-14). Mais le cœur maternel de Marie et le cœur prévenant de Joseph, Gardien de la Sainte Famille, ont toujours gardé la confiance que Dieu ne les abandonnerait jamais. Par leur intercession, que cette même certitude soit toujours ferme, dans le cœur du migrant et du réfugié.
En répondant au mandat du Christ « Allez, et de toutes les nations faites des disciples », l’Église est appelée à être le Peuple de Dieu qui embrasse tous les peuples, et qui porte à tous les peuples l’annonce de l’Évangile, puisque, sur le visage de toute personne est imprimé le visage du Christ ! Là se trouve la racine la plus profonde de la dignité de l’être humain, qui est toujours à respecter et à protéger. Ce ne sont pas tant les critères d’efficacité, de productivité, de classe sociale, d’appartenance ethnique ou religieuse qui fondent la dignité de la personne, mais le fait d’être créés à l’image et à la ressemblance de Dieu (cf. Gn 1, 26-27), et plus encore le fait d’être enfants de Dieu ; tout être humain est enfant de Dieu ! L’image du Christ est imprimée en lui ! Il s’agit alors de voir, nous d’abord et d’aider ensuite les autres à voir dans le migrant et dans le réfugié, non pas seulement un problème à affronter, mais un frère et une sœur à accueillir, à respecter et à aimer, une occasion que la Providence nous offre pour contribuer à la construction d’une société plus juste, une démocratie plus accomplie, un pays plus solidaire, un monde plus fraternel et une communauté chrétienne plus ouverte, selon l’Évangile. Les migrations peuvent faire naître la possibilité d’une nouvelle évangélisation, ouvrir des espaces à la croissance d’une nouvelle humanité, annoncée par avance dans le mystère pascal : une humanité pour laquelle toute terre étrangère est une patrie et toute patrie est une terre étrangère.
Chers migrants et réfugiés ! Ne perdez pas l’espérance qu’à vous aussi est réservé un avenir plus assuré, que sur vos sentiers vous pourrez trouver une main tendue, qu’il vous sera donné de faire l’expérience de la solidarité fraternelle et la chaleur de l’amitié ! À vous tous et à ceux qui consacrent leur vie et leurs énergies à vos côtés, je vous assure de ma prière et je vous donne de tout cœur la Bénédiction apostolique.
Du Vatican, le 5 août 2013.
FRANÇOIS
[01335-03.01] [Texte original: Italien]
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
"Migrants and Refugees: Towards a Better World"
Dear Brothers and Sisters,
Our societies are experiencing, in an unprecedented way, processes of mutual interdependence and interaction on the global level. While not lacking problematic or negative elements, these processes are aimed at improving the living conditions of the human family, not only economically, but politically and culturally as well. Each individual is a part of humanity and, with the entire family of peoples, shares the hope of a better future. This consideration inspired the theme I have chosen for the World Day of Migrants and Refugees this year: Migrants and Refugees: Towards a Better World.
In our changing world, the growing phenomenon of human mobility emerges, to use the words of Pope Benedict XVI, as a "sign of the times" (cf. Message for the 2006 World Day of Migrants and Refugees). While it is true that migrations often reveal failures and shortcomings on the part of States and the international community, they also point to the aspiration of humanity to enjoy a unity marked by respect for differences, by attitudes of acceptance and hospitality which enable an equitable sharing of the world’s goods, and by the protection and the advancement of the dignity and centrality of each human being.
From the Christian standpoint, the reality of migration, like other human realities, points to the tension between the beauty of creation, marked by Grace and the Redemption, and the mystery of sin. Solidarity, acceptance, and signs of fraternity and understanding exist side by side with rejection, discrimination, trafficking and exploitation, suffering and death. Particularly disturbing are those situations where migration is not only involuntary, but actually set in motion by various forms of human trafficking and enslavement. Nowadays, "slave labour" is common coin! Yet despite the problems, risks and difficulties to be faced, great numbers of migrants and refugees continue to be inspired by confidence and hope; in their hearts they long for a better future, not only for themselves but for their families and those closest to them.
What is involved in the creation of "a better world"? The expression does not allude naively to abstract notions or unattainable ideals; rather, it aims at an authentic and integral development, at efforts to provide dignified living conditions for everyone, at finding just responses to the needs of individuals and families, and at ensuring that God’s gift of creation is respected, safeguarded and cultivated. The Venerable Paul VI described the aspirations of people today in this way: "to secure a sure food supply, cures for diseases and steady employment… to exercise greater personal resonsibility; to do more, to learn more, and have more, in order to be more" (Populorum Progressio, 6).
Our hearts do desire something "more". Beyond greater knowledge or possessions, they want to "be" more. Development cannot be reduced to economic growth alone, often attained without a thought for the poor and the vulnerable. A better world will come about only if attention is first paid to individuals; if human promotion is integral, taking account of every dimension of the person, including the spiritual; if no one is neglected, including the poor, the sick, prisoners, the needy and the stranger (cf. Mt 25:31-46); if we can prove capable of leaving behind a throwaway culture and embracing one of encounter and acceptance.
Migrants and refugees are not pawns on the chessboard of humanity. They are children, women and men who leave or who are forced to leave their homes for various reasons, who share a legitimate desire for knowing and having, but above all for being more. The sheer number of people migrating from one continent to another, or shifting places within their own countries and geographical areas, is striking. Contemporary movements of migration represent the largest movement of individuals, if not of peoples, in history. As the Church accompanies migrants and refugees on their journey, she seeks to understand the causes of migration, but she also works to overcome its negative effects, and to maximize its positive influence on the communities of origin, transit and destination.
While encouraging the development of a better world, we cannot remain silent about the scandal of poverty in its various forms. Violence, exploitation, discrimination, marginalization, restrictive approaches to fundamental freedoms, whether of individuals or of groups: these are some of the chief elements of poverty which need to be overcome. Often these are precisely the elements which mark migratory movements, thus linking migration to poverty. Fleeing from situations of extreme poverty or persecution in the hope of a better future, or simply to save their own lives, millions of persons choose to migrate. Despite their hopes and expectations, they often encounter mistrust, rejection and exclusion, to say nothing of tragedies and disasters which offend their human dignity.
The reality of migration, given its new dimensions in our age of globalization, needs to be approached and managed in a new, equitable and effective manner; more than anything, this calls for international cooperation and a spirit of profound solidarity and compassion. Cooperation at different levels is critical, including the broad adoption of policies and rules aimed at protecting and promoting the human person. Pope Benedict XVI sketched the parameters of such policies, stating that they "should set out from close collaboration between the migrants’ countries of origin and their countries of destination; they should be accompanied by adequate international norms able to coordinate different legislative systems with a view to safeguarding the needs and rights of individual migrants and their families, and at the same time, those of the host countries" (Caritas in Veritate, 62). Working together for a better world requires that countries help one another, in a spirit of willingness and trust, without raising insurmountable barriers. A good synergy can be a source of encouragement to government leaders as they confront socioeconomic imbalances and an unregulated globalization, which are among some of the causes of migration movements in which individuals are more victims than protagonists. No country can singlehandedly face the difficulties associated with this phenomenon, which is now so widespread that it affects every continent in the twofold movement of immigration and emigration.
It must also be emphasized that such cooperation begins with the efforts of each country to create better economic and social conditions at home, so that emigration will not be the only option left for those who seek peace, justice, security and full respect of their human dignity. The creation of opportunities for employment in the local economies will also avoid the separation of families and ensure that individuals and groups enjoy conditions of stability and serenity.
Finally, in considering the situation of migrants and refugees, I would point to yet another element in building a better world, namely, the elimination of prejudices and presuppositions in the approach to migration. Not infrequently, the arrival of migrants, displaced persons, asylum-seekers and refugees gives rise to suspicion and hostility. There is a fear that society will become less secure, that identity and culture will be lost, that competition for jobs will become stiffer and even that criminal activity will increase. The communications media have a role of great responsibility in this regard: it is up to them, in fact, to break down stereotypes and to offer correct information in reporting the errors of a few as well as the honesty, rectitude and goodness of the majority. A change of attitude towards migrants and refugees is needed on the part of everyone, moving away from attitudes of defensiveness and fear, indifference and marginalization – all typical of a throwaway culture – towards attitudes based on a culture of encounter, the only culture capable of building a better, more just and fraternal world. The communications media are themselves called to embrace this "conversion of attitudes" and to promote this change in the way migrants and refugees are treated.
I think of how even the Holy Family of Nazareth experienced initial rejection: Mary "gave birth to her firstborn son, and wrapped him in swaddling cloths, and laid him in a manger, because there was no place for them in the inn" (Lk 2:7). Jesus, Mary and Joseph knew what it meant to leave their own country and become migrants: threatened by Herod’s lust for power, they were forced to take flight and seek refuge in Egypt (cf. Mt 2:13-14). But the maternal heart of Mary and the compassionate heart of Joseph, the Protector of the Holy Family, never doubted that God would always be with them. Through their intercession, may that same firm certainty dwell in the heart of every migrant and refugee.
The Church, responding to Christ’s command to "go and make disciples of all nations", is called to be the People of God which embraces all peoples and brings to them the proclamation of the Gospel, for the face of each person bears the mark of the face of Christ! Here we find the deepest foundation of the dignity of the human person, which must always be respected and safeguarded. It is less the criteria of efficiency, productivity, social class, or ethnic or religious belonging which ground that personal dignity, so much as the fact of being created in God’s own image and likeness (cf. Gen 1:26-27) and, even more so, being children of God. Every human being is a child of God! He or she bears the image of Christ! We ourselves need to see, and then to enable others to see, that migrants and refugees do not only represent a problem to be solved, but are brothers and sisters to be welcomed, respected and loved. They are an occasion that Providence gives us to help build a more just society, a more perfect democracy, a more united country, a more fraternal world and a more open and evangelical Christian community. Migration can offer possibilities for a new evangelization, open vistas for the growth of a new humanity foreshadowed in the paschal mystery: a humanity for which every foreign country is a homeland and every homeland is a foreign country.
Dear migrants and refugees! Never lose the hope that you too are facing a more secure future, that on your journey you will encounter an outstretched hand, and that you can experience fraternal solidarity and the warmth of friendship! To all of you, and to those who have devoted their lives and their efforts to helping you, I give the assurance of my prayers and I cordially impart my Apostolic Blessing.
From the Vatican, 5 August 2013
FRANCIS
[01335-02.01] [Original text: Italian]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
"Migranten und Flüchtlinge: unterwegs zu einer besseren Welt"
Liebe Brüder und Schwestern,
wie nie zuvor in der Geschichte erleben unsere Gesellschaften Prozesse weltweiter gegenseitiger Abhängigkeit und Wechselwirkung, die, obgleich sie auch problematische oder negative Elemente aufweisen, das Ziel haben, die Lebensbedingungen der Menschheitsfamilie zu verbessern, und zwar nicht nur in wirtschaftlicher, sondern auch in politischer und kultureller Hinsicht. Jeder Mensch gehört ja der Menschheit an und teilt die Hoffnung auf eine bessere Zukunft mit der gesamten Völkerfamilie. Aus dieser Feststellung geht das Thema hervor, das ich für den diesjährigen Welttag des Migranten und Flüchtlings gewählt habe: „Migranten und Flüchtlinge: unterwegs zu einer besseren Welt".
Unter den Ergebnissen der modernen Veränderungen ragt als ein „Zeichen der Zeit" – so hat Papst Benedikt XVI. es definiert (vgl. Botschaft zum Welttag des Migranten und Flüchtlings 2006) – das zunehmende Phänomen der menschlichen Mobilität heraus. Wenn nämlich einerseits die Migrationen häufig Mängel und Versäumnisse der Staaten und der Internationalen Gemeinschaft anzeigen, offenbaren sie andererseits auch das Bestreben der Menschheit, die Einheit in der Achtung der Unterschiede, die Aufnahmebereitschaft und die Gastfreundschaft zu leben, die eine gerechte Teilung der Güter der Erde sowie den Schutz und die Förderung der Würde und der Zentralität jedes Menschen erlauben.
Aus christlicher Sicht besteht auch in den Migrationserscheinungen – wie in anderen Dingen, die den Menschen betreffen – die Spannung zwischen der von der Gnade und der Erlösung geprägten Schönheit der Schöpfung und dem Geheimnis der Sünde. Der Solidarität und der Aufnahmebereitschaft, den Gesten der Brüderlichkeit und des Verständnisses stellen sich Ablehnung, Diskriminierung und die Machenschaften der Ausbeutung, des Schmerzes und des Todes entgegen. Besorgnis erregend sind vor allem die Situationen, in der die Migration nicht nur aus Zwang geschieht, sondern sogar in verschiedenen Formen von Menschenhandel und Versklavung stattfindet. „Sklavenarbeit" ist heute gültige Währung! Und doch ist das, was trotz der zu bewältigenden Probleme, Risiken und Schwierigkeiten viele Migranten und Flüchtlinge treibt, die Kombination aus Vertrauen und Hoffnung; sie tragen die Sehnsucht nach einer besseren Zukunft im Herzen, nicht nur für sich selbst, sondern auch für ihre Familien und für die Menschen, die ihnen lieb sind.
Was bedingt die Schaffung einer „besseren Welt"? Dieser Ausdruck spielt nicht naiv auf abstrakte Vorstellungen oder auf etwas Unerreichbares an, sondern leitet vielmehr zur Bemühung um eine authentische, ganzheitliche Entwicklung an und zum Handeln, damit es würdige Lebensbedingungen für alle gibt, damit den Bedürfnissen der einzelnen Menschen und der Familien in rechter Weise entsprochen wird und damit die Schöpfung, die Gott uns geschenkt hat, geachtet, bewahrt und gepflegt wird. Der ehrwürdige Diener Gottes Paul VI. beschrieb die Bestrebungen der Menschen von heute mit diesen Worten: »Freisein von Elend, Sicherung des Lebensunterhalts, Gesundheit, feste Beschäftigung, Schutz vor Situationen, die seine Würde als Mensch verletzen, ständig wachsende Leistungsfähigkeit, bessere Bildung, mit einem Wort: mehr arbeiten, mehr lernen, mehr besitzen, um mehr zu gelten« (Enzyklika Populorum progressio, 26 März 1967, 6).
Unser Herz sehnt sich nach einem „Mehr", das nicht einfach ein Mehr an Wissen oder an Besitz ist, sondern vor allem bedeutet, mehr zu sein. Man kann die Entwicklung nicht auf das bloße Wirtschaftswachstum reduzieren, das häufig verfolgt wird, ohne auf die Ärmsten und die Schutzlosesten Rücksicht zu nehmen. Die Welt kann nur besser werden, wenn die Hauptaufmerksamkeit dem Menschen gilt, wenn die Förderung der Person ganzheitlich angelegt ist und alle ihre Dimensionen betrifft, einschließlich der geistigen; wenn niemand vernachlässigt wird, auch nicht die Armen, die Kranken, die Gefangenen, die Bedürftigen, die Fremden (vgl. Mt 25,31-46); wenn man dazu fähig ist, von einer Wegwerf-Mentalität zu einer Kultur der Begegnung und der Aufnahme überzugehen.
Migranten und Flüchtlinge sind keine Figuren auf dem Schachbrett der Menschheit. Es geht um Kinder, Frauen und Männer, die aus verschiedenen Gründen ihre Häuser verlassen oder gezwungen sind, sie zu verlassen, Menschen, die den gleichen legitimen Wunsch haben, mehr zu lernen und mehr zu besitzen, vor allem aber mehr zu sein. Die Anzahl der Menschen, die von einem Kontinent zum anderen ziehen, wie auch derer, die innerhalb ihrer Länder und ihrer geographischen Gebiete einen Ortswechsel vornehmen, ist eindrucksvoll. Die augenblicklichen Migrationsströme sind die umfassendsten Bewegungen von Menschen –wenn nicht von Völkern –, die es je gegeben hat. Mit Migranten und Flüchtlingen unterwegs, bemüht sich die Kirche, die Ursachen zu verstehen, die diese Wanderungen auslösen. Zugleich arbeitet sie aber auch daran, die negativen Folgen der Wanderbewegungen zu überwinden und ihre positiven Auswirkungen auf die Gemeinschaften an den Herkunfts-, Durchreise- und Zielorten zu nutzen.
Leider können wir, während wir die Entwicklung zu einer besseren Welt anregen, nicht schweigen über den Skandal der Armut in ihren verschiedenen Dimensionen. Gewalt, Ausbeutung, Diskriminierung, Ausgrenzung und Einschränkungen der Grundfreiheiten sowohl von Einzelnen als auch von Gemeinschaften sind einige der Hauptelemente der Armut, die überwunden werden müssen. Vielmals kennzeichnen gerade diese Aspekte die Migrationsbewegungen und verbinden Migration mit Armut. Auf der Flucht vor Situationen des Elends oder der Verfolgung, um bessere Aussichten zu finden oder mit dem Leben davonzukommen begeben sich Millionen von Menschen auf Wanderung, und während sie auf die Erfüllung ihrer Erwartungen hoffen, stoßen sie häufig auf Misstrauen, Verschlossenheit und Ausschließung und werden von anderen, oft noch schwereren Formen des Unglücks getroffen, die ihre Menschenwürde verletzen.
Die Wirklichkeit der Migrationen verlangt in den Dimensionen, die sie in unserer Zeit der Globalisierung annimmt, eine neue angemessene und wirksame Art der Handhabung, die vor allem eine internationale Zusammenarbeit und einen Geist tiefer Solidarität und ehrlichen Mitgefühls erfordert. Wichtig ist die Zusammenarbeit auf den verschiedenen Ebenen, unter gemeinsamer Anwendung der normativen Mittel, welche den Menschen schützen und fördern. Papst Benedikt XVI. hat die Koordinaten dafür umrissen, als er betonte: »Eine solche Politik muss ausgehend von einer engen Zusammenarbeit zwischen Herkunfts- und Aufnahmeländern der Migranten entwickelt werden; sie muss mit angemessenen internationalen Bestimmungen einhergehen, die imstande sind, die verschiedenen gesetzgeberischen Ordnungen in Einklang zu bringen in der Aussicht, die Bedürfnisse und Rechte der ausgewanderten Personen und Familien sowie zugleich der Zielgesellschaften der Emigranten selbst zu schützen« (Enzyklika Caritas in veritate, 19. Juni 2009, 62). Gemeinsam für eine bessere Welt zu arbeiten, erfordert die gegenseitige Hilfe unter den Ländern, in Bereitschaft und Vertrauen, ohne unüberwindliche Hürden aufzubauen. Eine gute Synergie kann für die Regierenden eine Ermutigung sein, den sozioökonomischen Ungleichgewichten und einer ungeregelten Globalisierung entgegenzutreten, die zu den Ursachen von Migrationen gehören, in denen die Menschen mehr Opfer als Protagonisten sind. Kein Land kann den Schwierigkeiten, die mit diesem Phänomen verbunden sind, alleine gegenübertreten; es ist so weitreichend, dass es mittlerweile alle Kontinente in der zweifachen Bewegung von Immigration und Emigration betrifft.
Es ist überdies wichtig hervorzuheben, dass diese Zusammenarbeit bereits mit der Anstrengung beginnt, die jedes Land unternehmen müsste, um bessere wirtschaftliche und soziale Bedingungen in der Heimat zu schaffen, so dass für den, der Frieden, Gerechtigkeit, Sicherheit und volle Achtung der Menschenwürde sucht, die Emigration nicht die einzige Wahl darstellt. Arbeitsmöglichkeiten in den lokalen Volkswirtschaften zu schaffen, wird außerdem die Trennung der Familien vermeiden und den Einzelnen wie den Gemeinschaften Bedingungen für Stabilität und Ausgeglichenheit garantieren.
Schließlich gibt es im Blick auf die Wirklichkeit der Migranten und Flüchtlinge noch ein drittes Element, das ich auf dem Weg des Aufbaus einer besseren Welt hervorheben möchte: die Überwindung von Vorurteilen und Vorverständnissen bei der Betrachtung der Migrationen. Nicht selten löst nämlich das Eintreffen von Migranten, Vertriebenen, Asylbewerbern und Flüchtlingen bei der örtlichen Bevölkerung Verdächtigungen und Feindseligkeiten aus. Es kommt die Angst auf, dass sich Umwälzungen in der sozialen Sicherheit ergeben, dass man Gefahr läuft, die eigene Identität und Kultur zu verlieren, dass auf dem Arbeitsmarkt die Konkurrenz geschürt wird oder sogar dass neue Faktoren von Kriminalität eindringen. Auf diesem Gebiet haben die sozialen Kommunikationsmittel eine sehr verantwortungsvolle Rolle: Ihre Aufgabe ist es nämlich, feste, eingebürgerte Vorurteile zu entlarven und korrekte Informationen zu bieten, wo es darum geht, den Fehler einiger öffentlich anzuklagen, aber auch, die Ehrlichkeit, Rechtschaffenheit und Seelengröße der Mehrheit zu beschreiben. In diesem Punkt ist ein Wandel der Einstellung aller gegenüber den Migranten und Flüchtlingen notwendig; der Übergang von einer Haltung der Verteidigung und der Angst, des Desinteresses oder der Ausgrenzung – was letztlich genau der „Wegwerf-Mentalität" entspricht – zu einer Einstellung, deren Basis die „Kultur der Begegnung" ist. Diese allein vermag eine gerechtere und brüderlichere, eine bessere Welt aufzubauen. Auch die Kommunikationsmittel sind aufgerufen, in diese „Umkehr der Einstellungen" einzutreten und diesen Wandel im Verhalten gegenüber Migranten und Flüchtlingen zu begünstigen.
Ich denke daran, wie auch die Heilige Familie von Nazareth am Anfang ihres Weges die Erfahrung der Ablehnung gemacht hat: Maria »gebar ihren Sohn, den Erstgeborenen. Sie wickelte ihn in Windeln und legte ihn in eine Krippe, weil in der Herberge kein Platz für sie war« (Lk 2,7). Ja, Jesus, Maria und Joseph haben erfahren, was es bedeutet, das eigene Land zu verlassen und Migranten zu sein: Vom Machthunger des Herodes bedroht, waren sie gezwungen, zu fliehen und in Ägypten Zuflucht zu suchen (vgl. Mt 2,13-14). Aber das mütterliche Herz Marias und das aufmerksam fürsorgliche Herz Josephs, des Beschützers der Heiligen Familie, haben immer die Zuversicht bewahrt, dass Gott einen nie verlässt. Möge auf ihre Fürsprache dieselbe Gewissheit im Herzen des Migranten und des Flüchtlings immer unerschütterlich sein.
In der Erfüllung des Auftrags Christi, »Geht zu allen Völkern und macht alle Menschen zu meinen Jüngern«, ist die Kirche berufen, das Volk Gottes zu sein, das alle Völker umfasst und allen Völkern das Evangelium verkündet, denn dem Gesicht eines jeden Menschen ist das Angesicht Christi eingeprägt! Hier liegt die tiefste Wurzel der Würde des Menschen, die immer zu achten und zu schützen ist. Nicht die Kriterien der Leistung, der Produktivität, des sozialen Stands, der ethnischen oder religiösen Zugehörigkeit begründen die Würde des Menschen, sondern die Tatsache, dass er als Gottes Abbild und ihm ähnlich erschaffen ist (vgl. Gen 1,26-27), und mehr noch, dass er Kind Gottes ist; jeder Mensch ist Kind Gottes! Ihm ist das Bild Christi eingeprägt! Es geht also darum, dass wir als Erste und dann mit unserer Hilfe auch die anderen im Migranten und im Flüchtling nicht nur ein Problem sehen, das bewältigt werden muss, sondern einen Bruder und eine Schwester, die aufgenommen, geachtet und geliebt werden müssen – eine Gelegenheit, welche die Vorsehung uns bietet, um zum Aufbau einer gerechteren Gesellschaft, einer vollkommeneren Demokratie, eines solidarischeren Landes, einer brüderlicheren Welt und einer offeneren christlichen Gemeinschaft entsprechend dem Evangelium beizutragen. Die Migrationen können Möglichkeiten zu neuer Evangelisierung entstehen lassen und Räume öffnen für das Wachsen einer neuen Menschheit, wie sie im Ostergeheimnis angekündigt ist: eine Menschheit, für die jede Fremde Heimat und jede Heimat Fremde ist.
Liebe Migranten und Flüchtlinge, verliert nicht die Hoffnung, dass auch euch eine sicherere Zukunft vorbehalten ist; dass ihr auf euren Wegen einer ausgestreckten Hand begegnen könnt; dass es euch geschenkt wird, die brüderliche Solidarität und die Wärme der Freundschaft zu erfahren! Euch allen sowie denen, die ihr Leben und ihre Energie der Aufgabe widmen, euch zur Seite zu stehen, verspreche ich mein Gebet und erteile ich von Herzen den Apostolischen Segen.
Aus dem Vatikan, am 5. August 2013
FRANZISCUS
[01335-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
"Emigrantes y refugiados: hacia un mundo mejor"
Queridos hermanos y hermanas:
Nuestras sociedades están experimentando, como nunca antes había sucedido en la historia, procesos de mutua interdependencia e interacción a nivel global, que, si bien es verdad que comportan elementos problemáticos o negativos, tienen el objetivo de mejorar las condiciones de vida de la familia humana, no sólo en el aspecto económico, sino también en el político y cultural. Toda persona pertenece a la humanidad y comparte con la entera familia de los pueblos la esperanza de un futuro mejor. De esta constatación nace el tema que he elegido para la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado de este año: Emigrantes y refugiados: hacia un mundo mejor.
Entre los resultados de los cambios modernos, el creciente fenómeno de la movilidad humana emerge como un "signo de los tiempos"; así lo ha definido el Papa Benedicto XVI (cf. Mensaje para la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado 2006). Si, por un lado, las migraciones ponen de manifiesto frecuentemente las carencias y lagunas de los estados y de la comunidad internacional, por otro, revelan también las aspiraciones de la humanidad de vivir la unidad en el respeto de las diferencias, la acogida y la hospitalidad que hacen posible la equitativa distribución de los bienes de la tierra, la tutela y la promoción de la dignidad y la centralidad de todo ser humano.
Desde el punto de vista cristiano, también en los fenómenos migratorios, al igual que en otras realidades humanas, se verifica la tensión entre la belleza de la creación, marcada por la gracia y la redención, y el misterio del pecado. El rechazo, la discriminación y el tráfico de la explotación, el dolor y la muerte se contraponen a la solidaridad y la acogida, a los gestos de fraternidad y de comprensión. Despiertan una gran preocupación sobre todo las situaciones en las que la migración no es sólo forzada, sino que se realiza incluso a través de varias modalidades de trata de personas y de reducción a la esclavitud. El "trabajo esclavo" es hoy moneda corriente. Sin embargo, y a pesar de los problemas, los riesgos y las dificultades que se deben afrontar, lo que anima a tantos emigrantes y refugiados es el binomio confianza y esperanza; ellos llevan en el corazón el deseo de un futuro mejor, no sólo para ellos, sino también para sus familias y personas queridas.
¿Qué supone la creación de un "mundo mejor"? Esta expresión no alude ingenuamente a concepciones abstractas o a realidades inalcanzables, sino que orienta más bien a buscar un desarrollo auténtico e integral, a trabajar para que haya condiciones de vida dignas para todos, para que sea respetada, custodiada y cultivada la creación que Dios nos ha entregado. El venerable Pablo VI describía con estas palabras las aspiraciones de los hombres de hoy: «Verse libres de la miseria, hallar con más seguridad la propia subsistencia, la salud, una ocupación estable; participar todavía más en las responsabilidades, fuera de toda opresión y al abrigo de situaciones que ofenden su dignidad de hombres; ser más instruidos; en una palabra, hacer, conocer y tener más para ser más» (Cart. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 6).
Nuestro corazón desea "algo más", que no es simplemente un conocer más o tener más, sino que es sobre todo un ser más. No se puede reducir el desarrollo al mero crecimiento económico, obtenido con frecuencia sin tener en cuenta a las personas más débiles e indefensas. El mundo sólo puede mejorar si la atención primaria está dirigida a la persona, si la promoción de la persona es integral, en todas sus dimensiones, incluida la espiritual; si no se abandona a nadie, comprendidos los pobres, los enfermos, los presos, los necesitados, los forasteros (cf. Mt 25,31-46); si somos capaces de pasar de una cultura del rechazo a una cultura del encuentro y de la acogida.
Emigrantes y refugiados no son peones sobre el tablero de la humanidad. Se trata de niños, mujeres y hombres que abandonan o son obligados a abandonar sus casas por muchas razones, que comparten el mismo deseo legítimo de conocer, de tener, pero sobre todo de ser "algo más". Es impresionante el número de personas que emigra de un continente a otro, así como de aquellos que se desplazan dentro de sus propios países y de las propias zonas geográficas. Los flujos migratorios contemporáneos constituyen el más vasto movimiento de personas, incluso de pueblos, de todos los tiempos. La Iglesia, en camino con los emigrantes y los refugiados, se compromete a comprender las causas de las migraciones, pero también a trabajar para superar sus efectos negativos y valorizar los positivos en las comunidades de origen, tránsito y destino de los movimientos migratorios.
Al mismo tiempo que animamos el progreso hacia un mundo mejor, no podemos dejar de denunciar por desgracia el escándalo de la pobreza en sus diversas dimensiones. Violencia, explotación, discriminación, marginación, planteamientos restrictivos de las libertades fundamentales, tanto de los individuos como de los colectivos, son algunos de los principales elementos de pobreza que se deben superar. Precisamente estos aspectos caracterizan muchas veces los movimientos migratorios, unen migración y pobreza. Para huir de situaciones de miseria o de persecución, buscando mejores posibilidades o salvar su vida, millones de personas comienzan un viaje migratorio y, mientras esperan cumplir sus expectativas, encuentran frecuentemente desconfianza, cerrazón y exclusión, y son golpeados por otras desventuras, con frecuencia muy graves y que hieren su dignidad humana.
La realidad de las migraciones, con las dimensiones que alcanza en nuestra época de globalización, pide ser afrontada y gestionada de un modo nuevo, equitativo y eficaz, que exige en primer lugar una cooperación internacional y un espíritu de profunda solidaridad y compasión. Es importante la colaboración a varios niveles, con la adopción, por parte de todos, de los instrumentos normativos que tutelen y promuevan a la persona humana. El Papa Benedicto XVI trazó las coordenadas afirmando que: «Esta política hay que desarrollarla partiendo de una estrecha colaboración entre los países de procedencia y de destino de los emigrantes; ha de ir acompañada de adecuadas normativas internacionales capaces de armonizar los diversos ordenamientos legislativos, con vistas a salvaguardar las exigencias y los derechos de las personas y de las familias emigrantes, así como las de las sociedades de destino» (Cart. enc. Caritas in veritate, 19 junio 2009, 62). Trabajar juntos por un mundo mejor exige la ayuda recíproca entre los países, con disponibilidad y confianza, sin levantar barreras infranqueables. Una buena sinergia animará a los gobernantes a afrontar los desequilibrios socioeconómicos y la globalización sin reglas, que están entre las causas de las migraciones, en las que las personas no son tanto protagonistas como víctimas. Ningún país puede afrontar por sí solo las dificultades unidas a este fenómeno que, siendo tan amplio, afecta en este momento a todos los continentes en el doble movimiento de inmigración y emigración.
Es importante subrayar además cómo esta colaboración comienza ya con el esfuerzo que cada país debería hacer para crear mejores condiciones económicas y sociales en su patria, de modo que la emigración no sea la única opción para quien busca paz, justicia, seguridad y pleno respeto de la dignidad humana. Crear oportunidades de trabajo en las economías locales, evitará también la separación de las familias y garantizará condiciones de estabilidad y serenidad para los individuos y las colectividades.
Por último, mirando a la realidad de los emigrantes y refugiados, quisiera subrayar un tercer elemento en la construcción de un mundo mejor, y es el de la superación de los prejuicios y preconcepciones en la evaluación de las migraciones. De hecho, la llegada de emigrantes, de prófugos, de los que piden asilo o de refugiados, suscita en las poblaciones locales con frecuencia sospechas y hostilidad. Nace el miedo de que se produzcan convulsiones en la paz social, que se corra el riesgo de perder la identidad o cultura, que se alimente la competencia en el mercado laboral o, incluso, que se introduzcan nuevos factores de criminalidad. Los medios de comunicación social, en este campo, tienen un papel de gran responsabilidad: a ellos compete, en efecto, desenmascarar estereotipos y ofrecer informaciones correctas, en las que habrá que denunciar los errores de algunos, pero también describir la honestidad, rectitud y grandeza de ánimo de la mayoría. En esto se necesita por parte de todos un cambio de actitud hacia los inmigrantes y los refugiados, el paso de una actitud defensiva y recelosa, de desinterés o de marginación –que, al final, corresponde a la "cultura del rechazo"- a una actitud que ponga como fundamento la "cultura del encuentro", la única capaz de construir un mundo más justo y fraterno, un mundo mejor. También los medios de comunicación están llamados a entrar en esta "conversión de las actitudes" y a favorecer este cambio de comportamiento hacia los emigrantes y refugiados.
Pienso también en cómo la Sagrada Familia de Nazaret ha tenido que vivir la experiencia del rechazo al inicio de su camino: María «dio a luz a su hijo primogénito, lo envolvió en pañales y lo recostó en un pesebre, porque no había sitio para ellos en la posada» (Lc 2,7). Es más, Jesús, María y José han experimentado lo que significa dejar su propia tierra y ser emigrantes: amenazados por el poder de Herodes, fueron obligados a huir y a refugiarse en Egipto (cf. Mt 2,13-14). Pero el corazón materno de María y el corazón atento de José, Custodio de la Sagrada Familia, han conservado siempre la confianza en que Dios nunca les abandonará. Que por su intercesión, esta misma certeza esté siempre firme en el corazón del emigrante y el refugiado.
La Iglesia, respondiendo al mandato de Cristo «Id y haced discípulos a todos los pueblos», está llamada a ser el Pueblo de Dios que abraza a todos los pueblos, y lleva a todos los pueblos el anuncio del Evangelio, porque en el rostro de cada persona está impreso el rostro de Cristo. Aquí se encuentra la raíz más profunda de la dignidad del ser humano, que debe ser respetada y tutelada siempre. El fundamento de la dignidad de la persona no está en los criterios de eficiencia, de productividad, de clase social, de pertenencia a una etnia o grupo religioso, sino en el ser creados a imagen y semejanza de Dios (cf. Gn 1,26-27) y, más aún, en el ser hijos de Dios; cada ser humano es hijo de Dios. En él está impresa la imagen de Cristo. Se trata, entonces, de que nosotros seamos los primeros en verlo y así podamos ayudar a los otros a ver en el emigrante y en el refugiado no sólo un problema que debe ser afrontado, sino un hermano y una hermana que deben ser acogidos, respetados y amados, una ocasión que la Providencia nos ofrece para contribuir a la construcción de una sociedad más justa, una democracia más plena, un país más solidario, un mundo más fraterno y una comunidad cristiana más abierta, de acuerdo con el Evangelio. Las migraciones pueden dar lugar a posibilidades de nueva evangelización, a abrir espacios para que crezca una nueva humanidad, preanunciada en el misterio pascual, una humanidad para la cual cada tierra extranjera es patria y cada patria es tierra extranjera.
Queridos emigrantes y refugiados. No perdáis la esperanza de que también para vosotros está reservado un futuro más seguro, que en vuestras sendas podáis encontrar una mano tendida, que podáis experimentar la solidaridad fraterna y el calor de la amistad. A todos vosotros y a aquellos que gastan sus vidas y sus energías a vuestro lado os aseguro mi oración y os imparto de corazón la Bendición Apostólica.
Vaticano, 5 de agosto de 2013.
FRANCISCO
[01335-04.01] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
"Migrantes e refugiados: rumo a um mundo melhor"
Queridos irmãos e irmãs!
As nossas sociedades estão enfrentando, como nunca antes na história, processos de interdependência mútua e interação em um nível global, que, mesmo incluindo elementos problemáticos ou negativos, se destinam a melhorar as condições de vida da família humana, não só nos aspectos econômicos, mas também nos aspectos políticos e culturais. Cada pessoa, afinal, pertence à humanidade e partilha a esperança de um futuro melhor com toda a família dos povos. A partir dessa constatação, nasce o tema que escolhi para o Dia Mundial dos Migrantes e Refugiados deste ano: "Os migrantes e refugiados: rumo a um mundo melhor".
Entre os resultados das mudanças modernas, o fenômeno crescente da mobilidade humana emerge como um "sinal dos tempos", como o definiu o Papa Bento XVI (cf. Mensagem para o Dia Mundial do migrante e do refugiado de 2006). Se por um lado, as migrações muitas vezes denunciam fragilidades e lacunas nos Estados e na Comunidade internacional, por outro, revelam a aspiração da humanidade de viver a unidade, no respeito às diferenças; de viver o acolhimento e a hospitalidade, que permitem a partilha equitativa dos bens da terra; de viver a proteção e a promoção da dignidade humana e da centralidade de cada ser humano.
Do ponto de vista cristão, como em outras realidades humanas também nos fenômenos migratórios se observa a tensão entre a beleza da criação, marcada pela Graça e pela Redenção, e o mistério do pecado. A solidariedade e o acolhimento, os gestos fraternos e de compreensão, veem-se contrapostos à rejeição, discriminação, aos tráficos de exploração, de dor e de morte. Um motivo de preocupação são, principalmente, as situações em que a migração não só é forçada, mas também realizada através de várias modalidades de tráfico humano e de escravidão. O "trabalho escravo" é hoje uma moeda corrente! No entanto, apesar dos problemas, dos riscos e das dificuldades que devem ser enfrentados, aquilo que anima muitos migrantes e refugiados é o binômio confiança e esperança: eles trazem em seus corações o desejo de um futuro melhor não só para si mesmos, mas também para as suas famílias e para os entes queridos.
O que significa a criação de um "mundo melhor"? Esta expressão não se refere ingenuamente a conceitos abstratos ou a realidades inatingíveis, mas se dirige à busca de um desenvolvimento autêntico e integral, para poder agir de tal modo que haja condições de vida digna para todos, para que se encontrem respostas justas às necessidades dos indivíduos e das famílias, para que seja respeitada, preservada e cultivada a criação que Deus nos deu. O Venerável Papa Paulo VI descrevia com estas palavras as aspirações dos homens de hoje: «ser liberado da pobreza, ter garantido de um modo seguro o próprio sustento, a saúde, o emprego estável, ter uma maior participação nas responsabilidades, fora de qualquer opressão e ao protegido de condições que ofendem a dignidade humana; poder desfrutar de uma educação melhor; em uma palavra, fazer conhecer e ter mais, para ser mais "(Encíclica Populorum Progressio, 26 de março de 1967, n. 6).
O nosso coração quer um "mais" que não seja simplesmente conhecer mais ou ter mais, mas que seja essencialmente um ser mais. Não se pode reduzir o desenvolvimento a um mero crescimento econômico, alcançado, muitas vezes, sem tem em conta os mais fracos e indefesos. O mundo só pode melhorar se a atenção é dirigida, em primeiro lugar, à pessoa; se a promoção da pessoa é integral, em todas as suas dimensões, inclusive a espiritual; se não se deixa ninguém de lado, incluindo os pobres, os doentes, os encarcerados, os necessitados, os estrangeiros (cf. Mt 25, 31-46); caso se passe de uma cultura do descartável para uma cultura do encontro e do acolhimento.
Os migrantes e refugiados não são peões no tabuleiro de xadrez da humanidade. Trata-se de crianças, mulheres e homens que deixam ou são forçados a abandonar suas casas por vários motivos, que compartilham o mesmo desejo legítimo de conhecer, de ter, mas, acima de tudo, de ser mais. É impressionante o número de pessoas que migram de um continente para outro, bem como aqueles que se deslocam dentro de seus próprios países e áreas geográficas. Os fluxos migratórios contemporâneos são o maior movimento de pessoas, se não de povos, de todos os tempos. No caminho, ao lado dos migrantes e refugiados, a Igreja se esforça para compreender as causas que estão na origem das migrações, mas também se esforça no trabalho para superar os efeitos negativos e aumentar os impactos positivos nas comunidades de origem, de trânsito e de destino dos fluxos migratórios.
Infelizmente, enquanto incentivamos o desenvolvimento em vista de um mundo melhor, não podemos silenciar o escândalo da pobreza nas suas várias dimensões. Violência, exploração, discriminação, marginalização, abordagens restritivas às liberdades fundamentais, tanto para o indivíduo quanto para grupos, são alguns dos principais elementos da pobreza que devem ser superados. Muitas vezes, são justamente esses aspectos que caracterizam os movimentos migratórios, ligando migração e pobreza. Fugindo de situações de miséria ou de perseguição em vista de melhores perspectivas ou para salvar a sua vida, milhões de pessoas embarcam no caminho da migração e, enquanto esperam encontrar a satisfação das expectativas, muitas vezes o que encontram é suspeita, fechamento e exclusão; quando não são golpeados por outros infortúnios, muitas vezes, mais graves e que ferem a sua dignidade humana.
A realidade das migrações, com as dimensões que assume na nossa época de globalização, precisa ser tratada e gerida de uma maneira nova, justa e eficaz, o que exige, acima de tudo, uma cooperação internacional e um espírito de profunda solidariedade e compaixão. É importante a colaboração em vários níveis, com a adoção unânime de instrumentos de regulamentação para proteger e promover a pessoa humana. O Papa Bento XVI nos traçou as coordenadas, afirmando que «esta política há de ser desenvolvida a partir de uma estreita colaboração entre os países donde partem os emigrantes e os países de chegada; há de ser acompanhada por adequadas normativas internacionais capazes de harmonizar os diversos sistemas legislativos, na perspectiva de salvaguardar as exigências e os direitos das pessoas e das famílias emigradas e, ao mesmo tempo, os das sociedades de chegada dos próprios emigrantes» (Carta Encíclica Caritas in veritate, 19 de Junho de 2009, 62). Trabalhar juntos por um mundo melhor requer a ajuda mútua entre os países, com abertura e confiança, sem levantar barreiras intransponíveis. Uma boa sinergia pode ser um incentivo para os governantes enfrentarem os desequilíbrios socioeconômicos e uma globalização sem regras, que se encontram entre as causas das migrações em que as pessoas são mais vítimas do que protagonistas. Nenhum país pode enfrentar sozinho as dificuldades associadas a esse fenômeno que, sendo tão amplo, já afeta todos os Continentes com o seu duplo movimento de imigração e emigração.
É também importante ressaltar como essa colaboração já começa com o esforço que cada país deveria fazer para criar melhores condições econômicas e sociais no seu próprio território, para que a emigração não seja a única opção para aqueles que buscam a paz, a justiça, a segurança e o pleno respeito da dignidade humana. Criar oportunidades de emprego nas economias locais impediria, para além do mais, a separação das famílias e garantiria condições de estabilidade e de serenidade para os indivíduos e comunidades.
Finalmente, olhando para a realidade dos migrantes e refugiados, há um terceiro elemento que eu gostaria de destacar neste caminho de construção de um mundo melhor: a superação de preconceitos e de pré-compreensões, ao considerar a migração. De fato, não é raro que a chegada de migrantes, prófugos, requerentes de asilo e refugiados desperte desconfiança e hostilidade nas populações locais. Surge o medo que se produzam perturbações na segurança social, que se corra o risco de perder a identidade e a cultura, que se alimente a concorrência no mercado de trabalho ou, ainda, que se introduzam novos fatores de criminalidade. Os meios de comunicação social, neste campo, têm um papel de grande responsabilidade: cabe a eles, de fato, desmascarar estereótipos e fornecer informações corretas, o que significará denunciar o erro de alguns, mas também descrever a honestidade, a retidão e a magnanimidade da maioria. Para isso, é preciso que todos mudem a atitude em relação aos migrantes e refugiados; é necessário passar de uma atitude de defesa e de medo, de desinteresse ou de marginalização - que, no final, corresponde precisamente à "cultura do descartável" – para uma atitude que tem por base a "cultura do encontro", a única capaz de construir um mundo mais justo e fraterno, um mundo melhor. Os meios de comunicação também são chamados a entrar nesta "conversão de atitudes" e a incentivar esta mudança de comportamento em relação aos imigrantes e refugiados.
Penso como também a Sagrada Família de Nazaré teve que viver a experiência de rejeição no início do seu caminho: Maria «deu à luz o seu filho primogênito, envolveu-o em faixas e deitou-o numa manjedoura, porque não havia lugar na hospedaria» (Lc 2,7). Além disso, Jesus, Maria e José experimentaram o que significa deixar sua terra natal e ser migrantes: ameaçados pela sede de poder de Herodes, foram forçados a fugir e buscar refúgio no Egito (cf. Mt 2,13-14). Mas o coração materno de Maria e o coração zeloso de José, Protetor da Sagrada Família, sempre mantiveram a confiança de que Deus nunca abandona. Pela intercessão deles possa ser sempre firme no coração do migrante e do refugiado esta mesma certeza.
A Igreja, respondendo ao mandato de Cristo: «Ide e fazei discípulos entre todos as nações», é chamada a ser o Povo de Deus que abraça todos os povos, e leva a todos os povos o anúncio do Evangelho, pois no rosto de cada pessoa está estampado o rosto de Cristo! Eis a raiz mais profunda da dignidade do ser humano que deve ser sempre respeitada e protegida. Não são os critérios de eficiência, produtividade, de classe social, de pertença étnica ou religiosa que fundamentam a dignidade da pessoa, mas sim o fato de ser criado à imagem e semelhança de Deus (cf. Gn 1,26-27), e, ainda mais, o fato de ser filhos de Deus; todo ser humano é um filho de Deus! Nele está impressa a imagem de Cristo! Trata-se, então, de o vermos, nós, em primeiro lugar, e de ajudar os outros a verem no migrante e no refugiado não só um problema para lidar, mas um irmão e uma irmã a serem acolhidos, respeitados e amados; trata-se de uma oportunidade que a Providência nos oferece para contribuir na construção de uma sociedade mais justa, de uma democracia mais completa, de um país mais inclusivo, de um mundo mais fraterno e de uma comunidade cristã mais aberta, de acordo com o Evangelho. As migrações podem criar possibilidades para a nova evangelização; abrir espaços para o crescimento de uma nova humanidade, preanunciada no mistério pascal: uma humanidade em que toda terra estrangeira é uma pátria, e em que toda pátria é uma terra estrangeira.
Queridos migrantes e refugiados! Não percais a esperança de que também a vós está reservado um futuro mais seguro; Que possais encontrar em vossos caminhos uma mão estendida; que vos seja permitido experimentar a solidariedade fraterna e o calor da amizade! Para todos vós e para aqueles que dedicam suas vidas e suas energias ao vosso lado eu prometo a minha oração e concedo de coração a minha Bênção Apostólica.
Cidade do Vaticano, 05 de agosto de 2013.
FRANCISCO
[01335-06.01] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
"Migranci i uchodźcy: ku lepszemu światu"
Drodzy Bracia i Siostry!
W naszych społeczeństwach jak nigdy dotąd w historii zachodzą procesy wzajemnego uzależniania i interakcji na skalę światową, które choć obejmują również elementy problematyczne lub negatywne, mają na celu polepszenie warunków życia rodziny ludzkiej, nie tylko w aspekcie ekonomicznym, ale i politycznym oraz kulturalnym. Każda osoba bowiem należy do ludzkości i podziela nadzieję na lepszą przyszłość z całą rodziną ludów. Z tego stwierdzenia wywodzi się wybrany przeze mnie temat tegorocznego Światowego Dnia Migranta i Uchodźcy: «Migranci i uchodźcy: ku lepszemu światu».
Pośród rezultatów nowoczesnych przemian rosnące zjawisko przemieszczania się ludności jawi się jako «znak czasów», jak to określił Papież Benedykt XVI (por. Orędzie na Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy 2006 r.). O ile bowiem z jednej strony migracje często wskazują na braki i słabe punkty państw i wspólnoty międzynarodowej, o tyle z drugiej ukazują także dążenie ludzkości do życia w jedności z poszanowaniem różnic, otwartość i gościnność, które pozwalają na sprawiedliwy podział dóbr ziemi, ochronę i umacnianie godności oraz centralnego miejsca każdej istoty ludzkiej.
Z chrześcijańskiego punktu widzenia również w zjawiskach migracyjnych, podobnie jak w innych rzeczywistościach ludzkich, występuje napięcie między pięknem stworzenia, naznaczonego przez łaskę i odkupienie, a tajemnicą grzechu. Z solidarnością i gościnnością, gestami braterstwa i zrozumienia kontrastują odrzucenie, dyskryminacja, handel połączony z wyzyskiem, bólem i śmiercią. Niepokój budzą przede wszystkim sytuacje, w których migracja jest nie tylko przymusowa, ale wręcz urzeczywistniana poprzez różne formy handlu ludźmi i ich zniewalania. «Praca niewolnicza» jest dziś chlebem powszednim! Jednakże mimo problemów, ryzyka i trudności do pokonania tym, czym kierują się liczni migranci i uchodźcy, jest połączenie ufności i nadziei; mają oni w swoich sercach pragnienie lepszej przyszłości nie tylko dla samych siebie, ale również dla swoich rodzin i bliskich im osób.
Co oznacza tworzenie «lepszego świata»? Wyrażenie to nie odnosi się po prostu do abstrakcyjnych koncepcji bądź rzeczy nieosiągalnych, ale wskazuje raczej, że należy dążyć do autentycznego i integralnego rozwoju, działać tak, aby istniały godne warunki życia dla wszystkich, aby były zaspokajane we właściwy sposób potrzeby osób i rodzin, aby był szanowany, strzeżony i pielęgnowany świat stworzony, którym Bóg nas obdarzył. Czcigodny Paweł VI opisywał następującymi słowami dążenia dzisiejszych ludzi: «Uwolnić się od nędzy, zapewnić sobie środki do życia, zdrowie i stałe zatrudnienie; zdobyć pełniejszy udział w odpowiedzialności, wyzwolić się od ucisku i warunków obrażających godność człowieka; zdobyć lepsze wykształcenie; jednym słowem: więcej robić, więcej umieć i więcej mieć, ażeby więcej znaczyć» (enc. Populorum progressio, 26 marca 1967 r., n. 6).
Nasze serce pragnie «więcej», co nie oznacza po prostu umieć więcej lub mieć więcej, lecz przede wszystkim bardziej być. Nie można sprowadzać rozwoju do samego wzrostu gospodarczego, osiąganego często bez oglądania się na osoby słabsze i bezbronne. Świat może stać się lepszy tylko wtedy, gdy uwaga skupiona jest głównie na osobie, gdy promocja osoby jest integralna, obejmuje wszystkie jej wymiary, wraz z wymiarem duchowym; gdy nie zaniedbuje się nikogo, również ubogich, chorych, więźniów, potrzebujących i przybyszów (por. Mt 25, 31-46); gdy potrafi się przejść od kultury odrzucania do kultury spotkania i gościnności.
Migranci i uchodźcy nie są pionkami na szachownicy ludzkości. Są to dzieci, kobiety i mężczyźni, którzy opuszczają bądź są zmuszeni do opuszczenia swoich domów z różnych powodów, którzy mają takie samo słuszne pragnienie, by umieć więcej, by mieć więcej, ale przede wszystkim, by więcej być. Wstrząsająca jest liczba osób, które emigrują z jednego kontynentu na drugi, jak również tych, które przemieszczają się wewnątrz własnych krajów bądź regionów geograficznych. Dzisiejsze ruchy migracyjne stanowią największe w całych dziejach zjawisko przemieszczania się osób, jeśli nie ludów. Wędrując razem z migrantami i uchodźcami, Kościół stara się zrozumieć przyczyny leżące u źródeł migracji, a także pracować nad przezwyciężeniem ich negatywnych skutków oraz ukazywać ich pozytywne efekty dla wspólnot, z których pochodzą migranci, dla tych, w których przebywają czasowo, i docelowych.
Zachęcając do rozwoju w kierunku lepszego świata, nie możemy, niestety, pominąć milczeniem zgorszenia, jakim jest ubóstwo w swoich rozmaitych wymiarach. Przemoc, wyzysk, dyskryminacja, spychanie na margines, restrykcyjne podejście do podstawowych wolności, zarówno jednostek, jak i zbiorowości, to kilka głównych elementów ubóstwa, które należy przezwyciężyć. Bardzo często te właśnie aspekty znamionują ruchy migracyjne, łącząc migracje z ubóstwem. Uciekając od nędzy bądź prześladowań, w poszukiwaniu lepszych perspektyw lub by ratować życie, miliony osób wyruszają w podróż jako migranci z nadzieją, że spełnią się ich oczekiwania, a tymczasem często spotykają się z nieufnością, zamknięciem i odrzuceniem, przydarzają się im też inne nieszczęścia, niejednokrotnie jeszcze poważniejsze, które ranią ich ludzką godność.
Zjawisko migracji, w takich wymiarach, jakich nabiera w naszej epoce globalizacji, wymaga, by podejść do niego i nim pokierować w nowy sposób, sprawiedliwy i skuteczny, co wymaga przede wszystkim kooperacji międzynarodowej oraz ducha głębokiej solidarności i współczucia. Ważna jest współpraca na różnych poziomach, z zastosowaniem przez wszystkich narzędzi normatywnych, chroniących i promujących osobę ludzką. Papież Benedykt XVI wskazał tę drogę, mówiąc, że «Ową politykę należy rozwijać poczynając od ścisłej współpracy między krajami, z których pochodzą emigranci, a krajami, do których przybywają. Muszą jej towarzyszyć stosowne rozporządzenia międzynarodowe pozwalające na zharmonizowanie różnych systemów prawa, tak aby zabezpieczyć potrzeby i prawa emigrujących osób oraz rodzin, a jednocześnie społeczeństwa, w którym się znajdują» (enc. Caritas in veritate, 29 czerwca 2009 r., n. 62). Wspólna praca na rzecz lepszego świata wymaga wzajemnej pomocy krajów, udzielanej z gotowością i ufnością, bez wznoszenia nieprzekraczalnych barier. Dobre współdziałanie może być zachętą dla rządzących, by zajęli się rozwiązaniem problemów nierówności społeczno-ekonomicznych i pozbawionej reguł globalizacji, należących do przyczyn migracji, w których osoby są bardziej ofiarami niż podmiotami. Żaden kraj nie może sam stawić czoła trudnościom związanym z tym zjawiskiem, które jest tak rozległe, że już na wszystkich kontynentach obserwuje się zarówno ruchy imigracyjne, jak i emigracyjne.
Ważne jest podkreślenie, że początkiem owej współpracy jest wysiłek, który powinien podjąć każdy kraj, by stworzyć lepsze warunki ekonomiczne i socjalne u siebie, tak aby emigracja nie była jedynym rozwiązaniem dla osób szukających pokoju, sprawiedliwości, bezpieczeństwa i pełnego poszanowania godności ludzkiej. Tworzenie możliwości pracy w lokalnych gospodarkach pozwoli także uniknąć rozdzielania rodzin i zapewni warunki stabilnego i spokojnego życia jednostkom i zbiorowościom.
Wreszcie, w odniesieniu do rzeczywistości migrantów i uchodźców, jest trzeci element, który chciałbym uwydatnić na drodze do budowania lepszego świata, a jest nim przezwyciężenie uprzedzeń i przedrozumienia w podejściu do migracji. Nierzadko bowiem przybycie migrantów, uchodźców, osób ubiegających się o azyl budzi w lokalnych społecznościach podejrzenia i wrogość. Rodzi się strach, że zagrożone będzie publiczne bezpieczeństwo, że powstanie ryzyko utraty tożsamości i kultury, że wzrośnie konkurencja na rynku pracy, a nawet, że pojawią się nowe czynniki przestępczości. Środki społecznego przekazu mogą odegrać na tym polu bardzo odpowiedzialną rolę: to one powinny bowiem przełamywać stereotypy i podawać prawdziwe informacje, w których niekiedy będzie mowa o błędach pewnych ludzi, ale ukazane będą też uczciwość, prawość i wielkoduszność większości. W tym zakresie potrzebna jest zmiana postawy wszystkich wobec migrantów i uchodźców; przejście od postawy obronnej, nacechowanej strachem, brakiem zainteresowania i tendencją do marginalizacji – która ostatecznie odpowiada właśnie «kulturze odrzucania» – do postawy opartej na «kulturze spotkania», jedynej, która potrafi budować świat bardziej sprawiedliwy i braterski, lepszy świat. Również środki przekazu powołane są do włączenia się w to «nawrócenie postaw» i do sprzyjania tej zmianie nastawienia do migrantów i uchodźców.
Myślę o Świętej Rodzinie z Nazaretu, która również zaznała odrzucenia na początku swojej drogi: Maryja «powiła swego pierworodnego Syna, owinęła Go w pieluszki i położyła w żłobie, gdyż nie było dla nich miejsca w gospodzie» (Łk 2, 7). Zaiste Jezus, Maryja i Józef doświadczyli, co to znaczy opuścić swoją ziemię i być migrantami: zagrożeni przez żądzę władzy Heroda, zmuszeni byli uciekać i schronić się w Egipcie (por. Mt 2, 13-14). Lecz matczyne serce Maryi i troskliwe serce Józefa, Stróża Świętej Rodziny, zachowały zawsze ufność, że Bóg nigdy nie opuszcza. Niech za ich wstawiennictwem w sercu migranta i uchodźcy będzie zawsze mocna ta pewność.
Kościół, który wypełnia polecenie Chrystusa: «Idźcie i nauczajcie wszystkie narody», powołany jest do tego, by być ludem Bożym, obejmującym wszystkie ludy, i wszystkim ludom głosi Ewangelię, ponieważ w obliczu każdej osoby odzwierciedla się oblicze Chrystusa! W tym tkwi najgłębszy korzeń godności istoty ludzkiej, którą należy zawsze szanować i chronić. Podstawą godności osoby są nie tyle kryteria efektywności, wydajności, pozycji społecznej, przynależności etnicznej bądź religijnej, lecz fakt, że jesteśmy stworzeni na obraz i podobieństwo Boga (por. Rdz 1, 26-27), a jeszcze bardziej fakt, że jesteśmy dziećmi Boga; każda istota ludzka jest dzieckiem Boga! Odciśnięty jest w niej wizerunek Chrystusa! Chodzi zatem o to, byśmy dostrzegli jako pierwsi i pomagali innym widzieć w migrancie i uchodźcy nie tylko problem, z którym trzeba się zmierzyć, ale brata i siostrę, których należy przyjąć, szanować i kochać, okazję, którą daje nam Opatrzność, byśmy wnosili wkład w budowanie sprawiedliwszego społeczeństwa, doskonalszej demokracji, solidarniejszego kraju, bardziej braterskiego świata i bardziej otwartej wspólnoty chrześcijańskiej, w zgodzie z Ewangelią. Migracje mogą stworzyć możliwości nowej ewangelizacji, otworzyć przestrzenie rozwoju nowej ludzkości, zapowiedzianej w tajemnicy paschalnej: ludzkości, dla której każda obca ziemia jest ojczyzną, a każda ojczyzna jest ziemią obcą.
Drodzy migranci i uchodźcy! Nie traćcie nadziei, że i dla was jest przeznaczona bezpieczniejsza przyszłość, że na swoich drogach możecie spotkać wyciągniętą dłoń, że dane wam będzie doświadczyć braterskiej solidarności i ciepła przyjaźni! Was wszystkich i tych, którzy wam poświęcają swoje życie i energie, zapewniam o modlitwie i z serca udzielam Błogosławieństwa Apostolskiego.
Watykan, 5 sierpnia 2013 r.
FRANCISZKEK
[01335-09.01] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA ARABA
رسالة البابا فرنسيس
بمناسبة اليوم العالمي للمهاجر واللاجئ 2014
"مهاجرون ولاجئون: نحو عالم أفضل"
تختبر مجتمعاتنا اليوم، وأكثر من أي وقت مضى في التاريخ، مسيرة تضامن مشترك وتفاعل على مستوى عالمي، وهي مسيرة،وبالرغم من احتوائها على عناصر ذات طابع إشكالي أو سلبي، فهي تهدف لتحسين أوضاع حياة العائلة البشرية، لا فقط على الأصعدة الاقتصادية وإنما على الصعيدين السياسي والثقافي أيضا. فكل إنسان، بالنهاية، ينتمي للعائلة البشرية ويتقاسم الرجاء بمستقبل أفضل مع عائلة الشعوب بأسرها.من رحم هذه الملاحظة ولد الشعار الذي اخترتُه من أجل هذا اليوم العالمي للمهاجر واللاجئ لهذا العام: "مهاجرون ولاجئون: نحو عالم أفضل".
يظهر،من بين نتائج التغيرات الحديثة، تنامي ظاهرة الحراك البشري كعلامة "من علامات الأزمنة"؛ كما عرَّفه البابا بيندكتُس السادس عشر (را. الرسالة من أجل اليوم العالمي للمهاجر واللاجئ 2006). فبينما التهجير، في الواقع، هو من جهة دلالة على نقاط ضعف وثغرات الدول والجماعة الدولية، فهو من الجهة الأخرى يكشف أيضا طموح البشرية للعيش في وحدةمعاحترامالاختلافات،والترحيبوكرمالضيافةالذي يسمحبالتقاسمالعادللخيراتالأرض،وحمايةوتعزيزكرامةالإنسانومركزيةكلكائن بشري.
إنظواهر الهجرة، من وجهة النظر المسيحية، وكأي واقع بشريّ آخر،تعكس التوتر القائم بين جمال الخليقة، المطبوعة بالنعمة والخلاص، وبين سرّ الخطيئة. فأمام التضامن وقبول الآخر،وإيماءات الإخوة والتفاهم نجد على النقيض التمييز والاستغلال والمعاناة والموتوالرفض. يبقىفي طليعة ما يثير القلق الأوضاع التي فيها لا يكون التهجير فقط إجباريا، بل أنه يتم منخلالوسائطمتباينةمنالاتجاربالبشروالاسترقاق. فـ"العملالاستعبادي" اليومهوتجارة رابحة!لكن،وعلى الرغم من المشاكل والأخطار والصعوبات التي يقابلها المهاجرون واللاجئون، فإن الكثير منهم يتحلون بالثقة وبالرجاء؛ ويحملون في قلوبهم الرغبة في مستقبل أفضل ليس لأنفسهم فقط وإنما لعائلاتهم ولأحبائهم أيضًا.
ماذا يتطلب منا خلق "عالم أفضل"؟ إن هذاالتعبيرلايشيرإلىمفاهيممجردةأوبسذاجة إلى واقعبعيدالمنال،وإنمايوجهنحو البحثعنفرصةأصيلةومتكاملة للتنمية،ونحو العملمن أجل خلق ظروفللعيشالكريمللجميع،ليجدواإجاباتصالحة علىاحتياجاتالأفرادوالأسر،ولكي تُحترم الخليقة، التي وهبنا الله اياها، ويُحافظ عليها وتجد الرعاية والتنمية. هكذاوصف طيب الذكر بولس السادس تطلعات الناس في يومنا: "أن يتحرّروا من ربقة البؤس، ويحصلوا بوجه أضمن على أسباب المعيشة والصحّة والعمل المستقر؛ وأن يُنالوا من المسؤوليات حظّاً أوفر، بعيدًا عن كابوس الضغط وعبء الأوضاع المهينة لكرامتهم كبشر؛ وأن يصيبوا من العلم نصيباً أكبر. وبالاختصار: أن يعملوا أكثر، ويعرفوا أكثر، ويملكوا أكثر، لكي يكونوا أكثرَ (إنسانية)" (رسالة العامة "ترقي الشعوب"، 25 مارس / آذار 1967، عدد 6).
فقلبنا يرغب بالـ "المزيد" ذاك المزيد الذي يتخطى ببساطة مجرد أن نعرف أكثر أو أن نمتلك أكثر، بل أن نكون أكثر. فلا يمكننا اختزال التطور في مجرد النمو الاقتصادي، والذي غالبًا ما يتحقق دون النظر إلى الأشخاص الأكثر ضُعفًا والعُزل.فالعالم لن يتحسن ما لم نهتم أولا بالشخص البشري، وإن لم يكن تطور الإنسان شاملا، متضمِنا لجميع أبعاده، بما في ذلك الروحية: وألا يهمل أحدا، بما في ذلك الفقراء والمرضى والمساجين والمعوزين والغرباء (را.مت 25، 31-46)؛ ما لم يكن ممكنا الانتقالمن"ثقافةالإقصاء"إلى"ثقافةاللقاءوكرمالضيافة".
المهاجرون واللاجئون ليسوا بيادقةً في شطرنجالبشرية.إنهم أطفال ونساء ورجال يترُكون، أو يجبرون على ترك، منازلهم لأسباب عديدة، ويشاركوننا الرغبة الطبيعية عينها للمعرفة، والامتلاك، ليكونوا "أكثر".فمهولة هي أعداد الأشخاص الذين يهاجرون من قارة إلى أخرى، وكذلك أعداد أولئك ينتقلون من أماكنهم في البلدان ذاتها وفي المناطق الجغرافية الخاصة بهم. إن تدفقاتالهجرةالمعاصرةيمثل التحرك الأكبرللأشخاص، إنلميكنللشعوب،فيكلالعصور.لذلك تلتزم الكنيسة، في مسيرتها مع المهاجرين واللاجئين، بتفهم أسباب الهجرة الأساسية، وهي تعملكذلك على تخطي النتائج السلبية،وتعزيزالآثارالإيجابيةعلىالمجتمعاتالأصليةوبلدانالعبوروبلدانالمقصدلتدفقاتالهجرة.
للآسف، فبينما نشجع التطور نحو عالم أفضل، لا يمكننا أن نصمت أمام فضيحة الفقر في جميع أشكاله.فالعنفوالاستغلالوالتمييز،والتهميش،والنهجالتقييديللحرياتالأساسية،لكلمنالفردوالمجتمع،هوبعضمنالعناصرالأساسيةللفقرالذييتعينقهره. ففيكثيرمنالأحيانتميّزهذهالجوانبحركاتالهجرة،وتربط بين الهجرةوالفقر. فالملايينمنالناستهرب منالفقرأوحالاتالاضطهادنحوآفاقأفضلأولإنقاذحياته،وتشرع فيرحلةالهجرة،وبينمايأملون فيأنيجد تحقيقا لتوقعاتهم،فهم غالبا ما يلاقون الحذر، والانغلاق،والإقصاء، ويصابون بفواجعأخرى،تكون فيكثيرمنالأحيانأشد بطش، وتجرحكرامتهمالإنسانية.
يتطلب واقع الهجرة هذا، بأبعاده التي يتخذها في عصر العولمة، تدخلاً وتعاملا جديدًا،مُنصِفًا وفعالاً، ويتطلب قبل كل شيء تعاونًا دوليًّا وروح تضامن عميق وتفهم.فمن المهم التعاون على مختلف القطاعات، بتبني جماعي لأدوات ولقواعد تصون وتعزز الشخص البشري. لقد أشارالبابا بندكتس السادس عشر إلىملامح تلك الإحداثيات مؤكدا: "أنّا نواجه ظاهرةً اجتماعيّة تميّز عصرنا، تتطلّب سياسةَ تعاونٍ دوليّة متينة وواعية، على المدى البعيد، كي تؤخذ بالحسبان بطريقة ناجعة. إن مثل هذه السياسة يجب أن تُطوَّر، انطلاقاً من تعاونٍ وثيقٍ بين البلدان القادمِ منها المهاجرون والبلدان التي يقصدونها" (رسالة عامة "المحبة في الحقيقة"، 29 يونيو / حزيران 2009،عدد 62). إنالعمل معًا من أجل عالم أفضل يتطلب المساعدة المتبادلةبينالدول،معالانفتاحوالثقة،دونإقامةالحواجزوالسدود التي لايمكنتجاوزها. فالتآزرالجيد يمكنأنيكونمشجعاللحكوماتلمعالجةالاختلالاتالاجتماعية-الاقتصادية،وعولمةدونقواعد،والتيهيمنبينأسبابالهجرة، حيث يكونالاشخاص فيهاضحاياأكثر من كونهم فاعلين. لايمكنلأيبلدبمفردهالتصديلتلك الصعوباتالمرتبطةبهذهالظاهرة،والتيهيفادحة لدرجة أنها تعني جميعالقاراتفيالحركةالمزدوجمنالهجرةوالنزوح.
من الضروري أيضًا توضيح أن هذا التعاون يبدأ حقا مع الجهود التي يبذلها كل بلدٍ لتحسين الأوضاع الاقتصادية والاجتماعيّة الخاصة بوطنه، بحيث لا تكون الهجرة الخيار الأوحد لمن يبحث عن السلام والعدالة والأمن واحترام الكرامة البشريّة. فخلق فرصللعمل،فيالاقتصاداتالمحلية،سيمنعانفصالالأسروسيضمن ظروفالاستقراروراحةالبالللأفرادوالمجتمعات.
وختاما، بالنظر إلى واقع المهاجرين واللاجئين، يظهر عنصر ثالث أودُّ إبرازه في مسيرة بناء عالم أفضل، وهو تخطي الأحكام المسبقة والتصورات المسبقة فيما يختص بتقييم ظاهرة الهجرة.تلعبوسائل الاتصالات الاجتماعية،في هذا المجال،دورًا كبيرًا: إذ عليها، بالحقيقة، أن تُسقط كل صورة نمطيّة عن المهاجرين وأن تقدم معلومات صحيحة، بحيث تدين أخطاء البعض، وتشيد كذلك بنزاهة البعض الآخر، وبنزاهة ورفعة روح الجزء الأكبر. في هذا، من الأهمية بمكان أن يغيّر الجميع تصرفاتهم تجاه المهاجرين واللاجئين؛ وينتقلوا من موقف الدفاع والخوف واللامبالاة – والذي بالنهاية يقوم على "ثقافة الإقصاء" - إلى التصرف المبني على "ثقافة اللقاء"، الوحيد القادر على بناء عالما أكثر صلاحا وأخوة، عالما أفضل. فوسائل الاتصال هي أيضا مدعوة للدخول في "تغير السلوك" هذا، وتشجيعهذاالتغييرفيالسلوكتجاهالمهاجرينواللاجئين.
أتوجه بفكري إلى عائلة الناصرة المقدسة التي عاشت خبرة الرفض منذ بداية مسيرتها: فمريم قد: "ولَدَتِ ابنَها البِكَر، وقَمَّطَتهُ وأَضجَعَتهُ في مِذوَدٍ لأَنَّهُ لم يَكُنْ لَهُما مَوضِعٌ في الـمَضافة" (لو 2، 7). وقد اختبر يسوع ومريم ويوسف معنى أن يترك المرء أرضه ويهاجر: إذ أُجبروا على الهرب واللجوء إلى مصر خوفًا من عطش هيرودس إلى السلطة وبطشه الذي كان يهدّدهم (را. مت 2، 13- 14). لكن قلب مريم الأمومي وقلب يوسف الحنون، حارس العائلة المقدسة، لم يفقدا أبدًا ثقتهما بالله الذي لا يتركنا أبدًا. لذا،ليكن هذا اليقين،بشفاعتهما، ثابتًا أبدًا في قلب كل مهاجر ولاجئ.
إن الكنيسة بجوابها على دعوة المسيح: "إذهبوا وتلمذوا جميع الشعوب"، هي مدعوة لتكون شعب الله الذي يعانق جميع الشعوب، ولأن تحمل لهم بشارة الإنجيل، لأن وجه المسيح هو مطبوع في وجه كل شخص بشريّ! وهنا تكمن الجذور العميقة لكرامة الشخص البشري والتي يجب علينا دائمًا احترامها وحمايتها. فليست معاييرالكفاءةوالإنتاجية،والطبقةالاجتماعية،والعرقيةأوالدينيةهي التيتؤسسكرامةالشخص بشكل أساسي،وإنما كوننا خلقنا على صورةاللهومثاله (را.تك 1:26-27)،وأكثر من هذا، كوننا أبناءالله؛فكل إنسان هو ابن لله! وقد طُبعت فيه صورة المسيح! لذا،علينا أن نرى نحن أولاً تلك الصورة ونساعد الآخرين كي يروا في المهاجر واللاجئ لا مجرّد مشكلة يجب مواجهتها بل أخا وأختا علينا قبولهما واحترامهما ومحبتهما، وفرصةً تقدمها لنا من العناية الإلهيّة للمساهمة في بناء مجتمع أكثر عدالة، وأكثر تحقيقا للديمقراطيّة، عالم أكثر أخوة وجماعة مسيحيّة أكثر انفتاحًا، بحسب الإنجيل.كما يمكنللهجرة أن توفر فرصةللتبشير بالإنجيل،وأن تفتح مساحاتجديدةلإنماءإنسانيةجديدة،قد سبق وبُشِر بها في السرالفصحي: إنسانيةتعتبركلأرضٍأجنبيةوطنا، وكل وطنٍأرضاأجنبية.
أعزائي المهاجرين واللاجئين!لا تفقدوا الرجاء بأن لديكم مستقبلا أكثر أمانًا، وأنكم ستجدون خلال مسيرتكم يدًا ممدودة تسمح لكم باختبار التضامن الأخوي ودفء الصداقة! أصلي من أجلكم جميعًا ومن أجل جميع الذين يكرسون حياتهم وطاقاتهم لمؤازرتكم وأمنحكم من كل القلب البركة الرسوليّة.
حاضرة الفاتيكان، 5 أغسطس / اب 2013
البابا فرنسيس
[01335-06.01] [Testo originale: Italiano]
[B0603-XX.02]