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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE "I DIRITTI DELLA FAMIGLIA E LE SFIDE DEL MONDO CONTEMPORANEO", PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, 20.09.2013


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE "I DIRITTI DELLA FAMIGLIA E LE SFIDE DEL MONDO CONTEMPORANEO", PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

● INTERVENTO DI S.E. MONS. VINCENZO PAGLIA

INTERVENTO DELLA DOTT.SSA HELEN M. ALVARÉ

TESTO DEL PROF. FRANCESCO D’AGOSTINO

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la conferenza stampa di presentazione del Convegno Internazionale "I Diritti della Famiglia e le sfide del mondo contemporaneo", organizzato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, nel XXX anniversario della "Carta dei Diritti della Famiglia", in corso dal 19 al 21 settembre presso il Dicastero, con la partecipazione di circa 200 giuristi di vari Paesi del mondo.
Intervengono alla Conferenza Stampa: l’Em.mo Card. Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi; S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e la Dott.ssa Helen M. Alvaré, Professor of Law, George Mason University, Washington..
Pubblichiamo di seguito gli interventi di S.E. Mons. Vincenzo Paglia, della Dott.ssa Helen M. Alvaré, nonché un testo predisposto dal Prof. Francesco D’Agostino, Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI):

INTERVENTO DI S.E. MONS. VINCENZO PAGLIA

Il Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia nel mondo contemporaneo del 1980, che aveva ben presente le difficoltà in cui la famiglia si trovava già allora, concepì l’idea di redigere una Carta dei diritti della famiglia. Giovanni Polo II raccolse immediatamente tale richiesta avanzata dai padri sinodali e incaricò il Pontificio Consiglio per la Famiglia di realizzare il progetto che fu portato a termine nel 1983. L’intento era audace: non si trattava solamente di ripetere una dottrina, quanto di elaborare attraverso una riflessione anche di ordine giuridico un impianto organico dei diritti della famiglia concepita come soggetto giuridico autonomo.

La famiglia soggetto di diritti
Nella Lettera alle Famiglie Giovanni Paolo II sosteneva la soggettività giuridica della famiglia. Questo è il testo: "Come comunità di amore e di vita, la famiglia è una realtà sociale saldamente radicata e, in modo tutto proprio, una società sovrana, anche se condizionata sotto vari aspetti. L'affermazione della sovranità dell'istituzione-famiglia e la constatazione dei suoi molteplici condizionamenti inducono a parlare dei diritti della famiglia". Tali diritti "sono strettamente connessi con i diritti dell'uomo: infatti, se la famiglia è comunione di persone, la sua autorealizzazione dipende in misura significativa dalla giusta applicazione dei diritti delle persone che la compongono. Alcuni di questi diritti riguardano immediatamente la famiglia, come il diritto dei genitori alla procreazione responsabile e all'educazione della prole; altri diritti invece riguardano il nucleo familiare solo in modo indiretto: tra questi, di singolare importanza sono il diritto alla proprietà, specialmente alla cosiddetta proprietà familiare, ed il diritto al lavoro" (Lettera alle Famiglie, 17). Come la famiglia non è solo la somma delle persone che la costruiscono, ma anche una comunità di persone (communio personarum), è il "noi" umano creato al modello del "Noi" divino, cosi "i diritti della famiglia non sono (…) semplicemente la somma matematica di quelli della persona, essendo la famiglia qualcosa di più della somma dei suoi membri presi singolarmente" (Ivi).

Quale futuro per la Carta dei Diritti della Famiglia
Nel corso di questi 30 anni, purtroppo, la Carta è restata un documento poco conosciuto. Il Pontificio Consiglio ha però ritenuto opportuno riprenderne la prospettiva e riproporla, perché si tratta di principi presenti anche in altri testi della Chiesa che conservano tutta la loro attualità. Per questo ha pensato a riproporre il testo nelle lingue: italiana, inglese, francese, spagnola e portoghese, con un mio approfondito commento.

L’originalità della Carta sta nel fatto che con essa la Chiesa presenta in modo organico e traduce in formule espresse in termini tecnico-giuridici il dover essere intrinseco al progetto divino sulla famiglia. Nella Presentazione si legge: "I diritti proposti devono essere compresi secondo il carattere specifico di una "Carta". In alcuni casi essi enunciano vere e proprie norme giuridicamente vincolanti; in altri casi, esprimono postulati e principi fondamentali per una legislazione da attuare e per lo sviluppo della politica familiare. In tutti i casi sono un appello profetico in favore dell'istituzione familiare, la quale deve essere rispettata e difesa da tutte le usurpazioni". E proprio in quanto universali, queste affermazioni sono rivolte non solo ai governi civili, per avere adeguata attuazione nelle legislazioni e nelle politiche familiari, ma anche "a tutti i membri e le istituzioni della Chiesa": anzi, si può dire, che la comunità ecclesiale deve essere il luogo privilegiato in cui riconoscere e proteggere i diritti fondamentali della famiglia.

Questo Pontificio Consiglio ha voluto indire questo incontro internazionale, assieme alla Associazione dei Giuristi Cattolici Italiani, che ringrazio sentitamente a partire dal Cardinale Francesco Coccopalmerio che è qui con noi e dal Presidente prof. Francesco D’Agostino, per riprendere le ispirazioni di quei principi. E’ vero che ci troviamo in un nuovo contesto culturale che mette in questione l’istituto familiare in maniera ancor più radicale che in passato. Ma quei principi che la Carta raccoglie e ordina rimangono saldi in tutta la loro validità. Semmai, rileggendoli, sorge un impulso a spingere i credenti ad una nuova audacia. E i cultori del Diritto, tra i credenti, sono chiamati a raccogliere la sfida per difendere la Famiglia dagli attacchi violentissimi a cui è sottoposta, e soprattutto ad aiutarla perché possa esprimere la sua straordinaria ricchezza per far crescere quel "noi" che diviene scuola di convivenza. La famiglia è un "patrimonio dell’umanità", amava sottolineare Benedetto XVI, e papa Francesco ne fa uno dei cardini della sua missione apostolica.

La famiglia, insomma, deve essere riportata anche nel cuore della riflessione giuridica. Non spetta a me entrare in questo campo. E’ compito anzitutto degli intellettuali cattolici studiosi di Diritto. Questo nostro convegno internazionale già in corso, vuole essere uno stimolo in tal senso. Il mio augurio è che da questi giorni si sviluppi una riflessione sulla famiglia nel contesto della globalizzazione. Tale riflessione, che si colora delle diverse latitudini degli studiosi deve avvenire sia sul piano del diritto civile che sul piano del diritto canonico. In quest’ultimo, infatti, mi pare ancora del tutto assente un diritto di famiglia. La nuova condizione richiede una urgente riflessione. Ma è indispensabile anche una corresponsabilità dei giuristi cattolici sia a livello nazionale, sia continentale che internazionale. Il fatto di convergere in questi giorni di giuristi di varie parti del mondo, è un piccolo- grande segno, ma anche molto chiaro, della via che deve essere intrapresa.

E’ grande la responsabilità che grava anche sulle spalle dei giuristi cattolici. In passato – sia quello antico che quello recente - il pensiero giuridico dell’umanità è stato arricchito in maniera determinante dall’apporto del pensiero giuridico dei cattolici. Se penso al dialogo strettissimo che c’è stato nei secoli passati tra diritto romano, diritto canonico e pensiero umanista, come non lamentare una latitanza nel tempo contemporaneo? Penso sia giunto il momento di ricollocarci tutti sulla prospettiva globale, anche gli studiosi del diritto. La globalizzazione ha notevoli riflessi anche sul piano giuridico. Per questo i giuristi cattolici sono chiamati ad un nuovo impegno culturale che interessi trasversalmente l’intero pianeta. Non possiamo lasciare i diversi paesi e le diverse sedi internazionali - ove si decidono le sorti dei popoli e delle famiglie – agire senza il contributo specifico del pensiero giuridico di ispirazione cattolica ed anche umanistica. Sappiamo tutti quanto i processi legislativi siano di fatto inficiati da pregiudizi ideologici o da lobbies che portano avanti interessi di parte. E’ urgente alzare il livello culturale del dibattito anche nella sfera del diritto, in questo caso, del diritto della famiglia.

Nel ringraziarvi ancora per la vostra presenza, lasciate che riprenda il sogno che aveva Giovanni Paolo II al momento di lanciare la Carta dei Diritti della Famiglia. Il suo sogno era che questa Carta potesse ispirare – come del resto è avvenuto in maniera analoga sia nella formulazione della Carta dei Diritti dell’Uomo che in quella dei Diritti dei Fanciulli – alla redazione di una Carta Internazionale dei Diritti della Famiglia. E questo è anche nei nostri auspici.

[01296-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DELLA DOTT.SSA HELEN M. ALVARÉ

It seems too small a word for what has happened to observe that in the last 30 years, changes in family culture, customs and law have been profound, globally.

Often these changes were instituted in the name of improving women’s situation respecting the family…improving women’s situation, sometimes in a family role - as a wife or mother, but more often by:

- Encouraging her to avoid family roles altogether, or
- To subvert or to transform these roles.

And today we even have the phenomena of the confounding of roles, where a woman seeks to be a "husband," or "father," or "social but not genetic" mother, due to the legality of same sex marriage and forms of assisted reproductive technologies.

In short there has largely occurred a "deinstitutionalizing" of the family and women’s roles within it. By which I mean several things: a denying of the notion that the family built upon marriage, makes its own intrinsic demands, has expectations to which a member has to work to "live up to." This deinstitutionalization flowed in part from the conclusion that the institution of the family built on marriage, with its roles of wife and mother, by their very structures and history, ensured women’s oppression, and their servitude to men and society --including by means of serving children. Certainly not all women accepted this line, but it was and is prominent.

This notion in turn was based upon the idea that family roles denied women access to the sources of social status – income, and respect for "know how" -- attained by education, and by employment in the labor force outside the home.

Family roles, in other words, perpetuated the idea that women are insufficiently intelligent, or even rational, for more public contributions… that women are more about their bodies than their minds.

There was also the sense that married women were denied sexual freedom and enjoyment, while married men were not, and were also judged by a different standard.

And indeed, both single and married women were at times treated as property by their spouses, subjected to violence, their health and intellectual gifts ignored or abused, and their desire to contribute to various public spheres frustrated. John Paul II spoke of these matters eloquently in his 1995 Letter to Women.

But the changes wrought to family -- the problematic set of ideas that gained ascendancy at most elite institutions, and in many developed nations, and international fora -- nations and fora which could powerfully influence countries with less wealth -- proved very problematic, not only for women, but for society.

What I would like to do this morning in order to consider women-in-the-family in light of the Charter, is the following:

First, review, quite generally, the changes respecting women in the family over the last 30 years, not as a cultural historian, or a philosopher, or theologian, but as a family law professor who also practiced family law in the United States, and has participated in local and national contests before all three branches of government over the last 29 years of my legal career.

Second, I will consider very generally the results of several decades’ transformation of women in the family.

Third, I will consider the needs and opportunities for the Catholic Church and for others who wish to serve the family, with attention to the rights and duties of women.

_____________

First, regarding the changes respecting women in the family over the last 30 years. I want to tell the "story" of the changes, mostly chronologically, and mostly from the perspective of women’s flourishing, for the purposes of showing how deeply at odds are these changes with the principles supported by the Charter.

I should say preliminarily, that I obviously cannot tell the legal story of every woman in every country, but I can tell the story of the package of ideas that I believe to be the prevailing global ideology, issuing from more privileged countries, on display at international fora, and brought to bear on less prosperous nations.

Speaking generally, it is a story of forcing divisions between things that are meant to be linked: sex, procreation and marriage You will quickly notice that when one separates any two of these, the links between all three disappear.

It is also a story that moves from loving the family we’re "given" to "choosing" the family we will recognize, and from aspiring to "fidelity" toward valuing only "choice," -- asMary Ann Glendon and other family scholars have been noting for decades.

Finally, preliminarily, it is the story of shockingly little concern for children’s well-being, despite a great deal of "talk" about children.

_____________

So, the first separation in the modern family story was between procreation and sex, via the legality, the popularity, and then the government promotion of the "pill" and other birth control devices... first for the married, then for the single…in the name of boosting marital freedom and affection and sexual pleasure, and in the name of women’s health, and then in the name of helping the single woman prevent nonmarital pregnancies and abortion. In our present day, it is celebrated outright as something akin to the foundation of women’s freedom, through freedom from children and a commensurate availability for other things, presumably the labor market.

Introduced to separate sex and procreation, birth control has subsequently separated sex and marriage, and marriage and procreation as well. No link has been unaffected.

It also started us down the path of vaulting "choice" over fidelity in the family arena. Not only between men and women, but also between adults and children.

Next came the abolition of "fault" as the necessary grounds for divorce, in favor of divorce based upon a unilateral assertion of unresolvable differences…in the name of women’s health and freedom,…highlighting women’s need to escape violent men. Adults’ emotional happiness was also cited. In the original debates over no-fault divorce, when legislators spoke of children, it was usually to assure themselves that children are resilient, and better off away from fighting parents…though we now know that most divorces do not follow high conflict marriages.

Divorce reform did not setout to separate sex, marriage and procreation, but it did: when marriages were recast as easily breakable contracts, there appeared precious few reasons to rely upon marriage as a safe haven for children. The number of female-headed single parent households exploded, as did childfree or very small marital households.

Legal abortion was next, separating sex and procreation in the name of women’s psychological and physical health, and the opportunity costs of being a mother– those costs being advancement in education and the labor force. Of course, abortion also delinked sex and marriage, and procreation and marriage, due to the new sexual marketplace it helped create. To explain, sex without a baby – sex insured against a baby by birth control and abortion, took the "weight" out of sex for many. Casual sex became the price of a relationship. Due to this "risk compensation" effect -- there was more casual sex on the notion that there was no "risk" –so nonmarital pregnancies and births and abortions actually soared instead of declining, after the widespread normalizing of birth control.

Legal abortion was also intellectually linked with a willingness to deny the significance of natural, bodily realities…with refusing to see things … refusing to call things by their proper names. It was heralded by some feminists as an important step toward setting the terms for women’s "equality"…terms which persist to today: that is, abortion rights, promoted in the name of "equality," meant rendering women’s bodies identical with men’s insofar as sex and childbearing were concerned. Equality and identity thus became dramatically intertwined.

Then came the New Reproductive Technologies, another separation between sex and procreation... in the name of adult desires, without considering children’s health or their needs psychologically or genealogically. Quickly, ARTS separated procreation from marriage too, as businesses could earn huge returns selling donor gametes, embryos, and wombs.

Over these same years, legal bans on other behavior separating sex, children and marriage were abolished. That is, not only the bans on birth control and abortion, but also upon cohabitation, nonmarital sex, and adultery. Such laws were first unenforced, but eventually abolished as contradicting the notion that uncommitted sex was normal ,in fact, not only normal, but an essential aspect of individuals’ identity formation, and thus freedom to develop one’s personality and life story privately.

In other words, the narrative developed that sexual expression – of any kind, so long as it was freely done – was itself the good. Scholars have called this viewpoint various names, sexualityism, or sexual expressionism. It is an important development. To repeat, sexual expressionism holds that: birth control, abortion, easy divorce, and increasingly sexual encounters outside marriage, and homosexuality, are not allowed simply on the argument that they are good for women’s health, or even reduce population pressures – by this time world-fertility- rates were declining steeply – but they were good because they enabled sexual behavior which forms human identity and constitutes freedom, full stop.

If this is true for heterosexual persons, of course it is true for homosexuals. And if it is true for adults, then why not adolescents, and maybe even children?

And if this was true, then a full-throated celebration of marriage and the marital family could no longer stand, or marriage and the family had to be recast/reinterpreted, deinstitutionalized. For these institutions had implied sexual discipline, the channeling of adults desires in favor of the interests of spouses and children. They implied keeping sex and marriage and parenting together. But SEXUAL EXPRESSIONISM rejected all of this. Over time, sex education in the schools reflected sexual expressionism.

But the evidence was emerging in particular in the early 1990s that children were suffering-- especially already vulnerable children – from the separations between sex, marriage and children. Women and the poor were also showing signs of distress.

But governments of privileged countries and many international institutions had already signed on to sexual expressionism. So they directed their responses only to the "edges"of the problem, without taking aim at sexual expressionism itself.

- So in response to rapidly declining populations, they passed "please procreate" incentives;

- The passed strict child support laws, so that the increasing numbers of children born with no father in the home, would not require state support; some softer efforts were made to reconnect unmarried fathers with their children, in order also to try to stem the problems suffered by fatherless children. Yet little attention was paid to the research about the obstacles to attaching children to fathers, without first attaching the fathers stably to the mothers.

- Teenage pregnancies were denounced, and targeted with more birth control and emergency contraception, but nothing said about the vast majority of unwed pregnancies (in the US, 83%) among women over 20.

When these policies failed, governments and international groups tended often to "double down" on them, recommending or providing bigger incentives for procreating, putting EC in the pocket of every teenage girl, and most recently, forcing religious entities to provide birth control and early abortion. Finally, some countries administered the coup de grace to the links between sex marriage and procreation by authorizing same sex marriage. This is usually done accompanied by the loud insistence that marriage is strictly about adults’ emotional and sexual intimacy, and identity formation. Children are mentioned only insofar as they might provide and extra bit of support for what the adults in their household wish to do.

This set of policies and messages constitutes a large portion of the claimed "pro-women agenda" in the family context. Though, as will be referenced below, a few countries have also made efforts to allow mothers better to manage the joint demands of home and work.

The most vocal opponents of the sexual expressionism agenda are religions, including in particular the Catholic religion. One could compare each tenet of sexual expressionism with the Articles of the Charter of the Rights of the Family and find contradictions on many points.

Still, 30 years after the charter, we have opportunities, not just challenges. Let me introduce these by reviewing a few of the acknowledged outcomes of the last decades’ events, acknowledging first some progress for women in the family:

Women have been afforded more opportunities both inside and outside the home, especially in educational, employment, governmental and civil society institutions.

Women’s gifts are displayed in more public spheres, and some countries have policies making it practically and economically feasible for women to do justice both to their families and their work outside the home. There is also an improved ethic of equal regard between husband and wife in many though not all places.

There is a new appreciation for what the woman does domestically,

And there is far greater attention to preventing and addressing violence – though the problem persists. These are not small matters.

But at the same time, serious difficulties and obstacles remain because while women have been afforded more opportunities, these are sometimes accompanied by or even grounded upon a flawed anthropology and a lack of respect for human life.

First because abortion and contraception access have been the leading edge of the most prominent feminist efforts in many countries – accompanied by the derogation of the family and the celebration only of paid labor -- in some places, even genuinely good efforts for women in the family are resisted, because they are "packaged with" such harmful ideas, or there is reasonable suspicion that the latter will follow the former. One sees often, for example, abortion rights or inappropriate sexual educational initiatives closely tied with good initiatives to stop violence or promote education for women.

Second, also due to feminist groups’ prioritizing abortion and labor force participation as the sine qua nones of women’s freedom, it has evolved that women and childrennot employers, not educational institutions and not most governments – have been asked to make disproportionate sacrifices toward what has been defined as women’s freedom respecting the family. Family-friendly school or work schedules are still elusive. The costs of education and housing-for-families remain quite high. The conditions for extended family mutual assistance are not often present. Appropriate and affordable assistance with young children is still rare. Instead, women who wish to take advantage of new school and work opportunities are still incentivized to reduce childbearing, and to delay it. Birth control and abortion are the celebrated means.

Yes in some countries, governments have borne more of the costs – with childbirth bonuses, parenting allowances, paid parental leave, and affordable child care. And in many countries --respecting nonmarital parenting -- the government has stepped in economically. Steady research shows, however, that even significant government support, cannot close the gap created by the loss of the stable father. Also, in the vast majority of countries, so long as the prevailing story of "freedom" for women holds that freedom depends upon sexual expression and material wealth -- it remains unlikely that governmental or employers assistance for women can compensate for the loss of marriage, marriage stability and manageable/affordable marital childbearing.

In short, when it comes to opportunities outside the home, most are still structured upon the needs of a childless man -- not a woman with family roles. We still await what would genuinely be required to meet women and families’ needs. The first step would include eradicating sexual expressionism in government policy. This would require undoing the harmful messages about sex and marriage and parenting present in everything from sexual education to same-sex marriage recognition, to birth control and abortion programs.

The second step is the establishment of an integrated family policy including: economies and schedules respecting work and education which put parents and children first. Substantial paid parental leave, properly crediting domestic care work, and paying a family wage are among these.

Third, it needs to be documented how women have been "immiserated"/made miserable, in their sexual and family experiences as a result of sexual expressionism: There is, in fact, regarding women, and as compared to 3 and 4 decades ago:

More depression among women than men following uncommitted sex;

More nonmarital pregnancies;

More nonmarital births;

More singlemothering which is the number one predictor of poverty among women.

More abortions and post-abortion distress.

Less marriage – which women desire more then men --and more cohabitation, which women dislike more more than men (and which is tied to high rates of violence against women);

There is also more divorce. Women tend to initiate divorce more often in many countries, but also tend economically to suffer post-divorce more than men.

Poor women, immigrants and women of color suffer vastly more of all of these bad outcomes than the wealthy. In a landmark study published last year by American sociologist Charles Murray, he remarked in fact, that marriage and marital parenting are the number one divider of the rich and the poor in the U.S. I suspect it is true around the world. One data point captures it. Seven percent of woman graduating college have a nonmarital birth, 50% of women who do not finish high school.

Further, the loss of fathers especially among the poor is contributing to poorly socialized young men and increased rates of crime involving them. And a subsequent failure to be able to form marriage and parent maritally. In fact, a host of social problems, educational, rates of citizen participation, etc., are tied to loss of two, married, biologically related, stable parents. No matter how generous therefore, are governments’ or employers’ policies for working mothers, so long as sexual expressionism is the prevailing social context, more vulnerable women will fail to reap the gains.

As for children: in many countries 30-50 % are now born without a father in the home. Although it is well documented that on average, the "gold standard" for children is to be born and reared with their stably married biological parents.

And so, these are the noteworthy outcomes of the last several decades’ predominant views and policies respecting women in family roles. Where are the opportunities to make progress? There are several:

First: the data on women’s and children’s and societies’ immiseration are sufficient to allow us to call the proponents of sexual expressionism -- versus what we might call "familism" -- to account: We can justly ask "What have you wrought?" There is, amazingly, some movement in the U.S. media in this direction. I wonder if it appears in your countries as well. We need to crystallize the "it has failed" message.

Within this effort, I believe some of the most promising messages are as follows:

- that feminism shouldn’t aim to hold women to the standards of a single, childless male

- that feminism shouldn’t drive a wedge between privileged and unprivileged women.

- that feminism shouldn’t make children worse off.

Second, I think it is helpful to point out a common political and economic reality. It is not cynical, it’s just true: "the Man", the "powers that be," – governments and corporations -- are not going to sacrifice to assist women and children and families unless they are pressured to. Especially where relatively politically powerless poor and immigrant women and families are concerned. Reviving these expressions from the revolutions of the 1960s and the late 1980s has a way of reminding people of a truism they might otherwise forget: large institutions have their own bureaucratic imperatives; they will pressure the less powerful to sacrifice. This is precisely what has happened in the contest between governments and corporations and women and children and families. Late 20th century feminists focused far too much upon assuring the powers that be that women could be childfree. This set up today’s situation wherein women sacrifice against their familial interests but large institutions do not sacrifice.

A third opportunity: there is longing on the part of youth, I believe in terms that call upon the strengths of religious and other pro-family institutions. Books and surveys are revealing it, as well as the formation of youth groups like Grupo Solido in Argentina and the World Youth Alliance globally. There is a longing for stability, for responsible love as against a backdrop of their experiences with unstable familial and employment institutions. There is a longing for meaning outside advertising, and material and technological culture.

I think a fourth opportunity lies in women’s longing for things they were not permitted by mainstream feminism to name, but things which are now surfacing in literature and media and surveys, things like:

- a connection with men versus a now prevalent gender mistrust,

- a greater understanding of complementarity,

- stable love … sex that comes with meaning…that is to say with commitment and with children,

- and finally, a way to put children first and still make a contribution with their talents in the public square.

This is an opportunity for voices like ours, with our evident dedication to these principles in documents like the Charter.

Fifth, and finally, another opportunity, specifically for religions – is in the empirical data which is consistently showing that the regular practice of religion generally is associated with good physical and emotional and social outcomes…not only for individuals but for women in particular and for children and families.

I can tell you that I have had experience proposing this set of ideas in the U.S.

In response to a government mandate that religious institutions and all employers had to provide insurance for contraception, sterilization, and drugs that can act as early abortifacients, I launched an open letter with two points; one, women’s concern for religious freedom, and two, women’s disdain for the message sent by the mandate that "freedom from children is the essence of women’s freedom." I sent it to 30 friends but in several months, it grew to over 41K women signatories in the U.S. …characterized strongly by their youth and their advanced education. The list has thousands of doctors, lawyers, nurses, teachers, and homeschooling mothers in particular. Our Facebook page generates nearly 100K interactions a week. We provide projects for women to do locally in the true interests of women. It continues to grow. There is a market for this set of messages.

My final point this morning: I do not wish to ignore the significant obstacles to improving the prospects for women in their family roles:

The obstacle of new threats to religious freedom today, inspired often precisely by religions’ objections to sexual expressionism, and its support for the goods of the unitary family, for women. Intensive efforts are made to harden precisely women’s hearts against these religious messages. I have seen this first hand at the United Nations, and also in many individual countries.

The closely related obstacle of the strength, the wealth, and the virulence of the sexual expressionism lobby, in individual countries and globally.

The obstacle of the clerical abuse crisis in our church…for obvious reasons a grave obstacle to our communicating about the family.

A fourth obstacle…some uncertainty, or lack of clear thinking, or willingness to witness, within some of our own Catholic institutions.

A fifth obstacle: political agendas focused strictly on economics, which either ignore family matters as if they are unrelated (although the opposite is true),or set them aside on the conviction that it would be too complex, or prohibitively expensive to address them.

Each of these obstacles has to be addressed by experts in its own sphere.

Still … given the evident good will of the Charter, and the continually revealed accuracy of its family anthropology – given its potential for addressing the human rights of the most vulnerable members of the human family, in the context of global economic insecurity exacerbated by the declining situation of families….I believe that a restatement the Charter’s principles, accompanied by a stressing of the following components as particularly friendly to women, would be timely and well-received:

- The need to restore the relationship between men and women;

- Exploring the meaning of complementarity not only at home, but in all the places in which men and women cooperate today;

- Emphasizing the possibility and the blessings of stable, permanent, marital and familial relationships, as well as the rights of the poor to share in these

- Welcoming and prioritizing children;

- Service and gift as the way of the happy, and the meaningful life, and the family as a source of these insights;

- The need to respect the body, and to reflect upon it as a source of wisdom.

[01304-02.01] [Original text: English]

● TESTO DEL PROF. FRANCESCO D’AGOSTINO

Famiglia "naturale" e famiglia "sintetica"

I trent’anni che ci separano dalla promulgazione della Carta dei diritti della famiglia non ne hanno incrinato, sotto alcun profilo, la valenza dottrinale. Nella Presentazione della Carta dei diritti della famiglia si dichiara con molta immediatezza e semplicità che l’obiettivo del documento è quello di presentare agli uomini del mondo d’oggi "una formulazione…dei fondamentali diritti inerenti a quella società naturale e universale che è la famiglia" ed effettivamente bisogna riconoscere che questo obiettivo è stato centrato. E’ ben difficile individuare nella Carta espressioni meritevoli di aggiornamento o di riformulazioni, così come carenze o ridondanze. Ciò che appariva necessario dire sui diritti della famiglia trent’anni fa, è stato ben detto e corrisponde puntualmente a ciò che continua ad essere necessario dire anche oggi. Ciò che era superfluo dire trent’anni fa, nella Carta non è stato detto ed è per questo che mancano in questo testo tante varie possibili osservazioni sulla famiglia vere, ma nello stesso tempo banalmente vere e quindi superflue.

Tutto bene, dunque? Il fatto che siano passati trent’anni da quando la Carta è stata promulgata non possiede quindi alcuna rilevanza? No: in questi trent’anni qualcosa di rilevante, in tema di famiglia, è successo e sta sotto gli occhi di tutti, anche se non da tutti viene correttamente rilevato. Ciò che è successo è che a carico della famiglia è venuta a determinarsi una nuova sensibilità, che sta lacerando non tanto l’unitarietà del fenomeno famiglia come dato empirico, ma l’unitarietà della famiglia, come categoria ontologica. E poiché ciò che è nuovo richiede di essere espresso con termini nuovi, mi propongo di usare l’espressione famiglia sintetica, per alludere a un modo di pensare la famiglia che non è più in grado di percepirne la naturalità e l’universalità (le due dimensioni richiamate nella Premessa della Carta), perché la percepisce unicamente come costruzione sociale.

Non so se l’espressione famiglia sintetica entrerà nel linguaggio comune, per essere alla fine recepita nei dizionari, tra i neologismi. So però che si tratta di un’espressione necessaria, perché tutte le altre che potrebbero essere usate al suo posto (famiglie allargate, famiglie ricomposte, nuove famiglie, fino all’orribile famigliastre) alludono a dinamiche e a fenomeni diversi, di rilevanza esclusivamente empirica. Famiglia sintetica serve a mostrare come esistano e siano in continua espansione comunità familiari, che sono certamente fondate sulla volontà di una coppia di costituire una famiglia (ma come potrebbe essere diversamente? come potrebbe esserci una famiglia involontaria?), nelle quali però la volontà non si manifesta in uno specifico atto di volizione, dotato di una sua forza costitutiva (come può essere il reciproco giuramento davanti a Dio dei coniugi o il fatidico davanti all’ufficiale di stato civile), bensì in un progetto aperto, destinato a espandersi o a contrarsi nel tempo, a creare vincoli occasionali, ancorché limpidi, o insopportabili vischiosità, suscettibile di essere potenziato e approfondito, così come di essere destrutturato, cancellato, rimosso per dar luogo a nuove e diverse sintesi. Quella che nella prospettiva tradizionale possiamo chiamare famiglia naturale è la famiglia che, a partire dalla sua origine, fonde i suoi membri in una comunità, nella quale le posizioni originarie di ciascuno di essi vengono, in qualche misura, definitivamente trascese e non sono quindi assolutamente più riconquistabili (come accade, ad es., per usare una grossolana metafora gastronomica, quando il cuoco unisce gli ingredienti del piatto che sta elaborando, ben sapendo che, una volta che li abbia amalgamati, è impossibile riportarli al loro stato iniziale). Nella famiglia sintetica invece non è così: più che ad una pietanza, essa può più adeguatamente essere paragonata ad una macchina, assemblata in base a un progetto, ma le cui parti costitutive potrebbero –ad libitum- essere smontate e rimontate e comunque riutilizzate per costruire un altro meccanismo. Un matrimonio naturale può ben fallire e concludersi in una separazione o in un divorzio; ma nemmeno nel caso in cui i divorziati convolino a nuove nozze si può ritenere la prima esperienza tamquam non fuisset. Il suo rilievo istituzionale possiede una sua oggettività istituzionale, a volte ben labile, ma in ogni modo incancellabile: lo stato di un divorziato non è analogabile allo stato di un celibe, per minime che siano le differenze tra di essi. Analogamente, il riconoscimento di un figlio naturale è irreversibile, ecc. Non è così nelle dinamiche della famiglia sintetica: quando i rapporti sintetici si estinguono, di essi può restar traccia nella memoria, individuale o collettiva, ma in essa soltanto; sotto ogni altro profilo della famiglia sintetica non resta nulla, perché di essa non deve restar nulla, perché è proprio per questo che essa è stata pensata e voluta.

Quando Irène Théry, alcuni anni fa, propose nel libro Le démariage (Paris, Odile Jacob, 1993) questo termine all’attenzione di tutti, voleva alludere a un fenomeno sociologico eclatante e in continua espansione: la fuga delle coppie dal matrimonio legale. Tale fuga, però, non era non confondere assolutamente –avvertiva la studiosa- con una, per dir così, disaffezione all’esperienza di vita di coppia. A diversi anni di distanza siamo in grado di meglio comprendere il senso autentico del démariage, che non è solamente un segno di insofferenza per la regolamentazione giuridica degli affetti interpersonali (ed eventualmente generativi), ma un ben diverso modo di progettare il futuro e di dare una forma all’esperienza relazionale. E’ questo il fenomeno su cui dobbiamo riflettere, perché –se le sue manifestazioni sono divenute palesi solo negli ultimi decenni- le sue radici sono probabilmente ben più antiche e non sono state studiate nel modo dovuto.

Sono diversi i paradigmi interpretativi che potremmo utilizzare per comprendere meglio le radici delle famiglie sintetiche. Quello che voglio utilizzare –la contrapposizione tra spirito classico e spirito romantico-si inserisce in un quadro di amplissimo raggio e potrà quindi apparire, forse, astratto e comunque difficile a valutarsi. Ma possiede, a mio avviso, una carica esplicativa che non va minimizzata. La mia tesi è che la famiglia naturale ha una radice classica, mentre quella sintetica ha una radice romantica. Il punto è che classicismo e romanticismo, nel contesto di questo discorso, non vanno pensati come due paradigmi letterari o come due alternative riducibili a varianti di gusto, tra le quali quindi sarebbe è legittimo scegliere esclusivamente secondo preferenze soggettive, insindacabili e quindi non meritevoli nemmeno di essere argomentate. Si tratta piuttosto di due varianti antropologiche, con rilevanti ricadute sociali.

Il vecchio Goethe non amava il romanticismo; era solito ripetere -dimenticando i suoi trascorsi di gioventù- che lo spirito romantico è uno spirito malato. In tal modo, egli ci ha dato una chiave ermeneutica essenziale per intendere anche il classicismo, cioè il paradigma che comunemente, e correttamente, si ritiene essere l'opposto del romanticismo, e per liberare queste due categorie contrapposte dall' ipoteca scolastico-manualistica che grava su di esse, quella per la quale esse servirebbero unicamente a descrivere una particolarissima epoca della cultura europea, quella tardo settecentesca e proto-ottocentesca. Non è così. Spirito classico e spirito romantico sono due possibilità strutturali dello spirito e il loro corretto intendimento ci aiuta non solo a capire una fase essenziale della cultura europea, ma ben più in generale un modo antinomico di manifestazione dell'humanum. Il classicismo è -o comunque ha sempre voluto rappresentarsi- come la manifestazione dello spirito in quanto sano, impegnato intenzionalmente a conquistarsi un difficile, profondo e sofferto equilibrio (tanto quanto il romanticismo si è sempre manifestato come espressione di uno spirito che accetta ogni squilibrio e che intenzionalmente accetta perfino di identificarsi come malato). Il classicismo infatti è amore per la luce, la serenità, l'ordine, il logos, la compostezza, l'autocontrollo, l’impegno, la fedeltà, la bellezza; non subisce il fascino, né meno che mai la tentazione dell’orrido; odia l'irrequietudine, la sproporzione, l'oscurità, la contraddizione, ogni forma di patetismo, l'irrazionalità, la stravaganza, il tradimento. E soprattutto il classicismo non riesce a comprendere la storia (né quella individuale, né quella collettiva), che invece è tanto amata dal romanticismo. Non la comprende non perché ne neghi l’esistenza e le dinamiche (sarebbe questa un'evidente assurdità), ma perché la storia apre indebite pretese di manipolazione del futuro e distrae dall'impegno nel e per il presente; attraverso la storia, in altre parole, emergono tutte quelle dimensioni di negatività dello spirito (l'irrequietudine, la violenza, il fanatismo, il desiderio del nuovo non in quanto buono, ma in quanto nuovo) contro cui lo spirito classico combatte senza tregua. Il romanticismo, invece, innamorato della storia come mutamento continuo, incessante, creatore di valori, disprezza il presente; può immergersi, nelle sue versioni conservatrici, nell' idolatria del passato (pensato sempre comunque come un paradigma da riattualizzare), ma soprattutto ama lasciarsi travolgere dal fascino del futuro. Sia nelle sue versioni conservatrici che in quelle rivoluzionarie esso esalta la volontà, come forza endogena dello spirito, una forza che non tollera limite né misura e che non accetta di essere sottoposta ad alcun vaglio.

Abituati a pensare categorie come classicismo e romanticismo alla stregua di categorie artistico-letterarie, siamo difficilmente portati a applicarle ad una realtà sociale come quella della famiglia sintetica. Eppure, solo l'uso di queste categorie può aiutarci a comprenderne fino in fondo l’identità. La famiglia sintetica è intrinsecamente romantica. Non si fonda su di un progetto, ma sull’immediatezza dei sentimenti. Pensa al futuro come orizzonte indiscriminato di possibilità. E quando essa entra in crisi, non assume la crisi come negatività da fronteggiare e da riparare, bensì come apertura di nuove possibilità. La famiglia sintetica non percepisce la scansione dei tempi, né ama modellare o prendersi cura dei ruoli familiari, che ai tempi sono collegati (nulla di meno riconducibile alla famiglia sintetica di quell’art d’être grand-père, al cui apprendimento dedicava le sue energie il vecchio Victor Hugo); le sue passioni si accendono improvvisamente e altrettanto improvvisamente si spengono. Esse hanno il fascino che possiede la sperimentazione pura, non vincolata a finalità predeterminate, completamente cangiante nelle forme e nelle tecniche. La sua identità è analogabile a quell’identità di genere, di cui tanto oggi si parla, che si determinerebbe attraverso impulsi interiori e che si manifesterebbe all’esterno solo nelle modalità, assolutamente non predeterminabili, che il soggetto decide occasionalmente di adottare.

Ha un futuro la famiglia sintetica? No e non può averlo, perché il futuro appartiene a chi nel futuro ha fiducia, non a chi vivendo solo nel presente è indifferente al domani. Se non ha un futuro, la famiglia sintetica, però, indubbiamente ha un presente. Ha un presente molto evidente: basti osservare le alterazioni (a volte intenzionali, a volte non intenzionali) che essa sta inducendo nella famiglia naturale. E’ pericoloso questo suo manifestarsi nel presente? Pone a un ingiusto rischio la famiglia naturale? E’ doveroso, per proteggere questa, contrastare quella e con quali strumenti (legali, sociali, psicologici, religiosi)? E fino a che limiti sarebbe possibile spingere questo contrasto? Oppure dobbiamo ritenere che proprio attraverso il confronto/scontro con la famiglia sintetica si aprano nuove possibilità per la famiglia naturale di tornare a comprendere se stessa e le sue ragioni costitutive? Per molti è solo l’eccesso che fa riscoprire il valore della sobrietà, è solo la malattia che fa percepire il bene della salute, è solo l’instabilità che induce all’elogio dell’equilibrio. Secondo alcuni, della famiglia sintetica la famiglia naturale non dovrebbe avere alcuna paura, perché ciò che non corrisponde alla natura giunge inevitabilmente a perdersi, sia pure in tempi difficilmente prevedibili e più o meno lunghi. Lo dimostrerebbero, sempre secondo alcuni, le periodiche crisi che nella storia hanno colpito la famiglia naturale, inducendo alcuni a preconizzarne addirittura la morte e che, invece, ne hanno solo riconfermato l’identità profonda e necessaria.

Gli studiosi dei movimenti collettivi e delle istituzioni hanno quindi un notevole ventaglio di opzioni prognostiche e dottrinali con cui fare i conti. Chi invece voglia restare aderente all’esperienza individuale e poco si interessi a come le esperienze individuali si manifestino all’interno di esperienze collettive tenderà piuttosto a interrogarsi sul portato di felicità che uomini e donne possono attendersi dalle nuove dinamiche familiari. Non c’è dubbio che la famiglia naturale abbia sempre avuto (e sempre continuerà ad avere, ove sopravviva alla crisi del presente) le sue luci e le sue ombre; ma non c’è nemmeno alcun dubbio che l’esperienza familiare sia sempre stata ritenuta intrinsecamente desiderabile almeno come esperienza tra tempi, cioè come esperienza di durata. Il nesso strutturale che nella famiglia naturale si dà tra matrimonio e procreazione è espressivo di quanto stiamo dicendo. Si hanno rapporti con le prostitute, sosteneva Demostene, per soddisfare i propri bisogni sessuali; si hanno rapporti con le etere, per soddisfare le proprie esigenze relazionali; ma ci si sposa, egli concludeva, per avere figli. Al di là della secca brutalità di queste espressioni, è indubbio che Demostene abbia colto una verità antropologica (non religioso-confessionale!): nella famiglia gli esseri umani sperimentano la dimensione della temporalità, quella dimensione che solo attraverso l’ordine delle generazioni può essere sperimentata dagli uomini. E’ una dimensione, quella della temporalità, cui -direbbe un giusnaturalista - sono obiettivamente preordinate tutte le relazioni tra i sessi: sia l’esercizio "basso" della sessualità (che Demostene esemplifica nel rapporto con le prostitute), sia l’esercizio sublimato della sessualità (le relazioni con le etere), sia l’esercizio coniugale (che ben può, anche se Demostene sembra non in grado di percepirlo, ricomprendere i precedenti ed assurgere quindi a forma compiuta di relazione uomo-donna). La famiglia sintetica non è in grado di elaborare né di essere espressiva di alcunché di analogo, per la semplice ragione che non tematizza l’esperienza della relazione uomo-donna né come strutturata, né come caratterizzata da durata, ma solo come mera evenienza fattuale. Svuotando in tal modo dall’interno la familiarità e negandole rilievo assiologico, la famiglia sintetica assume nei confronti del’ordine delle generazioni qualsiasi possibile posizione: può escluderlo dal proprio orizzonte, al punto da attivare pratiche non solo anticoncezionali, ma anche al limite di sterilizzazione volontaria; può percepirlo come dotato di valore, al punto da combattere la sterilità con pratiche anche estreme di procreazione assistita; può non elaborarlo come tema antropologico e fare del mettere al mondo figli il risultato della mera casualità biologica.

La famiglia sintetica, in breve, non si riconosce come una istituzione sociale, né ritiene che i sistemi ordinamentali istituzionalizzati debbano normativizzarla (se non per quel che concerne la pretesa di fruire di alcune forme di utilità parassitarie, di cui qui non mette conto parlare). Essa quindi è espressiva di una formidabile sfida: la sua stessa esistenza tende a far revocare in dubbio l’opportunità di un controllo sociale delle generazioni, su cui si fonda non solo ogni diritto positivo di famiglia, ma ancor più e ancor prima ogni sistema di identificazione sociale delle individualità personali, che è sempre tradizionalmente affidato al loro ruolo familiare.

In sintesi, la famiglia sintetica coltiva (ne siano o meno consapevoli i suoi membri) una duplice pretesa: quella di restare ai margini di ogni sistema ordinamentale e quella, ancor più radicale, di non costituire in nessun caso, essa stessa, un sistema. Le due pretese convergono in quello che Hegel chiamava l’odio per la legge, la manifestazione estrema dello spirito romantico e contemporaneamente la messa alla prova più dura, possibile e immaginabile, dello spirito classico. Nella riflessione hegeliana, chi nutre odio per la legge non va assimilato ad un anarchico, che progetta l’abolizione dello Stato e la cancellazione dei codici, ma piuttosto a chi ragiona come fa il conte di Suffolk nella prima parte (atto secondo, quarta scena) dell’ Henry VI di Shakespeare: "Beh, a scuola di diritto io sono sempre stato un allievo svogliato; non ho potuto mai piegare la mia volontà alla legge; e perciò piego la legge alla mia volontà". Di qui il paradosso insolubile della famiglia sintetica: la sua pretesa di essere riconosciuta istituzionalmente, ma non come vincolo, bensì come espressione di libertà arbitraria e insindacabile. Riuscirà il diritto, che è nella sua struttura classicismo antiromantico, a difendere la naturalità, cioè l’antisinteticità della famiglia?

[01305-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0589-XX.01]