Alle ore 17.30 di oggi, III Domenica di Pasqua, nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Francesco celebra la Santa Messa in occasione della prima visita alla Basilica Ostiense.
Al suo arrivo il Papa si reca al Sepolcro di San Paolo e vi sosta in preghiera, quindi incensa il Trophæun dell’Apostolo.
Prima della celebrazione eucaristica, il Card. James Michael Harvey Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, rivolge al Papa un indirizzo di saluto.
Concelebrano con il Santo Padre il Cardinale Arciprete James Michael Harvey, i Cardinali Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e Francesco Monterisi, Arcipreti emeriti, e Dom Edmund Power, O.S.B., Padre Abate dell’Abbazia di San Paolo.
Al termine della Santa Messa il Papa si reca nella Cappella del Crocifisso per venerare l’icona della Madonna Theotokos Hodigitria (XIII secolo), davanti alla quale il 22 aprile 1541 Sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni fecero la loro professione religiosa solenne, evento fondamentale per la nascente Compagnia di Gesù.
Di seguito riportiamo il testo dell’omelia che Papa Francesco pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:
● OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
È per me una gioia celebrare l’Eucaristia con voi in questa Basilica. Saluto l’Arciprete, il Cardinale James Harvey, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto; con lui saluto e ringrazio le varie Istituzioni che fanno parte di questa Basilica, e tutti voi. Siamo sulla tomba di san Paolo, un umile e grande Apostolo del Signore, che lo ha annunciato con la parola, lo ha testimoniato col martirio e lo ha adorato con tutto il cuore. Sono proprio questi i tre verbi sui quali vorrei riflettere alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato: annunciare, testimoniare, adorare.
Nella Prima Lettura colpisce la forza di Pietro e degli altri Apostoli. Al comando di tacere, di non insegnare più nel nome di Gesù, di non annunciare più il suo Messaggio, essi rispondono con chiarezza: «Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini». E non li ferma nemmeno l’essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati. Pietro e gli Apostoli annunciano con coraggio, con parresia, quello che hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù. E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio.
Ma facciamo un passo avanti: l’annuncio di Pietro e degli Apostoli non è fatto solo di parole, ma la fedeltà a Cristo tocca la loro vita, che viene cambiata, riceve una direzione nuova, ed è proprio con la loro vita che essi rendono testimonianza alla fede e all’annuncio di Cristo. Nel Vangelo, Gesù chiede a Pietro per tre volte di pascere il suo gregge e di pascerlo con il suo amore, e gli profetizza: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). E’ una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio? Certo la testimonianza della fede ha tante forme, come in un grande affresco c’è la varietà dei colori e delle sfumature; tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia. Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi "nascosti", una sorta di "classe media della santità", come diceva uno scrittore francese, quella "classe media della santità" di cui tutti possiamo fare parte. Ma in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli, a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue. Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente adesso un consiglio che san Francesco d’Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa.
Ma tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è possibile solo se siamo vicini a Lui, proprio come Pietro, Giovanni e gli altri discepoli nel brano del Vangelo di oggi sono attorno a Gesù Risorto; c’è una vicinanza quotidiana con Lui, ed essi sanno bene chi è, lo conoscono. L’Evangelista sottolinea che «nessuno osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). E questo è un punto importante per noi: vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita, così da riconoscerlo come "il Signore". Adorarlo! Il brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato ci parla dell’adorazione: le miriadi di angeli, tutte le creature, gli esseri viventi, gli anziani, si prostrano in adorazione davanti al Trono di Dio e all’Agnello immolato, che è Cristo, a cui va la lode, l’onore e la gloria (cfr Ap 5,11-14). Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.
Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita.
Cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo. Annunciare, testimoniare, adorare. La Beata Vergine Maria e l’Apostolo Paolo ci aiutino in questo cammino e intercedano per noi. Così sia.
[00505-01.02] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
Chers frères et sœurs !
C’est une joie pour moi de célébrer l’Eucharistie avec vous dans cette Basilique. Je salue l’Archiprêtre, le Cardinal James Harvey, et je le remercie pour les paroles qu’il m’a adressées ; je salue et remercie également les différentes institutions qui font partie de cette Basilique, ainsi que vous tous. Nous sommes sur la tombe de Saint Paul, un humble et grand Apôtre du Seigneur, qui l’a annoncé par la parole, lui a rendu témoignage par le martyre et l’a adoré de tout son cœur. Voilà justement les trois verbes sur lesquels je voudrais réfléchir à la lumière de la Parole de Dieu que nous avons écoutée : annoncer, témoigner, adorer.
Dans la première lecture, la force de Pierre et des autres Apôtres impressionne. À l’injonction de se taire, de ne plus enseigner au nom de Jésus, de ne plus annoncer son Message, ils répondent avec clarté : « Il faut obéir à Dieu plutôt qu’aux hommes ». Et le fait d’être flagellés, de subir des outrages et d’être emprisonnés ne les freine pas non plus. Pierre et les Apôtres annoncent avec courage, en toute vérité, ce qu’ils ont reçu, l’Évangile de Jésus. Et nous ? Sommes-nous capables de porter la Parole de Dieu dans nos milieux de vie ? Savons-nous parler du Christ, de ce qu’il représente pour nous, en famille, avec les personnes qui partagent notre vie quotidienne ? La foi naît de l’écoute, et se raffermit dans l’annonce.
Mais faisons un pas en avant : l’annonce de Pierre et des Apôtres n’est pas faite seulement de paroles, mais la fidélité au Christ touche leur vie, qui est changée, qui reçoit une nouvelle direction, et c’est justement par leur vie qu’ils rendent témoignage à la foi et à l’annonce du Christ. Dans l’Évangile, Jésus demande à Pierre par trois fois de paître son troupeau et de le paître par son amour, et il lui prophétise : « Quand tu seras vieux, tu étendras les mains, et c’est un autre qui te mettra ta ceinture, pour t’emmener là où tu ne voudrais pas aller » (Jn 21, 18). C’est une parole adressée surtout à nous Pasteurs : nous ne pouvons pas paître le troupeau de Dieu si nous n’acceptons pas d’être conduits par la volonté de Dieu là aussi où nous ne voudrions pas, si nous ne sommes pas prêts à témoigner du Christ par le don de nous-mêmes, sans réserve, sans calculs, quelquefois au prix de notre vie. Mais cela vaut pour tous : l’Évangile doit être annoncé et témoigné. Chacun de nous devrait se demander : Comment moi, je témoigne du Christ par ma foi ? Ai-je le courage de Pierre et des autres Apôtres de penser, de choisir et de vivre en chrétien, dans l’obéissance à Dieu ? Le témoignage de la foi a certainement plusieurs formes, comme dans une grande fresque, où il y a une variété de couleurs et de nuances ; toutes cependant sont importantes, mêmes celles qui n’apparaissent pas. Dans le grand dessein de Dieu, chaque détail est important, même ton témoignage et le mien, humbles et petits, même le témoignage caché de celui qui vit avec simplicité sa foi dans le quotidien des relations de famille, de travail, d’amitié. Il y a les saints de tous les jours, les saints « cachés », une sorte de « classe moyenne de la sainteté », comme le disait un auteur français, cette « classe moyenne de la sainteté » dont nous pouvons tous faire partie. Mais en diverses parties du monde, il y a aussi des personnes qui souffrent, comme Pierre et les Apôtres, à cause de l’Évangile ; il y a des personnes qui donnent leur vie pour rester fidèles au Christ par un témoignage marqué par le prix du sang. Souvenons-nous en bien tous : on ne peut pas annoncer l’Évangile de Jésus sans le témoignage concret de la vie. Qui nous écoute et nous voit doit pouvoir lire à travers nos actions ce qu’il écoute de notre bouche et rendre gloire à Dieu ! Me vient à l’esprit en ce moment un conseil que saint François d’Assise donnait à ses frères : prêchez l’Évangile et, si c’était nécessaire, aussi par les paroles. Prêcher par la vie : le témoignage. L’incohérence entre ce que disent les fidèles et les pasteurs, et ce qu’ils font, entre leur parole et leur façon de vivre mine la crédibilité de l’Église.
Mais tout cela est possible seulement si nous reconnaissons Jésus Christ, car c’est lui qui nous a appelés, qui nous a invités à parcourir son chemin, qui nous a choisis. Il est possible d’annoncer et de témoigner seulement si nous sommes proches de lui, exactement comme Pierre, Jean et les autres disciples, dans le passage de l’Évangile d’aujourd’hui, sont autour de Jésus ressuscité ; il y a une proximité quotidienne avec lui, et ils savent bien qui il est, ils le connaissent. L’évangéliste souligne que « personne n’osait lui demander : "qui es-tu ?" Ils savaient que c’était le Seigneur » (Jn 21, 12). Et c’est un point important pour nous : vivre une relation intense avec Jésus, une intimité de dialogue et de vie, pour ainsi le reconnaître comme "le Seigneur". L’adorer ! Le passage de l’Apocalypse que nous avons écouté nous parle de l’adoration : la multitude d’anges, toutes les créatures, les êtres vivants, les anciens, se prosternent en adoration devant le Trône de Dieu et l’Agneau immolé, qui est le Christ, à qui vont la louange, l’honneur et la gloire (cf. Ap 5, 11-14). Je voudrais que nous nous posions tous cette question : Toi, moi, adorons-nous le Seigneur ? Allons-nous à Dieu seulement pour demander, pour remercier, ou allons-nous à lui aussi pour l’adorer ? Que veut dire alors adorer Dieu ? Cela signifie apprendre à rester avec lui, à nous arrêter pour dialoguer avec lui, en sentant que sa présence est la plus vraie, la meilleure, la plus importante de toutes. Chacun de nous, dans sa propre vie, de manière inconsciente et peut-être parfois sans s’en rendre compte, a un ordre bien précis des choses qu’il retient plus ou moins importantes. Adorer le Seigneur veut dire lui donner la place qu’il doit avoir ; adorer le Seigneur veut dire affirmer, croire, non pas simplement en paroles, que lui seul guide vraiment notre vie ; adorer le Seigneur veut dire que devant lui nous sommes convaincus qu’il est le seul Dieu, le Dieu de notre vie, le Dieu de notre histoire.
Cela a une conséquence dans notre vie : se dépouiller de beaucoup d’idoles petites et grandes que nous avons, et dans lesquelles nous nous réfugions, dans lesquelles nous cherchons et plaçons bien des fois notre sécurité. Ce sont des idoles que nous tenons souvent cachées ; elles peuvent être l’ambition, le carriérisme, le goût du succès, le fait de se mettre soi-même au centre, la tendance à dominer les autres, la prétention d’être les seuls maîtres de notre vie, quelques péchés auxquels nous sommes attachés, et beaucoup d’autres. Ce soir, je voudrais qu’une question résonne dans le cœur de chacun de nous et que nous y répondions avec sincérité : ai-je pensé, moi, à cette idole cachée que j’ai dans ma vie et qui m’empêche d’adorer le Seigneur ? Adorer c’est se dépouiller de nos idoles mêmes les plus cachées, et choisir le Seigneur comme le centre, comme la voie royale de notre vie.
Chers frères et sœurs, le Seigneur nous appelle chaque jour à le suivre avec courage et fidélité ; il nous a fait le grand don de nous choisir comme ses disciples ; il nous invite à l’annoncer avec joie comme le Ressuscité, mais il nous demande de le faire par la parole et par le témoignage de notre vie, dans le quotidien. Le Seigneur est l’unique, l’unique Dieu de notre vie et il nous invite à nous dépouiller des nombreuses idoles et à l’adorer lui seul. Annoncer, témoigner, adorer. Puissent la Bienheureuse Vierge Marie et l’Apôtre Paul nous aider sur ce chemin et intercéder pour nous. Ainsi soit-il.
[00505-03.02] [Texte original: Italien]
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
Dear Brothers and Sisters!
It is a joy for me to celebrate Mass with you in this Basilica. I greet the Archpriest, Cardinal James Harvey, and I thank him for the words that he has addressed to me. Along with him, I greet and thank the various institutions that form part of this Basilica, and all of you. We are at the tomb of Saint Paul, a great yet humble Apostle of the Lord, who proclaimed him by word, bore witness to him by martyrdom and worshipped him with all his heart. These are the three key ideas on which I would like to reflect in the light of the word of God that we have heard: proclamation, witness, worship.
In the First Reading, what strikes us is the strength of Peter and the other Apostles. In response to the order to be silent, no longer to teach in the name of Jesus, no longer to proclaim his message, they respond clearly: "We must obey God, rather than men". And they remain undeterred even when flogged, ill-treated and imprisoned. Peter and the Apostles proclaim courageously, fearlessly, what they have received: the Gospel of Jesus. And we? Are we capable of bringing the word of God into the environment in which we live? Do we know how to speak of Christ, of what he represents for us, in our families, among the people who form part of our daily lives? Faith is born from listening, and is strengthened by proclamation.
But let us take a further step: the proclamation made by Peter and the Apostles does not merely consist of words: fidelity to Christ affects their whole lives, which are changed, given a new direction, and it is through their lives that they bear witness to the faith and to the proclamation of Christ. In today’s Gospel, Jesus asks Peter three times to feed his flock, to feed it with his love, and he prophesies to him: "When you are old, you will stretch out your hands, and another will gird you and carry you where you do not wish to go" (Jn 21:18). These words are addressed first and foremost to those of us who are pastors: we cannot feed God’s flock unless we let ourselves be carried by God’s will even where we would rather not go, unless we are prepared to bear witness to Christ with the gift of ourselves, unreservedly, not in a calculating way, sometimes even at the cost of our lives. But this also applies to everyone: we all have to proclaim and bear witness to the Gospel. We should all ask ourselves: How do I bear witness to Christ through my faith? Do I have the courage of Peter and the other Apostles, to think, to choose and to live as a Christian, obedient to God? To be sure, the testimony of faith comes in very many forms, just as in a great fresco, there is a variety of colours and shades; yet they are all important, even those which do not stand out. In God’s great plan, every detail is important, even yours, even my humble little witness, even the hidden witness of those who live their faith with simplicity in everyday family relationships, work relationships, friendships. There are the saints of every day, the "hidden" saints, a sort of "middle class of holiness", as a French author said, that "middle class of holiness" to which we can all belong. But in different parts of the world, there are also those who suffer, like Peter and the Apostles, on account of the Gospel; there are those who give their lives in order to remain faithful to Christ by means of a witness marked by the shedding of their blood. Let us all remember this: one cannot proclaim the Gospel of Jesus without the tangible witness of one’s life. Those who listen to us and observe us must be able to see in our actions what they hear from our lips, and so give glory to God! I am thinking now of some advice that Saint Francis of Assisi gave his brothers: preach the Gospel and, if necessary, use words. Preaching with your life, with your witness. Inconsistency on the part of pastors and the faithful between what they say and what they do, between word and manner of life, is undermining the Church’s credibility.
But all this is possible only if we recognize Jesus Christ, because it is he who has called us, he who has invited us to travel his path, he who has chosen us. Proclamation and witness are only possible if we are close to him, just as Peter, John and the other disciples in today’s Gospel passage were gathered around the Risen Jesus; there is a daily closeness to him: they know very well who he is, they know him. The Evangelist stresses the fact that "no one dared ask him: ‘Who are you?’ – they knew it was the Lord" (Jn 21:12). And this is important for us: living an intense relationship with Jesus, an intimacy of dialogue and of life, in such a way as to recognize him as "the Lord". Worshipping him! The passage that we heard from the Book of Revelation speaks to us of worship: the myriads of angels, all creatures, the living beings, the elders, prostrate themselves before the Throne of God and of the Lamb that was slain, namely Christ, to whom be praise, honour and glory (cf. Rev 5:11-14). I would like all of us to ask ourselves this question: You, I, do we worship the Lord? Do we turn to God only to ask him for things, to thank him, or do we also turn to him to worship him? What does it mean, then, to worship God? It means learning to be with him, it means that we stop trying to dialogue with him, and it means sensing that his presence is the most true, the most good, the most important thing of all. All of us, in our own lives, consciously and perhaps sometimes unconsciously, have a very clear order of priority concerning the things we consider important. Worshipping the Lord means giving him the place that he must have; worshipping the Lord means stating, believing – not only by our words – that he alone truly guides our lives; worshipping the Lord means that we are convinced before him that he is the only God, the God of our lives, the God of our history.
This has a consequence in our lives: we have to empty ourselves of the many small or great idols that we have and in which we take refuge, on which we often seek to base our security. They are idols that we sometimes keep well hidden; they can be ambition, careerism, a taste for success, placing ourselves at the centre, the tendency to dominate others, the claim to be the sole masters of our lives, some sins to which we are bound, and many others. This evening I would like a question to resound in the heart of each one of you, and I would like you to answer it honestly: Have I considered which idol lies hidden in my life that prevents me from worshipping the Lord? Worshipping is stripping ourselves of our idols, even the most hidden ones, and choosing the Lord as the centre, as the highway of our lives.
Dear brothers and sisters, each day the Lord calls us to follow him with courage and fidelity; he has made us the great gift of choosing us as his disciples; he invites us to proclaim him with joy as the Risen one, but he asks us to do so by word and by the witness of our lives, in daily life. The Lord is the only God of our lives, and he invites us to strip ourselves of our many idols and to worship him alone. To proclaim, to witness, to adore. May the Blessed Virgin Mary and Saint Paul help us on this journey and intercede for us. Amen.
[00505-02.02] [Original text: Italian]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
Liebe Brüder und Schwestern,
es ist mir eine Freude, in dieser Basilika mit euch die Eucharistie zu feiern. Ich grüße den Erzpriester, Kardinal James Harvey, und danke ihm für die Worte, die er an mich gerichtet hat; mit ihm begrüße ich dankbar die verschiedenen Institutionen, die zu dieser Basilika gehören, und euch alle. Wir befinden uns am Grab des heiligen Paulus, eines demütigen und großen Apostels des Herrn, der ihn mit dem Wort verkündet, mit dem Martyrium bezeugt und aus ganzem Herzen angebetet hat. Das sind genau die drei Verben, über die ich im Licht des Wortes Gottes, das wir gehört haben, nachdenken möchte: verkünden, bezeugen, anbeten.
In der ersten Lesung (vgl. Apg 5, 27b-32.40b-41) beeindruckt die Kraft von Petrus und den anderen Aposteln. Auf den Befehl zu schweigen, nicht mehr im Namen Jesu zu lehren, seine Botschaft nicht mehr zu verkünden, antworten sie in aller Deutlichkeit: „Man muss Gott mehr gehorchen als den Menschen" (V. 29). Und nicht einmal Geißelung, Schmähungen und Kerkerhaft halten sie auf. Petrus und die Apostel verkünden mutig und mit Freimut, was sie empfangen haben: das Evangelium Jesu. Und wir? Sind wir fähig, das Wort Gottes in unsere Lebensbereiche hineinzutragen? Verstehen wir es, in der Familie, mit den Menschen, die zu unserem Alltagsleben gehören, von Christus zu sprechen, davon, was er für uns bedeutet? Der Glaube kommt vom Hören und festigt sich in der Verkündigung.
Doch gehen wir einen Schritt weiter: Die Verkündigung des Petrus und der Apostel besteht nicht nur aus Worten, sondern die Treue zu Christus geht ihr Leben selbst an; es wird verändert, erhält eine neue Richtung, und gerade mit ihrem Leben geben sie für den Glauben und die Verkündigung Christi Zeugnis. Im Evangelium beauftragt Jesus den Petrus dreimal, seine Herde zu weiden, sie mit seiner Liebe zu weiden, und er weissagt ihm: „Wenn du aber alt geworden bist, wirst du deine Hände ausstrecken und ein anderer wird dich gürten und dich führen, wohin du nicht willst" (Joh 21,18). Das ist ein Wort, das vor allem an uns Hirten gerichtet ist: Man kann die Herde Gottes nicht weiden, wenn man nicht akzeptiert, vom Willen Gottes auch dahin geführt zu werden, wo man nicht will, wenn man nicht bereit ist, Christus mit der Hingabe des eigenen Selbst ohne Einschränkungen und ohne Berechnungen zu bezeugen, manchmal auch um den Preis des eigenen Lebens. Doch dies gilt für alle: Das Evangelium muss verkündet und bezeugt werden. Jeder müsste sich fragen: Wie bezeuge ich Christus mit meinem Glauben? Habe ich den Mut Petri und der anderen Apostel, als Christ zu denken, zu entscheiden und zu leben, indem ich Gott gehorche? Gewiss, das Zeugnis für den Glauben kennt viele Formen, wie es in einem großen Gemälde die Vielfalt der Farben und der Schattierungen gibt; aber alle sind wichtig, auch diejenigen, die nicht augenfällig sind. Im großen Plan Gottes ist jedes Detail wichtig, auch dein, auch mein kleines demütiges Zeugnis, auch das verborgene dessen, der in Einfachheit seinen Glauben im Alltag der Beziehungen in Familie, Arbeit und Freundschaft lebt. Es gibt die Heiligen des Alltags, die „verborgenen" Heiligen, eine Art „Mittelklasse der Heiligkeit" – wie ein französischer Autor gesagt hat –, diese „Mittelklasse der Heiligkeit", zu der wir alle gehören können. Doch in verschiedenen Teilen der Welt gibt es auch die, welche wie Petrus und die Apostel für das Evangeliums leiden; die ihr Leben hingeben, um Christus treu zu bleiben, und dieses Zeugnis mit ihrem Blut bezahlen. Erinnern wir uns alle gut daran: Man kann das Evangelium Jesu nicht ohne das konkrete Lebenszeugnis verkünden. Wer uns hört und uns sieht, muss in unserem Tun das lesen können, was er aus unserem Mund hört, und Gott die Ehre geben! Da kommt mir jetzt ein Rat in den Sinn, den der heilige Franziskus von Assisi seinen Mitbrüdern gab: „Verkündet das Evangelium und, sollte es nötig sein, auch mit Worten!" Verkünden mit dem Leben: Zeugnis geben. Die Inkohärenz der Gläubigen und der Hirten zwischen dem, was sie sagen, und dem, was sie tun, zwischen dem Wort und der Lebensweise untergräbt die Glaubwürdigkeit der Kirche.
Doch all das ist nur möglich, wenn wir Jesus Christus erkennen, denn er ist es, der uns gerufen hat, der uns eingeladen hat, seinen Weg zu gehen, der uns erwählt hat. Zu verkünden und zu bezeugen ist nur möglich, wenn wir ihm nahe sind, genauso wie Petrus, Johannes und die anderen Jünger im heutigen Evangelium (vgl. Joh 21,1-19) sich um den auferstandenen Jesus scharen; es gibt eine alltägliche Nähe zu ihm, und sie wissen genau, wer er ist, sie kennen ihn. Der Evangelist betont, dass »keiner von den Jüngern wagte ihn zu fragen: Wer bist du? Denn sie wussten, dass es der Herr war« (Joh 21,12). Und das ist ein wichtiger Punkt für uns: eine intensive Beziehung zu Jesus zu leben, eine Vertrautheit im Gespräch und im Leben, so dass man ihn als „den Herrn" erkennt – ihn anbetet. Der Abschnitt aus der Offenbarung des Johannes, den wir gehört haben, spricht uns von der Anbetung: Die zehntausendmal zehntausend und tausendmal tausend Engel, alle Geschöpfe, die Lebewesen und die Ältesten fallen anbetend nieder vor dem Thron Gottes und vor dem geopferten Lamm Christus, dem Lob, Ehre und Herrlichkeit gebührt (vgl. Offb 5,11-14). Ich möchte, dass wir alle uns eine Frage stellen: Du, ich, beten wir den Herrn an? Gehen wir zu Gott nur um zu bitten, zu danken, oder gehen wir auch zu ihm, um ihn anzubeten? Was bedeutet denn, Gott anzubeten? Es bedeutet zu lernen, wie wir bei ihm verweilen und innehalten können, um mit ihm zu sprechen und dabei zu spüren, dass seine Gegenwart die wahrste, beste und wichtigste aller ist. Jeder von uns hat in seinem Leben bewusst und vielleicht manchmal unbewusst eine ganz genaue Reihenfolge der Dinge, die er für mehr oder weniger wichtig hält. Den Herrn anzubeten bedeutet, ihm den Platz zu geben, der ihm gebührt. Den Herrn anzubeten bedeutet, zu sagen und zu glauben – aber nicht nur mit Worten –, dass er allein wirklich unser Leben lenkt. Den Herrn anzubeten bedeutet, dass wir vor ihm die Überzeugung gewinnen, dass er der einzige Gott, der Gott unseres Lebens, der Gottunserer Geschichte ist.
Das hat eine Konsequenz in unserem Leben: uns der vielen kleinen und großen Götzen zu entäußern, die wir haben und zu denen wir Zuflucht nehmen, in denen wir unsere Sicherheit suchen und diese häufig auf sie setzen. Es sind Götzen, die wir oft gut versteckt halten; es kann Ehrgeiz sein, Karrieremacherei, Freude am Erfolg, sich selbst ins Zentrum zu setzen, die Neigung, sich gegen andere durchzusetzen, die Anmaßung, die einzigen Herren unseres Lebens zu sein, irgendeine Sünde, an der wir hängen, und vieles andere. Heute Abend möchte ich, dass eine Frage im Herzen eines jeden von uns aufsteige und dass wir sie ehrlich beantworten: Habe ich darüber nachgedacht, welchen verborgenen Götzen ich in meinem Leben habe, der mich daran hindert, den Herrn anzubeten? Anbeten bedeutet, uns unserer Götzen zu entäußern, auch der heimlichsten, und den Herrn als Mitte, als den Leitweg unseres Lebens zu wählen. Liebe Brüder und Schwestern, der Herr ruft uns jeden Tag, ihm mutig und treu zu folgen. Er hat uns das große Geschenk gemacht, uns als seine Jünger zu erwählen; er sendet uns, ihn freudig als den Auferstandenen zu verkünden, doch er verlangt von uns, das durch das Wort und durch das Zeugnis unseres Lebens zu tun, im Alltag. Der Herr ist der Eine, der einzige Gott unseres Lebens, und er lädt uns ein, uns unserer vielen Götzen zu entäußern und ihn allein anzubeten. Verkünden, bezeugen, anbeten. Die selige Jungfrau Maria und der Apostel Paulus mögen uns auf diesem Weg helfen und für uns Fürbitte einlegen. So sei es.
[00505-05.02] [Originalsprache: Italienisch]
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
Queridos Hermanos y Hermanas:
Me alegra celebrar la Eucaristía con ustedes en esta Basílica. Saludo al Arcipreste, el Cardenal James Harvey, y le agradezco las palabras que me ha dirigido; junto a él, saludo y doy las gracias a las diversas instituciones que forman parte de esta Basílica, y a todos vosotros. Estamos sobre la tumba de san Pablo, un humilde y gran Apóstol del Señor, que lo ha anunciado con la palabra, ha dado testimonio de él con el martirio y lo ha adorado con todo el corazón. Estos son precisamente los tres verbos sobre los que quisiera reflexionar a la luz de la Palabra de Dios que hemos escuchado: anunciar, dar testimonio, adorar.
En la Primera Lectura llama la atención la fuerza de Pedro y los demás Apóstoles. Al mandato de permanecer en silencio, de no seguir enseñando en el nombre de Jesús, de no anunciar más su mensaje, ellos responden claramente: «Hay que obedecer a Dios antes que a los hombres». Y no los detiene ni siquiera el ser azotados, ultrajados y encarcelados. Pedro y los Apóstoles anuncian con audacia, con parresia, aquello que han recibido, el Evangelio de Jesús. Y nosotros, ¿somos capaces de llevar la Palabra de Dios a nuestros ambientes de vida? ¿Sabemos hablar de Cristo, de lo que representa para nosotros, en familia, con los que forman parte de nuestra vida cotidiana? La fe nace de la escucha, y se refuerza con el anuncio.
Pero demos un paso más: el anuncio de Pedro y de los Apóstoles no consiste sólo en palabras, sino que la fidelidad a Cristo entra en su vida, que queda transformada, recibe una nueva dirección, y es precisamente con su vida con la que dan testimonio de la fe y del anuncio de Cristo. En el Evangelio, Jesús pide a Pedro por tres veces que apaciente su grey, y que la apaciente con su amor, y le anuncia: «Cuando seas viejo, extenderás las manos, otro te ceñirá y te llevará adonde no quieras» (Jn 21,18). Esta es una palabra dirigida a nosotros, los Pastores: no se puede apacentar el rebaño de Dios si no se acepta ser llevados por la voluntad de Dios incluso donde no queremos, si no hay disponibilidad para dar testimonio de Cristo con la entrega de nosotros mismos, sin reservas, sin cálculos, a veces a costa incluso de nuestra vida. Pero esto vale para todos: el Evangelio ha de ser anunciado y testimoniado. Cada uno debería preguntarse: ¿Cómo doy yo testimonio de Cristo con mi fe? ¿Tengo el valor de Pedro y los otros Apóstoles de pensar, decidir y vivir como cristiano, obedeciendo a Dios? Es verdad que el testimonio de la fe tiene muchas formas, como en un gran mural hay variedad de colores y de matices; pero todos son importantes, incluso los que no destacan. En el gran designio de Dios, cada detalle es importante, también el pequeño y humilde testimonio tuyo y mío, también ese escondido de quien vive con sencillez su fe en lo cotidiano de las relaciones de familia, de trabajo, de amistad. Hay santos del cada día, los santos «ocultos», una especie de «clase media de la santidad», como decía un escritor francés, esa «clase media de la santidad» de la que todos podemos formar parte. Pero en diversas partes del mundo hay también quien sufre, como Pedro y los Apóstoles, a causa del Evangelio; hay quien entrega la propia vida por permanecer fiel a Cristo, con un testimonio marcado con el precio de su sangre. Recordémoslo bien todos: no se puede anunciar el Evangelio de Jesús sin el testimonio concreto de la vida. Quien nos escucha y nos ve, debe poder leer en nuestros actos eso mismo que oye en nuestros labios, y dar gloria a Dios. Me viene ahora a la memoria un consejo que San Francisco de Asís daba a sus hermanos: predicad el Evangelio y, si fuese necesario, también con las palabras. Predicar con la vida: el testimonio. La incoherencia de los fieles y los Pastores entre lo que dicen y lo que hacen, entre la palabra y el modo de vivir, mina la credibilidad de la Iglesia.
Pero todo esto solamente es posible si reconocemos a Jesucristo, porque es él quien nos ha llamado, nos ha invitado a recorrer su camino, nos ha elegido. Anunciar y dar testimonio es posible únicamente si estamos junto a él, justamente como Pedro, Juan y los otros discípulos estaban en torno a Jesús resucitado, como dice el pasaje del Evangelio de hoy; hay una cercanía cotidiana con él, y ellos saben muy bien quién es, lo conocen. El Evangelista subraya que «ninguno de los discípulos se atrevía a preguntarle quién era, porque sabían bien que era el Señor» (Jn 21,12). Y esto es un punto importante para nosotros: vivir una relación intensa con Jesús, una intimidad de diálogo y de vida, de tal manera que lo reconozcamos como «el Señor». ¡Adorarlo! El pasaje del Apocalipsis que hemos escuchado nos habla de la adoración: miríadas de ángeles, todas las creaturas, los vivientes, los ancianos, se postran en adoración ante el Trono de Dios y el Cordero inmolado, que es Cristo, a quien se debe alabanza, honor y gloria (cf. Ap 5,11-14). Quisiera que nos hiciéramos todos una pregunta: Tú, yo, ¿adoramos al Señor? ¿Acudimos a Dios sólo para pedir, para agradecer, o nos dirigimos a él también para adorarlo? Pero, entonces, ¿qué quiere decir adorar a Dios? Significa aprender a estar con él, a pararse a dialogar con él, sintiendo que su presencia es la más verdadera, la más buena, la más importante de todas. Cada uno de nosotros, en la propia vida, de manera consciente y tal vez a veces sin darse cuenta, tiene un orden muy preciso de las cosas consideradas más o menos importantes. Adorar al Señor quiere decir darle a él el lugar que le corresponde; adorar al Señor quiere decir afirmar, creer – pero no simplemente de palabra – que únicamente él guía verdaderamente nuestra vida; adorar al Señor quiere decir que estamos convencidos ante él de que es el único Dios, el Dios de nuestra vida, el Dios de nuestra historia.
Esto tiene una consecuencia en nuestra vida: despojarnos de tantos ídolos, pequeños o grandes, que tenemos, y en los cuales nos refugiamos, en los cuales buscamos y tantas veces ponemos nuestra seguridad. Son ídolos que a menudo mantenemos bien escondidos; pueden ser la ambición, el carrerismo, el gusto del éxito, el poner en el centro a uno mismo, la tendencia a estar por encima de los otros, la pretensión de ser los únicos amos de nuestra vida, algún pecado al que estamos apegados, y muchos otros. Esta tarde quisiera que resonase una pregunta en el corazón de cada uno, y que respondiéramos a ella con sinceridad: ¿He pensado en qué ídolo oculto tengo en mi vida que me impide adorar al Señor? Adorar es despojarse de nuestros ídolos, también de esos más recónditos, y escoger al Señor como centro, como vía maestra de nuestra vida.
Queridos hermanos y hermanas, el Señor nos llama cada día a seguirlo con valentía y fidelidad; nos ha concedido el gran don de elegirnos como discípulos suyos; nos invita a proclamarlo con gozo como el Resucitado, pero nos pide que lo hagamos con la palabra y el testimonio de nuestra vida en lo cotidiano. El Señor es el único, el único Dios de nuestra vida, y nos invita a despojarnos de tantos ídolos y a adorarle sólo a él. Anunciar, dar testimonio, adorar. Que la Santísima Virgen María y el Apóstol Pablo nos ayuden en este camino, e intercedan por nosotros. Así sea.
[00505-04.02] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
Amados irmãos e irmãs!
É uma alegria para mim celebrar a Eucaristia convosco nesta Basílica. Saúdo o Arcipreste, Cardeal James Harvey, e agradeço-lhe as palavras que me dirigiu; juntamente com ele, saúdo e agradeço às várias Instituições, que fazem parte desta Basílica, e a todos vós. Encontramo-nos sobre o túmulo de São Paulo, um Apóstolo humilde e grande do Senhor, que O anunciou com a palavra, testemunhou com o martírio e adorou com todo o coração. É precisamente sobre estes três verbos que queria reflectir à luz da Palavra de Deus que escutámos: anunciar, testemunhar, adorar.
Na primeira Leitura, impressiona a força de Pedro e dos outros Apóstolos. À ordem de não falar nem ensinar no nome de Jesus, de não anunciar mais a sua Mensagem, respondem com clareza: «Importa mais obedecer a Deus do que aos homens». E nem o facto de serem flagelados, ultrajados, encarcerados os deteve. Pedro e os Apóstolos anunciam, com coragem e desassombro, aquilo que receberam: o Evangelho de Jesus. E nós? Somos nós capazes de levar a Palavra de Deus aos nossos ambientes de vida? Sabemos falar de Cristo, do que Ele significa para nós, em família, com as pessoas que fazem parte da nossa vida diária? A fé nasce da escuta, e fortalece-se no anúncio.
Mas, façamos mais um passo: o anúncio de Pedro e dos Apóstolos não é feito apenas com palavras, mas a fidelidade a Cristo toca a sua vida, que se modifica, recebe uma nova direcção, e é precisamente com a sua vida que dão testemunho da fé e anunciam Cristo. No Evangelho, Jesus pede por três vezes a Pedro que apascente o seu rebanho, e o faça com todo o seu amor, profetizando-lhe: «Quando fores velho, estenderás as mãos e outro te há-de atar o cinto e levará para onde não queres» (Jo 21, 18). Trata-se de uma palavra dirigida primariamente a nós, Pastores: não se pode apascentar o rebanho de Deus, se não se aceita ser conduzido pela vontade de Deus mesmo para onde não queremos, se não estamos prontos a testemunhar Cristo com o dom de nós mesmos, sem reservas nem cálculos, por vezes à custa da nossa própria vida. Mas isto vale para todos: tem-se de anunciar e testemunhar o Evangelho. Cada um deveria interrogar-se: Como testemunho Cristo com a minha fé? Tenho a coragem de Pedro e dos outros Apóstolos para pensar, decidir e viver como cristão, obedecendo a Deus? É certo que o testemunho da fé se reveste de muitas formas, como sucede num grande afresco que apresenta uma grande variedade de cores e tonalidades; todas, porém, são importantes, mesmo aquelas que não sobressaem. No grande desígnio de Deus, cada detalhe é importante, incluindo o teu, o meu pequeno e humilde testemunho, mesmo o testemunho oculto de quem vive a sua fé, com simplicidade, nas suas relações diárias de família, de trabalho, de amizade. Existem os santos de todos os dias, os santos «escondidos», uma espécie de «classe média da santidade» – como dizia um escritor francês –, aquela «classe média da santidade» da qual todos podemos fazer parte. Mas há também, em diversas partes do mundo, quem sofra – como Pedro e os Apóstolos – por causa do Evangelho; há quem dê a própria vida para permanecer fiel a Cristo, com um testemunho que lhe custa o preço do sangue. Recordemo-lo bem todos nós: não se pode anunciar o Evangelho de Jesus sem o testemunho concreto da vida. Quem nos ouve e vê, deve poder ler nas nossas acções aquilo que ouve da nossa boca, e dar glória a Deus! Isto traz-me à mente um conselho que São Francisco de Assis dava aos seus irmãos: Pregai o Evangelho; caso seja necessário, mesmo com as palavras. Pregar com a vida: o testemunho. A incoerência dos fiéis e dos Pastores entre aquilo que dizem e o que fazem, entre a palavra e a maneira de viver mina a credibilidade da Igreja.
Mas tudo isto só é possível, se reconhecermos Jesus Cristo; pois foi Ele que nos chamou, nos convidou a seguir o seu caminho, nos escolheu. Só é possível anunciar e dar testemunho, se estivermos unidos a Ele, precisamente como, no texto do Evangelho de hoje, estão ao redor de Jesus ressuscitado Pedro, João e os outros discípulos; vivem uma intimidade diária com Ele, pelo que sabem bem quem é, conhecem-No. O Evangelista sublinha que «nenhum dos discípulos se atrevia a perguntar-Lhe: "Quem és tu?", porque bem sabiam que era o Senhor» (Jo 21, 12). Está aqui um dado importante para nós: temos de viver num relacionamento intenso com Jesus, numa intimidade tal, feita de diálogo e de vida, que O reconheçamos como «o Senhor». Adorá-Lo! A passagem que ouvimos do Apocalipse, fala-nos da adoração: as miríades de anjos, todas as criaturas, os seres vivos, os anciãos prostram-se em adoração diante do trono de Deus e do Cordeiro imolado, que é Cristo e para quem é dirigido o louvor, a honra e a glória (cf. Ap 5, 11-14). Gostaria que todos se interrogassem: Tu, eu, adoramos o Senhor? Vamos ter com Deus só para pedir, para agradecer, ou vamos até Ele também para O adorar? Mas então que significa adorar a Deus? Significa aprender a estar com Ele, demorar-se em diálogo com Ele, sentindo a sua presença como a mais verdadeira, a melhor, a mais importante de todas. Cada um de nós possui na própria vida, de forma mais ou menos consciente, uma ordem bem definida das coisas que são consideradas mais ou menos importantes. Adorar o Senhor quer dizer dar-Lhe o lugar que Ele deve ter; adorar o Senhor significa afirmar, crer – e não apenas por palavras – que Ele é o único que guia verdadeiramente a nossa vida; adorar o Senhor quer dizer que vivemos na sua presença convencidos de que é o único Deus, o Deus da nossa vida, o Deus da nossa história.
Daqui deriva uma consequência para a nossa vida: despojar-nos dos numerosos ídolos, pequenos ou grandes, que temos e nos quais nos refugiamos, nos quais buscamos e muitas vezes depomos a nossa segurança. São ídolos que frequentemente conservamos bem escondidos; podem ser a ambição, o carreirismo, o gosto do sucesso, o sobressair, a tendência a prevalecer sobre os outros, a pretensão de ser os únicos senhores da nossa vida, qualquer pecado ao qual estamos presos, e muitos outros. Há uma pergunta que eu queria que ressoasse, esta tarde, no coração de cada um de nós e que lhe respondêssemos com sinceridade: Já pensei qual possa ser o ídolo escondido na minha vida que me impede de adorar o Senhor? Adorar é despojarmo-nos dos nossos ídolos, mesmo os mais escondidos, e escolher o Senhor como centro, como via mestra da nossa vida.
Amados irmãos e irmãs, todos os dias o Senhor nos chama a segui-Lo corajosa e fielmente; fez-nos o grande dom de nos escolher como seus discípulos; convida-nos a anunciá-Lo jubilosamente como o Ressuscitado, mas pede-nos para o fazermos, no dia a dia, com a palavra e o testemunho da nossa vida. O Senhor é o único, o único Deus da nossa vida e convida-nos a despojar-nos dos numerosos ídolos e a adorar só a Ele. Anunciar, testemunhar, adorar. Que a bem-aventurada Virgem Maria e o apóstolo Paulo nos ajudem neste caminho e intercedam por nós. Assim seja.
[00505-06.02] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
Drodzy Bracia i Siostry!
Z radością sprawuję z wami Eucharystię w tej bazylice. Witam archiprezbitera kard. Jamesa Harveya i dziękuję mu za skierowane do mnie słowa. Witam także różne instytucje, związane z tą bazyliką i im dziękuję, oraz was wszystkich. Znajdujemy się przy grobie św. Pawła, pokornego i wielkiego apostoła Pana, który głosił Go słowem, zaświadczył o Nim swym męczeństwem i czcił Go całym sercem. Właśnie te trzy czasowniki chciałbym rozważyć w świetle Słowa Bożego, którego wysłuchaliśmy: głosić, świadczyć, czcić.
W pierwszym czytaniu uderza siła Piotra i innych apostołów. Na polecenie, aby milczeć, aby nie nauczać więcej w imię Jezusa, aby zaprzestać głoszenia Jego orędzia, jasno odpowiadają: „Trzeba bardziej słuchać Boga niż ludzi". Nie powstrzymuje ich nawet chłosta, obelgi, uwięzienie. Piotr i apostołowie głoszą mężnie, otwarcie to, co zostało im przekazane – Ewangelię Jezusa. A my? Czy potrafimy nieść Słowo Boże w środowiska, w których żyjemy? Czy umiemy mówić o Chrystusie, o tym, czym jest On dla nas, w rodzinie, osobom, z którymi mamy do czynienia w naszym codziennym życiu? Wiara rodzi się ze słuchania, a umacnia się przez głoszenie.
Pójdźmy jednak krok dalej: na przepowiadanie Piotra i apostołów składają się nie tylko słowa, lecz także wierność Chrystusowi wpływa na ich życie, które ulega zmianie, zyskuje nowe ukierunkowanie, i to właśnie przez swoje życie składają oni świadectwo o wierze i przepowiadaniu Chrystusa. W Ewangelii Jezus trzykrotnie prosi Piotra, aby pasł Jego owczarnię, i to pasł ją z Jego miłością, i przepowiada mu: „Gdy się zestarzejesz, wyciągniesz ręce swoje, a inny cię opasze i poprowadzi, dokąd nie chcesz" (J 21, 18). Są to słowa skierowane przede wszystkim do nas, pasterzy: nie można paść Bożej owczarni, jeśli nie godzimy się, by wola Boża poprowadziła nas także tam, gdzie nie chcielibyśmy iść, jeśli nie jesteśmy gotowi do dawania świadectwa o Chrystusie poprzez dar z siebie, bez zastrzeżeń, bez wyrachowania, czasem nawet za cenę własnego życia. Ale odnosi się to do wszystkich: Ewangelię trzeba głosić i dawać o niej świadectwo. Każdy powinien postawić sobie pytanie: Jak ja moją wiarą świadczę o Chrystusie? Czy mam odwagę Piotra i innych apostołów, aby myśleć, wybierać i żyć po chrześcijańsku, będąc posłusznym Bogu? Oczywiście świadectwo wiary ma wiele form, podobnie jak w wielkim fresku jest różnorodność barw i odcieni, ale wszystkie są ważne, nawet te, które nie dominują. W wielkim planie Bożym każdy szczegół jest ważny, także twoje czy moje niepozorne i pokorne świadectwo, także to ukryte, kogoś, kto z prostotą żyje swoją wiarą w codziennych relacjach rodzinnych, pracy, przyjaźni. Są święci dnia powszedniego, „święci ukryci", swego rodzaju „średnia klasa świętości", jak mówił pewien francuski pisarz, ta „średnia klasa świętości", do której wszyscy możemy należeć. Ale w różnych częściach świata są też ludzie cierpiący z powodu Ewangelii, podobnie jak Piotr i apostołowie; są ludzie, którzy oddają swoje życie, aby dochować wierności Chrystusowi, dając świadectwo za cenę krwi. Dobrze to wszyscy zapamiętajmy: nie można głosić Ewangelii Jezusa, nie dając konkretnego świadectwa życia. Ten, kto nas słucha i na nas patrzy, powinien móc odczytać w naszych działaniach to, co słyszy z naszych ust, i wielbić Boga! Przychodzi mi teraz na myśl rada, jakiej św. Franciszek z Asyżu udzielał swoim braciom: głoście Ewangelię, jeśli trzeba, również słowami. Głosić życiem, świadectwem. Brak spójności u wiernych i pasterzy między tym, co mówią, a tym, co czynią, między słowami a sposobem życia podważa wiarygodność Kościoła.
Ale to wszystko jest możliwe tylko wtedy, jeśli uznajemy Jezusa Chrystusa, gdyż to On nas powołał i zaprosił, byśmy szli Jego drogą – wybrał nas. Głoszenie i dawanie świadectwa jest możliwe tylko wówczas, gdy jesteśmy blisko Niego, właśnie tak, jak w dzisiejszym fragmencie Ewangelii są przy zmartwychwstałym Jezusie Piotr, Jan i inni uczniowie. Jest to codzienna bliskość z Nim, i oni dobrze wiedzą, kim On jest, znają Go. Ewangelista podkreśla, że „żaden z uczniów nie odważył się zadać Mu pytania: «Kto Ty jesteś?», bo wiedzieli, że to jest Pan" (J 21, 12). Jest to dla nas ważna sprawa: trwać wintensywnej relacji z Jezusem, w głębokim dialogu i życiu, aby Go uznać za „Pana". Wielbić Go! Usłyszany przez nas fragment z Apokalipsy mówi o adoracji: miriady aniołów, wszystkie stworzenia, istoty żyjące, starcy upadli i oddali pokłon przed tronem Boga i Baranka zabitego, którym jest Chrystus, któremu należy się błogosławieństwo i cześć, i chwała (por. Ap 5, 11-14). Chciałbym, abyśmy wszyscy postawili sobie pytanie: czy ty, czy ja czcimy Pana? Zwracamy się do Boga tylko, aby prosić, dziękować, czy też idziemy do Niego także, aby Go adorować? Cóż zatem oznacza adorować Boga? Oznacza to uczyć się przebywania z Nim, zatrzymywania się, aby z Nim porozmawiać, czując, że Jego obecność jest najprawdziwsza, najlepsza, najważniejsza ze wszystkich. Każdy z nas ma w swoim życiu – w sposób świadomy, a może czasem nie zdając sobie z tego sprawy – dobrze określony porządek rzeczy, które uważa za bardziej lub mniej ważne. Adorować Pana oznacza przyznać Mu miejsce, które Mu się należy. Adorować Pana oznacza wyznawać, wierzyć – jednak nie tylko samymi słowami – że tylko On naprawdę kieruje naszym życiem. Adorować Pana oznacza, że wobec Niego jesteśmy przekonani, że jest On jedynym Bogiem, Bogiem naszego życia, Bogiem naszej historii.
Ma to konsekwencje w naszym życiu: wyzbycie się tak wielu małych i wielkich bożków, które mamy i do których się uciekamy, u których szukamy naszego bezpieczeństwa i w których często je pokładamy. Są to bożki, które często dobrze ukrywamy. Może to być ambicja, karierowiczostwo, pragnienie sukcesu, stawianie siebie w centrum, skłonność do dominowania nad innymi, roszczenie, by być wyłącznymi panami naszego życia, jakiś grzech, do którego jesteśmy przywiązani, i wiele innych. Dziś wieczorem chciałbym, aby w sercu każdego z nas zabrzmiało pytanie i abyśmy na nie szczerze odpowiedzieli: czy pomyślałem, co jest ukrytym bożkiem w moim życiu, który przeszkadza mi w adorowaniu Pana? Adorować to znaczy wyzbyć się naszych bożków, także tych najbardziej ukrytych, i wybrać Pana jako centrum, jako główną drogę naszego życia.
Drodzy bracia i siostry, Pan każdego dnia wzywa nas, byśmy szli za Nim odważnie i wiernie. Obdarzył nas wielkim darem, wybierając nas na swoich uczniów. Zachęca nas, byśmy Go z radością głosili jako Zmartwychwstałego, a chce, abyśmy to czynili słowem i świadectwem naszego życia, w codzienności. Pan jest jeden, jest jedynym Bogiem naszego życia i wzywa nas, byśmy wyzbyli się licznych bożków i czcili tylko Jego. Głosić, świadczyć, czcić. Niech Najświętsza Maryja Panna i apostoł Paweł pomagają nam w tej drodze i niech wstawiają się za nami. Niech się tak stanie!
[00505-09.02] [Testo originale: Italiano]
[B0225-XX.02]