CELEBRAZIONE EUCARISTICA E INSEDIAMENTO SULLA CATHEDRA ROMANA DEL VESCOVO DI ROMA FRANCESCO ● OMELIA DEL SANTO PADRE
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
Questo pomeriggio, II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia), nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione dell’insediamento sulla Cattedra di Vescovo di Roma.
Il Santo Padre è giunto in auto alle 17.00 davanti al Palazzo del Vicariato, dove è stato accolto dal Card. Agostino Vallini, dal Sindaco di Roma, On. Giovanni Alemanno, e da due assessori del Comune. Sulla facciata del Palazzo ha scoperto una targa toponomastica "Largo Beato Giovanni Paolo II - Pontefice dal 1978 al 2005", nuovo nome della porzione di Piazza S. Giovanni in Laterano prospicente l’ingresso del Vicariato.
In jeep ha raggiunto, quindi, il sagrato della Basilica, al cui ingresso è stato accolto dai canonici.
Alle 17.30 hanno concelebrato con il Santo Padre gli Em.mi Cardinali Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la diocesi di Roma e Arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano e Camillo Ruini, Vicario Generale emerito di Sua Santità per la diocesi di Roma, i Membri del Collegio Episcopale e i Parroci Prefetti.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre Francesco si è affacciato alla Loggia della Basilica Lateranense e ha rivolto ai fedeli presenti in piazza alcune parole di saluto.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Santa Messa:
● OMELIA DEL SANTO PADRE
Con gioia celebro per la prima volta l’Eucaristia in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto: il carissimo Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, il Presbiterio diocesano, i Diaconi, le Religiose e i Religiosi e tutti i fedeli laici. Porgo anche i miei saluti al Signor Sindaco e a sua moglie e a tutte le Autorità. Camminiamo insieme nella luce del Signore Risorto.
Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua, denominata anche «della Divina Misericordia». Com’è bella questa realtà della fede per la nostra vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida.
Nel Vangelo di oggi, l’apostolo Tommaso fa esperienza proprio della misericordia di Dio, che ha un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto. Tommaso non si fida di ciò che gli dicono gli altri Apostoli: «Abbiamo visto il Signore»; non gli basta la promessa di Gesù, che aveva annunciato: il terzo giorno risorgerò. Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato. E qual è la reazione di Gesù? La pazienza: Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità; gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende. E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. «Mio Signore e mio Dio»: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo, ma credente.
E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù proprio quando doveva essergli più vicino; e quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio!
Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada, e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si ferma a condividere con loro il pasto. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci.
A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso, mi fa impressione perché mi dà sempre una grande speranza. Pensate a quel figlio minore che era nella casa del Padre, era amato; eppure vuole la sua parte di eredità; se ne va via, spende tutto, arriva al livello più basso, più lontano dal Padre; e quando ha toccato il fondo, sente la nostalgia del calore della casa paterna e ritorna. E il Padre? Aveva dimenticato il figlio? No, mai. È lì, lo vede da lontano, lo stava aspettando ogni giorno, ogni momento: è sempre stato nel suo cuore come figlio, anche se lo aveva lasciato, anche se aveva sperperato tutto il patrimonio, cioè la sua libertà; il Padre con pazienza e amore, con speranza e misericordia non aveva smesso un attimo di pensare a lui, e appena lo vede ancora lontano gli corre incontro e lo abbraccia con tenerezza, la tenerezza di Dio, senza una parola di rimprovero: è tornato! E quella è la gioia del padre. In quell’abbraccio al figlio c’è tutta questa gioia: è tornato! Dio sempre ci aspetta, non si stanca. Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa di Dio perché ritroviamo fiducia, speranza, sempre! Un grande teologo tedesco, Romano Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della nostra speranza (cfr Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, p. 28). E’ come un dialogo fra la nostra debolezza e la pazienza di Dio, è un dialogo che se noi lo facciamo, ci dà speranza.
Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Gesù invita Tommaso a mettere la mano nelle sue piaghe delle mani e dei piedi e nella ferita del costato. Anche noi possiamo entrare nelle piaghe di Gesù, possiamo toccarlo realmente; e questo accade ogni volta che riceviamo con fede i Sacramenti. San Bernardo in una bella Omelia dice: «Attraverso … le ferite [di Gesù] io posso succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia (cfr Dt 32,13), cioè gustare e sperimentare quanto è buono il Signore» (Sul Cantico dei Cantici 61, 4). È proprio nelle ferite di Gesù che noi siamo sicuri, lì si manifesta l’amore immenso del suo cuore. Tommaso lo aveva capito. San Bernardo si domanda: ma su che cosa posso contare? Sui miei meriti? Ma «mio merito è la misericordia di Dio. Non sono certamente povero di meriti finché lui sarà ricco di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, io pure abbonderò nei meriti» (ivi, 5). Questo è importante: il coraggio di affidarmi alla misericordia di Gesù, di confidare nella sua pazienza, di rifugiarmi sempre nelle ferite del suo amore. San Bernardo arriva ad affermare: «Ma che dire se la coscienza mi morde per i molti peccati? "Dove è abbondato il peccato è sovrabbondata la grazia" (Rm 5,20)» (ibid.). Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui. Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l’invito che ho sempre fatto è: «Non temere, va’ da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto». Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di Dio, la sua è una carezza di amore. Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore.
Adamo dopo il peccato prova vergogna, si sente nudo, sente il peso di quello che ha fatto; eppure Dio non abbandona: se in quel momento inizia l’esilio da Dio, con il peccato, c’è già la promessa del ritorno, la possibilità di ritornare a Lui. Dio chiede subito: «Adamo, dove sei?», lo cerca. Gesù è diventato nudo per noi, si è caricato della vergogna di Adamo, della nudità del suo peccato per lavare il nostro peccato: dalle sue piaghe siamo stati guariti. Ricordatevi quello di san Paolo: di che cosa mi vanterò se non della mia debolezza, della mia povertà? Proprio nel sentire il mio peccato, nel guardare il mio peccato io posso vedere e incontrare la misericordia di Dio, il suo amore e andare da Lui per ricevere il perdono.
Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l’ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato.
Cari fratelli e sorelle, lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, tanto bella,sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore.
* * *
Dalla Loggia della Basilica, al termine della Celebrazione Eucaristica:
Fratelli e sorelle, buonasera!
Vi ringrazio tanto per la vostra compagnia nella Messa di oggi. Grazie tante! Vi chiedo di pregare per me, ne ho bisogno. Non vi dimenticate di questo. Grazie a tutti voi!
E andiamo avanti tutti insieme, il popolo e il Vescovo, tutti insieme; avanti sempre con la gioia della Risurrezione di Gesù; Lui sempre è al nostro fianco.
Che il Signore vi benedica!
Grazie tante! A presto!
[00460-01.02] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
Avec joie je célèbre pour la première fois l’Eucharistie dans cette Basilique du Latran, Cathédrale de l’Évêque de Rome. Je vous salue tous avec grande affection : le très cher Cardinal Vicaire, les évêques auxiliaires, le clergé diocésain, les diacres, les religieuses et les religieux et tous les fidèles laïcs. J’adresse également mes salutations à Monsieur le Maire et à son épouse, ainsi qu’à toutes les Autorités. Marchons ensemble dans la lumière du Seigneur Ressuscité.
Nous célébrons aujourd’hui le deuxième dimanche de Pâques, appelé aussi « de la Divine Miséricorde ». Qu’elle est belle, cette réalité de la foi pour notre vie : la miséricorde de Dieu ! Un amour aussi grand, aussi profond, celui de Dieu pour nous, un amour qui ne fait pas défaut, qui nous saisit toujours par la main et nous soutient, nous relève, nous guide.
Dans l’Évangile d’aujourd’hui, l’apôtre Thomas fait justement l’expérience de la miséricorde de Dieu, qui a un visage concret, celui de Jésus, de Jésus Ressuscité. Thomas ne se fie pas à ce que les autres Apôtres lui disent : « Nous avons vu le Seigneur » ; la promesse de Jésus qui avait annoncé : je ressusciterai le troisième jour, ne lui suffit pas. Il veut voir, il veut mettre sa main dans la marque des clous et dans son côté. Et quelle est la réaction de Jésus ? La patience : Jésus n’abandonne pas Thomas l’entêté dans son incrédulité ; il lui donne le temps d’une semaine, il ne ferme pas la porte, il attend. Et Thomas reconnaît sa propre pauvreté, son peu de foi. « Mon Seigneur et mon Dieu » : par cette invocation simple mais pleine de foi, il répond à la patience de Jésus. Il se laisse envelopper par la miséricorde divine, il la voit en face, dans les plaies des mains et des pieds, dans le côté ouvert, et il retrouve la confiance : il est un homme nouveau, non plus incrédule, mais croyant.
Et rappelons-nous aussi Pierre : par trois fois il renie Jésus, juste au moment où il devait lui être plus proche ; et quand il touche le fond, il rencontre le regard de Jésus qui, avec patience, sans paroles, lui dit : « Pierre, n’aies pas peur de ta faiblesse, aies confiance en moi » ; et Pierre comprend, sent le regard d’amour de Jésus et pleure. Qu’il est beau, ce regard de Jésus – que de tendresse ! Frères et sœurs, ne perdons jamais confiance en la miséricorde patiente de Dieu !
Pensons aux deux disciples d’Emmaüs : le visage triste, une marche vaine, sans espérance. Mais Jésus ne les abandonne pas : il parcourt le chemin avec eux, et pas seulement ! Avec patience, il explique les Écritures qui le concernaient et il reste avec eux pour partager le repas. C’est le style de Dieu : il n’est pas impatient comme nous, nous qui voulons souvent tout et tout de suite, même avec les personnes. Dieu est patient avec nous car il nous aime, et qui aime comprend, espère, fait confiance, n’abandonne pas, ne coupe pas les ponts, sait pardonner. Souvenons-nous de cela dans notre vie de chrétiens : Dieu nous attend toujours, même quand nous nous sommes éloignés ! Lui n’est jamais loin, et si nous revenons à lui, il est prêt à nous embrasser.
Relire la parabole du Père miséricordieux me fait toujours grande impression, cela me fait impression parce qu’elle me donne toujours une grande espérance. Pensez au plus jeune fils qui était dans la maison de son Père, il était aimé ; et pourtant il veut sa part d’héritage ; il s’en va, il dépense tout, il arrive au plus bas niveau, plus loin de son Père ; et quand il a touché le fond, il a la nostalgie de la chaleur de la maison paternelle et il retourne. Et le Père ? Avait-il oublié son fils ? Non, jamais. Il est là, il l’aperçoit de loin, il l’attendait chaque jour, chaque moment : il est toujours resté dans cœur comme un fils, même s’il l’avait abandonné, même s’il avait dilapidé tout le patrimoine, c’est-à-dire sa liberté ; le Père, avec patience et amour, avec espérance et miséricorde n’avait pas cessé un instant de penser à lui, et à peine l’aperçoit-il encore au loin, il court à sa rencontre et l’embrasse avec tendresse, la tendresse de Dieu, sans une parole de reproche : il est revenu ! Et c’est cela la joie du père. Dans le fait d’embrasser son fils, il y a toute cette joie : il est revenu ! Dieu nous attend toujours, il ne se fatigue pas. Jésus nous manifeste cette patience miséricordieuse de Dieu pour que nous retrouvions confiance, espérance, toujours ! Un grand théologien allemand, Romano Guardini, disait que Dieu répond à notre faiblesse avec sa patience et c’est le motif de notre confiance, de notre espérance (cf. Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, p. 28). C’est comme un dialogue entre notre faiblesse et la patience de Dieu, c’est un dialogue qui nous donne espérance, si nous le faisons.
Je voudrais souligner un autre élément : la patience de Dieu doit trouver en nous le courage de revenir à lui, quelle que soit l’erreur, quel que soit le péché qui est dans notre vie. Jésus invite Thomas à mettre la main dans les plaies de ses mains et de ses pieds, et dans la blessure de son côté. Nous aussi nous pouvons entrer dans les plaies de Jésus, nous pouvons le toucher réellement ; et cela arrive chaque fois que nous recevons avec foi les Sacrements. Dans une belle homélie saint Bernard disait : « Par les plaies [de Jésus], je puis goûter le miel de ce roc et l’huile qui coule de la pierre très dure (cf. Dt 32, 13), c’est-à-dire goûter et voir combien le Seigneur est bon » (Homélie sur le Cantique des Cantiques 61, 4). C’est justement dans les plaies de Jésus que nous sommes assurés, c’est là que se manifeste l’immense amour de son cœur. Thomas l’avait compris. Saint Bernard se demande : mais sur quoi puis-je compter ? Sur mes mérites ? Mais « mon mérite, c’est (…) la miséricorde du Seigneur, et je ne manquerai pas de mérite tant que la miséricorde ne lui fera pas défaut. Si les miséricordes de Dieu se multiplient, mes mérites seront nombreux » (Id., 5). Ceci est important : le courage de m’en remettre à la miséricorde de Jésus, de compter sur sa patience, de me refugier toujours dans les plaies de son amour. Saint Bernard arrive à affirmer : « Mais qu’arrivera-t-il si j’ai à me reprocher quantité de fautes ? "Là où le péché s’était multiplié, la grâce à surabondé" (Rm 5, 20) » (Ibid.). Quelqu’un parmi nous peut peut-être penser : mon péché est tellement grand, mon éloignement de Dieu est comme celui du plus jeune fils de la parabole, mon incrédulité est comme celle de Thomas ; je n’ai pas le courage de retourner, de penser que Dieu puisse m’accueillir et qu’il m’attende, moi. Mais Dieu t’attend, toi, il te demande seulement le courage de venir à lui. Combien de fois dans mon ministère pastoral on m’a répété : « Père, j’ai beaucoup de péchés » ; et l’invitation que j’ai toujours faite est : « Ne crains pas, va chez lui, il t’attend, Lui fera tout ». Que de propositions mondaines entendons-nous autour de nous, mais laissons-nous saisir par la proposition de Dieu, la sienne est une caresse d’amour. Pour Dieu, nous ne sommes pas des numéros, nous sommes importants, ou mieux, nous sommes le plus important de ce qu’il a ; même pécheurs, nous sommes ce qui lui tient le plus à cœur.
Après son péché, Adam éprouve de la honte, il se sent nu, il ressent le poids de ce qu’il a fait ; et pourtant Dieu ne l’abandonne pas : si à ce moment-là, avec le péché, commence l’exil de chez Dieu, il y a déjà la promesse du retour, la possibilité de retourner à Dieu. Dieu demande immédiatement : « Adam, où es-tu ? », il le cherche. Jésus est devenu nu pour nous, il a pris sur lui la honte d’Adam, la nudité de son péché pour laver notre péché : par ses plaies nous avons été guéris. Rappelez-vous celui de Saint Paul : de quoi je me vanterai, sinon de ma faiblesse, de ma pauvreté ? C’est vraiment dans le fait de ressentir mon péché, dans le fait de regarder mon péché que je peux voir et rencontrer la miséricorde de Dieu, son amour et aller à lui pour en recevoir le pardon.
Dans ma vie personnelle, j’ai vu bien des fois le visage miséricordieux de Dieu, sa patience ; j’ai vu aussi en de nombreuses personnes le courage d’entrer dans les plaies de Jésus en lui disant : Seigneur, me voici, accepte ma pauvreté, cache dans tes plaies mon péché, lave-le avec ton sang. Et j’ai toujours vu que Dieu l’a fait, a accueilli, consolé, lavé, aimé.
Chers frères et sœurs, laissons-nous envelopper par la miséricorde de Dieu ; comptons sur sa patience qui nous donne toujours du temps ; ayons le courage de retourner dans sa maison, de demeurer dans les blessures de son amour, en nous laissant aimer par lui, de rencontrer sa miséricorde dans les Sacrements. Nous éprouverons sa tendresse, si belle, nous sentirons qu’il nous embrasse et nous serons nous aussi plus capables de miséricorde, de patience, de pardon, d’amour.
[00460-03.02] [Texte original: Italien]
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
It is with joy that I am celebrating the Eucharist for the first time in this Lateran Basilica, the Cathedral of the Bishop of Rome. I greet all of you with great affection: my very dear Cardinal Vicar, the auxiliary bishops, the diocesan presbyterate, the deacons, the men and women religious, and all the lay faithful. I also greet the Mayor, his wife and all the authorities present. Together let us walk in the light of the risen Lord.
Today we are celebrating the Second Sunday of Easter, also known as "Divine Mercy Sunday". What a beautiful truth of faith this is for our lives: the mercy of God! God’s love for us is so great, so deep; it is an unfailing love, one which always takes us by the hand and supports us, lifts us up and leads us on.
In today’s Gospel, the Apostle Thomas personally experiences this mercy of God, which has a concrete face, the face of Jesus, the risen Jesus. Thomas does not believe it when the other Apostles tell him: "We have seen the Lord". It isn’t enough for him that Jesus had foretold it, promised it: "On the third day I will rise". He wants to see, he wants to put his hand in the place of the nails and in Jesus’ side. And how does Jesus react? With patience: Jesus does not abandon Thomas in his stubborn unbelief; he gives him a week’s time, he does not close the door, he waits. And Thomas acknowledges his own poverty, his little faith. "My Lord and my God!": with this simple yet faith-filled invocation, he responds to Jesus’ patience. He lets himself be enveloped by divine mercy; he sees it before his eyes, in the wounds of Christ’s hands and feet and in his open side, and he discovers trust: he is a new man, no longer an unbeliever, but a believer.
Let us also remember Peter: three times he denied Jesus, precisely when he should have been closest to him; and when he hits bottom he meets the gaze of Jesus who patiently, wordlessly, says to him: "Peter, don’t be afraid of your weakness, trust in me". Peter understands, he feels the loving gaze of Jesus, and he weeps. How beautiful is this gaze of Jesus – how much tenderness is there! Brothers and sisters, let us never lose trust in the patience and mercy of God!
Let us think too of the two disciples on the way to Emmaus: their sad faces, their barren journey, their despair. But Jesus does not abandon them: he walks beside them, and not only that! Patiently he explains the Scriptures which spoke of him, and he stays to share a meal with them. This is God’s way of doing things: he is not impatient like us, who often want everything all at once, even in our dealings with other people. God is patient with us because he loves us, and those who love are able to understand, to hope, to inspire confidence; they do not give up, they do not burn bridges, they are able to forgive. Let us remember this in our lives as Christians: God always waits for us, even when we have left him behind! He is never far from us, and if we return to him, he is ready to embrace us.
I am always struck when I reread the parable of the merciful Father; it impresses me because it always gives me great hope. Think of that younger son who was in the Father’s house, who was loved; and yet he wants his part of the inheritance; he goes off, spends everything, hits rock bottom, where he could not be more distant from the Father, yet when he is at his lowest, he misses the warmth of the Father’s house and he goes back. And the Father? Had he forgotten the son? No, never. He is there, he sees the son from afar, he was waiting for him every hour of every day, the son was always in his father’s heart, even though he had left him, even though he had squandered his whole inheritance, his freedom. The Father, with patience, love, hope and mercy, had never for a second stopped thinking about him, and as soon as he sees him still far off, he runs out to meet him and embraces him with tenderness, the tenderness of God, without a word of reproach: he has returned! And that is the joy of the Father. In that embrace for his son is all this joy: he has returned! God is always waiting for us, he never grows tired. Jesus shows us this merciful patience of God so that we can regain confidence, hope – always! A great German theologian, Romano Guardini, said that God responds to our weakness by his patience, and this is the reason for our confidence, our hope (cf. Glaubenserkenntnis, Würzburg, 1949, p. 28). It is like a dialogue between our weakness and the patience of God, it is a dialogue that, if we do it, will grant us hope.
I would like to emphasize one other thing: God’s patience has to call forth in us the courage to return to him, however many mistakes and sins there may be in our life. Jesus tells Thomas to put his hand in the wounds of his hands and his feet, and in his side. We too can enter into the wounds of Jesus, we can actually touch him. This happens every time that we receive the sacraments with faith. Saint Bernard, in a fine homily, says: "Through the wounds of Jesus I can suck honey from the rock and oil from the flinty rock (cf. Deut 32:13), I can taste and see the goodness of the Lord" (On the Song of Songs, 61:4). It is there, in the wounds of Jesus, that we are truly secure; there we encounter the boundless love of his heart. Thomas understood this. Saint Bernard goes on to ask: But what can I count on? My own merits? No, "My merit is God’s mercy. I am by no means lacking merits as long as he is rich in mercy. If the mercies of the Lord are manifold, I too will abound in merits" (ibid., 5). This is important: the courage to trust in Jesus’ mercy, to trust in his patience, to seek refuge always in the wounds of his love. Saint Bernard even states: "So what if my conscience gnaws at me for my many sins? ‘Where sin has abounded, there grace has abounded all the more’ (Rom 5:20)" (ibid.). Maybe someone among us here is thinking: my sin is so great, I am as far from God as the younger son in the parable, my unbelief is like that of Thomas; I don’t have the courage to go back, to believe that God can welcome me and that he is waiting for me, of all people. But God is indeed waiting for you; he asks of you only the courage to go to him. How many times in my pastoral ministry have I heard it said: "Father, I have many sins"; and I have always pleaded: "Don’t be afraid, go to him, he is waiting for you, he will take care of everything". We hear many offers from the world around us; but let us take up God’s offer instead: his is a caress of love. For God, we are not numbers, we are important, indeed we are the most important thing to him; even if we are sinners, we are what is closest to his heart.
Adam, after his sin, experiences shame, he feels naked, he senses the weight of what he has done; and yet God does not abandon him: if that moment of sin marks the beginning of his exile from God, there is already a promise of return, a possibility of return. God immediately asks: "Adam, where are you?" He seeks him out. Jesus took on our nakedness, he took upon himself the shame of Adam, the nakedness of his sin, in order to wash away our sin: by his wounds we have been healed. Remember what Saint Paul says: "What shall I boast of, if not my weakness, my poverty? Precisely in feeling my sinfulness, in looking at my sins, I can see and encounter God’s mercy, his love, and go to him to receive forgiveness.
In my own life, I have so often seen God’s merciful countenance, his patience; I have also seen so many people find the courage to enter the wounds of Jesus by saying to him: Lord, I am here, accept my poverty, hide my sin in your wounds, wash it away with your blood. And I have always seen that God did just this – he accepted them, consoled them, cleansed them, loved them.
Dear brothers and sisters, let us be enveloped by the mercy of God; let us trust in his patience, which always gives us more time. Let us find the courage to return to his house, to dwell in his loving wounds, allowing ourselves be loved by him and to encounter his mercy in the sacraments. We will feel his wonderful tenderness, we will feel his embrace, and we too will become more capable of mercy, patience, forgiveness and love.
[00460-02.01] [Original text: Italian]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
Voll Freude feiere ich zum ersten Mal die Eucharistie in dieser Lateranbasilika, der Kathedrale des Bischofs von Rom. Ich begrüße euch alle ganz herzlich: den lieben Kardinalvikar, die Weihbischöfe, die Priester der Diözese, die Diakone, die Ordensleute und alle gläubigen Laien. Meine Grüße richte ich auch an den Herrn Bürgermeister und seine Frau Gemahlin sowie an alle Vertreter des öffentlichen Lebens. Gehen wir miteinander im Licht des auferstandenen Herrn.
Wir feiern heute den Zweiten Sonntag der Osterzeit, der auch „Sonntag der Göttlichen Barmherzigkeit" genannt wird. Wie schön ist diese Wirklichkeit des Glaubens für unser Leben: die Barmherzigkeit Gottes! Eine so große, so tiefe Liebe hat Gott zu uns, eine Liebe, die niemals nachlässt, immer unsere Hand ergreift und uns stützt, uns wieder aufrichtet, uns lenkt.
Im heutigen Evangelium macht der Apostel Thomas eigens die Erfahrung der Barmherzigkeit Gottes, die ein konkretes Gesicht hat, das Gesicht Jesu, des auferstandenen Jesus. Thomas traut nicht dem, was die anderen Apostel ihm sagen: „Wir haben den Herrn gesehen"; es genügt ihm nicht die Verheißung Jesu, der angekündigt hatte: Am dritten Tag werde ich auferstehen. Er will sehen, will seine Finger in die Male der Nägel und seine Hand in Jesu Seite legen. Und was ist die Reaktion Jesu? Geduld: Jesus lässt den eigensinnigen Thomas in seiner Ungläubigkeit nicht fallen; er gibt ihm eine Woche Zeit, verschließt nicht die Tür, sondern wartet. Und Thomas erkennt seine Armseligkeit, seine Kleingläubigkeit. „Mein Herr und mein Gott": Mit diesem einfachen, doch glaubensvollen Ruf antwortet er auf die Geduld Jesu. Er lässt sich von der göttlichen Barmherzigkeit umfangen, sieht sie vor sich in den Wunden der Hände und der Füße, in der geöffneten Seite, und gewinnt das Vertrauen zurück: Er ist ein neuer Mensch, nicht mehr ungläubig, sondern gläubig.
Und erinnern wir uns auch an Petrus: Dreimal verleugnet er Jesus gerade in dem Moment, als er ihm ganz besonders nahe hätte sein sollen. Und als ihm dies zutiefst bewusst wird, begegnet ihm der Blick Jesu, der ihm geduldig und ohne Worte zu verstehen gibt: „Petrus, hab’ keine Angst wegen deiner Schwachheit, vertraue auf mich!" Und Petrus versteht, spürt den liebevollen Blick Jesu und weint. Wie schön ist dieser Blick Jesu – wie viel Zärtlichkeit! Brüder und Schwestern, verlieren wir niemals das Vertrauen in die geduldige Barmherzigkeit Gottes!
Denken wir an die beiden Emmausjünger: Mit traurigem Gesicht gehen sie so vor sich hin, ohne Hoffnung. Aber Jesus verlässt sie nicht: Er geht mit ihnen, und nicht nur das! Geduldig erklärt er ihnen, was in der Schrift über ihn geschrieben steht, und bleibt, um mit ihnen Mahl zu halten. Das ist der Stil Gottes: Er ist nicht ungeduldig wie wir, die wir oft alles und sofort wollen, auch von den Menschen. Gott hat Geduld mit uns, denn er liebt uns, und wer liebt, der versteht, hofft, schenkt Vertrauen, gibt nicht auf, bricht die Brücken nicht ab, weiß zu verzeihen. Erinnern wir uns daran in unserem Leben als Christen: Gott wartet immer auf uns, auch wenn wir uns entfernt haben! Er ist niemals fern, und wenn wir zu ihm zurückkehren, ist er bereit, uns in seine Arme zu schließen.
Mir macht es immer einen tiefen Eindruck, wenn ich das Gleichnis vom barmherzigen Vater lese; es beeindruckt mich, weil es mir stets große Hoffnung schenkt. Denkt an jenen jüngeren Sohn, der im Haus des Vaters war, der geliebt wurde. Und doch will er sein Erbteil, geht weg, gibt alles aus, sinkt auf das niedrigste Niveau herab, am weitesten entfernt vom Vater. Und als er völlig heruntergekommen ist, verspürt er Heimweh nach der Geborgenheit des Vaterhauses, und er kehrt zurück. Und der Vater? Hatte er seinen Sohn vergessen? Nein, niemals. Er ist dort, sieht ihn von weitem, erwartete ihn jeden Tag, jeden Moment: Immer hatte er ihn als Sohn in seinem Herzen, obwohl dieser ihn verlassen hatte, obwohl er das ganze Erbe, das heißt seine Freiheit vergeudet hatte. Mit Geduld und Liebe, mit Hoffnung und Barmherzigkeit hatte der Vater nicht einen Moment aufgehört, an ihn zu denken, und sobald er ihn von ferne erspäht, läuft er ihm entgegen und umarmt ihn zärtlich – mit der Zärtlichkeit Gottes – ohne ein einziges Wort des Vorwurfs: Er ist zurückgekehrt! Und das ist die Freude des Vaters. In dieser Umarmung des Sohns liegt diese ganze Freude: Er ist zurückgekehrt! Gott wartet immer auf uns, er wird nicht müde. Jesus führt uns diese barmherzige Geduld Gottes vor Augen, damit wir Vertrauen und Hoffnung zurückgewinnen, immer! Ein großer deutscher Theologe, Romano Guardini, sagte, dass die Geduld Gottes auf unsere Schwäche antwortet und dies die Rechtfertigung unserer Zuversicht, unserer Hoffnung ist (vgl. Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, S. 28). Das ist wie ein Zwiegespräch zwischen unserer Schwachheit und der Geduld Gottes. Ein Dialog – wenn wir diesen Dialog führen, schenkt er uns Hoffnung.
Ich möchte noch ein anderes Element unterstreichen: Die Geduld Gottes muss in uns den Mut antreffen, zu ihm zurückzukehren, ganz gleich welchen Fehler, welche Sünde es in unserem Leben gibt. Jesus lädt Thomas ein, den Finger in die Wunden seiner Hände und Füße und die Hand in seine geöffnete Seite zu legen. Auch wir können in die Wunden Jesu hineinfassen, ihn wirklich berühren; und das geschieht jedes Mal, wenn wir gläubig die Sakramente empfangen. Der heilige Bernhard sagt in einer schönen Predigt: „Durch … die Wunden [Jesu] kann ich Honig aus dem Felsen saugen und Öl aus den Felsspalten (vgl. Dtn 32,13), das heißt kosten und erfahren, wie gut der Herr ist" (Homilie über das Hohelied 61,4). Gerade in den Wunden Jesu sind wir sicher, dort zeigt sich die unermessliche Liebe seines Herzens. Thomas hatte es begriffen. Der heilige Bernhard fragt sich: Aber worauf kann ich mich verlassen? Auf meine Verdienste? Doch „mein Verdienst ist die Barmherzigkeit Gottes. Sicher bin ich nicht arm an Verdiensten, solange er reich an Barmherzigkeit ist. Und so habe ich, wenn die Barmherzigkeiten des Herrn zahlreich sind, einen Überfluss an Verdiensten" (ebd. 5). Das ist wichtig: der Mut, mich der Barmherzigkeit Jesu anzuvertrauen, auf seine Geduld zu zählen, immer Zuflucht in den Wunden seiner Liebe zu nehmen. Der heilige Bernhard geht so weit zu sagen: „Doch was soll ich sagen, wenn ich Gewissensbisse habe wegen meiner vielen Sünden? »Wo die Sünde mächtig wurde, da ist die Gnade übergroß geworden« (Röm 5,20)" (ebd.). Vielleicht könnte jemand unter uns denken: Meine Sünde ist so groß, meine Entfernung von Gott ist wie die des jüngeren Sohnes aus dem Gleichnis, mein Unglaube ist wie der des Thomas; ich habe nicht den Mut umzukehren, zu meinen, Gott könne mich aufnehmen und warte ausgerechnet auf mich. Doch Gott wartet gerade auf dich, er verlangt von dir nur den Mut, zu ihm zu gehen. Wie oft habe ich in meinem seelsorglichen Dienst die Worte gehört: „Pater, ich habe viele Sünden"; und meine Einladung war immer: „Keine Angst, geh zu ihm, er erwartet dich, er wird alles tun." Wie viele weltliche Angebote hören wir in unserer Umgebung, aber lassen wir uns vom Angebot Gottes ergreifen – es ist eine herzliche Liebkosung. Für Gott sind wir keine Nummern, wir sind ihm wichtig, ja, wir sind das Wichtigste, das er hat; auch wenn wir Sünder sind, sind wir das, was ihm am meisten am Herzen liegt.
Adam empfindet nach der Sünde Scham, er fühlt sich nackt, spürt das Gewicht dessen, was er getan hat. Und doch gibt Gott nicht auf: Wenn in jenem Moment mit der Sünde die Verbannung aus Gottes Nähe beginnt, gibt es bereits die Verheißung der Rückkehr, die Möglichkeit, zu ihm zurückzukehren. Gott fragt sofort: „Adam, wo bist du?", er sucht ihn. Jesus hat sich für uns entäußert, hat die Schande Adams, die Nacktheit seiner Sünde auf sich geladen, um unsere Sünde reinzuwaschen: Durch seine Wunden sind wir geheilt. Erinnert euch an die Worte des heiligen Paulus: Welcher Sache soll ich mich rühmen, wenn nicht meiner Schwachheit, meiner Armseligkeit? Gerade indem ich meine Sünde empfinde, indem ich meine Sünde anschaue, kann ich die Barmherzigkeit Gottes, seine Liebe sehen und ihr begegnen und zu ihm gehen, um die Vergebung zu empfangen.
In meinem persönlichen Leben habe ich viele Male das barmherzige Antlitz Gottes, seine Geduld gesehen. Bei vielen Menschen habe ich auch den Mut beobachtet, in die Wunden Jesu hineinzufassen und ihm zu sagen: Herr, da bin ich, nimm meine Armut an, verbirg meine Sünde in deinen Wunden, wasche sie rein mit deinem Blut. Und ich habe immer gesehen, dass Gott es getan hat, dass er aufgenommen, getröstet, gewaschen, geliebt hat.
Liebe Brüder und Schwestern, lassen wir uns von der Barmherzigkeit Gottes einhüllen; vertrauen wir auf seine Geduld, die uns immer Zeit lässt; haben wir den Mut, in sein Haus zurückzukehren, in den Wunden seiner Liebe zu wohnen und uns von ihm lieben zu lassen, seiner Barmherzigkeit in den Sakramenten zu begegnen. Wir werden seine so schöne Zärtlichkeit spüren, wir werden seine Umarmung spüren und auch selber fähiger sein zu Barmherzigkeit, Geduld, Vergebung und Liebe.
[00460-05.02] [Originalsprache: Italienisch]
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
Con gran alegría celebro por primera vez la Eucaristía en esta Basílica Lateranense, catedral del Obispo de Roma. Saludo con sumo afecto al querido Cardenal Vicario, a los Obispos auxiliares, al Presbiterio diocesano, a los Diáconos, a las Religiosas y Religiosos y a todos los fieles laicos. Saludo asimismo al señor Alcalde, a su esposa y a todas las Autoridades. Caminemos juntos a la luz del Señor Resucitado.
Celebramos hoy el segundo domingo de Pascua, también llamado «de la Divina Misericordia». Qué hermosa es esta realidad de fe para nuestra vida: la misericordia de Dios. Un amor tan grande, tan profundo el que Dios nos tiene, un amor que no decae, que siempre aferra nuestra mano y nos sostiene, nos levanta, nos guía.
En el Evangelio de hoy, el apóstol Tomás experimenta precisamente esta misericordia de Dios, que tiene un rostro concreto, el de Jesús, el de Jesús resucitado. Tomás no se fía de lo que dicen los otros Apóstoles: «Hemos visto el Señor»; no le basta la promesa de Jesús, que había anunciado: al tercer día resucitaré. Quiere ver, quiere meter su mano en la señal de los clavos y del costado. ¿Cuál es la reacción de Jesús? La paciencia: Jesús no abandona al terco Tomás en su incredulidad; le da una semana de tiempo, no le cierra la puerta, espera. Y Tomás reconoce su propia pobreza, la poca fe: «Señor mío y Dios mío»: con esta invocación simple, pero llena de fe, responde a la paciencia de Jesús. Se deja envolver por la misericordia divina, la ve ante sí, en las heridas de las manos y de los pies, en el costado abierto, y recobra la confianza: es un hombre nuevo, ya no es incrédulo sino creyente.
Y recordemos también a Pedro: que tres veces reniega de Jesús precisamente cuando debía estar más cerca de él; y cuando toca el fondo encuentra la mirada de Jesús que, con paciencia, sin palabras, le dice: «Pedro, no tengas miedo de tu debilidad, confía en mí»; y Pedro comprende, siente la mirada de amor de Jesús y llora. Qué hermosa es esta mirada de Jesús – cuánta ternura –. Hermanos y hermanas, no perdamos nunca la confianza en la paciente misericordia de Dios.
Pensemos en los dos discípulos de Emaús: el rostro triste, un caminar errante, sin esperanza. Pero Jesús no les abandona: recorre a su lado el camino, y no sólo. Con paciencia explica las Escrituras que se referían a Él y se detiene a compartir con ellos la comida. Éste es el estilo de Dios: no es impaciente como nosotros, que frecuentemente queremos todo y enseguida, también con las personas. Dios es paciente con nosotros porque nos ama, y quien ama comprende, espera, da confianza, no abandona, no corta los puentes, sabe perdonar. Recordémoslo en nuestra vida de cristianos: Dios nos espera siempre, aun cuando nos hayamos alejado. Él no está nunca lejos, y si volvemos a Él, está preparado para abrazarnos.
A mí me produce siempre una gran impresión releer la parábola del Padre misericordioso, me impresiona porque me infunde siempre una gran esperanza. Pensad en aquel hijo menor que estaba en la casa del Padre, era amado; y aun así quiere su parte de la herencia; y se va, lo gasta todo, llega al nivel más bajo, muy lejos del Padre; y cuando ha tocado fondo, siente la nostalgia del calor de la casa paterna y vuelve. ¿Y el Padre? ¿Había olvidado al Hijo? No, nunca. Está allí, lo ve desde lejos, lo estaba esperando cada día, cada momento: ha estado siempre en su corazón como hijo, incluso cuando lo había abandonado, incluso cuando había dilapidado todo el patrimonio, es decir su libertad; el Padre con paciencia y amor, con esperanza y misericordia no había dejado ni un momento de pensar en él, y en cuanto lo ve, todavía lejano, corre a su encuentro y lo abraza con ternura, la ternura de Dios, sin una palabra de reproche: Ha vuelto. Y esta es la alegría del padre. En ese abrazo al hijo está toda esta alegría: ¡Ha vuelto! Dios siempre nos espera, no se cansa. Jesús nos muestra esta paciencia misericordiosa de Dios para que recobremos la confianza, la esperanza, siempre. Un gran teólogo alemán, Romano Guardini decía que Dios responde a nuestra debilidad con su paciencia y éste es el motivo de nuestra confianza, de nuestra esperanza (cf. Glabenserkenntnis, Wurzburg 1949, 28). Es como un diálogo entre nuestra debilidad y la paciencia de Dios, es un diálogo que si lo hacemos, nos da esperanza.
Quisiera subrayar otro elemento: la paciencia de Dios debe encontrar en nosotros la valentía de volver a Él, sea cual sea el error, sea cual sea el pecado que haya en nuestra vida. Jesús invita a Tomás a meter su mano en las llagas de sus manos y de sus pies y en la herida de su costado. También nosotros podemos entrar en las llagas de Jesús, podemos tocarlo realmente; y esto ocurre cada vez que recibimos los sacramentos. San Bernardo, en una bella homilía, dice: «A través de estas hendiduras, puedo libar miel silvestre y aceite de rocas de pedernal (cf. Dt 32,13), es decir, puedo gustar y ver qué bueno es el Señor» (Sermón 61, 4. Sobre el libro del Cantar de los cantares). Es precisamente en las heridas de Jesús que nosotros estamos seguros, ahí se manifiesta el amor inmenso de su corazón. Tomás lo había entendido. San Bernardo se pregunta: ¿En qué puedo poner mi confianza? ¿En mis méritos? Pero «mi único mérito es la misericordia de Dios. No seré pobre en méritos, mientras él no lo sea en misericordia. Y, porque la misericordia del Señor es mucha, muchos son también mis méritos» (ibid, 5). Esto es importante: la valentía de confiarme a la misericordia de Jesús, de confiar en su paciencia, de refugiarme siempre en las heridas de su amor. San Bernardo llega a afirmar: «Y, aunque tengo conciencia de mis muchos pecados, si creció el pecado, más desbordante fue la gracia (Rm 5,20)» (ibid.).Tal vez alguno de nosotros puede pensar: mi pecado es tan grande, mi lejanía de Dios es como la del hijo menor de la parábola, mi incredulidad es como la de Tomás; no tengo las agallas para volver, para pensar que Dios pueda acogerme y que me esté esperando precisamente a mí. Pero Dios te espera precisamente a ti, te pide sólo el valor de regresar a Él. Cuántas veces en mi ministerio pastoral me han repetido: «Padre, tengo muchos pecados»; y la invitación que he hecho siempre es: «No temas, ve con Él, te está esperando, Él hará todo». Cuántas propuestas mundanas sentimos a nuestro alrededor. Dejémonos sin embargo aferrar por la propuesta de Dios, la suya es una caricia de amor. Para Dios no somos números, somos importantes, es más somos lo más importante que tiene; aun siendo pecadores, somos lo que más le importa. Adán después del pecado sintió vergüenza, se ve desnudo, siente el peso de lo que ha hecho; y sin embargo Dios no lo abandona: si en ese momento, con el pecado, inicia nuestro exilio de Dios, hay ya una promesa de vuelta, la posibilidad de volver a Él. Dios pregunta enseguida: «Adán, ¿dónde estás?», lo busca. Jesús quedó desnudo por nosotros, cargó con la vergüenza de Adán, con la desnudez de su pecado para lavar nuestro pecado: sus llagas nos han curado. Acordaos de lo de san Pablo: ¿De qué me puedo enorgullecer sino de mis debilidades, de mi pobreza? Precisamente sintiendo mi pecado, mirando mi pecado, yo puedo ver y encontrar la misericordia de Dios, su amor, e ir hacia Él para recibir su perdón.
En mi vida personal, he visto muchas veces el rostro misericordioso de Dios, su paciencia; he visto también en muchas personas la determinación de entrar en las llagas de Jesús, diciéndole: Señor estoy aquí, acepta mi pobreza, esconde en tus llagas mi pecado, lávalo con tu sangre. Y he visto siempre que Dios lo ha hecho, ha acogido, consolado, lavado, amado.
Queridos hermanos y hermanas, dejémonos envolver por la misericordia de Dios; confiemos en su paciencia que siempre nos concede tiempo; tengamos el valor de volver a su casa, de habitar en las heridas de su amor dejando que Él nos ame, de encontrar su misericordia en los sacramentos. Sentiremos su ternura, tan hermosa, sentiremos su abrazo y seremos también nosotros más capaces de misericordia, de paciencia, de perdón y de amor.
[00460-04.02] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
Com alegria, celebro pela primeira vez a Eucaristia nesta Basílica Lateranense, a Catedral do Bispo de Roma. Saúdo a todos vós com grande afecto: o caríssimo Cardeal Vigário, os Bispos Auxiliares, o Presbitério diocesano, os Diáconos, as Religiosas e os Religiosos e todos os fiéis leigos. Saúdo também ao Senhor Presidente da Câmara Municipal e sua esposa e às restantes Autoridades. Caminhamos juntos na luz do Senhor Ressuscitado.
Hoje celebramos o Segundo Domingo de Páscoa, designado também «Domingo da Divina Misericórdia». A misericórdia de Deus: como é bela esta realidade da fé para a nossa vida! Como é grande e profundo o amor de Deus por nós! É um amor que não falha, que sempre agarra a nossa mão, nos sustenta, levanta e guia.
No Evangelho de hoje, o apóstolo Tomé experimenta precisamente a misericórdia de Deus, que tem um rosto concreto: o de Jesus, de Jesus Ressuscitado. Tomé não se fia nos demais Apóstolos, quando lhe dizem: «Vimos o Senhor»; para ele, não é suficiente a promessa de Jesus que preanunciara: ao terceiro dia ressuscitarei. Tomé quer ver, quer meter a sua mão no sinal dos cravos e no peito. E qual é a reacção de Jesus? A paciência: Jesus não abandona Tomé relutante na sua incredulidade; dá-lhe uma semana de tempo, não fecha a porta, espera. E Tomé acaba por reconhecer a sua própria pobreza, a sua pouca fé. «Meu Senhor e meu Deus»: com esta invocação simples mas cheia de fé, responde à paciência de Jesus. Deixa-se envolver pela misericórdia divina, vê-a à sua frente, nas feridas das mãos e dos pés, no peito aberto, e readquire a confiança: é um homem novo, já não incrédulo mas crente.
Recordemos também o caso de Pedro: por três vezes renega Jesus, precisamente quando Lhe devia estar mais unido; e, quando toca o fundo, encontra o olhar de Jesus que, com paciência e sem palavras, lhe diz: «Pedro, não tenhas medo da tua fraqueza, confia em Mim». E Pedro compreende, sente o olhar amoroso de Jesus e chora... Como é belo este olhar de Jesus! Quanta ternura! Irmãos e irmãs, não percamos jamais a confiança na paciente misericórdia de Deus!
Pensemos nos dois discípulos de Emaús: o rosto triste, passos vazios, sem esperança. Mas Jesus não os abandona: percorre juntamente com eles a estrada. E não só; com paciência, explica as Escrituras que a Si se referiam e pára em casa deles partilhando a refeição. Este é o estilo de Deus: não é impaciente como nós, que muitas vezes queremos tudo e imediatamente, mesmo quando se trata de pessoas. Deus é paciente connosco, porque nos ama; e quem ama compreende, espera, dá confiança, não abandona, não corta as pontes, sabe perdoar. Recordemo-lo na nossa vida de cristãos: Deus sempre espera por nós, mesmo quando nos afastamos! Ele nunca está longe e, se voltarmos para Ele, está pronto a abraçar-nos.
Sempre me causa grande impressão a leitura da parábola do Pai misericordioso; impressiona-me pela grande esperança que sempre me dá. Pensai naquele filho mais novo, que estava na casa do Pai, era amado; e todavia pretende a sua parte de herança; abandona a casa, gasta tudo, chega ao nível mais baixo, mais distante do Pai; e, quando tocou o fundo, sente saudades do calor da casa paterna e regressa. E o Pai? Teria ele esquecido o filho? Não, nunca! Está lá, avista-o ao longe, tinha esperado por ele todos os dias, todos os momentos: sempre esteve no seu coração como filho, apesar de o ter deixado e malbaratado todo o património, isto é, a sua liberdade; com paciência e amor, com esperança e misericórdia, o Pai não tinha cessado um instante sequer de pensar nele, e logo que o vê, ainda longe, corre ao seu encontro e abraça-o com ternura – a ternura de Deus –, sem uma palavra de censura: voltou! Isto é a alegria do pai; naquele abraço ao filho, está toda esta alegria: voltou! Deus sempre espera por nós, não se cansa. Jesus mostra-nos esta paciência misericordiosa de Deus, para sempre reencontrarmos confiança, esperança! Um grande teólogo alemão Romano Guardini dizia que Deus responde à nossa fraqueza com a sua paciência e isto é o motivo da nossa confiança, da nossa esperança (cf. Glabenserkenntnis, Wurzburg 1949, p. 28). É uma espécie de diálogo entre a nossa fraqueza e a paciência de Deus – um diálogo, que, se entrarmos nele, nos dá esperança.
Gostava de sublinhar outro elemento: a paciência de Deus deve encontrar em nós a coragem de regressar a Ele, qualquer que seja o erro, qualquer que seja o pecado na nossa vida. Jesus convida Tomé a meter a mão nas suas chagas das mãos e dos pés e na ferida do peito. Também nós podemos entrar nas chagas de Jesus, podemos tocá-Lo realmente; isto acontece todas as vezes que recebemos, com fé, os Sacramentos. São Bernardo diz numa bela Homilia: «Por estas feridas [de Jesus], posso saborear o mel dos rochedos e o azeite da rocha duríssima (cf. Dt 32, 13), isto é, posso saborear e ver como o Senhor é bom» (Sobre o Cântico dos Cânticos 61, 4). É precisamente nas chagas de Jesus que vivemos seguros, nelas se manifesta o amor imenso do seu coração. Tomé compreendera-o. São Bernardo interroga-se: Mas, com que poderei contar? Com os meus méritos? Todo «o meu mérito está na misericórdia do Senhor. Nunca serei pobre de méritos, enquanto Ele for rico de misericórdia: se são abundantes as misericórdias do Senhor, também são muitos os meus méritos» (ibid., 5). Importante é a coragem de me entregar à misericórdia de Jesus, confiar na sua paciência, refugiar-me sempre nas feridas do seu amor. São Bernardo chega a afirmar: «E se tenho consciência de muitos pecados? "Onde abundou o pecado, superabundou a graça" (Rm 5, 20)» (ibid., 5). Talvez algum de nós possa pensar: o meu pecado é tão grande, o meu afastamento de Deus é como o do filho mais novo da parábola, a minha incredulidade é como a de Tomé; não tenho coragem para voltar, para pensar que Deus me possa acolher e esteja à espera precisamente de mim. Mas é precisamente por ti que Deus espera! Só te pede a coragem de ires ter com Ele. Quantas vezes, no meu ministério pastoral, ouvi repetir: «Padre, tenho muitos pecados»; e o convite que sempre fazia era este: «Não temas, vai ter com Ele, que está a tua espera; Ele resolverá tudo». Ouvimos tantas propostas do mundo ao nosso redor; mas deixemo-nos conquistar pela proposta de Deus: a proposta d’Ele é uma carícia de amor. Para Deus, não somos números; somos importantes, antes, somos o que Ele tem de mais importante; apesar de pecadores, somos aquilo que Lhe está mais a peito.
Depois do pecado, Adão sente vergonha, sente-se nu, sente remorso por aquilo que fez; e todavia Deus não o abandona: se naquele momento começa o exílio longe de Deus, com o pecado, também já existe a promessa do regresso, a possibilidade de regressar a Ele. Imediatamente Deus pergunta: «Adão, onde estás?» Deus procura-o. Jesus ficou nu por nós, tomou sobre Si a vergonha de Adão, da nudez do seu pecado, para lavar o nosso pecado: pelas suas chagas, fomos curados. Recordai-vos do que diz São Paulo: De que poderei eu gloriar-me senão da minha fraqueza, da minha pobreza? É precisamente sentindo o meu pecado, olhando o meu pecado que posso ver e encontrar a misericórdia de Deus, o seu amor, e ir até Ele para receber o seu perdão.
Na minha vida pessoal, vi muitas vezes o rosto misericordioso de Deus, a sua paciência; vi também em muitas pessoas a coragem de entrar nas chagas de Jesus, dizendo-Lhe: Senhor, aqui estou, aceita a minha pobreza, esconde nas tuas chagas o meu pecado, lava-o com o teu sangue. E sempre vi que Deus o fez: Deus acolheu, consolou, lavou e amou.
Amados irmãos e irmãs, deixemo-nos envolver pela misericórdia de Deus; confiemos na sua paciência, que sempre nos dá tempo; tenhamos a coragem de voltar para sua casa, habitar nas feridas do seu amor deixando-nos amar por Ele, encontrar a sua misericórdia nos Sacramentos. Sentiremos a sua ternura maravilhosa, sentiremos o seu abraço, e ficaremos nós também mais capazes de misericórdia, paciência, perdão e amor.
[00460-06.02] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
Z radością sprawuję po raz pierwszy Eucharystię w tej bazylice Laterańskiej, katedrze Biskupa Rzymu. Pozdrawiam was wszystkich z wielką miłością: drogiego kardynała-wikariusza, biskupów pomocniczych, prezbiterium diecezjalne, diakonów, zakonnice i zakonników oraz wszystkich wiernych świeckich. Pozdrawiam również pana burmistrza wraz z małżonką i wszystkich przedstawicieli władz. Wspólnie podążamy w świetle Zmartwychwstałego Pana.
Obchodzimy dziś II Niedzielę Wielkanocną, nazywaną także „Niedzielą Bożego Miłosierdzia". Jakże piękna jest ta rzeczywistość wiary dla naszego życia: Boże miłosierdzie! Tak wielka miłość, tak głęboka miłość Boga względem nas, miłość, która nie zawodzi, zawsze chwyta nas za rękę i nas podtrzymuje, podnosi, prowadzi.
W dzisiejszej Ewangelii, Apostoł Tomasz doświadcza właśnie Bożego miłosierdzia, które ma konkretne oblicze, oblicze Jezusa, Jezusa zmartwychwstałego. Tomasz nie ufa temu, co mówią mu inni apostołowie: „Widzieliśmy Pana!". Nie wystarcza mu obietnica Jezusa, który zapowiedział: trzeciego dnia zmartwychwstanę. Chce widzieć, chce włożyć rękę w znaki gwoździ i w Jego bok. A jaka jest reakcja Jezusa? Cierpliwość: Jezus nie pozostawia upartego Tomasza w jego niewierze. Daje mu tydzień czasu, nie zamyka drzwi, oczekuje. I Tomasz uznaje swoje ubóstwo, małą wiarę. „Pan mój i Bóg mój": tymi prostymi, lecz pełnymi wiary słowami odpowiada na cierpliwość Jezusa. Daje się objąć Bożym miłosierdziem, widzi je przed sobą, w ranach rąk i stóp, w otwartym boku, i odnajduje zaufanie: jest nowym człowiekiem, nie jest już niedowiarkiem, lecz wierzącym.
Pamiętamy także Piotra: trzykrotnie zaparł się Jezusa właśnie wtedy, kiedy powinien być jak najbliżej Niego, a kiedy schodzi na dno, napotyka spojrzenie Jezusa, który cierpliwie, bez słowa, mówi mu: „Piotrze, nie lękaj się własnej słabości, zaufaj mi". A Piotr rozumie, odczuwa spojrzenie miłości Jezusa i płacze. Jak piękne jest to spojrzenie Jezusa – jak czułe! Bracia i siostry, nigdy nie traćmy ufności w cierpliwe miłosierdzie Boga!
Pomyślmy o dwóch uczniach z Emaus: smutne oblicza, puste podążanie, bez nadziei. Ale Jezus ich nie opuszcza: wraz z nimi przemierza drogę, i nie tylko! Cierpliwie wyjaśnia Pisma, które się do Niego odnosiły, i zatrzymuje się, by z nimi dzielić posiłek. To właśnie jest styl Boga: nie jest niecierpliwy, tak jak my, którzy często chcemy wszystkiego i to natychmiast, także w relacjach do osób. Bóg jest wobec nas cierpliwy, bo nas kocha, a kto kocha, ten rozumie, ma nadzieję, obdarza zaufaniem, nie porzuca, nie burzy mostów, umie przebaczać. Pamiętajmy o tym w naszym chrześcijańskim życiu: Bóg na nas zawsze czeka, także kiedy się oddaliliśmy! On nigdy nie jest daleko, a jeśli do Niego wrócimy, gotów jest nas przyjąć.
Zawsze wielkie wrażenie wywiera na mnie ponowne odczytanie przypowieści o miłosiernym Ojcu – wywiera na mnie wrażenie, bo zawsze daje mi wielką nadzieję. Pomyślcie o owym młodszym synu, który w domu Ojca był kochany, a jednak chce swojej części dziedzictwa. Odchodzi, wydaje wszystko, upada najniżej, najdalej od Ojca. Kiedy sięgnął dna, odczuł nostalgię za ciepłem ojcowskiego domu i powraca. A Ojciec? Czy zapomniał o synu? Nie, nigdy. Widzi go z daleka, codziennie, w każdej chwili na niego czekał: był zawsze obecny w jego sercu jako syn, pomimo, że go opuścił, nawet jeśli roztrwonił cały majątek, to znaczy swoją wolność. Ojciec cierpliwie i z miłością, z nadzieją i miłosierdziem ani na chwilę nie przestał o nim myśleć i skoro go tylko zobaczył jeszcze daleko, wybiega mu naprzeciw i z czułością go obejmuje, z czułością Boga, bez słowa wyrzutu: powrócił! Taka jest radość ojca. W uścisku, z jakim przyjmuje syna, jest cała ta radość: powrócił! Bóg zawsze na nas czeka, nie jest znużony. Jezus ukazuje nam ową miłosierną cierpliwość Boga, abyśmy zawsze odnajdywali ufność, nadzieję! Romano Guardini, wielki teolog niemiecki, powiedział, że Bóg odpowiada na nasze słabości przez swoją cierpliwość i to jest powodem naszej ufności, naszej nadziei (por.Glabenserkenntnis, Würzburg 1949, s. 28). Jest to jakby dialog pomiędzy naszą słabością i cierpliwością Boga – dialog, który – jeśli go podejmujemy – daje nam nadzieję.
Chciałbym podkreślić jeszcze jeden element: cierpliwość Boga musi w nas znaleźć odwagę, by do Niego powrócić, niezależnie od wszelkiego błędu, jakiegokolwiek grzechu, który miałby miejsce w naszym życiu. Jezus zachęca Tomasza, by włożył rękę w Jego rany na rękach i nogach oraz w ranę Jego boku. Także i my możemy wejść w rany Jezusa, rzeczywiście możemy go dotknąć. Dzieje się to za każdym razem, kiedy z wiarą przyjmujemy sakramenty. Święty Bernard w pięknej homilii powiedział: „z ran świętych [Jezusa] mogę «pić miód ze skały i oliwę z twardego kamienia» (por. Pwt 32:13), «kosztować i zobaczyć, jak dobry jest Pan»" (Komentarz do Pieśni nad pieśniami 61, 4). To właśnie w ranach Jezusa jesteśmy bezpieczni, tu ukazuje się ogromna miłość Jego serca. Zrozumiał to Tomasz. Święty Bernard pyta się: ale na co mogę liczyć? Na moje zasługi? Ale „całą moją zasługą jest miłosierdzie Pana. Nie zabraknie mi zasług, jak długo wystarczy jego miłosierdzia. A jeśli Pan bogaty jest w miłosierdzie, to i ja nie mniej w zasługi" (tamże, 5). Jest to ważne: odwaga powierzenia się miłosierdziu Jezusa, zaufanie w Jego cierpliwość, chronienie się zawsze w ranach Jego miłości. Święty Bernard posuwa się do stwierdzenia: „Cóż jednak, jeśli sumienie wyrzucać mi będzie mnóstwo grzechów? «Gdzie wzmógł się grzech, tam obficiej rozlała się łaska» (Rz 5,20)" (tamże). Być może ktoś z nas może pomyśleć: mój grzech jest tak wielki, jestem tak daleko od Boga, jak młodszy syn z przypowieści, moja niewiara jest taka, jak Tomasza. Nie mam odwagi, by wrócić, pomyśleć, że Bóg może mnie przyjąć i że czeka właśnie na mnie. Ale Bóg czeka właśnie na ciebie, żąda od ciebie jedynie odwagi, by do Niego pójść. Jak wiele razy w mojej posłudze duszpasterskiej słyszałem, jak ktoś mówił: „Ojcze, mam wiele grzechów". Zawsze w takiej sytuacji zachęcałem „Nie bój się, idź do Niego, On na ciebie czeka. On wszystkiego dokona". Jak wiele wokół nas słyszymy propozycji doczesnych. Pozwólmy jednak porwać się propozycją Boga, która jest pieszczotą miłości. Dla Boga nie jesteśmy liczbami, jesteśmy ważni, jesteśmy wręcz najważniejsi z tego, co ma. Pomimo, że jesteśmy grzesznikami, jesteśmy tym, co leży mu najbardziej na sercu.
Adam po grzechu odczuwał wstyd, czuł się nagim, odczuwał ciężar tego, co uczynił. Mimo to Bóg go nie opuścił: jeśli w tym momencie zaczyna się wygnanie od Boga przez grzech, to jest już obietnica powrotu, możliwość powrotu do Niego. Bóg natychmiast pyta: „Adamie, gdzie jesteś?", szuka go. Jezus ogołocił samego siebie dla nas, obciążył się hańbą Adama, nagością jego grzechu, aby zmyć nasz grzech: w Jego ranach zostaliśmy uzdrowieni. Przypomnijcie sobie słowa świętego Pawła: z czego będę się chlubił, jeśli nie z moich słabości, z mojej biedy? Właśnie odczuwając mój grzech, spoglądając na mój grzech mogę zobaczyć i spotkać Boże miłosierdzie, Jego miłość, i pójść do Niego, aby otrzymać przebaczenie.
W moim osobistym życiu widziałem wiele razy miłosierne oblicze Boga, Jego cierpliwość. Widziałem również w wielu ludziach odwagę, by wejść w rany Jezusa, mówiąc Jemu: Panie, oto jestem, przyjmij moje ubóstwo, ukryj w Twoich ranach mój grzech, obmyj go swoją krwią. Zawsze widziałem, że Bóg to uczynił, przyjął, pocieszył, obmył, umiłował.
Drodzy bracia i siostry, dajmy się objąć Bożym miłosierdziem. Zaufajmy Jego cierpliwości, która zawsze daje nam czas. Miejmy odwagę, aby wrócić do Jego domu, by zamieszkać w ranach Jego miłości, dając się Jemu miłować, spotkać Jego miłosierdzie w sakramentach. Poczujemy Jego czułość – tak piękną –odczujemy jego objęcie, a my także będziemy bardziej zdolni do miłosierdzia, cierpliwości, przebaczenia i miłości.
[00460-09.02] [Testo originale: Italiano]
[B0207-XX.04]