Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


SANTA MESSA PER L’INIZIO DEL MINISTERO PETRINO DEL VESCOVO DI ROMA FRANCESCO, 19.03.2013


Alle ore 9.30 di oggi, Solennità di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria e patrono della Chiesa universale, il Santo Padre Francesco presiede, sul sagrato della Basilica Vaticana, la Santa Messa per l’inizio ufficiale del Suo ministero petrino.

Prima della Celebrazione Eucaristica il Papa scende, con i Patriarchi delle Chiese Orientali, al Sepolcro di San Pietro sotto la Basilica Vaticana e vi sosta in preghiera, incensando poi il Trophæum Apostolico.

Risalendo in Basilica, il Santo Padre si unisce alla processione dei cardinali concelebranti, che - preceduta dai diaconi che portano il Pallio pastorale, l’Anello del Pescatore e l’Evangeliario - raggiunge l’altare sul sagrato della Basilica al canto delle Laudes Regiæ.

Prima della Santa Messa hanno luogo i riti specifici dell’inizio del pontificato: l’imposizione del Pallio da parte del Cardinale Protodiacono Jean-Louis Tauran, con una preghiera recitata dal Cardinale Protopresbitero Godfried Danneels; la consegna dell’Anello del Pescatore da parte del Cardinale Decano Angelo Sodano e l’obbedienza prestata al Santo Padre da sei Cardinali a nome di tutto il Collegio: per l’Ordine dei Vescovi: il Card. Giovanni Battista Re e il Card. Tarcisio Bertone; per l’Ordine dei Presbiteri: il Card. Joachim Meisner e il Card. Jozef Tomko; per l’Ordine dei Diaconi: il Card. Renato Raffaele Martino e il Card. Francesco Marchisano.

Nel corso della Santa Messa, concelebrata con i Cardinali, i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, il Segretario della Congregazione per i Vescovi S.E. Mons. Lorenzo Baldisseri, e con i Padri José Rodríguez Carbalho, o.f.m. e Alfonso Nicolás, s.i., rispettivamente Presidente e Vicepresidente dell’Unione Superiori Generali, il Santo Padre Francesco tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.

Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).

Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.

Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è "custode", perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!

La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!

E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli "Erode" che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.

Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo "custodi" della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per "custodire" dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!

E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!

Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!

Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.

Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!

Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.

[00384-01.02] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs !

Je remercie le Seigneur de pouvoir célébrer cette Messe de l’inauguration de mon ministère pétrinien en la solennité de saint Joseph, époux de la Vierge Marie et Patron de l’Église universelle : c’est une coïncidence très riche de signification, et c’est aussi la fête de mon vénéré Prédécesseur : nous lui sommes proches par la prière, pleins d’affection et de reconnaissance.

Je salue avec affection les Frères Cardinaux et Évêques, les prêtres, les diacres, les religieux et les religieuses et tous les fidèles laïcs. Je remercie de leur présence les représentants des autres Églises et Communautés ecclésiales, de même que les représentants de la communauté juive et d’autres communautés religieuses. J’adresse mon cordial salut aux Chefs d’État et de Gouvernement, aux Délégations officielles de nombreux pays du monde et au Corps diplomatique.

Nous avons entendu dans l’Évangile que « Joseph fit ce que l’ange du Seigneur lui avait prescrit : il prit chez lui son épouse » (Mt 1, 24). Dans ces paroles est déjà contenue la mission que Dieu confie à Joseph, celle d’être custos, gardien. Gardien de qui ? De Marie et de Jésus ; mais c’est une garde qui s’étend ensuite à l’Église, comme l’a souligné le bienheureux Jean-Paul II : « Saint Joseph a pris un soin affectueux de Marie et s’est consacré avec joie à l’éducation de Jésus Christ, de même il est le gardien et le protecteur de son Corps mystique, l’Église, dont la Vierge sainte est la figure et le modèle » (Exhort. apost. Redemptoris Custos, n. 1).

Comment Joseph exerce-t-il cette garde ? Avec discrétion, avec humilité, dans le silence, mais par une présence constante et une fidélité totale, même quand il ne comprend pas. Depuis son mariage avec Marie jusqu’à l’épisode de Jésus, enfant de douze ans, dans le Temple de Jérusalem, il accompagne chaque moment avec prévenance et avec amour. Il est auprès de Marie son épouse dans les moments sereins et dans les moments difficiles de la vie, dans le voyage à Bethléem pour le recensement et dans les heures d’anxiété et de joie de l’enfantement ; au moment dramatique de la fuite en Égypte et dans la recherche inquiète du fils au Temple ; et ensuite dans le quotidien de la maison de Nazareth, dans l’atelier où il a enseigné le métier à Jésus.

Comment Joseph vit-il sa vocation de gardien de Marie, de Jésus, de l’Église ? Dans la constante attention à Dieu, ouvert à ses signes, disponible à son projet, non pas tant au sien propre ; et c’est cela que Dieu demande à David, comme nous l’avons entendu dans la première Lecture : Dieu ne désire pas une maison construite par l’homme, mais il désire la fidélité à sa Parole, à son dessein ; c’est Dieu lui-même qui construit la maison, mais de pierres vivantes marquées de son Esprit. Et Joseph est « gardien », parce qu’il sait écouter Dieu, il se laisse guider par sa volonté, et justement pour cela il est encore plus sensible aux personnes qui lui sont confiées, il sait lire avec réalisme les événements, il est attentif à ce qui l’entoure, et il sait prendre les décisions les plus sages. En lui, chers amis, nous voyons comment on répond à la vocation de Dieu, avec disponibilité, avec promptitude, mais nous voyons aussi quel est le centre de la vocation chrétienne : le Christ ! Nous gardons le Christ dans notre vie, pour garder les autres, pour garder la création !

La vocation de garder, cependant, ne nous concerne pas seulement nous les chrétiens, elle a une dimension qui précède et qui est simplement humaine, elle concerne tout le monde. C’est le fait de garder la création tout entière, la beauté de la création, comme il nous est dit dans le Livre de la Genèse et comme nous l’a montré saint François d’Assise : c’est le fait d’avoir du respect pour toute créature de Dieu et pour l’environnement dans lequel nous vivons. C’est le fait de garder les gens, d’avoir soin de tous, de chaque personne, avec amour, spécialement des enfants, des personnes âgées, de celles qui sont plus fragiles et qui souvent sont dans la périphérie de notre cœur. C’est d’avoir soin l’un de l’autre dans la famille : les époux se gardent réciproquement, puis comme parents ils prennent soin des enfants et avec le temps aussi les enfants deviennent gardiens des parents. C’est le fait de vivre avec sincérité les amitiés, qui sont une garde réciproque dans la confiance, dans le respect et dans le bien. Au fond, tout est confié à la garde de l’homme, et c’est une responsabilité qui nous concerne tous. Soyez des gardiens des dons de Dieu !

Et quand l’homme manque à cette responsabilité, quand nous ne prenons pas soin de la création et des frères, alors la destruction trouve une place et le cœur s’endurcit. À chaque époque de l’histoire, malheureusement, il y a des « Hérode » qui trament des desseins de mort, détruisent et défigurent le visage de l’homme et de la femme.

Je voudrais demander, s’il vous plaît, à tous ceux qui occupent des rôles de responsabilité dans le domaine économique, politique ou social, à tous les hommes et à toutes les femmes de bonne volonté : nous sommes « gardiens » de la création, du dessein de Dieu inscrit dans la nature, gardiens de l’autre, de l’environnement ; ne permettons pas que des signes de destruction et de mort accompagnent la marche de notre monde ! Mais pour « garder » nous devons aussi avoir soin de nous-mêmes ! Rappelons-nous que la haine, l’envie, l’orgueil souillent la vie ! Garder veut dire alors veiller sur nos sentiments, sur notre cœur, parce que c’est de là que sortent les intentions bonnes et mauvaises : celles qui construisent et celles qui détruisent ! Nous ne devons pas avoir peur de la bonté, et même pas non plus de la tendresse !

Et ici j’ajoute alors une remarque supplémentaire : le fait de prendre soin, de garder, demande bonté, demande d’être vécu avec tendresse. Dans les Évangiles, saint Joseph apparaît comme un homme fort, courageux, travailleur, mais dans son âme émerge une grande tendresse, qui n’est pas la vertu du faible, mais au contraire, dénote une force d’âme et une capacité d’attention, de compassion, de vraie ouverture à l’autre, d’amour. Nous ne devons pas avoir peur de la bonté, de la tendresse !

Aujourd’hui, en même temps que la fête de saint Joseph, nous célébrons l’inauguration du ministère du nouvel Évêque de Rome, Successeur de Pierre, qui comporte aussi un pouvoir. Certes, Jésus Christ a donné un pouvoir à Pierre, mais de quel pouvoir s’agit-il ? À la triple question de Jésus à Pierre sur l’amour, suit une triple invitation : sois le pasteur de mes agneaux, sois le pasteur de mes brebis. N’oublions jamais que le vrai pouvoir est le service et que le Pape aussi pour exercer le pouvoir doit entrer toujours plus dans ce service qui a son sommet lumineux sur la Croix ; il doit regarder vers le service humble, concret, riche de foi, de saint Joseph et comme lui, ouvrir les bras pour garder tout le Peuple de Dieu et accueillir avec affection et tendresse l’humanité tout entière, spécialement les plus pauvres, les plus faibles, les plus petits, ceux que Matthieu décrit dans le jugement final sur la charité : celui qui a faim, soif, est étranger, nu, malade, en prison (cf. Mt 25, 31-46). Seul celui qui sert avec amour sait garder !

Dans la deuxième Lecture, saint Paul parle d’Abraham, qui « espérant contre toute espérance, a cru » (Rm 4, 18). Espérant contre toute espérance ! Aujourd’hui encore devant tant de traits de ciel gris, nous avons besoin de voir la lumière de l’espérance et de donner nous-mêmes espérance. Garder la création, tout homme et toute femme, avec un regard de tendresse et d’amour, c’est ouvrir l’horizon de l’espérance, c’est ouvrir une trouée de lumière au milieu de tant de nuages, c’est porter la chaleur de l’espérance ! Et pour le croyant, pour nous chrétiens, comme Abraham, comme saint Joseph, l’espérance que nous portons a l’horizon de Dieu qui nous a été ouvert dans le Christ, est fondée sur le rocher qui est Dieu.

Garder Jésus et Marie, garder la création tout entière, garder chaque personne, spécialement la plus pauvre, nous garder nous-mêmes : voici un service que l’Évêque de Rome est appelé à accomplir, mais auquel nous sommes tous appelés pour faire resplendir l’étoile de l’espérance : gardons avec amour ce que Dieu nous a donné !

Je demande l’intercession de la Vierge Marie, de saint Joseph, des saints Pierre et Paul, de saint François, afin que l’Esprit Saint accompagne mon ministère et je vous dis à tous : priez pour moi ! Amen.

[00384-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

I thank the Lord that I can celebrate this Holy Mass for the inauguration of my Petrine ministry on the solemnity of Saint Joseph, the spouse of the Virgin Mary and the patron of the universal Church. It is a significant coincidence, and it is also the name-day of my venerable predecessor: we are close to him with our prayers, full of affection and gratitude.

I offer a warm greeting to my brother cardinals and bishops, the priests, deacons, men and women religious, and all the lay faithful. I thank the representatives of the other Churches and ecclesial Communities, as well as the representatives of the Jewish community and the other religious communities, for their presence. My cordial greetings go to the Heads of State and Government, the members of the official Delegations from many countries throughout the world, and the Diplomatic Corps.

In the Gospel we heard that "Joseph did as the angel of the Lord commanded him and took Mary as his wife" (Mt 1:24). These words already point to the mission which God entrusts to Joseph: he is to be the custos, the protector. The protector of whom? Of Mary and Jesus; but this protection is then extended to the Church, as Blessed John Paul II pointed out: "Just as Saint Joseph took loving care of Mary and gladly dedicated himself to Jesus Christ’s upbringing, he likewise watches over and protects Christ’s Mystical Body, the Church, of which the Virgin Mary is the exemplar and model" (Redemptoris Custos, 1).

How does Joseph exercise his role as protector? Discreetly, humbly and silently, but with an unfailing presence and utter fidelity, even when he finds it hard to understand. From the time of his betrothal to Mary until the finding of the twelve-year-old Jesus in the Temple of Jerusalem, he is there at every moment with loving care. As the spouse of Mary, he is at her side in good times and bad, on the journey to Bethlehem for the census and in the anxious and joyful hours when she gave birth; amid the drama of the flight into Egypt and during the frantic search for their child in the Temple; and later in the day-to-day life of the home of Nazareth, in the workshop where he taught his trade to Jesus.

How does Joseph respond to his calling to be the protector of Mary, Jesus and the Church? By being constantly attentive to God, open to the signs of God’s presence and receptive to God’s plans, and not simply to his own. This is what God asked of David, as we heard in the first reading. God does not want a house built by men, but faithfulness to his word, to his plan. It is God himself who builds the house, but from living stones sealed by his Spirit. Joseph is a "protector" because he is able to hear God’s voice and be guided by his will; and for this reason he is all the more sensitive to the persons entrusted to his safekeeping. He can look at things realistically, he is in touch with his surroundings, he can make truly wise decisions. In him, dear friends, we learn how to respond to God’s call, readily and willingly, but we also see the core of the Christian vocation, which is Christ! Let us protect Christ in our lives, so that we can protect others, so that we can protect creation!

The vocation of being a "protector", however, is not just something involving us Christians alone; it also has a prior dimension which is simply human, involving everyone. It means protecting all creation, the beauty of the created world, as the Book of Genesis tells us and as Saint Francis of Assisi showed us. It means respecting each of God’s creatures and respecting the environment in which we live. It means protecting people, showing loving concern for each and every person, especially children, the elderly, those in need, who are often the last we think about. It means caring for one another in our families: husbands and wives first protect one another, and then, as parents, they care for their children, and children themselves, in time, protect their parents. It means building sincere friendships in which we protect one another in trust, respect, and goodness. In the end, everything has been entrusted to our protection, and all of us are responsible for it. Be protectors of God’s gifts!

Whenever human beings fail to live up to this responsibility, whenever we fail to care for creation and for our brothers and sisters, the way is opened to destruction and hearts are hardened. Tragically, in every period of history there are "Herods" who plot death, wreak havoc, and mar the countenance of men and women.

Please, I would like to ask all those who have positions of responsibility in economic, political and social life, and all men and women of goodwill: let us be "protectors" of creation, protectors of God’s plan inscribed in nature, protectors of one another and of the environment. Let us not allow omens of destruction and death to accompany the advance of this world! But to be "protectors", we also have to keep watch over ourselves! Let us not forget that hatred, envy and pride defile our lives! Being protectors, then, also means keeping watch over our emotions, over our hearts, because they are the seat of good and evil intentions: intentions that build up and tear down! We must not be afraid of goodness or even tenderness!

Here I would add one more thing: caring, protecting, demands goodness, it calls for a certain tenderness. In the Gospels, Saint Joseph appears as a strong and courageous man, a working man, yet in his heart we see great tenderness, which is not the virtue of the weak but rather a sign of strength of spirit and a capacity for concern, for compassion, for genuine openness to others, for love. We must not be afraid of goodness, of tenderness!

Today, together with the feast of Saint Joseph, we are celebrating the beginning of the ministry of the new Bishop of Rome, the Successor of Peter, which also involves a certain power. Certainly, Jesus Christ conferred power upon Peter, but what sort of power was it? Jesus’ three questions to Peter about love are followed by three commands: feed my lambs, feed my sheep. Let us never forget that authentic power is service, and that the Pope too, when exercising power, must enter ever more fully into that service which has its radiant culmination on the Cross. He must be inspired by the lowly, concrete and faithful service which marked Saint Joseph and, like him, he must open his arms to protect all of God’s people and embrace with tender affection the whole of humanity, especially the poorest, the weakest, the least important, those whom Matthew lists in the final judgment on love: the hungry, the thirsty, the stranger, the naked, the sick and those in prison (cf. Mt 25:31-46). Only those who serve with love are able to protect!

In the second reading, Saint Paul speaks of Abraham, who, "hoping against hope, believed" (Rom 4:18). Hoping against hope! Today too, amid so much darkness, we need to see the light of hope and to be men and women who bring hope to others. To protect creation, to protect every man and every woman, to look upon them with tenderness and love, is to open up a horizon of hope; it is to let a shaft of light break through the heavy clouds; it is to bring the warmth of hope! For believers, for us Christians, like Abraham, like Saint Joseph, the hope that we bring is set against the horizon of God, which has opened up before us in Christ. It is a hope built on the rock which is God.

To protect Jesus with Mary, to protect the whole of creation, to protect each person, especially the poorest, to protect ourselves: this is a service that the Bishop of Rome is called to carry out, yet one to which all of us are called, so that the star of hope will shine brightly. Let us protect with love all that God has given us!

I implore the intercession of the Virgin Mary, Saint Joseph, Saints Peter and Paul, and Saint Francis, that the Holy Spirit may accompany my ministry, and I ask all of you to pray for me! Amen.

[00384-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA 

Liebe Brüder und Schwestern!

Ich danke dem Herrn, dass ich diese heilige Messe zum feierlichen Beginn meines Petrusdienstes am Hochfest des heiligen Josef, des Bräutigams der Jungfrau Maria und Patrons der Weltkirche feiern kann: Es ist ein ganz bedeutungsreiches Zusammentreffen, und es ist auch der Namenstag meines verehrten Vorgängers – wir sind ihm nahe mit dem Gebet voller Liebe und Dankbarkeit.

Herzlich begrüße ich meine Mitbrüder, die Kardinäle und Bischöfe, die Priester, Diakone, Ordensleute und alle gläubigen Laien. Ich danke den Vertretern der anderen Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften wie auch den Vertretern der jüdischen Gemeinde und anderer Religionsgemeinschaften für ihre Anwesenheit. Meinen herzlichen Gruß richte ich an die Staats- und Regierungschefs, an die offiziellen Delegationen vieler Länder der Welt und an das diplomatische Korps.

Wir haben im Evangelium gehört, dass Josef „tat, was der Engel des Herrn ihm befohlen hatte, und nahm seine Frau zu sich" (Mt 1,24). In diesen Worten ist schon die Aufgabe enthalten, die Gott dem Josef anvertraut, nämlich custos – Hüter – zu sein. Hüter von wem? Von Maria und Jesus; aber es ist eine Obhut, die sich dann auf die Kirche ausweitet: Der selige Johannes Paul II. hat hervorgehoben, dass „der hl. Josef so, wie er für Maria liebevoll Sorge trug und sich voll Freude und Eifer der Erziehung Jesu Christi widmete, seinen mystischen Leib, die Kirche, deren Gestalt und Vorbild die heilige Jungfrau ist, hütet und beschützt" (Apostolisches Schreiben Redemptoris Custos, 1).

Wie führt Josef diese Hüter-Tätigkeit aus? Rücksichtsvoll, demütig, im Stillen, aber beständig gegenwärtig und in absoluter Treue, auch dann, wenn er nicht versteht. Von der Heimholung Marias bis zur Episode des zwölfjährigen Jesus im Tempel von Jerusalem begleitet er fürsorglich und liebevoll jeden Moment. Er steht Maria, seiner Braut, in den unbeschwerten wie in den schwierigen Momenten des Lebens zur Seite, auf der Reise nach Bethlehem zur Volkszählung und in den bangen und frohen Stunden der Geburt; im dramatischen Moment der Flucht nach Ägypten und bei der sorgenvollen Suche des Sohnes, der im Tempel geblieben war; und dann im Alltag des Hauses in Nazaret, in der Werkstatt, wo er Jesus das Handwerk gelehrt hat.

Wie lebt Josef seine Berufung als Hüter von Maria, Jesus und der Kirche? In der ständigen Aufmerksamkeit gegenüber Gott, offen für dessen Zeichen, verfügbar für dessen Plan, dem er den eigenen unterordnet. Es ist das, was Gott von David verlangt, wie wir in der ersten Lesung gehört haben: Gott will nicht ein vom Menschen gebautes Haus, sondern er wünscht sich die Treue zu seinem Wort, zu seinem Plan. Und Gott selbst ist es dann, der das Haus baut, aber aus lebendigen, von seinem Geist gekennzeichneten Steinen. Und Josef ist „Hüter", weil er auf Gott zu hören versteht, sich von seinem Willen leiten lässt. Und gerade deshalb ist er noch einfühlsamer für die ihm anvertrauten Menschen, weiß mit Realismus die Ereignisse zu deuten, ist aufmerksam auf seine Umgebung und versteht die klügsten Entscheidungen zu treffen. An ihm sehen wir, liebe Freunde, wie man auf den Ruf Gottes antwortet: verfügbar und unverzüglich; aber wir sehen auch, welches die Mitte der christlichen Berufung ist: Christus! Hüten wir Christus in unserem Leben, um die anderen zu behüten, um die Schöpfung zu bewahren!

Die Berufung zum Hüten geht jedoch nicht nur uns Christen an; sie hat eine Dimension, die vorausgeht und die einfach menschlich ist, die alle betrifft. Sie besteht darin, die gesamte Schöpfung, die Schönheit der Schöpfung zu bewahren, wie uns im Buch Genesis gesagt wird und wie es uns der heilige Franziskus von Assisi gezeigt hat: Sie besteht darin, Achtung zu haben vor jedem Geschöpf Gottes und vor der Umwelt, in der wir leben. Die Menschen zu hüten, sich um alle zu kümmern, um jeden Einzelnen, mit Liebe, besonders um die Kinder, die alten Menschen, um die, welche schwächer sind und oft in unserem Herzen an den Rand gedrängt werden. Sie besteht darin, in der Familie aufeinander zu achten: Die Eheleute behüten sich gegenseitig, als Eltern kümmern sie sich dann um die Kinder, und mit der Zeit werden auch die Kinder zu Hütern ihrer Eltern. Sie besteht darin, die Freundschaften in Aufrichtigkeit zu leben; sie sind ein Einander-Behüten in Vertrautheit, gegenseitiger Achtung und im Guten. Im Grunde ist alles der Obhut des Menschen anvertraut, und das ist eine Verantwortung, die alle betrifft. Seid Hüter der Gaben Gottes!

Und wenn der Mensch dieser Verantwortung nicht nachkommt, wenn wir uns nicht um die Schöpfung und um die Mitmenschen kümmern, dann gewinnt die Zerstörung Raum, und das Herz verdorrt. In jeder Epoche der Geschichte gibt es leider solche „Herodes", die Pläne des Todes schmieden, das Gesicht des Menschen zerstören und entstellen.

Alle Verantwortungsträger auf wirtschaftlichem, politischem und sozialem Gebiet, alle Männer und Frauen guten Willens möchte ich herzlich bitten: Lasst uns „Hüter" der Schöpfung, des in die Natur hineingelegten Planes Gottes sein, Hüter des anderen, der Umwelt; lassen wir nicht zu, dass Zeichen der Zerstörung und des Todes den Weg dieser unserer Welt begleiten! Doch um zu „behüten", müssen wir auch auf uns selber Acht geben! Erinnern wir uns daran, dass Hass, Neid und Hochmut das Leben verunreinigen! Hüten bedeutet also, über unsere Gefühle, über unser Herz zu wachen, denn von dort gehen unsere guten und bösen Absichten aus: die, welche aufbauen, und die, welche zerstören! Wir dürfen keine Angst haben vor der Güte, ja, nicht einmal vor der Zärtlichkeit!

Und hier füge ich noch eine letzte Anmerkung hinzu: Das sich Kümmern, das Hüten verlangt Güte, es verlangt, mit Zärtlichkeit gelebt zu werden. In den Evangelien erscheint Josef als ein starker, mutiger, arbeitsamer Mann, aber in seinem Innern zeigt sich eine große Zärtlichkeit, die nicht etwa die Tugend des Schwachen ist, nein, im Gegenteil: Sie deutet auf eine Seelenstärke hin und auf die Fähigkeit zu Aufmerksamkeit, zu Mitleid, zu wahrer Öffnung für den anderen, zu Liebe. Wir dürfen uns nicht fürchten vor Güte, vor Zärtlichkeit!

Heute feiern wir zusammen mit dem Fest des heiligen Josef die Amtseinführung des neuen Bischofs von Rom, des Nachfolgers Petri – ein Amt, das auch Macht beinhaltet. Gewiss, Jesus Christus hat Petrus Macht verliehen, aber um was für eine Macht handelt es sich? Auf die dreifache Frage Jesu an Petrus über die Liebe folgt die dreifache Aufforderung: Weide meine Lämmer, weide meine Schafe. Vergessen wir nie, dass die wahre Macht der Dienst ist und dass auch der Papst, um seine Macht auszuüben, immer mehr in jenen Dienst eintreten muss, der seinen leuchtenden Höhepunkt am Kreuz hat; dass er auf den demütigen, konkreten, von Glauben erfüllten Dienst des heiligen Josef schauen und wie er die Arme ausbreiten muss, um das ganze Volk Gottes zu hüten und mit Liebe und Zärtlichkeit die gesamte Menschheit anzunehmen, besonders die Ärmsten, die Schwächsten, die Geringsten, diejenigen, die Matthäus im Letzten Gericht über die Liebe beschreibt: die Hungernden, die Durstigen, die Fremden, die Nackten, die Kranken, die Gefangenen (vgl. Mt 25, 31-46). Nur wer mit Liebe dient, weiß zu behüten!

In der zweiten Lesung spricht der heilige Paulus von Abraham, der „gegen alle Hoffnung … voll Hoffnung geglaubt" hat (Röm 4,18). Gegen alle Hoffnung voll Hoffnung! Auch heute, angesichts so vieler Wegstrecken mit grauem Himmel, haben wir es nötig, das Licht der Hoffnung zu sehen, selber Hoffnung zu geben. Die Schöpfung zu bewahren, jeden Mann und jede Frau zu behüten mit einem Blick voller Zärtlichkeit und Liebe, bedeutet, den Horizont der Hoffnung zu öffnen, bedeutet, all die Wolken aufzureißen für einen Lichtstrahl, bedeutet, die Wärme der Hoffnung zu bringen! Und für den Glaubenden, für uns Christen – wie schon für Abraham und für den heiligen Josef – hat die Hoffnung, die wir bringen, den Horizont Gottes, der uns in Christus aufgetan ist; ist die Hoffnung auf den Felsen gegründet, der Gott ist.

Jesus mit Maria zu behüten, die gesamte Schöpfung zu behüten, jeden Menschen zu behüten, besonders den Ärmsten, uns selber zu behüten: das ist ein Dienst, den zu erfüllen der Bischof von Rom berufen ist, zu dem wir aber alle berufen sind, um den Stern der Hoffnung leuchten zu lassen: Hüten wir mit Liebe, was Gott uns geschenkt hat!

Ich bitte um die Fürsprache der Jungfrau Maria, des heiligen Josef, der heiligen Petrus und Paulus, des heiligen Franziskus, dass der Heilige Geist meinen Dienst begleite, und zu euch allen sage ich: Betet für mich! Amen.

[00384-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas

Doy gracias al Señor por poder celebrar esta Santa Misa de comienzo del ministerio petrino en la solemnidad de san José, esposo de la Virgen María y patrono de la Iglesia universal: es una coincidencia muy rica de significado, y es también el onomástico de mi venerado Predecesor: le estamos cercanos con la oración, llena de afecto y gratitud.

Saludo con afecto a los hermanos Cardenales y Obispos, a los presbíteros, diáconos, religiosos y religiosas y a todos los fieles laicos. Agradezco por su presencia a los representantes de las otras Iglesias y Comunidades eclesiales, así como a los representantes de la comunidad judía y otras comunidades religiosas. Dirijo un cordial saludo a los Jefes de Estado y de Gobierno, a las delegaciones oficiales de tantos países del mundo y al Cuerpo Diplomático.

Hemos escuchado en el Evangelio que «José hizo lo que el ángel del Señor le había mandado, y recibió a su mujer» (Mt 1,24). En estas palabras se encierra ya la la misión que Dios confía a José, la de ser custos, custodio. Custodio ¿de quién? De María y Jesús; pero es una custodia que se alarga luego a la Iglesia, como ha señalado el beato Juan Pablo II: «Al igual que cuidó amorosamente a María y se dedicó con gozoso empeño a la educación de Jesucristo, también custodia y protege su cuerpo místico, la Iglesia, de la que la Virgen Santa es figura y modelo» (Exhort. ap. Redemptoris Custos, 1).

¿Cómo ejerce José esta custodia? Con discreción, con humildad, en silencio, pero con una presencia constante y una fidelidad y total, aun cuando no comprende. Desde su matrimonio con María hasta el episodio de Jesús en el Templo de Jerusalén a los doce años, acompaña en todo momento con esmero y amor. Está junto a María, su esposa, tanto en los momentos serenos de la vida como los difíciles, en el viaje a Belén para el censo y en las horas temblorosas y gozosas del parto; en el momento dramático de la huida a Egipto y en la afanosa búsqueda de su hijo en el Templo; y después en la vida cotidiana en la casa de Nazaret, en el taller donde enseñó el oficio a Jesús

¿Cómo vive José su vocación como custodio de María, de Jesús, de la Iglesia? Con la atención constante a Dios, abierto a sus signos, disponible a su proyecto, y no tanto al propio; y eso es lo que Dios le pidió a David, como hemos escuchado en la primera Lectura: Dios no quiere una casa construida por el hombre, sino la fidelidad a su palabra, a su designio; y es Dios mismo quien construye la casa, pero de piedras vivas marcadas por su Espíritu. Y José es «custodio» porque sabe escuchar a Dios, se deja guiar por su voluntad, y precisamente por eso es más sensible aún a las personas que se le han confiado, sabe cómo leer con realismo los acontecimientos, está atento a lo que le rodea, y sabe tomar las decisiones más sensatas. En él, queridos amigos, vemos cómo se responde a la llamada de Dios, con disponibilidad, con prontitud; pero vemos también cuál es el centro de la vocación cristiana: Cristo. Guardemos a Cristo en nuestra vida, para guardar a los demás, salvaguardar la creación.

Pero la vocación de custodiar no sólo nos atañe a nosotros, los cristianos, sino que tiene una dimensión que antecede y que es simplemente humana, corresponde a todos. Es custodiar toda la creación, la belleza de la creación, como se nos dice en el libro del Génesis y como nos muestra san Francisco de Asís: es tener respeto por todas las criaturas de Dios y por el entorno en el que vivimos. Es custodiar a la gente, el preocuparse por todos, por cada uno, con amor, especialmente por los niños, los ancianos, quienes son más frágiles y que a menudo se quedan en la periferia de nuestro corazón. Es preocuparse uno del otro en la familia: los cónyuges se guardan recíprocamente y luego, como padres, cuidan de los hijos, y con el tiempo, también los hijos se convertirán en cuidadores de sus padres. Es vivir con sinceridad las amistades, que son un recíproco protegerse en la confianza, en el respeto y en el bien. En el fondo, todo está confiado a la custodia del hombre, y es una responsabilidad que nos afecta a todos. Sed custodios de los dones de Dios.

Y cuando el hombre falla en esta responsabilidad, cuando no nos preocupamos por la creación y por los hermanos, entonces gana terreno la destrucción y el corazón se queda árido. Por desgracia, en todas las épocas de la historia existen «Herodes» que traman planes de muerte, destruyen y desfiguran el rostro del hombre y de la mujer.

Quisiera pedir, por favor, a todos los que ocupan puestos de responsabilidad en el ámbito económico, político o social, a todos los hombres y mujeres de buena voluntad: seamos «custodios» de la creación, del designio de Dios inscrito en la naturaleza, guardianes del otro, del medio ambiente; no dejemos que los signos de destrucción y de muerte acompañen el camino de este mundo nuestro. Pero, para «custodiar», también tenemos que cuidar de nosotros mismos. Recordemos que el odio, la envidia, la soberbia ensucian la vida. Custodiar quiere decir entonces vigilar sobre nuestros sentimientos, nuestro corazón, porque ahí es de donde salen las intenciones buenas y malas: las que construyen y las que destruyen. No debemos tener miedo de la bondad, más aún, ni siquiera de la ternura.

Y aquí añado entonces una ulterior anotación: el preocuparse, el custodiar, requiere bondad, pide ser vivido con ternura. En los Evangelios, san José aparece como un hombre fuerte y valiente, trabajador, pero en su alma se percibe una gran ternura, que no es la virtud de los débiles, sino más bien todo lo contrario: denota fortaleza de ánimo y capacidad de atención, de compasión, de verdadera apertura al otro, de amor. No debemos tener miedo de la bondad, de la ternura.

Hoy, junto a la fiesta de San José, celebramos el inicio del ministerio del nuevo Obispo de Roma, Sucesor de Pedro, que comporta también un poder. Ciertamente, Jesucristo ha dado un poder a Pedro, pero ¿de qué poder se trata? A las tres preguntas de Jesús a Pedro sobre el amor, sigue la triple invitación: Apacienta mis corderos, apacienta mis ovejas. Nunca olvidemos que el verdadero poder es el servicio, y que también el Papa, para ejercer el poder, debe entrar cada vez más en ese servicio que tiene su culmen luminoso en la cruz; debe poner sus ojos en el servicio humilde, concreto, rico de fe, de san José y, como él, abrir los brazos para custodiar a todo el Pueblo de Dios y acoger con afecto y ternura a toda la humanidad, especialmente los más pobres, los más débiles, los más pequeños; eso que Mateo describe en el juicio final sobre la caridad: al hambriento, al sediento, al forastero, al desnudo, al enfermo, al encarcelado (cf. Mt 25,31-46). Sólo el que sirve con amor sabe custodiar.

En la segunda Lectura, san Pablo habla de Abraham, que «apoyado en la esperanza, creyó, contra toda esperanza» (Rm 4,18). Apoyado en la esperanza, contra toda esperanza. También hoy, ante tantos cúmulos de cielo gris, hemos de ver la luz de la esperanza y dar nosotros mismos esperanza. Custodiar la creación, cada hombre y cada mujer, con una mirada de ternura y de amor; es abrir un resquicio de luz en medio de tantas nubes; es llevar el calor de la esperanza. Y, para el creyente, para nosotros los cristianos, como Abraham, como san José, la esperanza que llevamos tiene el horizonte de Dios, que se nos ha abierto en Cristo, está fundada sobre la roca que es Dios.

Custodiar a Jesús con María, custodiar toda la creación, custodiar a todos, especialmente a los más pobres, custodiarnos a nosotros mismos; he aquí un servicio que el Obispo de Roma está llamado a desempeñar, pero al que todos estamos llamados, para hacer brillar la estrella de la esperanza: protejamos con amor lo que Dios nos ha dado.

Imploro la intercesión de la Virgen María, de san José, de los Apóstoles san Pedro y san Pablo, de san Francisco, para que el Espíritu Santo acompañe mi ministerio, y a todos vosotros os digo: Orad por mí. Amen.

[00384-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos irmãos e irmãs!

Agradeço ao Senhor por poder celebrar esta Santa Missa de início do ministério petrino na solenidade de São José, esposo da Virgem Maria e patrono da Igreja universal: é uma coincidência densa de significado e é também o onomástico do meu venerado Predecessor: acompanhamo-lo com a oração, cheia de estima e gratidão.

Saúdo, com afecto, os Irmãos Cardeais e Bispos, os sacerdotes, os diáconos, os religiosos e as religiosas e todos os fiéis leigos. Agradeço, pela sua presença, aos Representantes das outras Igrejas e Comunidades eclesiais, bem como aos representantes da comunidade judaica e de outras comunidades religiosas. Dirijo a minha cordial saudação aos Chefes de Estado e de Governo, às Delegações oficiais de tantos países do mundo e ao Corpo Diplomático.

Ouvimos ler, no Evangelho, que «José fez como lhe ordenou o anjo do Senhor e recebeu sua esposa» (Mt 1, 24). Nestas palavras, encerra-se já a missão que Deus confia a José: ser custos, guardião. Guardião de quem? De Maria e de Jesus, mas é uma guarda que depois se alarga à Igreja, como sublinhou o Beato João Paulo II: «São José, assim como cuidou com amor de Maria e se dedicou com empenho jubiloso à educação de Jesus Cristo, assim também guarda e protege o seu Corpo místico, a Igreja, da qual a Virgem Santíssima é figura e modelo» (Exort. ap. Redemptoris Custos, 1).

Como realiza José esta guarda? Com discrição, com humildade, no silêncio, mas com uma presença constante e uma fidelidade total, mesmo quando não consegue entender. Desde o casamento com Maria até ao episódio de Jesus, aos doze anos, no templo de Jerusalém, acompanha com solicitude e amor cada momento. Permanece ao lado de Maria, sua esposa, tanto nos momentos serenos como nos momentos difíceis da vida, na ida a Belém para o recenseamento e nas horas ansiosas e felizes do parto; no momento dramático da fuga para o Egipto e na busca preocupada do filho no templo; e depois na vida quotidiana da casa de Nazaré, na carpintaria onde ensinou o ofício a Jesus.

Como vive José a sua vocação de guardião de Maria, de Jesus, da Igreja? Numa constante atenção a Deus, aberto aos seus sinais, disponível mais ao projecto d’Ele que ao seu. E isto mesmo é o que Deus pede a David, como ouvimos na primeira Leitura: Deus não deseja uma casa construída pelo homem, mas quer a fidelidade à sua Palavra, ao seu desígnio; e é o próprio Deus que constrói a casa, mas de pedras vivas marcadas pelo seu Espírito. E José é «guardião», porque sabe ouvir a Deus, deixa-se guiar pela sua vontade e, por isso mesmo, se mostra ainda mais sensível com as pessoas que lhe estão confiadas, sabe ler com realismo os acontecimentos, está atento àquilo que o rodeia, e toma as decisões mais sensatas. Nele, queridos amigos, vemos como se responde à vocação de Deus: com disponibilidade e prontidão; mas vemos também qual é o centro da vocação cristã: Cristo. Guardemos Cristo na nossa vida, para guardar os outros, para guardar a criação!

Entretanto a vocação de guardião não diz respeito apenas a nós, cristãos, mas tem uma dimensão antecedente, que é simplesmente humana e diz respeito a todos: é a de guardar a criação inteira, a beleza da criação, como se diz no livro de Génesis e nos mostrou São Francisco de Assis: é ter respeito por toda a criatura de Deus e pelo ambiente onde vivemos. É guardar as pessoas, cuidar carinhosamente de todas elas e cada uma, especialmente das crianças, dos idosos, daqueles que são mais frágeis e que muitas vezes estão na periferia do nosso coração. É cuidar uns dos outros na família: os esposos guardam-se reciprocamente, depois, como pais, cuidam dos filhos, e, com o passar do tempo, os próprios filhos tornam-se guardiões dos pais. É viver com sinceridade as amizades, que são um mútuo guardar-se na intimidade, no respeito e no bem. Fundamentalmente tudo está confiado à guarda do homem, e é uma responsabilidade que nos diz respeito a todos. Sede guardiões dos dons de Deus!

E quando o homem falha nesta responsabilidade, quando não cuidamos da criação e dos irmãos, então encontra lugar a destruição e o coração fica ressequido. Infelizmente, em cada época da história, existem «Herodes» que tramam desígnios de morte, destroem e deturpam o rosto do homem e da mulher.

Queria pedir, por favor, a quantos ocupam cargos de responsabilidade em âmbito económico, político ou social, a todos os homens e mulheres de boa vontade: sejamos «guardiões» da criação, do desígnio de Deus inscrito na natureza, guardiões do outro, do ambiente; não deixemos que sinais de destruição e morte acompanhem o caminho deste nosso mundo! Mas, para «guardar», devemos também cuidar de nós mesmos. Lembremo-nos de que o ódio, a inveja, o orgulho sujam a vida; então guardar quer dizer vigiar sobre os nossos sentimentos, o nosso coração, porque é dele que saem as boas intenções e as más: aquelas que edificam e as que destroem. Não devemos ter medo de bondade, ou mesmo de ternura.

A propósito, deixai-me acrescentar mais uma observação: cuidar, guardar requer bondade, requer ser praticado com ternura. Nos Evangelhos, São José aparece como um homem forte, corajoso, trabalhador, mas, no seu íntimo, sobressai uma grande ternura, que não é a virtude dos fracos, antes pelo contrário denota fortaleza de ânimo e capacidade de solicitude, de compaixão, de verdadeira abertura ao outro, de amor. Não devemos ter medo da bondade, da ternura!

Hoje, juntamente com a festa de São José, celebramos o início do ministério do novo Bispo de Roma, Sucessor de Pedro, que inclui também um poder. É certo que Jesus Cristo deu um poder a Pedro, mas de que poder se trata? À tríplice pergunta de Jesus a Pedro sobre o amor, segue-se o tríplice convite: apascenta os meus cordeiros, apascenta as minhas ovelhas. Não esqueçamos jamais que o verdadeiro poder é o serviço, e que o próprio Papa, para exercer o poder, deve entrar sempre mais naquele serviço que tem o seu vértice luminoso na Cruz; deve olhar para o serviço humilde, concreto, rico de fé, de São José e, como ele, abrir os braços para guardar todo o Povo de Deus e acolher, com afecto e ternura, a humanidade inteira, especialmente os mais pobres, os mais fracos, os mais pequeninos, aqueles que Mateus descreve no Juízo final sobre a caridade: quem tem fome, sede, é estrangeiro, está nu, doente, na prisão (cf. Mt 25, 31-46). Apenas aqueles que servem com amor capaz de proteger.

Na segunda Leitura, São Paulo fala de Abraão, que acreditou «com uma esperança, para além do que se podia esperar» (Rm 4, 18). Com uma esperança, para além do que se podia esperar! Também hoje, perante tantos pedaços de céu cinzento, há necessidade de ver a luz da esperança e de darmos nós mesmos esperança. Guardar a criação, cada homem e cada mulher, com um olhar de ternura e amor, é abrir o horizonte da esperança, é abrir um rasgo de luz no meio de tantas nuvens, é levar o calor da esperança! E, para o crente, para nós cristãos, como Abraão, como São José, a esperança que levamos tem o horizonte de Deus que nos foi aberto em Cristo, está fundada sobre a rocha que é Deus.

Guardar Jesus com Maria, guardar a criação inteira, guardar toda a pessoa, especialmente a mais pobre, guardarmo-nos a nós mesmos: eis um serviço que o Bispo de Roma está chamado a cumprir, mas para o qual todos nós estamos chamados, fazendo resplandecer a estrela da esperança: Guardemos com amor aquilo que Deus nos deu!

Peço a intercessão da Virgem Maria, de São José, de São Pedro e São Paulo, de São Francisco, para que o Espírito Santo acompanhe o meu ministério, e, a todos vós, digo: rezai por mim! Amen.

[00384-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Dziękuję Panu za możliwość sprawowania tej Mszy Świętej na początku posługi Piotrowej w uroczystość świętego Józefa, Oblubieńca Maryi Panny i patrona Kościoła powszechnego. Jest to okoliczność bardzo bogata w znaczenie, gdyż jest to także dzień imienin mojego czcigodnego Poprzednika. Jesteśmy blisko niego w modlitwie, pełnej miłości i wdzięczności.

Pozdrawiam serdecznie braci kardynałów i biskupów, kapłanów, diakonów, zakonników i zakonnice oraz wszystkich wiernych świeckich. Dziękuję za obecność przedstawicielom innych Kościołów i Wspólnot kościelnych, a także przedstawicielom społeczności żydowskiej oraz innych wspólnot religijnych. Kieruję serdeczne pozdrowienie do szefów państw i rządów, delegacji oficjalnych z wielu krajów świata oraz do korpusu dyplomatycznego.

Usłyszeliśmy w Ewangelii, że „Józef uczynił tak, jak mu polecił anioł Pański: wziął swoją Małżonkę do siebie" (Mt 1, 24). W słowach tych jest już zawarta misja, którą Bóg powierza Józefowi, aby był custos, opiekunem. Opiekunem kogo? Maryi i Jezusa. Jest to jednak opieka, która obejmuje następnie Kościół, jak to podkreślił bł. Jan Paweł II: „Święty Józef, który z miłością opiekował się Maryją i z radością poświęcił się wychowaniu Jezusa Chrystusa, także dziś strzeże i osłania mistyczne Ciało Odkupiciela, Kościół, którego figurą i wzorem jest Najświętsza Dziewica" (Adhortacja ap. Redemptoris Custos, 1).

Jak Józef realizuje tę opiekę? Z dyskrecją, pokorą, w milczeniu, ale będąc nieustannie obecnym i w całkowitej wierności, także wówczas, gdy nie rozumie. Z troską i miłością towarzyszy w każdej chwili, od małżeństwa z Maryją, aż do wydarzenia z dwunastoletnim Jezusem w Świątyni Jerozolimskiej. Jest u boku Maryi, swej Oblubienicy w pogodnych i trudnych wydarzeniach życia, w podróży do Betlejem na spis ludności i w chwilach niepokoju i radości narodzin. W dramatycznej chwili ucieczki do Egiptu i rozpaczliwym poszukiwaniu Syna w Świątyni. Następnie w życiu codziennym domu w Nazarecie, w warsztacie, gdzie uczył Jezusa zawodu.

Jak Józef przeżywa swoje powołanie opiekuna Maryi, Jezusa, Kościoła? Nieustannie nasłuchując Boga, będąc otwartym na Jego znaki, gotowym wypełniać nie tyle swój, ile Jego plan. Tego właśnie wymaga Bóg od Dawida, jak słyszeliśmy w pierwszym czytaniu: Bóg nie pragnie domu zbudowanego przez człowieka, ale wierności Jego słowu, Jego planowi. To sam Bóg buduje dom, ale z żywych kamieni naznaczonych Jego Duchem. Józef jest „opiekunem", bo umie słuchać Boga, pozwala się prowadzić Jego wolą i właśnie z tego względu jest jeszcze bardziej troskliwy o powierzone mu osoby, potrafi realistycznie odczytywać wydarzenia, jest czujny na to, co go otacza i potrafi podjąć najmądrzejsze decyzje. W nim widzimy, drodzy przyjaciele, jak się odpowiada na Boże powołanie – będąc dyspozycyjnym, gotowym. Widzimy też jednak, co stanowi centrum powołania chrześcijańskiego: Chrystus! Strzeżemy Chrystusa w naszym życiu, aby strzec innych, strzec dzieło stworzenia!

Jednakże powołanie strzeżenia nie dotyczy wyłącznie nas chrześcijan, ma wymiar przekraczający, ogólnoludzki, dotyczący wszystkich. Chodzi o opiekę nad całą rzeczywistością stworzoną, pięknem stworzenia, jak nam to mówi Księga Rodzaju i jak to nam ukazał św. Franciszek z Asyżu: to poszanowanie każdego Bożego stworzenia oraz środowiska, w którym żyjemy. Jest to strzeżenie ludzi, troszczenie się z miłością o wszystkich, każdą osobę, zwłaszcza o dzieci i osoby starsze, o tych, którzy są istotami najbardziej kruchymi i często znajdują się na obrzeżach naszych serc. To troska jedni o drugich w rodzinie: małżonkowie wzajemnie otaczają siebie opieką, następnie jako rodzice troszczą się o dzieci, a z biegiem czasu dzieci stają się opiekunami rodziców. To szczere przeżywanie przyjaźni, będących wzajemną troską o siebie w zaufaniu, w szacunku i w dobru. W istocie wszystko jest powierzone opiece człowieka i jest to odpowiedzialność, która dotyczy nas wszystkich. Bądźcie opiekunami Bożych darów!

A kiedy człowiekowi brakuje tej odpowiedzialności, kiedy nie troszczymy się o stworzenie i o braci, wówczas jest miejsce na zniszczenie, a serce staje się nieczułe. Niestety w każdej epoce dziejów są „Herodowie", którzy knują plany śmierci, niszczą, oszpecają oblicze mężczyzny i kobiety.

Chciałbym prosić wszystkich tych, którzy zajmują odpowiedzialne stanowiska w dziedzinie gospodarczej, politycznej i społecznej, wszystkich mężczyzn i kobiety dobrej woli: bądźmy „opiekunami" stworzenia, Bożego planu wypisanego w naturze, opiekunami bliźniego, środowiska. Nie pozwólmy, by znaki zniszczenia i śmierci towarzyszyły naszemu światu! By jednak „strzec" musimy też troszczyć się o nas samych! Pamiętajmy, że nienawiść, zazdrość, pycha zanieczyszczają życie! Tak więc strzec oznacza czuwać nad naszymi uczuciami, nad naszym sercem, gdyż z niego wychodzą intencje dobre i złe: te, które budują i te, które niszczą! Nie powinniśmy bać się dobroci, ani też wrażliwości!

Dołączam do tego jeszcze jedną uwagę: troszczenie się, strzeżenie wymaga, by było ono przeżywane z wrażliwością. W Ewangeliach św. Józef jawi się jako człowiek silny, mężny, robotnik, ale w jego charakterze pojawia się wielka wrażliwość, która nie jest cechą człowieka słabego – wręcz przeciwnie – oznacza siłę ducha i zdolność do zwrócenia uwagi, współczucia, prawdziwej otwartości na bliźniego, miłości. Nie powinniśmy bać się dobroci, czułości!

Dzisiaj wraz z uroczystością świętego Józefa obchodzimy początek posługi nowego Biskupa Rzymu, Następcy Piotra, która pociąga za sobą także pewną władzę. Oczywiście, Jezus Chrystus dał władzę Piotrowi, ale o jaką władzę chodzi? Po potrójnym pytaniu Jezusa do Piotra o miłość, następuje potrójne zaproszenie: Paś baranki moje, paś owce moje. Nigdy nie zapominajmy, że prawdziwą władzą jest służba i że także papież, by wypełniać władzę musi coraz bardziej wchodzić w tę posługę, która ma swój świetlisty szczyt na krzyżu, musi spoglądać na pokorną, konkretną, pełną wiary posługę św. Józefa i tak jak on otwierać ramiona, aby strzec całego Ludu Bożego i przyjąć z miłością i czułością całą ludzkość, zwłaszcza najuboższych, najsłabszych, najmniejszych, tych których św. Mateusz opisuje w sądzie ostatecznym z miłości: głodnych, spragnionych, przybyszów, nagich, chorych, w więzieniu (por. Mt 25,31-46). Tylko ten, kto służy z miłością potrafi strzec!

W drugim czytaniu, św. Paweł mówi o Abrahamie, który „wbrew nadziei uwierzył nadziei" (Rz 4, 18). Wbrew nadziei mocny nadzieją! Także dzisiaj, w obliczu tak wielu oznak szarego nieba, musimy dostrzec światło nadziei i dać nadzieję samym sobie. Strzec stworzenia, każdego mężczyzny i kobiety, ze spojrzeniem czułości i miłości, to otworzyć perspektywę nadziei, to otworzyć promień światła pośród wielu chmur, to przynieść ciepło nadziei! Dla człowieka wierzącego, dla nas chrześcijan, jak Abraham, jak św. Józef, nadzieja, którą niesiemy ma perspektywę Boga, która nam została otwarta w Chrystusie, zbudowana jest na skale, którą jest Bóg.

Strzec Jezusa wraz z Maryją, strzec całego stworzenia, strzec każdej osoby, zwłaszcza najuboższej, strzec nas samych: to właśnie jest posługa, do której wypełniania powołany jest Biskup Rzymu, ale do której wezwani jesteśmy wszyscy, aby zajaśniała gwiazda nadziei: Strzeżmy z miłością tego, czym Bóg nas obdarzył!

Proszę o wstawiennictwo Maryję Pannę, Świętego Józefa, świętych Piotra i Pawła, Świętego Franciszka, aby Duch Święty towarzyszył mojej posłudze, a wam wszystkim mówię: módlcie się za mnie! Amen.

[00384-09.01] [Testo originale: Italiano]

Al termine della Santa Messa per l’inizio ufficiale del Suo ministero petrino, il Santo Padre Francesco, deposti i paramenti nella Cappella della Pietà della Basilica Vaticana, si reca davanti all’Altare della Confessione, dove riceve il saluto dei Capi delle Delegazioni Ufficiali.

[B0162-XX.03]