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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO (11 FEBBRAIO 2013), 08.01.2013


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO (11 FEBBRAIO 2013)

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI in occasione della XXI Giornata Mondiale del Malato, che come di consueto ricorre l’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, e che quest’anno si celebra in forma solenne presso il Santuario mariano di Altötting, in Germania:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

«Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37)

Cari fratelli e sorelle!

1. L’11 febbraio 2013, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà in forma solenne, presso il Santuario mariano di Altötting, la XXI Giornata Mondiale del Malato. Tale giornata è per i malati, per gli operatori sanitari, per i fedeli cristiani e per tutte le persone di buona volontà «momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che, soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Lettera istitutiva della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992, 3). In questa circostanza, mi sento particolarmente vicino a ciascuno di voi, cari ammalati che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza. A tutti giungano le parole rassicuranti dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la sua trasparente immagine» (Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti).

2. Per accompagnarvi nel pellegrinaggio spirituale che da Lourdes, luogo e simbolo di speranza e di grazia, ci conduce verso il Santuario di Altötting, vorrei proporre alla vostra riflessione la figura emblematica del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). La parabola evangelica narrata da san Luca si inserisce in una serie di immagini e racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del Buon Samaritano, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (Enc. Spe salvi, 37).

3. Vari Padri della Chiesa hanno visto nella figura del Buon Samaritano Gesù stesso, e nell’uomo incappato nei briganti Adamo, l’Umanità smarrita e ferita per il proprio peccato (cfr Origene, Omelia sul Vangelo di Luca XXXIV, 1-9; Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 71-84; Agostino, Discorso 171). Gesù è il Figlio di Dio, Colui che rende presente l’amore del Padre, amore fedele, eterno, senza barriere né confini. Ma Gesù è anche Colui che "si spoglia" del suo "abito divino", che si abbassa dalla sua "condizione" divina, per assumere forma umana (Fil 2,6-8) e accostarsi al dolore dell’uomo, fino a scendere negli inferi, come recitiamo nel Credo, e portare speranza e luce. Egli non considera un tesoro geloso il suo essere uguale a Dio, il suo essere Dio (cfr Fil 2,6), ma si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza.

4. L’Anno della fede che stiamo vivendo costituisce un’occasione propizia per intensificare la diaconia della carità nelle nostre comunità ecclesiali, per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto. A questo proposito, vorrei richiamare alcune figure, tra le innumerevoli nella storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale, affinché siano di esempio e di stimolo. Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, "esperta della scientia amoris" (Giovanni Paolo II, Lett. ap., Novo Millennio ineunte, 42), seppe vivere «in unione profonda alla Passione di Gesù» la malattia che la condusse «alla morte attraverso grandi sofferenze». (Udienza Generale, 6 aprile 2011). Il Venerabile Luigi Novarese, del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo, nell’esercizio del suo ministero avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei Santuari mariani, in speciale modo alla grotta di Lourdes. Mosso dalla carità verso il prossimo, Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affette dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo fra l’altro la Giornata Mondiale contro la Lebbra. La beata Teresa di Calcutta iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’Eucaristia, per uscire poi nelle strade con la corona del Rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono "non voluti, non amati, non curati". Sant’Anna Schäffer di Mindelstetten seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo: «il letto di dolore diventò… cella conventuale e la sofferenza costituì il suo servizio missionario… Confortata dalla Comunione quotidiana, ella diventò un’instancabile strumento di intercessione nella preghiera e un riflesso dell’amore di Dio per molte persone che cercavano il suo consiglio» (Omelia per la canonizzazione, 21 ottobre 2012). Nel Vangelo emerge la figura della Beata Vergine Maria, che segue il Figlio sofferente fino al supremo sacrificio sul Golgota. Ella non perde mai la speranza nella vittoria di Dio sul male, sul dolore e sulla morte, e sa accogliere con lo stesso abbraccio di fede e di amore il Figlio di Dio nato nella grotta di Betlemme e morto sulla croce. La sua ferma fiducia nella potenza divina viene illuminata dalla Risurrezione di Cristo, che dona speranza a chi si trova nella sofferenza e rinnova la certezza della vicinanza e della consolazione del Signore.

5. Vorrei infine rivolgere il mio pensiero di viva riconoscenza e di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie cattoliche e alla stessa società civile, alle diocesi, alle comunità cristiane, alle famiglie religiose impegnate nella pastorale sanitaria, alle associazioni degli operatori sanitari e del volontariato. In tutti possa crescere la consapevolezza che «nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 38).

Affido questa XXI Giornata Mondiale del Malato all’intercessione della Santissima Vergine Maria delle Grazie venerata ad Altötting, affinché accompagni sempre l’umanità sofferente, in cerca di sollievo e di ferma speranza, aiuti tutti coloro che sono coinvolti nell’apostolato della misericordia a diventare dei buoni samaritani per i loro fratelli e sorelle provati dalla malattia e dalla sofferenza, mentre ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 gennaio 2013

BENEDICTUS PP XVI

[00028-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

"Go and do likewise" (Lk 10:37)

Dear Brothers and Sisters,

1. On 11 February 2013, the liturgical memorial of Our Lady of Lourdes, the Twenty-first World Day of the Sick will be solemnly celebrated at the Marian Shrine of Altötting. This day represents for the sick, for health care workers, for the faithful and for all people of goodwill "a privileged time of prayer, of sharing, of offering one’s sufferings for the good of the Church, and a call for all to recognize in the features of their suffering brothers and sisters the Holy Face of Christ, who, by suffering, dying and rising has brought about the salvation of mankind" (John Paul II, Letter for the Institution of the World Day of the Sick, 13 May 1992, 3). On this occasion I feel especially close to you, dear friends, who in health care centres or at home, are undergoing a time of trial due to illness and suffering. May all of you be sustained by the comforting words of the Fathers of the Second Vatican Council: "You are not alone, separated, abandoned or useless. You have been called by Christ and are his living and transparent image" (Message to the Poor, the Sick and the Suffering).

2. So as to keep you company on the spiritual pilgrimage that leads us from Lourdes, a place which symbolizes hope and grace, to the Shrine of Altötting, I would like to propose for your reflection the exemplary figure of the Good Samaritan (cf. Lk 10:25-37). The Gospel parable recounted by Saint Luke is part of a series of scenes and events taken from daily life by which Jesus helps us to understand the deep love of God for every human being, especially those afflicted by sickness or pain. With the concluding words of the parable of the Good Samaritan, "Go and do likewise" (Lk 10:37), the Lord also indicates the attitude that each of his disciples should have towards others, especially those in need. We need to draw from the infinite love of God, through an intense relationship with him in prayer, the strength to live day by day with concrete concern, like that of the Good Samaritan, for those suffering in body and spirit who ask for our help, whether or not we know them and however poor they may be. This is true, not only for pastoral or health care workers, but for everyone, even for the sick themselves, who can experience this condition from a perspective of faith: "It is not by sidestepping or fleeing from suffering that we are healed, but rather by our capacity for accepting it, maturing through it and finding meaning through union with Christ, who suffered with infinite love" (Spe Salvi, 37).

3. Various Fathers of the Church saw Jesus himself in the Good Samaritan; and in the man who fell among thieves they saw Adam, our very humanity wounded and disoriented on account of its sins (cf. Origen, Homily on the Gospel of Luke XXXIV,1-9; Ambrose, Commentary on the Gospel of Saint Luke, 71-84; Augustine, Sermon 171). Jesus is the Son of God, the one who makes present the Father’s love, a love which is faithful, eternal and without boundaries. But Jesus is also the one who sheds the garment of his divinity, who leaves his divine condition to assume the likeness of men (cf. Phil 2:6-8), drawing near to human suffering, even to the point of descending into hell, as we recite in the Creed, in order to bring hope and light. He does not jealously guard his equality with God (cf. Phil 2:6) but, filled with compassion, he looks into the abyss of human suffering so as to pour out the oil of consolation and the wine of hope.

4. The Year of Faith which we are celebrating is a fitting occasion for intensifying the service of charity in our ecclesial communities, so that each one of us can be a good Samaritan for others, for those close to us. Here I would like to recall the innumerable figures in the history of the Church who helped the sick to appreciate the human and spiritual value of their suffering, so that they might serve as an example and an encouragement. Saint Thérèse of the Child Jesus and the Holy Face, "an expert in the scientia amoris" (Novo Millennio Ineunte, 42), was able to experience "in deep union with the Passion of Jesus" the illness that brought her "to death through great suffering" (Address at General Audience, 6 April 2011). The Venerable Luigi Novarese, who still lives in the memory of many, throughout his ministry realized the special importance of praying for and with the sick and suffering, and he would often accompany them to Marian shrines, especially to the Grotto of Lourdes. Raoul Follereau, moved by love of neighbour, dedicated his life to caring for people afflicted by Hansen’s disease, even at the world’s farthest reaches, promoting, among other initiatives, World Leprosy Day. Blessed Teresa of Calcutta would always begin her day with an encounter with Jesus in the Eucharist and then she would go out into the streets, rosary in hand, to find and serve the Lord in the sick, especially in those "unwanted, unloved, uncared for". Saint Anna Schäffer of Mindelstetten, too, was able to unite in an exemplary way her sufferings to those of Christ: "her sick-bed became her cloister cell and her suffering a missionary service. Strengthened by daily communion, she became an untiring intercessor in prayer and a mirror of God’s love for the many who sought her counsel" (Canonization Homily, 21 October 2012). In the Gospel the Blessed Virgin Mary stands out as one who follows her suffering Son to the supreme sacrifice on Golgotha. She does not lose hope in God’s victory over evil, pain and death, and she knows how to accept in one embrace of faith and love, the Son of God who was born in the stable of Bethlehem and died on the Cross. Her steadfast trust in the power of God was illuminated by Christ’s resurrection, which offers hope to the suffering and renews the certainty of the Lord’s closeness and consolation.

5. Lastly, I would like to offer a word of warm gratitude and encouragement to Catholic health care institutions and to civil society, to Dioceses and Christian communities, to religious congregations engaged in the pastoral care of the sick, to health care workers’ associations and to volunteers. May all realize ever more fully that "the Church today lives a fundamental aspect of her mission in lovingly and generously accepting every human being, especially those who are weak and sick" (Christifideles Laici, 38).

I entrust this Twenty-first World Day of the Sick to the intercession of Our Lady of Graces, venerated at Altötting, that she may always accompany those who suffer in their search for comfort and firm hope. May she assist all who are involved in the apostolate of mercy, so that they may become good Samaritans to their brothers and sisters afflicted by illness and suffering. To all I impart most willingly my Apostolic Blessing.

From the Vatican, 2 January 2013

BENEDICTUS PP XVI

[00028-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

«Anda y haz tú lo mismo» (Lc 10,37)

Queridos hermanos y hermanas

1. El 11 de febrero de 2013, memoria litúrgica de la Bienaventurada Virgen María de Lourdes, en el Santuario mariano de Altötting, se celebrará solemnemente la XXI Jornada Mundial del Enfermo. Esta Jornada representa para todos los enfermos, agentes sanitarios, fieles cristianos y para todas la personas de buena voluntad, «un momento fuerte de oración, participación y ofrecimiento del sufrimiento para el bien de la Iglesia, así como de invitación a todos para que reconozcan en el rostro del hermano enfermo el santo rostro de Cristo que, sufriendo, muriendo y resucitando, realizó la salvación de la humanidad» (Juan Pablo II, Carta por la que se instituía la Jornada Mundial del Enfermo, 13 mayo 1992, 3). En esta ocasión, me siento especialmente cercano a cada uno de vosotros, queridos enfermos, que, en los centros de salud y de asistencia, o también en casa, vivís un difícil momento de prueba a causa de la enfermedad y el sufrimiento. Que lleguen a todos las palabras llenas de aliento pronunciadas por los Padres del Concilio Ecuménico Vaticano II: «No estáis… ni abandonados ni inútiles; sois los llamados por Cristo, su viva y transparente imagen» (Mensaje a los enfermos, a todos los que sufren).

2. Para acompañaros en la peregrinación espiritual que desde Lourdes, lugar y símbolo de esperanza y gracia, nos conduce hacia el Santuario de Altötting, quisiera proponer a vuestra consideración la figura emblemática del Buen Samaritano (cf. Lc 10,25-37). La parábola evangélica narrada por san Lucas forma parte de una serie de imágenes y narraciones extraídas de la vida cotidiana, con las que Jesús nos enseña el amor profundo de Dios por todo ser humano, especialmente cuando experimenta la enfermedad y el dolor. Pero además, con las palabras finales de la parábola del Buen Samaritano, «Anda y haz tú lo mismo» (Lc 10,37), el Señor nos señala cuál es la actitud que todo discípulo suyo ha de tener hacia los demás, especialmente hacia los que están necesitados de atención. Se trata por tanto de extraer del amor infinito de Dios, a través de una intensa relación con él en la oración, la fuerza para vivir cada día como el Buen Samaritano, con una atención concreta hacia quien está herido en el cuerpo y el espíritu, hacia quien pide ayuda, aunque sea un desconocido y no tenga recursos. Esto no sólo vale para los agentes pastorales y sanitarios, sino para todos, también para el mismo enfermo, que puede vivir su propia condición en una perspectiva de fe: «Lo que cura al hombre no es esquivar el sufrimiento y huir ante el dolor, sino la capacidad de aceptar la tribulación, madurar en ella y encontrar en ella un sentido mediante la unión con Cristo, que ha sufrido con amor infinito» (Enc. Spe salvi, 37).

3. Varios Padres de la Iglesia han visto en la figura del Buen Samaritano al mismo Jesús, y en el hombre caído en manos de los ladrones a Adán, a la humanidad perdida y herida por el propio pecado (cf. Orígenes, Homilía sobre el Evangelio de Lucas XXXIV, 1-9; Ambrosio, Comentario al Evangelio de san Lucas, 71-84; Agustín, Sermón 171). Jesús es el Hijo de Dios, que hace presente el amor del Padre, amor fiel, eterno, sin barreras ni límites. Pero Jesús es también aquel que «se despoja» de su «vestidura divina», que se rebaja de su «condición» divina, para asumir la forma humana (Flp 2,6-8) y acercarse al dolor del hombre, hasta bajar a los infiernos, como recitamos en el Credo, y llevar esperanza y luz. Él no retiene con avidez el ser igual a Dios (cf. Flp 6,6), sino que se inclina, lleno de misericordia, sobre el abismo del sufrimiento humano, para derramar el aceite del consuelo y el vino de la esperanza.

4. El Año de la fe que estamos viviendo constituye una ocasión propicia para intensificar la diaconía de la caridad en nuestras comunidades eclesiales, para ser cada uno buen samaritano del otro, del que está a nuestro lado. En este sentido, y para que nos sirvan de ejemplo y de estímulo, quisiera llamar la atención sobre algunas de las muchas figuras que en la historia de la Iglesia han ayudado a las personas enfermas a valorar el sufrimiento desde el punto de vista humano y espiritual. Santa Teresa del Niño Jesús y de la Santa Faz, «experta en la scientia amoris» (Juan Pablo II, Carta ap. Novo Millennio ineunte, 42), supo vivir «en profunda unión a la Pasión de Jesús» la enfermedad que «la llevaría a la muerte en medio de grandes sufrimientos» (Audiencia general, 6 abril 2011). El venerable Luigi Novarese, del que muchos conservan todavía hoy un vivo recuerdo, advirtió de manera particular en el ejercicio de su ministerio la importancia de la oración por y con los enfermos y los que sufren, a los que acompañaba con frecuencia a los santuarios marianos, de modo especial a la gruta de Lourdes. Movido por la caridad hacia el prójimo, Raúl Follereau dedicó su vida al cuidado de las personas afectadas por el morbo de Hansen, hasta en los lugares más remotos del planeta, promoviendo entre otras cosas la Jornada Mundial contra la lepra. La beata Teresa de Calcuta comenzaba siempre el día encontrando a Jesús en la Eucaristía, saliendo después por las calles con el rosario en la mano para encontrar y servir al Señor presente en los que sufren, especialmente en los que «no son queridos, ni amados, ni atendidos». También santa Ana Schäffer de Mindelstetten supo unir de modo ejemplar sus propios sufrimientos a los de Cristo: «La habitación de la enferma se transformó en una celda conventual, y el sufrimiento en servicio misionero… Fortificada por la comunión cotidiana se convirtió en una intercesora infatigable en la oración, y un espejo del amor de Dios para muchas personas en búsqueda de consejo» (Homilía para la canonización, 21 octubre 2012). En el evangelio destaca la figura de la Bienaventurada Virgen María, que siguió al Hijo sufriente hasta el supremo sacrifico en el Gólgota. No perdió nunca la esperanza en la victoria de Dios sobre el mal, el dolor y la muerte, y supo acoger con el mismo abrazo de fe y amor al Hijo de Dios nacido en la gruta de Belén y muerto en la cruz. Su firme confianza en la potencia divina se vio iluminada por la resurrección de Cristo, que ofrece esperanza a quien se encuentra en el sufrimiento y renueva la certeza de la cercanía y el consuelo del Señor.

5. Quisiera por último dirigir una palabra de profundo reconocimiento y de ánimo a las instituciones sanitarias católicas y a la misma sociedad civil, a las diócesis, las comunidades cristianas, las asociaciones de agentes sanitarios y de voluntarios. Que en todos crezca la conciencia de que «en la aceptación amorosa y generosa de toda vida humana, sobre todo si es débil o enferma, la Iglesia vive hoy un momento fundamental de su misión» (Juan Pablo II, Exhort. ap. postsinodal Christifideles laici, 38).

Confío esta XXI Jornada Mundial del Enfermo a la intercesión de la Santísima Virgen María de las Gracias, venerada en Altötting, para que acompañe siempre a la humanidad que sufre, en búsqueda de alivio y de firme esperanza, que ayude a todos los que participan en el apostolado de la misericordia a ser buenos samaritanos para sus hermanos y hermanas que padecen la enfermedad y el sufrimiento, a la vez que imparto de todo corazón la Bendición Apostólica.

Vaticano, 2 de enero de 2013

BENEDICTUS PP XVI

[00028-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

« Va, et toi aussi, fais de même » (Lc 10, 37)

Chers frères et sœurs !

1. Le 11 février 2013, mémoire liturgique de Notre-Dame de Lourdes, on célébrera de façon solennelle au Sanctuaire marial d’Altötting la XXIème Journée mondiale du Malade. Cette journée est pour les malades, pour les personnels de santé, pour les fidèles chrétiens et pour toutes les personnes de bonne volonté « un temps fort de prière, de partage, d’offrande de la souffrance pour le bien de l’Église et un appel à tous à reconnaître dans les traits du frère malade la Sainte Face du Christ qui, par sa souffrance, sa mort et sa résurrection a opéré le salut de l’humanité » (Jean-Paul II, Lettre de création de la Journée mondiale du malade, 13 mai 1992, n. 3). En cette circonstance, je me sens particulièrement proche de chacun de vous, chers malades qui, dans les lieux d’assistance et de soins ou aussi à la maison, vivez un moment difficile d’épreuve à cause de l’infirmité et de la souffrance. Qu’à tous, parviennent les paroles rassurantes des Pères du Concile œcuménique Vatican II : «  Vous n’êtes ni abandonnés ni inutiles : vous êtes les appelés du Christ, sa transparente image » (Message aux pauvres, aux malades, à tous ceux qui souffrent).

2. Pour vous accompagner dans le pèlerinage spirituel qui de Lourdes, lieu et symbole d’espérance et de grâce, nous conduit au Sanctuaire d’Altötting, je voudrais proposer à votre réflexion la figure emblématique du Bon Samaritain (cf. Lc 10,25-37). La parabole évangélique narrée par saint Luc s’insère dans une série d’images et de récits sur la vie quotidienne, avec lesquels Jésus veut faire comprendre l’amour profond de Dieu envers chaque être humain, spécialement lorsqu’il se trouve dans la maladie et la souffrance. Mais, en même temps, avec les paroles qui concluent la parabole du Bon Samaritain, « Va, et toi aussi fais de même » (Lc 10, 37), le Seigneur indique quelle est l’attitude que doit avoir chacun de ses disciples envers les autres, particulièrement s’ils ont besoin de soins. Il s’agit donc de puiser dans l’amour infini de Dieu, à travers une relation intense avec lui dans la prière, la force de vivre quotidiennement une attention concrète, comme le Bon Samaritain, envers celui qui est blessé dans son corps et dans son esprit, celui qui demande de l’aide, même s’il est inconnu et privé de ressources. Cela vaut non seulement pour les agents de la pastorale et de la santé, mais pour tous, également pour le malade lui-même, qui peut vivre la condition qui est la sienne dans une perspective de foi : « Ce n’est pas le fait d’esquiver la souffrance, de fuir devant la douleur, qui guérit l’homme, mais la capacité d’accepter les tribulations et de mûrir par elles, d’y trouver un sens par l’union au Christ, qui a souffert avec un amour infini » (Enc. Spe salvi, 37).

3. Plusieurs Pères de l’Église ont vu dans la figure du Bon Samaritain Jésus lui-même, et dans l’homme tombé aux mains des brigands Adam, l’Humanité égarée et blessée par son péché (cf. Origène, Homélie sur l’évangile de Luc XXXIV, 1-9 ; Ambroise, Commentaire sur l’évangile de saint Luc, 71-84 ; Augustin, Discours 171). Jésus est le Fils de Dieu, Celui qui rend présent l’amour du Père, amour fidèle, éternel, sans barrières ni limites. Mais Jésus est aussi Celui qui "se dépouille " de son "habit divin", qui s’abaisse de sa "condition" divine, pour prendre la forme humaine (Ph 2, 6-8), et s’approcher de la douleur de l’homme, jusqu’à descendre aux enfers, comme nous le récitons dans le Credo, et porter espérance et lumière. Il ne retient pas jalousement le fait d’être égal à Dieu, d’être Dieu (cf. Ph 2, 6), mais il se penche, plein de miséricorde, sur l’abîme de la souffrance humaine, pour verser l’huile de la consolation et le vin de l’espérance.

4. L’Année de la foi que nous sommes en train de vivre constitue une occasion propice pour intensifier la diaconie de la charité dans nos communautés ecclésiales, pour être chacun un bon samaritain pour l’autre, pour celui qui se tient à côté de nous. Dans ce but, je voudrais rappeler quelques figures, parmi les innombrables dans l’histoire de l’Église, qui ont aidé les personnes malades à valoriser la souffrance sur le plan humain et spirituel, afin qu’elles soient un exemple et un stimulant. Sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus et de la Sainte Face, « experte en scientia amoris » (Jean-Paul II, Lett. ap. Nuovo millenio ineunte, n. 42), sut vivre «  en union profonde avec la Passion de Jésus », la maladie qui la conduira « à la mort à travers de grandes souffrances » (Benoît XVI, Audience générale, 6 avril 2011). Le Vénérable Luigi Novarese, dont beaucoup gardent vivant encore aujourd’hui le souvenir, ressentit de façon particulière dans l’exercice de son ministère l’importance de la prière pour et avec les malades et les personnes souffrantes, qu’il accompagnait souvent dans les sanctuaires mariaux, particulièrement à la grotte de Lourdes. Poussé par la charité envers le prochain, Raoul Follereau a consacré sa vie au soin des personnes atteintes de la maladie de Hansen jusque dans les endroits les plus reculés de la planète, promouvant entre autre la Journée Mondiale contre la Lèpre. La bienheureuse Thérèse de Calcutta commençait toujours sa journée en rencontrant Jésus dans l’Eucharistie, pour sortir ensuite dans les rues avec le Rosaire en main pour rencontrer et servir le Seigneur présent dans ceux qui souffrent, spécialement en ceux qui ne sont « ni voulus, ni aimés, ni soignés ». Sainte Anna Schäffer de Mindelstetten sut, elle aussi, unir de façon exemplaire ses souffrances à celles du Christ : « la chambre de malade se transforma en cellule conventuelle et la souffrance en service missionnaire… Fortifiée par la communion quotidienne, elle devint un intercesseur infatigable par la prière, et un miroir de l’amour de Dieu pour les nombreuses personnes en recherche de conseil » (Homélie pour la canonisation, 21 octobre 2012). Dans l’Évangile, émerge la figure de la bienheureuse Vierge Marie, qui suit son Fils souffrant jusqu’au sacrifice suprême sur le Golgotha. Elle ne perd jamais l’espérance dans la victoire de Dieu sur le mal, sur la souffrance et sur la mort, et elle sait accueillir avec la même tendresse pleine de foi et d’amour le Fils de Dieu né dans la grotte de Bethléem et mort sur la croix. Sa ferme confiance en la puissance divine est illuminée par la Résurrection du Christ, qui donne espérance à celui qui se trouve dans la souffrance et renouvelle la certitude de la proximité et de la consolation du Seigneur.

5. Je voudrais enfin adresser ma vive reconnaissance et mon encouragement aux institutions sanitaires catholiques et à la société civile elle-même, aux diocèses, aux communautés chrétiennes, aux familles religieuses engagées dans la pastorale de la santé, aux associations des personnels de santé et du volontariat. Puisse en tous grandir la conscience que « en accueillant avec amour et générosité toute vie humaine, surtout si elle est faible et malade, l’Église vit aujourd’hui un moment capital de sa mission » (Jean-Paul II, Exh. ap. postsynodale Christifideles laici, n. 38).

Je confie cette XXIème Journée mondiale du Malade à l’intercession de la Vierge Marie, Mère des Grâces vénérée à Altötting, afin qu’elle accompagne toujours l’humanité souffrante, en quête de soulagement et de ferme espérance ; qu’elle aide tous ceux qui sont engagés dans l’apostolat de la miséricorde à devenir des bons samaritains pour leurs frères et sœurs éprouvés par la maladie et par la souffrance. À tous j’accorde de grand cœur la Bénédiction apostolique.

Du Vatican, le 2 janvier 2013.

BENEDICTUS PP XVI

[00028-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

« Geh und handle genauso! » (Lk 10,37)

Liebe Brüder und Schwestern!

1. Am 11. Februar 2013, dem liturgischen Gedenktag Unserer Lieben Frau von Lourdes, wird im Marienwallfahrtsort Altötting der 21. Welttag der Kranken feierlich begangen. Dieser Tag ist für die Kranken, für die im Krankendienst Tätigen, für die Christgläubigen und für alle Menschen guten Willens » ein bedeutender Moment des Gebetes, des Miteinander, der Aufopferung des Leidens für das Wohl der Kirche und des Aufrufs an alle, im Angesicht des kranken Mitmenschen das heilige Antlitz Christi zu erkennen, der durch sein Leiden und Sterben und durch seine Auferstehung das Heil der Menschheit erwirkt hat « (Johannes Paul II., Brief zur Einführung des Weltkrankentags, 13. Mai 1992, 3). Bei dieser Gelegenheit fühle ich mich einem jeden von euch besonders nahe, liebe Kranke, die ihr in Betreuungseinrichtungen und Pflegeheimen oder auch zu Hause aufgrund eurer Krankheit und eures Leidens eine schwierige Zeit der Prüfung erlebt. Mögen die Vertrauen erweckenden Worte der Väter des Zweiten Vatikanischen Konzils euch alle erreichen: » Ihr seid weder verlassen, noch nutzlos: Ihr seid von Christus berufen, ihr seid das Bild, das seine Gestalt durchscheinen läßt « (Botschaft an die Armen, Kranken und Leidenden).

2. Um euch auf eurer geistigen Pilgerreise zu begleiten, die uns von Lourdes, dem Ort und Symbol der Hoffnung und der Gnade, zum Heiligtum von Altötting führt, möchte ich mit euch über die emblematische Gestalt des Barmherzigen Samariters nachdenken (vgl. Lk 10,25-37). Das Gleichnis aus dem Lukasevangelium fügt sich in eine Reihe von Bildern und Erzählungen aus dem Alltagsleben ein, mit denen Jesus die tiefe Liebe verständlich machen will, die Gott für jeden Menschen hegt, besonders wenn dieser krank ist und Schmerzen leidet. Doch mit den abschließenden Worten des Gleichnisses vom Barmherzigen Samariter: » Geh und handle genauso « (Lk 10,37), zeigt der Herr zugleich, welche Haltung jeder seiner Jünger gegenüber den anderen einnehmen muß, besonders wenn sie der Pflege bedürfen. Es geht also darum, durch eine intensive Beziehung zu Gott im Gebet aus seiner unendlichen Liebe die Kraft zu schöpfen, wie der Barmherzige Samariter dem, der körperlich und seelisch verletzt ist oder um Hilfe bittet, sei er auch unbekannt und mittellos, täglich mit konkreter Aufmerksamkeit zu begegnen. Das gilt nicht nur für die in der Seelsorge und im Krankendienst Tätigen, sondern für alle, auch für den Kranken selbst, der seine Lage in einer Perspektive des Glaubens leben kann: » Nicht die Vermeidung des Leidens, nicht die Flucht vor dem Leiden heilt den Menschen, sondern die Fähigkeit, das Leiden anzunehmen und in ihm zu reifen, in ihm Sinn zu finden durch die Vereinigung mit Christus, der mit unendlicher Liebe gelitten hat « (Enzyklika Spe salvi, 37).

3. Verschiedene Kirchenväter haben in der Gestalt des Barmherzigen Samariters Jesus selbst gesehen und den Mann, der den Räubern in die Hände gefallen war, mit Adam identifiziert, mit der durch die eigene Sünde verlorenen und verletzten Menschheit (vgl. Origenes, Homilie XXXIV über das Lukasevangelium, 1-9; Ambrosius, Kommentar zum Lukasevangelium, 71-84; Augustinus, Sermo 171). Jesus ist der Sohn Gottes, er ist derjenige, der die Liebe des Vaters, die treue, ewige, schranken- und grenzenlose Liebe gegenwärtig werden läßt. Aber Jesus ist auch derjenige, der sich seines „göttlichen Gewandes" „entäußert", der sich von seinem „Gottsein" aus erniedrigt, um das Leben eines Menschen anzunehmen (vgl. Phil 2,6-8) und um dem Menschen in seinem Leid so nahezukommen, daß er in das Reich des Todes hinabsteigt – wie wir im Credo bekennen – und Hoffnung und Licht bringt. Er hält nicht daran fest, Gott gleich zu sein, wie Gott zu sein (vgl. Phil 2,6), sondern beugt sich voll Erbarmen über den Abgrund menschlichen Leidens, um das Öl des Trostes und den Wein der Hoffnung darüber auszugießen.

4. Das Jahr des Glaubens, das wir gerade begehen, ist eine günstige Gelegenheit, den Dienst der Nächstenliebe in unseren kirchlichen Gemeinden und Gemeinschaften zu intensivieren, damit jeder dem anderen an seiner Seite ein barmherziger Samariter sei. In diesem Zusammenhang möchte ich an einige der vielen Gestalten in der Geschichte der Kirche erinnern, die den Kranken geholfen haben, das Leiden auf menschlicher und geistlicher Ebene fruchtbar werden zu lassen; sie sollen so als Beispiel und Ansporn dienen. Die heilige Theresia vom Kinde Jesu und vom heiligen Antlitz, eine „Expertin der scientia amoris" (Johannes Paul II., Apostolisches Schreiben Novo Millennio ineunte, 42), verstand es, die Krankheit, die sie » durch große Leiden zum Tod « führte, » in tiefer Vereinigung mit dem Leiden Jesu« zu leben (Generalaudienz, 6. April 2011). Der ehrwürdige Diener Gottes Luigi Novarese, den viele noch heute in lebendiger Erinnerung haben, spürte in der Ausübung seines Dienstes in besonderer Weise die Bedeutung des Gebetes für und mit den Kranken und Leidenden, die er oft zu den Marienwallfahrtsorten – besonders zur Grotte von Lourdes – begleitete. Von der Liebe zum Nächsten getrieben, hat Raoul Follereau bis in ganz entlegene Regionen der Erde sein Leben der Pflege von Menschen gewidmet, die an Morbus Hansen litten, und hat unter anderem den Welt-Lepra-Tag gefördert. Die selige Teresa von Kalkutta begann ihren Tag immer damit, daß sie Jesus in der Eucharistie begegnete, um dann mit dem Rosenkranz in der Hand auf die Straßen hinauszugehen und dem in den Leidenden gegenwärtigen Herrn zu begegnen und ihm zu dienen, besonders in denen, die „nicht gewollt, nicht geliebt, nicht beachtet" sind. Auch die heilige Anna Schäffer von Mindelstetten wußte in beispielhafter Weise ihre Leiden mit den Leiden Christi zu vereinen: Ihr wurde » das Krankenlager zur Klosterzelle und das Leiden zum Missionsdienst … Gestärkt durch die tägliche Kommunion wurde sie zu einer unermüdlichen Fürsprecherin im Gebet und zu einem Spiegel der Liebe Gottes für viele Ratsuchende « (Predigt zur Heiligsprechung, 21. Oktober 2012). Im Evangelium ragt die Gestalt der Seligen Jungfrau Maria heraus, die ihrem leidenden Sohn bis zum äußersten Opfer auf Golgotha folgt. Sie verliert niemals die Hoffnung auf den Sieg Gottes über das Böse, über das Leid und den Tod; sie weiß den in der Grotte von Bethlehem geborenen und den am Kreuz gestorbenen Sohn Gottes mit derselben Umarmung des Glaubens und der Liebe aufzunehmen. Ihr festes Vertrauen auf die göttliche Macht wird erhellt durch die Auferstehung Christi, die dem Leidenden Hoffnung schenkt und die Gewißheit der Nähe und des Trostes des Herrn erneuert.

5. Zum Schluß möchte ich ein Wort herzlichen Dankes und der Ermutigung an die katholischen Krankeneinrichtungen und an die Zivilgesellschaft selbst, an die Diözesen, die christlichen Gemeinschaften, die in der Krankenseelsorge tätigen Ordensfamilien sowie an die Verbände der Sanitäter und der freiwilligen Helfer richten. Allen möge immer bewußter werden, daß » in der liebevollen und hochherzigen Annahme jedes menschlichen Lebens, vor allem des schwachen oder kranken, … die Kirche heute ein besonders entscheidendes Moment ihrer Sendung « erlebt (Johannes Paul II., Nachsynodales Schreiben Christifideles laici, 38).

Ich vertraue diesen 21. Welttag der Kranken der Fürsprache Unserer Lieben Frau von Altötting an, daß sie die leidende Menschheit auf ihrer Suche nach Trost und fester Hoffnung stets begleite und allen helfe, die am Apostolat der Barmherzigkeit beteiligt sind, ihren von Krankheit und Leiden geprüften Brüdern und Schwestern barmherzige Samariter zu werden. Dazu erteile ich gerne den Apostolischen Segen.

Aus dem Vatikan, am 2. Januar 2013

BENEDICTUS PP XVI

[00028-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

«Vai e faz tu também o mesmo» (Lc 10, 37)

Amados irmãos e irmãs!

1. No dia 11 de Fevereiro de 2013, memória litúrgica de Nossa Senhora de Lourdes, celebrar-se-á de forma solene, no Santuário mariano de Altötting, o XXI Dia Mundial do Doente. Este dia constitui, para os doentes, os operadores sanitários, os fiéis cristãos e todas as pessoas de boa vontade, «um momento forte de oração, de partilha, de oferta do sofrimento pelo bem da Igreja e de apelo dirigido a todos para reconhecerem na face do irmão enfermo a Santa Face de Cristo que, sofrendo, morrendo e ressuscitando, operou a salvação da humanidade» (João Paulo II, Carta de instituição do Dia Mundial do Doente, 13 de Maio de 1992, 3). Nesta circunstância, sinto-me particularmente unido a cada um de vós, amados doentes, que, nos locais de assistência e tratamento ou mesmo em casa, viveis um tempo difícil de provação por causa da doença e do sofrimento. Que cheguem a todos estas palavras tranquilizadoras dos Padres do Concílio Ecuménico Vaticano II: «Sabei que não estais (…) abandonados, nem sois inúteis: vós sois chamados por Cristo, a sua imagem viva e transparente» (Mensagem aos pobres, aos doentes e a todos os que sofrem).

2. Para vos acompanhar na peregrinação espiritual que nos leva de Lourdes, lugar e símbolo de esperança e de graça, ao Santuário de Altötting, desejo propor à vossa reflexão a figura emblemática do Bom Samaritano (cf. Lc 10, 25-37). A parábola evangélica narrada por São Lucas faz parte duma série de imagens e narrações tomadas da vida diária, pelas quais Jesus quer fazer compreender o amor profundo de Deus por cada ser humano, especialmente quando se encontra na doença e no sofrimento. Ao mesmo tempo, porém, com as palavras finais da parábola do Bom Samaritano – «Vai e faz tu também o mesmo» (Lc 10, 37) –, o Senhor indica qual é a atitude que cada um dos seus discípulos deve ter para com os outros, particularmente se necessitados de cuidados. Trata-se, por conseguinte, de auferir do amor infinito de Deus, através de um intenso relacionamento com Ele na oração, a força para viver diariamente uma solicitude concreta, como o Bom Samaritano, por quem está ferido no corpo e no espírito, por quem pede ajuda, ainda que desconhecido e sem recursos. Isto vale não só para os agentes pastorais e sanitários, mas para todos, incluindo o próprio enfermo, que pode viver a sua condição numa perspectiva de fé: «Não é o evitar o sofrimento, a fuga diante da dor que cura o homem, mas a capacidade de aceitar a tribulação e nela amadurecer, de encontrar o seu sentido através da união com Cristo, que sofreu com infinito amor» (Enc. Spe salvi, 37).

3. Diversos Padres da Igreja viram, na figura do Bom Samaritano, o próprio Jesus e, no homem que caiu nas mãos dos salteadores, Adão, a humanidade extraviada e ferida pelo seu pecado (cf. Orígenes, Homilia sobre o Evangelho de Lucas XXXIV, 1-9; Ambrósio, Comentário ao Evangelho de São Lucas, 71-84; Agostinho, Sermão 171). Jesus é o Filho de Deus, Aquele que torna presente o amor do Pai: amor fiel, eterno, sem barreiras nem fronteiras; mas é também Aquele que «Se despoja» da sua «veste divina», que baixa da sua «condição» divina para assumir forma humana (cf. Flp 2, 6-8) e aproximar-Se do sofrimento do homem até ao ponto de descer à mansão dos mortos, como dizemos no Credo, levando esperança e luz. Ele não Se vale da sua igualdade com Deus, do seu ser Deus (cf. Flp 2, 6), mas inclina-Se, cheio de misericórdia, sobre o abismo do sofrimento humano, para nele derramar o óleo da consolação e o vinho da esperança.

4. O Ano da fé, que estamos a viver, constitui uma ocasião propícia para se intensificar o serviço da caridade nas nossas comunidades eclesiais, de modo que cada um seja bom samaritano para o outro, para quem vive ao nosso lado. A propósito, desejo recordar algumas figuras, dentre as inúmeras na história da Igreja, que ajudaram as pessoas doentes a valorizar o sofrimento no plano humano e espiritual, para que sirvam de exemplo e estímulo. Santa Teresa do Menino Jesus e da Santa Face, «perita da scientia amoris» (João Paulo II, Carta ap. Novo millennio ineunte, 42), soube viver «em profunda união com a Paixão de Jesus» a doença que a levou «à morte através de grandes sofrimentos» (Audiência Geral, 6 de Abril de 2011). O Venerável Luís Novarese, de quem muitos conservam ainda hoje viva a memória, no exercício do seu ministério sentiu de modo particular a importância da oração pelos e com os doentes e atribulados, que acompanhava frequentemente aos santuários marianos, especialmente à gruta de Lourdes. Movido pela caridade para com o próximo, Raul Follereau dedicou a sua vida ao cuidado das pessoas leprosas mesmo nos cantos mais remotos da terra, promovendo entre outras coisas o Dia Mundial contra a Lepra. A Beata Teresa de Calcutá começava sempre o seu dia encontrando Jesus na Eucaristia e depois saía pelas estradas com o rosário na mão para encontrar e servir o Senhor presente nos enfermos, especialmente naqueles que não são «queridos, nem amados, nem assistidos». Santa Ana Schäffer, de Mindelstetten, soube, também ela, unir de modo exemplar os seus sofrimentos aos de Cristo: «o seu quarto de enferma transformou-se numa cela conventual, e o seu sofrimento em serviço missionário. (...) Fortalecida pela comunhão diária, tornou-se uma intercessora incansável através da oração e um espelho do amor de Deus para as numerosas pessoas que procuravam conselho» (Homilia de canonização, 21 de Outubro de 2012). No Evangelho, sobressai a figura da Bem-aventurada Virgem Maria, que segue o sofrimento do Filho até ao sacrifício supremo no Gólgota. Ela não perde jamais a esperança na vitória de Deus sobre o mal, o sofrimento e a morte, e sabe acolher, com o mesmo abraço de fé e de amor, o Filho de Deus nascido na gruta de Belém e morto na cruz. A sua confiança firme no poder de Deus é iluminada pela Ressurreição de Cristo, que dá esperança a quem se encontra no sofrimento e renova a certeza da proximidade e consolação do Senhor.

5. Por fim, quero dirigir um pensamento de viva gratidão e de encorajamento às instituições sanitárias católicas e à própria sociedade civil, às dioceses, às comunidades cristãs, às famílias religiosas comprometidas na pastoral sanitária, às associações dos operadores sanitários e do voluntariado. Possa crescer em todos a consciência de que, «ao aceitar amorosa e generosamente toda a vida humana, sobretudo se frágil e doente, a Igreja vive hoje um momento fundamental da sua missão» (João Paulo II, Exort. ap. pós-sinodal Christifideles laici, 38).

Confio este XXI Dia Mundial do Doente à intercessão da Santíssima Virgem Maria das Graças venerada em Altötting, para que acompanhe sempre a humanidade que sofre, à procura de alívio e de esperança firme, e ajude todos quantos estão envolvidos no apostolado da misericórdia a tornar-se bons samaritanos para os seus irmãos e irmãs provados pela enfermidade e o sofrimento, enquanto de bom grado concedo a Bênção Apostólica.

Vaticano, 2 de Janeiro de 2013.

BENEDICTUS PP XVI

[00028-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

"Idź, i ty czyń podobnie!" (Łk 10, 37)

Drodzy Bracia i Siostry!

1. 11 lutego 2013 r., w liturgiczne wspomnienie Najświętszej Maryi Panny z Lourdes, odbędą się w sanktuarium maryjnym w Altötting uroczyste obchody XXI Światowego Dnia Chorego. Dzień ten jest dla chorych i pracowników służby zdrowia, dla wiernych chrześcijan i dla wszystkich osób dobrej woli „owocnym czasem modlitwy, współuczestnictwa i ofiary z cierpienia dla dobra Kościoła oraz skierowanym do wszystkich wezwaniem, aby rozpoznali w chorym bracie święte Oblicze Chrystusa, który przez cierpienie, śmierć i zmartwychwstanie dokonał dzieła zbawienia ludzkości" (Jan Paweł II, List ustanawiający Światowy Dzień Chorego, 13 maja 1992 r., 3). W tych okolicznościach jest szczególnie bliski mojemu sercu każdy i każda z was, drodzy chorzy, którzy w placówkach opiekuńczych i leczniczych czy też w domach doświadczacie trudnych chwil z powodu choroby i cierpienia. Wszystkim pragnę przekazać pełne otuchy słowa ojców Soboru Watykańskiego II: „Nie jesteście opuszczeni czy niepotrzebni: jesteście powołani przez Chrystusa, wy jesteście Jego przejrzystym obrazem" (Orędzie do ubogich, chorych i cierpiących).

2. Aby wam towarzyszyć w duchowej pielgrzymce, która z Lourdes – miejsca i symbolu nadziei i łaski – prowadzi nas do sanktuarium w Altötting, chciałbym wam zaproponować refleksję nad emblematyczną postacią Miłosiernego Samarytanina (por. Łk 10, 25-37). Opowiedziana przez św. Łukasza przypowieść ewangeliczna wpisuje się w szereg obrazów i historii zaczerpniętych z codziennego życia, za pomocą których Jezus pragnie pouczyć o głębokiej miłości Boga do każdej istoty ludzkiej, w szczególności gdy jest ona chora i cierpiąca. A jednocześnie, poprzez słowa kończące przypowieść o Miłosiernym Samarytaninie: „Idź, i ty czyń podobnie" (Łk 10, 37), Pan ukazuje, jaka winna być postawa każdego Jego ucznia w stosunku do innych, zwłaszcza do potrzebujących opieki. Chodzi mianowicie o to, by czerpać z nieskończonej miłości Boga – utrzymując z Nim silną relację w modlitwie – siłę do tego, by na co dzień troszczyć się konkretnie, na wzór Miłosiernego Samarytanina, o osoby zranione na ciele i na duchu, proszące o pomoc, także gdy są to osoby nieznane i pozbawione zasobów. Odnosi się to nie tylko do pracowników duszpasterstwa i służby zdrowia, ale wszystkich, również samego chorego, który może przeżywać swoją kondycję w perspektywie wiary: „Nie unikanie cierpienia ani ucieczka od bólu uzdrawia człowieka, ale zdolność jego akceptacji, dojrzewania w nim prowadzi do odnajdywania sensu przez zjednoczenie z Chrystusem, który cierpiał z nieskończoną miłością (enc. Spe salvi, 37).

3. Różni ojcowie Kościoła upatrywali w postaci Miłosiernego Samarytanina samego Jezusa, a w człowieku, który wpadł w ręce złoczyńców, Adama, ludzkość zagubioną i zranioną przez swój grzech (por. Orygenes, Homilia o Ewangelii św. Łukasza XXXIV, 1-9; Ambroży, Komentarz do Ewangelii św. Łukasza, 71-84; Augustyn, Mowa 171). Jezus jest Synem Bożym, Tym, który uobecnia miłość Ojca – miłość wierną, wieczną, nie znającą barier ani granic. Ale Jezus jest także Tym, który „ogołaca się" ze swojej „boskiej szaty", który zniża się ze swojej boskiej „kondycji", by przyjąć postać ludzką (por. Flp 2, 6-8) i przybliżyć się do cierpiącego człowieka, aż po zstąpienie do piekieł, jak wyznajemy w Credo, i by przynieść nadzieję i światło. On nie traktuje jako zazdrośnie strzeżonego skarbu swojej równości z Bogiem (por. Flp 2, 6), ale pochyla się, pełen miłosierdzia, nad otchłanią ludzkiego cierpienia, aby wylać na nie oliwę pocieszenia i wino nadziei.

4. Rok Wiary, który przeżywamy, stanowi sprzyjającą okazję, aby wzmóc diakonię miłości w naszych wspólnotach kościelnych, tak by każdy stał się miłosiernym samarytaninem dla drugiego, dla człowieka, który jest obok nas. W związku z tym chciałbym wspomnieć kilka postaci, spośród niezliczonych w historii Kościoła, które pomagały osobom chorym doceniać wartość cierpienia na płaszczyźnie ludzkiej i duchowej, aby były przykładem i przynaglały innych. Św. Teresa od Dzieciątka Jezus i Świętego Oblicza „dzięki głębokiej znajomości scientia amoris" (Jan Paweł II, List apost. Novo millennio ineunte, 42), potrafiła przeżywać „w głębokim zjednoczeniu z męką Jezusa (...) chorobę, która po wielkich cierpieniach doprowadziła ją do śmierci" (Audiencja Generalna, 6 kwietnia 2011 r.). Sługa Boży Luigi Novarese, o którym wielu zachowuje jeszcze dziś żywą pamięć, w swojej posłudze dostrzegał w sposób szczególny doniosłe znaczenie modlitwy za chorych i cierpiących – a także z nimi – z którymi często udawał się do sanktuariów maryjnych, zwłaszcza do groty w Lourdes. Raoul Follereau, przynaglany miłością do bliźniego, poświęcił swoje życie opiece nad osobami dotkniętymi chorobą Hansena w najodleglejszych zakątkach kuli ziemskiej, inicjując m.in. Światowy Dzień Walki z Trądem. Bł. Teresa z Kalkuty rozpoczynała zawsze swój dzień od spotkania z Jezusem w Eucharystii, a później wychodziła z różańcem w ręku na ulice, by spotkać Pana obecnego w cierpiących – w szczególności w tych „nie chcianych, nie kochanych, nie leczonych"– i Mu służyć. Również św. Anna Schäffer z Mindelstetten potrafiła w sposób przykładny łączyć swoje cierpienia z cierpieniami Chrystusa: „łoże boleści stało się dla niej klasztorną celą, a cierpienie posługą misjonarską (...). Umacniana przez codzienną Komunię św., stała się niestrudzoną orędowniczką w modlitwie i odblaskiem miłości Boga dla wielu osób, szukających u niej rady" (homilia podczas Mszy św. kanonizacyjnej, 21 października 2012 r.). W Ewangelii wyróżnia się postać Najświętszej Maryi Panny, która idzie za cierpiącym Synem aż po najwyższą ofiarę na Golgocie. Nie traci Ona nigdy nadziei na zwycięstwo Boga nad złem, nad cierpieniem, nad śmiercią, i potrafi przyjąć w tym samym uścisku wiary i miłości Syna Bożego narodzonego w betlejemskiej grocie i zmarłego na krzyżu. Jej niezachwiana ufność w Bożą moc zostaje opromieniona przez zmartwychwstanie Chrystusa, które daje cierpiącym nadzieję i nową pewność bliskości i pocieszenia Pana.

5. Na koniec pragnę skierować wyrazy szczerej wdzięczności i słowa zachęty do katolickich placówek ochrony zdrowia i do samego społeczeństwa, do diecezji, do wspólnot chrześcijańskich, do rodzin zakonnych zaangażowanych w duszpasterstwo służby zdrowia, do stowarzyszeń pracowników służby zdrowia i wolontariatu. Oby we wszystkich wzrastała świadomość, że „przyjmując z miłością i wielkodusznie każde ludzkie życie, zwłaszcza wtedy, gdy jest ono wątłe lub chore, Kościół realizuje zasadniczy wymiar swego posłannictwa" (Jan Paweł II, posynodalna adhort. apost. Christifideles laici, 38).

Zawierzam ten XXI Światowy Dzień Chorego wstawiennictwu Najświętszej Maryi Panny Łaskawej, czczonej w Altötting, prosząc, aby zawsze towarzyszyła cierpiącej ludzkości w poszukiwaniu ulgi i niezłomnej nadziei, aby pomagała wszystkim osobom angażującym się w apostolat miłosierdzia stawać się miłosiernymi samarytanami dla swych braci i sióstr doświadczonych przez chorobę i cierpienie, i z serca udzielam Apostolskiego Błogosławieństwa.

Watykan, 2 stycznia 2013 r.

BENEDICTUS PP XVI

[00028-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0012-XX.01]