Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


SANTA MESSA DELLA NOTTE NELLA SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE, 24.12.2012


Alle ore 22, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2012.
Nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE 

Cari fratelli e sorelle!

Sempre di nuovo la bellezza di questo Vangelo tocca il nostro cuore – una bellezza che è splendore della verità. Sempre di nuovo ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo, affinché osiamo amarlo, e, come bambino, si mette fiduciosamente nelle nostre mani. Dio dice quasi: So che il mio splendore ti spaventa, che di fronte alla mia grandezza tu cerchi di affermare te stesso. Ebbene, vengo dunque a te come bambino, perché tu possa accogliermi ed amarmi.

Sempre di nuovo mi tocca anche la parola dell’evangelista, detta quasi di sfuggita, che per loro non c’era posto nell’alloggio. Inevitabilmente sorge la domanda su come andrebbero le cose, se Maria e Giuseppe bussassero alla mia porta. Ci sarebbe posto per loro? E poi ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell’alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla, l’evangelista Giovanni l’ha approfondita e portata all’essenza scrivendo: "Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto" (Gv 1,11). Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi? Ciò comincia col fatto che non abbiamo tempo per Dio. Quanto più velocemente possiamo muoverci, quanto più efficaci diventano gli strumenti che ci fanno risparmiare tempo, tanto meno tempo abbiamo a disposizione. E Dio? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora più in profondità. Dio ha veramente un posto nel nostro pensiero? La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo, non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l’"ipotesi Dio". Non c’è posto per Lui. Anche nel nostro sentire e volere non c’è lo spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente "riempiti" di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri. A partire dalla semplice parola circa il posto mancante nell’alloggio possiamo renderci conto di quanto ci sia necessaria l’esortazione di san Paolo: "Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare!" (Rm 12,2). Paolo parla del rinnovamento, del dischiudere il nostro intelletto (nous); parla, in generale, del modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. La conversione di cui abbiamo bisogno deve giungere veramente fino alle profondità del nostro rapporto con la realtà. Preghiamo il Signore affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei uno spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo.

C’è ancora una seconda parola nel racconto di Natale sulla quale vorrei riflettere insieme a voi: l’inno di lode che gli angeli intonano dopo il messaggio circa il neonato Salvatore: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento". Dio è glorioso. Dio è luce pura, splendore della verità e dell’amore. Egli è buono. È il vero bene, il bene per eccellenza. Gli angeli che lo circondano trasmettono in primo luogo semplicemente la gioia per la percezione della gloria di Dio. Il loro canto è un’irradiazione della gioia che li riempie. Nelle loro parole sentiamo, per così dire, qualcosa dei suoni melodiosi del cielo. Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c’è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell’amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.

Con la gloria di Dio nel più alto dei cieli è in relazione la pace sulla terra tra gli uomini. Dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Oggi, però, diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel mondo; occorrerebbe prima liberare l’umanità dalle religioni, affinché si crei poi la pace; il monoteismo, la fede nell’unico Dio, sarebbe prepotenza, causa di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti con la pretesa dell’unica verità. È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il "no" a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole. Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è "Emmanuele", Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare.

Così Cristo è la nostra pace e ha annunciato la pace ai lontani e ai vicini (cfr Ef 2,14.17). Come non dovremmo noi pregarlo in quest’ora: Sì, Signore, annuncia a noi anche oggi la pace, ai lontani e ai vicini. Fa’ che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti. Illumina le persone che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome, affinché imparino a capire l’assurdità della violenza e a riconoscere il tuo vero volto. Aiutaci a diventare uomini "del tuo compiacimento" – uomini secondo la tua immagine e così uomini di pace.

Appena gli angeli si furono allontanati, i pastori dicevano l’un l’altro: Orsù, passiamo di là, a Betlemme e vediamo questa parola che è accaduta per noi (cfr Lc 2,15). I pastori si affrettavano nel loro cammino verso Betlemme, ci dice l’evangelista (cfr 2,16). Una santa curiosità li spingeva a vedere in una mangiatoia questo bambino, del quale l’angelo aveva detto che era il Salvatore, il Cristo, il Signore. La grande gioia, di cui l’angelo aveva parlato, aveva toccato il loro cuore e metteva loro le ali.

Andiamo di là, a Betlemme, dice la liturgia della Chiesa oggi a noi. Trans-eamus traduce la Bibbia latina: "attraversare", andare di là, osare il passo che va oltre, la "traversata", con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo meramente materiale per giungere all’essenziale, al di là, verso quel Dio che, da parte sua, è venuto di qua, verso di noi. Vogliamo pregare il Signore, perché ci doni la capacità di oltrepassare i nostri limiti, il nostro mondo; perché ci aiuti a incontrarlo, specialmente nel momento in cui Egli stesso, nella Santissima Eucaristia, si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore.

Andiamo di là, a Betlemme: con queste parole che, insieme con i pastori, ci diciamo l’un l’altro, non dobbiamo pensare soltanto alla grande traversata verso il Dio vivente, ma anche alla città concreta di Betlemme, a tutti i luoghi in cui il Signore ha vissuto, operato e sofferto. Preghiamo in quest’ora per le persone che oggi lì vivono e soffrono. Preghiamo perché lì ci sia pace. Preghiamo perché Israeliani e Palestinesi possano sviluppare la loro vita nella pace dell’unico Dio e nella libertà. Preghiamo anche per i Paesi circostanti, per il Libano, per la Siria, per l’Iraq e così via: affinché lì si affermi la pace. Che i cristiani in quei Paesi dove la nostra fede ha avuto origine possano conservare la loro dimora; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace di Dio.

I pastori si affrettavano. Una santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più importante, l’Unico che, in ultima analisi, è veramente importante. Perché non dovremmo essere presi anche noi dalla curiosità di vedere più da vicino e di conoscere ciò che Dio ci ha detto? Preghiamolo affinché la santa curiosità e la santa gioia dei pastori tocchino in quest’ora anche noi, e andiamo quindi con gioia di là, a Betlemme – verso il Signore che anche oggi viene nuovamente verso di noi. Amen.

[01727-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

La beauté de cet évangile touche toujours à nouveau notre cœur – une beauté qui est splendeur de la vérité. Le fait que Dieu se fasse petit enfant, afin que nous puissions l’aimer, afin que nous osions l’aimer, et que, comme un petit enfant, il se mette avec confiance entre nos mains, nous émeut toujours de nouveau. Il dit presque : je sais que ma splendeur t’effraie, que devant ma grandeur tu cherches à t’affirmer toi-même. Eh bien, je viens donc à toi comme un petit enfant, pour que tu puisses m’accueillir et m’aimer.

La parole de l’évangéliste, dite presqu’en passant, affirmant que pour eux il n’y avait pas de place dans la salle commune, me touche aussi toujours de nouveau. Inévitablement surgit la question de savoir comment se passeraient les choses, si Marie et Joseph frappaient à ma porte ? Y-aurait-il de la place pour eux ? Et ensuite, nous vient à l’esprit que cette nouvelle, apparemment fortuite, du manque de place dans la salle commune qui pousse la Sainte Famille dans l’étable, l’évangéliste Jean l’a approfondie et l’a ramenée à l’essentiel quand il écrit : « Il est venu chez les siens, et les siens ne l’ont pas reçu » (Jn 1, 11). Ainsi, la grande question morale de savoir comment chez nous se passent les choses concernant les personnes déplacées, les refugiés et les immigrés, devient encore plus fondamentale : avons-nous vraiment de la place pour Dieu, quand il cherche à entrer chez nous ? Avons-nous du temps et de l’espace pour lui ? N’est-ce pas peut-être Dieu lui-même que nous refoulons ? Cela commence par le fait que nous n’avons pas du temps pour Dieu. Plus nous pouvons nous déplacer rapidement, plus les moyens qui nous font gagner du temps deviennent efficaces, moins nous avons du temps à disposition. Et Dieu ? La question le concernant ne semble jamais urgente. Notre temps est déjà totalement rempli. Mais les choses vont encore plus en profondeur. Dieu a-t-il vraiment une place dans notre pensée ? Les méthodes de notre pensée sont organisées de manière qu’au fond, il ne doit pas exister. Même s’il semble frapper à la porte de notre pensée, il doit être éloigné par quelque raisonnement. La pensée, pour être considérée comme sérieuse, doit être construite de façon à rendre superflue l’"hypothèse Dieu". Il n’y a pas de place pour lui. Même dans notre sentiment et dans notre vouloir, il n’y a pas de place pour lui. Nous nous voulons nous-mêmes. Nous voulons les choses tangibles, le bonheur expérimentable, la réussite de nos projets personnels et de nos intentions. Nous sommes totalement « remplis » de nous-mêmes, si bien qu’il ne reste aucun espace pour Dieu. Et c’est pourquoi, il n’y a pas d’espace non plus pour les autres, pour les enfants, pour les pauvres, pour les étrangers. En partant de la simple parole sur le manque de place dans la salle commune, nous pouvons nous rendre compte combien nous est nécessaire l’exhortation de Saint Paul : « Transformez-vous en renouvelant votre façon de penser » (Rm 12, 2). Paul parle du renouvellement, de l’ouverture de notre intellect (nous) ; il parle en général de la façon dont nous voyons le monde et nous-mêmes. La conversion dont nous avons besoin doit atteindre vraiment jusqu’aux profondeurs de notre rapport avec la réalité. Prions le Seigneur afin que nous devenions vigilants envers sa présence, afin que nous entendions comment il frappe de manière discrète mais insistante à la porte de notre être et de notre vouloir. Prions-le afin qu’il se crée au fond de nous-mêmes un espace pour lui et afin qu’ainsi nous puissions aussi le reconnaître en ceux par qui il s’adresse à nous : dans les enfants, dans les personnes qui souffrent et dans celles qui sont abandonnées, dans les personnes marginalisées et dans les pauvres de ce monde.

Il y a encore une deuxième parole dans le récit de Noël sur laquelle je voudrais réfléchir avec vous : l’hymne de louange que les anges entonnent après le message concernant le Sauveur nouveau-né : « Gloire à Dieu au plus haut des cieux, et paix sur la terre aux hommes objets de sa bienveillance ». Dieu est glorieux. Dieu est pure lumière, splendeur de la vérité et de l’amour. Il est bon. Il est le véritable bien, le bien par excellence. Les anges qui l’entourent transmettent simplement d’abord la joie pour la perception de la gloire de Dieu. Leur chant est une irradiation de la joie dont ils sont remplis. Dans leurs paroles, nous entendons, pour ainsi dire, quelque chose des sons mélodieux du ciel. Là aucune question sur l’objectif n’est sous-entendue, il y a simplement le fait d’être comblés du bonheur venant de la perception de la pure splendeur de la vérité et de l’amour de Dieu. Nous voulons nous laisser toucher par cette joie : la vérité existe. La pure bonté existe. La pure lumière existe. Dieu est bon et il est la puissance suprême, au-dessus de toutes les puissances. De cela nous devrions nous réjouir simplement en cette nuit, avec les anges et les bergers.

La paix sur la terre entre les hommes est en relation avec la gloire de Dieu au plus haut des cieux. Là où on ne rend pas gloire à Dieu, là où Dieu est oublié ou même renié, il n’y pas non plus de paix. Aujourd’hui, pourtant, des courants de pensée répandus soutiennent le contraire : les religions, en particulier le monothéisme, seraient la cause de la violence et des guerres dans le monde ; il conviendrait avant tout de libérer l’humanité des religions, afin qu’il se crée ensuite la paix ; le monothéisme, la foi dans le Dieu unique, serait tyrannie, cause d’intolérance, car, en fonction de sa nature, il voudrait s’imposer à tous avec la prétention de l’unique vérité. Il est vrai que, dans l’histoire, le monothéisme a servi de prétexte à l’intolérance et à la violence. Il est vrai qu’une religion peut devenir malade et arriver ainsi à s’opposer à sa nature la plus profonde, quand l’homme pense devoir prendre lui-même en main la cause de Dieu, faisant ainsi de Dieu sa propriété privée. Nous devons être vigilants face à ces travestissements du sacré. Si dans l’histoire un certain usage inapproprié de la religion est incontestable, il n’est pourtant pas vrai que le « non » à Dieu rétablirait la paix. Si la lumière de Dieu s’éteint, la dignité divine de l’homme s’éteint aussi. Alors, il n’est plus l’image de Dieu, que nous devons honorer en chacun, dans le faible, dans l’étranger, dans le pauvre. Alors, nous ne sommes plus tous frères et sœurs, enfants de l’unique Père qui, à partir du Père, sont en relation mutuelle. Quels types de violence arrogante apparaissent alors et comment l’homme déprécie et écrase l’homme, nous l’avons vu dans sa toute cruauté au cours du siècle dernier. Seulement si la lumière de Dieu brille sur l’homme et dans l’homme, seulement si chaque être humain est voulu, connu et aimé par Dieu, seulement alors, quelle que soit sa situation de misère, sa dignité est inviolable. Dans la Sainte Nuit, Dieu lui-même s’est fait homme, comme le prophète Isaïe avait annoncé : l’enfant né ici est "Emmanuel", Dieu avec nous (cf. Is 7, 14). Et au cours de tous ces siècles, vraiment, il n’y a pas eu seulement des cas d’usage inapproprié de la religion, mais des forces de réconciliation et de bonté sont toujours venues de nouveau de la foi en ce Dieu qui s’est fait homme. Dans l’obscurité du péché et de la violence, cette foi a introduit un rayon lumineux de paix et de bonté qui continue à briller.

Ainsi, le Christ est notre paix et il a annoncé la paix à ceux qui sont loin et à ceux qui sont proches (cf. Ep 2, 14.17). Comment ne devrions-nous pas le prier en cette heure : Oui, Seigneur, annonce-nous aussi aujourd’hui la paix, à ceux qui sont loin et à ceux qui sont proches. Fais qu’aujourd’hui encore les épées soient transformées en socs (cf. Is 2, 4), qu’à la place des armements pour la guerre succède de l’aide pour ceux qui souffrent. Éclaire les personnes qui croient devoir exercer la violence en ton nom, afin qu’elles apprennent à comprendre l’absurdité de la violence et à reconnaître ton vrai visage. Aide-nous à devenir des hommes « objets de ta bienveillance » – des hommes à ton image et ainsi des hommes de paix.

À peine les anges se furent-ils éloignés que les bergers se disaient entre eux : Allons jusque là-bas, à Bethléem et voyons cette parole qui s’est réalisée pour nous (cf. Lc 2, 15). Les bergers partirent donc en hâte vers Bethléem, nous dit l’évangéliste (cf. 2, 16). Une sainte curiosité les poussait à voir dans une mangeoire ce petit enfant, dont l’ange avait dit qu’il était le Sauveur, le Christ, le Seigneur. La grande joie, dont l’ange avait parlé, avait touché leur cœur et leur donnait des ailes.

Allons là-bas, à Bethléem, nous dit aujourd’hui la liturgie de l’Église. Trans-eamus traduit la Bible latine : "traverser", aller là-bas, oser le pas qui va au-delà, la "traversée", par laquelle nous sortons de nos habitudes de pensée et de vie et dépassons le monde purement matériel pour arriver à l’essentiel, au-delà, vers ce Dieu qui, pour sa part, est venu ici, vers nous. Nous voulons prier le Seigneur, afin qu’il nous donne la capacité de dépasser nos limites, notre monde; afin qu’il nous aide à le rencontrer, particulièrement au moment où lui-même, dans la Sainte Eucharistie, se pose dans nos mains et dans notre cœur.

Allons là-bas, à Bethléem : avec ces paroles que, en union avec les bergers, nous nous disons les uns aux autres, nous ne devons pas penser seulement à la grande traversée vers le Dieu vivant, mais aussi à la ville concrète de Bethléem, à tous les lieux où le Seigneur a vécu, agi et souffert. Prions en ce moment pour les personnes qui aujourd’hui y vivent et y souffrent. Prions pour qu’il y ait la paix. Prions afin qu’Israéliens et Palestiniens puissent mener leur vie dans la paix du Dieu unique et dans la liberté. Prions aussi pour les pays environnants, pour le Liban, pour la Syrie, pour l’Iraq et ainsi de suite : afin que la paix s’y renforce. Que les chrétiens dans ces pays où notre foi a trouvé son origine, puissent maintenir leur demeure; que les chrétiens et les musulmans construisent ensemble leurs pays dans la paix de Dieu.

Les bergers sont partis en hâte. Une sainte curiosité et une sainte joie les poussaient. Parmi nous, il arrive peut-être très rarement que nous nous hâtions pour les choses de Dieu. Aujourd’hui, Dieu ne fait pas partie des réalités urgentes. Les choses de Dieu, ainsi pensons-nous et disons-nous, peuvent attendre. Pourtant, il est la réalité la plus importante, l’Unique qui, en dernière analyse, est vraiment important. Pourquoi ne devrions-nous pas être pris, nous aussi, par la curiosité de voir de plus près et de connaître ce que Dieu nous a dit ? Prions-le afin que la sainte curiosité et la sainte joie des bergers nous touchent nous aussi en ce moment, et allons donc avec joie là-bas, à Bethléem – vers le Seigneur qui, aujourd’hui aussi, vient de nouveau vers nous. Amen.

[01727-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

Again and again the beauty of this Gospel touches our hearts: a beauty that is the splendour of truth. Again and again it astonishes us that God makes himself a child so that we may love him, so that we may dare to love him, and as a child trustingly lets himself be taken into our arms. It is as if God were saying: I know that my glory frightens you, and that you are trying to assert yourself in the face of my grandeur. So now I am coming to you as a child, so that you can accept me and love me.

I am also repeatedly struck by the Gospel writer’s almost casual remark that there was no room for them at the inn. Inevitably the question arises, what would happen if Mary and Joseph were to knock at my door. Would there be room for them? And then it occurs to us that Saint John takes up this seemingly chance comment about the lack of room at the inn, which drove the Holy Family into the stable; he explores it more deeply and arrives at the heart of the matter when he writes: "he came to his own home, and his own people received him not" (Jn 1:11). The great moral question of our attitude towards the homeless, towards refugees and migrants, takes on a deeper dimension: do we really have room for God when he seeks to enter under our roof? Do we have time and space for him? Do we not actually turn away God himself? We begin to do so when we have no time for God. The faster we can move, the more efficient our time-saving appliances become, the less time we have. And God? The question of God never seems urgent. Our time is already completely full. But matters go deeper still. Does God actually have a place in our thinking? Our process of thinking is structured in such a way that he simply ought not to exist. Even if he seems to knock at the door of our thinking, he has to be explained away. If thinking is to be taken seriously, it must be structured in such a way that the "God hypothesis" becomes superfluous. There is no room for him. Not even in our feelings and desires is there any room for him. We want ourselves. We want what we can seize hold of, we want happiness that is within our reach, we want our plans and purposes to succeed. We are so "full" of ourselves that there is no room left for God. And that means there is no room for others either, for children, for the poor, for the stranger. By reflecting on that one simple saying about the lack of room at the inn, we have come to see how much we need to listen to Saint Paul’s exhortation: "Be transformed by the renewal of your mind" (Rom 12:2). Paul speaks of renewal, the opening up of our intellect (nous), of the whole way we view the world and ourselves. The conversion that we need must truly reach into the depths of our relationship with reality. Let us ask the Lord that we may become vigilant for his presence, that we may hear how softly yet insistently he knocks at the door of our being and willing. Let us ask that we may make room for him within ourselves, that we may recognize him also in those through whom he speaks to us: children, the suffering, the abandoned, those who are excluded and the poor of this world.

There is another verse from the Christmas story on which I should like to reflect with you – the angels’ hymn of praise, which they sing out following the announcement of the new-born Saviour: "Glory to God in the highest and on earth peace among men with whom he is pleased." God is glorious. God is pure light, the radiance of truth and love. He is good. He is true goodness, goodness par excellence. The angels surrounding him begin by simply proclaiming the joy of seeing God’s glory. Their song radiates the joy that fills them. In their words, it is as if we were hearing the sounds of heaven. There is no question of attempting to understand the meaning of it all, but simply the overflowing happiness of seeing the pure splendour of God’s truth and love. We want to let this joy reach out and touch us: truth exists, pure goodness exists, pure light exists. God is good, and he is the supreme power above all powers. All this should simply make us joyful tonight, together with the angels and the shepherds.

Linked to God’s glory on high is peace on earth among men. Where God is not glorified, where he is forgotten or even denied, there is no peace either. Nowadays, though, widespread currents of thought assert the exact opposite: they say that religions, especially monotheism, are the cause of the violence and the wars in the world. If there is to be peace, humanity must first be liberated from them. Monotheism, belief in one God, is said to be arrogance, a cause of intolerance, because by its nature, with its claim to possess the sole truth, it seeks to impose itself on everyone. Now it is true that in the course of history, monotheism has served as a pretext for intolerance and violence. It is true that religion can become corrupted and hence opposed to its deepest essence, when people think they have to take God’s cause into their own hands, making God into their private property. We must be on the lookout for these distortions of the sacred. While there is no denying a certain misuse of religion in history, yet it is not true that denial of God would lead to peace. If God’s light is extinguished, man’s divine dignity is also extinguished. Then the human creature would cease to be God’s image, to which we must pay honour in every person, in the weak, in the stranger, in the poor. Then we would no longer all be brothers and sisters, children of the one Father, who belong to one another on account of that one Father. The kind of arrogant violence that then arises, the way man then despises and tramples upon man: we saw this in all its cruelty in the last century. Only if God’s light shines over man and within him, only if every single person is desired, known and loved by God is his dignity inviolable, however wretched his situation may be. On this Holy Night, God himself became man; as Isaiah prophesied, the child born here is "Emmanuel", God with us (Is 7:14). And down the centuries, while there has been misuse of religion, it is also true that forces of reconciliation and goodness have constantly sprung up from faith in the God who became man. Into the darkness of sin and violence, this faith has shone a bright ray of peace and goodness, which continues to shine.

So Christ is our peace, and he proclaimed peace to those far away and to those near at hand (cf. Eph 2:14, 17). How could we now do other than pray to him: Yes, Lord, proclaim peace today to us too, whether we are far away or near at hand. Grant also to us today that swords may be turned into ploughshares (Is 2:4), that instead of weapons for warfare, practical aid may be given to the suffering. Enlighten those who think they have to practise violence in your name, so that they may see the senselessness of violence and learn to recognize your true face. Help us to become people "with whom you are pleased" – people according to your image and thus people of peace.

Once the angels departed, the shepherds said to one another: Let us go over to Bethlehem and see this thing that has happened for us (cf. Lk 2:15). The shepherds went with haste to Bethlehem, the Evangelist tells us (cf. 2:16). A holy curiosity impelled them to see this child in a manger, who the angel had said was the Saviour, Christ the Lord. The great joy of which the angel spoke had touched their hearts and given them wings.

Let us go over to Bethlehem, says the Church’s liturgy to us today. Trans-eamus is what the Latin Bible says: let us go "across", daring to step beyond, to make the "transition" by which we step outside our habits of thought and habits of life, across the purely material world into the real one, across to the God who in his turn has come across to us. Let us ask the Lord to grant that we may overcome our limits, our world, to help us to encounter him, especially at the moment when he places himself into our hands and into our heart in the Holy Eucharist.

Let us go over to Bethlehem: as we say these words to one another, along with the shepherds, we should not only think of the great "crossing over" to the living God, but also of the actual town of Bethlehem and all those places where the Lord lived, ministered and suffered. Let us pray at this time for the people who live and suffer there today. Let us pray that there may be peace in that land. Let us pray that Israelis and Palestinians may be able to live their lives in the peace of the one God and in freedom. Let us also pray for the countries of the region, for Lebanon, Syria, Iraq and their neighbours: that there may be peace there, that Christians in those lands where our faith was born may be able to continue living there, that Christians and Muslims may build up their countries side by side in God’s peace.

The shepherds made haste. Holy curiosity and holy joy impelled them. In our case, it is probably not very often that we make haste for the things of God. God does not feature among the things that require haste. The things of God can wait, we think and we say. And yet he is the most important thing, ultimately the one truly important thing. Why should we not also be moved by curiosity to see more closely and to know what God has said to us? At this hour, let us ask him to touch our hearts with the holy curiosity and the holy joy of the shepherds, and thus let us go over joyfully to Bethlehem, to the Lord who today once more comes to meet us. Amen.

[01727-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Immer wieder rührt die Schönheit dieses Evangelium unser Herz an – Schönheit, die Glanz der Wahrheit ist. Immer wieder trifft es uns, daß Gott, damit wir ihn lieben können, damit wir wagen, ihn zu lieben, sich zu einem Kind macht, sich vertrauend als Kind in unsere Hände gibt. Er sagt gleichsam: Ich weiß, daß mein Glanz dich erschreckt. Daß du dich gegen meine Größe zu behaupten versuchst. Nun, so komme ich als Kind zu dir, damit du mich annehmen, mich lieben kannst.

Immer wieder trifft mich auch das fast nebenbei gesagte Wort des Evangelisten, daß in der Herberge kein Platz für sie war. Unausweichlich steht die Frage auf, wie es denn wäre, wenn Maria und Josef bei mir anklopfen würden. Wäre da Platz für sie? Und dann kommt uns in den Sinn, daß der Evangelist Johannes die fast zufällig erscheinende Notiz über den fehlenden Platz in der Herberge, der die heilige Familie in den Stall drängte, ins Grundsätzliche vertieft und geschrieben hat: „Er kam in sein Eigentum, und die Seinigen nahmen ihn nicht auf" (Joh 1, 11). Die große moralische Frage, wie es um die Heimatlosen, die Flüchtenden, die Menschen unterwegs bei uns steht, wird so noch grundsätzlicher: Haben wir eigentlich Platz für Gott, wenn er bei uns einzutreten versucht? Haben wir Zeit und Raum für ihn? Wird nicht gerade Gott selbst von uns abgewiesen? Das beginnt damit, daß wir keine Zeit für Gott haben. Je schneller wir uns bewegen können, je zeitsparender unsere Geräte werden, desto weniger Zeit haben wir. Und Gott? Die Frage nach ihm erscheint nie dringend. Unsere Zeit ist schon angefüllt. Aber die Dinge gehen noch tiefer. Hat Gott eigentlich Platz in unserem Denken? Die Methoden unseres Denkens sind so angelegt, daß es ihn eigentlich nicht geben darf. Auch wenn er anzuklopfen scheint an die Tür unseres Denkens, muß er weg-erklärt werden. Das Denken muß, um als ernstlich zu gelten, so angelegt werden, daß die „Hypothese Gott" überflüssig wird. Es gibt keinen Platz für ihn. Auch in unserem Fühlen und Wollen ist kein Raum für ihn da. Wir wollen uns selbst. Wir wollen das Handgreifliche, das faßbare Glück, den Erfolg unserer eigenen Pläne und Absichten. Wir sind mit uns selbst vollgestellt, so daß kein Raum für Gott bleibt. Und deshalb gibt es auch keinen Raum für die anderen, für die Kinder, für die Armen und Fremden. Von dem einfachen Wort über den fehlenden Platz in der Herberge her können wir sehen, wie nötig uns der Anruf des heiligen Paulus ist: „Laßt euch umgestalten und euer Denken erneuern" (Röm 12, 2). Paulus spricht von der Erneuerung, von dem Aufbrechen unseres Verstandes (nous), von der ganzen Weise, wie wir die Welt und uns selber betrachten. Die Bekehrung, derer wir bedürfen, muß wirklich bis in die Tiefe unseres Verhältnisses zur Wirklichkeit hineinreichen. Bitten wir den Herrn, daß wir wach werden für seine Gegenwart. Daß wir hören, wie er leise und doch eindringlich an die Tür unseres Seins und Wollens anklopft. Bitten wir ihn, daß in uns Raum werde für ihn. Und daß wir so ihn erkennen auch in denen, durch die er uns anredet: in den Kindern, in den Leidenden und Verlassenen, in den Ausgestoßenen und in den Armen dieser Welt.

Noch ein zweites Wort der Weihnachtsgeschichte möchte ich gern mit Ihnen bedenken: den Lobgesang der Engel, den sie nach der Botschaft vom neugeborenen Erlöser anstimmen: Herrlichkeit ist Gott in der Höhe und Friede mit den Menschen seines Wohlgefallens. Gott ist herrlich. Gott ist reines Licht, Leuchten der Wahrheit und der Liebe. Er ist gut. Er ist das wahrhaft Gute, der Gute schlechthin. Die Engel, die um ihn sind, geben zunächst einfach die Freude über die Wahrnehmung von Gottes Herrlichkeit weiter. Ihr Singen ist Ausstrahlen der Freude, die sie erfüllt. Bei ihren Worten hören wir gleichsam in die Klänge des Himmels hinein. Da ist keine Frage nach Zwecken dahinter, sondern einfach das Erfülltsein vom Glück der Wahrnehmung der reinen Helligkeit von Gottes Wahrheit und Liebe. Von dieser Freude wollen wir uns anrühren lassen: Es gibt die Wahrheit. Es gibt die reine Güte. Es gibt das reine Licht. Gott ist gut, und er ist die letzte Macht über allen Mächten. Darob sollten wir in dieser Nacht mit den Engeln, mit den Hirten einfach froh werden.

Mit der Herrlichkeit Gottes in der Höhe hängt der Friede auf Erden unter den Menschen zusammen. Wo Gott nicht in Ehren steht, wo er vergessen oder gar geleugnet wird, da ist auch kein Friede. Heute freilich behaupten weitverbreitete Strömungen des Denkens das Gegenteil: Die Religionen, besonders der Monotheismus, seien der Grund für die Gewalt und für die Kriege in der Welt. Von ihnen müsse man die Menschheit zuerst befreien, damit Friede werde. Der Monotheismus, der Glaube an den einen Gott, sei Rechthaberei, Grund der Intoleranz, weil er sich von seinem eigenen Wesen her allen mit dem Anspruch der alleinigen Wahrheit aufdrängen wolle. Nun ist wahr, daß in der Geschichte der Monotheismus als Vorwand für Intoleranz und Gewalt gedient hat. Wahr ist, daß Religion erkranken und so sich ihrem tieferen Wesen entgegenstellen kann, wenn der Mensch meint, selbst die Sache Gottes in die Hand nehmen zu müssen und so Gott zu seinem Privateigentum macht. Gegen diese Verzerrungen des Heiligen müssen wir wachsam sein. Wenn Mißbrauch der Religion in der Geschichte unbestreitbar ist, so ist es doch nicht wahr, daß das Nein zu Gott den Frieden herstellen würde. Wenn das Licht Gottes erlischt, erlischt auch die göttliche Würde des Menschen. Dann ist er nicht mehr Gottes Ebenbild, das wir in jedem, im Schwachen, im Fremden, im Armen in Ehren halten müssen. Dann sind wir nicht mehr alle Brüder und Schwestern, Kinder des einen Vaters, die vom Vater her einander zugehören. Welche Arten von anmaßender Gewalt dann erscheinen, wie dann der Mensch den Menschen mißachtet und zertritt, das haben wir in seiner ganzen Grausamkeit im vergangenen Jahrhundert gesehen. Nur wenn das Licht Gottes über den Menschen und in ihm leuchtet, nur wenn jeder einzelne Mensch von Gott gewollt, gekannt und geliebt ist, nur dann ist seine Würde unantastbar, wie armselig seine Situation auch immer sein mag. In der Heiligen Nacht ist Gott selbst ein Menschenkind geworden, wie der Prophet Jesaja angekündigt hatte: Das hier geborene Kindlein ist „Immanuel", Gott mit uns (Jes 7, 14). Und all die Jahrhunderte hindurch hat es wahrhaft nicht nur den Mißbrauch der Religion gegeben, sondern von dem Glauben an den Gott, der Mensch wurde, sind immer wieder Kräfte der Versöhnung und der Güte ausgegangen. In das Dunkel von Sünde und Gewalt hat dieser Glaube einen Lichtstrahl des Friedens und der Güte eingezeichnet, der immerfort weiter leuchtet.

So ist Christus unser Friede und hat Frieden verkündet den Fernen und den Nahen (vgl. Eph 2, 14. 17). Wie sollten wir nicht in dieser Stunde zu ihm beten: Ja, Herr, künde uns auch heute Frieden, den Fernen und den Nahen. Gib, daß auch heute Schwerter in Pflugscharen umgewandelt werden (Jes 2, 4), daß anstelle von Kriegsrüstung Hilfe für die Leidenden trete. Erleuchte Menschen, die in deinem Namen glauben, Gewalt ausüben zu müssen, daß sie den Widersinn der Gewalt einsehen und dein wahres Antlitz erkennen lernen. Hilf uns, daß wir Menschen deines Wohlgefallens werden – Menschen nach deinem Bild und so Menschen des Friedens.

Als die Engel gegangen waren, sagen die Hirten zueinander: Auf, laßt uns hinübergehen nach Bethlehem und das Wort sehen, das uns geworden ist (Lk 2, 15). Die Hirten eilten auf ihrem Weg nach Bethlehem, so sagt uns der Evangelist (2, 16). Eine heilige Neugier trieb sie, dieses Kind in einer Futterkrippe zu sehen, über das doch der Engel gesagt hatte, daß es der Retter, der Gesalbte, der Herr sei. Die große Freude, von der der Engel gesprochen hatte, hatte ihr Herz berührt und beflügelte sie.

Laßt uns hinübergehen nach Bethlehem, so sagt die Liturgie der Kirche heute zu uns. Trans-eamus heißt es in der lateinischen Bibel: hinüber-gehen, den Überschritt, das „Trans" wagen, mit dem wir aus unseren Denk- und Lebensgewohnheiten herausgehen und die bloß materielle Welt überschreiten auf das Eigentliche hin, hinüber zu dem Gott, der seinerseits zu uns herübergekommen ist. Wir wollen den Herrn bitten, daß er uns das Überschreiten unserer Grenzen, unserer eigenen Welt schenke, daß er uns helfe, ihm zu begegnen, besonders in dem Augenblick, in dem er sich selbst in der heiligen Eucharistie in unsere Hände und in unser Herz hineinlegt.

Gehen wir hinüber nach Bethlehem: Bei diesem Wort, das wir mit den Hirten zueinander sagen, sollen wir nicht nur an den großen Über-Schritt zum lebendigen Gott hin denken, sondern auch an die konkrete Stadt Bethlehem, an all die Orte, an denen der Herr gelebt, gewirkt und gelitten hat. Beten wir in dieser Stunde für die Menschen, die heute dort leben und leiden. Beten wir darum, daß dort Friede sei. Beten wir darum, daß Israelis und Palästinenser im Frieden des einen Gottes und in Freiheit ihr Leben entfalten können. Beten wir auch für die umliegenden Länder, für den Libanon, für Syrien, den Irak und so fort: daß dort Friede werde. Daß die Christen in diesen Ländern des Ursprungs unseres Glaubens dort ihr Zuhause behalten können, daß Christen und Muslime im Frieden Gottes miteinander ihre Länder aufbauen.

Die Hirten eilten. Heilige Neugier und heilige Freude trieb sie. Bei uns kommt es wohl sehr selten vor, daß wir für die Dinge Gottes eilen. Gott gehört heute nicht zu den eilbedürftigen Wirklichkeiten. Die Dinge Gottes haben Zeit, so denken und sagen wir. Und doch ist er das Wichtigste, der allein letztlich wirklich Wichtige. Warum sollte nicht auch uns die Neugier befallen, näher zu sehen und zu erkennen, was Gott uns gesagt hat? Bitten wir ihn, daß die heilige Neugier und die heilige Freude der Hirten in dieser Stunde auch uns anrühren, und gehen wir so freudig hinüber nach Bethlehem – zum Herrn, der auch heute neu zu uns kommt. Amen.

[01727-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas

Una vez más, como siempre, la belleza de este Evangelio nos llega al corazón: una belleza que es esplendor de la verdad. Nuevamente nos conmueve que Dios se haya hecho niño, para que podamos amarlo, para que nos atrevamos a amarlo, y, como niño, se pone confiadamente en nuestras manos. Dice algo así: Sé que mi esplendor te asusta, que ante mi grandeza tratas de afianzarte tú mismo. Pues bien, vengo por tanto a ti como niño, para que puedas acogerme y amarme.

Nuevamente me llega al corazón esa palabra del evangelista, dicha casi de pasada, de que no había lugar para ellos en la posada. Surge inevitablemente la pregunta sobre qué pasaría si María y José llamaran a mi puerta. ¿Habría lugar para ellos? Y después nos percatamos de que esta noticia aparentemente casual de la falta de sitio en la posada, que lleva a la Sagrada Familia al establo, es profundizada en su esencia por el evangelista Juan cuando escribe: «Vino a su casa, y los suyos no la recibieron» (Jn 1,11). Así que la gran cuestión moral de lo que sucede entre nosotros a propósito de los prófugos, los refugiados, los emigrantes, alcanza un sentido más fundamental aún: ¿Tenemos un puesto para Dios cuando él trata de entrar en nosotros? ¿Tenemos tiempo y espacio para él? ¿No es precisamente a Dios mismo al que rechazamos? Y así se comienza porque no tenemos tiempo para Dios. Cuanto más rápidamente nos movemos, cuanto más eficaces son los medios que nos permiten ahorrar tiempo, menos tiempo nos queda disponible. ¿Y Dios? Lo que se refiere a él, nunca parece urgente. Nuestro tiempo ya está completamente ocupado. Pero la cuestión va todavía más a fondo. ¿Tiene Dios realmente un lugar en nuestro pensamiento? La metodología de nuestro pensar está planteada de tal manera que, en el fondo, él no debe existir. Aunque parece llamar a la puerta de nuestro pensamiento, debe ser rechazado con algún razonamiento. Para que se sea considerado serio, el pensamiento debe estar configurado de manera que la «hipótesis Dios» sea superflua. No hay sitio para él. Tampoco hay lugar para él en nuestros sentimientos y deseos. Nosotros nos queremos a nosotros mismos, queremos las cosas tangibles, la felicidad que se pueda experimentar, el éxito de nuestros proyectos personales y de nuestras intenciones. Estamos completamente «llenos» de nosotros mismos, de modo que ya no queda espacio alguno para Dios. Y, por eso, tampoco queda espacio para los otros, para los niños, los pobres, los extranjeros. A partir de la sencilla palabra sobre la falta de sitio en la posada, podemos darnos cuenta de lo necesaria que es la exhortación de san Pablo: «Transformaos por la renovación de la mente» (Rm 12,2). Pablo habla de renovación, de abrir nuestro intelecto (nous); habla, en general, del modo en que vemos el mundo y nos vemos a nosotros mismos. La conversión que necesitamos debe llegar verdaderamente hasta las profundidades de nuestra relación con la realidad. Roguemos al Señor para que estemos vigilantes ante su presencia, para que oigamos cómo él llama, de manera callada pero insistente, a la puerta de nuestro ser y de nuestro querer. Oremos para que se cree en nuestro interior un espacio para él. Y para que, de este modo, podamos reconocerlo también en aquellos a través de los cuales se dirige a nosotros: en los niños, en los que sufren, en los abandonados, los marginados y los pobres de este mundo.

En el relato de la Navidad hay también una segunda palabra sobre la que quisiera reflexionar con vosotros: el himno de alabanza que los ángeles entonan después del mensaje sobre el Salvador recién nacido: «Gloria a Dios en el cielo, y en la tierra paz a los hombres en quienes él se complace». Dios es glorioso. Dios es luz pura, esplendor de la verdad y del amor. Él es bueno. Es el verdadero bien, el bien por excelencia. Los ángeles que lo rodean transmiten en primer lugar simplemente la alegría de percibir la gloria de Dios. Su canto es una irradiación de la alegría que los inunda. En sus palabras oímos, por decirlo así, algo de los sonidos melodiosos del cielo. En ellas no se supone ninguna pregunta sobre el porqué, aparece simplemente el hecho de estar llenos de la felicidad que proviene de advertir el puro esplendor de la verdad y del amor de Dios. Queremos dejarnos embargar de esta alegría: existe la verdad. Existe la pura bondad. Existe la luz pura. Dios es bueno y él es el poder supremo por encima de todos los poderes. En esta noche, deberíamos simplemente alegrarnos de este hecho, junto con los ángeles y los pastores.

Con la gloria de Dios en las alturas, se relaciona la paz en la tierra a los hombres. Donde no se da gloria a Dios, donde se le olvida o incluso se le niega, tampoco hay paz. Hoy, sin embargo, corrientes de pensamiento muy difundidas sostienen lo contrario: la religión, en particular el monoteísmo, sería la causa de la violencia y de las guerras en el mundo; sería preciso liberar antes a la humanidad de la religión para que se estableciera después la paz; el monoteísmo, la fe en el único Dios, sería prepotencia, motivo de intolerancia, puesto que por su naturaleza quisiera imponerse a todos con la pretensión de la única verdad. Es cierto que el monoteísmo ha servido en la historia como pretexto para la intolerancia y la violencia. Es verdad que una religión puede enfermar y llegar así a oponerse a su naturaleza más profunda, cuando el hombre piensa que debe tomar en sus manos la causa de Dios, haciendo así de Dios su propiedad privada. Debemos estar atentos contra esta distorsión de lo sagrado. Si es incontestable un cierto uso indebido de la religión en la historia, no es verdad, sin embargo, que el «no» a Dios restablecería la paz. Si la luz de Dios se apaga, se extingue también la dignidad divina del hombre. Entonces, ya no es la imagen de Dios, que debemos honrar en cada uno, en el débil, el extranjero, el pobre. Entonces ya no somos todos hermanos y hermanas, hijos del único Padre que, a partir del Padre, están relacionados mutuamente. Qué géneros de violencia arrogante aparecen entonces, y cómo el hombre desprecia y aplasta al hombre, lo hemos visto en toda su crueldad el siglo pasado. Sólo cuando la luz de Dios brilla sobre el hombre y en el hombre, sólo cuando cada hombre es querido, conocido y amado por Dios, sólo entonces, por miserable que sea su situación, su dignidad es inviolable. En la Noche Santa, Dios mismo se ha hecho hombre, como había anunciado el profeta Isaías: el niño nacido aquí es «Emmanuel», Dios con nosotros (cf. Is 7,14). Y, en el transcurso de todos estos siglos, no se han dado ciertamente sólo casos de uso indebido de la religión, sino que la fe en ese Dios que se ha hecho hombre ha provocado siempre de nuevo fuerzas de reconciliación y de bondad. En la oscuridad del pecado y de la violencia, esta fe ha insertado un rayo luminoso de paz y de bondad que sigue brillando.

Así pues, Cristo es nuestra paz, y ha anunciado la paz a los de lejos y a los de cerca (cf. Ef 2,14.17). Cómo dejar de implorarlo en esta hora: Sí, Señor, anúncianos también hoy la paz, a los de cerca y a los de lejos. Haz que, también hoy, de las espadas se forjen arados (cf. Is 2,4), que en lugar de armamento para la guerra lleguen ayudas para los que sufren. Ilumina la personas que se creen en el deber aplicar la violencia en tu nombre, para que aprendan a comprender lo absurdo de la violencia y a reconocer tu verdadero rostro. Ayúdanos a ser hombres «en los que te complaces», hombres conformes a tu imagen y, así, hombres de paz.

Apenas se alejaron los ángeles, los pastores se decían unos a otros: Vamos, pasemos allá, a Belén, y veamos esta palabra que se ha cumplido por nosotros (cf. Lc 2,15). Los pastores se apresuraron en su camino hacia Belén, nos dice el evangelista (cf. 2,16). Una santa curiosidad los impulsaba a ver en un pesebre a este niño, que el ángel había dicho que era el Salvador, el Cristo, el Señor. La gran alegría, a la que el ángel se había referido, había entrado en su corazón y les daba alas.

Vayamos allá, a Belén, dice hoy la liturgia de la Iglesia. Trans-eamus traduce la Biblia latina: «atravesar», ir al otro lado, atreverse a dar el paso que va más allá, la «travesía» con la que salimos de nuestros hábitos de pensamiento y de vida, y sobrepasamos el mundo puramente material para llegar a lo esencial, al más allá, hacia el Dios que, por su parte, ha venido acá, hacia nosotros. Pidamos al Señor que nos dé la capacidad de superar nuestros límites, nuestro mundo; que nos ayude a encontrarlo, especialmente en el momento en el que él mismo, en la Sagrada Eucaristía, se pone en nuestras manos y en nuestro corazón.

Vayamos allá, a Belén. Con estas palabras que nos decimos unos a otros, al igual que los pastores, no debemos pensar sólo en la gran travesía hacia el Dios vivo, sino también en la ciudad concreta de Belén, en todos los lugares donde el Señor vivió, trabajó y sufrió. Pidamos en esta hora por quienes hoy viven y sufren allí. Oremos para que allí reine la paz. Oremos para que israelíes y palestinos puedan llevar una vida en la paz del único Dios y en libertad. Pidamos también por los países circunstantes, por el Líbano, Siria, Irak, y así sucesivamente, de modo que en ellos se asiente la paz. Que los cristianos en aquellos países donde ha tenido origen nuestra fe puedan conservar su morada; que cristianos y musulmanes construyan juntos sus países en la paz de Dios.

Los pastores se apresuraron. Les movía una santa curiosidad y una santa alegría. Tal vez es muy raro entre nosotros que nos apresuremos por las cosas de Dios. Hoy, Dios no forma parte de las realidades urgentes. Las cosas de Dios, así decimos y pensamos, pueden esperar. Y, sin embargo, él es la realidad más importante, el Único que, en definitiva, importa realmente. ¿Por qué no deberíamos también nosotros dejarnos llevar por la curiosidad de ver más de cerca y conocer lo que Dios nos ha dicho? Pidámosle que la santa curiosidad y la santa alegría de los pastores nos inciten también hoy a nosotros, y vayamos pues con alegría allá, a Belén; hacia el Señor que también hoy viene de nuevo entre nosotros. Amén.

[01727-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Amados irmãos e irmãs!

A beleza deste Evangelho não cessa de tocar o nosso coração: uma beleza que é esplendor da verdade. Não cessa de nos comover o facto de Deus Se ter feito menino, para que nós pudéssemos amá-Lo, para que ousássemos amá-Lo, e, como menino, Se coloca confiadamente nas nossas mãos. Como se dissesse: Sei que o meu esplendor te assusta, que à vista da minha grandeza procuras impor-te a ti mesmo. Por isso venho a ti como menino, para que Me possas acolher e amar.

Sempre de novo me toca também a palavra do evangelista, dita quase de fugida, segundo a qual não havia lugar para eles na hospedaria. Inevitavelmente se põe a questão de saber como reagiria eu, se Maria e José batessem à minha porta. Haveria lugar para eles? E recordamos então que esta notícia, aparentemente casual, da falta de lugar na hospedaria que obriga a Sagrada Família a ir para o estábulo, foi aprofundada e referida na sua essência pelo evangelista João nestes termos: «Veio para o que era Seu, e os Seus não O acolheram» (Jo 1, 11). Deste modo, a grande questão moral sobre o modo como nos comportamos com os prófugos, os refugiados, os imigrantes ganha um sentido ainda mais fundamental: Temos verdadeiramente lugar para Deus, quando Ele tenta entrar em nós? Temos tempo e espaço para Ele? Porventura não é ao próprio Deus que rejeitamos? Isto começa pelo facto de não termos tempo para Deus. Quanto mais rapidamente nos podemos mover, quanto mais eficazes se tornam os meios que nos fazem poupar tempo, tanto menos tempo temos disponível. E Deus? O que diz respeito a Ele nunca parece uma questão urgente. O nosso tempo já está completamente preenchido. Mas vejamos o caso ainda mais em profundidade. Deus tem verdadeiramente um lugar no nosso pensamento? A metodologia do nosso pensamento está configurada de modo que, no fundo, Ele não deva existir. Mesmo quando parece bater à porta do nosso pensamento, temos de arranjar qualquer raciocínio para O afastar; o pensamento, para ser considerado «sério», deve ser configurado de modo que a «hipótese Deus» se torne supérflua. E também nos nossos sentimentos e vontade não há espaço para Ele. Queremo-nos a nós mesmos, queremos as coisas que se conseguem tocar, a felicidade que se pode experimentar, o sucesso dos nossos projectos pessoais e das nossas intenções. Estamos completamente «cheios» de nós mesmos, de tal modo que não resta qualquer espaço para Deus. E por isso não há espaço sequer para os outros, para as crianças, para os pobres, para os estrangeiros. A partir duma frase simples como esta sobre o lugar inexistente na hospedaria, podemos dar-nos conta da grande necessidade que há desta exortação de São Paulo: «Transformai-vos pela renovação da vossa mente» (Rm 12, 2). Paulo fala da renovação, da abertura do nosso intelecto (nous); fala, em geral, do modo como vemos o mundo e a nós mesmos. A conversão, de que temos necessidade, deve chegar verdadeiramente até às profundezas da nossa relação com a realidade. Peçamos ao Senhor para que nos tornemos vigilantes quanto à sua presença, para que ouçamos como Ele bate, de modo suave mas insistente, à porta do nosso ser e da nossa vontade. Peçamos para que se crie, no nosso íntimo, um espaço para Ele e possamos, deste modo, reconhecê-Lo também naqueles sob cujas vestes vem ter connosco: nas crianças, nos doentes e abandonados, nos marginalizados e pobres deste mundo.

Na narração do Natal, há ainda outro ponto que gostava de reflectir juntamente convosco: o hino de louvor que os anjos entoam depois de anunciar o Salvador recém-nascido: «Glória a Deus nas alturas, e paz na terra aos homens do seu agrado». Deus é glorioso. Deus é pura luz, esplendor da verdade e do amor. Ele é bom. É o verdadeiro bem, o bem por excelência. Os anjos que O rodeiam transmitem, primeiro, a pura e simples alegria pela percepção da glória de Deus. O seu canto é uma irradiação da alegria que os inunda. Nas suas palavras, sentimos, por assim dizer, algo dos sons melodiosos do céu. No canto, não está subjacente qualquer pergunta sobre a finalidade; há simplesmente o facto de transbordarem da felicidade que deriva da percepção do puro esplendor da verdade e do amor de Deus. Queremos deixar-nos tocar por esta alegria: existe a verdade; existe a pura bondade; existe a luz pura. Deus é bom; Ele é o poder supremo que está acima de todos os poderes. Nesta noite, deveremos simplesmente alegrar-nos por este facto, juntamente com os anjos e os pastores.

E, com a glória de Deus nas alturas, está relacionada a paz na terra entre os homens. Onde não se dá glória a Deus, onde Ele é esquecido ou até mesmo negado, também não há paz. Hoje, porém, há correntes generalizadas de pensamento que afirmam o contrário: as religiões, mormente o monoteísmo, seriam a causa da violência e das guerras no mundo; primeiro seria preciso libertar a humanidade das religiões, para se criar então a paz; o monoteísmo, a fé no único Deus, seria prepotência, causa de intolerância, porque pretenderia, fundamentado na sua própria natureza, impor-se a todos com a pretensão da verdade única. É verdade que, na história, o monoteísmo serviu de pretexto para a intolerância e a violência. É verdade que uma religião pode adoecer e chegar a contrapor-se à sua natureza mais profunda, quando o homem pensa que deve ele mesmo deitar mão à causa de Deus, fazendo assim de Deus uma sua propriedade privada. Contra estas deturpações do sagrado, devemos estar vigilantes. Se é incontestável algum mau uso da religião na história, não é verdade que o «não» a Deus restabeleceria a paz. Se a luz de Deus se apaga, apaga-se também a dignidade divina do homem. Então, este deixa de ser a imagem de Deus, que devemos honrar em todos e cada um, no fraco, no estrangeiro, no pobre. Então deixamos de ser, todos, irmãos e irmãs, filhos do único Pai que, a partir do Pai, se encontram interligados uns aos outros. Os tipos de violência arrogante que aparecem então com o homem a desprezar e a esmagar o homem, vimo-los, em toda a sua crueldade, no século passado. Só quando a luz de Deus brilha sobre o homem e no homem, só quando cada homem é querido, conhecido e amado por Deus, só então, por mais miserável que seja a sua situação, a sua dignidade é inviolável. Na Noite Santa, o próprio Deus Se fez homem, como anunciara o profeta Isaías: o menino nascido aqui é «Emmanuel – Deus-connosco» (cf. Is 7, 14). E verdadeiramente, no decurso de todos estes séculos, não houve apenas casos de mau uso da religião; mas, da fé no Deus que Se fez homem, nunca cessou de brotar forças de reconciliação e magnanimidade. Na escuridão do pecado e da violência, esta fé fez entrar um raio luminoso de paz e bondade que continua a brilhar.

Assim, Cristo é a nossa paz e anunciou a paz àqueles que estavam longe e àqueles que estavam perto (cf. Ef 2, 14.17). Quanto não deveremos nós suplicar-Lhe nesta hora! Sim, Senhor, anunciai a paz também hoje a nós, tanto aos que estão longe como aos que estão perto. Fazei que também hoje das espadas se forjem foices (cf. Is 2, 4), que, em vez dos armamentos para a guerra, apareçam ajudas para os enfermos. Iluminai a quantos acreditam que devem praticar violência em vosso nome, para que aprendam a compreender o absurdo da violência e a reconhecer o vosso verdadeiro rosto. Ajudai a tornarmo-nos homens «do vosso agrado»: homens segundo a vossa imagem e, por conseguinte, homens de paz.

Logo que os anjos se afastaram, os pastores disseram uns para os outros: Coragem! Vamos até lá, a Belém, e vejamos esta palavra que nos foi mandada (cf. Lc 2, 15). Os pastores puseram-se apressadamente a caminho para Belém – diz-nos o evangelista (cf. 2, 16). Uma curiosidade santa os impelia, desejosos de verem numa manjedoura este menino, de quem o anjo tinha dito que era o Salvador, o Messias, o Senhor. A grande alegria, de que o anjo falara, apoderara-se dos seus corações e dava-lhes asas.

Vamos até lá, a Belém: diz-nos hoje a liturgia da Igreja. Trans-eamus – lê-se na Bíblia latina – «atravessar», ir até lá, ousar o passo que vai mais além, que faz a «travessia», saindo dos nossos hábitos de pensamento e de vida e ultrapassando o mundo meramente material para chegarmos ao essencial, ao além, rumo àquele Deus que, por sua vez, viera ao lado de cá, para nós. Queremos pedir ao Senhor que nos dê a capacidade de ultrapassar os nossos limites, o nosso mundo; que nos ajude a encontrá-Lo, sobretudo no momento em que Ele mesmo, na Santa Eucaristia, Se coloca nas nossas mãos e no nosso coração.

Vamos até lá, a Belém! Ao dizermos estas palavras uns aos outros, como fizeram os pastores, não devemos pensar apenas na grande travessia até junto do Deus vivo, mas também na cidade concreta de Belém, em todos os lugares onde o Senhor viveu, trabalhou e sofreu. Rezemos nesta hora pelas pessoas que actualmente vivem e sofrem lá. Rezemos para que lá haja paz. Rezemos para que Israelitas e Palestinianos possam conduzir a sua vida na paz do único Deus e na liberdade. Peçamos também pelos países vizinhos – o Líbano, a Síria, o Iraque, etc. – para que lá se consolide a paz. Que os cristãos possam conservar a sua casa naqueles países onde teve origem a nossa fé; que cristãos e muçulmanos construam, juntos, os seus países na paz de Deus.

Os pastores apressaram-se… Uma curiosidade santa e uma santa alegria os impelia. No nosso caso, talvez aconteça muito raramente que nos apressemos pelas coisas de Deus. Hoje, Deus não faz parte das realidades urgentes. As coisas de Deus – assim o pensamos e dizemos – podem esperar. E todavia Ele é a realidade mais importante, o Único que, em última análise, é verdadeiramente importante. Por que motivo não deveríamos também nós ser tomados pela curiosidade de ver mais de perto e conhecer o que Deus nos disse? Supliquemos-Lhe para que a curiosidade santa e a santa alegria dos pastores nos toquem nesta hora também a nós e assim vamos com alegria até lá, a Belém, para o Senhor que hoje vem de novo para nós. Amen.

[01727-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Nieustannie na nowo piękno tej ewangelii wzrusza nasze serca – piękno, które jest blaskiem prawdy. Nieustannie na nowo wzrusza nas fakt, że Bóg staje się dzieckiem, abyśmy Go mogli miłować i jako dziecko powierza się z ufnością w nasze ręce. Niemalże mówi: wiem, że moja wspaniałość cię przeraża, w obliczu mojej wielkości szukasz uznania dla siebie samego. Tak więc przychodzę do ciebie jako dziecko, abyś mógł mnie przyjąć i pokochać.

Nieustannie na nowo wzrusza mnie także słowo ewangelisty, wypowiedziane niemal mimochodem, że nie było dla nich miejsca w gospodzie. Nasuwa się nieuchronnie pytanie, co by się stało, gdyby Maryja i Józef zapukali do moich drzwi. Czy byłoby dla nich miejsce? Przychodzi nam także na myśl, że tę uwagę, pozornie przypadkową o braku miejsca w gospodzie, co zmusiło Świętą Rodzinę, by schroniła się w stajence, ewangelista Jan pogłębił i wskazał na istotę, mówiąc: „[Słowo] przyszło do swojej własności, a swoi Go nie przyjęli" (J, 11). W ten sposób wielka kwestia moralna dotycząca tego, jak podchodzimy do uchodźców, uciekinierów, migrantów zyskuje znaczenie jeszcze bardziej fundamentalne: czy naprawdę mamy miejsce dla Boga, kiedy próbuje do nas przybyć? Czy mamy dla Niego czas i miejsce? Czyż to właśnie nie sam Bóg jest przez nas odrzucany? Rozpoczyna się to od tego, że nie mamy czasu dla Boga. Im szybciej możemy się poruszać, im bardziej skuteczne stają się narzędzia, pozwalające oszczędzić nam czas, tym mniej mamy czasu do dyspozycji. A Bóg? Kwestia dotycząca Jego nigdy nie wydaje się pilna. Nasz czas już jest całkowicie wypełniony. Sprawy idą jednak znacznie głębiej. Czy Bóg ma naprawdę miejsce w naszym myśleniu? Metodologia naszego myślenia jest tak ustawiona, że w istocie On nie powinien istnieć. Nawet jeśli zdaje się pukać do bram naszej myśli, musi On zostać oddalony z jakąś argumentacją. Aby jakaś myśl była uważana za poważną, musi być skonstruowana w ten sposób, aby uczynić zbędną „hipotezę Boga". Nie ma dla Niego miejsca. Także w naszym odczuwaniu i pragnieniach nie ma dla Niego miejsca. Chcemy samych siebie, pragniemy rzeczy, których można dotknąć, szczęścia doświadczalnego, sukcesu naszych planów osobistych i naszych zamiarów. Jesteśmy całkowicie „wypełnieni" samymi sobą, tak, że nie ma już wcale miejsca dla Boga. Dlatego też nie ma miejsca dla innych, dla dzieci, dla ubogich, dla obcokrajowców. Wychodząc z prostego słowa, o braku miejsca w gospodzie możemy sobie uświadomić, jak bardzo potrzebujemy zachęty świętego Pawła: „Przemieniajcie się przez odnawianie umysłu" (Rz 12, 2). Paweł mówi o odnowieniu, o otwarciu naszego umysłu (nous); mówi, ogólnie rzecz biorąc, o sposobie w jaki postrzegamy świat i samych siebie. Nawrócenie, którego potrzebujemy musi naprawdę sięgnąć aż do głębi naszej relacji z rzeczywistością. Módlmy się, aby w naszych sercach tworzyła się przestrzeń dla Niego. A także, abyśmy w ten sposób mogli Go rozpoznać również i w tych, poprzez których do nas się zwraca: w dzieciach, cierpiących i opuszczonych, zmarginalizowanych i biednych tego świata.

Jest jeszcze drugie słowo w opisie Bożego Narodzenia, nad którym chciałbym się wraz z wami zastanowić: hymn uwielbienia, który aniołowie wznoszą po ogłoszeniu orędzia o nowo narodzonym Zbawicielu: „Chwała Bogu na wysokościach, a na ziemi pokój ludziom Jego upodobania". Bóg jest chwalebny. Bóg jest czystym światłem, blaskiem prawdy i miłości. On jest dobry. Jest prawdziwym dobrem, dobrem par excellence. Otaczający Go aniołowie, przekazują przede wszystkim zwyczajnie radość z powodu postrzegania chwały Bożej. Ich śpiew jest promieniowaniem wypełniającej ich radości. W ich słowach słyszymy, że tak powiem, coś z melodyjnych dźwięków nieba. Nie ma żadnych wątpliwości co do celu, jest po prostu fakt wypełnienia szczęściem wypływającym z percepcji czystego blasku prawdy i miłości Boga. Pragniemy, aby ta radość nas dotknęła: istnieje radość. Istnieje czyste dobro. Istnieje czyste światło. Bóg jest dobry i jest On najwyższą mocą ponad wszystkimi mocami. Z tego faktu powinniśmy się po prostu tej nocy radować razem z aniołami i pasterzami.

Z chwałą Boga na wysokościach związany jest pokój na ziemi między ludźmi. Tam, gdzie nie oddaje się chwały Bogu, gdzie się o Nim zapomina lub wręcz Jemu zaprzecza, nie ma także pokoju. Jednakże dzisiaj rozpowszechnione nurty myślenia twierdzą odwrotnie: religie, szczególnie monoteizm, miałyby być przyczyną przemocy i wojen na świecie; należałoby najpierw wyzwolić ludzkość od religii, aby następnie budować pokój; monoteizm, wiara w jednego Boga, miałaby być despotyzmem, przyczyną nietolerancji, ponieważ ze swej natury chciałaby narzucić siebie wszystkim, uzurpując sobie, że jest jedyną prawdą. To fakt, że w historii monoteizm posłużył za pretekst do nietolerancji i przemocy. To prawda, że religia może ulec chorobie i w ten sposób przeciwstawić się swojej najgłębszej naturze, kiedy człowiek myśli, że musi sam we własne ręce wziąć sprawę Boga, czyniąc w ten sposób z Boga swoją własność prywatną. Trzeba być czujnym wobec tych wypaczeń sacrum. O ile niepodważalne jest w historii pewne nadużywanie religii, to jednak nie jest prawdą, że odrzucenie Boga przywróci pokój. Jeśli gasi się Boże światło, gasi się także nadaną przez Boga godność człowieka. Nie jest on już wtedy obrazem Boga, który w każdym musimy czcić, w człowieku słabym, obcym, ubogim. Nie jesteśmy już wtedy wszyscy braćmi i siostrami, dziećmi tego samego Ojca, które począwszy od Ojca są ze sobą nawzajem powiązane. W minionym wieku widzieliśmy z całym okrucieństwem jakie wówczas pojawiają się rodzaje aroganckiej przemocy, i jak człowiek gardzi i druzgocze człowieka. Tylko wtedy, gdy światło Boże jaśnieje nad człowiekiem i w człowieku, tylko jeśli każdy człowiek jest chciany, znany i miłowany przez Boga, i tylko wówczas – niezależnie od tego jak bardzo nędzna była by jego sytuacja – jego godność jest nienaruszalna. W Świętą Noc sam Bóg stał się człowiekiem, jak zapowiedział prorok Izajasz: narodzone tutaj dziecko jest „Emanuelem", Bogiem z nami (por. Iz 7, 14). W ciągu tych wszystkich stuleci były naprawdę nie tylko przypadki nadużywania religii, ale z wiary w tego Boga, który stał się człowiekiem, nieustannie na nowo wypływały siły pojednania i dobroci. Ta wiara wniosła w ciemności grzechu i przemocy świetlisty promień pokoju i dobroci, który nadal świeci.

Tak więc Chrystus jest naszym pokojem i ogłosił pokój dalekim i bliskim (por. Ef 2, 14.17). Jakżeż nie powinniśmy się do niego w tej godzinie modlić: Tak, Panie, głoś także i nam dzisiaj pokój, dalekim i bliskim. Spraw, aby i dziś miecze przekuwano na sierpy (por. Iz 2, 4), aby miejsce broni na potrzeby wojenne zajęła pomoc dla cierpiących. Oświecić ludzi, którzy wierzą, że muszą dopuszczać się przemocy w Twoje imię, aby nauczyli się zrozumienia absurdu przemocy i rozpoznawania Twojego prawdziwego oblicza. Pomóż nam stać się ludźmi „Twojego upodobania" – ludźmi na Twój obraz, a więc ludźmi pokoju.

Gdy aniołowie się oddalili, pasterze mówili między sobą: Pójdźmy do Betlejem i zobaczmy, to słowo, które dla nas się wydarzyło (por. Łk 2, 15). Ewangelista nam mówi, że pasterze pospiesznie dążyli do Betlejem (por. 2, 16). Jakaś święta ciekawość pobudziła ich, by zobaczyć w żłobie to dziecię, o którym anioł mówił, że był Zbawicielem, Chrystusem, Panem. Wielka radość, o której mówił anioł poruszyła ich serce i przydawała im skrzydeł.

Chodźmy do Betlejem, mówi do nas dzisiaj liturgia Kościoła. Trans-eamus tłumaczy Biblia łacińska: „przejść", iść poza, odważyć się na krok, który wykracza poza, „przeprawa", przez którą wychodzimy z naszych nawyków myślowych i życiowych i przekraczamy świat czysto materialny, aby osiągnąć to, co istotne, poza to, co teraz, do tego Boga, który ze swej strony, przyszedł tu do nas. Pragniemy prosić Pana, aby dał nam zdolność wyjścia poza nasze ograniczenia, nasz świat; aby nam pomógł w spotkaniu Go, zwłaszcza, gdy On sam, w Eucharystii, składa się w nasze ręce i w nasze serce.

Chodźmy do Betlejem: tymi słowami, wraz z pasterzami, mówimy sobie nawzajem, że nie powinniśmy myśleć tylko o wielkiej drodze do Boga żywego, ale również do konkretnego miasta Betlejem, do wszystkich miejsc gdzie Pan mieszkał, pracował i cierpiał. Módlmy się w tej godzinie za ludzi, którzy dziś tam żyją i cierpią. Módlmy się, aby był tam pokój. Módlmy się, aby Izraelici i Palestyńczycy mogli rozwijać swoje życie w pokoju jednego Boga i w wolności. Módlmy się także za sąsiednie kraje, za Liban, Syrię, Irak i inne: aby umocnił się tam pokój. Aby chrześcijanie w tych krajach, gdzie początki miała nasza wiara, mogli nadal mieszkać; aby chrześcijanie i muzułmanie wspólnie budowali swoje kraje w pokoju Bożym.

Pasterze szli z pośpiechem. Pobudzała ich święta ciekawość i święta radość. Być może między nami bardzo rzadko się zdarza, że spieszymy do Bożych spraw. Bóg nie należy dziś do rzeczy pilnych. Myślimy i mówimy, że sprawy Boże mogą poczekać. Ale to On jest sprawą najważniejszą, jedynym który w ostatecznym rozrachunku jest naprawdę ważny. Dlaczego nie mielibyśmy i my dać się porwać ciekawością, by widzieć bliżej i poznać to, co Bóg nam powiedział? Prośmy Go, aby święta ciekawość i święta radość pasterzy poruszyła w tej chwili także nas i idźmy więc z radością tam, do Betlejem – do tego Pana, który także dziś na nowo przybywa ku nam. Amen.

[01727-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0753-XX.02]