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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 46a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2013), 14.12.2012


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA 46a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2013)

INTERVENTO DEL CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON

INTERVENTO DI S.E. MONS. MARIO TOSO, S.D.B.  

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 46a Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2013) sul tema: Beati gli operatori di pace.

Intervengono l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B., Segretario del Pontificio Consiglio e la Dott.ssa Flaminia Giovanelli, Sotto-Segretario del medesimo Dicastero.

Pubblichiamo di seguito gli interventi del Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson e del Vescovo Mario Toso:

INTERVENTO DEL CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON

All'indomani della comparsa del Santo Padre su Twitter, ci troviamo nella Sala Stampa per un incontro di comunicazione tradizionale. È con piacere, comunque, che usando il metodo collaudato dell'incontro personale con i giornalisti, presentiamo stamattina il Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2013. In questo Messaggio il Papa ha scelto di riflettere, nella declinazione odierna, su una delle Beatitudini del Discorso della Montagna: "Beati gli operatori di pace".

Il Messaggio si apre con la rievocazione di quell'evento straordinario che fu, nella vita della Chiesa, il Concilio Vaticano II, di cui si è appena celebrato il 50° anniversario dell'inizio. Evento caratterizzato, appunto, dal rafforzamento della missione della Chiesa nel mondo e dall'impegno dei cristiani nella storia degli uomini (n. 1).

Il Documento pontificio è strutturato in tre parti.

La I.a parte comprendente i numeri dall'1 al 3, consiste, come è tradizione, nella motivazione della scelta del tema e nella sua interpretazione, cioè nella spiegazione del significato profondo della beatitudine evangelica e della pace quale dono di Dio e opera dell'uomo.

Malgrado il quadro allarmante della situazione in cui versa il mondo globalizzato, caratterizzato da focolai di tensione sociale e da forme di conflitti e violenza di diversa natura, il Papa constata l'esistenza di "molteplici opere di pace ... che testimoniano dell'innata vocazione dell'umanità alla pace" (n. 1), di un desiderio di pace che corrisponde al "dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario" (n. 1).

Questa rinnovata constatazione che l'uomo è fatto per la pace che è dono di Dio, (n. 1) ha spinto il Pontefice ad ispirarsi alle parole di Gesù Cristo riportate dal Vangelo di Matteo al capitolo 5, versetto 9: "Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio" (n. 1).

La beatitudine, come spiega Benedetto XVI, non è solo una raccomandazione morale la cui osservanza prevede, una ricompensa nell'altra vita; è, piuttosto, "l'adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell'amore" (n.2). L'adempimento di una promessa per coloro che si affidano a Dio di scoprire, fin da questa vita, che ne sono figli e che, accogliendo Gesù, hanno il dono della sua pace. Ma la pace, se è dono messianico, è anche opera umana e presuppone, pertanto, un umanesimo aperto alla trascendenza e un'etica della comunione e della condivisione; esige il superamento di antropologie ed etiche basate su assunti soggettivistici e pragmatici e lo smantellamento della dittatura del relativismo e della tesi di una morale totalmente autonoma che preclude il riconoscimento della legge morale naturale (n.2).

Poiché la pace implica il coinvolgimento di tutto l'uomo, quindi il suo essere in pace con Dio, con se stesso, con il prossimo e con il creato e comporta - come affermato dalla Pacem in Terris, di cui ricorrerà nel 2013 il 50° anniversario della pubblicazione - la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sulla giustizia e sull'amore, essa è messa a repentaglio dalla negazione della vera natura dell'essere umano (n. 3). Per diventare, quindi, operatore di pace è fondamentale l'attenzione alla dimensione trascendente, il colloquio costante con Dio e il riconoscimento di essere una unica famiglia umana che si struttura con relazioni interpersonali e istituzioni animate da un "noi" comunitario, dove si riconoscono i reciproci diritti e doveri (3). In definitiva, l'operatore di pace secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell'altro, il bene pieno dell'anima e del corpo e che collabora alla realizzazione del bene comune delle varie società (n. 3).

Si apre qui la II.a parte che comprende i numeri 4 e 5 e nella quale il Papa mette in luce come la realizzazione del bene comune e della pace siano legate al rispetto della vita umana nella sua integralità. I "veri operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace" (n. 4). Dimensione personale: gli operatori di pace sono coloro che difendono e promuovono la vita dal concepimento fino alla morte naturale. In tale difesa e promozione, un punto nodale è il riconoscimento della struttura naturale del matrimonio, quale unione fra uomo e donna, è caratterizzata anche dal suo insostituibile ruolo sociale (n. 4). Questi principi, sottolinea il Pontefice, "sono iscritti nella natura umana, riconoscibili con la ragione e quindi comuni a tutta l'umanità" (n. 4). In base a ciò, è importante per cooperare a realizzare la pace, che gli ordinamenti giuridici e l'amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all'uso del principio dell'obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l'aborto e l'eutanasia" (n. 4). Dimensione trascendente: chi opera per la vita pacifica dei popoli, difende la libertà religiosa, non solo come "libertà da" obblighi e costrizioni circa la libertà di scelta della religione, ma anche come "libertà di" testimoniare e annunciare, di compiere attività educative e di assistenza, di esistere e agire come organismi sociali. (n. 4). Dimensione comunitaria: l'operatore di pace è colui che considera fondamentali e promuove i diritti e doveri sociali che sono essenziali per la piena realizzazione dei diritti e doveri civili e politici. Qui, il punto nodale è la minaccia al diritto al lavoro, poiché il lavoro viene oggi considerato "una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari" (n. 4). A tale proposito, il Papa ribadisce la necessità di perseguire l'obiettivo della piena occupazione. Precondizione per la realizzazione di questo obiettivo è che il lavoro sia considerato da un punto di vista etico, spirituale e come bene fondamentale per la persona, per la famiglia e per la società. Ciò esige che siano studiate e messe in atto coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti (4).

E qui si inserisce la necessità, da più parti riconosciuta, di un nuovo modello di sviluppo e di un nuovo sguardo sull'economia. Ma uno sviluppo che sia integrale, solidale e sostenibile e il bene comune necessitano di una scala di valori che è possibile strutturare solo avendo Dio come riferimento ultimo, riconoscendo che una vita buona deve affermare il primato dello spirituale e rispondere all'appello, appunto, del bene comune (n. 5). Di nuovo, la vita: per uscire dalla crisi finanziaria ed economica, è necessario promuovere la vita favorendo la creatività umana, una creatività che abbia come prospettiva un modello in cui trovino spazio il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, perché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità, come espressione di fraternità e della logica del dono (n. 5). Secondo Benedetto XVI, punti nodali della ricerca di un nuovo modello economico e di sviluppo è, da una parte la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali, dall'altra, una considerazione adeguata e risoluta della crisi alimentare, giudicata "ben più grave di quella finanziaria". Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari - afferma il Pontefice - è tornato ad essere centrale nell'agenda politica internazionale a causa di crisi connesse, tra l'altro alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili e ad un insufficiente controllo dei Governi e della Comunità internazionale (n. 5). Per superare questa crisi, gli operatori di pace, in particolare, hanno il ruolo di creare, specialmente per i piccoli agricoltori, le condizione per poter svolgere il lavoro della terra in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico (n. 5).

Infine, la III. parte del Messaggio, ai numeri 6 e 7, riprende, in un certo senso, il discorso del Messaggio del 2012, il cui tema era "Educare i giovani alla giustizia e alla pace". Il Papa affronta, infatti, il tema dell'educazione e ribadisce "con forza" che "i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare ... l'impegno di una valida educazione sociale". Ruolo primario è quello ricoperto dalla famiglia, "cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico, essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita" (n. 6). Per cui va tutelato il diritto dei genitori ad educare i propri figli e il loro ruolo primario nell'educazione, in primo luogo, nell'ambito morale e religioso. Anche le comunità religiose, hanno un "immenso compito di educazione alla pace", specie per la loro responsabilità nella nuova evangelizzazione, che ha come cardini la conversione alla verità e all'amore di Cristo e la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società (n. 6).

Una funzione importante, in questo ambito – scrive il Papa -, spetta, infine alle istituzioni culturali, scolastiche e universitarie alle quali è richiesto un fondamentale contributo per il rinnovamento della classe dirigente e delle istituzioni, così come una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un fondamento antropologico ed etico, poiché il mondo attuale necessita di "un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune" (n.6).

Da ultimo, emerge - afferma Benedetto XVI - la necessità di una pedagogia della pace che richiede: una ricca vita interiore, validi riferimenti morali e atteggiamenti e stili di vita appropriati (n. 7). Infatti, "le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l'interesse per la pace, educando ad essa" (n. 7). E' necessario, quindi, vivere con benevolenza e non solo con tolleranza, dire di no alla vendetta, riconoscere i propri torti, accettare le scuse senza cercarle, e perdonare. Insomma, è inderogabile diffondere una pedagogia del perdono, pur nella consapevolezza che si tratta di un lavoro lento, che presuppone una conversione spirituale, una rinuncia alla falsa pace promessa dagli idoli di questo mondo, alla falsa pace che rende le coscienze insensibili e indifferenti (n.7). Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza, atteggiamenti, questi, incarnati dal Signore Gesù fino al totale dono di sé (7).

Benedetto XVI chiude il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2013 facendo sua una invocazione a Dio di Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, "perché illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini, garantiscano e difendano il prezioso dono della pace" (n. 7).

Dopo questa sintesi, vorrei brevemente sottolineare ancora tre punti.

Primo punto: la concretezza del Messaggio. L'espressione evangelica del titolo può far pensare ad un Messaggio di carattere piuttosto spirituale, per così dire, teorico. Invece l'argomentazione del Papa è estremamente aderente alla realtà. Constata un fatto, l'esistenza, in mezzo a conflitti, tensioni e violenze, dell’esistenza di molteplici operatori di pace; nella spiegazione della beatitudine evangelica sottolinea come si tratti di una promessa che è certezza, in quanto proviene da Dio, non legata al futuro, ma che già si realizza in questa vita; indica chiaramente cosa devono fare gli operatori di pace: promuovere la vita in pienezza, nella sua integralità, quindi in tutte le dimensioni della persona umana; richiama l'attenzione sui problemi più urgenti, la retta visione del matrimonio, il diritto all'obiezione di coscienza, la libertà religiosa come "libertà di", la questione del lavoro e della disoccupazione, la crisi alimentare, la crisi finanziaria, il ruolo della famiglia nell'educazione.

Secondo punto, la positività del Messaggio che, oltre ad aprire alla speranza, riflette l'amore alla vita e alla vita in pienezza, per cui accanto ai temi della difesa della vita, il Papa mette in luce quelli legati alla giustizia, necessari per una vita degna, in pienezza, cioè nella quale tutti abbiano la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità.

Terzo punto, l'aspetto educativo-pedagogico del Messaggio. E' questo un aspetto che sta sempre a cuore alla Chiesa la quale ha fra i suoi compiti quello di "formare le coscienze". Sotto questo aspetto, forte è il richiamo del Pontefice alla responsabilità delle varie istanze educative chiamate a formare classi dirigenti adeguate e studiare modelli economici e finanziari nuovi. Ciò è necessario per superare la fase particolarmente grave che sta vivendo il mondo globalizzato, una fase di profonda crisi spirituale e morale in cui sanguinosi sono ancora i conflitti e le molteplici le minacce alla pace.

Con l’invito a farci "operatori di pace" auguro a tutti un Felice e Santo Natale!

[01681-01.01]

INTERVENTO DI S.E. MONS. MARIO TOSO

1. Il «nuovo annuncio di Gesù Cristo» è primo e principale fattore della pace (cf n. 3, p. 8)

Si è di fronte ad un Messaggio per la Giornata mondiale della Pace in perfetta continuità con il Sinodo dell’ottobre scorso 2012, avente per tema quello della nuova evangelizzazione.

La pace, e l’educazione ad essa, dipendono primariamente – anche se non esclusivamente – da una nuova evangelizzazione (cf n. 6, p. 15). Tramite essa si rende possibile, all’interno di un processo di conversione, l’incontro o il reincontro delle persone con Gesù Cristo, salvatore e redentore.

Dalla comunione degli uomini con Dio – resa possibile dall’incarnazione di Gesù Cristo e dalla fede in Lui – derivano: una nuova visione dei rapporti tra persone e istituzioni, un nuova morale, nuove culture, nuove scale di beni-valori, nuove scelte, nuovi atteggiamenti e stili di vita, nuovi umanesimi. Vengono, così, capovolti gli assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere e di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la vita e l’educazione sono centrate principalmente sul successo, sulla tecnica e sull’efficienza.

Una più profonda comunione dell’uomo con Dio, propiziata da una nuova evangelizzazione, in un contesto che tende ad emarginarLo o ad essere indifferente nei suoi confronti, abilita a:

1) Ad essere operatori di pace secondo Dio: ossia persone che, come suggerisce la beatitudine scelta da Benedetto XVI, si riconoscono figli di Dio. AccogliendoLo, posseggono Lui stesso e la vocazione alla pace. Condividendone la vita, le persone hanno la certezza di non essere sole nell’impegno per la pace. Dio è coinvolto con loro nella storia per far nascere una «nuova creazione» e una nuova umanità. La pace è dono messianico ed opera dell’uomo. Essa è possibile con l’aiuto di Dio;

2) Essere costruttori di una convivenza giusta e pacifica, superando il relativismo etico e una morale che, come quella odierna, tende ad essere totalmente autonoma, precludendo il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta d Dio nella coscienza di ogni uomo (cf n. 2, p. 6). La pace è costruzione della convivenza poggiando su un fondamento la cui misura non è creata solo dall’uomo, bensì primariamente da Dio;

3) Essere protagonisti della pace come un «noi» comunitario, come famiglia umana, che origina un ordine sociale, razionale e morale, secondo quanto ha insegnato la Pacem in terris, ossia secondo verità, amore, giustizia e libertà (cf n. 3, p. 6).

In definitiva, una nuova evangelizzazione implica una nuova evangelizzazione del sociale. Non riconoscerlo sarebbe ignorare le conseguenze dell’opera di redenzione integrale del Salvatore. Il primo atto di giustizia che si deve compiere da parte della Chiesa, in vista della realizzazione della pace, è l’annuncio di Gesù Cristo a tutti.

2. La pace è realizzazione del desiderio innato di una vita in pienezza

Il Messaggio di Benedetto XVI è anche in continuità con il precedente magistero sociale, espresso nei Radiomessaggi, nelle encicliche, da Pio XII ad oggi.

La pace è strettamente congiunta con lo sviluppo plenario di ogni uomo e di ogni popolo. È realizzazione del desiderio innato di una vita in pienezza. Concerne tutto l’uomo e ne implica il coinvolgimento nel suo essere globale.

Pertanto: via di realizzazione della pace, e del bene comune, è il rispetto e la promozione della vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo sorgere, dal suo svilupparsi sino alla sua fine naturale.

Veri operatori di pace sono coloro che amano e servono la vita umana nella sua integralità, in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria, trascendente.

Tra i principali operatori vi è la comunità politica. Dall’epoca moderna ad oggi l’attuazione del bene comune e della pace, in vista del conseguimento di una vita in pienezza, ha trovato la sua indicazione di fondo nei diritti e doveri dell’uomo. Le comunità politiche sono chiamate, per conseguenza, a riconoscere, tutelare, promuovere tali diritti e doveri, considerandoli come un insieme unitario ed indivisibile – corrispondentemente alla totalità della persona, al volume intero del suo essere – non decurtandolo di parti essenziali.

Sulla base di queste premesse antropologiche e giuridiche, il Messaggio evidenzia alcune gravi lacune ed incongruità nell’azione contemporanea delle attuali comunità politiche. Le comunità che, mediante ad esempio la liberalizzazione dell’aborto, attentano alla vita dei più deboli, e cioè dei nascituri, non appaiono dotate di una salda tenuta morale. La loro etica è discontinua nei confronti dell’interezza e della complessità della vita umana. Come a dire: i veri operatori di pace – cittadini e comunità politiche – sono chiamati a difendere e a promuovere non solo alcuni diritti – come, ad esempio, il diritto allo sviluppo integrale, sostenibile; il diritto alla pace, all’acqua potabile, al lavoro – ma anche il diritto primario alla vita, il diritto alla libertà religiosa, all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia (cf n. 4, p. 10).

Il Messaggio di Benedetto XVI è invito ad essere operatori di pace a trecentosessanta gradi, tutelando ed implementando tutti i diritti e doveri dell’uomo e delle comunità.

Sintomatico di questo modo di sentire e di vedere del pontefice è il passaggio in cui egli, in un contesto di recessione economica – provocata anche dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007 –, polemizzando con le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia secondo le quali sarebbe possibile lo sviluppo senza il progresso sociale e democratico, invita a non erodere i diritti sociali, tra i quali soprattutto il diritto al lavoro. Questo è un diritto fondamentale, non marginale. Senza la difesa e la promozione dei diritti sociali – lo insegnavano già liberali, comunisti, socialisti e cattolici nel secolo scorso - non si realizzano adeguatamente i diritti civili e politici. La stessa democrazia sostanziale, sociale e partecipativa sarebbe messa a repentaglio.

In breve, il Messaggio è per la crescita di una famiglia umana che non sia divisa tra gruppi e popoli a favore della vita e gruppi e popoli che militano, invece, per la pace, senza tuttavia un’uguale «passione» per la difesa della vita umana, dal suo sbocciare al suo tramonto.

La pace e il bene comune si perseguono comunitariamente, realizzando il bene pieno di ogni essere umano, di ogni popolo.

3. Un nuovo modello di sviluppo e di economia richiesto per risolvere durevolmente la crisi alimentare

Via concreta e non velleitaria per ottenere la pace e il bene comune è la realizzazione di un nuovo modello di sviluppo e di economia. Non è la prima volta che un Pontefice vi ritorna. In sostanza, il Santo Padre ripropone nel Messaggio i contenuti della Caritas in veritate, sostenendo la necessità di adeguate politiche dello sviluppo industriale, dell’agricoltura e del lavoro per tutti. Ma questa volta lo fa accennando in particolare alla crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. In altre parole, con un tale riferimento egli intende attirare l’attenzione sui temi della povertà, della fame, del mancato sviluppo agro-rurale: piaghe non del tutto debellate e, anzi, negli ultimi anni sempre più preoccupanti.

Si è entrati in un nuovo scenario, quasi senza accorgersene, perché assorbiti dai gravi problemi della crisi finanziaria ed economica in cui si è ancora immersi. Eppure si registra un rapido ampliamento dell’area della povertà mondiale e la crescita dei consumi sta mettendo a dura prova la capacità di risposta dell’intero sistema agroalimentare.

Secondo ad alcune stime attendibili nel 2050 saremo, sebbene il ritmo della crescita demografica sia rallentato rispetto a ieri, più di nove miliardi ad abitare il pianeta, circa un terzo in più di oggi, e per soddisfare la domanda di cibo avremo bisogno di aumentare la produzione agricola del 70% rispetto a quella attuale. Per di più bisognerà farlo in maniera più sostenibile che in passato.

I dati sulla crescita della domanda e dell’offerta sono inequivocabili (cf FAO, IFAD, UNCTAD, BANCA MONDIALE, in Italia lo sottolineano anche alcuni studiosi come P. De Castro e G. Galizzi): la produzione agricola non tiene il passo della domanda. L’aumento della popolazione e quello ancora più marcato dei consumi che caratterizzano soprattutto alcune aree del pianeta come Cina, India, Brasile, Russia, stanno crescendo a ritmi impressionanti.

Il tema dell’accesso e della disponibilità di cibo a livello mondiale (food security) si sta imponendo sempre più, a fronte dei fenomeni dell’aumento dei prezzi, delle speculazioni sulle derrate alimentari, del land grabbing (accaparramento di terre).

È bene sottolineare che nel Messaggio, pur senza approfondire il problema, si indica una prospettiva globale di soluzione: per risolvere la questione della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari debbono essere mobilitati tutti i soggetti sociali – società civili, sistemi economici e politici, comunità internazionale – mettendo al centro gli agricoltori, rafforzandoli nelle loro capacità, nei mezzi e nell’organizzazione. La ricerca e le politiche commerciali da sole non bastano. I soggetti pubblici, privati e delle società civili, sono chiamati ad operare insieme, dal livello locale a quello internazionale, per mettere gli agricoltori in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico (cf n. 5, p. 14). Detto altrimenti, occorre procedere a riforme del sistema commerciale internazionale, a riforme della politica agricola, ad offrire incentivi che incoraggino l’adozione di comportamenti e tecnologie capaci di aumentare le rese ed essere sempre meno impattanti, compensando gli agricoltori per i benefici ambientali che producono. Vanno stimolate la cooperazione e la formazione. Non bisogna escludere aprioristicamente investimenti esteri diretti in agricoltura in cui lo sfruttamento dei suoli da parte di un’impresa in territorio straniero è inserito in un modello di business sostenibile per le popolazioni locali. A questo proposito ci si sta mobilitando, presso l’ONU (Comitato di sicurezza alimentare mondiale), per l’adozione di Linee guida volontarie per la governance responsabile della proprietà di terra. L’iniziativa più avanzata in tal senso è un documento congiunto di Banca mondiale, Fao, Ifad e Unctad che individua sette principi da adottare per indirizzare gli investimenti in modo che essi garantiscano il rispetto dei diritti, dei mezzi di sussistenza e delle risorse.1

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1 FAO, IFAD, UNCTAD BANCA MONDIALE, Principles for Responsible Agricultural investment that Respects Rights, Livelihoods and Resources. Extended Version, 25 gennaio 2010, consultabile sul sito http://siteresources.worldbank.org

[01682-01.01]

[B0728-XX.01]