COMUNICATO DELLA SEGRETERIA DI STATO La sentenza del processo contro Paolo Gabriele, ora passata in giudicato, mette un punto fermo su di una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose.
È stata recata un'offesa personale al Santo Padre; si è violato il diritto alla riservatezza di molte persone che a Lui si erano rivolte in ragione del proprio ufficio; si è creato pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni; si è posto ostacolo alle comunicazioni tra i Vescovi del mondo e la Santa Sede e causato scandalo alla comunità dei fedeli. Infine, per un periodo di parecchi mesi è stata turbata la serenità della comunità di lavoro quotidianamente al servizio del Successore di Pietro.
L'imputato è stato riconosciuto colpevole al termine di un procedimento giudiziario che si è svolto con trasparenza, equanimità, nel pieno rispetto del diritto alla difesa. Il dibattimento ha potuto accertare i fatti, appurando che il Sig. Gabriele ha messo in atto il suo progetto criminoso senza istigazione o incitamento da parte di altri, ma basandosi su convinzioni personali in nessun modo condivisibili. Le varie congetture circa l'esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate.
Con il passaggio della sentenza in giudicato il Sig. Gabriele dovrà scontare il periodo di detenzione inflitto. Si apre inoltre a suo carico la procedura per la destituzione di diritto, prevista dal Regolamento Generale della Curia Romana.
In rapporto alla misura detentiva rimane l'eventualità della concessione della grazia, che, come ricordato più volte, è un atto sovrano del Santo Padre. Essa tuttavia presuppone ragionevolmente il ravvedimento del reo e la sincera richiesta di perdono al Sommo Pontefice e a quanti sono stati ingiustamente offesi.
Se rapportata al danno causato, la pena applicata appare al tempo stesso mite ed equa, e ciò a motivo della peculiarità dell'ordinamento giuridico dal quale promana.
[01388-01.01] [Testo originale: Italiano]