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SANTA MESSA "NELLA CENA DEL SIGNORE" NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, 05.04.2012


Alle ore 17.30 di oggi, Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica di San Giovanni in Laterano la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore", inizio del Triduo Pasquale.
Nel corso della Liturgia, il Papa compie il rito della lavanda dei piedi a dodici sacerdoti della diocesi di Roma.
Al momento della presentazione dei doni è affidata al Santo Padre un’offerta per l’assistenza umanitaria ai profughi siriani.
Al termine della Celebrazione si svolge la processione con la reposizione del SS.mo Sacramento all’altare della Cappella di San Francesco.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia, il cui splendore certamente s’irradia su tutto il resto e lo attira, per così dire, dentro di sé. Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; fanno parte di esso il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, come anche il rinnegamento di Pietro, l’accusa davanti al Sinedrio e la consegna ai pagani, a Pilato. Cerchiamo in quest’ora di capire più profondamente qualcosa di questi eventi, perché in essi si svolge il mistero della nostra Redenzione.

Gesù esce nella notte. La notte significa mancanza di comunicazione, una situazione in cui non ci si vede l’un l’altro. È un simbolo della non-comprensione, dell’oscuramento della verità. È lo spazio in cui il male, che davanti alla luce deve nascondersi, può svilupparsi. Gesù stesso è la luce e la verità, la comunicazione, la purezza e la bontà. Egli entra nella notte. La notte, in ultima analisi, è simbolo della morte, della perdita definitiva di comunione e di vita. Gesù entra nella notte per superarla e per inaugurare il nuovo giorno di Dio nella storia dell’umanità.

Durante questo cammino, Egli ha cantato con i suoi Apostoli i Salmi della liberazione e della redenzione di Israele, che rievocavano la prima Pasqua in Egitto, la notte della liberazione. Ora Egli va, come è solito fare, per pregare da solo e per parlare come Figlio con il Padre. Ma, diversamente dal solito, vuole sapere di avere vicino a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono i tre che avevano fatto esperienza della sua Trasfigurazione – il trasparire luminoso della gloria di Dio attraverso la sua figura umana – e che Lo avevano visto al centro tra la Legge e i Profeti, tra Mosè ed Elia. Avevano sentito come Egli parlava con entrambi del suo "esodo" a Gerusalemme. L’esodo di Gesù a Gerusalemme – quale parola misteriosa! L’esodo di Israele dall’Egitto era stato l’evento della fuga e della liberazione del popolo di Dio. Quale aspetto avrebbe avuto l’esodo di Gesù, in cui il senso di quel dramma storico avrebbe dovuto compiersi definitivamente? Ora i discepoli diventavano testimoni del primo tratto di tale esodo – dell’estrema umiliazione, che tuttavia era il passo essenziale dell’uscire verso la libertà e la vita nuova, a cui l’esodo mira. I discepoli, la cui vicinanza Gesù cercò in quell’ora di estremo travaglio come elemento di sostegno umano, si addormentarono presto. Sentirono tuttavia alcuni frammenti delle parole di preghiera di Gesù e osservarono il suo atteggiamento. Ambedue le cose si impressero profondamente nel loro animo ed essi le trasmisero ai cristiani per sempre. Gesù chiama Dio "Abbà". Ciò significa – come essi aggiungono – "Padre". Non è, però, la forma usuale per la parola "padre", bensì una parola del linguaggio dei bambini – una parola affettuosa con cui non si osava rivolgersi a Dio. È il linguaggio di Colui che è veramente "bambino", Figlio del Padre, di Colui che si trova nella comunione con Dio, nella più profonda unità con Lui.

Se ci domandiamo in che cosa consista l’elemento più caratteristico della figura di Gesù nei Vangeli, dobbiamo dire: è il suo rapporto con Dio. Egli sta sempre in comunione con Dio. L’essere con il Padre è il nucleo della sua personalità. Attraverso Cristo conosciamo Dio veramente. "Dio, nessuno lo ha mai visto", dice san Giovanni. Colui "che è nel seno del Padre … lo ha rivelato" (1,18). Ora conosciamo Dio così come è veramente. Egli è Padre, e questo in una bontà assoluta alla quale possiamo affidarci. L’evangelista Marco, che ha conservato i ricordi di san Pietro, ci racconta che Gesù, all’appellativo "Abba", ha ancora aggiunto: Tutto è possibile a te, tu puoi tutto (cfr 14,36). Colui che è la Bontà, è al contempo potere, è onnipotente. Il potere è bontà e la bontà è potere. Questa fiducia la possiamo imparare dalla preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi.

Prima di riflettere sul contenuto della richiesta di Gesù, dobbiamo ancora rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli Evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che Egli "cadde faccia a terra" (Mt 26,39; cfr Mc 14,35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca.

Gesù lotta con il Padre. Egli lotta con se stesso. E lotta per noi. Sperimenta l’angoscia di fronte al potere della morte. Questo è innanzitutto semplicemente lo sconvolgimento, proprio dell’uomo e anzi di ogni creatura vivente, davanti alla presenza della morte. In Gesù, tuttavia, si tratta di qualcosa di più. Egli allunga lo sguardo nelle notti del male. Vede la marea sporca di tutta la menzogna e di tutta l’infamia che gli viene incontro in quel calice che deve bere. È lo sconvolgimento del totalmente Puro e Santo di fronte all’intero profluvio del male di questo mondo, che si riversa su di Lui. Egli vede anche me e prega anche per me. Così questo momento dell’angoscia mortale di Gesù è un elemento essenziale nel processo della Redenzione. La Lettera agli Ebrei, pertanto, ha qualificato la lotta di Gesù sul Monte degli Ulivi come un evento sacerdotale. In questa preghiera di Gesù, pervasa da angoscia mortale, il Signore compie l’ufficio del sacerdote: prende su di sé il peccato dell’umanità, tutti noi, e ci porta presso il Padre.

Infine, dobbiamo ancora prestare attenzione al contenuto della preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Gesù dice: "Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu" (Mc 14,36). La volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato. Tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu. Con ciò Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo. L’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero – solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente "come Dio" – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo "sì" alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi. Amen.

[00461-01.02] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

Le Jeudi Saint n’est pas seulement le jour de l’institution de la Sainte Eucharistie, dont la splendeur irradie certainement tout le reste et, pour ainsi dire, l’attire à elle. La nuit obscure du Mont des Oliviers vers lequel Jésus sort avec ses disciples, fait aussi partie du Jeudi Saint ; en font partie la solitude et l’abandon de Jésus, qui, en priant, va vers la nuit de la mort ; en font partie la trahison de Juda et l’arrestation de Jésus, ainsi que le reniement de Pierre ; l’accusation devant le Sanhédrin et la remise aux païens, à Pilate. Cherchons en cette heure à comprendre plus profondément quelque chose de ces événements, car en eux se déroule le mystère de notre Rédemption.

Jésus sort dans la nuit. La nuit signifie le manque de communication, une situation où l’on ne se voit pas l’un l’autre. Elle est un symbole de la non-compréhension, de l’obscurcissement de la vérité. Elle est l’espace où le mal qui, devant la lumière, doit se cacher, peut se développer. Jésus lui-même est la lumière et la vérité, la communication, la pureté et la bonté. Il entre dans la nuit. En dernière analyse, la nuit est le symbole de la mort, de la perte définitive de communion et de vie. Jésus entre dans la nuit pour la vaincre et pour inaugurer le nouveau jour de Dieu dans l’histoire de l’humanité.

Durant ce parcours, il a chanté avec ses Apôtres les Psaumes de la libération et de la rédemption d’Israël, qui commémoraient la première Pâque en Égypte, la nuit de la libération. Maintenant, il va, comme il a l’habitude de le faire, pour prier seul, et pour parler comme Fils avec son Père. Toutefois, contrairement à l’accoutumée, il veut avoir à ses côtés trois disciples : Pierre, Jacques et Jean. Ce sont les trois qui avaient fait l’expérience de la Transfiguration – la manifestation lumineuse de la gloire de Dieu dans sa figure humaine – et qui l’avaient vu au centre, entre la Loi et les Prophètes, entre Moïse et Elie. Ils avaient entendu comment il parlait avec tous les deux de son « exode » à Jérusalem. L’exode de Jésus à Jérusalem – quelle parole mystérieuse ! L’exode d’Israël de l’Égypte avait été l’événement de la fuite et de la libération du Peuple de Dieu. Quel aspect aurait eu l’exode de Jésus, où le sens de ce drame historique aurait dû s’accomplir définitivement ? Les disciples devenaient désormais les témoins de la première partie de cet exode – de l’humiliation extrême, qui était toutefois le pas essentiel de la sortie vers la liberté et la vie nouvelle, vers lesquelles tend l’exode. Les disciples, dont Jésus cherchait la proximité en cette heure de tourment extrême comme un peu de soutien humain, se sont vite endormis. Ils entendaient toutefois des fragments des paroles de la prière de Jésus et ils observaient son comportement. Ces deux choses se gravèrent profondément dans leur esprit et ils les transmirent pour toujours aux chrétiens. Jésus appelle Dieu « Abba ». Cela veut dire – comme ils ajoutent – « Père ». Ce n’est pourtant pas la forme usuelle pour la parole « père », mais bien une parole du langage des enfants – une parole d’affection avec laquelle on n’osait pas s’adresser à Dieu. C’est le langage de Celui qui est vraiment « enfant », Fils du Père, de Celui qui se trouve dans la communion avec Dieu, dans la plus profonde unité avec Lui.

Si nous nous demandons en quoi consiste l’élément le plus caractéristique de la figure de Jésus dans les Évangiles, nous devons dire : c’est son rapport avec Dieu. Il est toujours en communion avec Dieu. Le fait d’être avec le Père est le cœur de sa personnalité. Par le Christ, nous connaissons vraiment Dieu. « Dieu, personne ne l’a jamais vu », dit saint Jean. Celui « qui est dans le sein du Père … l’a révélé » (1, 18). Maintenant, nous connaissons Dieu tel qu’il est vraiment. Il est Père, et cela, dans une bonté absolue à laquelle nous pouvons nous confier. L’évangéliste Marc, qui a conservé les souvenirs de saint Pierre, nous raconte qu’à l’appellation « Abba », Jésus a encore ajouté : Tout est possible pour toi. Toi tu peux tout (cf. 14, 36). Celui qui est la Bonté, est en même temps pouvoir, il est tout-puissant. Le pouvoir est bonté et la bonté est pouvoir. De la prière de Jésus sur le Mont des Oliviers, nous pouvons apprendre cette confiance.

Avant de réfléchir sur le contenu de la demande de Jésus, nous devons encore porter notre attention sur ce que les Évangélistes nous rapportent au sujet du comportement de Jésus durant sa prière. Matthieu et Marc nous disent qu’il « tomba la face contre terre » (Mt 26, 39 ; cf. Mc 14, 35), adoptant ainsi l’attitude d’une soumission totale ; ce qui a été conservé dans la liturgie romaine du Vendredi Saint. Luc, au contraire, nous dit que Jésus priait à genoux. Dans les Actes des Apôtres, il parle de la prière à genoux des saints : Étienne durant sa lapidation, Pierre dans le contexte de la résurrection d’un mort, Paul sur la route vers le martyre. Luc a ainsi relaté une petite histoire de la prière à genoux dans l’Église naissante. Les chrétiens, par leur agenouillement, entrent dans la prière de Jésus sur le Mont des Oliviers. Devant la menace du pouvoir du mal, eux, parce qu’ils sont agenouillés, sont droits devant le monde, mais ils sont à genoux devant le Père parce qu’ils sont fils. Devant la gloire de Dieu, nous chrétiens nous nous mettons à genoux et nous reconnaissons sa divinité, mais nous exprimons aussi dans ce geste notre confiance qu’il triomphe.

Jésus lutte avec le Père. Il lutte avec lui-même. Et il lutte pour nous. Il fait l’expérience de l’angoisse devant le pouvoir de la mort. Avant tout, c’est simplement le bouleversement de l’homme, ou même, de toute créature vivante, en présence de la mort. En Jésus, au contraire, il y a quelque chose de plus. Il étend son regard sur les nuits du mal. Il voit l’insalubre marée de tout le mensonge et de toute l’infamie, qui vient à sa rencontre dans cette coupe qu’il doit boire. C’est le bouleversement de Celui qui est totalement Pur et Saint face au flot du mal de ce monde, qui se déverse sur Lui. Il me voit aussi et il prie aussi pour moi. Ainsi, ce moment d’angoisse mortelle de Jésus est un élément essentiel dans le processus de la Rédemption. C’est pourquoi, la Lettre aux Hébreux a qualifié d’événement sacerdotal, la lutte de Jésus sur le Mont des Oliviers. Dans cette prière de Jésus, empreinte d’angoisse mortelle, le Seigneur remplit la fonction du prêtre : Il prend sur lui le péché de l’humanité, nous tous, et nous porte auprès du Père.

Enfin, nous devons aussi prêter attention au contenu de la prière de Jésus sur le Mont des Oliviers. Jésus dit : « Père, tout est possible pour toi. Éloigne de moi cette coupe. Cependant, non pas ce que je veux, mais ce que tu veux ! » (Mc 14, 36). La volonté naturelle de l’Homme-Jésus effrayée face à une chose si énorme recule. Toutefois, en tant que Fils, il dépose cette volonté humaine dans la volonté du Père : non pas moi, mais toi. Par cela, Il a transformé le comportement d’Adam, le péché primordial de l’homme, guérissant ainsi l’homme. L’attitude d’Adam avait été : Non pas ce que tu veux toi, Dieu ; moi-même je veux être dieu. Cet orgueil est la vraie essence du péché. Nous pensons être libres et vraiment nous-mêmes, seulement quand nous suivons exclusivement notre volonté. Dieu apparaît comme le contraire de notre liberté. Nous devons nous libérer de Lui, – c’est notre pensée – alors seulement nous serons libres. C’est cette rébellion fondamentale qui traverse l’histoire et le mensonge profond qui dénature notre vie. Quand l’homme s’érige contre Dieu, il s’érige contre sa propre vérité et par conséquent, il ne devient pas libre, mais aliéné par lui-même. Nous sommes libres seulement quand nous sommes dans notre vérité, quand nous sommes unis à Dieu. Alors, nous devenons vraiment « comme Dieu » - non pas en nous opposant à Dieu, non pas en nous débarrassant de Lui ou en Le reniant. Dans la lutte durant sa prière sur le Mont des Oliviers, Jésus a dénoué la fausse contradiction entre l’obéissance et la liberté, et il a ouvert le chemin vers la liberté. Demandons au Seigneur de nous introduire dans ce « oui » à la volonté de Dieu et de nous rendre ainsi vraiment libres. Amen.

[00461-03.02] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

Holy Thursday is not only the day of the institution of the Most Holy Eucharist, whose splendour bathes all else and in some ways draws it to itself. To Holy Thursday also belongs the dark night of the Mount of Olives, to which Jesus goes with his disciples; the solitude and abandonment of Jesus, who in prayer goes forth to encounter the darkness of death; the betrayal of Judas, Jesus’ arrest and his denial by Peter; his indictment before the Sanhedrin and his being handed over to the Gentiles, to Pilate. Let us try at this hour to understand more deeply something of these events, for in them the mystery of our redemption takes place.

Jesus goes forth into the night. Night signifies lack of communication, a situation where people do not see one another. It is a symbol of incomprehension, of the obscuring of truth. It is the place where evil, which has to hide before the light, can grow. Jesus himself is light and truth, communication, purity and goodness. He enters into the night. Night is ultimately a symbol of death, the definitive loss of fellowship and life. Jesus enters into the night in order to overcome it and to inaugurate the new Day of God in the history of humanity.

On the way, he sang with his Apostles Israel’s psalms of liberation and redemption, which evoked the first Passover in Egypt, the night of liberation. Now he goes, as was his custom, to pray in solitude and, as Son, to speak with the Father. But, unusually, he wants to have close to him three disciples: Peter, James and John. These are the three who had experienced his Transfiguration – when the light of God’s glory shone through his human figure – and had seen him standing between the Law and the Prophets, between Moses and Elijah. They had heard him speaking to both of them about his "exodus" to Jerusalem. Jesus’ exodus to Jerusalem – how mysterious are these words! Israel’s exodus from Egypt had been the event of escape and liberation for God’s People. What would be the form taken by the exodus of Jesus, in whom the meaning of that historic drama was to be definitively fulfilled? The disciples were now witnessing the first stage of that exodus – the utter abasement which was nonetheless the essential step of the going forth to the freedom and new life which was the goal of the exodus. The disciples, whom Jesus wanted to have close to him as an element of human support in that hour of extreme distress, quickly fell asleep. Yet they heard some fragments of the words of Jesus’ prayer and they witnessed his way of acting. Both were deeply impressed on their hearts and they transmitted them to Christians for all time. Jesus called God "Abba". The word means – as they add – "Father". Yet it is not the usual form of the word "father", but rather a children’s word – an affectionate name which one would not have dared to use in speaking to God. It is the language of the one who is truly a "child", the Son of the Father, the one who is conscious of being in communion with God, in deepest union with him.

If we ask ourselves what is most characteristic of the figure of Jesus in the Gospels, we have to say that it is his relationship with God. He is constantly in communion with God. Being with the Father is the core of his personality. Through Christ we know God truly. "No one has ever seen God", says Saint John. The one "who is close to the Father’s heart … has made him known" (1:18). Now we know God as he truly is. He is Father, and this in an absolute goodness to which we can entrust ourselves. The evangelist Mark, who has preserved the memories of Saint Peter, relates that Jesus, after calling God "Abba", went on to say: "Everything is possible for you. You can do all things" (cf. 14:36). The one who is Goodness is at the same time Power; he is all-powerful. Power is goodness and goodness is power. We can learn this trust from Jesus’ prayer on the Mount of Olives.

Before reflecting on the content of Jesus’ petition, we must still consider what the evangelists tell us about Jesus’ posture during his prayer. Matthew and Mark tell us that he "threw himself on the ground" (Mt 26:39; cf. Mk 14:35), thus assuming a posture of complete submission, as is preserved in the Roman liturgy of Good Friday. Luke, on the other hand, tells us that Jesus prayed on his knees. In the Acts of the Apostles, he speaks of the saints praying on their knees: Stephen during his stoning, Peter at the raising of someone who had died, Paul on his way to martyrdom. In this way Luke has sketched a brief history of prayer on one’s knees in the early Church. Christians, in kneeling, enter into Jesus’ prayer on the Mount of Olives. When menaced by the power of evil, as they kneel, they are upright before the world, while as sons and daughters, they kneel before the Father. Before God’s glory we Christians kneel and acknowledge his divinity; by that posture we also express our confidence that he will prevail.

Jesus struggles with the Father. He struggles with himself. And he struggles for us. He experiences anguish before the power of death. First and foremost this is simply the dread natural to every living creature in the face of death. In Jesus, however, something more is at work. His gaze peers deeper, into the nights of evil. He sees the filthy flood of all the lies and all the disgrace which he will encounter in that chalice from which he must drink. His is the dread of one who is completely pure and holy as he sees the entire flood of this world’s evil bursting upon him. He also sees me, and he prays for me. This moment of Jesus’ mortal anguish is thus an essential part of the process of redemption. Consequently, the Letter to the Hebrews describes the struggle of Jesus on the Mount of Olives as a priestly event. In this prayer of Jesus, pervaded by mortal anguish, the Lord performs the office of a priest: he takes upon himself the sins of humanity, of us all, and he brings us before the Father.

Lastly, we must also pay attention to the content of Jesus’ prayer on the Mount of Olives. Jesus says: "Father, for you all things are possible; remove this cup from me; yet not what I want, but what you want" (Mk 14:36). The natural will of the man Jesus recoils in fear before the enormity of the matter. He asks to be spared. Yet as the Son, he places this human will into the Father’s will: not I, but you. In this way he transformed the stance of Adam, the primordial human sin, and thus heals humanity. The stance of Adam was: not what you, O God, have desired; rather, I myself want to be a god. This pride is the real essence of sin. We think we are free and truly ourselves only if we follow our own will. God appears as the opposite of our freedom. We need to be free of him – so we think – and only then will we be free. This is the fundamental rebellion present throughout history and the fundamental lie which perverts life. When human beings set themselves against God, they set themselves against the truth of their own being and consequently do not become free, but alienated from themselves. We are free only if we stand in the truth of our being, if we are united to God. Then we become truly "like God" – not by resisting God, eliminating him, or denying him. In his anguished prayer on the Mount of Olives, Jesus resolved the false opposition between obedience and freedom, and opened the path to freedom. Let us ask the Lord to draw us into this "yes" to God’s will, and in this way to make us truly free. Amen.

[00461-02.02] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Schwestern und Brüder!

Der Gründonnerstag ist nicht nur der Tag der Einsetzung der heiligsten Eucharistie, deren Glanz freilich alles andere überstrahlt und gleichsam in sich hineinzieht. Zum Gründonnerstag gehört auch die dunkle Nacht auf dem Ölberg, in die Jesus mit seinen Jüngern hinausgeht; zu ihm gehört die Einsamkeit und die Verlassenheit Jesu, der betend dem Dunkel des Todes entgegentritt; zu ihm gehört der Verrat des Judas und die Verhaftung Jesu wie auch die Verleugnung durch Petrus; die Anklage vor dem Hohen Rat und die Auslieferung an die Heiden, an Pilatus. Versuchen wir in dieser Stunde etwas von diesen Vorgängen tiefer zu verstehen, weil sich darin das Geheimnis unserer Erlösung abspielt.

Jesus geht in die Nacht hinaus. Nacht bedeutet Kommunikationslosigkeit, in der einer den anderen nicht sieht. Sie ist Sinnbild des Nicht-Verstehens, der Verdunkelung der Wahrheit. Sie ist der Raum, in dem das Böse sich entfalten kann, das sich vor dem Licht verstecken muß. Jesus ist selbst das Licht und die Wahrheit, die Kommunikation, die Reinheit und die Güte. Er begibt sich in die Nacht. Nacht ist letztlich Symbol des Todes, des endgültigen Verlustes von Gemeinschaft und Leben. Jesus geht in die Nacht hinein, um sie zu überwinden und um den neuen Tag Gottes in der Geschichte der Menschheit zu eröffnen.

Er hat auf diesem Weg mit seinen Aposteln die Psalmen von der Befreiung und Errettung Israels gesungen, die an das erste Pascha in Ägypten, an die Nacht der Befreiung erinnerten. Nun geht er, wie er es gewohnt ist, um allein zu beten und als Sohn mit dem Vater zu sprechen. Aber anders als gewohnt will er drei Jünger – Petrus, Jakobus und Johannes – in seiner Nähe wissen. Es sind die drei, die die Verklärung erlebt haben – das Durchleuchten der Herrlichkeit Gottes durch seine menschliche Gestalt hindurch – und die ihn dabei in der Mitte von Gesetz und Propheten, zwischen Moses und Elias gesehen hatten. Sie hatten gehört, wie er mit beiden über seinen „Exodus" in Jerusalem sprach. Der Exodus Jesu in Jerusalem – welch geheimnisvolles Wort! Der Exodus Israels aus Ägypten war das Ereignis von Flucht und Errettung des Gottesvolkes gewesen. Wie würde Jesu Exodus aussehen, in dem sich der Sinn des geschichtlichen Dramas endgültig erfüllen mußte? Nun wurden sie Zeugen der ersten Strecke dieses Exodus – der äußersten Erniedrigung, die doch der wesentliche Schritt des Hinausgehens in die Freiheit und in das neue Leben war, auf das der Exodus zielt. Die Jünger, deren Nähe Jesus in dieser Stunde der äußersten Not als Stück menschlicher Geborgenheit suchte, schliefen alsbald ein. Aber ein paar Fetzen der Gebetsworte Jesu haben sie gehört und seine Haltung beobachtet. Beides hat sich ihnen tief eingeprägt, und sie haben es der Christenheit für alle Zeiten überliefert. Jesus sagt Abba zu Gott. Das bedeutet, wie sie hinzufügen, Vater. Aber es ist nicht die gewöhnliche Form des Wortes Vater, sondern ein Wort aus der Kindersprache – ein zärtliches Wort, mit dem man Gott nicht anzureden wagte. Es ist die Sprache dessen, der wirklich „Kind", Sohn des Vaters ist, der mit Gott in der Gemeinschaft innerster Einheit steht.

Wenn wir fragen, worin das am meisten charakteristische Element der Gestalt Jesu in den Evangelien besteht, dann müssen wir sagen: Es ist sein Gottesverhältnis. Er steht immer im Austausch mit Gott. Das Sein mit dem Vater ist der Kern seiner Persönlichkeit. Durch Christus kennen wir Gott wirklich. „Niemand hat Gott je gesehen", sagt der heilige Johannes. „Der am Herzen des Vaters ruht, er hat ihn uns ausgelegt." (Joh 1, 18). Nun kennen wir Gott, wie er wirklich ist. Er ist Vater, und zwar in reiner Güte, der wir uns anvertrauen dürfen. Der Evangelist Markus, der die Erinnerungen des heiligen Petrus festgehalten hat, erzählt uns, daß Jesus zu der Anrede Abba noch hinzugefügt hat: Dir ist alles möglich. Du kannst alles (Mk 14, 36). Der die Güte ist, ist zugleich Macht, allmächtig. Macht ist Güte, und die Güte ist Macht. Dieses Vertrauen dürfen wir vom Ölbergsgebet Jesu lernen.

Bevor wir den Inhalt von Jesu Bitte bedenken, müssen wir auch noch darauf achten, was uns die Evangelisten über die Haltung Jesu bei seinem Beten berichten. Matthäus und Markus sagen uns, daß er sich zu Boden warf (Mt 26, 39; vgl. Mk 14,35), also die Haltung radikaler Hingabe einnahm, wie sie in der römischen Liturgie sich am Karfreitag erhalten hat. Lukas hingegen sagt uns, daß Jesus kniend gebetet habe. In der Apostelgeschichte berichtet er von dem knienden Beten der Heiligen: Stephanus bei seiner Steinigung, Petrus bei einer Totenerweckung, Paulus auf dem Weg zum Martyrium. Lukas hat so eine kleine Geschichte des knienden Betens in der werdenden Kirche entworfen. Die Christen treten mit ihrem Knien in das Ölbergsgebet Jesu hinein. In der Bedrohung durch die Macht des Bösen sind sie als Kniende aufrecht der Welt gegenüber, aber als Kinder auf den Knien vor dem Vater. Vor der Herrlichkeit Gottes knien wir Christen und anerkennen seine Göttlichkeit, aber wir drücken in dieser Gebärde auch unsere Zuversicht aus, daß er siegt.

Jesus ringt mit dem Vater. Er ringt mit sich selbst. Und er ringt um uns. Er erleidet die Angst vor der Macht des Todes. Dies ist zunächst einfach die dem Menschen, ja jeder lebenden Kreatur eigene Erschütterung vor der Gegenwart des Todes. Aber bei Jesus geht es um mehr. Er sieht in die Nächte des Bösen hinein. Er sieht die schmutzige Flut aller Lüge und alles Niedrigen, die auf ihn zukommt in dem Kelch, den er trinken muß. Es ist die Erschütterung des ganz Reinen und Heiligen vor der ganzen Flut des Bösen dieser Welt, die auf ihn hereinbricht. Er sieht auch mich und betet auch für mich. So ist dieser Augenblick der Todesangst Jesu ein wesentliches Moment im Vorgang der Erlösung. Der Brief an die Hebräer hat deshalb das Ringen Jesu auf dem Ölberg als einen priesterlichen Vorgang gewertet. In diesem von der Todesangst durchdrungenen Beten Jesu vollzieht der Herr die Aufgabe des Priesters: Er nimmt die Schuld der Menschheit, er nimmt uns alle auf sich und trägt uns zum Vater hin.

Schließlich müssen wir noch auf den Inhalt von Jesu Beten auf dem Ölberg achten. Jesus sagt: „Vater, dir ist alles möglich. Nimm diesen Kelch von mir! Aber nicht, wie ich will, sondern wie du willst" (Mk 14, 36). Der natürliche Wille des Menschen Jesus schreckt vor dem Ungeheueren zurück. Er bittet, daß ihm dies erspart bleibe. Aber als Sohn legt er diesen menschlichen Willen in den Willen des Vaters hinein: Nicht ich, sondern du. Damit hat er die Haltung Adams, die Ursünde des Menschen umgewandelt und so den Menschen geheilt. Die Haltung Adams war gewesen: Nicht was, du Gott, gewollt hast, sondern ich selber will Gott sein. Dieser Hochmut ist das eigentliche Wesen der Sünde. Wir denken, wir seien erst frei und wahrhaft wir selber, wenn wir nur noch dem eigenen Willen folgen. Gott erscheint als Gegensatz unserer Freiheit. Von ihm müssen wir uns befreien, so denken wir: Dann erst seien wir frei. Dies ist die grundlegende Rebellion, die die Geschichte durchzieht und die grundliegende Lüge, die unser Leben verfälscht. Wenn der Mensch gegen Gott steht, steht er gegen seine Wahrheit und wird daher nicht frei, sondern entfremdet. Frei sind wir erst, wenn wir in unserer Wahrheit sind, wenn wir eins mit Gott sind. Dann werden wir wirklich „wie Gott" - nicht indem wir uns Gott entgegensetzen, ihn abschaffen oder leugnen. Im ringenden Gebet des Ölbergs hat Jesus den falschen Gegensatz zwischen Gehorsam und Freiheit aufgelöst und den Weg in die Freiheit eröffnet. Bitten wir den Herrn, daß er uns in dieses Ja zum Willen Gottes hineinführt und uns so wahrhaft frei werden läßt. Amen.

[00461-05.02] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas

El Jueves Santo no es sólo el día de la Institución de la Santa Eucaristía, cuyo esplendor ciertamente se irradia sobre todo lo demás y, por así decir, lo atrae dentro de sí. También forma parte del Jueves Santo la noche oscura del Monte de los Olivos, hacia la cual Jesús se dirige con sus discípulos; forma parte también la soledad y el abandono de Jesús que, orando, va al encuentro de la oscuridad de la muerte; forma parte de este Jueves Santo la traición de Judas y el arresto de Jesús, así como también la negación de Pedro, la acusación ante el Sanedrín y la entrega a los paganos, a Pilato. En esta hora, tratemos de comprender con más profundidad estos eventos, porque en ellos se lleva a cabo el misterio de nuestra Redención.

Jesús sale en la noche. La noche significa falta de comunicación, una situación en la que uno no ve al otro. Es un símbolo de la incomprensión, del ofuscamiento de la verdad. Es el espacio en el que el mal, que debe esconderse ante la luz, puede prosperar. Jesús mismo es la luz y la verdad, la comunicación, la pureza y la bondad. Él entra en la noche. La noche, en definitiva, es símbolo de la muerte, de la pérdida definitiva de comunión y de vida. Jesús entra en la noche para superarla e inaugurar el nuevo día de Dios en la historia de la humanidad.

Durante este camino, él ha cantado con sus Apóstoles los Salmos de la liberación y de la redención de Israel, que recuerdan la primera Pascua en Egipto, la noche de la liberación. Como él hacía con frecuencia, ahora se va a orar solo y hablar como Hijo con el Padre. Pero, a diferencia de lo acostumbrado, quiere cerciorarse de que estén cerca tres discípulos: Pedro, Santiago y Juan. Son los tres que habían tenido la experiencia de su Transfiguración – la manifestación luminosa de la gloria de Dios a través de su figura humana – y que lo habían visto en el centro, entre la Ley y los Profetas, entre Moisés y Elías. Habían escuchado cómo hablaba con ellos de su «éxodo» en Jerusalén. El éxodo de Jesús en Jerusalén, ¡qué palabra misteriosa!; el éxodo de Israel de Egipto había sido el episodio de la fuga y la liberación del pueblo de Dios. ¿Qué aspecto tendría el éxodo de Jesús, en el cual debía cumplirse definitivamente el sentido de aquel drama histórico?; ahora, los discípulos son testigos del primer tramo de este éxodo, de la extrema humillación que, sin embargo, era el paso esencial para salir hacia la libertad y la vida nueva, hacia la que tiende el éxodo. Los discípulos, cuya cercanía quiso Jesús en está hora de extrema tribulación, como elemento de apoyo humano, pronto se durmieron. No obstante, escucharon algunos fragmentos de las palabras de la oración de Jesús y observaron su actitud. Ambas cosas se grabaron profundamente en sus almas, y ellos lo transmitieron a los cristianos para siempre. Jesús llama a Dios «Abbá».Y esto significa – como ellos añaden – «Padre». Pero no de la manera en que se usa habitualmente la palabra «padre», sino como expresión del lenguaje de los niños, una palabra afectuosa con la cual no se osaba dirigirse a Dios. Es el lenguaje de quien es verdaderamente «niño», Hijo del Padre, de aquel que se encuentra en comunión con Dios, en la más profunda unidad con él.

Si nos preguntamos cuál es el elemento más característico de la imagen de Jesús en los evangelios, debemos decir: su relación con Dios. Él está siempre en comunión con Dios. El ser con el Padre es el núcleo de su personalidad. A través de Cristo, conocemos verdaderamente a Dios. «A Dios nadie lo ha visto jamás», dice san Juan. Aquel «que está en el seno del Padre… lo ha dado a conocer» (1,18). Ahora conocemos a Dios tal como es verdaderamente. Él es Padre, bondad absoluta a la que podemos encomendarnos. El evangelista Marcos, que ha conservado los recuerdos de Pedro, nos dice que Jesús, al apelativo «Abbá», añadió aún: Todo es posible para ti, tú lo puedes todo (cf. 14,36). Él, que es la bondad, es al mismo tiempo poder, es omnipotente. El poder es bondad y la bondad es poder. Esta confianza la podemos aprender de la oración de Jesús en el Monte de los Olivos.

Antes de reflexionar sobre el contenido de la petición de Jesús, debemos prestar atención a lo que los evangelistas nos relatan sobre la actitud de Jesús durante su oración. Mateo y Marcos dicen que «cayó rostro en tierra» (Mt 26,39; cf. Mc 14,35); asume por consiguiente la actitud de total sumisión, que ha sido conservada en la liturgia romana del Viernes Santo. Lucas, en cambio, afirma que Jesús oraba arrodillado. En los Hechos de los Apóstoles, habla de los santos, que oraban de rodillas: Esteban durante su lapidación, Pedro en el contexto de la resurrección de un muerto, Pablo en el camino hacia el martirio. Así, Lucas ha trazado una pequeña historia del orar arrodillados de la Iglesia naciente. Los cristianos con su arrodillarse, se ponen en comunión con la oración de Jesús en el Monte de los Olivos. En la amenaza del poder del mal, ellos, en cuanto arrodillados, están de pie ante el mundo, pero, en cuanto hijos, están de rodillas ante el Padre. Ante la gloria de Dios, los cristianos nos arrodillamos y reconocemos su divinidad, pero expresando también en este gesto nuestra confianza en que él triunfe.

Jesús forcejea con el Padre. Combate consigo mismo. Y combate por nosotros. Experimenta la angustia ante el poder de la muerte. Esto es ante todo la turbación propia del hombre, más aún, de toda creatura viviente ante la presencia de la muerte. En Jesús, sin embargo, se trata de algo más. En las noches del mal, él ensancha su mirada. Ve la marea sucia de toda la mentira y de toda la infamia que le sobreviene en aquel cáliz que debe beber. Es el estremecimiento del totalmente puro y santo frente a todo el caudal del mal de este mundo, que recae sobre él. Él también me ve, y ora también por mí. Así, este momento de angustia mortal de Jesús es un elemento esencial en el proceso de la Redención. Por eso, la Carta a los Hebreos ha definido el combate de Jesús en el Monte de los Olivos como un acto sacerdotal. En esta oración de Jesús, impregnada de una angustia mortal, el Señor ejerce el oficio del sacerdote: toma sobre sí el pecado de la humanidad, a todos nosotros, y nos conduce al Padre.

Finalmente, debemos prestar atención aún al contenido de la oración de Jesús en el Monte de los Olivos. Jesús dice: «Padre: tú lo puedes todo, aparta de mí ese cáliz. Pero no sea como yo quiero, sino como tú quieres» (Mc 14,36). La voluntad natural del hombre Jesús retrocede asustada ante algo tan ingente. Pide que se le evite eso. Sin embargo, en cuanto Hijo, abandona esta voluntad humana en la voluntad del Padre: no yo, sino tú. Con esto ha transformado la actitud de Adán, el pecado primordial del hombre, salvando de este modo al hombre. La actitud de Adán había sido: No lo que tú has querido, Dios; quiero ser dios yo mismo. Esta soberbia es la verdadera esencia del pecado. Pensamos ser libres y verdaderamente nosotros mismos sólo si seguimos exclusivamente nuestra voluntad. Dios aparece como el antagonista de nuestra libertad. Debemos liberarnos de él, pensamos nosotros; sólo así seremos libres. Esta es la rebelión fundamental que atraviesa la historia, y la mentira de fondo que desnaturaliza la vida. Cuando el hombre se pone contra Dios, se pone contra la propia verdad y, por tanto, no llega a ser libre, sino alienado de sí mismo. Únicamente somos libres si estamos en nuestra verdad, si estamos unidos a Dios. Entonces nos hacemos verdaderamente «como Dios», no oponiéndonos a Dios, no desentendiéndonos de él o negándolo. En el forcejeo de la oración en el Monte de los Olivos, Jesús ha deshecho la falsa contradicción entre obediencia y libertad, y abierto el camino hacia la libertad. Oremos al Señor para que nos adentre en este «sí» a la voluntad de Dios, haciéndonos verdaderamente libres. Amén.

[00461-04.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Amados irmãos e irmãs!

A Quinta-feira Santa não é apenas o dia da instituição da Santíssima Eucaristia, cujo esplendor se estende sem dúvida sobre tudo o mais, tudo atraindo, por assim dizer, para dentro dela. Faz parte da Quinta-feira Santa também a noite escura do Monte das Oliveiras, nela Se embrenhando Jesus com os seus discípulos; faz parte dela a solidão e o abandono vivido por Jesus, que, rezando, vai ao encontro da escuridão da morte; faz parte dela a traição de Judas e a prisão de Jesus, bem como a negação de Pedro; e ainda a acusação diante do Sinédrio e a entrega aos pagãos, a Pilatos. Nesta hora, procuremos compreender mais profundamente alguma coisa destes acontecimentos, porque neles se realiza o mistério da nossa Redenção.

Jesus embrenha-se na noite. A noite significa falta de comunicação, uma situação em que não nos vemos um ao outro. É um símbolo da não compreensão, do obscurecimento da verdade. É o espaço onde o mal, que em presença da luz tem de se esconder, pode desenvolver-se. O próprio Jesus – que é a luz e a verdade, a comunicação, a pureza e a bondade – entra na noite. Esta, em última análise, é símbolo da morte, da perda definitiva de comunhão e de vida. Jesus entra na noite para a superar, inaugurando o novo dia de Deus na história da humanidade.

Pelo caminho, Jesus cantou com os seus Apóstolos os Salmos da libertação e redenção de Israel, que evocavam a primeira Páscoa no Egito, a noite da libertação. Chegado ao destino Ele, como faz habitualmente, vai rezar sozinho e, como Filho, falar com o Pai. Mas, diversamente do que é costume, quer ter perto de Si três discípulos: Pedro, Tiago e João; são os mesmos três que viveram a experiência da sua Transfiguração – viram transparecer, luminosa, a glória de Deus através da sua figura humana – , tendo-O visto no centro da Lei e dos Profetas, entre Moisés e Elias. Ouviram-No falar, com ambos, acerca do seu «êxodo» em Jerusalém. O êxodo de Jesus em Jerusalém: que palavra misteriosa! No êxodo de Israel do Egipto, dera-se o acontecimento da fuga e da libertação do povo de Deus. Que aspecto deveria ter o êxodo de Jesus, para que nele se cumprisse, de modo definitivo, o sentido daquele drama histórico? Agora os discípulos tornavam-se testemunhas do primeiro trecho de tal êxodo – a humilhação extrema –, mas que era o passo essencial da saída para a liberdade e a vida nova, que o êxodo tem em vista. Os discípulos, cuja proximidade Jesus pretendeu naquela hora de ânsia extrema como elemento de apoio humano, depressa se adormentaram. Todavia ainda ouviram alguns fragmentos das palavras ditas em oração por Jesus e observaram o seu comportamento. Estas duas coisas gravam-se profundamente no espírito deles, que depois as transmitiram aos cristãos para sempre. Jesus chama a Deus «Abbá»; isto significa – como eles adiantam – «Pai». Não é, porém, a forma usual para dizer «pai», mas uma palavra própria da linguagem das crianças, ou seja, uma palavra meiga que ninguém ousaria aplicar a Deus. É a linguagem d’Aquele que é verdadeiramente «criança», Filho do Pai, d’Aquele que vive em comunhão com Deus, na unidade mais profunda com Ele.

Se nos perguntássemos qual era o elemento mais característico da figura de Jesus nos Evangelhos, temos de dizer: a sua relação com Deus. Ele está sempre em comunhão com Deus; estar com o Pai é o núcleo da sua personalidade. Através de Cristo, conhecemos verdadeiramente Deus. «A Deus jamais alguém O viu»: diz São João. Aquele que «está no seio do Pai (…) O deu a conhecer» (1, 18). Agora conhecemos Deus, como Ele é verdadeiramente: Ele é Pai; e Pai com uma bondade absoluta, à qual nos podemos confiar. O evangelista Marcos, que conservou as recordações de São Pedro, narra que Jesus, depois da invocação «Abbá», acrescentou: Tudo Te é possível; Tu podes tudo (cf. 14, 36). Aquele que é a Bondade, ao mesmo tempo é poder, é omnipotente. O poder é bondade e a bondade é poder. Esta confiança podemos aprendê-la a partir da oração de Jesus no Monte das Oliveiras.

Antes de reflectir sobre o conteúdo da súplica de Jesus, devemos ainda fixar a nossa atenção sobre o que os evangelistas nos referem a propósito do comportamento d’Ele durante a sua oração. Mateus e Marcos dizem-nos que «caiu com a face por terra» (Mt 26, 39; cf. Mc 14, 35), assumindo por conseguinte a posição de submissão total, como se manteve na liturgia romana de Sexta-feira Santa. Lucas, por sua vez, diz-nos que Jesus rezava de joelhos. Nos Actos dos Apóstolos, fala da oração de joelhos feita pelos santos: Estêvão durante a sua lapidação, Pedro no contexto da ressurreição de um morto, Paulo a caminho do martírio. Assim Lucas redigiu uma pequena história da oração feita de joelhos na Igreja nascente. Ajoelhando-se, os cristãos entram na oração de Jesus no Monte das Oliveiras. Ameaçados pelo poder do mal, eles ajoelham: permanecem de pé frente ao mundo, mas, enquanto filhos, estão de joelhos diante do Pai. Diante da glória de Deus, nós, cristãos, ajoelhamo-nos reconhecendo a sua divindade; mas, com tal gesto, exprimimos também a nossa confiança de que Ele vence.

Jesus luta com o Pai: melhor, luta consigo mesmo; e luta por nós. Sente angústia frente ao poder da morte. Este sentimento é, antes de mais nada, a turvação que prova o homem, e mesmo toda a criatura viva, em presença da morte. Mas, em Jesus, trata-se de algo mais. Ele estende o olhar pelas noites do mal; e vê a maré torpe de toda a mentira e infâmia que vem ao seu encontro naquele cálice que deve beber. É a turvação sentida pelo totalmente Puro e Santo frente à torrente do mal que inunda este mundo e que se lança sobre Ele. Vê-me também a mim, e reza por mim. Assim este momento da angústia mortal de Jesus é um elemento essencial no processo da Redenção; de facto, a Carta aos Hebreus qualificou a luta de Jesus no Monte das Oliveiras como um acontecimento sacerdotal. Nesta oração de Jesus, permeada de angústia mortal, o Senhor cumpre a função do sacerdotes: toma sobre Si o pecado da humanidade, toma a todos nós e leva-nos para junto do Pai.

Por último, devemos debruçar-nos sobre o conteúdo da oração de Jesus no Monte das Oliveiras. Jesus diz: «Pai, tudo Te é possível; afasta de Mim este cálice! Mas não se faça o que Eu quero, e sim o que Tu queres» (Mc 14, 36). A vontade natural do Homem Jesus recua, assustada, perante uma realidade tão monstruosa; pede que isso Lhe seja poupado. Todavia, enquanto Filho, depõe esta vontade humana na vontade do Pai: não Eu, mas Tu. E assim Ele transformou a atitude de Adão, o pecado primordial do homem, curando deste modo o homem. A atitude de Adão fora: Não o que quiseste Tu, ó Deus; eu mesmo quero ser deus. Esta soberba é a verdadeira essência do pecado. Pensamos que só poderemos ser livres e verdadeiramente nós mesmos, se seguirmos exclusivamente a nossa vontade. Vemos Deus como contrário à nossa liberdade. Devemos libertar-nos d’Ele – isto é todo o nosso pensar –; só então seremos livres. Tal é a rebelião fundamental, que permeia a história, e a mentira de fundo que desnatura a nossa vida. Quando o homem se põe contra Deus, põe-se contra a sua própria verdade e, por conseguinte, não fica livre mas alienado de si mesmo. Só somos livres, se permanecermos na nossa verdade, se estivermos unidos a Deus. Então tornamo-nos verdadeiramente «como Deus»; mas não opondo-nos a Deus, desfazendo-nos d’Ele ou negando-O. Na luta da oração no Monte das Oliveiras, Jesus desfez a falsa contradição entre obediência e liberdade, e abriu o caminho para a liberdade. Peçamos ao Senhor que nos introduza neste «sim» à vontade de Deus, tornando-nos deste modo verdadeiramente livres. Amen.

[00461-06.02] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Wielki Czwartek jest nie tylko dniem ustanowienia Najświętszej Eucharystii, której blask z pewnością rozchodzi się na wszystko inne i równocześnie przyciąga do siebie. Częścią Wielkiego Czwartku jest też noc ciemna Góry Oliwnej, ku której Jezus wychodzi ze swymi uczniami. Należy do niego także samotność i opuszczenie Jezusa, który modląc się wychodzi na spotkanie mroku śmierci; należy do niego również zdrada Judasza i pojmanie Jezusa, a także zaparcie się Piotra; oskarżenie przed Wysoką Radą oraz wydanie poganom, Piłatowi. Spróbujmy w tę godzinę nieco z tych wydarzeń zrozumieć głębiej, ponieważ rozgrywa się w nich tajemnica naszego zbawienia.

Jezus wchodzi w noc. Noc oznacza brak komunikacji, sytuację w której nie widzimy jeden drugiego. Jest ona symbolem braku zrozumienia, zaciemnienia prawdy. Jest ona przestrzenią, gdzie może rozwijać się zło, które w obliczu światła musi się ukrywać. Sam Jezus jest Światłem i Prawdą, Komunikacją, Czystością i Dobrem. Wychodzi w noc. Noc jest w ostateczności symbolem śmierci, definitywnego utracenia wspólnoty i życia. Jezus wychodzi w noc, aby ją przezwyciężyć, i aby otworzyć nowy dzień Boga w dziejach ludzkości.

Na tej drodze śpiewał On z uczniami psalmy wyzwolenia i ocalenia Izraela, które przypominały o pierwszych obchodach Paschy w Egipcie, o nocy wyzwolenia. Teraz idzie On, jak było to w Jego zwyczaju, aby modlić się w samotności i rozmawiać jak Syn z Ojcem. Ale inaczej niż zwykle chce wiedzieć, że blisko niego są trzej uczniowie - Piotr, Jakub i Jan. Są to właśnie ci trzej, którzy doświadczyli Przemienienia Pańskiego - prześwitu Bożej chwały poprzez Jego ludzką postać – i którzy widzieli Go pośród Prawa i Proroków, między Mojżeszem i Eliaszem. Słyszeli, jak mówił z obydwoma o swoim „exodusie" w Jerozolimie. Exodus Jezusa w Jerozolimie – cóż za przepełnione tajemnicą słowo! Exodus Izraela z Egiptu był wydarzeniem ucieczki i wyzwolenia ludu Bożego. Jak będzie wyglądał Exodus Jezusa, w którym ma się ostatecznie wypełnić sens historycznego dramatu? Teraz uczniowie stawali się świadkami pierwszej części tego exodusu – najgłębszego upokorzenia, które było jednak istotnym krokiem wyjścia ku wolności i nowemu życiu do którego zmierza exodus. Uczniowie, których bliskości Jezus poszukiwał w tej godzinie najgłębszej opresji jako odrobiny bezpieczeństwa, niebawem zasypiają. Usłyszeli jednak kilka strzępów słów modlitwy Jezusa i dostrzegli Jego zachowanie. Zarówno jedne jak i drugie wryły się w niech głęboko i przekazali je chrześcijaństwu po wsze czasy. Jezus mówi do Boga: Abba. Oznacza to, jak dodają, Ojcze. Nie jest to jednak zwyczajna forma słowa „ojcze", lecz czułe słowo zaczerpnięte z języka dziecięcego - słowo, którym człowiek nie śmiał zwracać się do Boga. Jest to język Tego, kto jest naprawdę, „dzieckiem", Synem Ojca, który pozostaje z Bogiem we wspólnocie najgłębszej jedności.

Jeśli się pytamy, co jest najbardziej charakterystycznym elementem postaci Jezusa w Ewangelii, to musimy powiedzieć, że jest to Jego odniesienie do Boga. Jest On zawsze w łączności z Bogiem. Bycie z Ojcem jest rdzeniem Jego osobowości. Przez Chrystusa poznajemy prawdziwie Boga. „Boga nikt nigdy nie widział" – mówi św. Jan. „Ten... który jest w łonie Ojca, [o Nim] pouczył" (J 1, 18). Teraz znamy Boga takim, jakim jest On naprawdę. Jest On Ojcem i to absolutnie dobrym, któremu możemy się powierzyć. Ewangelista Marek, który utrwalił wspomnienia świętego Piotra mówi nam, że Jezus zwracając się słowami Abba dodał jeszcze „Dla Ciebie wszystko jest możliwe" (Mk 14,36). Ten, który jest Dobrem jest zarazem Możny, Wszechmocny. Moc jest Dobrem a Dobro jest Mocą. Tej ufności możemy się nauczyć z modlitwy Jezusa na Górze Oliwnej.

Zanim zastanowimy się nad treścią prośby Jezusa, musimy jeszcze skierować naszą uwagę na to, co mówią nam Ewangeliści o postawie Jezusa podczas modlitwy. Mateusz i Marek mówią nam, że „upadł On na twarz" (Mt 26, 39), to znaczy przyjął postawą radykalnego poddania, jaka została zachowana w liturgii rzymskiej Wielkiego Piątku. Jednak Łukasz mówi nam, że Jezus modlił się na klęcząco. W Dziejach Apostolskich, mówi on o modlitwie na klęczkach świętych: Szczepana podczas ukamienowania, Piotra podczas wskrzeszenia zmarłego, Pawła na drodze ku męczeństwu. W ten sposób Łukasz nakreślił małą historię modlitwy na kolanach rodzącego się Kościoła. Chrześcijanie poprzez modlitwę na klęczkach wkraczają w modlitwę Jezusa na Górze Oliwnej. W obliczu zagrożenia przez siły zła są oni, będąc na klęczkach, wyprostowani wobec świata, ale jako dzieci skłaniają swe kolana przed Ojcem. My chrześcijanie klękamy przed chwałą Bożą i uznajemy Jego Bóstwo, ale wyrażamy w tym geście także naszą ufność, że On zwycięży.

Jezus zmaga się ze swoim Ojcem. Zmaga się z samym sobą. I walczy o nas. Doświadcza On lęku przed mocą śmierci. Jest to nade wszystko po prostu wstrząs, jaki ludzie, każde żywe stworzenie przeżywa w obliczu własnej śmierci. Ale u Jezusa chodzi o coś więcej. Ma wgląd w noce zła. Widzi błotnisty potok kłamstw i wszystkie podłości jakie zwalą się na Niego w tym kielichu, który musi pić. Jest to wstrząs Tego, który jest całkowicie Czysty i Święty przed całym zalewem zła tego świata, które na Niego spada. Widzi On także mnie i za mnie się modli. W ten sposób ta chwila śmiertelnego lęku Jezusa jest istotnym elementem w procesie zbawienia. Dlatego List do Hebrajczyków uznał walkę Jezusa na Górze Oliwnej za wydarzenie kapłańskie. W tej modlitwie Jezusa przenikniętej lękiem przed śmiercią Pan Jezus wykonuje zadanie kapłana: bierze na siebie winę rodzaju ludzkiego, bierze na siebie nas wszystkich i prowadzi nas do Ojca.

Musimy też na zakończenie zwrócić uwagę na treść modlitwy Jezusa na Górze Oliwnej. Jezus powiedział: „Ojcze, dla Ciebie wszystko jest możliwe, zabierz ten kielich ode Mnie! Lecz nie to, co Ja chcę, ale to, co Ty [niech się stanie]!" (Mk 14,36). Naturalna wola Jezusa- człowieka cofa się przed tym co potworne. Prosi, aby mu tego oszczędzić. Ale jako syn, wkłada on tę ludzką wolę w wolę Ojca: Nie ja, ale Ty. W ten sposób przekształcił On postawę Adama, grzech pierworodny człowieka i w ten sposób zbawił człowieka. Postawa Adama polegała na tym: nie to, co Ty chciałeś Boże, ale ja sam chcę być bogiem. Ta pycha jest prawdziwą istotą grzechu. Myślimy, że jesteśmy wolni i jesteśmy naprawdę sobą, tylko jeżeli wypełniamy wyłącznie swoją wolę. Bóg jawi się jako przeciwieństwo naszej wolności. Myślimy, że musimy się od Niego uwolnić, że wtedy będziemy naprawdę wolni. To jest podstawowy bunt przenikający historię i zasadniczy fałsz wynaturzający nasze życie. Kiedy człowiek staje przeciw Bogu, staje też przeciw swojej Prawdzie i dlatego nie będzie wolny, tylko wyobcowany. Jesteśmy naprawdę wolni tylko wtedy, gdy jesteśmy w naszej prawdzie, kiedy jesteśmy zjednoczeni z Bogiem. Wtedy prawdziwie będziemy „jak Bóg"- nie przeciwstawiając się Bogu, pozbywając się Go czy zaprzeczając Mu. W modlitewnym zmaganiu na Górze Oliwnej Jezus usunął fałszywą sprzeczność między posłuszeństwem a wolnością i otworzył drogę do wolności. Prośmy Pana, aby nas wprowadził w owo „tak" wobec woli Bożej i pozwolił nam w ten sposób być prawdziwie wolnymi. Amen.

[00461-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0203-XX.02]