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CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE, 01.04.2012


Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.
Alla celebrazione prendono parte, in occasione della ricorrenza diocesana della XXVII Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: «Siate sempre lieti nel Signore!» (Fil 4,4) giovani di Roma e di altre Diocesi.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Marco:

 OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

La Domenica delle Palme è il grande portale che ci introduce nella Settimana Santa, la settimana nella quale il Signore Gesù si avvia verso il culmine della sua vicenda terrena. Egli sale a Gerusalemme per portare a compimento le Scritture e per essere appeso sul legno della croce, il trono da cui regnerà per sempre, attirando a sé l’umanità di ogni tempo e offrendo a tutti il dono della redenzione. Sappiamo dai Vangeli che Gesù si era incamminato verso Gerusalemme insieme ai Dodici, e che a poco a poco si era associata a loro una schiera crescente di pellegrini. San Marco ci racconta che già alla partenza da Gerico c’era una «grande folla» che seguiva Gesù (cfr 10,46).

In quest’ultimo tratto del percorso si verifica un particolare evento, che aumenta l’attesa di ciò che sta per accadere e fa sì che l’attenzione si concentri ancora di più su Gesù. Lungo la strada, all’uscita da Gerico, sta seduto a mendicare un uomo cieco, di nome Bartimeo. Appena egli sente dire che sta arrivando Gesù di Nazaret, incomincia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10,47). Si cerca di farlo tacere, ma inutilmente; finché Gesù lo fa chiamare e lo invita ad avvicinarsi. «Che cosa vuoi che io faccia per te?», gli chiede. E quegli: «Rabbunì, che io veda di nuovo!" (v. 51). Gesù risponde: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Bartimeo riacquistò la vista e si mise a seguire Gesù lungo la strada (cfr v. 52). Ed ecco che, dopo quel segno prodigioso, accompagnato da quella invocazione «Figlio di Davide», un fremito di speranza messianico attraversa la folla facendo sorgere in molti una domanda: quel Gesù, che camminava davanti a loro verso Gerusalemme, era forse il Messia, il nuovo Davide? E con il suo ingresso ormai imminente nella città santa, era forse giunto il tempo in cui Dio avrebbe finalmente restaurato il regno davidico?

Anche la preparazione dell’ingresso, che Gesù fa insieme ai suoi discepoli, contribuisce ad aumentare questa speranza. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo odierno (cfr Mc 11,1-10), Gesù arriva a Gerusalemme da Betfage e dal Monte degli ulivi, cioè dalla strada su cui avrebbe dovuto venire il Messia. Da lì, Egli manda avanti due discepoli, comandando loro di portargli un puledro di asino, che avrebbero trovato lungo la via. Essi trovano effettivamente l’asinello, lo slegano e lo conducono a Gesù. A questo punto, gli animi dei discepoli e anche degli altri pellegrini sono presi dall’entusiasmo: prendono i loro mantelli e li mettono sul puledro; altri li stendono sulla strada davanti a Gesù, che avanza in groppa all’asino. Poi tagliano rami dagli alberi e cominciano a gridare parole del Salmo 118, antiche parole di benedizione dei pellegrini che diventano, in quel contesto, una proclamazione messianica: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!» (vv. 9-10). Questa acclamazione festosa, trasmessa da tutti e quattro gli Evangelisti, è un grido di benedizione, un inno di esultanza: esprime l’unanime convinzione che, in Gesù, Dio ha visitato il suo popolo e che il Messia desiderato finalmente è giunto. E tutti sono lì, con la crescente attesa per l’opera che il Cristo compirà una volta entrato nella sua città.

Ma qual è il contenuto, la risonanza più profonda di questo grido di giubilo? La risposta ci viene dall’intera Scrittura, la quale ci ricorda che il Messia porta a compimento la promessa della benedizione di Dio, la promessa originaria che Dio aveva fatto ad Abramo, il padre di tutti i credenti: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò … e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2-3). È la promessa che Israele aveva tenuto sempre viva nella preghiera, in particolare nella preghiera dei Salmi. Per questo, Colui che è acclamato dalla folla come il benedetto è, nello stesso tempo, Colui nel quale sarà benedetta l’umanità intera. Così, nella luce del Cristo, l’umanità si riconosce profondamente unita e come avvolta dal manto della benedizione divina, una benedizione che tutto permea, tutto sostiene, tutto redime, tutto santifica.

Possiamo scoprire qui un primo grande messaggio che giunge a noi dalla festività di oggi: l’invito ad assumere il giusto sguardo sull’umanità intera, sulle genti che formano il mondo, sulle sue varie culture e civiltà. Lo sguardo che il credente riceve da Cristo è lo sguardo della benedizione: uno sguardo sapiente e amorevole, capace di cogliere la bellezza del mondo e di compatirne la fragilità. In questo sguardo traspare lo sguardo stesso di Dio sugli uomini che Egli ama e sulla creazione, opera delle sue mani. Leggiamo nel Libro della Sapienza: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; … Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11,23-24.26).

Ritorniamo alla pagina evangelica odierna e domandiamoci: che cosa c’è realmente nel cuore di quanti acclamano Cristo come Re d’Israele? Certamente avevano una loro idea del Messia, un’idea di come dovesse agire il Re promesso dai profeti e a lungo aspettato. Non è un caso che, pochi giorni dopo, la folla di Gerusalemme, invece di acclamare Gesù, griderà a Pilato: «Crocifiggilo»! E gli stessi discepoli, come pure altri che lo avevano visto e ascoltato, rimarranno ammutoliti e smarriti. La maggior parte, infatti, era rimasta delusa dal modo in cui Gesù aveva deciso di presentarsi come Messia e Re di Israele. Proprio qui sta il nodo della festa di oggi, anche per noi. Chi è per noi Gesù di Nazaret? Che idea abbiamo del Messia, che idea abbiamo di Dio? È una questione cruciale, questa, che non possiamo eludere, tanto più che proprio in questa settimana siamo chiamati a seguire il nostro Re che sceglie come trono la croce; siamo chiamati a seguire un Messia che non ci assicura una facile felicità terrena, ma la felicità del cielo, la beatitudine di Dio. Dobbiamo allora chiederci: quali sono le nostre vere attese? quali i desideri più profondi, con cui siamo venuti qui oggi a celebrare la Domenica delle Palme e ad iniziare la Settimana Santa?

Cari giovani, che siete qui convenuti! Questa è in modo particolare la vostra Giornata, dovunque nel mondo è presente la Chiesa. Per questo vi saluto con grande affetto! La Domenica delle Palme sia per voi il giorno della decisione, la decisione di accogliere il Signore e di seguirlo fino in fondo, la decisione di fare della sua Pasqua di morte e risurrezione il senso stesso della vostra vita di cristiani. E’ la decisione che porta alla vera gioia, come ho voluto ricordare nel Messaggio ai Giovani per questa Giornata - «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4) -, e come avvenne per santa Chiara di Assisi, che, ottocento anni or sono, trascinata dall’esempio di san Francesco e dei suoi primi compagni, proprio nella Domenica delle Palme, lasciò la casa paterna per consacrarsi totalmente al Signore: aveva diciotto anni ed ebbe il coraggio della fede e dell’amore, di decidersi per Cristo, trovando in Lui la gioia e la pace.

Cari fratelli e sorelle, siano in particolare due i sentimenti di questi giorni: la lode, come hanno fatto coloro che hanno accolto Gesù a Gerusalemme con i loro «osanna»; ed il ringraziamento, perché in questa Settimana Santa il Signore Gesù rinnoverà il dono più grande che si possa immaginare: ci donerà la sua vita, il suo corpo e il suo sangue, il suo amore. Ma a un dono così grande dobbiamo rispondere in modo adeguato, ossia con il dono di noi stessi, del nostro tempo, della nostra preghiera, del nostro stare in comunione profonda d’amore con Cristo che soffre, muore e risorge per noi. Gli antichi Padri della Chiesa hanno visto un simbolo di tutto ciò nel gesto della gente che seguiva Gesù nel suo ingresso in Gerusalemme, il gesto di stendere i mantelli davanti al Signore. Davanti a Cristo – dicevano i Padri – dobbiamo stendere la nostra vita, le nostre persone, in atteggiamento di gratitudine e di adorazione. Riascoltiamo, in conclusione, la voce di uno di questi antichi Padri, quella di sant’Andrea, Vescovo di Creta: «Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso ... e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese ... per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele"» (PG 97, 994). Amen!

[00434-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs !

Le Dimanche des Rameaux est le grand portique qui nous introduit dans la Semaine Sainte, la semaine où le Seigneur Jésus s’achemine vers le sommet de sa vie terrestre. Il monte à Jérusalem pour accomplir les Écritures et pour être suspendu sur le bois de la croix, le trône à partir duquel il régnera pour toujours, attirant à lui l’humanité de tous les temps et offrant à tous le don de la rédemption. Des Évangiles, nous savons que Jésus s’était mis en route vers Jérusalem avec les Douze, et que, peu à peu, s’était jointe à eux une foule grandissante de pèlerins. Saint Marc nous raconte que dès le départ de Jéricho il y avait une « foule nombreuse » qui suivait Jésus (cf. 10, 46).

Dans cette dernière étape du parcours, on constate un événement particulier, qui augmente l’attente de ce qui arrivera, de telle sorte que l’attention se concentre encore plus sur Jésus. Au bord de la route, à la sortie de Jéricho, était assis en train de mendier un aveugle, du nom de Bartimée. À peine entend-il dire qu’arrivait Jésus de Nazareth, qu’il se met à crier : « Jésus, fils de David, aie piété de moi ! » (Mc 10, 47). On cherche à le faire taire, mais en vain ; jusqu’à ce que Jésus le fasse appeler et l’invite à s’approcher de lui. « Que veux-tu que je fasse pour toi ? », lui demande Jésus. Et il répond : « Rabbouni, que je voie [de nouveau] » (v.51). Jésus répond : « Va, ta foi t’a sauvé ». Bartimée retrouva la vue et se mit à suivre Jésus sur la route (cf. v. 52). Et, après ce signe prodigieux, accompagné par l’invocation « Fils de David », voici qu’un frémissement d’espérance messianique traverse la foule, faisant naître chez beaucoup de personnes une question : ce Jésus qui marchait devant eux vers Jérusalem, était-il peut-être le Messie, le nouveau David ? Et avec son entrée désormais imminente dans la ville sainte, le temps où Dieu aurait finalement restauré le règne davidique serait-il arrivé ?

La préparation de son entrée, que Jésus fait avec ses disciples, contribue aussi à faire grandir cette espérance. Comme nous l’avons entendu dans l’Évangile d’aujourd’hui (cf. Mc 11, 1-10), Jésus arrive à Jérusalem de Bethphagé et du mont des Oliviers, c’est-à-dire par la route par laquelle aurait dû venir le Messie. De là, Il envoie deux disciples, avec l’ordre de lui amener un petit âne qu’ils auraient trouvé au bord de la route. Ils trouvèrent effectivement le petit âne, le détachèrent et l’amenèrent à Jésus. À ce moment, l’esprit des disciples et aussi des autres pèlerins déborde d’enthousiasme : les uns prennent leurs manteaux et les mettent sur le petit âne ; les autres les étendent sur le chemin devant Jésus qui avance assis sur l’âne. Ils coupent ensuite des branches d’arbres et ils commencent à clamer des paroles du Psaume 118, d’antiques paroles de bénédiction des pèlerins, qui deviennent, dans ce contexte, une proclamation messianique : « Hosanna ! Béni soit celui qui vient au nom du Seigneur ! Béni le Règne qui vient, celui de notre père David. Hosanna au plus haut des cieux ! » (vv. 9-10). Cette joyeuse acclamation transmise par les quatre Évangélistes, est un cri de bénédiction, un hymne d’allégresse : elle exprime la conviction commune qu’en Jésus, Dieu a visité son peuple et que le Messie attendu est finalement venu. Et tous sont là, animés par l’attente croissante de l’œuvre que le Christ accomplira une fois qu’il entrera dans sa ville.

Mais quel est le contenu, la résonance la plus profonde de ce cri de joie ? La réponse nous est donnée par toute l’Écriture qui nous rappelle que le Messie accomplit la promesse de bénédiction de Dieu, la promesse des origines, que Dieu avait faite à Abraham, le père de tous les croyants : « Je ferai de toi une grande nation, je te bénirai […] En toi seront bénies toutes les familles de la terre » (Gn 12, 2-3). C’est la promesse qu’Israël avait toujours gardée vivante dans la prière, particulièrement dans celle des psaumes. C’est pourquoi, Celui qui est acclamé par la foule comme le béni, est en même temps Celui en qui sera bénie toute l’humanité. Dans la lumière du Christ, l’humanité se reconnaît ainsi profondément unie et comme recouverte par le manteau de la bénédiction divine, une bénédiction qui pénètre tout, soutient tout, rachète tout, sanctifie tout.

Nous pouvons découvrir ici un premier grand message qui nous arrive de la festivité d’aujourd’hui : l’invitation à avoir le juste regard sur l’humanité entière, sur les gens qui forment le monde, sur les diverses cultures et civilisations. Le regard que le croyant reçoit du Christ est le regard de la bénédiction : un regard sage et aimant, capable de saisir la beauté du monde et de compatir à sa fragilité. Dans ce regard transparaît le regard même de Dieu sur les hommes qu’il aime et sur la création, œuvre de ses mains. Nous lisons dans le Livre de la Sagesse : « Seigneur, tu as pitié de tous les hommes, parce que tu peux tout. Tu fermes les yeux sur leurs péchés, pour qu’ils se convertissent. Tu aimes en effet tout ce qui existe, tu n’as de répulsion envers aucune de tes œuvres […] Tu épargnes tous les êtres, parce qu’ils sont à toi, Maître qui aimes la vie » (Sg 11, 23-24.26).

Revenons au texte évangélique de ce jour et demandons-nous : qu’y-a-t-il réellement dans le cœur de tous ceux qui acclament le Christ comme Roi d’Israël ? Ils avaient certainement leur idée du Messie, une idée de comment devait agir le Roi promis par les prophètes et longtemps attendu. Ce n’est pas par hasard que, quelques jours après, la foule de Jérusalem, au lieu d’acclamer Jésus, criera à Pilate : « Crucifie-le ! ». Et les disciples eux-mêmes, ainsi que les autres qui l’avaient vu et écouté, resteront muets et perdus. En effet, la plupart étaient restés déçus par la manière dont Jésus avait décidé de se présenter comme Messie et Roi d’Israël. C’est justement en cela que se trouve pour nous aussi le point central de la fête d’aujourd’hui. Pour nous, qui est Jésus de Nazareth ? Quelle idée du Messie avons-nous, quelle idée de Dieu avons-nous ? C’est une question cruciale que nous ne pouvons pas éluder, étant donné qu’au cours de cette semaine, nous sommes appelés justement à suivre notre Roi qui choisit comme trône la croix ; nous sommes appelés à suivre un Messie qui ne nous garantit pas un bonheur terrestre facile, mais le bonheur du ciel, la béatitude de Dieu. Nous devons alors nous demander : quelles sont nos vraies attentes ? Quels sont les plus profonds désirs, avec lesquels nous sommes venus ici aujourd’hui pour célébrer le dimanche des Rameaux et pour commencer la Semaine Sainte ?

Chers jeunes, vous qui êtes venus ici ! Cette journée est particulièrement la vôtre, partout dans le monde où est présente l’Église. Pour cela, je vous salue avec grande affection ! Que le Dimanche des Rameaux soit pour vous le jour de la décision, la décision d’accueillir le Seigneur et de le suivre jusqu’au bout, la décision de faire de sa Pâque de mort et de résurrection le sens même de votre vie de chrétiens. C’est la décision qui conduit à la vraie joie, comme j’ai voulu le rappeler dans le Message aux Jeunes pour cette Journée – « soyez toujours dans la joie du Seigneur » (Ph 4, 4) - et comme il advint pour sainte Claire d’Assise qui, il y a huit-cents ans, entraînée par l’exemple de saint François et de ses premiers compagnons, quitta la maison paternelle exactement le Dimanche des Rameaux pour se consacrer totalement au Seigneur : elle avait 18 ans et elle eut le courage de la foi et de l’amour, le courage de décider pour le Christ, trouvant en Lui la joie et la paix.

Chers frères et sœurs, deux sentiments doivent nous habiter particulièrement en ces jours : la louange, comme l’ont fait ceux qui ont accueilli Jésus à Jérusalem par leur « hosanna » ; et l’action de grâce car, dans cette Semaine Sainte, le Seigneur Jésus renouvellera le plus grand don que l’on puisse imaginer : il nous donnera sa vie, son corps et son sang, son amour. Toutefois, à un si grand don, nous devons répondre d’une manière adéquate, c’est-à-dire par le don de nous-mêmes, de notre temps, de notre prière, de notre vie en profonde communion d’amour avec le Christ qui souffre, meurt et ressuscite pour moi. Les anciens Pères de l’Église ont vu un symbole de tout cela dans le geste des gens qui suivaient Jésus entrant à Jérusalem, le geste d’étendre les manteaux devant le Seigneur. Devant le Christ – disaient les Pères – nous devons étendre notre vie et nos personnes, dans une attitude de gratitude et d’adoration. En conclusion, écoutons encore la voix d’un de ces anciens Pères, celle de saint André, Évêque de Crête : « Étendons-nous humblement donc devant le Christ, nous-mêmes plutôt que les tuniques ou les rameaux inanimés et les branches vertes qui réjouissent le regard seulement pour un instant et sont destinés à perdre, avec la sève, leur verdure. Étendons-nous nous-mêmes revêtus de sa grâce, ou mieux, de lui-même tout entier… et prosternons-nous à ses pieds comme des tuniques étendues… pour pouvoir offrir au vainqueur de la mort non plus de simples rameaux de palmes, mais des trophées de victoire. Agitant les rameaux spirituels de l’âme, nous aussi, avec les enfants, acclamons saintement chaque jour : "Béni soit celui qui vient au nom du Seigneur, le roi d’Israël" » (PG 97, 994). Amen !

[00434-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

Palm Sunday is the great doorway leading into Holy Week, the week when the Lord Jesus makes his way towards the culmination of his earthly existence. He goes up to Jerusalem in order to fulfil the Scriptures and to be nailed to the wood of the Cross, the throne from which he will reign for ever, drawing to himself humanity of every age and offering to all the gift of redemption. We know from the Gospels that Jesus had set out towards Jerusalem in company with the Twelve, and that little by little a growing crowd of pilgrims had joined them. Saint Mark tells us that as they were leaving Jericho, there was a "great multitude" following Jesus (cf. 10:46).

On the final stage of the journey, a particular event stands out, one which heightens the sense of expectation of what is about to unfold and focuses attention even more sharply upon Jesus. Along the way, as they were leaving Jericho, a blind man was sitting begging, Bartimaeus by name. As soon as he heard that Jesus of Nazareth was passing, he began to cry out: "Jesus, Son of David, have mercy on me!" (Mk 10:47). People tried to silence him, but to no avail; until Jesus had them call him over and invited him to approach. "What do you want me to do for you?", he asked. And the reply: "Master, let me receive my sight" (v. 51). Jesus said: "Go your way, your faith has made you well." Bartimaeus regained his sight and began to follow Jesus along the way (cf. v. 52). And so it was that, after this miraculous sign, accompanied by the cry "Son of David", a tremor of Messianic hope spread through the crowd, causing many of them to ask: this Jesus, going ahead of us towards Jerusalem, could he be the Messiah, the new David? And as he was about to enter the Holy City, had the moment come when God would finally restore the Davidic kingdom?

The preparations made by Jesus, with the help of his disciples, serve to increase this hope. As we heard in today’s Gospel (cf. Mk 11:1-10), Jesus arrives in Jerusalem from Bethphage and the Mount of Olives, that is, the route by which the Messiah was supposed to come. From there, he sent two disciples ahead of him, telling them to bring him a young donkey that they would find along the way. They did indeed find the donkey, they untied it and brought it to Jesus. At this point, the spirits of the disciples and of the other pilgrims were swept up with excitement: they took their coats and placed them on the colt; others spread them out on the street in Jesus’ path as he approached, riding on the donkey. Then they cut branches from the trees and began to shout phrases from Psalm 118, ancient pilgrim blessings, which in that setting took on the character of messianic proclamation: "Hosanna! Blessed is he who comes in the name of the Lord! Blessed is the kingdom of our father David that is coming! Hosanna in the highest!" (v. 9-10). This festive acclamation, reported by all four evangelists, is a cry of blessing, a hymn of exultation: it expresses the unanimous conviction that, in Jesus, God has visited his people and the longed-for Messiah has finally come. And everyone is there, growing in expectation of the work that Christ will accomplish once he has entered the city.

But what is the content, the inner resonance of this cry of jubilation? The answer is found throughout the Scripture, which reminds us that the Messiah fulfils the promise of God’s blessing, God’s original promise to Abraham, father of all believers: "I will make of you a great nation and I will bless you ... and by you all the families of the earth shall bless themselves" (Gen 12:2-3). It is the promise that Israel had always kept alive in prayer, especially the prayer of the Psalms. Hence he whom the crowd acclaims as the blessed one is also he in whom the whole of humanity will be blessed. Thus, in the light of Christ, humanity sees itself profoundly united and, as it were, enfolded within the cloak of divine blessing, a blessing that permeates, sustains, redeems and sanctifies all things.

Here we find the first great message that today’s feast brings us: the invitation to adopt a proper outlook upon all humanity, on the peoples who make up the world, on its different cultures and civilizations. The look that the believer receives from Christ is a look of blessing: a wise and loving look, capable of grasping the world’s beauty and having compassion on its fragility. Shining through this look is God’s own look upon those he loves and upon Creation, the work of his hands. We read in the Book of Wisdom: "But thou art merciful to all, for thou canst do all things, and thou dost overlook men’s sins, that they may repent. For thou lovest all things that exist and hast loathing for none of the things which thou hast made ... thou sparest all things, for they are thine, O Lord who lovest the living" (11:23-24, 26).

Let us return to today’s Gospel passage and ask ourselves: what is really happening in the hearts of those who acclaim Christ as King of Israel? Clearly, they had their own idea of the Messiah, an idea of how the long-awaited King promised by the prophets should act. Not by chance, a few days later, instead of acclaiming Jesus, the Jerusalem crowd will cry out to Pilate: "Crucify him!", while the disciples, together with others who had seen him and listened to him, will be struck dumb and will disperse. The majority, in fact, was disappointed by the way Jesus chose to present himself as Messiah and King of Israel. This is the heart of today’s feast, for us too. Who is Jesus of Nazareth for us? What idea do we have of the Messiah, what idea do we have of God? It is a crucial question, one we cannot avoid, not least because during this very week we are called to follow our King who chooses the Cross as his throne. We are called to follow a Messiah who promises us, not a facile earthly happiness, but the happiness of heaven, divine beatitude. So we must ask ourselves: what are our true expectations? What are our deepest desires, with which we have come here today to celebrate Palm Sunday and to begin our celebration of Holy Week?

Dear young people, present here today, this, in a particular way, is your Day, wherever the Church is present throughout the world. So I greet you with great affection! May Palm Sunday be a day of decision for you, the decision to say yes to the Lord and to follow him all the way, the decision to make his Passover, his death and resurrection, the very focus of your Christian lives. It is the decision that leads to true joy, as I reminded you in this year’s World Youth Day Message – "Rejoice in the Lord always" (Phil 4:4). So it was for Saint Clare of Assisi when, on Palm Sunday 800 years ago, inspired by the example of Saint Francis and his first companions, she left her father’s house to consecrate herself totally to the Lord. She was eighteen years old and she had the courage of faith and love to decide for Christ, finding in him true joy and peace.

Dear brothers and sisters, may these days call forth two sentiments in particular: praise, after the example of those who welcomed Jesus into Jerusalem with their "Hosanna!", and thanksgiving, because in this Holy Week the Lord Jesus will renew the greatest gift we could possibly imagine: he will give us his life, his body and his blood, his love. But we must respond worthily to so great a gift, that is to say, with the gift of ourselves, our time, our prayer, our entering into a profound communion of love with Christ who suffered, died and rose for us. The early Church Fathers saw a symbol of all this in the gesture of the people who followed Jesus on his entry into Jerusalem, the gesture of spreading out their coats before the Lord. Before Christ – the Fathers said – we must spread out our lives, ourselves, in an attitude of gratitude and adoration. As we conclude, let us listen once again to the words of one of these early Fathers, Saint Andrew, Bishop of Crete: "So it is ourselves that we must spread under Christ’s feet, not coats or lifeless branches or shoots of trees, matter which wastes away and delights the eye only for a few brief hours. But we have clothed ourselves with Christ’s grace, or with the whole Christ ... so let us spread ourselves like coats under his feet ... let us offer not palm branches but the prizes of victory to the conqueror of death. Today let us too give voice with the children to that sacred chant, as we wave the spiritual branches of our soul: ‘Blessed is he who comes in the name of the Lord, the King of Israel’" (PG 97, 994). Amen!

[00434-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

Der Palmsonntag ist das große Portal, das uns in die Karwoche eintreten läßt, in die Woche, in der Jesus, der Herr, dem Höhepunkt seines Erdenlebens entgegengeht. Er geht nach Jerusalem hinauf, um die Schrift zu erfüllen und ans Kreuz gehängt zu werden; es ist der Thron, von dem aus er auf ewig herrschen, die Menschheit aller Zeiten an sich ziehen und allen das Geschenk der Erlösung anbieten wird. Aus den Evangelien wissen wir, daß Jesus sich gemeinsam mit den Zwölf auf den Weg nach Jerusalem gemacht hatte und daß sich ihnen nach und nach eine immer größer werdende Schar von Pilgern angeschlossen hatte. Der heilige Markus erzählt uns, daß es schon beim Verlassen Jerichos eine „große Menschenmenge" gab, die Jesus folgte (vgl. 10,46).

Auf diesem letzten Wegstück ereignet sich etwas Besonderes, das die Erwartung dessen, was sich da anbahnt, steigert und bewirkt, daß sich die Aufmerksamkeit noch mehr auf Jesus konzentriert. An der Straße, die aus Jericho herausführt, sitzt ein Blinder namens Bartimäus und bettelt. Sobald er hört, daß Jesus von Nazareth vorbeikommt, beginnt er laut zu rufen: „Sohn Davids, Jesus, hab Erbarmen mit mir!" (Mk 10,47). Man versucht, ihn zum Schweigen zu bringen, doch vergeblich, bis Jesus ihn rufen läßt und ihn auffordert, näher zu kommen. „Was soll ich dir tun?", fragt er ihn. Und der Blinde erwidert: „Rabbuni, ich möchte wieder sehen können" (V. 51). Darauf sagt Jesus: „Geh! Dein Glaube hat dir geholfen". Bartimäus erhält sein Sehvermögen zurück und folgt Jesus auf seinem Weg (vgl. V. 52). Nach diesem wunderbaren Zeichen in Verbindung mit jenem Ruf: „Sohn Davids" breitet sich in der Menge plötzlich eine Welle messianischer Hoffnung aus, die in vielen die Frage aufkommen läßt: Ist dieser Jesus, der ihnen nach Jerusalem vorangeht, vielleicht der Messias, der neue David? Und ist mit seinem schon unmittelbar bevorstehenden Einzug in die Heilige Stadt vielleicht der Moment gekommen, in dem Gott endlich das Reich Davids wiederherstellt?

Auch die Vorbereitung des Einzugs, die Jesus gemeinsam mit seinen Jüngern trifft, trägt dazu bei, diese Hoffnung zu steigern. Wie wir im heutigen Evangelium gehört haben (vgl. Mk 11,1-10), kommt Jesus von Betfage und vom Ölberg aus nach Jerusalem, also über die Straße, auf der der Messias kommen sollte. Von dort aus sendet er zwei Jünger voraus und trägt ihnen auf, ihm ein Eselfohlen zu bringen, das sie unterwegs finden würden. Sie finden tatsächlich den jungen Esel, binden ihn los und führen ihn zu Jesus. An diesem Punkt überkommt die Herzen der Jünger und auch der anderen Pilger die Begeisterung: Sie nehmen ihre Mäntel und legen sie auf den Esel; andere breiten sie auf der Straße vor Jesus aus, der auf dem Esel voranreitet. Dann schneiden sie Zweige von den Bäumen und beginnen, Worte aus Psalm 118 zu rufen, alte Segensworte für die Pilger, die in diesem Zusammenhang zu einer messianischen Proklamation werden: „Hosanna! Gesegnet sei er, der kommt im Namen des Herrn! Gesegnet sei das Reich unseres Vaters David, das nun kommt. Hosanna in der Höhe!" (V. 9-10). Diese von allen vier Evangelisten überlieferte freudige Akklamation ist ein Segensruf, ein jubelndes Loblied: Es drückt die einmütige Überzeugung aus, daß Gott in Jesus sein Volk besucht hat und daß endlich der ersehnte Messias gekommen ist. Und alle sind dort in zunehmender Erwartung des Werkes, das Jesus vollbringen wird, wenn er in die Stadt eingezogen ist.

Doch was ist der Inhalt, der tiefste Widerhall dieses Jubelrufs? Die Antwort erhalten wir aus der gesamten Heiligen Schrift, die uns daran erinnert, daß der Messias die Segens-Verheißung Gottes zur Erfüllung bringt, die ursprüngliche Verheißung, die Gott dem Abraham, dem Vater aller Glaubenden, gemacht hatte: „Ich werde dich zu einem großen Volk machen und dich segnen … Durch dich sollen alle Geschlechter der Erde Segen erlangen" (Gen 12,2-3). Es ist die Verheißung, die Israel im Gebet immer lebendig gehalten hatte, besonders im Psalmengebet. Darum ist derjenige, der von der Menge als der Gesegnete bejubelt wird, zugleich der, durch den die gesamte Menschheit Segen erlangen wird. So erkennt sich im Licht Christi die Menschheit zutiefst geeint und gleichsam in den Mantel des göttlichen Segens eingehüllt, eines Segens, der alles durchdringt, alles trägt, alles erlöst, alles heiligt.

Hier können wir eine erste große Botschaft entdecken, die das heutige Fest uns übermittelt: die Aufforderung, die gesamte Menschheit in der rechten Weise in den Blick zu nehmen, die Völker, aus denen sich die Welt zusammensetzt, ihre verschiedenen Kulturen und Zivilisationen. Der Blick, den der Glaubende von Christus empfängt, ist der Blick des Segens: ein weiser und liebevoller Blick, der fähig ist, die Schönheit der Welt zu erfassen und mit ihrer Gebrechlichkeit mitzuleiden. Durch diesen Blick scheint der Blick Gottes selbst hindurch, den er auf die Menschen richtet, die er liebt, und auf die Schöpfung, die das Werk seiner Hände ist. Im Buch der Weisheit lesen wir: „Du hast mit allen Erbarmen, weil du alles vermagst, und siehst über die Sünden der Menschen hinweg, damit sie sich bekehren. Du liebst alles, was ist, und verabscheust nichts von allem, was du gemacht hast … Du schonst alles, weil es dein Eigentum ist, Herr, du Freund des Lebens" (11,23-24.26).

Kehren wir zum heutigen Evangelium zurück und fragen wir uns: Was bewegt denn wirklich die Herzen derer, die Christus als den König Israels bejubeln? Sicher hatten sie eine eigene Vorstellung vom Messias, eine Vorstellung davon, wie der von den Propheten verheißene und lang erwartete König handeln müsse. Es ist kein Zufall, daß wenige Tage später die Menschenmenge von Jerusalem, anstatt Jesus zuzujubeln, Pilatus zuruft: „Kreuzige ihn!". Selbst die Jünger wie auch andere, die ihn gesehen und ihm zugehört hatten, verstummen und sind verstört. Die meisten waren nämlich enttäuscht von der Art, die Jesus gewählt hatte, sich als Messias und König Israels zu zeigen. Genau hier liegt der Kern des heutigen Festes, auch für uns. Wer ist Jesus von Nazareth für uns? Welche Vorstellung haben wir vom Messias, welche Vorstellung haben wir von Gott? Das ist eine entscheidende Frage, die wir nicht umgehen können, um so weniger, als wir gerade in dieser Woche aufgefordert sind, unserem König zu folgen, der als Thron das Kreuz wählt; einem Messias zu folgen, der uns nicht ein einfaches irdisches Glück zusichert, sondern das Glück des Himmels, die Seligkeit Gottes. So müssen wir uns also fragen: Was sind unsere wahren Erwartungen? Welches die tiefsten Wünsche, mit denen wir heute hierher gekommen sind, um den Palmsonntag zu feiern und die Karwoche zu beginnen?

Liebe junge Freunde, die ihr hier zusammengekommen seid! Dies ist in besonderer Weise euer Tag, überall in der Welt, wo die Kirche gegenwärtig ist. Darum begrüße ich euch sehr herzlich! Möge der Palmsonntag für euch der Tag der Entscheidung sein – der Entscheidung, den Herrn aufzunehmen und ihm bis zum Äußersten zu folgen; der Entscheidung, sein Pascha von Tod und Auferstehung zum eigentlichen Sinn eures Lebens als Christen zu machen. Es ist die Entscheidung, die zur wahren Freude führt, wie ich bereits in der Botschaft – „Freut euch im Herrn zu jeder Zeit!" (Phil 4,4) – an die Jugendlichen zu diesem Tag erwähnt habe und wie es die heilige Klara von Assisi erlebte, die vor achthundert Jahren – hingerissen vom Beispiel des heiligen Franziskus und seinen ersten Gefährten – gerade am Palmsonntag das elterliche Haus verließ, um sich ganz dem Herrn zu weihen: Sie war achtzehn Jahre alt und hatte im Glauben den Mut und die Liebe, sich für Christus zu entscheiden, da sie in ihm die Freude und den Frieden fand.

Liebe Brüder und Schwestern, mögen besonders zwei Grundstimmungen diese Tage beherrschen: der Lobpreis, wie bei denen, die Jesus in Jerusalem mit ihrem „Hosanna" empfangen haben, und der Dank, weil Jesus, der Herr, uns in dieser Karwoche von neuem das denkbar größte Geschenk machen wird: Er wird uns sein Leben schenken, seinen Leib und sein Blut, seine Liebe. Doch auf ein so großes Geschenk müssen wir in angemessener Weise antworten, das heißt mit dem Geschenk unserer selbst: unserer Zeit, unseres Gebetes, unseres tiefen, liebevollen Verbundenseins mit Christus, der für uns leidet, stirbt und aufersteht. Die Kirchenväter haben ein Symbol all dessen in der Geste der Menschen gesehen, die Jesus bei seinem Einzug in Jerusalem folgten, in der Geste, ihre Mäntel vor dem Herrn auszubreiten. Vor Christus – sagten die Väter – müssen wir unser Leben, unser ganzes Sein ausbreiten, in einer Haltung der Dankbarkeit und der Anbetung. Hören wir zum Abschluß noch einmal die Stimme eines dieser alten Väter, des heiligen Bischofs Andreas von Kreta: „Breiten wir also demütig vor Christus uns selber aus und nicht die Mäntel oder leblose Zweige und grüne Blätter, welche die Augen nur für wenige Stunden erfreuen und deren Schicksal es ist, mit dem Pflanzensaft auch ihr Grün zu verlieren. Breiten wir uns selber aus, bekleidet mit seiner Gnade oder besser: mit ihm selbst ganz und gar … und werfen wir uns wie ausgebreitete Mäntel ihm zu Füßen … damit wir dem Sieger über den Tod nicht mehr einfache Psalmzweige, sondern Siegestrophäen darbringen können. Indem wir die geistlichen Zweige der Seele schwingen, rufen auch wir jeden Tag, gemeinsam mit den Kindern, in heiligem Jubel: »Gesegnet sei er, der kommt im Namen des Herrn, der König Israels!«" (PG 97,994). Amen!

[00434-05.01] [Original Sprache: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas!

El Domingo de Ramos es el gran pórtico que nos lleva a la Semana Santa, la semana en la que el Señor Jesús se dirige hacia la culminación de su vida terrena. Él va a Jerusalén para cumplir las Escrituras y para ser colgado en la cruz, el trono desde el cual reinará por los siglos, atrayendo a sí a la humanidad de todos los tiempos y ofrecer a todos el don de la redención. Sabemos por los evangelios que Jesús se había encaminado hacia Jerusalén con los doce, y que poco a poco se había ido sumando a ellos una multitud creciente de peregrinos. San Marcos nos dice que ya al salir de Jericó había una «gran muchedumbre» que seguía a Jesús (cf. 10,46).

En la última parte del trayecto se produce un acontecimiento particular, que aumenta la expectativa sobre lo que está por suceder y hace que la atención se centre todavía más en Jesús. A lo largo del camino, al salir de Jericó, está sentado un mendigo ciego, llamado Bartimeo. Apenas oye decir que Jesús de Nazaret está llegando, comienza a gritar: «¡Hijo de David, Jesús, ten compasión de mí» (Mc 10,47). Tratan de acallarlo, pero en vano, hasta que Jesús lo manda llamar y le invita a acercarse. «¿Qué quieres que te haga?», le pregunta. Y él contesta: «Rabbuní, que vea» (v. 51). Jesús le dice: «Anda, tu fe te ha salvado». Bartimeo recobró la vista y se puso a seguir a Jesús en el camino (cf. v. 52). Y he aquí que, tras este signo prodigioso, acompañado por aquella invocación: «Hijo de David», un estremecimiento de esperanza atraviesa la multitud, suscitando en muchos una pregunta: ¿Este Jesús que marchaba delante de ellos a Jerusalén, no sería quizás el Mesías, el nuevo David? Y, con su ya inminente entrada en la ciudad santa, ¿no habría llegado tal vez el momento en el que Dios restauraría finalmente el reino de David?

También la preparación del ingreso de Jesús con sus discípulos contribuye a aumentar esta esperanza. Como hemos escuchado en el Evangelio de hoy (cf. Mc 11,1-10), Jesús llegó a Jerusalén desde Betfagé y el monte de los Olivos, es decir, la vía por la que había de venir el Mesías. Desde allí, envía por delante a dos discípulos, mandándoles que le trajeran un pollino de asna que encontrarían a lo largo del camino. Encuentran efectivamente el pollino, lo desatan y lo llevan a Jesús. A este punto, el ánimo de los discípulos y los otros peregrinos se deja ganar por el entusiasmo: toman sus mantos y los echan encima del pollino; otros alfombran con ellos el camino de Jesús a medida que avanza a grupas del asno. Después cortan ramas de los árboles y comienzan a gritar las palabras del Salmo 118, las antiguas palabras de bendición de los peregrinos que, en este contexto, se convierten en una proclamación mesiánica: «¡Hosanna!, bendito el que viene en el nombre del Señor. ¡Bendito el reino que llega, el de nuestro padre David! ¡Hosanna en las alturas!» (vv. 9-10). Esta alegría festiva, transmitida por los cuatro evangelistas, es un grito de bendición, un himno de júbilo: expresa la convicción unánime de que, en Jesús, Dios ha visitado su pueblo y ha llegado por fin el Mesías deseado. Y todo el mundo está allí, con creciente expectación por lo que Cristo hará una vez que entre en su ciudad.

Pero, ¿cuál es el contenido, la resonancia más profunda de este grito de júbilo? La respuesta está en toda la Escritura, que nos recuerda cómo el Mesías lleva a cumplimiento la promesa de la bendición de Dios, la promesa originaria que Dios había hecho a Abraham, el padre de todos los creyentes: «Haré de ti una gran nación, te bendeciré… y en ti serán benditas todas las familias de la tierra» (Gn 12,2-3). Es la promesa que Israel siempre había tenido presente en la oración, especialmente en la oración de los Salmos. Por eso, el que es aclamado por la muchedumbre como bendito es al mismo tiempo aquel en el cual será bendecida toda la humanidad. Así, a la luz de Cristo, la humanidad se reconoce profundamente unida y cubierta por el manto de la bendición divina, una bendición que todo lo penetra, todo lo sostiene, lo redime, lo santifica.

Podemos descubrir aquí un primer gran mensaje que nos trae la festividad de hoy: la invitación a mirar de manera justa a la humanidad entera, a cuantos conforman el mundo, a sus diversas culturas y civilizaciones. La mirada que el creyente recibe de Cristo es una mirada de bendición: una mirada sabia y amorosa, capaz de acoger la belleza del mundo y de compartir su fragilidad. En esta mirada se transparenta la mirada misma de Dios sobre los hombres que él ama y sobre la creación, obra de sus manos. En el Libro de la Sabiduría, leemos: «Te compadeces de todos, porque todo lo puedes, cierras los ojos a los pecados de los hombres, para que se arrepientan. Amas a todos los seres y no aborreces nada de lo que hiciste;… Tú eres indulgente con todas las cosas, porque son tuyas, Señor, amigo de la vida» (Sb 11,23-24.26).

Volvamos al texto del Evangelio de hoy y preguntémonos: ¿Qué late realmente en el corazón de los que aclaman a Cristo como Rey de Israel? Ciertamente tenían su idea del Mesías, una idea de cómo debía actuar el Rey prometido por los profetas y esperado por tanto tiempo. No es de extrañar que, pocos días después, la muchedumbre de Jerusalén, en vez de aclamar a Jesús, gritaran a Pilato: «¡Crucifícalo!». Y que los mismos discípulos, como también otros que le habían visto y oído, permanecieran mudos y desconcertados. En efecto, la mayor parte estaban desilusionados por el modo en que Jesús había decidido presentarse como Mesías y Rey de Israel. Este es precisamente el núcleo de la fiesta de hoy también para nosotros. ¿Quién es para nosotros Jesús de Nazaret? ¿Qué idea tenemos del Mesías, qué idea tenemos de Dios? Esta es una cuestión crucial que no podemos eludir, sobre todo en esta semana en la que estamos llamados a seguir a nuestro Rey, que elige como trono la cruz; estamos llamados a seguir a un Mesías que no nos asegura una felicidad terrena fácil, sino la felicidad del cielo, la eterna bienaventuranza de Dios. Ahora, hemos de preguntarnos: ¿Cuáles son nuestras verdaderas expectativas? ¿Cuáles son los deseos más profundos que nos han traído hoy aquí para celebrar el Domingo de Ramos e iniciar la Semana Santa?

Queridos jóvenes que os habéis reunido aquí. Esta es de modo particular vuestra Jornada en todo lugar del mundo donde la Iglesia está presente. Por eso os saludo con gran afecto. Que el Domingo de Ramos sea para vosotros el día de la decisión, la decisión de acoger al Señor y de seguirlo hasta el final, la decisión de hacer de su Pascua de muerte y resurrección el sentido mismo de vuestra vida de cristianos. Como he querido recordar en el mensaje a los jóvenes para esta Jornada – «alegraos siempre en el Señor» (Flp 4,4) –, esta es la decisión que conduce a la verdadera alegría, como sucedió con santa Clara de Asís que, hace ochocientos años, fascinada por el ejemplo de san Francisco y de sus primeros compañeros, dejó la casa paterna precisamente el Domingo de Ramos para consagrarse totalmente al Señor: tenía 18 años, y tuvo el valor de la fe y del amor de optar por Cristo, encontrando en él la alegría y la paz.

Queridos hermanos y hermanas, que reinen particularmente en este día dos sentimientos: la alabanza, como hicieron aquellos que acogieron a Jesús en Jerusalén con su «hosanna»; y el agradecimiento, porque en esta Semana Santa el Señor Jesús renovará el don más grande que se puede imaginar, nos entregará su vida, su cuerpo y su sangre, su amor. Pero a un don tan grande debemos corresponder de modo adecuado, o sea, con el don de nosotros mismos, de nuestro tiempo, de nuestra oración, de nuestro estar en comunión profunda de amor con Cristo que sufre, muere y resucita por nosotros. Los antiguos Padres de la Iglesia han visto un símbolo de todo esto en el gesto de la gente que seguía a Jesús en su ingreso a Jerusalén, el gesto de tender los mantos delante del Señor. Ante Cristo – decían los Padres –, debemos deponer nuestra vida, nuestra persona, en actitud de gratitud y adoración. En conclusión, escuchemos de nuevo la voz de uno de estos antiguos Padres, la de san Andrés, obispo de Creta: «Así es como nosotros deberíamos prosternarnos a los pies de Cristo, no poniendo bajo sus pies nuestras túnicas o unas ramas inertes, que muy pronto perderían su verdor, su fruto y su aspecto agradable, sino revistiéndonos de su gracia, es decir, de él mismo... Así debemos ponernos a sus pies como si fuéramos unas túnicas... Ofrezcamos ahora al vencedor de la muerte no ya ramas de palma, sino trofeos de victoria. Repitamos cada día aquella sagrada exclamación que los niños cantaban, mientras agitamos los ramos espirituales del alma: "Bendito el que viene, como rey, en nombre del Señor"» (PG 97, 994). Amén.

[00434-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos irmãos e irmãs!

O Domingo de Ramos é o grande portal de entrada na Semana Santa, a semana em que o Senhor Jesus caminha até ao ponto culminante da sua existência terrena. Ele sobe a Jerusalém para dar pleno cumprimento às Escrituras e ser pregado no lenho da cruz, o trono donde reinará para sempre, atraindo a Si a humanidade de todos os tempos e oferecendo a todos o dom da redenção. Sabemos, pelos Evangelhos, que Jesus Se encaminhara para Jerusalém juntamente com os Doze e que, pouco a pouco, se foi unindo a eles uma multidão cada vez maior de peregrinos. São Marcos refere que, já à saída de Jericó, havia uma «grande multidão» que seguia Jesus (cf. 10, 46).

Nesta última parte do percurso, tem lugar um acontecimento singular, que aumenta a expectativa sobre aquilo que está para suceder, fazendo com que a atenção geral se concentre ainda mais em Jesus. À saída de Jericó, na beira do caminho, está sentado pedindo esmola um cego, chamado Bartimeu. Quando ouve dizer que Jesus de Nazaré estava chegando, começa a gritar: «Jesus, Filho de David, tem piedade de mim!» (Mc 10, 47). Procuram silenciá-lo, mas sem sucesso; por fim Jesus manda-o chamar, convidando-o a aproximar-se. «O que queres que Eu te faça?» - pergunta-lhe. E ele: «Mestre, que eu veja!» (v. 51). Jesus responde: «Vai, a tua fé te curou». Bartimeu recuperou a vista e começou a seguir Jesus pela estrada (cf. v. 52). Depois deste sinal prodigioso precedido pela invocação «Filho de David», de improviso levanta-se um frêmito de esperança messiânica no meio da multidão, fazendo com que muitos se perguntassem: Poderia este Jesus, que caminhava à sua frente para Jerusalém, ser o Messias, o novo David? Porventura teria chegado, com esta sua entrada já iminente na cidade santa, o momento em que Deus iria finalmente restaurar o reino de David?

Também a preparação da entrada, combinada por Jesus com os seus discípulos, ajuda a aumentar esta esperança. Como ouvimos no Evangelho de hoje (cf. Mc 11,1-10), Jesus chega a Jerusalém vindo de Betfagé e do Monte das Oliveiras, isto é, seguindo a estrada por onde deveria vir o Messias. De Betfagé, Ele envia à sua frente dois discípulos, com a ordem de Lhe trazerem um jumentinho que encontrarão no caminho. De fato encontram o jumentinho, soltam-no e levam-no a Jesus. Naquele momento, o entusiasmo apodera-se dos discípulos e também dos outros peregrinos: pegam nos seus mantos e colocam-nos uns sobre o jumentinho e outros estendidos no caminho por onde Jesus passa montado no jumento. Depois cortam ramos das árvores e começam a apregoar expressões do Salmo 118, antigas palavras de bênção dos peregrinos que, naquele contexto, se tornam uma proclamação messiânica: «Hosana! Bendito o que vem em nome do Senhor! Bendito seja o reino que vem, o reino de nosso pai David! Hosana no mais alto dos céus!» (vv. 9-10). Esta aclamação festiva, transmitida pelos quatro evangelistas, é um brado de bênção, um hino de exultação: exprime a convicção unânime de que, em Jesus, Deus visitou o seu povo e que o Messias ansiado finalmente chegou. E todos permanecem lá, numa crescente expectativa da ação que Cristo realizará quando entrar na sua cidade.

Mas qual é o conteúdo, o sentido mais profundo deste grito de júbilo? A resposta é-nos dada pela Escritura no seu conjunto, quando nos lembra que no Messias se cumpre a promessa da bênção de Deus, a promessa feita por Deus originariamente a Abraão, o pai de todos os crentes: «Farei de ti um grande povo e te abençoarei (...). Em ti serão abençoadas todas as famílias da terra!» (Gn 12, 2-3). Trata-se de uma promessa que Israel mantivera sempre viva na oração, especialmente na oração dos Salmos. Por isso, Aquele que a multidão aclama como o Bendito é, ao mesmo tempo, Aquele em quem será abençoada a humanidade inteira. Assim, na luz de Cristo, a humanidade reconhece-se profundamente unida e, de certo modo, envolvida pelo manto da bênção divina, uma bênção que tudo permeia, tudo sustenta, tudo redime, tudo santifica.

E aqui podemos descobrir uma primeira grande incumbência que nos chega da festa de hoje: o convite a adotar a visão reta sobre a humanidade inteira, sobre os povos que formam o mundo, sobre suas diversas culturas e civilizações. A visão que o crente recebe de Cristo é um olhar de bênção: um olhar sapiencial e amoroso, capaz de captar a beleza do mundo e condoer-se da sua fragilidade. Nesta visão, manifesta-se o próprio olhar de Deus sobre os homens que Ele ama e sobre a criação, obra das suas mãos. Lemos no Livro da Sabedoria: «De todos tens compaixão, porque tudo podes, e fechas os olhos aos pecados dos mortais, para que se arrependam. Sim, amas tudo o que existe e não desprezas nada do que fizeste; (...) a todos, porém, tratas com bondade, porque tudo é teu, Senhor amigo da vida» (Sb 11, 23-24.26).

Voltando à passagem do Evangelho de hoje, perguntemo-nos: Que pensavam, realmente, em seus corações aqueles que aclamam Cristo como Rei de Israel? Certamente tinham a sua idéia própria do Messias, uma idéia do modo como devia agir o Rei prometido pelos profetas e há muito esperado. Não foi por acaso que a multidão em Jerusalém, poucos dias depois, em vez de aclamar Jesus, grita para Pilatos: «Crucifica-O!», enquanto os próprios discípulos e os outros que O tinham visto e ouvido ficam mudos e confusos. Na realidade, a maioria ficara desapontada com o modo escolhido por Jesus para Se apresentar como Messias e Rei de Israel. É precisamente aqui que se situa o ponto fulcral da festa de hoje, mesmo para nós. Para nós, quem é Jesus de Nazaré? Que idéia temos do Messias, que idéia temos de Deus? Esta é uma questão crucial, que não podemos evitar, até porque, precisamente nesta semana, somos chamados a seguir o nosso Rei que escolhe a cruz como trono; somos chamados a seguir um Messias que não nos garante uma felicidade terrena fácil, mas a felicidade do céu, a bem-aventurança de Deus. Por isso devemos perguntar-nos: Quais são as nossas reais expectativas? Quais são os desejos mais profundos que nos animaram a vir aqui, hoje, celebrar o Domingo de Ramos e iniciar a Semana Santa?

Queridos jovens, aqui reunidos! Em todos os lugares da terra onde a Igreja está presente, este Dia é especialmente dedicado a vós. Por isso, vos saúdo com muito carinho! Que o Domingo de Ramos possa ser para vós o dia da decisão: a decisão de acolher o Senhor e segui-Lo até ao fim, a decisão de fazer da sua Páscoa de morte e ressurreição o sentido da vossa vida de cristãos. Tal é a decisão que leva à verdadeira alegria, como quis recordar na Mensagem aos Jovens para este seu Dia - «Alegrai-vos sempre no Senhor» (Flp 4, 4) -, e como se vê na vida de Santa Clara de Assis, que há oitocentos anos – exatamente no Domingo de Ramos –, movida pelo exemplo de São Francisco e dos seus primeiros companheiros, deixou a casa paterna para consagrar-se totalmente ao Senhor: com dezoito anos, teve a coragem da fé e do amor para se decidir por Cristo, encontrando n’Ele a alegria e a paz.

Queridos irmãos e irmãs, dois sentimentos nos animem particularmente nestes dias: o louvor, como fizeram aqueles que acolheram Jesus em Jerusalém com o seu «Hosana»; e a gratidão, porque, nesta Semana Santa, o Senhor Jesus renovará o dom maior que se possa imaginar: dar-nos-á a sua vida, o seu corpo e o seu sangue, o seu amor. Mas um dom assim tão grande exige que o retribuamos adequadamente, ou seja, com o dom de nós mesmos, do nosso tempo, da nossa oração, do nosso viver em profunda comunhão de amor com Cristo que sofre, morre e ressuscita por nós. Os antigos Padres da Igreja viram um símbolo de tudo isso num gesto das pessoas que acompanhavam Jesus na sua entrada em Jerusalém: o gesto de estender os mantos diante do Senhor. O que devemos estender diante de Cristo – diziam os Padres - é a nossa vida, ou seja, a nós mesmos, em sinal de gratidão e adoração. Para concluir, escutemos o que diz um desses antigos Padres, Santo André, Bispo de Creta: «Em vez de mantos ou ramos sem vida, em vez de arbustos que alegram o olhar por pouco tempo, mas depressa perdem o seu vigor, prostremo-nos nós mesmos aos pés de Cristo, revestidos da sua graça, ou melhor, revestidos d’Ele mesmo (…); sejamos como mantos estendidos a seus pés (…), para oferecermos ao vencedor da morte não já ramos de palmeira, mas os troféus da sua vitória. Agitando os ramos espirituais da alma, aclamemo-Lo todos os dias, juntamente com as crianças, dizendo estas santas palavras: "Bendito o que vem em nome do Senhor, o Rei de Israel"» (PG 97, 994). Amém!

[00434-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Niedziela Palmowa jest ogromną bramą wprowadzającą nas w Wielki Tydzień, w którym Pan Jezus zdąża ku kulminacji swego życia ziemskiego. Wchodzi do Jerozolimy, aby doprowadzić do wypełnienia Pism i zostać przybitym do drzewa krzyża – tronu, z którego będzie królował na zawsze, przyciągając do siebie ludzkość wszystkich czasów i ofiarowując każdemu dar zbawienia. Wiemy z Ewangelii, że Jezus wyruszył do Jerozolimy wraz z Dwunastoma i że stopniowo dołączyła do nich rosnąca rzesza pielgrzymów. Święty Marek mówi nam, że już w chwili wyjścia z Jerycha był „spory tłum", który szedł za Jezusem (por. 10,46).

Na tym ostatnim odcinku drogi pojawia się szczególne wydarzenie, wzmagające oczekiwanie tego, co ma się wydarzyć i sprawia, że uwaga jeszcze bardziej koncentruje się na Jezusie. Przy drodze, u wyjścia z Jerycha, siedział żebrząc niewidomy imieniem Bartymeusz. Zaledwie usłyszał, że zbliża się Jezus z Nazaretu, zaczął krzyczeć: „Jezusie, Synu Dawida, ulituj się nade mną!" (Mk 10,47). Wielu starało się go uciszyć, ale nieskutecznie, aż Jezus każe go zawołać i zaprasza, aby się zbliżył. Pyta go: „Co chcesz, abym ci uczynił?". A on na to: „Rabbuni, żebym przejrzał!". Jezus mu odpowiedział: „Idź, twoja wiara cię uzdrowiła". Bartymeusz odzyskał wzrok i zaczął iść drogą za Jezusem (por. w. 52). I oto właśnie po tym cudownym znaku, któremu towarzyszy zawołanie: „Synu Dawida", przez tłum przechodzi dreszczyk mesjańskiej nadziei, rodzący w wielu pytanie: czy ten Jezus, który przed nimi idzie do Jerozolimy, jest być może Mesjaszem, nowym Dawidem? Czy z bliskim już Jego wkroczeniem do Miasta Świętego nadszedł już być może czas, kiedy Bóg ostatecznie przywróci królestwo Dawidowe?

Do wzrostu tej nadziei przyczynia się także przygotowanie wjazdu, które Jezus podejmuje wraz ze swymi uczniami. Jak słyszeliśmy w dzisiejszej Ewangelii (por. Mk 11,1-10), Jezus przybywa do Jerozolimy z Betfage i Góry Oliwnej, to znaczy drogą, którą powinien przybyć Mesjasz. Stamtąd wysyła przed sobą dwóch uczniów, nakazując im, aby mu przyprowadzili źrebię oślicy, które znajdą przy drodze. Rzeczywiście znajdują osiołka, odwiązują go i przyprowadzają do Jezusa. W tym momencie nastroje uczniów, a także innych pielgrzymów przepełnione są entuzjazmem: biorą swoje płaszcze i umieszczają je na osiołku; inni rozpościerają je na drodze przed Jezusem, który jedzie na grzbiecie osiołka. Następnie ucinają gałęzie z drzew i zaczynają wykrzykiwać słowa Psalmu 118, starożytne słowa błogosławieństwa pielgrzymów, które stają się w tym kontekście proklamacją mesjańską: „Hosanna! Błogosławiony Ten, który przychodzi w imię Pańskie. Błogosławione królestwo ojca naszego Dawida, które przychodzi. Hosanna na wysokościach!" (ww. 9-10). Ta świąteczna aklamacja, przekazana przez wszystkich czterech Ewangelistów, jest hymnem błogosławieństwa, hymnem radości: wyraża jednomyślne przekonanie, że w Jezusie Bóg nawiedził swój lud i że wreszcie nadszedł upragniony Mesjasz. Wszyscy są tam, z rosnącym oczekiwaniem na dzieło, którego dokona Chrystus, kiedy wkroczy do swojego miasta.

Jaka jest treść, najgłębszy oddźwięk tego okrzyku radości? Odpowiedź przychodzi z całego Pisma Świętego, które nam przypomina, że Mesjasz wypełnia obietnicę Bożego błogosławieństwa, pierwotną obietnicę, którą Bóg dał Abrahamowi, ojcu wszystkich wierzących: „Uczynię bowiem z ciebie wielki naród, będę ci błogosławił (...). Przez ciebie będą otrzymywały błogosławieństwo ludy całej ziemi" (Rdz 12,2-3). Jest to obietnica, która była zawsze żywa w modlitwie Izraela, a zwłaszcza w modlitwie Psalmami. Z tego względu Ten, który przez tłum jest okrzyknięty błogosławionym, jest równocześnie Tym, w którym zostanie pobłogosławiona cała ludzkość. W ten sposób w świetle Chrystusa ludzkość rozpoznaje, że jest głęboko zjednoczona i jakby osłonięta płaszczem Bożego błogosławieństwa, błogosławieństwa, które przenika wszystko, wszystko podtrzymuje, wszystko zbawia, wszystko uświęca.

Możemy tu odkryć pierwsze wielkie przesłanie, jakie kieruje do nas dzisiejsza uroczystość: zachętę do podjęcia właściwego spojrzenia na całą ludzkość, na ludzi tworzących świat, na różne kultury i cywilizacje. Spojrzenie, którym człowieka wierzącego obdarza Chrystus jest spojrzeniem błogosławieństwa: spojrzeniem mądrym i kochającym, zdolnym do uchwycenia piękna świata i do współczucia dla jego kruchości. W spojrzeniu tym ukazuje się spojrzenie samego Boga na ludzi, których On kocha i na stworzenie, dzieło Jego rąk. Czytamy w Księdze Mądrości: „Nad wszystkim masz litość, bo wszystko w Twej mocy, i oczy zamykasz na grzechy ludzi, by się nawrócili. Miłujesz bowiem wszystkie stworzenia, niczym się nie brzydzisz, co uczyniłeś (...). Oszczędzasz wszystko, bo to wszystko Twoje, Panie, miłośniku życia!" (Mdr 11,23-24.26).

Powróćmy do fragmentu dzisiejszej Ewangelii i zapytajmy: co jest naprawdę w sercach tych, którzy obwołują Chrystusa Królem Izraela? Z pewnością mieli swoją ideę Mesjasza, ideę tego, jak powinien postępować obiecany przez proroków i długo oczekiwany król. Nie jest przypadkiem, że kilka dni później tłum w Jerozolimie, zamiast wyrażać podziw dla Jezusa będzie wołać do Piłata: „Ukrzyżuj Go!". A sami uczniowie, podobnie jak zresztą inni, którzy go widzieli i słuchali, zaniemówią i znikną. Większość była w istocie rozczarowana sposobem, w jaki Jezus postanowił przedstawić siebie jako Mesjasza i Króla Izraela. Właśnie tu leży sedno dzisiejszego święta, także dla nas. Kim jest dla nas Jezus z Nazaretu? Jaką mamy ideę Mesjasza, jaką ideę Boga? Jest to kluczowa kwestia, od której nie możemy uciec, tym bardziej, że właśnie w tym tygodniu jesteśmy wezwani, by iść za naszym Królem, który wybiera krzyż jako tron. Jesteśmy wezwani do naśladowania Mesjasza, który nie zapewnia nam łatwego ziemskiego szczęścia, ale szczęście nieba, błogosławieństwo Boga. Musimy więc zadać sobie pytanie: jakie są nasze prawdziwe oczekiwania? Jakie są nasze najgłębsze pragnienia, z którymi przybyliśmy tu dzisiaj, aby świętować Niedzielę Palmową i rozpocząć Wielki Tydzień?

Drodzy młodzi tu zgromadzeni! Dzisiejszy dzień w sposób szczególny jest wasz, gdziekolwiek na świecie obecny jest Kościół. Z tego względu pozdrawiam was z wielką miłością! Niech Niedziela Palmowa będzie dla was dniem decyzji, decyzji przyjęcia Pana i pójścia za Nim aż do końca, decyzji, by uczynić z Jego męki, śmierci i zmartwychwstania sens waszego chrześcijańskiego życia. Jest to decyzja, która prowadzi do prawdziwej radości, jak przypomniałem w Orędziu do młodych wystosowanym na ten dzień: „Radujcie się zawsze w Panu!" (Flp 4,4). Stało się tak w życiu Klary z Asyżu. Przed ośmiuset laty pociągnięta przykładem św. Franciszka i jego pierwszych towarzyszy, właśnie w Niedzielę Palmową opuściła dom rodzinny, aby całkowicie poświęcić się Panu: miała osiemnaście lat oraz odwagę wiary i miłości, aby wybrać Chrystusa, znajdując w Nim radość i pokój.

Drodzy bracia i siostry, niech w tych dniach towarzyszą nam szczególnie dwa uczucia: uwielbienia, podobnie jak to czynili mieszkańcy Jerozolimy wznosząc okrzyk „Hosanna" i wdzięczności, aby w tym Wielkim Tygodniu Pan Jezus odnowił największy dar, jaki można sobie wyobrazić: da nam swoje życie, swoje Ciało i Krew, swoją miłość. Lecz na tak wielki dar musimy stosownie odpowiedzieć, to znaczy darem z samych siebie, z naszego czasu, z naszej modlitwy, z naszego życia w głębokiej komunii miłości z Chrystusem, który dla nas cierpiał, umarł i zmartwychwstał. Starożytni Ojcowie Kościoła symbol tego wszystkiego widzieli w geście ludzi, którzy szli za Jezusem podczas Jego wejścia do Jerozolimy, geście rozpostarcia swych płaszczy przed Panem. Przed Chrystusem – mawiali Ojcowie - musimy rozpościerać nasze życie, nasze osoby, w postawie wdzięczności i uwielbienia. Na zakończenie posłuchajmy głosu jednego z tych starożytnych Ojców, św. Andrzeja, biskupa Krety: „Siebie samych ścielmy przed Chrystusem, a nie tuniki, martwe gałęzie i łodygi krzewów tracących zieleń, gdy staną się pokarmem, i przez krótki tylko czas radujących oczy. Obleczmy się natomiast w Jego łaskę, czyli w Niego samego... Kładźmy się pod Jego nogi jak rozścielone tuniki... ofiarujmy Zwycięzcy śmierci już nie gałązki palmowe, ale wieńce naszego zwycięstwa. Wysławiajmy Go w każdy dzień świętą pieśnią razem z izraelskimi dziećmi, potrząsając duchowymi gałązkami i mówiąc: «Błogosławiony, który przychodzi w imię Pańskie»" (PG 97, 994). Amen!

[00434-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0192-XX.02]