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SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI NELLA SOLENNITÀ DELLA CATTEDRA DI SAN PIETRO APOSTOLO, 19.02.2012


Alle ore 9.30 di oggi, Solennità della Cattedra di San Pietro, Apostolo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la concelebrazione eucaristica con i nuovi 22 Cardinali creati nel Concistoro di ieri.
All’inizio della Santa Messa l’Em.mo Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, primo tra i nuovi Cardinali, rivolge al Papa un indirizzo di saluto e gratitudine, a nome di tutti i Porporati.
Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Santo Padre tiene dopo la proclamazione del Santo Vangelo, e l’indirizzo di omaggio del Card. Filoni:

OMELIA DEL SANTO PADRE

 TESTO IN LINGUA ITALIANA

 TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

 TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

 TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

 TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

 TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

 TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

 TESTO IN LINGUA ITALIANA

Signori Cardinali,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

Nella solennità della Cattedra di san Pietro Apostolo, abbiamo la gioia di radunarci intorno all’Altare del Signore insieme con i nuovi Cardinali, che ieri ho aggregato al Collegio Cardinalizio. Ad essi, innanzitutto, rivolgo il mio cordiale saluto, ringraziando il Cardinale Fernando Filoni per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti. Estendo il mio saluto agli altri Porporati e a tutti Presuli presenti, come pure alle distinte Autorità, ai Signori Ambasciatori, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, venuti da varie parti del mondo per questa lieta circostanza, che riveste uno speciale carattere di universalità.

Nella seconda Lettura poc’anzi proclamata, l’Apostolo Pietro esorta i "presbiteri" della Chiesa ad essere pastori zelanti e premurosi del gregge di Cristo (cfr 1 Pt 5,1-2). Queste parole sono anzitutto rivolte a voi, cari e venerati Fratelli, che già avete molti meriti presso il Popolo di Dio per la vostra generosa e sapiente opera svolta nel Ministero pastorale in impegnative Diocesi, o nella direzione dei Dicasteri della Curia Romana, o nel servizio ecclesiale dello studio e dell’insegnamento. La nuova dignità che vi è stata conferita vuole manifestare l’apprezzamento per il vostro fedele lavoro nella vigna del Signore, rendere onore alle Comunità e alle Nazioni da cui provenite e di cui siete degni rappresentanti nella Chiesa, investirvi di nuove e più importanti responsabilità ecclesiali, ed infine chiedervi un supplemento di disponibilità per Cristo e per l’intera Comunità cristiana. Questa disponibilità al servizio del Vangelo è saldamente fondata sulla certezza della fede. Sappiamo infatti che Dio è fedele alle sue promesse ed attendiamo nella speranza la realizzazione di queste parole dell’apostolo Pietro: "E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce" (1 Pt 5,4).

Il brano evangelico odierno presenta Pietro che, mosso da un’ispirazione divina, esprime la propria salda fede in Gesù, il Figlio di Dio ed il Messia promesso. In risposta a questa limpida professione di fede, fatta da Pietro anche a nome degli altri Apostoli, Cristo gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la "pietra", la "roccia", il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Tale denominazione di "roccia-pietra" non fa riferimento al carattere della persona, ma va compresa solo a partire da un aspetto più profondo, dal mistero: attraverso l’incarico che Gesù gli conferisce, Simon Pietro diventerà ciò che egli non è attraverso «la carne e il sangue». L’esegeta Joachim Jeremias ha mostrato che sullo sfondo è presente il linguaggio simbolico della «roccia santa». Al riguardo può aiutarci un testo rabbinico in cui si afferma: «Il Signore disse: "Come posso creare il mondo, quando sorgeranno questi senza-Dio e mi si rivolteranno contro?". Ma quando Dio vide che doveva nascere Abramo, disse: "Guarda, ho trovato una roccia, sulla quale posso costruire e fondare il mondo". Perciò egli chiamò Abramo una roccia». Il profeta Isaia vi fa riferimento quando ricorda al popolo «guardate alla roccia da cui siete stati tagliati… ad Abramo vostro padre» (51,1-2). Abramo, il padre dei credenti, con la sua fede viene visto come la roccia che sostiene la creazione. Simone, che per primo ha confessato Gesù come il Cristo ed è stato il primo testimone della risurrezione, diventa ora, con la sua fede rinnovata, la roccia che si oppone alle forze distruttive del male.

Cari fratelli e sorelle! Questo episodio evangelico che abbiamo ascoltato trova una ulteriore e più eloquente spiegazione in un conosciutissimo elemento artistico che impreziosisce questa Basilica Vaticana: l’altare della Cattedra. Quando si percorre la grandiosa navata centrale e, oltrepassato il transetto, si giunge all’abside, ci si trova davanti a un enorme trono di bronzo, che sembra librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro statue di grandi Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente. E sopra il trono, circondata da un trionfo di angeli sospesi nell’aria, risplende nella finestra ovale la gloria dello Spirito Santo. Che cosa ci dice questo complesso scultoreo, dovuto al genio del Bernini? Esso rappresenta una visione dell’essenza della Chiesa e, all’interno di essa, del magistero petrino.

La finestra dell’abside apre la Chiesa verso l’esterno, verso l’intera creazione, mentre l’immagine della colomba dello Spirito Santo mostra Dio come la fonte della luce. Ma c’è anche un altro aspetto da evidenziare: la Chiesa stessa è, infatti, come una finestra, il luogo in cui Dio si fa vicino, si fa incontro al nostro mondo. La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la "A" maiuscola - da cui proviene e a cui conduce. La Chiesa è il luogo dove Dio "arriva" a noi, e dove noi "partiamo" verso di Lui; essa ha il compito di aprire oltre se stesso quel mondo che tende a chiudersi in se stesso e portargli la luce che viene dall’alto, senza la quale diventerebbe inabitabile.

La grande cattedra di bronzo racchiude un seggio ligneo del IX secolo, che fu a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e fu collocato proprio su questo altare monumentale a motivo del suo alto valore simbolico. Esso, infatti, esprime la presenza permanente dell’Apostolo nel magistero dei suoi successori. Il seggio di san Pietro, possiamo dire, è il trono della verità, che trae origine dal mandato di Cristo dopo la confessione a Cesarea di Filippo. Il seggio magisteriale rinnova in noi anche la memoria delle parole rivolte dal Signore a Pietro nel Cenacolo: "Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32).

La cattedra di Pietro evoca un altro ricordo: la celebre espressione di sant’Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani chiama la Chiesa di Roma "quella che presiede nella carità" (Inscr.: PG 5, 801). In effetti, il presiedere nella fede è inscindibilmente legato al presiedere nell’amore. Una fede senza amore non sarebbe più un’autentica fede cristiana. Ma le parole di sant’Ignazio hanno anche un altro risvolto, molto più concreto: il termine "carità", infatti, veniva utilizzato dalla Chiesa delle origini per indicare anche l’Eucaristia. L’Eucaristia, infatti, è Sacramentum caritatis Christi, mediante il quale Egli continua ad attirarci tutti a sé, come fece dall’alto della croce (cfr Gv 12,32). Pertanto, "presiedere nella carità" significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze. Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo. E l’Eucaristia è forma e misura di questa comunione, e garanzia che essa si mantenga fedele al criterio della tradizione della fede.

La grande Cattedra è sostenuta dai Padri della Chiesa. I due maestri dell’Oriente, san Giovanni Crisostomo e sant’Atanasio, insieme con i latini, sant’Ambrogio e sant’Agostino, rappresentano la totalità della tradizione e, quindi, la ricchezza dell’espressione della vera feden nella santa e unica Chiesa. Questo elemento dell’altare ci dice che l’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola se l’uomo non confida più in Dio e non obbedisce a Lui. Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità. Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere. I Padri della Chiesa hanno nella comunità ecclesiale la funzione di garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Essi assicurano un’esegesi affidabile, solida, capace di formare con la Cattedra di Pietro un complesso stabile e unitario. Le Sacre Scritture, interpretate autorevolmente dal Magistero alla luce dei Padri, illuminano il cammino della Chiesa nel tempo, assicurandole un fondamento stabile in mezzo ai mutamenti storici.

Dopo aver considerato i diversi elementi dell’altare della Cattedra, rivolgiamo ad esso uno sguardo d’insieme. E vediamo che è attraversato da un duplice movimento: di ascesa e di discesa. E’ la reciprocità tra la fede e l’amore. La Cattedra è posta in grande risalto in questo luogo, poiché qui vi è la tomba dell’apostolo Pietro, ma anch’essa tende verso l’amore di Dio. In effetti, la fede è orientata all’amore. Una fede egoistica sarebbe una fede non vera. Chi crede in Gesù Cristo ed entra nel dinamismo d’amore che nell’Eucaristia trova la sorgente, scopre la vera gioia e diventa a sua volta capace di vivere secondo la logica di questo dono. La vera fede è illuminata dall’amore e conduce all’amore, verso l’alto, come l’altare della Cattedra eleva verso la finestra luminosa, la gloria dello Spirito Santo, che costituisce il vero punto focale per lo sguardo del pellegrino quando varca la soglia della Basilica Vaticana. A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio. Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso.

Cari fratelli e sorelle, a noi, ad ogni cristiano è affidato il dono di questo amore: un dono da donare, con la testimonianza della nostra vita. Questo è, in particolare, il vostro compito, venerati Fratelli Cardinali: testimoniare la gioia dell’amore di Cristo. Alla Vergine Maria, presente nella Comunità apostolica riunita in preghiera in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,14), affidiamo ora il vostro nuovo servizio ecclesiale. Ella, Madre del Verbo Incarnato, protegga il cammino della Chiesa, sostenga con la sua intercessione l’opera dei Pastori ed accolga sotto il suo manto l’intero Collegio cardinalizio. Amen!

[00236-01.01] [Testo originale: Italiano]

 TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Cardinals,

Brother Bishops and Priests,

Dear Brothers and Sisters,

On this solemnity of the Chair of Saint Peter, we have the joy of gathering around the altar of the Lord together with the new Cardinals whom yesterday I incorporated into the College of Cardinals. It is to them, first of all, that I offer my cordial greetings and I thank Cardinal Fernando Filoni for the gracious words he has addressed to me in the name of all. I extend my greetings to the other Cardinals and all the Bishops present, as well as to the distinguished authorities, ambassadors, priests, religious and all the faithful who have come from different parts of the world for this happy occasion, which is marked by a particular character of universality.

In the second reading that we have just heard, Saint Peter exhorts the "elders" of the Church to be zealous pastors, attentive to the flock of Christ (cf. 1 Pet 5:1-2). These words are addressed in the first instance to you, my dear venerable brothers, who have already shown great merit among the people of God through your wise and generous pastoral ministry in demanding dioceses, or through presiding over the Dicasteries of the Roman Curia, or in your service to the Church through study and teaching. The new dignity that has been conferred upon you is intended to show appreciation for the faithful labour you have carried out in the Lord’s vineyard, to honour the communities and nations from which you come and which you represent so worthily in the Church, to invest you with new and more important ecclesial responsibilities and finally to ask of you an additional readiness to be of service to Christ and to the entire Christian community. This readiness to serve the Gospel is firmly founded upon the certitude of faith. We know that God is faithful to his promises and we await in hope the fulfilment of these words of Saint Peter: "And when the chief shepherd is manifested you will obtain the unfading crown of glory" (1 Pet 5:4).

Today’s Gospel passage presents Peter, under divine inspiration, expressing his own firm faith in Jesus as the Son of God and the promised Messiah. In response to this transparent profession of faith, which Peter makes in the name of the other Apostles as well, Christ reveals to him the mission he intends to entrust to him, namely that of being the "rock", the visible foundation on which the entire spiritual edifice of the Church is built (cf. Mt 16:16-19). This new name of "rock" is not a reference to Peter’s personal character, but can be understood only on the basis of a deeper aspect, a mystery: through the office that Jesus confers upon him, Simon Peter will become something that, in terms of "flesh and blood", he is not. The exegete Joachim Jeremias has shown that in the background, the symbolic language of "holy rock" is present. In this regard, it is helpful to consider a rabbinic text which states: "The Lord said, ‘How can I create the world, when these godless men will rise up in revolt against me?’ But when God saw that Abraham was to be born, he said, ‘Look, I have found a rock on which I can build and establish the world.’ Therefore he called Abraham a rock." The prophet Isaiah makes reference to this when he calls upon the people to "look to the rock from which you were hewn ... look to Abraham your father" (51:1-2). On account of his faith, Abraham, the father of believers, is seen as the rock that supports creation. Simon, the first to profess faith in Jesus as the Christ and the first witness of the resurrection, now, on the basis of his renewed faith, becomes the rock that is to prevail against the destructive forces of evil.

Dear brothers and sisters, this Gospel episode that has been proclaimed to us finds a further and more eloquent explanation in one of the most famous artistic treasures of this Vatican Basilica: the altar of the Chair. After passing through the magnificent central nave, and continuing past the transepts, the pilgrim arrives in the apse and sees before him an enormous bronze throne that seems to hover in mid air, but in reality is supported by the four statues of great Fathers of the Church from East and West. And above the throne, surrounded by triumphant angels suspended in the air, the glory of the Holy Spirit shines through the oval window. What does this sculptural composition say to us, this product of Bernini’s genius? It represents a vision of the essence of the Church and the place within the Church of the Petrine Magisterium.

The window of the apse opens the Church towards the outside, towards the whole of creation, while the image of the Holy Spirit in the form of a dove shows God as the source of light. But there is also another aspect to point out: the Church herself is like a window, the place where God draws near to us, where he comes towards our world. The Church does not exist for her own sake, she is not the point of arrival, but she has to point upwards, beyond herself, to the realms above. The Church is truly herself to the extent that she allows the Other, with a capital "O", to shine through her – the One from whom she comes and to whom she leads. The Church is the place where God "reaches" us and where we "set off" towards him: she has the task of opening up, beyond itself, a world which tends to become enclosed within itself, the task of bringing to the world the light that comes from above, without which it would be uninhabitable.

The great bronze throne encloses a wooden chair from the ninth century, which was long thought to be Saint Peter’s own chair and was placed above this monumental altar because of its great symbolic value. It expresses the permanent presence of the Apostle in the Magisterium of his successors. Saint Peter’s chair, we could say, is the throne of truth which takes its origin from Christ’s commission after the confession at Caesarea Philippi. The magisterial chair also reminds us of the words spoken to Peter by the Lord during the Last Supper: "I have prayed for you that your faith may not fail; and when you have turned again, strengthen your brethren" (Lk 22:32).

The chair of Peter evokes another memory: the famous expression from Saint Ignatius of Antioch’s letter to the Romans, where he says of the Church of Rome that she "presides in charity" (Salutation, PG 5, 801). In truth, presiding in faith is inseparably linked to presiding in love. Faith without love would no longer be an authentic Christian faith. But the words of Saint Ignatius have another much more concrete implication: the word "charity", in fact, was also used by the early Church to indicate the Eucharist. The Eucharist is the Sacramentum caritatis Christi, through which Christ continues to draw us all to himself, as he did when raised up on the Cross (cf. Jn 12:32). Therefore, to "preside in charity" is to draw men and women into a eucharistic embrace – the embrace of Christ – which surpasses every barrier and every division, creating communion from all manner of differences. The Petrine ministry is therefore a primacy of love in the eucharistic sense, that is to say solicitude for the universal communion of the Church in Christ. And the Eucharist is the shape and the measure of this communion, a guarantee that it will remain faithful to the criterion of the tradition of the faith.

The great Chair is supported by the Fathers of the Church. The two Eastern masters, Saint John Chrysostom and Saint Athanasius, together with the Latins, Saint Ambrose and Saint Augustine, represent the whole of the tradition, and hence the richness of expression of the true faith of the holy and one Church. This aspect of the altar teaches us that love rests upon faith. Love collapses if man no longer trusts in God and disobeys him. Everything in the Church rests upon faith: the sacraments, the liturgy, evangelization, charity. Likewise the law and the Church’s authority rest upon faith. The Church is not self-regulating, she does not determine her own structure but receives it from the word of God, to which she listens in faith as she seeks to understand it and to live it. Within the ecclesial community, the Fathers of the Church fulfil the function of guaranteeing fidelity to sacred Scripture. They ensure that the Church receives reliable and solid exegesis, capable of forming with the Chair of Peter a stable and consistent whole. The sacred Scriptures, authoritatively interpreted by the Magisterium in the light of the Fathers, shed light upon the Church’s journey through time, providing her with a stable foundation amid the vicissitudes of history.

After considering the various elements of the altar of the Chair, let us take a look at it in its entirety. We see that it is characterized by a twofold movement: ascending and descending. This is the reciprocity between faith and love. The Chair is placed in a prominent position in this place, because this is where Saint Peter’s tomb is located, but this too tends towards the love of God. Indeed, faith is oriented towards love. A selfish faith would be an unreal faith. Whoever believes in Jesus Christ and enters into the dynamic of love that finds its source in the Eucharist, discovers true joy and becomes capable in turn of living according to the logic of this gift. True faith is illumined by love and leads towards love, leads on high, just as the altar of the Chair points upwards towards the luminous window, the glory of the Holy Spirit, which constitutes the true focus for the pilgrim’s gaze as he crosses the threshold of the Vatican Basilica. That window is given great prominence by the triumphant angels and the great golden rays, with a sense of overflowing fulness that expresses the richness of communion with God. God is not isolation, but glorious and joyful love, spreading outwards and radiant with light.

Dear brothers and sisters, the gift of this love has been entrusted to us, to every Christian. It is a gift to be passed on to others, through the witness of our lives. This is your task in particular, dear brother Cardinals: to bear witness to the joy of Christ’s love. We now entrust your ecclesial service to the Virgin Mary, who was present among the apostolic community as they gathered in prayer, waiting for the Holy Spirit (cf. Acts 1:14). May she, Mother of the Incarnate Word, protect the Church’s path, support the work of the pastors by her intercession and take under her mantle the entire College of Cardinals. Amen!

[00236-02.01] [Original text: Italian]

 TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Messieurs les Cardinaux,

Vénérés frères dans l’Épiscopat et dans le Sacerdoce,

Chers frères et sœurs !

En la solennité de la Chaire de Saint Pierre Apôtre, nous avons la joie de nous rassembler autour de l’Autel du Seigneur avec les nouveaux Cardinaux, qu’hier j’ai agrégés au Collège cardinalice. C’est à eux avant tout que j’adresse mon cordial salut, remerciant le Cardinal Fernando Filoni pour les paroles courtoises qu’il m’a adressées au nom de tous. J’étends ma salutation aux autres Cardinaux et à tous les Prélats présents, ainsi qu’aux Autorités, à Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, aux prêtres, aux religieux et à tous les fidèles, venus des différentes parties du monde pour cette heureuse circonstance, qui revêt un caractère particulier d’universalité.

Dans la seconde lecture proclamée il y a quelques instants, l’Apôtre Pierre exhorte les « Anciens» de l’Église à être des pasteurs zélés et prévenants du troupeau du Christ (cf. 1 Pt 5, 1-2). Ces paroles sont avant tout adressées à vous, chers et vénérés Frères, qui avez déjà de nombreux mérites auprès du Peuple de Dieu pour l’œuvre généreuse et sage menée dans le Ministère pastoral dans des Diocèses importants, dans la direction des Dicastères de la Curie Romaine, ou encore dans le service ecclésial de l’étude et de l’enseignement. La nouvelle dignité qui vous a été conférée veut manifester l’estime pour votre fidèle travail dans la vigne du Seigneur, rendre honneur aux Communautés et aux Nations d’où vous venez et dont vous êtes de dignes représentants dans l’Église, vous investir de nouvelles et plus importantes responsabilités ecclésiales, et enfin vous demander un supplément de disponibilité pour le Christ et pour la Communauté chrétienne tout entière. Cette disponibilité au service de l’Évangile est solidement fondée sur la certitude de la foi. Nous savons en effet que Dieu est fidèle à ses promesses et nous attendons dans l’espérance la réalisation de ces paroles de l’apôtre Pierre : « Et quand se manifestera le berger suprême, vous remporterez la couronne de gloire qui ne se flétrit pas » (1 Pt 5, 4).

Le passage évangélique d’aujourd’hui présente Pierre qui, mû par une inspiration divine, exprime sa foi solide en Jésus, le Fils de Dieu et le Messie promis. En réponse à cette profession de foi limpide, faite par Pierre mais aussi au nom des autres Apôtres, le Christ lui révèle la mission qu’il entend lui confier, autrement dit celle d’être la « pierre », le « rocher », le fondement visible sur lequel est construit tout l’édifice spirituel de l’Église. (cf. Mt 16,16-19). Cette dénomination de « rocher-pierre » ne fait pas référence au caractère de la personne, mais doit être comprise seulement à partir d’un aspect plus profond, du mystère : à travers la charge que Jésus lui confère, Simon-Pierre deviendra ce qu’il n’est pas par « la chair et le sang ». L’exégète Joachim Jeremias a montré qu’en arrière-plan se trouve le langage symbolique du « rocher saint ». A cet égard peut nous venir en aide un texte rabbinique dans lequel on affirme : « Le Seigneur dit ‘ Comment puis-je créer le monde, quand surgiront ces sans-Dieu et qu’ils se révolteront contre moi ?’. Mais quand Dieu vit qu’Abraham devait naître, il dit : ‘Regarde, j’ai trouvé un roc, sur lequel je peux construire et fonder le monde’. C’est pourquoi il appela Abraham un rocher ». Le prophète Isaïe y fait référence quand il rappelle au peuple « regardez le rocher d’où l’on vous a taillés… Abraham votre père » (51, 1-2). Abraham, le père des croyants, avec sa foi est vu comme le roc qui soutient la création. Simon, qui le premier a confessé Jésus en tant que Christ et a été le premier témoin de la résurrection, devient maintenant avec sa foi renouvelée, le roc qui s’oppose aux forces destructrices du mal.

Chers frères et sœurs ! Cet épisode évangélique que vous avons écouté trouve une explication autre et plus éloquente encore dans un élément artistique très connu qui orne cette Basilique Vaticane : l’autel de la Cathèdre. Quand on parcourt la grandiose nef centrale et, dépassant le transept, on arrive à l’abside, on se trouve devant un énorme trône de bronze, qui semble élevé dans les airs, mais qui en réalité est soutenu par les quatre statues des illustres Pères de l’Église d’Orient et d’Occident. Et au-dessus du trône, entourée par un triomphe d’anges suspendus dans les airs, resplendit dans la fenêtre ovale la gloire de l’Esprit-Saint. Que nous dit cet ensemble sculpté, dû au génie du Bernin ? Il représente une vision de l’essence de l’Église et, à l’intérieur de celle-ci, du magistère pétrinien.

La fenêtre de l’abside ouvre l’Église sur l’extérieur, vers la création tout entière, tandis que l’image de la colombe de l’Esprit-Saint montre Dieu comme la source de la lumière. Mais il y a encore un autre aspect à mettre en valeur : l’Église elle-même est en effet, comme une fenêtre, le lieu dans lequel Dieu se fait proche et va à la rencontre de notre monde. L’Église n’existe pas pour elle-même, elle n’est pas un point d’arrivée, mais elle doit renvoyer au-delà d’elle-même, vers le haut, au-dessus de nous. L’Église est vraiment elle-même dans la mesure où elle laisse transparaître l’Autre – avec un « A » majuscule – de qui elle provient et à qui elle conduit. L’Église est le lieu où Dieu « arrive » à nous, et où nous, nous « partons » vers Lui ; elle a le devoir d’ouvrir au-delà d’elle-même ce monde qui tend à se fermer sur lui-même et de lui porter la lumière qui vient d’en-haut, sans laquelle il deviendrait inhabitable.

La grande chaire de bronze renferme un siège en bois du IXè siècle, qui fut longtemps considéré comme la cathèdre de l’apôtre Pierre et fut justement placé sur cet autel monumental en raison de sa grande valeur symbolique. Il exprime en effet la présence permanente de l’Apôtre dans le magistère de ses successeurs. Le siège de saint Pierre, peut-on dire, est le trône de la Vérité, qui tire ses origines du mandat du Christ après la confession à Césarée de Philippe. Le siège magistériel renouvelle aussi en nous la mémoire des paroles adressées par le Seigneur à Pierre au Cénacle : « Moi j’ai prié pour toi, afin que ta foi ne défaille pas. Toi donc, quand tu seras revenu, affermis tes frères » (Lc 22, 32).

La chaire de Pierre évoque un autre souvenir : la célèbre expression de saint Ignace d’Antioche, qui dans sa lettre aux Romains appelle l’Église de Rome «  celle qui préside à la charité » (Inscr. : PG 5, 801). En effet le fait de présider dans la foi est inséparablement lié au fait de présider dans l’amour. Une foi sans amour ne serait plus une authentique foi chrétienne. Mais les paroles de saint Ignace ont encore une autre résonnance beaucoup plus concrète : le mot « charité » était aussi utilisé par l’Église des origines pour parler de l’Eucharistie. En effet, l’Eucharistie est Sacramentum caritatis Christi, par lequel Celui-ci continue à nous attirer tous à Lui, comme Il le fit du haut de la croix (cf. Jn 12, 32). Par conséquent, « présider à la charité » signifie attirer les hommes dans une étreinte eucharistique - l’étreinte du Christ -, qui vainc toute barrière et tout manque de relation, et crée la communion à partir des différences multiples. Le ministère pétrinien est donc primauté dans l’amour au sens eucharistique, autrement dit sollicitude pour la communion universelle de l’Église dans le Christ. L’Eucharistie est la forme et la mesure de cette communion et la garantie qu’elle demeure fidèle au critère de la tradition de la foi.

La grande chaire est soutenue par les Pères de l’Église. Les deux maîtres de l’Orient, saint Jean Chrysostome et saint Athanase, avec les latins, saint Ambroise et saint Augustin, représentent l’ensemble de la tradition et donc la richesse de l’expression de la vraie foi dans l’Église unique et sainte. Cet élément de l’autel nous dit que l’amour s’appuie sur la foi. Il s’effrite si l’homme ne compte plus sur Dieu ni ne Lui obéit plus. Tout dans l’Église repose sur la foi : les sacrements, la liturgie, l’évangélisation, la charité. Même le droit, même l’autorité dans l’Église reposent sur la foi. L’Église ne s’auto-régule pas, elle ne se donne pas à elle-même son ordre propre, mais elle le reçoit de la Parole de Dieu, qu’elle écoute dans la foi et qu’elle cherche à comprendre et à vivre. Les Pères de l’Église ont dans la communauté ecclésiale la fonction de garants de la fidélité à la Sainte Écriture. Ceux-ci assurent une exégèse fiable, solide, capable de former avec la chaire de Pierre un ensemble stable et homogène. Les Saintes Écritures, interprétées avec autorité par le Magistère à la lumière des Pères, éclairent le chemin de l’Église dans le temps, lui assurant un fondement stable au milieu des mutations historiques.

Après avoir considéré les divers éléments de l’autel de la Chaire, jetons vers lui un regard d’ensemble. Nous voyons qu’il est traversé par un double mouvement : ascendant et descendant. C’est la réciprocité entre la foi et l’amour. La chaire est bien mise en relief en ce lieu, puisqu’ici se trouve la tombe de l’Apôtre Pierre, mais elle aussi tend vers l’amour. En effet, la foi est orientée vers l’amour. Une foi égoïste ne serait pas une foi vraie. Qui croit en Jésus-Christ et entre dans le dynamisme d’amour qui trouve sa source dans l’Eucharistie, découvre la vraie joie et devient à son tour capable de vivre selon la logique de ce don. La vraie foi est éclairée par l’amour et conduit à l’amour, vers le haut, comme l’autel de la Cathèdre élève vers la fenêtre lumineuse, la gloire de l’Esprit-Saint, qui constitue le vrai point focal pour le regard du pèlerin quand il franchit le seuil de la Basilique Vaticane. A cette fenêtre, le triomphe des anges et les grands rayons dorés donne le plus grand relief avec un sens de plénitude débordante qui exprime la richesse de la communion avec Dieu. Dieu n’est pas solitude, mais amour glorieux et joyeux, rayonnant et lumineux.

Chers frères et sœurs, à nous, à chaque chrétien est confié le don de cet amour : un don à répandre par le témoignage de notre vie. Ceci est particulièrement votre devoir vénérés Frères Cardinaux : témoigner la joie de l’amour du Christ. A la Vierge Marie, présente dans la Communauté apostolique réunie en prière dans l’attente du Saint Esprit (cf. Ac 1, 14), nous confions à présent votre nouveau service ecclésial. Que la Mère du Verbe Incarné protège la marche de l’Église, soutienne l’œuvre des Pasteurs par son intercession et accueille sous son manteau tout le Collège cardinalice. Amen !

[00236-03.01] [Texte original: Italien]

 TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Meine Herren Kardinäle,

verehrte Mitbrüder im bischöflichen und im priesterlichen Dienst,

liebe Brüder und Schwestern!

Am Hochfest der Kathedra des heiligen Apostels Petrus haben wir die Freude, uns gemeinsam mit den neuen Kardinälen, die ich gestern in das Kardinalskollegium aufgenommen habe, um den Altar des Herrn zu versammeln. An sie richte ich vor allem meinen herzlichen Gruß und danke Kardinal Fernando Filoni für die freundlichen Worte, die er im Namen aller an mich gerichtet hat. Ich schließe in meinen Gruß die anderen Purpurträger und alle anwesenden Bischöfe ein sowie die geschätzten Vertreter des öffentlichen Lebens, die Damen und Herren Botschafter, die Priester, die Ordensleute und alle Gläubigen, die aus verschiedenen Teilen der Welt zu diesem frohen Anlaß gekommen sind, der einen besonderen Charakter der Universalität trägt.

In der eben vorgetragenen zweiten Lesung ermahnt der Apostel Petrus die „Ältesten" der Kirche, eifrige und zuvorkommende Hirten der Herde Christi zu sein (vgl. 1 Petr 5,1-2). Diese Worte sind vor allem an euch gerichtet, liebe, verehrte Mitbrüder, die ihr bereits viele Verdienste beim Volk Gottes habt durch euer großzügiges und weises Wirken im pastoralen Dienst in wichtigen Diözesen oder in der Leitung der Dikasterien der Römischen Kurie oder im kirchlichen Dienst der Forschung und der Lehre. Die neue Würde, die euch verliehen wurde, möchte die Wertschätzung für eure treue Arbeit im Weinberg des Herrn bekunden, die Gemeinschaften und Nationen ehren, aus denen ihr kommt und deren würdige Vertreter ihr in der Kirche seid, euch mit neuen und wichtigeren kirchlichen Verantwortlichkeiten betrauen und euch schließlich um eine noch größere Verfügbarkeit für Christus und für die ganze christliche Gemeinschaft bitten. Diese Verfügbarkeit für den Dienst des Evangeliums ist fest gegründet auf die Glaubensgewißheit. Denn wir wissen, daß Gott seinen Verheißungen treu ist, und erwarten in der Hoffnung die Verwirklichung dieser Worte des Apostels Petrus: „Wenn dann der oberste Hirt erscheint, werdet ihr den nie verwelkenden Kranz der Herrlichkeit empfangen" (1 Petr 5,4).

Das heutige Evangelium zeigt Petrus, der auf eine göttliche Eingebung hin seinen eigenen festen Glauben an Jesus, den Sohn Gottes und verheißenen Messias, ausdrückt. Als Antwort auf dieses, von Petrus auch im Namen der anderen Apostel abgelegte klare Glaubensbekenntnis offenbart Christus ihm die Aufgabe, die er ihm anvertrauen will, nämlich der „Stein", der „Fels" zu sein, das sichtbare Fundament, auf dem das ganze geistliche Gebäude der Kirche aufgebaut ist (vgl. Mt 16,16-19). Diese Bezeichnung „Fels – Stein" bezieht sich nicht auf den Charakter der Person, sondern ist nur von einem tieferen Gesichtspunkt, vom Mysterium her zu verstehen: Durch die Aufgabe, die Jesus ihm überträgt, wird Petrus das, was er aufgrund von „Fleisch und Blut" nicht ist. Der Exeget Joachim Jeremias hat gezeigt, daß im Hintergrund die Symbolsprache des „heiligen Felsens" steht. Diesbezüglich kann uns ein rabbinischer Text hilfreich sein, in dem es heißt: „Der Herr sprach: »Wie kann ich die Welt erschaffen, da diese Gottlosen erstehen und mich ärgern werden?« Als aber Gott auf Abraham schaute, der erstehen sollte, sprach er: »Siehe, ich habe einen Felsen gefunden, auf den ich die Welt bauen und gründen kann.« Deshalb nannte er Abraham einen Felsen." Der Prophet Jesaja beruft sich darauf, als er das Volk erinnert: „Blickt auf den Felsen, aus dem ihr gehauen seid … auf Abraham, euren Vater" (51,1-2). Abraham, der Vater der Glaubenden, wird mit seinem Glauben als der Fels gesehen, der die Schöpfung stützt. Simon, der als erster Jesus als den Christus bekannt hat und der erste Zeuge der Auferstehung war, wird nun mit seinem erneuerten Glauben der Fels, der sich den zerstörerischen Kräften des Bösen widersetzt.

Liebe Brüder und Schwestern! Diese Episode aus dem Evangelium, die wir gehört haben, findet eine weitere und noch anschaulichere Erklärung in einem sehr bekannten künstlerischen Element, das den Petersdom ziert: im Kathedra-Altar. Wenn man durch das grandiose Mittelschiff geht und nach Überwindung des Querschiffs zur Apsis gelangt, sieht man sich vor einem riesigen Thron aus Bronze, der zu schweben scheint, in Wirklichkeit aber von den vier Statuen großer Kirchenväter des Ostens und des Westens gehalten wird. Und über dem Thron, umgeben von einem Triumph in der Luft schwebender Engel, leuchtet im Ovalfenster die Herrlichkeit des Heiligen Geistes. Was sagt uns nun dieses bildhauerische Gefüge, das wir dem Genie des Bernini verdanken? Es stellt eine Sicht des Wesens der Kirche und – in ihr – des petrinischen Lehramtes dar.

Das Apsis-Fenster öffnet die Kirche nach außen, zur gesamten Schöpfung hin, während das Bild der Taube des Heiligen Geistes Gott als Quelle des Lichtes zeigt. Doch da ist auch noch ein anderer Aspekt hervorzuheben: Die Kirche selbst ist nämlich wie ein Fenster, der Ort, an dem Gott sich naht, unserer Welt entgegenkommt. Die Kirche existiert nicht für sich selbst, sie ist nicht das endgültige Ziel, sondern muß über sich hinausweisen, nach oben, über uns hinaus. Die Kirche ist wirklich sie selbst in dem Maß, in dem sie den Anderen – den „Anderen" schlechthin – durchscheinen läßt, von dem her sie kommt und zu dem sie führt. Die Kirche ist der Ort, wo Gott bei uns „ankommt" und wo wir zu ihm hin „aufbrechen"; sie hat die Aufgabe, außer sich selber auch jene Welt zu öffnen, die dazu neigt, sich in sich selbst zu verschließen, und ihr das Licht zu bringen, das von oben kommt, ohne das sie unbewohnbar würde.

Die große Kathedra aus Bronze birgt einen hölzernen Thron aus dem 9. Jahrhundert, der lange Zeit für den Stuhl des Apostels Petrus gehalten wurde und aufgrund seines hohen symbolischen Wertes gerade über diesem Altar angebracht wurde. Er drückt nämlich die ständige Gegenwart des Apostels im Lehramt seiner Nachfolger aus. Der Stuhl des heiligen Petrus ist – so können wir sagen – der Thron der Wahrheit, der seinen Ursprung aus dem Auftrag Christi nach dem Bekenntnis bei Cäsarea Philippi bezieht. Der Lehrstuhl ruft uns immer wieder die Worte des Herrn an Petrus im Abendmahlssaal in Erinnerung: „Ich aber habe für dich gebetet, daß dein Glaube nicht erlischt. Und wenn du dich wieder bekehrt hast, dann stärke deine Brüder" (Lk 22,32).

Noch eine weitere Erinnerung ruft die Kathedra Petri hervor: das berühmte Wort des heiligen Ignatius von Antiochien, der in seinem Brief an die Römer die Kirche von Rom als die bezeichnet, „welche den Vorsitz in der Liebe hat" (Inscr.: PG 5,801). In der Tat ist der Vorsitz im Glauben untrennbar an den Vorsitz in der Liebe gebunden. Ein Glaube ohne Liebe wäre kein echter christlicher Glaube mehr. Aber die Worte des heiligen Ignatius haben auch noch eine andere, sehr viel konkretere Bedeutung: Der Begriff „caritas – Liebe" wurde nämlich in der frühen Kirche auch als Bezeichnung für die Eucharistie gebraucht. Die Eucharistie ist ja das Sacramentum caritatis Christi – das Sakrament der Liebe Christi –, durch das er weiterhin uns alle zu sich hin zieht, wie er es von der Höhe des Kreuzes aus getan hat (vgl. Joh 12,32). Darum bedeutet „den Vorsitz in der Liebe haben", die Menschen in eine eucharistische Umarmung – in die Umarmung Christi – hineinziehen, die jede Schranke und jede Fremdheit überwindet und aus den mannigfaltigen Verschiedenheiten die Gemeinschaft bildet. Das Petrusamt ist also ein Primat in der Liebe im eucharistischen Sinn bzw. ein fürsorglicher Einsatz für die weltweite Gemeinschaft der Kirche in Christus. Und die Eucharistie ist Gestalt und Maßstab dieser Gemeinschaft sowie eine Garantie dafür, daß diese dem Kriterium der Glaubensüberlieferung treu bleibt.

Die große Kathedra wird gestützt von den Kirchenvätern. Die beiden Lehrer des Ostens – der heilige Johannes Chrysostomus und der heilige Athanasius – stellen gemeinsam mit den lateinischen – dem heiligen Ambrosius und dem heiligen Augustinus – die Gesamtheit der Überlieferung und somit den Reichtum des Ausdrucks des wahren Glaubens in der heiligen un einen Kirche dar. Dieses Element des Altars sagt uns, daß die Liebe sich auf den Glauben gründet. Sie zerbröckelt, wenn der Mensch nicht mehr auf Gott vertraut und ihm nicht gehorcht. Alles in der Kirche ist auf den Glauben gegründet: die Sakramente, die Liturgie, die Evangelisierung, die Liebe. Auch das Recht, auch die Autorität in der Kirche fußen auf dem Glauben. Die Kirche regelt sich nicht in autonomer Weise, sie gibt sich nicht selbst ihre Ordnung, sondern empfängt sie vom Wort Gottes, das sie im Glauben hört und zu verstehen und zu leben sucht. Die Kirchenväter haben in der Gemeinschaft der Kirche die Funktion von Bürgen für die Treue zur Heiligen Schrift. Sie sichern eine zuverlässige, solide Exegese, die fähig ist, mit der Kathedra Petri ein festes, einheitliches Gefüge zu bilden. Die im Licht der Väter vom Lehramt maßgeblich interpretierte Heilige Schrift erleuchtet den Weg der Kirche in der Zeit, indem sie ihr inmitten der geschichtlichen Veränderungen ein beständiges Fundament geben.

Nachdem wir die verschiedenen Elemente des Kathedra-Altars bedacht haben, wollen wir ihn nun in seiner Gesamtheit betrachten. Und dabei sehen wir, daß er von einer zweifachen Bewegung durchzogen ist: von einem Aufstieg und einem Abstieg. Es ist das Wechselspiel zwischen Glaube und Liebe. Die Kathedra ist an diesem Ort stark hervorgehoben, denn hier ist das Grab des Apostels Petrus, doch auch sie strebt der Liebe Gottes zu. In der Tat ist der Glaube auf die Liebe hin ausgerichtet. Ein egoistischer Glaube wäre ein unwahrer Glaube. Wer an Jesus Christus glaubt und in die Dynamik der Liebe eintritt, die in der Eucharistie ihre Quelle hat, entdeckt die wahre Freude und wird seinerseits fähig, nach der Logik dieses Schenkens zu leben. Der wahre Glaube ist erleuchtet von der Liebe und führt zur Liebe, nach oben, wie der Kathedra-Altar bis zum leuchtenden Fenster, zur Herrlichkeit des Heiligen Geistes emporführt, dem eigentlichen Brennpunkt für den Blick des Pilgers, wenn dieser die Schwelle des Petersdoms überschreitet. Dieses Fenster heben der Triumph der Engel und der großen vergoldete Strahlenkranz in höchstem Maße hervor, mit einem Eindruck der überquellenden Fülle, welche den Reichtum der Gemeinschaft mit Gott zum Ausdruck bringt. Gott ist nicht Einsamkeit, sondern glorreiche, freudvolle, sich verströmende, strahlende Liebe.

Liebe Brüder und Schwestern, uns, einem jeden Christen ist das Geschenk dieser Liebe anvertraut: ein Geschenk zum Verschenken, mit dem Zeugnis unseres Lebens. Das ist besonders eure Aufgabe, verehrte Mitbrüder im Kardinalat: die Freude der Liebe Christi zu bezeugen. Wir vertrauen nun euren neuen kirchlichen Dienst der Jungfrau Maria an. Sie war zugegen, als sich die Gemeinschaft der Apostel in der Erwartung des Heiligen Geistes im Gebet versammelt hatte (vgl. Apg 1,14). Sie, die Mutter des menschgewordenen Wortes, schütze den Weg der Kirche, unterstütze mit ihrer Fürsprache das Werk der Hirten und behüte unter ihrem Mantel das ganze Kardinalskollegium. Amen!

[00236-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

 TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Señores Cardenales,

Venerados hermanos en el Episcopado y en el Sacerdocio

Queridos hermanos y hermanas

En la solemnidad de la Cátedra del apóstol san Pedro, tenemos la alegría de reunirnos alrededor del Altar del Señor junto con los nuevos Cardenales, que ayer he agregado al colegio cardenalicio. Les saludo ante todo a ellos muy cordialmente, y agradezco al Cardenal Fernando Filoni las amables palabras me ha dirigido en su nombre. Extiendo mi saludo a los demás purpurados y a todos los obispos presentes, así como a las distinguidas autoridades, a los señores embajadores, a los sacerdotes, a los religiosos y a todos los fieles, venidos de varias partes del mundo para esta feliz circunstancia que reviste una carácter especial de universalidad.

En la segunda lectura que se acaba de proclamar, el apóstol Pedro exhorta a los «presbíteros» de la Iglesia a ser pastores diligentes y solícitos del rebaño de Cristo (cf. 1 Pe 5,1-2). Estas palabras están dirigidas sobre todo a vosotros, queridos y venerados hermanos, que ya tenéis muchos meritos ante el Pueblo de Dios por vuestra generosa y sapiente labor desarrollada en el ministerio pastoral en diócesis exigentes, en la dirección de los Dicasterios de la Curia Romana o en el servicio eclesial del estudio y de la enseñanza. La nueva dignidad que se os ha conferido quiere manifestar el aprecio por vuestro trabajo fiel en la viña del Señor, honrar a las comunidades y naciones de las cuales procedéis y de las que sois dignos representantes de la Iglesia, confiaros nuevas y más importantes responsabilidades eclesiales y, finalmente, pediros mayor disponibilidad para Cristo y para toda la comunidad cristiana. Esta disponibilidad al servicio del Evangelio está sólidamente fundada en la certeza de la fe. En efecto, sabemos que Dios es fiel a sus promesas y permanecemos en la esperanza de que se cumplan las palabras del apóstol Pedro: «Y cuando aparezca el Supremo Pastor, recibiréis la corona de gloria que no se marchita» (1 Pe 5,4).

El pasaje del Evangelio de hoy presenta a Pedro que, movido por una inspiración divina, expresa la propia fe fundada en Jesús, el Hijo de Dios y el Mesías prometido. En respuesta a esta límpida profesión de fe, que Pedro confiesa también en nombre de los otros apóstoles, Cristo les revela la misión que pretende confiarles, la de ser la «piedra», la «roca», el fundamento visible sobre el que está construido todo el edificio espiritual de la Iglesia (cf. Mt 16,16-19). Esta expresión de «roca-piedra» no se refiere al carácter de la persona, sino que sólo puede comprenderse partiendo de un aspecto más profundo, del misterio: mediante el cargo que Jesús les confía, Simón Pedro se convierte en algo que no es por «la carne y la sangre». El exegeta Joaquín Jeremías ha hecho ver cómo en el trasfondo late el lenguaje simbólico de la «roca santa». A este respecto, puede ayudarnos un texto rabínico que reza así: «El Señor dijo: "¿Cómo puedo crear el mundo cuando surgirán estos sin-Dios y se volverán contra mi?". Pero cuando Dios vio que debía nacer Abraham, dijo: "Mira, he encontrado una roca, sobre la cual puedo construir y fundar el mundo". Por eso él llamó Abrahán una roca». El profeta Isaías se refiere a eso cuando recuerda al pueblo: «Mirad la roca de donde os tallaron,… mirad a Abrahán vuestro padre» (51,1-2). Se ve a Abrahán, el padre de los creyentes, que por su fe es la roca que sostiene la creación. Simón, que es el primero en confesar a Jesús como el Cristo, y es el primer testigo de la resurrección, se convierte ahora, con su fe renovada, en la roca que se opone a la fuerza destructiva del mal.

Queridos hermanos y hermanas. Este pasaje evangélico que hemos escuchado encuentra una más reciente y elocuente explicación en un elemento artístico muy notorio que embellece esta Basílica Vaticana: el altar de la Cátedra. Cuando se recorre la grandiosa nave central, una vez pasado el crucero, se llega al ábside y nos encontramos ante un grandioso trono de bronce que parece suelto, pero que en realidad está sostenido por cuatro estatuas de grandes Padres de la Iglesia de Oriente y Occidente. Y, sobre el trono, circundado por una corona de ángeles suspendidos en el aire, resplandece en la ventana ovalada la gloria del Espíritu Santo. ¿Qué nos dice este complejo escultórico, fruto del genio de Bernini? Representa una visión de la esencia de la Iglesia y, dentro de ella, del magisterio petrino.

La ventana del ábside abre la Iglesia hacia el externo, hacia la creación entera, mientras la imagen de la paloma del Espíritu Santo muestra a Dios como la fuente de la luz. Pero se puede subrayar otro aspecto: en efecto, la Iglesia misma es como una ventana, el lugar en el que Dios se acerca, se encuentra con el mundo. La Iglesia no existe por sí misma, no es el punto de llegada, sino que debe remitir más allá, hacia lo alto, por encima de nosotros. La Iglesia es verdaderamente ella misma en la medida en que deja trasparentar al Otro – con la «O» mayúscula – del cual proviene y al cual conduce. La Iglesia es el lugar donde Dios «llega» a nosotros, y desde donde nosotros «partimos» hacia él; ella tiene la misión de abrir más allá de sí mismo ese mundo que tiende a creerse un todo cerrado y llevarle la luz que viene de lo alto, sin la cual sería inhabitable.

La gran cátedra de bronce contiene un sitial de madera del siglo IX, que por mucho tiempo se consideró la cátedra del apóstol Pedro, y que fue colocada precisamente en ese altar monumental por su alto valor simbólico. Ésta, en efecto, expresa la presencia permanente del Apóstol en el magisterio de sus sucesores. El sillón de san Pedro, podemos decir, es el trono de la verdad, que tiene su origen en el mandato de Cristo después de la confesión en Cesarea de Filipo. La silla magisterial nos trae a la memoria de nuevo las palabras del Señor dirigidas a Pedro en el Cenáculo: «Yo he pedido por ti, para que tu fe no se apague. Y tú, cuando te recobres, da firmeza a tus hermanos» (Lc 22,32).

La Cátedra de Pedro evoca otro recuerdo: la celebra expresión de san Ignacio de Antioquia, que en su carta a los Romanos llama a la Iglesia de Roma «aquella que preside en la caridad» (Inscr.: PG 5, 801). En efecto, el presidir en la fe está inseparablemente unido al presidir en el amor. Una fe sin amor nunca será una fe cristiana autentica. Pero las palabras de san Ignacio tienen también otra connotación mucho más concreta. El término «caridad», en efecto, se utilizaba en la Iglesia de los orígenes para indicar también la Eucaristía. La Eucaristía es precisamente Sacramentum caritatis Christi, mediante el cual él continua a atraer a todos hacia sí, como lo hizo desde lo alto de la cruz (cf. Jn 12,32). Por tanto, «presidir en la caridad» significa atraer a los hombres en un abrazo eucarístico, el abrazo de Cristo, que supera toda barrera y toda exclusión, creando comunión entre las múltiples diferencias. El ministerio petrino, pues, es primado de amor en sentido eucarístico, es decir, solicitud por la comunión universal de la Iglesia en Cristo. Y la Eucaristía es forma y medida de esta comunión, y garantía de que ella se mantenga fiel al criterio de la tradición de la fe.

La gran Cátedra está apoyada sobre los Padres de la Iglesia. Los dos maestros de oriente, san Juan Crisóstomo y san Atanasio, junto con los latinos, san Ambrosio y san Agustín, representando la totalidad de la tradición y, por tanto, la riqueza de las expresiones de la verdadera fe en la santa y única Iglesia. Este elemento del altar nos dice que el amor se asienta sobre la fe. Y se resquebraja si el hombre ya no confía en Dios ni le obedece. Todo en la Iglesia se apoya sobre la fe: los sacramentos, la liturgia, la evangelización, la caridad. También el derecho, también la autoridad en la Iglesia se apoya sobre la fe. La Iglesia no se da a sí misma las reglas, el propio orden, sino que lo recibe de la Palabra de Dios, que escucha en la fe y trata de comprender y vivir. Los Padres de la Iglesia tienen en la comunidad eclesial la función de garantes de la fidelidad a la Sagrada Escritura. Ellos aseguran una exegesis fidedigna, sólida, capaz de formar con la Cátedra de Pedro un complejo estable y unitario. Las Sagradas Escrituras, interpretadas autorizadamente por el Magisterio a la luz de los Padres, iluminan el camino de la Iglesia en el tiempo, asegurándole un fundamento estable en medio a los cambios históricos.

Tras haber considerado los diversos elementos del altar de la Cátedra, dirijamos una mirada al conjunto. Y veamos cómo está atravesado por un doble movimiento: de ascensión y de descenso. Es la reciprocidad entre la fe y el amor. La Cátedra está puesta con gran realce en este lugar, porque aquí está la tumba del apóstol Pedro, pero también tiende hacia el amor de Dios. En efecto, la fe se orienta al amor. Una fe egoísta no es una fe verdadera. Quien cree en Jesucristo y entra en el dinamismo del amor que tiene su fuente en la Eucaristía, descubre la verdadera alegría y, a su vez, es capaz de vivir según la lógica de este don. La verdadera fe es iluminada por el amor y conduce al amor, hacia lo alto, del mismo modo que el altar de la Cátedra apunta hacia la ventana luminosa, la gloria del Espíritu Santo, que constituye el verdadero punto focal para la mirada del peregrino que atraviesa el umbral de la Basílica Vaticana. En esa ventana, la corona de los ángeles y los grandes rayos dorados dan una espléndido realce, con un sentido de plenitud desbordante, que expresa la riqueza de la comunión con Dios. Dios no es soledad, sino amor glorioso y gozoso, difusivo y luminoso.

Queridos hermanos y hermanas, a cada cristiano y a nosotros, se nos confía el don de este amor: un don que ha de ofrecer con el testimonio de nuestra vida. Esto es, en particular, vuestra tarea, venerados Hermanos Cardenales: dar testimonio de la alegría del amor de Cristo. Confiemos ahora vuestro nuevo servicio eclesial a la Virgen María, presente en la comunidad apostólica reunida en oración en espera del Espíritu Santo (cf. Hch 1,14). Que Ella, Madre del Verbo encarnado, proteja el camino de la Iglesia, sostenga con su intercesión la obra de los Pastores y acoja bajo su manto a todo el colegio cardenalicio. Amén.

[00236-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Senhores Cardeais,

Venerados Irmãos no episcopado e no sacerdócio,

Amados Irmãos e Irmãs!

Na solenidade da Cátedra de São Pedro Apóstolo, temos a alegria de nos reunir à volta do altar do Senhor, juntamente com os novos Cardeais que ontem agreguei ao Colégio Cardinalício. Para eles, em primeiro lugar, vai a minha cordial saudação, agradecendo ao Cardeal Fernando Filoni as amáveis palavras que me dirigiu em nome de todos. Estendo a minha saudação aos outros Purpurados e a todos os Bispos presentes, como também às ilustres Autoridades, aos senhores Embaixadores, aos sacerdotes, aos religiosos e a todos os fiéis, vindos de várias partes do mundo para esta feliz ocasião, que se reveste de um carácter especial de universalidade.

Na segunda leitura, há pouco proclamada, o apóstolo Pedro exorta os «presbíteros» da Igreja a serem pastores zelosos e solícitos do rebanho de Cristo (cf. 1 Ped 5, 1-2). Estas palavras são dirigidas antes de mais nada a vós, amados e venerados Irmãos, que sois reconhecidos no meio do Povo de Deus pelos vossos méritos na obra generosa e sábia do ministério pastoral em dioceses relevantes, ou na direcção dos dicastérios da Cúria Romana, ou ainda no serviço eclesial do estudo e do ensino. A nova dignidade que vos foi conferida pretende manifestar o apreço pelo vosso trabalho fiel na vinha do Senhor, homenagear as comunidades e nações donde provindes e de que sois dignos representantes na Igreja, investir-vos de novas e mais importantes responsabilidades eclesiais e, enfim, pedir-vos um suplemento de disponibilidade para Cristo e para a comunidade cristã inteira. Esta disponibilidade para o serviço do Evangelho está fundada firmemente na certeza da fé. De facto, sabemos que Deus é fiel às suas promessas e aguardamos, na esperança, a realização destas palavras do apóstolo Pedro: «E, quando o supremo Pastor Se manifestar, então recebereis a coroa imperecível da glória» (1 Ped 5, 4).

O texto evangélico de hoje apresenta Pedro que, movido por uma inspiração divina, exprime firmemente a sua fé em Jesus, o Filho de Deus e o Messias prometido. Respondendo a esta profissão clara de fé, que Pedro faz também em nome dos outros Apóstolos, Cristo revela-lhe a missão que pensa confiar-lhe: ser a «pedra», a «rocha», o alicerce visível sobre o qual será construído todo o edifício espiritual da Igreja (cf. Mt 16, 16-19). Esta denominação de «rocha-pedra» não alude ao carácter da pessoa, mas só é compreensível a partir dum aspecto mais profundo, a partir do mistério: através do encargo que Jesus lhe confere, Simão Pedro tornar-se-á aquilo que ele não é mediante «a carne e o sangue». O exegeta Joachim Jeremias mostrou que aqui está presente, como cenário de fundo, a linguagem simbólica da «rocha santa». A propósito, pode ajudar-nos um texto rabínico onde se afirma: «O Senhor disse: "Como posso criar o mundo, sabendo que hão-de surgir estes sem-Deus que se revoltarão contra Mim?" Mas, quando Deus viu que devia nascer Abraão, disse: "Vê! Encontrei uma rocha, sobre a qual posso construir e assentar o mundo". Por isso, Ele chamou Abraão uma rocha». O profeta Isaías alude a isto mesmo, quando recorda ao povo: «Considerai a rocha de que fostes talhados (…). Olhai para Abraão, vosso pai» (51, 1-2). Pela sua fé, Abraão, o pai dos crentes, é visto como a rocha que sustenta a criação. Simão, o primeiro que confessou Jesus como o Cristo e também a primeira testemunha da ressurreição, torna-se agora, com a sua fé renovada, a rocha que se opõe às forças destruidoras do mal.

Amados irmãos e irmãs! Este episódio evangélico, que escutámos, encontra subsequente e mais eloquente explicação num elemento artístico muito conhecido, que enriquece esta Basílica Vaticana: o altar da Cátedra. Quando, depois de percorrer a grandiosa nave central e ultrapassar o transepto, se chega à abside, encontramo-nos perante um trono de bronze enorme, que parece suspenso em voo mas na realidade está sustentado por quatro estátuas de grandes Padres da Igreja do Oriente e do Ocidente. E na janela oval, por cima do trono, resplandece a glória do Espírito Santo, envolvida por um triunfo de anjos suspensos no ar. Que nos diz este conjunto escultório, nascido do génio de Bernini? Representa uma visão da essência da Igreja e, no seio dela, do magistério petrino.

A janela da abside abre a Igreja para o exterior, para a criação inteira, enquanto a imagem da pomba do Espírito Santo mostra Deus como a fonte da luz. Mas há ainda outro aspecto a evidenciar: de facto, a própria Igreja é como que uma janela, o lugar onde Deus Se faz próximo, vem ao encontro do nosso mundo. A Igreja não existe para si mesma, não é o ponto de chegada, mas deve apontar para além de si, para o alto, acima de nós. A Igreja é verdadeiramente o que deve ser, na medida em que deixa transparecer o Outro – com o "O" grande – do qual provém e para o qual conduz. A Igreja é o lugar onde Deus «chega» a nós e donde nós «partimos» para Ele; a este mundo que tende a fechar-se em si próprio, a Igreja tem a missão de o abrir para além de si mesmo e levar-lhe a luz que vem do Alto e sem a qual se tornaria inabitável.

A grande cátedra de bronze contém dentro dela uma cadeira em madeira, do século IX, que foi considerada durante muito tempo a cátedra do apóstolo Pedro e, precisamente pelo seu alto valor simbólico, colocada neste altar monumental. Na realidade, exprime a presença permanente do Apóstolo no magistério dos seus sucessores. Podemos dizer que a cadeira de São Pedro é o trono da verdade, cuja origem está no mandato de Cristo depois da confissão em Cesareia de Filipe. A cadeira magistral renova em nós também a lembrança das seguintes palavras dirigidas pelo Senhor a Pedro no Cenáculo: «Eu roguei por ti, para que a tua fé não desapareça. E tu, uma vez convertido, fortalece os teus irmãos» (Lc 22, 32).

A cátedra de Pedro evoca outra recordação: a conhecida expressão de Santo Inácio de Antioquia, que, na sua Carta aos Romanos, designa a Igreja de Roma como «aquela que preside à caridade» (Inscr.: PG 5, 801). Com efeito, o facto de presidir na fé está inseparavelmente ligado à presidência no amor. Uma fé sem amor deixaria de ser uma fé cristã autêntica. Mas as palavras de Santo Inácio contêm ainda outro aspecto, muito mais concreto: de facto, o termo «caridade» era usado pela Igreja primitiva para indicar também a Eucaristia. Efectivamente a Eucaristia é Sacramentum caritatis Christi, por meio do qual Ele continua a atrair a Si todos nós, como fez do alto da cruz (cf. Jo 12, 32). Portanto, «presidir à caridade» significa atrair os homens num abraço eucarístico – o abraço de Cristo – que supera toda a barreira e estranheza, criando a comunhão entre as múltiplas diferenças. Por conseguinte, o ministério petrino é primado no amor em sentido eucarístico, ou seja, solicitude pela comunhão universal da Igreja em Cristo. E a Eucaristia é forma e medida desta comunhão, e garantia de que a Igreja se mantém fiel ao critério da tradição da fé.

A grande Cátedra é sustentada pelos Padres da Igreja. Os dois mestres do Oriente, São João Crisóstomo e Santo Atanásio, juntamente com os latinos, Santo Ambrósio e Santo Agostinho, representam a totalidade da tradição e, consequentemente, a riqueza da expressão da verdadeira fé na santa e única Igreja. Este elemento do altar diz-nos que o amor apoia-se sobre a fé. O amor desfaz-se, se o homem deixa de confiar em Deus e obedecer-Lhe. Na Igreja, tudo se apoia na fé: os sacramentos, a liturgia, a evangelização, a caridade. Mesmo o direito e a própria autoridade na Igreja assentam na fé. A Igreja não se auto-regula, não confere a si mesma o seu próprio ordenamento, mas recebe-o da Palavra de Deus, que escuta na fé e procura compreender e viver. Na comunidade eclesial, os Padres da Igreja têm a função de garantes da fidelidade à Sagrada Escritura. Asseguram uma exegese fidedigna, segura, capaz de formar um conjunto estável e unitário com a cátedra de Pedro. As Sagradas Escrituras, interpretadas com autoridade pelo Magistério à luz dos Padres, iluminam o caminho da Igreja no tempo, assegurando-lhe um fundamento estável no meio das transformações da história.

Depois de termos considerado os diversos elementos do altar da Cátedra, lancemos um olhar ao seu conjunto. Vemos que é atravessado por um duplo movimento: de subida e de descida. Trata-se da reciprocidade entre a fé e o amor. A Cátedra aparece em grande destaque neste lugar, não só porque está aqui o túmulo do apóstolo Pedro, mas também porque ela encaminha para o amor de Deus. Com efeito, a fé orienta-se para o amor. Uma fé egoísta seria uma fé não-verdadeira. Quem crê em Jesus Cristo e entra no dinamismo de amor que encontra a sua fonte na Eucaristia, descobre a verdadeira alegria e torna-se, por sua vez, capaz de viver segundo a lógica desde dom. A verdadeira fé é iluminada pelo amor e conduz ao amor, conduz para o alto, como o altar da Cátedra nos eleva para a janela luminosa, para a glória do Espírito Santo, que constitui o verdadeiro ponto focal que atrai o olhar do peregrino quando cruza o limiar da Basílica Vaticana. O triunfo dos anjos e os grandes raios dourados conferem àquela janela o máximo destaque, com um sentido de transbordante plenitude que exprime a riqueza da comunhão com Deus. Deus não é solidão, mas amor glorioso e feliz, irradiante e luminoso.

Amados irmãos e irmãs, a nós, a cada cristão, está confiado o dom deste amor: um dom que deve ser oferecido com o testemunho da nossa vida. Esta é de modo particular a vossa missão, venerados Irmãos Cardeais: testemunhar a alegria do amor de Cristo. À Virgem Maria, presente na comunidade apostólica reunida em oração à espera do Espírito Santo (cf. Act 1, 14), confiamos agora o vosso novo serviço eclesial. Que Ela, Mãe do Verbo Encarnado, proteja o caminho da Igreja, sustente com a sua intercessão a obra dos Pastores e acolha sob o seu manto todo o Colégio Cardinalício. Amen!

[00236-06.01] [Texto original: Português]

 TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Księża kardynałowie,

Czcigodni Bracia w biskupstwie i kapłaństwie

Drodzy bracia i siostry!

W uroczystość katedry św. Piotra Apostoła przeżywamy radość zgromadzenia wokół ołtarza Pańskiego wraz z nowymi kardynałami, których wczoraj dołączyłem do Kolegium Kardynalskiego. Przede wszystkim do nich kieruję moje serdeczne pozdrowienie, dziękując kardynałowi Fernando Filoniemu za uprzejme słowa skierowane do mnie w imieniu wszystkich. Moim pozdrowieniem obejmuję innych purpuratów i wszystkich obecnych biskupów, a także szanownych przedstawicieli władz, ambasadorów, kapłanów, zakonników i wszystkich wiernych, przybyłych z różnych stron świata z powodu tej radosnej okoliczności, która nosi szczególny charakter powszechności.

W dopiero co usłyszanym drugim czytaniu apostoł Piotr zachęca „starszych" Kościoła, aby byli gorliwymi i troskliwymi pasterzami Chrystusowej owczarni (por. 1P 5,1-2). Słowa te są skierowane przede wszystkim do was, drodzy i czcigodni Bracia, którzy macie już wiele zasług u Ludu Bożego ze względu na waszą wielkoduszną i mądrą działalność wykonywaną w posłudze duszpasterskiej w ważnych diecezjach, czy też w kierowaniu dykasteriami Kurii Rzymskiej lub służbie Kościołowi swoim studium i nauczaniem. Nadana wam nowa godność pragnie ujawnić docenienie waszej wiernej pracy w winnicy Pańskiej, oddać cześć wspólnotom i narodom, z których pochodzicie i których w Kościele jesteście godnymi reprezentantami, powierzyć wam nowe, ważniejsze obowiązki kościelne i wreszcie prosić was o jeszcze większą dyspozycyjność dla Chrystusa i całej wspólnoty chrześcijańskiej. Ta dyspozycyjność w służbie Ewangelii jest mocno osadzona na pewności wiary. Wiemy, że Bóg jest wierny swoim obietnicom i oczekujemy w nadziei wypełnienia się tych słów apostoła Piotra: „Kiedy zaś objawi się Najwyższy Pasterz, otrzymacie niewiędnący wieniec chwały"(1P 5, 4).

Dzisiejszy fragment Ewangelii przedstawia Piotra, który poruszony Bożym natchnieniem wyraża swoją mocną wiarę w Jezusa, Syna Bożego i obiecanego Mesjasza. W odpowiedzi na to jasne wyznanie wiary, dokonane przez Piotra także w imieniu innych apostołów, Chrystus wyjawia misję, jaką zamierza mu powierzyć, to znaczy, że ma być „opoką", „skałą", widzialnym fundamentem, na którym zbudowany jest cały duchowy gmach Kościoła (por. Mt 16, 16-19). Imię to - „skała-opoka" - nie odnosi się do charakteru osoby, ale należy je rozumieć jedynie wychodząc od głębszego aspektu, od tajemnicy: poprzez zadanie powierzone mu przez Jezusa Szymon Piotr stanie się tym, czym nie jest poprzez „ciało i krew". Egzegeta Joachim Jeremias ukazał, że w tle obecny jest język symboliczny „świętej skały". Może nam w tym względzie pomóc pewien tekst rabiniczny, stwierdzający: „Pan powiedział: «Jak mogę stworzyć świat, kiedy powstaną ci bezbożni i zbuntują się przeciwko mnie?». Kiedy jednak Bóg zobaczył, że ma się urodzić Abraham, powiedział: «Spójrz, znalazłem taką skałę, na której mogę zbudować i oprzeć świat». Dlatego nazwał Abrahama skałą". Prorok Izajasz odwołuje się do tego tekstu, kiedy przypomina ludowi: „Wejrzyjcie na skałę, z której was wyciosano... wejrzyjcie na Abrahama, waszego ojca" (51,1-2). Abraham, ojciec wierzących, ze swą wiarą jest postrzegany jako skała, która wspiera stworzenie. Szymon, który jako pierwszy wyznał, że Jezus jest Chrystusem i był pierwszym świadkiem zmartwychwstania staje się teraz, ze swoją odnowioną wiarą skałą, która przeciwstawia się niszczycielskim siłom zła.

Drodzy bracia i siostry! To usłyszane przez nas ewangeliczne wydarzenie znajduje dalsze jeszcze i bardziej wymowne wyjaśnienie w niezwykle znanym elemencie artystycznym, który ubogaca tę Bazylikę Watykańską: ołtarz katedry św. Piotra (altare della Cattedra). Kiedy przechodzimy wspaniałą nawą centralną i przekroczywszy transept dochodzimy do apsydy, stajemy przed ogromnym tronem z brązu, który wydaje się unosić, ale który w rzeczywistości jest wspierany przez cztery posągi wielkich Ojców Kościoła Wschodu i Zachodu. A nad tronem, otoczonym triumfem aniołów unoszących się w powietrzu, jaśnieje w owalnym oknie chwała Ducha Świętego. Co nam mówi ten kompleks rzeźb, który zawdzięczamy geniuszowi Berniniego? Przedstawia on wizję istoty Kościoła a w jej wnętrzu nauczanie Piotra.

Okno apsydy otwiera Kościół na świat zewnętrzny, na całe stworzenie, podczas gdy obraz gołębicy Ducha Świętego ukazuje Boga jako źródło światła. Ale jest też inny aspekt, który trzeba dostrzec: sam Kościół jest w rzeczywistości, jak okno miejscem, gdzie Bóg czyni siebie bliskim, wychodzi na spotkanie naszego świata. Kościół nie istnieje dla siebie samego, nie jest punktem dotarcia, ale musi odsyłać poza siebie, ku górze, do tego co ponad nami. Kościół jest naprawdę sobą na tyle, na ile pozwala przeświecać Innemu przez duże „I" – od którego pochodzi i do którego prowadzi. Kościół jest miejscem, gdzie Bóg do nas „przychodzi" i skąd „odchodzimy" ku Niemu; jego zadaniem jest otwieranie poza siebie tego świata, który ma skłonność do zamykania się w sobie samym i niesienie mu światła, które pochodzi z wysoka, a bez którego stałby się on nie nadającym się do mieszkania.

Wielka katedra - krzesło z brązu zawiera w sobie drewniany tron z IX wieku, który był przez długi czas uważany za krzesło apostoła Piotra i został umieszczony właśnie na tym monumentalnym ołtarzu z powodu jego wielkiej wartości symbolicznej. W rzeczywistości wyraża on stałą obecność Apostoła w nauczaniu jego następców. Możemy powiedzieć, że tron św. Piotra jest tronem prawdy, która czerpie swe źródło z nakazu Chrystusa po wyznaniu w Cezarei Filipowej. Tron magisterialny odnawia w nas również pamięć słów skierowanych przez Pana do Piotra w Wieczerniku: „Ja prosiłem za tobą, żeby nie ustała twoja wiara. Ty ze swej strony utwierdzaj twoich braci" (Łk 22, 32).

Katedra Piotra przywołuje inne wspomnienie: sławne wyrażenie św. Ignacego Antiocheńskiego, który w swoim liście do Rzymian nazywa Kościół Rzymu tym „który przewodzi w miłości". Rzeczywiście przewodniczenie w wierze jest nierozerwalnie związane z przewodniczeniem w miłości. Wiara bez miłości nie byłaby już autentyczną wiarą chrześcijańską. Ale słowa św. Ignacego mają też inny aspekt, dużo bardzie konkretny: w istocie termin „miłość" był używany przez Kościół pierwszych wieków, aby wyrazić Eucharystię. Rzeczywiście Eucharystia jest Sacramentum caritatis Christi, przez który nadal przyciąga On nas wszystkich do Siebie, jak to czynił z wysokości krzyża (por. J 12,32). Dlatego też „przewodniczenie w miłości" oznacza przyciągnięcie ludzi w uścisku eucharystycznym – uścisku Chrystusa - który przekracza wszelkie przeszkody i wszelką obcość i tworzy komunię z wielu różnic. Posługa Piotrowa jest zatem prymatem w miłości w sensie eucharystycznym, czyli troską o powszechną komunię Kościoła w Chrystusie. Eucharystia jest formą i miarą tej komunii, jest gwarancją, że pozostanie ona wierna kryterium tradycji wiary.

Wielka katedra jest wspierana przez Ojców Kościoła. Dwaj mistrzowie Wschodu – św. Jan Chryzostom i św. Atanazy wraz z Ojcami Łacińskimi – św. Ambrożym i św. Augustynem reprezentują całość tradycji, a więc bogactwo wyrażenia prawdziwej wiary jednego Kościoła. Ten element ołtarza mówi nam, że miłość opiera się na wierze. Kruszy się ona, jeśli człowiek nie ufa już Bogu i nie jest Jemu posłuszny. Wszystko w Kościele opiera się na wierze: sakramenty, liturgia, ewangelizacja, miłosierdzie. Również prawo, także władza w Kościele wspierają się na wierze. Kościół nie reguluje się sam, nie nadaje sobie swego ładu, lecz otrzymuje go ze Słowa Bożego, którego słucha w wierze, stara się rozumieć oraz nim żyć. Ojcowie Kościoła mają we wspólnocie kościelnej funkcję gwarantów wierności Pismu Świętemu. Zapewniają oni solidną, pewną egzegezę, mogącą tworzyć z katedrą Piotra całokształt stabilny i jednolity. Pismo Święte, autorytatywnie interpretowane przez Magisterium w świetle Ojców, oświetla drogę Kościoła w czasie, zapewniając jej mocny fundament pośród przemian dziejowych.

Po rozważeniu różnych elementów Ołtarza Katedry, kierujemy nań spojrzenie całościowe. Widzimy, że jest on przeniknięty podwójnym ruchem: wstępowania i zstępowania. Jest to wzajemność między wiarą a miłością. Katedra umieszczona jest w wielkim uwypukleniu w tym miejscu, bo tu znajduje się grób apostoła Piotra, ale także i on zmierza ku miłości Bożej. Rzeczywiście wiara skierowana jest ku miłości. Wiara samolubna nie byłaby prawdziwą wiarą. Ten, kto wierzy w Jezusa Chrystusa i wchodzi w dynamizm miłości, która źródło znajduje w Eucharystii, odkrywa prawdziwą radość i staje się z kolei zdolny do życia według logiki daru. Prawdziwa wiara jest oświecona przez miłość i prowadzi do miłości, ku górze, podobnie jak Ołtarz Katedry wznosi się ku jaśniejącemu oknu, chwale Ducha Świętego, które stanowi prawdziwy punkt centralny dla spojrzenia pielgrzyma przekraczającego próg Bazyliki Watykańskiej. Temu oknu triumf aniołów i wielka złota aureola nadają największe podkreślenie, wraz z poczuciem pełni wyrażającej bogactwo komunii z Bogiem. Bóg nie jest samotnością, lecz miłością chwalebną i radosną, rozprzestrzeniającą się, świetlistą.

Drodzy bracia i siostry, nam, każdemu chrześcijaninowi powierzony jest dar tej miłości: jest to dar, który należy przekazywać dalej wraz ze świadectwem naszego życia. To jest wasze szczególnie zadanie, czcigodni bracia kardynałowie: świadczyć o radości z miłości Chrystusa. Zawierzmy teraz waszą nową posługę kościelną Maryi Pannie, obecnej we wspólnocie apostolskiej zgromadzonej na modlitwie w oczekiwaniu na Ducha Świętego (por. Dz 1, 14). Niech Ona, Matka Słowa Wcielonego, strzeże drogi Kościoła, wspiera swoim wstawiennictwem działalność pasterzy i przyjmie pod swój płaszcz całe Kolegium Kardynalskie. Amen!

[00236-09.01] [Testo originale: Italiano]

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL CARD. FERNANDO FILONI

Beatissimo Padre,

Per la Porta della Fede, che è Cristo, siamo entrati nella casa del Signore, nella Chiesa, divenendone membri per la grazia battesimale. Nel seno di questa Chiesa siamo cresciuti e, per la libera e gratuita chiamata al sacerdozio, siamo stati consacrati al servizio di Dio e dei fratelli. Poi, per un imperscrutabile disegno del divino Maestro, ci è stato affidato un compito di governo con il ministero episcopale.

Vostra Santità, con benevolenza, aggregandoci al Collegio cardinalizio, ci ha chiamati a far parte del Clero della Sua amata Diocesi di Roma, legandoci, al tempo stesso, in modo del tutto singolare, a Vostra Santità, Successore dell’Apostolo Pietro, nell’adempimento della suprema missione di principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione nella Chiesa (cfr. Lumen gentium, 18).

In questa Sua quarta creazione di Cardinali, Vostra Santità ha voluto annoverare ventidue ecclesiastici che rappresentano la cattolicità della Chiesa di Cristo e la varietà dei suoi carismi: alcuni di noi provengono dall’ambito della Curia Romana dove già La coadiuvano nel servizio delle Chiese particolari, altri sono Pastori di antiche o più recenti Chiese particolari, altri ancora sono illustri maestri che, con il loro insegnamento, hanno formato generazioni di uomini e donne nelle scienze umane ed ecclesiastiche. Questa varietà di persone richiama alla mente la bella considerazione dell’Apostolo Pietro che a Cesarea, nella casa di Cornelio, commentava: «Davvero sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga" (At 10,34-35).

Nell’itinerario umano e spirituale che Dio ha permesso nella vita di ognuno di noi emerge con chiarezza l’assoluta gratuità dell’amore di Dio e la predilezione del Signore: "non vi chiamo servi ma amici"(Gv 15, 15); ci unisce l’unica fede in Cristo, l’amore per la Chiesa, la fedeltà al Papa e la profonda consapevolezza dei bisogni veri e gravi dell’umanità in mezzo alla quale camminiamo, provando, come sacerdoti, quella giusta compassione verso chi è nell’ignoranza, nell’errore e nella debolezza, secondo la significativa espressione del capitolo V della Lettera agli Ebrei (5,2).

La porpora di cui siamo stati insigniti ci rammenta, Beatissimo Padre, non tanto la grandezza di chi la portava quale simbolo di potere e di dominio, ma il mistero profondo della sofferenza di Gesù, che rivestito dai suoi aguzzini di un manto purpureo e presentato così alla folla da Pilato, si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,8). Anche oggi nella Chiesa, per la fedeltà al suo Signore, non mancano il martirio, le tribolazioni e le persecuzioni in tanti suoi membri.

Beatissimo Padre, in questo momento, così significativo per noi, vorremmo, insieme ai nostri sentimenti di gratitudine, di affetto e di dedizione, presentarLe, quale dono, il rinnovato impegno di fedeltà, unito alla completa disponibilità nell’adempimento delle specifiche mansioni a noi affidate nella Curia Romana, nelle Chiese particolari o nel servizio alla verità e alla conoscenza di essa. La fiducia in noi riposta vorremmo portarla come veste inconsunta usque ad effusionem sanguinis.

Ai nostri sentimenti si uniscono oggi anche quelli, non meno profondi e gioiosi, dei nostri parenti ed amici, delle Chiese da cui proveniamo e dei popoli ai quali apparteniamo. Ogni vocazione, infatti, nasce in un contesto umano e si esercita nell’ambito in cui vivono i nostri fedeli, con i quali si generano relazioni pastorali che non si cancellano. Essi pure, Padre Santo, La ringraziano ed assicurano la loro preghiera per la Sua persona (Dominus conservet eum) e in sostegno al Suo supremo e universale Ministero ecclesiale (Tu es Petrus).

Poniamo il nostro servizio cardinalizio sotto la protezione di Maria Madre della Grazia; anzi è Cristo stesso, che dall’alto della croce ci mette sotto la sua materna protezione: "Donna ecco tuo figlio!" (Gv 19, 26). E chiediamo a Lei, Madre nostra, che venga ad abitare con noi.

A Dio benedetto nei secoli, si elevi con le stesse parole mariane la nostra preghiera: "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore" (Lc 1,46-47).

[00239-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0103-XX.02]