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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO E NELLA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 01.01.2012


Alle ore 9.30 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 45a Giornata Mondiale della Pace sul tema: Educare i giovani alla giustizia e alla pace.
Concelebrano con il Papa il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato; il Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Giovanni Angelo Becciu, Arcivescovo tit. di Roselle, Sostituto della Segreteria di Stato; S.E. Mons. Dominique Mamberti, Arcivescovo tit. di Sagona, Segretario per i Rapporti con gli Stati; S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B., Vescovo tit. di Bisarcio, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e S.E. Mons. Pier Luigi Celata, Arcivescovo tit. di Doclea, Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Nel primo giorno dell’anno, la liturgia fa risuonare in tutta la Chiesa sparsa nel mondo l’antica benedizione sacerdotale, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: "Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6,24-26). Questa benedizione fu affidata da Dio, tramite Mosè, ad Aronne e ai suoi figli, cioè ai sacerdoti del popolo d’Israele. E’ un triplice augurio pieno di luce, che promana dalla ripetizione del nome di Dio, il Signore, e dall’immagine del suo volto. In effetti, per essere benedetti bisogna stare alla presenza di Dio, ricevere su di sé il suo Nome e rimanere nel cono di luce che parte dal suo Volto, nello spazio illuminato dal suo sguardo, che diffonde grazia e pace.

Questa è l’esperienza che hanno fatto anche i pastori di Betlemme, che compaiono ancora nel Vangelo di oggi. Hanno fatto l’esperienza di stare alla presenza di Dio, della sua benedizione non nella sala di un maestoso palazzo, al cospetto di un grande sovrano, bensì in una stalla, davanti ad un "bambino adagiato nella mangiatoia" (Lc 2,16). Proprio da quel Bambino si irradia una luce nuova, che risplende nel buio della notte, come possiamo vedere in tanti dipinti che raffigurano la Natività di Cristo. E’ da Lui, ormai, che viene la benedizione: dal suo nome – Gesù, che significa "Dio salva" – e dal suo volto umano, in cui Dio, l’Onnipotente Signore del cielo e della terra, ha voluto incarnarsi, nascondere la sua gloria sotto il velo della nostra carne, per rivelarci pienamente la sua bontà (cfr Tt 3,4).

La prima ad essere ricolmata di questa benedizione è stata Maria, la vergine, sposa di Giuseppe, che Dio ha prescelto dal primo istante della sua esistenza per essere la madre del suo Figlio fatto uomo. Lei è la "benedetta fra le donne" (Lc 1,42) – come la saluta santa Elisabetta. Tutta la sua vita è nella luce del Signore, nel raggio d’azione del nome e del volto di Dio incarnato in Gesù, il "frutto benedetto del [suo] grembo". Così ce la presenta il Vangelo di Luca: tutta intenta a custodire e meditare nel suo cuore ogni cosa riguardante il suo figlio Gesù (cfr Lc 2,19.51). Il mistero della sua divina maternità, che oggi celebriamo, contiene in misura sovrabbondante quel dono di grazia che ogni maternità umana porta con sé, tanto che la fecondità del grembo è sempre stata associata alla benedizione di Dio. La Madre di Dio è la prima benedetta ed è Colei che porta la benedizione; è la donna che ha accolto Gesù in sé e lo ha dato alla luce per tutta la famiglia umana. Come prega la Liturgia: "sempre intatta nella sua gloria verginale, ha irradiato sul mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore" (Prefazio della B.V. Maria I).

Maria è madre e modello della Chiesa, che accoglie nella fede la divina Parola e si offre a Dio come "terra buona" in cui Egli può continuare a compiere il suo mistero di salvezza. Anche la Chiesa partecipa al mistero della divina maternità, mediante la predicazione, che sparge nel mondo il seme del Vangelo, e mediante i Sacramenti, che comunicano agli uomini la grazia e la vita divina. In particolare nel sacramento del Battesimo la Chiesa vive questa maternità, quando genera i figli di Dio dall’acqua e dallo Spirito Santo, il quale in ciascuno di essi grida: "Abbà! Padre!" (Gal 4,6). Come Maria, la Chiesa è mediatrice della benedizione di Dio per il mondo: la riceve accogliendo Gesù e la trasmette portando Gesù. E’ Lui la misericordia e la pace che il mondo da sé non può darsi e di cui ha bisogno sempre, come e più del pane.

Cari amici, la pace, nel suo senso più pieno e più alto, è la somma e la sintesi di tutte le benedizioni. Per questo quando due persone amiche si incontrano si salutano augurandosi vicendevolmente la pace. Anche la Chiesa, nel primo giorno dell’anno, invoca in modo speciale questo bene sommo, e lo fa, come la Vergine Maria, mostrando a tutti Gesù, perché, come afferma l’apostolo Paolo, "Egli è la nostra pace" (Ef 2,14), e al tempo stesso è la "via" attraverso la quale gli uomini e i popoli possono raggiungere questa meta, a cui tutti aspiriamo. Portando dunque nel cuore questo profondo desiderio, sono lieto di accogliere e di salutare tutti voi, che nell’odierna XLV Giornata Mondiale della Pace siete convenuti nella Basilica di San Pietro: i Signori Cardinali; gli Ambasciatori di tanti Paesi amici, che, più che mai in questa lieta occasione, condividono con me e con la Santa Sede la volontà di rinnovare l’impegno per la promozione della pace nel mondo; il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che con il Segretario e i Collaboratori lavorano in modo speciale per questa finalità; gli altri Presuli ed Autorità presenti; i rappresentanti di Associazioni e Movimenti ecclesiali e tutti voi, fratelli e sorelle, in particolare quanti tra voi lavorano nel campo del’educazione dei giovani. Infatti – come sapete – la prospettiva educativa è quella che ho seguito nel mio Messaggio di quest’anno.

"Educare i giovani alla giustizia e alla pace" è compito che riguarda ogni generazione, e, grazie a Dio, la famiglia umana, dopo le tragedie delle due grandi guerre mondiali, ha mostrato di esserne sempre più consapevole, come attestano, da una parte, dichiarazioni e iniziative internazionali e, dall’altra, l’affermarsi tra i giovani stessi, negli ultimi decenni, di tante e diverse forme di impegno sociale in questo campo. Per la Comunità ecclesiale educare alla pace rientra nella missione ricevuta da Cristo, fa parte integrante dell’evangelizzazione, perché il Vangelo di Cristo è anche il Vangelo della giustizia e della pace. Ma la Chiesa, negli ultimi tempi, si è fatta interprete di una esigenza che coinvolge tutte le coscienze più sensibili e responsabili per le sorti dell’umanità: l’esigenza di rispondere ad una sfida decisiva che è appunto quella educativa. Perché "sfida"? Almeno per due motivi: in primo luogo, perché nell’era attuale, fortemente caratterizzata dalla mentalità tecnologica, voler educare e non solo istruire non è scontato, ma è una scelta; in secondo luogo, perché la cultura relativista pone una questione radicale: ha ancora senso educare?, e poi educare a che cosa?

Naturalmente non possiamo ora affrontare queste domande di fondo, alle quali ho cercato di rispondere in altre occasioni. Vorrei invece sottolineare che, di fronte alle ombre che oggi oscurano l’orizzonte del mondo, assumersi la responsabilità di educare i giovani alla conoscenza della verità, ai valori fondamentali dell’esistenza, alle virtù intellettuali, teologali e morali, significa guardare al futuro con speranza. E in questo impegno per un’educazione integrale, entra anche la formazione alla giustizia e alla pace. I ragazzi e le ragazze di oggi crescono in un mondo che è diventato, per così dire, più piccolo, dove i contatti tra le differenti culture e tradizioni, anche se non sempre diretti, sono costanti. Per loro, oggi più che mai, è indispensabile imparare il valore e il metodo della convivenza pacifica, del rispetto reciproco, del dialogo e della comprensione. I giovani sono per loro natura aperti a questi atteggiamenti, ma proprio la realtà sociale in cui crescono può portarli a pensare e ad agire in modo opposto, persino intollerante e violento. Solo una solida educazione della loro coscienza può metterli al riparo da questi rischi e renderli capaci di lottare sempre e soltanto contando sulla forza della verità e del bene. Questa educazione parte dalla famiglia e si sviluppa nella scuola e nelle altre esperienze formative. Si tratta essenzialmente di aiutare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, a sviluppare una personalità che unisca un profondo senso della giustizia con il rispetto dell’altro, con la capacità di affrontare i conflitti senza prepotenza, con la forza interiore di testimoniare il bene anche quando costa sacrificio, con il perdono e la riconciliazione. Così potranno diventare uomini e donne veramente pacifici e costruttori di pace.

In quest’opera educativa verso le nuove generazioni, una responsabilità particolare spetta anche alle comunità religiose. Ogni itinerario di autentica formazione religiosa accompagna la persona, fin dalla più tenera età, a conoscere Dio, ad amarlo e a fare la sua volontà. Dio è amore, è giusto e pacifico, e chi vuole onorarlo deve anzitutto comportarsi come un figlio che segue l’esempio del padre. Un Salmo afferma: "Il Signore compie cose giuste, / difende i diritti di tutti gli oppressi. … Misericordioso e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore" (Sal 103,6.8). In Dio giustizia e misericordia convivono perfettamente, come Gesù ci ha dimostrato con la testimonianza della sua vita. In Gesù "amore e verità" si sono incontrati, "giustizia e pace" si sono baciate (cfr Sal 85,11). In questi giorni la Chiesa celebra il grande mistero dell’Incarnazione: la verità di Dio è germogliata dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo, la terra ha dato il suo frutto (cfr Sal 85,12.13). Dio ci ha parlato nel suo Figlio Gesù. Ascoltiamo che cosa dice Dio: "egli annuncia la pace" (Sal 85,9). Gesù è una via praticabile, aperta a tutti. E’ la via della pace. Oggi la Vergine Madre ce lo indica, ci mostra la Via: seguiamola! E tu, Santa Madre di Dio, accompagnaci con la tua protezione. Amen.

[00001-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

En ce premier jour de l’année, la liturgie fait résonner dans toute l’Église disséminée dans le monde l’antique bénédiction sacerdotale, que nous avons écoutée dans la première Lecture : « Que le Seigneur te bénisse et te garde ! Que le Seigneur fasse briller sur toi son visage, qu’il se penche vers toi ! Que le Seigneur tourne vers toi son visage, qu’il t’apporte la paix ! » (Nb 6, 24-26). Cette bénédiction fut confiée par Dieu, à travers Moïse, à Aaron et à ses fils, c’est-à-dire aux prêtres du peuple d’Israël. C’est un triple vœu plein de lumière, qui provient de la répétition du nom de Dieu, le Seigneur, et de l’image de son visage. En effet, pour être bénis, il faut demeurer en présence de Dieu, recevoir sur soi son Nom et rester dans le cône de lumière qui part de son visage, dans l’espace illuminé par son regard, qui répand grâce et paix.

C’est aussi l’expérience qu’ont fait les bergers de Bethléem, qui apparaissent encore dans l’Évangile d’aujourd’hui. Ils ont fait l’expérience de demeurer en présence de Dieu, de sa bénédiction, non pas dans la salle d’un palais majestueux, devant un grand souverain, mais dans une étable, devant un « nouveau-né couché dans une mangeoire » (Lc 2, 16). C’est justement de cet enfant que rayonne une lumière nouvelle, qui resplendit dans l’obscurité de la nuit, comme nous pouvons le voir sur de nombreux tableaux qui représentent la Nativité du Christ. C’est de lui, désormais, que vient la bénédiction : de son nom – Jésus, qui signifie « Dieu sauve » – et de son visage humain, en qui Dieu, le tout-puissant Seigneur du ciel et de la terre, a voulu s’incarner, cacher sa gloire sous le voile de notre chair, pour nous révéler pleinement sa bonté (cf. Tt 3, 4).

La première à être comblée de cette bénédiction a été Marie, la vierge, épouse de Joseph, que Dieu a choisie dès le premier instant de son existence pour être la mère de son Fils fait homme. Elle est « bénie entre toutes les femmes » (Lc 1, 42) – comme la salue sainte Élisabeth. Toute sa vie est dans la lumière du Seigneur, dans le rayon d’action du nom et du visage de Dieu incarné en Jésus, le « fruit béni de son sein ». C’est ainsi que nous la présente l’Évangile de Luc : retenant tous ces événements et méditant dans son cœur tout ce qui concernait son fils Jésus (cf. Lc 2, 19. 51). Le mystère de sa maternité divine, que nous célébrons aujourd’hui, renferme dans une mesure surabondante ce don de grâce que toute maternité humaine comporte, si bien que la fécondité du sein a toujours été associée à la bénédiction de Dieu. La Mère de Dieu est la première qui est bénie et elle est celle qui porte la bénédiction ; c’est la femme qui a accueilli Jésus en elle et qui lui a donné le jour pour toute la famille humaine. Comme prie la liturgie : « Gardant pour toujours la gloire de sa virginité, elle a donné au monde la lumière éternelle, Jésus Christ notre Seigneur » Préface de la B. V. Marie 1).

Marie est mère et modèle de l’Église qui accueille dans la foi la Parole divine et s’offre à Dieu comme « bonne terre » en qui Il peut continuer à accomplir son mystère de salut. L’Église aussi participe au mystère de la maternité divine, à travers la prédication, qui répand dans le monde la semence de l’Évangile, et qui, à travers les sacrements, communiquent aux hommes la grâce et la vie divine. En particulier, dans le sacrement du Baptême, l’Église vit cette maternité, quand elle engendre les fils de Dieu de l’eau et de l’Esprit Saint, qui en chacun d’eux crie : « Abbà ! Père ! » (Ga 4, 6). Comme Marie, l’Église est médiatrice de la bénédiction de Dieu pour le monde : elle la reçoit en accueillant Jésus et la transmet en portant Jésus. Il est lui la miséricorde et la paix que le monde ne peut se donner de lui-même et dont il a besoin toujours, comme et plus que du pain.

Chers amis, la paix, dans son sens le plus plein et le plus élevé, est la somme et la synthèse de toutes les bénédictions. C’est pourquoi, quand deux personnes amies se rencontrent, elles se saluent en se souhaitant mutuellement la paix. L’Église aussi, le premier jour de l’année, invoque de manière spéciale ce plus grand bien, et elle le fait, comme la Vierge Marie, en montrant à tous Jésus, car, comme l’affirme l’apôtre Paul, « il est notre paix » (Ep 2, 14) et, en même temps, il est le « chemin » par lequel les hommes et les peuples peuvent atteindre ce but, auquel tous aspirent. Avec, dans le cœur, ce désir profond, je suis donc heureux de vous accueillir et de vous saluer vous tous, qui au cours de cette 45ème Journée Mondiale de la Paix, êtes réunis dans la Basilique Saint Pierre : Messieurs les Cardinaux ; les Ambassadeurs de nombreux pays amis, qui, plus que jamais, en cette heureuse circonstance, partagent avec moi et avec le Saint-Siège la volonté de renouveler leur engagement pour la promotion de la paix dans le monde ; le Président du Conseil pontifical ‘Justice et Paix’, qui, avec le Secrétaire et les collaborateurs, travaille de façon spéciale dans ce but ; les autres Prélats et Autorités présents ; les représentants d’Associations et Mouvements ecclésiaux et vous tous, frères et sœurs, en particulier ceux d’entre vous qui travaillent dans le domaine de l’éducation des jeunes. En effet – comme vous le savez – la perspective éducative est celle que j’ai indiquée dans mon Message cette année.

« Éduquer les jeunes à la justice et à la paix » est une tâche qui concerne toutes les générations, et, grâce à Dieu, la famille humaine, après les drames des deux grandes guerres mondiales, a montré qu’elle en était toujours plus consciente, comme l’attestent, d’une part, des déclarations et initiatives internationales et, de l’autre, l’affirmation parmi les jeunes eux-mêmes, ces dernières décennies, de nombreuses et différentes formes d’engagement social dans ce domaine. Pour la communauté ecclésiale, éduquer à la paix rentre dans la mission reçue du Christ, fait partie intégrante de l’évangélisation, car l’Évangile du Christ est aussi l’Évangile de la justice et de la paix. Toutefois, ces derniers temps, l’Église s’est fait l’interprète d’une exigence qui engage toutes les consciences plus sensibles et responsables vis-à-vis des destinées de l’humanité : l’exigence de relever un défi décisif qui est justement le défi éducatif. Pourquoi un « défi » ? Pour deux raisons au moins : en premier lieu, parce que dans l’ère actuelle, fortement marquée par la mentalité technologique, vouloir éduquer et non seulement instruire ne va pas de soi, mais est un choix ; en deuxième lieu, parce que la culture relativiste pose une question radicale : est-ce qu’éduquer a encore un sens ?, et ensuite éduquer à quoi ?

Naturellement nous ne pouvons pas affronter maintenant ces questions de fond, auxquelles j’ai cherché à répondre à d’autres occasions. Je voudrais par contre souligner que, face aux ombres qui obscurcissent aujourd’hui l’horizon du monde, assumer la responsabilité d’éduquer les jeunes à la connaissance de la vérité, aux valeurs et aux vertus fondamentales, signifie considérer l’avenir avec espérance. Dans cet engagement pour une éducation intégrale, entre aussi la formation à la justice et à la paix. Les jeunes, garçons et filles, d’aujourd’hui grandissent dans un monde qui est devenu, pour ainsi dire, plus petit, où les contacts entre les différentes cultures et traditions, même s’ils ne sont pas toujours directs, sont constants. Pour eux, aujourd’hui plus que jamais, il est indispensable d’apprendre la valeur et la méthode de la coexistence pacifique, du respect réciproque, du dialogue et de la compréhension. De par leur nature, les jeunes sont ouverts à ces attitudes, mais justement la réalité sociale dans laquelle ils grandissent peut les amener à penser et à agir à l’inverse, de manière même intolérante et violente. Seule une solide éducation de leur conscience peut les mettre à l’abri de ces risques et les rendre capables de lutter sans cesse, en comptant seulement sur la force de la vérité et du bien. Cette éducation part de la famille et se développe à l’école et durant les autres expériences de formation. Il s’agit essentiellement d’aider les tout-petits, les enfants, les adolescents, à développer une personnalité qui unisse un profond sens de la justice au respect de l’autre, à la capacité d’affronter les conflits sans autoritarisme, à la force intérieure de témoigner le bien même lorsque cela coûte sacrifice, au pardon et à la réconciliation. Ils pourront ainsi devenir des hommes et des femmes vraiment pacifiques et constructeurs de paix.

Dans cette action éducative à l’égard des nouvelles générations, une responsabilité particulière incombe aussi aux communautés religieuses. Tout itinéraire de formation religieuse authentique conduit la personne, dès son plus jeune âge, à connaître Dieu, à l’aimer et à faire sa volonté. Dieu est amour, il est juste et pacifique, et quiconque veut l’honorer doit avant tout se comporter comme un fils qui suit l’exemple de son père. Un psaume affirme : « Le Seigneur fait œuvre de justice, il défend le droit des opprimés. (…) Le Seigneur est tendresse et pitié, lent à la colère et plein d’amour » (Ps 103, 6.8). En Dieu, justice et miséricorde cohabitent parfaitement, comme Jésus nous l’a démontré par le témoignage de sa vie. En Jésus, « amour et vérité » se sont rencontrées, « justice et paix » se sont embrassées (cf. Ps 85, 11). Ces jours-ci, l’Église célèbre le grand mystère de l’Incarnation : la vérité de Dieu a germé de la terre et, du ciel, s’est penchée la justice, la terre a donné son fruit (cf. Ps 85, 12.13). Dieu nous a parlé en son Fils Jésus. Écoutons ce que dit Dieu : « il annonce la paix » (Ps 85, 9). Jésus est un chemin praticable, ouvert à tous. Il est le chemin de la paix. Aujourd’hui la Vierge Mère nous l’indique, nous montre le chemin : suivons-la ! Et toi, Sainte Mère de Dieu, accompagne-nous de ta protection. Amen.

[00001-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

On the first day of the year, the liturgy resounds in the Church throughout the world with the ancient priestly blessing that we heard during today’s first reading: "The Lord bless you and keep you; the Lord make his face to shine upon you, and be gracious to you; the Lord lift up his countenance upon you and give you peace" (Num 6:24-26). This blessing was entrusted by God, through Moses, to Aaron and his sons, that is, to the priests of the people of Israel. It is a triple blessing filled with light, radiating from the repetition of the name of God, the Lord, and from the image of his face. In fact, in order to be blessed, we have to stand in God’s presence, take his Name upon us and remain in the cone of light that issues from his Face, in a space lit up by his gaze, diffusing grace and peace.

This was the very experience that the shepherds of Bethlehem had, who reappear in today’s Gospel. They had the experience of standing in God’s presence, they received his blessing not in the hall of a majestic palace, in the presence of a great sovereign, but in a stable, before a "babe lying in a manger" (Lk 2:16). From this child, a new light issues forth, shining in the darkness of the night, as we can see in so many paintings depicting Christ’s Nativity. Henceforth, it is from him that blessing comes, from his name – Jesus, meaning "God saves" – and from his human face, in which God, the almighty Lord of heaven and earth, chose to become incarnate, concealing his glory under the veil of our flesh, so as to reveal fully to us his goodness (cf. Tit 3:4).

The first to be swept up by this blessing was Mary the virgin, the spouse of Joseph, chosen by God from the first moment of her existence to be the mother of his incarnate Son. She is the "blessed among women" (Lk 1:42) – in the words of Saint Elizabeth’s greeting. Her whole life was spent in the light of the Lord, within the radius of his name and of the face of God incarnate in Jesus, the "blessed fruit of her womb". This is how Luke’s Gospel presents her to us: fully intent upon guarding and meditating in her heart upon everything concerning her son Jesus (cf. Lk 2:19, 51). The mystery of her divine motherhood that we celebrate today contains in superabundant measure the gift of grace that all human motherhood bears within it, so much so that the fruitfulness of the womb has always been associated with God’s blessing. The Mother of God is the first of the blessed, and it is she who bears the blessing; she is the woman who received Jesus into herself and brought him forth for the whole human family. In the words of the liturgy: "without losing the glory of virginity, [she] brought forth into the world the eternal light, Jesus Christ our Lord" (Preface I of the Blessed Virgin Mary).

Mary is the mother and model of the Church, who receives the divine Word in faith and offers herself to God as the "good soil" in which he can continue to accomplish his mystery of salvation. The Church also participates in the mystery of divine motherhood, through preaching, which sows the seed of the Gospel throughout the world, and through the sacraments, which communicate grace and divine life to men. The Church exercises her motherhood especially in the sacrament of Baptism, when she generates God’s children from water and the Holy Spirit, who cries out in each of them: "Abba, Father!" (Gal 4:6). Like Mary, the Church is the mediator of God’s blessing for the world: she receives it in receiving Jesus and she transmits it in bearing Jesus. He is the mercy and the peace that the world, of itself, cannot give, and which it needs always, at least as much as bread.

Dear friends, peace, in the fullest and highest sense, is the sum and synthesis of all blessings. So when two friends meet, they greet one another, wishing each other peace. The Church too, on the first day of the year, invokes this supreme good in a special way; she does so, like the Virgin Mary, by revealing Jesus to all, for as Saint Paul says, "He is our peace" (Eph 2:14), and at the same time the "way" by which individuals and peoples can reach this goal to which we all aspire. With this deep desire in my heart, I am glad to welcome and greet all of you who have come to Saint Peter’s Basilica on this 45th World Day of Peace: Cardinals, Ambassadors from so many friendly countries, who more than ever on this happy occasion share with me and with the Holy See the desire for renewed commitment to the promotion of peace in the world; the President of the Pontifical Council for Justice and Peace, who with the Secretary and the officials of the Dicastery work in a particular way towards this goal; the other Bishops and Authorities present; the representatives of ecclesial Associations and Movements and all of you, brothers and sisters, especially those among you who work in the field of educating the young. Indeed – as you know – the role of education is what I highlighted in my Message for this year.

"Educating Young People in Justice and Peace" is a task for every generation, and thanks be to God, after the tragedies of the two great world wars, the human family has shown increasing awareness of it, as we can witness, on the one hand, from international statements and initiatives, and on the other, from the emergence among young people themselves, in recent decades, of many different forms of social commitment in this field. For the ecclesial community, educating men and women in peace is part of the mission received from Christ, it is an integral part of evangelization, because the Gospel of Christ is also the Gospel of justice and peace. But the Church, in recent times, has articulated a demand that affects everyone with a sensitive and responsible conscience regarding humanity’s future; the demand to respond to a decisive challenge that consists precisely in education. Why is this a "challenge"? For at least two reasons: in the first place, because in the present age, so strongly marked by a technological mentality, the desire to educate and not merely to instruct cannot be taken for granted, it is a choice; in the second place, because the culture of relativism raises a radical question: does it still make sense to educate? And then, to educate for what?

Naturally now is not the time to address these fundamental questions, which I have tried to answer on other occasions. Instead I would like to underline the fact that, in the face of the shadows that obscure the horizon of today’s world, to assume responsibility for educating young people in knowledge of the truth, in fundamental values and virtues, is to look to the future with hope. And in this commitment to a holistic education, formation in justice and peace has a place. Boys and girls today are growing up in a world that has, so to speak, become smaller, where contacts between different cultures and traditions, even if not always direct, are constant. For them, now more than ever, it is indispensable to learn the importance and the art of peaceful coexistence, mutual respect, dialogue and understanding. Young people by their nature are open to these attitudes, but the social reality in which they grow up can lead them to think and act in the opposite way, even to be intolerant and violent. Only a solid education of their consciences can protect them from these risks and make them capable of carrying on the fight, depending always and solely on the power of truth and good. This education begins in the family and is developed at school and in other formative experiences. It is essentially about helping infants, children and adolescents to develop a personality that combines a profound sense of justice with respect for their neighbour, with a capacity to address conflicts without arrogance, with the inner strength to bear witness to good, even when it involves sacrifice, with forgiveness and reconciliation. Thus they will be able to become people of peace and builders of peace.

In this task of educating young generations, a particular responsibility lies with religious communities. Every pathway of authentic religious formation guides the person, from the most tender age, to know God, to love him and to do his will. God is love, he is just and peaceable, and anyone wishing to honour him must first of all act like a child following his father’s example. One of the Psalms says: "The Lord does deeds of justice, gives judgment for all who are oppressed ... The Lord is compassion and love, slow to anger and rich in mercy" (Ps 102:6,8). In God, justice and mercy come together perfectly, as Jesus showed us through the testimony of his life. In Jesus, "love and truth" have met, "justice and peace" have embraced (cf. Ps 84:11). In these days, the Church is celebrating the great mystery of the Incarnation: God’s truth has sprung from the earth and justice looks down from heaven, the earth has yielded its fruit (cf. Ps 84:12,13). God has spoken to us in his Son Jesus. Let us hear what God has to say: "a voice that speaks of peace" (Ps 84:9). Jesus is a way that can be travelled, open to everyone. He is the path of peace. Today the Virgin Mary points him out to us, she shows us the Way: let us walk in it! And you, Holy Mother of God, accompany us with your protection. Amen.

[00001-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

Am ersten Tag des Jahres läßt die Liturgie in der Kirche auf der ganzen Welt den alten priesterlichen Segen wieder erklingen, den wir in der ersten Lesung gehört haben. „Der Herr segne dich und behüte dich. Der Herr lasse sein Angesicht über dich leuchten und sei dir gnädig. Der Herr wende sein Angesicht dir zu und schenke dir Heil" (Num 6,24-26). Durch die Vermittlung von Mose wurde dieser Segen Aaron und seinen Söhnen, das heißt den Priestern des Volkes Israel, von Gott anvertraut. Es ist ein dreifacher Wunsch voller Licht, der von der Wiederholung des Namens Gottes, des Herrn, und vom Bild seines Angesichts ausströmt. In der Tat, um gesegnet zu werden, muß man in der Gegenwart Gottes sein, seinen Namen über sich empfangen und im Strahl des Lichtes bleiben, das von seinem Antlitz ausgeht, an dem Ort, der von seinem Blick, der Gnade und Friede verströmt, erleuchtet wird.

Dies ist die Erfahrung, die auch die Hirten von Bethlehem, die uns im heutigen Evangelium noch einmal begegnen, gemacht haben. Sie haben die Erfahrung gemacht, in der Gegenwart Gottes zu sein, unter seinem Segen zu stehen nicht im Saal eines imposanten Palastes oder im Angesicht eines großen Herrschers, sondern in einem Stall, vor einem „Kind, das in der Krippe lag" (Lk 2,16). Gerade von diesem Kind strahlt ein neues Licht aus, das im Dunkel der Nacht leuchtet, wie wir auf vielen Gemälden, die die Geburt Christi darstellen, sehen können. Und von ihm kommt nun der Segen: von seinem Namen – Jesus, das bedeutet: „Gott rettet" – und von seinem menschlichem Angesicht, in dem Gott, der allmächtige Herr des Himmels und der Erde, Fleisch annehmen und seine Herrlichkeit unter dem Schleier unseres Fleisches verbergen wollte, um uns seine Güte vollends zu offenbaren (vgl. Tit 3,4).

Die erste, die mit diesem Segen erfüllt wurde, war die Jungfrau Maria, die Braut des Josef, die Gott im voraus vom ersten Augenblick ihrer Existenz an dazu erwählt hat, die Mutter seines menschgewordenen Sohnes zu werden. Sie ist die „Gesegnete unter den Frauen" (vgl. Lk 1,42) – wie sie die heilige Elisabeth grüßt. Ihr ganzes Leben ist im Licht des Herrn, im Wirkungsbereich des Namens und des Antlitzes Gottes, der in Christus Mensch geworden ist, der „gesegneten Frucht ihres Leibes". So stellt sie uns das Lukasevangelium vor: ganz darauf ausgerichtet, in ihrem Herzen alles, was ihren Sohn Jesus betrifft, zu bewahren und zu bedenken (vgl. Lk 2,19.51). Das Geheimnis ihrer göttlichen Mutterschaft, das wir heute feiern, enthält in überreichem Maße jenes Geschenk der Gnade, das jede menschliche Mutterschaft in sich trägt, so sehr, daß die Fruchtbarkeit des Mutterschoßes immer in Verbindung mit dem Segen Gottes gesehen wurde. Die Mutter Gottes ist die erste Gesegnete, und sie ist es, die den Segen bringt; sie ist die Frau, die Jesus in sich aufgenommen hat und ihn für die ganze Menschheitsfamilie geboren hat. So beten wir in der Liturgie: „Im Glanz unversehrter Jungfräulichkeit hat sie der Welt das ewige Licht geboren, unseren Herrn Jesus Christus" (Marienpräfation I).

Maria ist Mutter und Urbild der Kirche, die in ihrem Glauben das göttliche Wort aufnimmt und sich Gott darbietet als „guter Boden", in dem er sein Geheimnis der Erlösung weiter vollbringen kann. Auch die Kirche hat teil am Geheimnis der göttlichen Mutterschaft mittels der Verkündigung, die in der ganzen Welt den Samen des Evangeliums aussät, und mittels der Sakramente, die den Menschen die Gnade und das göttlichen Leben schenken. Insbesondere im Sakrament der Taufe lebt die Kirche diese Mutterschaft, wenn sie Kinder Gottes hervorbringt aus dem Wasser und dem Heiligen Geist, der in jedem von ihnen „Abba! Vater!" (Gal 4,6) ruft. Wie Maria ist die Kirche Mittlerin des Segens Gottes für die Welt: Sie empfängt den Segen, da sie Jesus aufnimmt, und sie teilt ihn mit, indem sie Jesus bringt. Jesus ist die Barmherzigkeit und der Friede, den sich die Welt aus sich heraus nicht geben kann und den sie immer wie und viel mehr als das Brot braucht.

Liebe Freunde, der Friede in seinem vollen und tieferen Sinn ist die Summe und die Zusammenfassung allen Segens. Deshalb grüßen sich zwei befreundete Menschen, wenn sie sich treffen, und wünschen dabei einander den Frieden. Auch die Kirche ruft am ersten Tag des Jahres in besonderer Weise dieses höchste Gut herab; und sie tut das wie die Jungfrau Maria, indem sie allen Jesus zeigt., Denn „er ist unser Friede (Eph 2,14), wie der Apostel Paulus betont, und zugleich ist er selbst der „Weg", über den die Menschen und Völker dieses Ziel, nach dem wir alle streben, erreichen können. Mit diesem tiefen Wunsch im Herzen freue ich mich, euch alle hier zu grüßen und willkommen zu heißen, die ihr heute zum 45. Weltfriedenstag im Petersdom zusammengekommen seid: die Herren Kardinäle; die Botschafter vieler befreundeter Länder, die bei diesem erfreulichen Anlaß mehr denn je mit mir und dem Heiligen Stuhl den Willen teilen, die Bemühungen zur Förderung des Friedens in der Welt zu erneuern; den Präsidenten des Päpstlichen Rates für Gerechtigkeit und Frieden, der mit dem Sekretär und den Mitarbeitern in besonderer Weise für dieses Ziel arbeitet; alle anderen anwesenden Bischöfe und Autoritäten; die Vertreter der Vereinigungen und kirchlichen Bewegungen und euch alle, Brüder und Schwestern, besonders jene, die von euch im Bereich der Jugenderziehung arbeiten. Denn ich habe, wie ihr wißt, in meiner diesjährigen Botschaft auf den Aspekt der Erziehung hingewiesen.

„Die Jugend zur Gerechtigkeit und zum Frieden zu erziehen" ist eine Aufgabe, die jede Generation betrifft, und, Gott sei Dank, hat die Menschheitsfamilie nach den Tragödien von zwei großen Weltkriegen gezeigt, daß sie sich dessen immer mehr bewußt ist. Dies bestätigen einerseits internationale Erklärungen und Initiativen, andererseits die Tatsache, daß in den letzen Jahrzehnten bei den Jungendlichen selbst viele und verschiedene Formen des gesellschaftlichen Einsatzes auf diesem Gebiet zu finden sind. Für die kirchliche Gemeinschaft gehört die Erziehung zum Frieden zu der von Christus erhaltenen Sendung und ist integraler Bestandteil der Evangelisation, denn das Evangelium Christi ist auch das Evangelium der Gerechtigkeit und des Friedens. Die Kirche aber hat sich in letzter Zeit zum Sprachrohr einer Forderung gemacht, die alle betrifft, die dem Los der Menschheit gegenüber ein feineres und verantwortungsvolleres Gewissen haben, nämlich der entscheidenden Herausforderung zu entsprechen, die eben in der Erziehung besteht. Warum „Herausforderung"? Zumindest aus zweierlei Gründen: erstens, weil in der gegenwärtigen Zeit, die stark von einer technologischen Mentalität geprägt ist, erziehen und nicht bloß unterrichten zu wollen nicht selbstverständlich ist, sondern eine Entscheidung darstellt; zweitens, weil die relativistische Kultur eine radikale Frage stellt: Hat es noch einen Sinn, zu erziehen?, und dann: Zu welchem Ziel erziehen?

Natürlich können wir jetzt auf diese Kernfragen, die ich bei anderer Gelegenheit zu beantworten versucht habe, nicht eingehen. Ich möchte aber folgendes hervorheben: Angesichts der Schatten, die heute den Horizont der Welt verdunkeln, die Verantwortung zu übernehmen, Jugendliche zur Kenntnis der Wahrheit, der grundlegenden Werte und Tugenden zu erziehen, bedeutet mit Hoffnung in die Zukunft zu blicken. Und zu diesem Einsatz für eine ganzheitliche Bildung gehört auch die Erziehung zu Gerechtigkeit und Frieden. Die Jungen und Mädchen von heute wachsen in einer Welt auf, die sozusagen kleiner geworden ist, in der beständige, wenn auch nicht immer direkte Kontakte zwischen den verschiedenen Kulturen und Traditionen bestehen. Für sie ist es heute mehr denn je unerläßlich, den Wert und den Weg des friedlichen Zusammenlebens, der gegenseitigen Achtung, des Dialogs und des Verstehens zu lernen. Die Jungendlichen sind von ihrer Natur her offen für diese Haltung, doch können gerade die gesellschaftlichen Gegebenheiten, in denen sie aufwachsen, sie dazu bringen, in ihrem Denken und Handeln eine entgegengesetzte, sogar intolerante und gewalttätige Weise anzunehmen. Nur eine solide Gewissensbildung kann sie vor diesen Risiken bewahren und dazu befähigen, immer und allein im Vertrauen auf die Kraft der Wahrheit und des Guten zu kämpfen. Diese Erziehung beginnt in der Familie und setzt sich weiter fort in der Schule und in den anderen charakterbildenden Erfahrungen. Es geht wesentlich darum, den Kindern, Jugendlichen und Heranwachsenden zu helfen, eine Persönlichkeit zu entwickeln, die einen tiefen Sinn für Gerechtigkeit mit der Achtung vor dem anderen verbindet, mit der Fähigkeit, Konflikten ohne Anmaßung zu begegnen, mit der inneren Kraft, das Gute zu bezeugen, selbst wenn es Opfer kostet, sowie mit der Vergebung und Versöhnung. So können sie Männer und Frauen werden, die wahrhaft friedfertig und Friedensstifter sind.

In dieser Erziehungsarbeit gegenüber den neuen Generationen kommt auch den Religionsgemeinschaften eine besondere Verantwortung zu. Jeder Weg einer echten religiösen Bildung begleitet den Menschen von frühester Kindheit an, damit er lernt, Gott zu erkennen, ihn zu lieben und seinen Willen zu tun. Gott ist die Liebe, er ist gerecht und friedfertig, und wer ihn ehren möchte, muß sich vor allem wie ein Kind verhalten, das dem Beispiel des Vaters folgt. Ein Psalm sagt: „Der Herr vollbringt Taten des Heiles, Recht verschafft er allen Bedrängten. … Der Herr ist barmherzig und gnädig, langmütig und reich an Güte" (Ps 103,6.8). In Gott wohnen Gerechtigkeit und Friede vollkommen, wie Jesus uns durch das Zeugnis seines Lebens gezeigt hat. In Jesus sind „Liebe und Wahrheit" einander begegnet, haben sich „Gerechtigkeit und Friede" geküßt (Ps 85,11). In diesen Tagen feiert die Kirche das große Geheimnis der Menschwerdung: Die Wahrheit Gottes ist aus der Erde hervorgesprossen, und die Gerechtigkeit hat vom Himmel hernieder geblickt, die Erde hat ihren Ertrag gegeben (Ps 85,12.13). Gott hat in seinem Sohn Jesus zu uns gesprochen. Hören wir, was Gott sagt: „Frieden verkündet der Herr" (Ps 85,9). Jesus ist ein gangbarer Weg, der allen offen steht. Er ist der Weg des Friedens. Heute weist die Jungfrau und Mutter auf ihn hin, sie zeigt uns den Weg: Folgen wir ihm! Und du, heilige Mutter Gottes, begleite uns mit deinem Schutz. Amen.

[00001-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas

En el primer día del año, la liturgia hace resonar en toda la Iglesia extendida por el mundo la antigua bendición sacerdotal que hemos escuchado en la primera lectura: «El Señor te bendiga y te proteja, ilumine su rostro sobre ti y te conceda su favor. El Señor se fije en ti y te conceda la paz» (Nm 6,24-26). Dios, por medio de Moisés, confió esta bendición a Aarón y a sus hijos, es decir, a los sacerdotes del pueblo de Israel. Es un triple deseo lleno de luz, que brota de la repetición del nombre de Dios, el Señor, y de la imagen de su rostro. En efecto, para ser bendecidos hay que estar en la presencia de Dios, recibir su Nombre y permanecer bajo el haz de luz que procede de su rostro, en el espacio iluminado por su mirada, que difunde gracia y paz.

Los pastores de Belén, que aparecen de nuevo en el Evangelio de hoy, tuvieron esta misma experiencia. La experiencia de estar en la presencia de Dios, de su bendición, no en la sala de un palacio majestuoso, ante un gran soberano, sino en un establo, delante de un «niño acostado en el pesebre» (Lc 2,16). De ese niño proviene una luz nueva, que resplandece en la oscuridad de la noche, como podemos ver en tantas pinturas que representan el Nacimiento de Cristo. La bendición, en efecto, viene de él: de su nombre, Jesús, que significa «Dios salva», y de su rostro humano, en el que Dios, el Omnipotente Señor del cielo y de la tierra, ha querido encarnarse, esconder su gloria bajo el velo de nuestra carne, para revelarnos plenamente su bondad (cf. Tt 3,4).

María, la virgen, esposa de José, que Dios ha elegido desde el primer instante de su existencia para ser la madre de su Hijo hecho hombre, ha sido la primera en ser colmada de esta bendición. Ella, según el saludo de santa Isabel, es «bendita entre las mujeres» (Lc 1,42). Toda su vida está iluminada por el Señor, bajo el radio de acción del nombre y el rostro de Dios encarnado en Jesús, el «fruto bendito de su vientre». Así nos la presenta el Evangelio de Lucas: completamente dedicada a conservar y meditar en su corazón todo lo que se refiere a su hijo Jesús (cf. Lc 2,19.51). El misterio de su maternidad divina, que celebramos hoy, contiene de manera sobreabundante aquel don de gracia que toda maternidad humana lleva consigo, de modo que la fecundidad del vientre se ha asociado siempre a la bendición de Dios. La Madre de Dios es la primera bendecida y quien porta la bendición; es la mujer que ha acogido a Jesús y lo ha dado a luz para toda la familia humana. Como reza la Liturgia: «Y, sin perder la gloria de su virginidad, derramó sobre el mundo la luz eterna, Jesucristo, Señor nuestro» (Prefacio I de Santa María Virgen).

María es madre y modelo de la Iglesia, que acoge en la fe la Palabra divina y se ofrece a Dios como «tierra fecunda» en la que él puede seguir cumpliendo su misterio de salvación. También la Iglesia participa en el misterio de la maternidad divina mediante la predicación, que siembra por el mundo la semilla del Evangelio, y mediante los sacramentos, que comunican a los hombres la gracia y la vida divina. La Iglesia vive de modo particular esta maternidad en el sacramento del Bautismo, cuando engendra hijos de Dios por el agua y el Espíritu Santo, el cual exclama en cada uno de ellos: «Abbà, Padre» (Ga 4,6). La Iglesia, al igual que María, es mediadora de la bendición de Dios para el mundo: la recibe acogiendo a Jesús y la transmite llevando a Jesús. Él es la misericordia y la paz que el mundo por sí mismo no se puede dar y que necesita siempre, tanto o más que el pan.

Queridos amigos, la paz, en su sentido más pleno y alto, es la suma y la síntesis de todas las bendiciones. Por eso, cuando dos personas amigas se encuentran se saludan deseándose mutuamente la paz. También la Iglesia, en el primer día del año, invoca de modo especial este bien supremo, y, al igual que la Virgen María, lo hace mostrando a todos a Jesús, ya que, como afirma el apóstol Pablo, «él es nuestra paz» (Ef 2,14), y al mismo tiempo es el «camino» por el que los hombres y los pueblos pueden alcanzar esta meta, a la que todos aspiramos. Así pues, con este deseo profundo en el corazón, me alegra acogeros y saludaros a todos los que habéis venido a esta Basílica de San Pedro en esta XLV Jornada Mundial de la Paz: a los Señores Cardenales; los Embajadores de tantos países amigos que, más que nunca en esta ocasión comparten conmigo y con la Santa Sede la voluntad de renovar el compromiso por la promoción de la paz en el mundo; al Presidente del Consejo Pontificio «Justicia y Paz» que, junto con el Secretario y los colaboradores, trabajan de modo especial para esta finalidad; los demás Obispos y Autoridades presentes; a los representantes de las Asociaciones y Movimientos eclesiales y a todos vosotros, queridos hermanos y hermanas, de modo particular los que trabajáis en el campo de la educación de los jóvenes. En efecto, como bien sabéis, mi Mensaje de este año sigue una perspectiva educativa.

«Educar a los jóvenes en la justicia y la paz» es la tarea que atañe a cada generación y, gracias a Dios, la familia humana, después de las tragedias de las dos grandes guerras mundiales, ha mostrado tener cada vez más conciencia de ello, como lo demuestra, por una parte las declaraciones e iniciativas internaciones y, por otra, la consolidación entre los mismos jóvenes, en los últimos decenios, de muchas y diferentes formas de compromiso social en este campo. Educar en la paz forma parte de la misión que la Comunidad eclesial ha recibido de Cristo, forma parte integrante de la evangelización, porque el Evangelio de Cristo es también el Evangelio de la justicia y la paz. Pero la Iglesia en los últimos tiempos se ha hecho portavoz de una exigencia que implica a las conciencias más sensibles y responsables por la suerte de la humanidad: la exigencia de responder a un desafío tan decisivo como es el de la educación. ¿Por qué «desafío»? Al menos por dos motivos: en primer lugar, porque en la era actual, caracterizada fuertemente por la mentalidad tecnológica, querer no solo instruir sino educar es algo que no se puede dar por descontado sino que supone una elección; en segundo lugar, porque la cultura relativista plantea una cuestión radical: ¿Tiene sentido todavía educar? Y, al fin y al cabo, ¿para qué educar?

Lógicamente no podemos abordar ahora estas preguntas de fondo, a las que ya he tratado de responder en otras ocasiones. En cambio, quisiera subrayar que, frente a las sombras que hoy oscurecen el horizonte del mundo, asumir la responsabilidad de educar a los jóvenes en el conocimiento de la verdad, en los valores y en las virtudes fundamentales, significa mirar al futuro con esperanza. La formación en la justicia y la paz tiene que ver también con este compromiso por una educación integral. Hoy, los jóvenes crecen en un mundo que se ha hecho, por decirlo así, más pequeño, y en donde los contactos entre las diferentes culturas y tradiciones son constantes, aunque no sean siempre inmediatos. Para ellos es hoy más que nunca indispensable aprender el valor y el método de la convivencia pacífica, del respeto recíproco, del diálogo y la comprensión. Por naturaleza, los jóvenes están abiertos a estas actitudes, pero precisamente la realidad social en la que crecen los puede llevar a pensar y actuar de manera contraria, incluso intolerante y violenta. Solo una sólida educación de sus conciencias los puede proteger de estos riesgos y hacerlos capaces de luchar contando siempre y solo con la fuerza de la verdad y el bien. Esta educación parte de la familia y se desarrolla en la escuela y en las demás experiencias formativas. Se trata esencialmente de ayudar a los niños, los muchachos, los adolescentes, a desarrollar una personalidad que combine un profundo sentido de justicia con el respeto del otro, con la capacidad de afrontar los conflictos sin prepotencia, con la fuerza interior de dar testimonio del bien también cuando comporta un sacrificio, con el perdón y la reconciliación. Así podrán llegar a ser hombres y mujeres verdaderamente pacíficos y constructores de paz.

En esta labor educativa de las nuevas generaciones, una responsabilidad particular corresponde también a las comunidades religiosas. Todo itinerario de formación religiosa auténtica acompaña a la persona, desde su más tierna edad, a conocer a Dios, a amarlo y hacer su voluntad. Dios es amor, es justo y pacífico, y quien quiera honrarlo debe comportarse sobre todo como un hijo que sigue el ejemplo del padre. Un salmo afirma: «El Señor hace justicia y defiende a todos los oprimidos … El Señor es compasivo y misericordioso, lento a la ira y rico en clemencia» (Sal 103,6.8). Como Jesús nos ha demostrado con el testimonio de su vida, justicia y misericordia conviven en Dios perfectamente. En Jesús «la misericordia y la fidelidad» se encuentran, «la justicia y la paz» se besan (cf. Sal 85,11). En estos días la Iglesia celebra el gran misterio de la encarnación: la verdad de Dios ha brotado de la tierra y la justicia mira desde el cielo, la tierra ha dado su fruto (cf. Sal 85,12.13). Dios nos ha hablado en su Hijo Jesús. Escuchemos lo que nos dice Dios: Él «anuncia la paz» (Sal 85,9). Jesús es un camino transitable, abierto a todos. La Virgen María hoy nos lo indica, nos muestra el camino: ¡Sigámosla! Y tú, Madre Santa de Dios, acompáñanos con tu protección. Amén.

[00001-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos irmãos e irmãs!

No primeiro dia do ano, a liturgia faz ressoar em toda a Igreja estendida pelo mundo inteiro a antiga bênção sacerdotal, que ouvimos na primeira Leitura: «o Senhor te abençoe e te guarde! O Senhor faça brilhar sobre ti a sua face, e se compadeça de ti! O Senhor volte para ti o seu rosto e te dê a paz!» (Nm 6, 24-26). Esta bênção foi dada por Deus através de Moisés, a Aarão e aos seus filhos, ou seja, aos sacerdotes do povo de Israel. É um tríplice voto cheio de luz que brota da repetição do nome de Deus, o Senhor, e da imagem de seu rosto. Na verdade, para ser abençoado é necessário estar na presença de Deus, receber sobre si o Nome d'Ele e permanecer no feixe de luz que parte do seu rosto, no espaço iluminado pelo seu olhar, que difunde a graça e a paz.

Esta é também a experiência que fizeram os pastores de Belém, que aparecem de novo no Evangelho de hoje. Eles fizeram a experiência de estarem na presença de Deus, da sua bênção, não em um salão de um Palácio majestoso, na presença de um grande soberano, mas em um estábulo, diante de um "recém-nascido deitado na manjedoura" (Lc 2.16). É justamente desse menino que se irradia uma nova luz que brilha na escuridão da noite, como podemos ver em muitas pinturas que representam o Nascimento de Cristo. Agora, é d'Ele que nos vem a bênção: do seu nome – Jesus, que significa "Deus salva" – e do seu rosto humano, no qual Deus, o Todo-poderoso, Senhor do céu e da terra, quis se encarnar, ocultando a sua glória sob o véu da nossa carne, para nos revelar plenamente a sua bondade (cf. Tt 3,4).

Maria, a Virgem, esposa de José, a quem Deus escolheu desde o primeiro momento da sua existência para ser a mãe do seu Filho feito homem foi a primeira a ser preenchida por esta bênção. Ela, como a saúda Santa Isabel, é a "bendita entre as mulheres" (Lc 1,42). Toda a sua vida está na luz do Senhor, no âmbito do nome e do rosto de Deus encarnado em Jesus, o «fruto bendito do seu ventre». O Evangelho de Lucas nos apresenta Maria deste modo: totalmente dedicada a conservar e meditar no seu coração tudo o que diz respeito ao seu filho Jesus (cf. Lc 2, 19.51). O mistério da sua maternidade divina, que hoje celebramos, possui de modo superabundante aquele dom da graça que toda maternidade humana traz consigo: de fato, a fecundidade do ventre sempre foi associada com a bênção de Deus. A Mãe de Deus é a primeira abençoada e é aquela que traz a bênção; Ela é a mulher que acolheu Jesus em si e o deu à luz para toda a família humana. Como reza a Liturgia: «permanecendo virgem, deu ao mundo a luz eterna, Jesus Cristo Senhor nosso» (Prefácio da Virgem Maria, I).

Maria é mãe e modelo da Igreja, que acolhe na fé a Palavra divina e se oferece a Deus como " terra fecunda" onde Ele pode continuar a cumprir o seu mistério de salvação. A Igreja, através da pregação, que espalha pelo mundo a semente do Evangelho, e através dos sacramentos, que transmitem aos homens graça e vida divina, também participa do mistério da maternidade divina. A Igreja vive esta maternidade, de modo particular, no Sacramento do Batismo, ao gerar os filhos de Deus da água e do Espírito Santo, que em cada um deles exclama: "Abba! Pai"! (Gal 4.6). Como Maria, a Igreja é mediadora da bênção de Deus para o mundo: acolhendo Jesus recebe a bênção e a transmite levando Jesus aos demais. Ele é a misericórdia e a paz que o mundo não pode dar para si mesmo e que o mundo precisa sempre, tanto e mais do que pão.

Queridos amigos, a paz, em seu sentido mais amplo e elevado, é a soma e a síntese de todas as bênçãos. Por isso, quando dois amigos se encontram cumprimentam-se desejando mutuamente a paz. A Igreja, no primeiro dia do ano, também invoca de maneira especial este sumo bem e o faz, como a Virgem Maria, mostrando a todos Jesus, porque, como afirma o Apóstolo Paulo: "Ele é a nossa paz" (Ef 2,14) e, ao mesmo tempo, é o "caminho" através do qual homens e povos podem alcançar esta meta que todos aspiramos. Assim, trazendo no coração este desejo profundo, tenho o prazer de dar boas-vindas e cumprimentar todos vós, que vos reunistes na Basílica de São Pedro neste XLV Dia Mundial da Paz: Senhores Cardeais; Embaixadores de tantos países amigos que, mais do que nunca, nesta feliz ocasião, compartilham comigo e com a Santa Sé a vontade de renovar o compromisso pela promoção da paz no mundo; o Presidente do Pontifício Conselho «Justiça e Paz», que junto com o Secretário e os colaboradores trabalham de maneira especial para este fim; os demais Bispos e Autoridades presentes; representantes de Associações e Movimentos eclesiais e todos vós, irmãos e irmãs, especialmente aqueles que trabalham no campo da educação da juventude. Na verdade - como já sabeis – escolhi o tratar do tema da educação na minha Mensagem deste ano.

"Educar os jovens para a justiça e a paz" é a tarefa que diz respeito a todas as gerações, e, graças a Deus, a família humana, após as tragédias das duas grandes guerras mundiais, tem demonstrado ser cada vez mais consciente disso, como evidencia, por um lado, declarações e iniciativas internacionais e, por outro, a consolidação entre os jovens, nas últimas décadas, de muitas e diferentes formas de compromisso social neste campo. Para a Comunidade eclesial educar para a paz é parte da missão recebida de Cristo; é parte integrante da evangelização, porque o Evangelho de Cristo é também o Evangelho da justiça e da paz. Mas, ultimamente, a Igreja tem se tornado intérprete de uma exigência que abarca todas as consciências mais sensíveis e responsáveis pelo destino da humanidade: a necessidade de responder a um desafio decisivo que é precisamente o da educação. Por que "desafio"? Pelo menos por duas razões: em primeiro lugar, porque na era atual, fortemente caracterizada pela mentalidade tecnológica a vontade de educar e não só instruir não é um dado óbvio, mas é uma escolha; em segundo lugar, porque a cultura relativista apresenta uma questão radical: ainda tem sentido educar? E, educar para que?

É claro que não podemos abordar agora estas questões básicas, as quais já tratei de responder em outras ocasiões. Por outro lado, gostaria de salientar que, confrontados com as sombras que hoje obscurecem o horizonte do mundo, assumir a responsabilidade de educar os jovens para o conhecimento da verdade, para os valores e virtudes fundamentais, significa olhar para o futuro com esperança. E esse compromisso com uma educação integral significa também saber formar para a justiça e a paz. Hoje, os jovens estão crescendo em um mundo que se tornou, por assim dizer, menor, onde os contatos entre diferentes culturas e tradições, embora nem sempre diretos, são constantes. Para eles, agora mais do que nunca, é essencial aprender o valor e a forma da convivência pacífica, do respeito mútuo, do diálogo e da compreensão. Os jovens são por natureza abertos a estas atitudes, mas justamente a realidade social em que crescem pode levá-los a pensar e agir de forma oposta, até mesmo intolerante e violenta. Somente uma sólida educação das suas consciências pode protegê-los contra esses riscos e tornar-lhes capazes de sempre lutar contando somente com a força da verdade e do bem. Esta educação parte da família e se desenvolve na escola e demais experiências educacionais. Basicamente, trata-se de ajudar as crianças, os jovens e os adolescentes a desenvolverem uma personalidade que combine um profundo senso de justiça com o respeito pelo outro, com a capacidade de lidar com os conflitos sem arrogância, com a força interior para dar testemunho do bem, mesmo quando isso custa sacrifício, com o perdão e a reconciliação. Dessa forma, poderão tornar-se homens e mulheres realmente pacíficos e construtores da paz.

Nesta obra educativa das novas gerações, as comunidades religiosas também têm uma responsabilidade especial. Toda de formação religiosa genuína deve acompanhar a pessoa, desde a primeira infância, para ajudá-la conhecer a Deus, amá-Lo e fazer a sua vontade. Deus é amor, é justo e pacífico, e aqueles que querem honrá-Lo devem, em primeiro lugar, comportar-se como um filho que segue o exemplo de seu pai. Há um Salmo que afirma: «o Senhor realiza obras de justiça / e garante o direito aos oprimidos; … O Senhor é indulgente e favorável, / é paciente, é bondoso e compassivo» (Sal 103, 6.8). Em Deus justiça e misericórdia convivem perfeitamente, como Jesus nos mostrou com o testemunho de sua vida. Em Jesus «amor e verdade» se encontraram, «justiça e paz» se abraçaram (cf. Sal 85.11). Nestes dias a Igreja celebra o grande mistério da Encarnação: a fidelidade de Deus brotou da terra e justiça olhou dos altos céus, a terra deu sua colheita (cf. Sal 85, 12.13). Deus nos falou no seu filho Jesus. Escutemos o que Deus diz: "Ele anuncia a paz" (Sal 85.9). Jesus é o caminho que podemos seguir, aberto para todos. É o caminho da paz. Hoje, a Virgem Mãe, nos indica, nos mostra o caminho: sigamo-la! E Vós, Santa Mãe de Deus, acompanha-nos com a vossa proteção. Amém.

[00001-06.01] [Texto original: Italiano]

[B0001-XX.05]