CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2012) ● INTERVENTO DEL CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON
● INTERVENTO DI S.E. MONS. MARIO TOSO, S.D.B.
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 45a Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2012) sul tema: Educare i giovani alla giustizia e alla pace.
Intervengono l’Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B., Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DEL CARD. PETER KODWO APPIAH TURKSON
Introduzione
L’inizio dell’ anno 2011, come è noto a tutti, è stato segnato da una serie di manifestazioni dei giovani in quasi tutte le capitali europee e in alcune capitali del Continente americano. L’anno nuovo è così iniziato in un clima di pessimismo e sfiducia.
Il Santo Padre riconosce che anche «nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno» (n. 1).
Queste parole cariche di preoccupazione e di paterna vicinanza definiscono il senso profondo del Messaggio del Santo Padre in occasione della XLV Giornata mondiale della Pace 2012. Ma, contrariamente all’atteggiamento di disperazione prevalente, il Santo Padre attinge alla fonte della fiducia e della speranza: attinge al messaggio del Natale di Cristo, per augurare all’umanità, con affetto e fiducia, un nuovo anno di speranza, segnato dalla giustizia e dalla pace, e desidera presentare i giovani come i principali protagonisti di questi atteggiamenti.
Il Papa e la chiesa condividono l’attesa di un’Aurora di Speranza
Per il Santo Padre, «in questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora [..]. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: ‘Educare i giovani alla giustizia e alla pace’, nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo» (ibid.).
Il Papa, in questo senso, riconosce, comprende a fondo e presenta i problemi, i dilemmi che colpiscono le giovani generazioni e le nostre società (difficoltà nell’accesso alla formazione e al lavoro, nell’inserimento nel mondo della politica, della cultura e dell’economia); ma il suo intento non si ferma alla descrizione dello status quo. Egli, infatti, dall’inizio alla fine incoraggia, offre un orizzonte di forte speranza: e parlare di speranza vuol dire parlare di futuro. Ma tale futuro non è inteso dal Papa come fosse una sorta di chimera utopistica, un’ideologia che promette una vaga salvezza: è, invece, una visione ben radicata nel passato e nel presente. E’, insomma, un pensiero variegato e realistico, che non è – aggiungo – formale esercizio intellettuale – ma elaborazione che si nutre di una straordinaria partecipazione affettiva da parte del Pontefice e della Chiesa tutta verso i giovani.
Nonostante le difficoltà del presente, il Papa guarda comunque e sempre al futuro, cioè, a Dio; e, così facendo (con l’aiuto di Dio), offre una posizione che contrasta pienamente con il dilagante nichilismo che schiaccia l’essere umano su un presente ignoto, svuotandolo di ogni motivazione e traguardo, inaridendogli ogni fiducia: anche in se stesso.
Per i giovani l’Aurora di Speranza si attualizza attraverso l’Educazione
I giovani, in questo contesto, non sono però corpi isolati, per così dire un gruppo svincolato dal resto della società, ma costituiscono una parte attiva, la parte più vitale della famiglia umana e, proprio per questo, vanno inclusi e ascoltati nelle loro preoccupazioni, nelle loro giuste richieste troppo spesso colpevolmente disattese.
«Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale» (ibid.).
Ed ecco come il Pontefice introduce un concetto-chiave del Suo Messaggio: quello del protagonismo dei giovani e della contestualizzazione delle questioni che vanno affrontate in comunità, poiché è l’intera comunità ad esserne colpita.
Ed ecco dove s’inserisce il tema dell’educazione. Come si legge nell’enciclica Caritas in veritate, il mondo oggi soffre di una "carenza di pensiero" (Caritas in veritate, 19). Questo genera l’oscura minaccia dell’emergenza educativa che esige un intervento ampio e forte su più livelli. Così, la solidarietà intergenerazionale necessita di un processo educativo che coinvolge tanti attori (cfr n. 2): la famiglia, in primo luogo; le istituzioni educative, i responsabili politici, il mondo dei media e della produzione culturale e i giovani stessi: non dobbiamo trascurare, infatti, che gran parte delle conoscenze che i giovani acquisiscono, le ricevono dai loro coetanei più di quanto in genere non si pensi.
Educazione alla Giustizia e alla Pace
Ebbene, forte di questa consapevolezza, direi di questa saggezza che proviene dalle molteplici iniziative della Chiesa cattolica, il Santo Padre propone il suo progetto di educazione dei giovani scegliendo due pilastri intorno ai quali strutturare e far fiorire tale prospettiva: l’educazione alla giustizia e l’educazione alla pace.
Solo l’educazione, la paziente e costante formazione, possono dare forza, offrire prospettiva all’esistenza di ciascuno. E tale processo, che non può non presupporre il regolare dialogo, la costante ricerca, dunque il fondamento solido della libertà di pensiero e di coscienza, non può compiersi se non in comunità: ed ecco la ragione per la quale il Papa rivolge il suo Messaggio anche agli attori principali dei quali si è detto.
Ancora: il Papa e la Chiesa non vedono i giovani solo come soggetti detentori di diritti o, in altri termini, solo come soggetti passivi che devono ricevere qualcosa. La Chiesa, infatti, li vede protagonisti, coltiva una formidabile fiducia in loro, li incoraggia, crede fermamente in essi, vuole che i giovani siano primari interpreti, li invita all’azione pubblica e li vuole determinati, colmi di speranza per il loro futuro e forti e solidali fra di loro.
Sfide al Progetto di Educazione alla Giustizia e alla Pace: Gli Educatori!
La difficoltà principale, tuttavia, perché ciò avvenga, risiede in primo luogo nei dilemmi che affliggono questi ragazzi e le loro famiglie. Il Papa lo dice chiaramente: «Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più preziosi: la presenza dei genitori; presenza che permetta una sempre più profonda condivisione del cammino, per poter trasmettere quell’esperienza e quelle certezze acquisite con gli anni, che solo con il tempo trascorso insieme si possono comunicare. Ai genitori desidero dire di non perdersi d’animo! Con l’esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche» (n. 2).
Esortare con l’esempio della vita vuol dire essere testimoni. Come scrive il Sommo Pontefice, «sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone» (ibid.).
Il Papa, inoltre, dedica alcuni densi passaggi ai responsabili politici perché ascoltino veramente e seriamente le preoccupazioni che si levano dalle società, offrendo sostegno alle famiglie e alle istituzioni educative, supporto alla maternità e alla paternità, e promuovendo l’accesso all’istruzione e il ricongiungimento delle famiglie divise dalle necessità di trovare mezzi di sussistenza. E’ in gioco il senso della politica come servizio, come ricerca del bene di tutti, nessuno escluso. Solo così si può parlare di dignità della politica e dei politici. Chi si impegna nella politica infatti, deve offrire un esempio di rettitudine, coerenza tra sfera pubblica e privata, preparazione e competenza.
Il Papa si appella anche "al mondo dei media affinché dia il suo contributo educativo" (ibid.), ponendo l’accento così non solo sul ruolo educativo dei mezzi di comunicazione di massa ma anche sul legame tra educazione e comunicazione, in quanto l’educazione avviene per mezzo della comunicazione.
Parimenti, i giovani sono chiamati a «vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano" e ad essere "responsabili della propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace» (ibid.).
Educazione alla Giustizia e alla Pace è costruire un nuovo Umanesimo
Ed ecco, ancora, la forza della proposta dell’educazione: solo l’educazione può rafforzare la persona, che non è semplice individuo, ma individuo in relazione. La rete di relazioni che costituisce il contesto della vita dell’ individuo, costituisce anche la sua prima scuola di giustizia: la giustizia essendo rispetto per "the demands of the relationships in which one stands". Così, dunque, il giovane, formandosi, diviene protagonista, agente primario della propria strada in fraternità con gli altri e in giustizia.
Da parte sua, la pace, come dichiara il Papa con parole accorate: "è anzitutto dono di Dio... Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire" (n.5). Dio, infatti, ci ha donato la libertà, che non è licenza di fare tutto ciò che vogliamo, ma è responsabilità, per "ricercare adeguate modalità di redistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti" (ibid.). Ecco la parola chiave: responsabilità. In questo senso, l’educazione alla pace e alla giustizia è impegno per il bene comune, è opera da costruire tutti insieme e con ferma convinzione. Noi, cioè, nella nostra libertà possiamo scegliere la costruzione e la speranza, scartando invece la distruzione, l’inoperosità e la sfiducia.
Il Santo Padre esorta i giovani con parole forti e chiarissime: «Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace» (n. 6).
E perché ciò avvenga, occorre tutti insieme costruire un nuovo umanesimo, una nuova alleanza fra gli esseri umani che sia in grado di edificare un mondo dal volto più umano e fraterno, dove non prevalga la tecnica sulla natura dell’essere umano, dove ogni attività professionale, culturale, politica ed economica non sia solo il frutto di un sapere e di una logica tecnicista, ma si nutra appunto di tale umanesimo. Occorre, cioè che ogni attività tenga sempre conto, ponga sempre a suo fondamento riconosciuto la dignità dell’essere umano, sempre e comunque, facendo prevalere il dialogo, il diritto sulla prevaricazione, sulla tracotanza, sull’offesa, sull’orrore, sulla guerra tra i popoli e tra le nazioni, sulle persecuzioni, sull’odio, sulle violazioni dei diritti umani, sui peccati contro Dio, contro il creato e contro gli uomini, peccati che uccidono la carità e la civiltà.
Il Papa chiude il Messaggio con un appello: «uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali, per educare i giovani alla giustizia e alla pace» (n. 6).
E’ un formidabile invito all’azione e un magnifico incoraggiamento per tutti.
[01805-01.02] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI S.E. MONS. MARIO TOSO, S.D.B.
In un mondo in cui sembra scesa una coltre di oscurità che non consente di vedere con chiarezza la luce del giorno; in cui è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro, l’economia, il pontefice invita tutti – la Chiesa per prima – ad investire sui giovani, nella convinzione che essi, sentinelle che attendono il giorno nuovo con entusiasmo e slancio, possono offrire una nuova speranza al mondo.
I giovani, però, possono essere effettiva speranza, come dice il titolo del Messaggio, se educati alla giustizia e alla pace. Il Messaggio si dipana in maniera semplice e piana. Tuttavia, esso, specie in alcune parti, è più concreto di quanto non possa apparire ad una prima lettura. Per cui, il testo va riletto, meditato, andando alla ricerca di ciò che implica una solida educazione a trecentosessanta gradi, con riferimento all’orientamento vocazionale, alla vita interiore e spirituale, alla relazionalità, alle buone pratiche, agli ambienti di vita: famiglia, scuola, lavoro, economia, politica, cultura, mass media.
L’educazione alla giustizia e alla pace coinvolge tutti i soggetti sociali, tutte le istituzioni, l’essere intero dei giovani.
1. Condizioni per l’educazione
Cosa, dunque, più in concreto, occorre fare per i giovani, con i giovani, perché divengano protagonisti nella costruzione di una società più giusta e pacifica?
È proprio su questo piano che appare meglio la summenzionata concretezza del Messaggio.
Per educare i giovani occorre:
a) essere attenti ad essi, saperli ascoltare e valorizzarli;
b) comunicare ad essi l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene;
c) offrire una formazione non mediocre, che li prepari in maniera più profonda ad affrontare la realtà. Ciò implica una buona formazione intellettuale, affettiva e pratica, critica, aperta, al servizio della vita, sapienziale, quale si può apprendere da validi maestri ma soprattutto da autentici testimoni che sanno vedere più lontano degli altri (cf n. 2);
d) aiutarli a formarsi una famiglia e a trovare un lavoro (cf n. 1): ciò implica tutta una serie di politiche sul piano dell’istruzione, del lavoro, per la famiglia, della famiglia che si fa soggetto di proposta e di controllo mediante l’associazionismo;
e) renderli capaci di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia (cf n. 1): occorre, quindi, investire nella formazione per preparare nuove generazioni di cittadini, di amministratori, di politici, di uomini di cultura, di imprenditori, di manager, di professionisti, in tutti i campi, compreso quello della comunicazione: puntando a renderli competenti professionalmente, eticamente e spiritualmente, mediante itinerari educativi che li aiutino a concepire il proprio impegno come una «vocazione» da vivere con «passione», ovvero con amore per Dio e il prossimo;
f) aiutare le famiglie, perché nell’attuale società post-industriale, i genitori possano non venir meno al loro compito fondamentale di educatori, garantendo una loro adeguata presenza nel contesto domestico; supportare le famiglie sul piano della maternità e della paternità, perché possano esercitare il loro diritto-dovere di educare e di scegliere le strutture educative (cf n. 2). Anche qui occorre pensare a molteplici politiche relative all’organizzazione del mondo del lavoro, alla remunerazione, alle amministrazioni comunali;
g) far sì che i vari ambienti educativi come la scuola, il lavoro, la società politica, i mass media aiutino la ricerca della verità, irrobustiscano il desiderio del bene, siano luoghi in cui la persona è rispettata nella sua dignità e mai sia trattata come uno strumento, una «cosa». Detto altrimenti, i responsabili delle varie istituzioni culturali, sociali, politiche debbono curare che le stesse istituzioni siano «educative», «giuste». I politici, ad esempio, sono invitati da Benedetto XVI ad offrire, oltre al resto, un’immagine limpida della politica come servizio per il bene di tutti (cf n. 2).
2. Educare alla verità, alla libertà, alla giustizia e all’amore
In un contesto di crisi anzitutto etico-culturale e di emergenza educativa, per Benedetto XVI è fondamentale che i giovani siano educati alla verità, alla libertà, alla giustizia e all’amore, i quattro grandi pilastri della casa della pace, secondo la Pacem in terris del beato Giovanni XXIII.
Su questi temi il lettore e gli educatori trovano riaccennati alcuni tratti del grande magistero del pontefice, anche con riferimento alla stessa opera educativa. Il Messaggio, si limita, dunque, a richiamare, in un contesto di molteplici riduzionismi antropologici, che l’educazione non può fare a meno della verità integrale sull’uomo, essere trascendente. Nelle persone c’è una sete di infinito, di verità perché create ad immagine e somiglianza di Dio. La loro libertà si compie quando si lega alla verità, al bene a Dio, considerato come il proprio Tutto; in particolare, quando si raccorda con la legge morale naturale che ogni persona trova scritta nella propria coscienza. Tale legge, che va sviluppata, esprime la dignità della persona, è la base dei suoi doveri e diritti fondamentali e, dunque, in ultima analisi piattaforma di una convivenza giusta e pacifica.
Con riferimento alla giustizia Benedetto XVI afferma che essa non è una semplice convenzione umana. Essa trova sì il suo fondamento nel consenso sociale ma soprattutto nell’identità profonda dell’essere umano, ossia in qualcosa che supera la legge positiva. Nell’attuale contesto socio-politico, imbevuto di neocontrattualismo e di neoutilitarismo, per superare un concetto relativistico e sociologico della giustizia, occorre riscoprirne le radici trascendenti, tra cui la solidarietà e la carità. «La città dell’uomo non è promossa – scrive Benedetto XVI – solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo» (n. 4).
L’educazione alla verità, alla libertà e alla giustizia si perfeziona nell’educazione all’amore, perché esso si compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia e per la pace, in quanto tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cf 1 Cor 13, 1-13). La pace è frutto della carità, dono di Dio. Per questo il Messaggio conclude con l’invito ad Alzare gli occhi a Dio, fonte dell’amore, garante della nostra libertà – solo nella relazione con Lui se ne comprende il significato –, di ciò che è veramente buono e vero, misura di ciò che è giusto.
3. Educare alla pace è educare ad essere operatori di pace
Nel paragrafo 5, intitolato Educare alla pace, in cui i giovani sono invitati ad essere persone giuste, operatori di giustizia e pace, anche se ciò può costare sacrificio e andare controcorrente, il Messaggio evoca contenuti dell’educazione che devono essere esplicitati con riferimento all’attualità socio-culturale. Leggiamo: «[…] dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di redistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti».
Ora, cosa significa «destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali» se non far sì che tutti i soggetti sociali, compresi i giovani, si rendano conto dei problemi suscitati dalle migrazioni bibliche, dalla povertà, dal debito estero, dalla caduta dei regimi dittatoriali come in Africa o in altri continenti, dalla crisi finanziaria ancora in atto, dalle crisi alimentare ed ambientale, dalla trasformazione della democrazia in senso populista, oligarchico: tutti problemi, fra l’altro, che si pongono in un contesto di globalizzazione, che se propizia un processo di maggior unificazione della famiglia umana e di crescita di diversi popoli, non evita, forse, il crearsi di nuovi squilibri, di disfunzioni sociali e di diseguaglianze? L’elenco dei problemi menzionati non obbliga, per conseguenza, anche a prendere atto delle nuove esigenze del bene comune mondiale e della giustizia sociale globale che postulano, come ha bene evidenziato da Benedetto XVI nella Caritas in veritate (CIV), una nuova sintesi culturale, una nuova progettualità, un nuovo modello di sviluppo più qualitativo, sostenibile, inclusivo, la riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia delle Nazioni (cf CIV n. 67)?
E ancora: come poter immaginare adeguate modalità di «ridistribuzione della ricchezza» se non educando ad organizzare l’economia in modo che, in tutte le sue fasi, come suggerisce sempre la CIV, sia vissuta non solo la giustizia commutativa, ma anche la giustizia contributiva e distributiva, ossia la giustizia sociale, sia sul piano nazionale sia sul piano internazionale? Non è, poi, anche necessario immaginare un’opera di ridistribuzione da parte degli Stati e della comunità internazionale? Ma come potrà quest’ultima ottemperare alle esigenze di una giustizia sociale globale se non si doterà di un’autorità politica proporzionata, articolata su diversi piani secondo il principio di sussidiarietà? Come è noto il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace si è cimentato ultimamente su alcuni di questi temi, specie con riferimento alla riforma dei sistemi finanziari e monetari internazionali, elaborando una Nota.1 Si pensa che essa possa essere di qualche ausilio nel declinare i contenuti dell’educazione alla pace.
Bisognerà ancora specificare i contenuti del Messaggio con riferimento «alla ricerca di modalità adeguate di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti». Ma il tempo a disposizione non consente di fermarci su questi aspetti che dovranno essere oggetto di attenzione attenta da parte degli educatori.
Ci si permetta, relativamente ad un’educazione alla vita buona nel sociale secondo il Vangelo, come sollecita il Messaggio, segnalare qui l’utilità del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, ove si può trovare una sintesi aggiornata di essa. Non è inutile raccomandare che, se si vuole che i giovani siano autentici operatori di giustizia e di pace, esempio e stimolo per gli adulti, occorre che la Dottrina sociale della Chiesa sia insegnata anzitutto come elemento essenziale di una nuova evangelizzazione e, quindi, come elemento che favorisce la profezia e non tatticismi politici che diminuiscono l’importanza della stessa Dottrina, subordinandola a logiche pragmatistiche, come avviene spesso anche nel mondo cattolico.
_______________________
1
Cf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011. [01804-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0750-XX.02]