Alle ore 10.00 di oggi, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto, sul sagrato della Basilica Vaticana, la Celebrazione Eucaristica nel corso della quale ha proclamato Beato il Servo di Dio Giovanni Paolo II, Papa (1920-2005).
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso del solenne rito di beatificazione:
● OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
Sei anni or sono ci trovavamo in questa Piazza per celebrare i funerali del Papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la perdita, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato Predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo aleggiare il profumo della sua santità, e il Popolo di Dio ha manifestato in molti modi la sua venerazione per Lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta celerità. Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!
Desidero rivolgere il mio cordiale saluto a tutti voi che, per questa felice circostanza, siete convenuti così numerosi a Roma da ogni parte del mondo, Signori Cardinali, Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Delegazioni Ufficiali, Ambasciatori e Autorità, persone consacrate e fedeli laici, e lo estendo a quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisione.
Questa Domenica è la Seconda di Pasqua, che il beato Giovanni Paolo II ha intitolato alla Divina Misericordia. Perciò è stata scelta questa data per l’odierna Celebrazione, perché, per un disegno provvidenziale, il mio Predecessore rese lo spirito a Dio proprio la sera della vigilia di questa ricorrenza. Oggi, inoltre, è il primo giorno del mese di maggio, il mese di Maria; ed è anche la memoria di san Giuseppe lavoratore. Questi elementi concorrono ad arricchire la nostra preghiera, aiutano noi che siamo ancora pellegrini nel tempo e nello spazio; mentre in Cielo, ben diversa è la festa tra gli Angeli e i Santi! Eppure, uno solo è Dio, e uno è Cristo Signore, che come un ponte congiunge la terra e il Cielo, e noi in questo momento ci sentiamo più che mai vicini, quasi partecipi della Liturgia celeste.
"Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" (Gv 20,29). Nel Vangelo di oggi Gesù pronuncia questa beatitudine: la beatitudine della fede. Essa ci colpisce in modo particolare, perché siamo riuniti proprio per celebrare una Beatificazione, e ancora di più perché oggi è stato proclamato Beato un Papa, un Successore di Pietro, chiamato a confermare i fratelli nella fede. Giovanni Paolo II è beato per la sua fede, forte e generosa, apostolica. E subito ricordiamo quell’altra beatitudine: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli" (Mt 16,17). Che cosa ha rivelato il Padre celeste a Simone? Che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Per questa fede Simone diventa "Pietro", la roccia su cui Gesù può edificare la sua Chiesa. La beatitudine eterna di Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ha la gioia di proclamare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: "Beato sei tu, Simone" e "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". La beatitudine della fede, che anche Giovanni Paolo II ha ricevuto in dono da Dio Padre, per l’edificazione della Chiesa di Cristo.
Ma il nostro pensiero va ad un’altra beatitudine, che nel Vangelo precede tutte le altre. E’ quella della Vergine Maria, la Madre del Redentore. A Lei, che ha appena concepito Gesù nel suo grembo, santa Elisabetta dice: "Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto" (Lc 1,45). La beatitudine della fede ha il suo modello in Maria, e tutti siamo lieti che la beatificazione di Giovanni Paolo II avvenga nel primo giorno del mese mariano, sotto lo sguardo materno di Colei che, con la sua fede, sostenne la fede degli Apostoli, e continuamente sostiene la fede dei loro successori, specialmente di quelli che sono chiamati a sedere sulla cattedra di Pietro. Maria non compare nei racconti della risurrezione di Cristo, ma la sua presenza è come nascosta ovunque: lei è la Madre, a cui Gesù ha affidato ciascuno dei discepoli e l’intera comunità. In particolare, notiamo che la presenza effettiva e materna di Maria viene registrata da san Giovanni e da san Luca nei contesti che precedono quelli del Vangelo odierno e della prima Lettura: nel racconto della morte di Gesù, dove Maria compare ai piedi della croce (cfr Gv 19,25); e all’inizio degli Atti degli Apostoli, che la presentano in mezzo ai discepoli riuniti in preghiera nel cenacolo (cfr At 1,14).
Anche la seconda Lettura odierna ci parla della fede, ed è proprio san Pietro che scrive, pieno di entusiasmo spirituale, indicando ai neo-battezzati le ragioni della loro speranza e della loro gioia. Mi piace osservare che in questo passo, all’inizio della sua Prima Lettera, Pietro non si esprime in modo esortativo, ma indicativo; scrive, infatti: "Siete ricolmi di gioia" – e aggiunge: "Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede: la salvezza delle anime" (1Pt 1,6.8-9). Tutto è all’indicativo, perché c’è una nuova realtà, generata dalla risurrezione di Cristo, una realtà accessibile alla fede. "Questo è stato fatto dal Signore - dice il Salmo (118,23) - una meraviglia ai nostri occhi", gli occhi della fede.
Cari fratelli e sorelle, oggi risplende ai nostri occhi, nella piena luce spirituale del Cristo risorto, la figura amata e venerata di Giovanni Paolo II. Oggi il suo nome si aggiunge alla schiera di Santi e Beati che egli ha proclamato durante i quasi 27 anni di pontificato, ricordando con forza la vocazione universale alla misura alta della vita cristiana, alla santità, come afferma la Costituzione conciliare Lumen gentium sulla Chiesa. Tutti i membri del Popolo di Dio – Vescovi, sacerdoti, diaconi, fedeli laici, religiosi, religiose – siamo in cammino verso la patria celeste, dove ci ha preceduto la Vergine Maria, associata in modo singolare e perfetto al mistero di Cristo e della Chiesa. Karol Wojtyła, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Arcivescovo di Cracovia, ha partecipato al Concilio Vaticano II e sapeva bene che dedicare a Maria l’ultimo capitolo del Documento sulla Chiesa significava porre la Madre del Redentore quale immagine e modello di santità per ogni cristiano e per la Chiesa intera. Questa visione teologica è quella che il beato Giovanni Paolo II ha scoperto da giovane e ha poi conservato e approfondito per tutta la vita. Una visione che si riassume nell’icona biblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre. Un’icona che si trova nel Vangelo di Giovanni (19,25-27) ed è riassunta nello stemma episcopale e poi papale di Karol Wojtyła: una croce d’oro, una "emme" in basso a destra, e il motto "Totus tuus", che corrisponde alla celebre espressione di san Luigi Maria Grignion de Montfort, nella quale Karol Wojtyła ha trovato un principio fondamentale per la sua vita: "Totus tutus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria – Sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo. Ti prendo per ogni mio bene. Dammi il tuo cuore, o Maria" (Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, n. 266).
Nel suo Testamento il nuovo Beato scrisse: "Quando nel giorno 16 ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Primate della Polonia card. Stefan Wyszyński mi disse: «Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio»". E aggiungeva: "Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato". E qual è questa "causa"? E’ la stessa che Giovanni Paolo II ha enunciato nella sua prima Messa solenne in Piazza San Pietro, con le memorabili parole: "Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!". Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile.
Swoim świadectwem wiary, miłości i odwagi apostolskiej, pełnym ludzkiej wrażliwości, ten znakomity syn Narodu polskiego pomógł chrześcijanom na całym świecie, by nie lękali się być chrześcijanami, należeć do Kościoła, głosić Ewangelię. Jednym słowem: pomógł nam nie lękać się prawdy, gdyż prawda jest gwarancją wolności.
[Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà.]
Ancora più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis, Redentore dell’uomo: il tema della sua prima Enciclica e il filo conduttore di tutte le altre.
Karol Wojtyła salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, che è la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo "timoniere" il Servo di Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il Popolo di Dio a varcare la soglia del Terzo Millennio, che proprio grazie a Cristo egli ha potuto chiamare "soglia della speranza". Sì, attraverso il lungo cammino di preparazione al Grande Giubileo, egli ha dato al Cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di "avvento", in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace.
Vorrei infine rendere grazie a Dio anche per la personale esperienza che mi ha concesso, di collaborare a lungo con il beato Papa Giovanni Paolo II. Già prima avevo avuto modo di conoscerlo e di stimarlo, ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è stato sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue intuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una "roccia", come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa.
Beato te, amato Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Continua – ti preghiamo – a sostenere dal Cielo la fede del Popolo di Dio. Tante volte ci hai benedetto in questa Piazza dal Palazzo! Oggi, ti preghiamo: Santo Padre ci benedica! Amen.
[00635-01.02] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE
Chers frères et sœurs !
Il y a six ans désormais, nous nous trouvions sur cette place pour célébrer les funérailles du Pape Jean-Paul II. La douleur causée par sa mort était profonde, mais supérieur était le sentiment qu’une immense grâce enveloppait Rome et le monde entier : la grâce qui était en quelque sorte le fruit de toute la vie de mon aimé Prédécesseur et, en particulier, de son témoignage dans la souffrance. Ce jour-là, nous sentions déjà flotter le parfum de sa sainteté, et le Peuple de Dieu a manifesté de nombreuses manières sa vénération pour lui. C’est pourquoi j’ai voulu, tout en respectant la réglementation en vigueur de l’Église, que sa cause de béatification puisse avancer avec une certaine célérité. Et voici que le jour tant attendu est arrivé ! Il est vite arrivé, car il en a plu ainsi au Seigneur : Jean-Paul II est bienheureux !
Je désire adresser mes cordiales salutations à vous tous qui, pour cette heureuse circonstance, êtes venus si nombreux à Rome de toutes les régions du monde, Messieurs les Cardinaux, Patriarches des Églises Orientales Catholiques, Confrères dans l’Épiscopat et dans le sacerdoce, Délégations officielles, Ambassadeurs et Autorités, personnes consacrées et fidèles laïcs, ainsi qu’à tous ceux qui nous sont unis à travers la radio et la télévision.
Ce dimanche est le deuxième dimanche de Pâques, que le bienheureux Jean-Paul II a dédié à la Divine Miséricorde. C’est pourquoi ce jour a été choisi pour la célébration d’aujourd’hui, car, par un dessein providentiel, mon prédécesseur a rendu l’esprit justement la veille au soir de cette fête. Aujourd’hui, de plus, c’est le premier jour du mois de mai, le mois de Marie, et c’est aussi la mémoire de saint Joseph travailleur. Ces éléments contribuent à enrichir notre prière et ils nous aident, nous qui sommes encore pèlerins dans le temps et dans l’espace, tandis qu’au Ciel, la fête parmi les Anges et les Saints est bien différente ! Toutefois unique est Dieu, et unique est le Christ Seigneur qui, comme un pont, relie la terre et le Ciel, et nous, en ce moment, nous nous sentons plus que jamais proches, presque participants de la Liturgie céleste.
« Heureux ceux qui n’ont pas vu et qui ont cru. » (Jn 20,29). Dans l’Évangile d’aujourd’hui, Jésus prononce cette béatitude : la béatitude de la foi. Elle nous frappe de façon particulière parce que nous sommes justement réunis pour célébrer une béatification, et plus encore parce qu’aujourd’hui a été proclamé bienheureux un Pape, un Successeur de Pierre, appelé à confirmer ses frères dans la foi. Jean-Paul II est bienheureux pour sa foi, forte et généreuse, apostolique. Et, tout de suite, nous vient à l’esprit cette autre béatitude : « Tu es heureux, Simon fils de Jonas, car cette révélation t’est venue, non de la chair et du sang, mais de mon Père qui est dans les cieux » (Mt 16, 17). Qu’a donc révélé le Père céleste à Simon ? Que Jésus est le Christ, le Fils du Dieu vivant. Grâce à cette foi, Simon devient « Pierre », le rocher sur lequel Jésus peut bâtir son Église. La béatitude éternelle de Jean-Paul II, qu’aujourd’hui l’Église a la joie de proclamer, réside entièrement dans ces paroles du Christ : « Tu es heureux, Simon » et « Heureux ceux qui n’ont pas vu et qui ont cru. ». La béatitude de la foi, que Jean-Paul II aussi a reçue en don de Dieu le Père, pour l’édification de l’Église du Christ.
Cependant notre pensée va à une autre béatitude qui, dans l’Évangile, précède toutes les autres. C’est celle de la Vierge Marie, la Mère du Rédempteur. C’est à elle, qui vient à peine de concevoir Jésus dans son sein, que Sainte Élisabeth dit : « Bienheureuse celle qui a cru en l’accomplissement de ce qui lui a été dit de la part du Seigneur ! » (Lc 1, 45). La béatitude de la foi a son modèle en Marie et nous sommes tous heureux que la béatification de Jean-Paul II advienne le premier jour du mois marial, sous le regard maternel de Celle qui, par sa foi, soutient la foi des Apôtres et soutient sans cesse la foi de leurs successeurs, spécialement de ceux qui sont appelés à siéger sur la chaire de Pierre. Marie n’apparaît pas dans les récits de la résurrection du Christ, mais sa présence est comme cachée partout : elle est la Mère, à qui Jésus a confié chacun des disciples et la communauté tout entière. En particulier, nous notons que la présence effective et maternelle de Marie est signalée par saint Jean et par saint Luc dans des contextes qui précèdent ceux de l’Évangile d’aujourd’hui et de la première Lecture : dans le récit de la mort de Jésus, où Marie apparaît au pied de la croix (Jn 19, 25) ; et au début des Actes des Apôtres, qui la montrent au milieu des disciples réunis en prière au Cénacle (Ac 1, 14).
La deuxième Lecture d’aujourd’hui nous parle aussi de la foi, et c’est justement saint Pierre qui écrit, plein d’enthousiasme spirituel, indiquant aux nouveaux baptisés les raisons de leur espérance et de leur joie. J’aime observer que dans ce passage, au début de sa Première Lettre, Pierre n’emploie pas le mode exhortatif, mais indicatif pour s’exprimer ; il écrit en effet : « Vous en tressaillez de joie », et il ajoute : « Sans l’avoir vu vous l’aimez ; sans le voir encore, mais en croyant, vous tressaillez d’une joie indicible et pleine de gloire, sûrs d’obtenir l’objet de votre foi : le salut des âmes. » (1 P 1, 6. 8-9). Tout est à l’indicatif, parce qu’existe une nouvelle réalité, engendrée par la résurrection du Christ, une réalité accessible à la foi. « C’est là l’œuvre du Seigneur – dit le Psaume (118, 23) – ce fut une merveille à nos yeux », les yeux de la foi.
Chers frères et sœurs, aujourd’hui, resplendit à nos yeux, dans la pleine lumière spirituelle du Christ Ressuscité, la figure aimée et vénérée de Jean-Paul II. Aujourd’hui, son nom s’ajoute à la foule des saints et bienheureux qu’il a proclamés durant les presque 27 ans de son pontificat, rappelant avec force la vocation universelle à la dimension élevée de la vie chrétienne, à la sainteté, comme l’affirme la Constitution conciliaire Lumen gentium sur l’Église. Tous les membres du Peuple de Dieu – évêques, prêtres, diacres, fidèles laïcs, religieux, religieuses –, nous sommes en marche vers la patrie céleste, où nous a précédé la Vierge Marie, associée de manière particulière et parfaite au mystère du Christ et de l’Église. Karol Wojtyła, d’abord comme Évêque Auxiliaire puis comme Archevêque de Cracovie, a participé au Concile Vatican II et il savait bien que consacrer à Marie le dernier chapitre du Document sur l’Église signifiait placer la Mère du Rédempteur comme image et modèle de sainteté pour chaque chrétien et pour l’Église entière. Cette vision théologique est celle que le bienheureux Jean-Paul II a découverte quand il était jeune et qu’il a ensuite conservée et approfondie toute sa vie. C’est une vision qui est synthétisée dans l’icône biblique du Christ sur la croix ayant auprès de lui Marie, sa mère. Icône qui se trouve dans l’Évangile de Jean (19, 25-27) et qui est résumée dans les armoiries épiscopales puis papales de Karol Wojtyła : une croix d’or, un « M » en bas à droite, et la devise « Totus tuus », qui correspond à la célèbre expression de saint Louis Marie Grignion de Montfort, en laquelle Karol Wojtyła a trouvé un principe fondamental pour sa vie : « Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria – Je suis tout à toi et tout ce que j’ai est à toi. Sois mon guide en tout. Donnes-moi ton cœur, O Marie » (Traité de la vraie dévotion à Marie, nn. 233 et 266).
Dans son Testament, le nouveau bienheureux écrivait : « Lorsque, le jour du 16 octobre 1978, le conclave des Cardinaux choisit Jean-Paul II, le Primat de la Pologne, le Card. Stefan Wyszyński, me dit : "Le devoir du nouveau Pape sera d’introduire l’Église dans le Troisième Millénaire". Et il ajoutait : « Je désire encore une fois exprimer ma gratitude à l’Esprit Saint pour le grand don du Concile Vatican II, envers lequel je me sens débiteur avec l’Église tout entière – et surtout avec l’épiscopat tout entier –. Je suis convaincu qu’il sera encore donné aux nouvelles générations de puiser pendant longtemps aux richesses que ce Concile du XXème siècle nous a offertes. En tant qu’évêque qui a participé à l’événement conciliaire du premier au dernier jour, je désire confier ce grand patrimoine à tous ceux qui sont et qui seront appelés à le réaliser à l’avenir. Pour ma part, je rends grâce au Pasteur éternel qui m’a permis de servir cette très grande cause au cours de toutes les années de mon pontificat ». Et quelle est cette « cause » ? Celle-là même que Jean-Paul II a formulée au cours de sa première Messe solennelle sur la place Saint-Pierre, par ces paroles mémorables : « N’ayez pas peur ! Ouvrez, ouvrez toutes grandes les portes au Christ ! ». Ce que le Pape nouvellement élu demandait à tous, il l’a fait lui-même le premier : il a ouvert au Christ la société, la culture, les systèmes politiques et économiques, en inversant avec une force de géant – force qui lui venait de Dieu – une tendance qui pouvait sembler irréversible. Par son témoignage de foi, d’amour et de courage apostolique, accompagné d’une grande charge humaine, ce fils exemplaire de la nation polonaise a aidé les chrétiens du monde entier à ne pas avoir peur de se dire chrétiens, d’appartenir à l’Église, de parler de l’Évangile. En un mot : il nous a aidés à ne pas avoir peur de la vérité, car la vérité est garantie de la liberté. De façon plus synthétique encore : il nous a redonné la force de croire au Christ, car le Christ est Redemptor hominis, le Rédempteur de l’homme : thème de sa première Encyclique et fil conducteur de toutes les autres.
Karol Wojtyła est monté sur le siège de Pierre, apportant avec lui sa profonde réflexion sur la confrontation, centrée sur l’homme, entre le marxisme et le christianisme. Son message a été celui-ci : l’homme est le chemin de l’Église, et Christ est le chemin de l’homme. Par ce message, qui est le grand héritage du Concile Vatican II et de son « timonier », le Serviteur de Dieu le Pape Paul VI, Jean-Paul II a conduit le Peuple de Dieu pour qu’il franchisse le seuil du Troisième Millénaire, qu’il a pu appeler, précisément grâce au Christ, le « seuil de l’espérance ». Oui, à travers le long chemin de préparation au Grand Jubilé, il a donné au Christianisme une orientation renouvelée vers l’avenir, l’avenir de Dieu, transcendant quant à l’histoire, mais qui, quoi qu’il en soit, a une influence sur l’histoire. Cette charge d’espérance qui avait été cédée en quelque sorte au marxisme et à l’idéologie du progrès, il l’a légitimement revendiquée pour le Christianisme, en lui restituant la physionomie authentique de l’espérance, à vivre dans l’histoire avec un esprit d’« avent », dans une existence personnelle et communautaire orientée vers le Christ, plénitude de l’homme et accomplissement de ses attentes de justice et de paix.
Je voudrais enfin rendre grâce à Dieu pour l’expérience personnelle qu’il m’a accordée, en collaborant pendant une longue période avec le bienheureux Pape Jean-Paul II. Auparavant, j’avais déjà eu la possibilité de le connaître et de l’estimer, mais à partir de 1982, quand il m’a appelé à Rome comme Préfet de la Congrégation pour la Doctrine de la Foi, j’ai pu lui être proche et vénérer toujours plus sa personne pendant 23 ans. Mon service a été soutenu par sa profondeur spirituelle, par la richesse de ses intuitions. L’exemple de sa prière m’a toujours frappé et édifié : il s’immergeait dans la rencontre avec Dieu, même au milieu des multiples obligations de son ministère. Et puis son témoignage dans la souffrance : le Seigneur l’a dépouillé petit à petit de tout, mais il est resté toujours un « rocher », comme le Christ l’a voulu. Sa profonde humilité, enracinée dans son union intime au Christ, lui a permis de continuer à guider l’Église et à donner au monde un message encore plus éloquent précisément au moment où les forces physiques lui venaient à manquer. Il a réalisé ainsi, de manière extraordinaire, la vocation de tout prêtre et évêque : ne plus faire qu’un avec ce Jésus, qu’il reçoit et offre chaque jour dans l’Église.
Bienheureux es-tu, bien aimé Pape Jean-Paul II, parce que tu as cru ! Continue – nous t’en prions – de soutenir du Ciel la foi du Peuple de Dieu. Tant de fois tu nous a béni sur cette place du Palais Apostolique. Aujourd’hui, nous te prions : Saint Père bénis nous. Amen.
[00635-03.02] [Texte original: Italien]
● TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE
Dear Brothers and Sisters,
Six years ago we gathered in this Square to celebrate the funeral of Pope John Paul II. Our grief at his loss was deep, but even greater was our sense of an immense grace which embraced Rome and the whole world: a grace which was in some way the fruit of my beloved predecessor’s entire life, and especially of his witness in suffering. Even then we perceived the fragrance of his sanctity, and in any number of ways God’s People showed their veneration for him. For this reason, with all due respect for the Church’s canonical norms, I wanted his cause of beatification to move forward with reasonable haste. And now the longed-for day has come; it came quickly because this is what was pleasing to the Lord: John Paul II is blessed!
I would like to offer a cordial greeting to all of you who on this happy occasion have come in such great numbers to Rome from all over the world – cardinals, patriarchs of the Eastern Catholic Churches, brother bishops and priests, official delegations, ambassadors and civil authorities, consecrated men and women and lay faithful, and I extend that greeting to all those who join us by radio and television.
Today is the Second Sunday of Easter, which Blessed John Paul II entitled Divine Mercy Sunday. The date was chosen for today’s celebration because, in God’s providence, my predecessor died on the vigil of this feast. Today is also the first day of May, Mary’s month, and the liturgical memorial of Saint Joseph the Worker. All these elements serve to enrich our prayer, they help us in our pilgrimage through time and space; but in heaven a very different celebration is taking place among the angels and saints! Even so, God is but one, and one too is Christ the Lord, who like a bridge joins earth to heaven. At this moment we feel closer than ever, sharing as it were in the liturgy of heaven.
"Blessed are those who have not seen and yet have come to believe" (Jn 20:29). In today’s Gospel Jesus proclaims this beatitude: the beatitude of faith. For us, it is particularly striking because we are gathered to celebrate a beatification, but even more so because today the one proclaimed blessed is a Pope, a Successor of Peter, one who was called to confirm his brethren in the faith. John Paul II is blessed because of his faith, a strong, generous and apostolic faith. We think at once of another beatitude: "Blessed are you, Simon, son of Jonah! For flesh and blood has not revealed this to you, but my Father in heaven" (Mt 16:17). What did our heavenly Father reveal to Simon? That Jesus is the Christ, the Son of the living God. Because of this faith, Simon becomes Peter, the rock on which Jesus can build his Church. The eternal beatitude of John Paul II, which today the Church rejoices to proclaim, is wholly contained in these sayings of Jesus: "Blessed are you, Simon" and "Blessed are those who have not seen and yet have come to believe!" It is the beatitude of faith, which John Paul II also received as a gift from God the Father for the building up of Christ’s Church.
Our thoughts turn to yet another beatitude, one which appears in the Gospel before all others. It is the beatitude of the Virgin Mary, the Mother of the Redeemer. Mary, who had just conceived Jesus, was told by Saint Elizabeth: "Blessed is she who believed that there would be a fulfilment of what was spoken to her by the Lord" (Lk 1:45). The beatitude of faith has its model in Mary, and all of us rejoice that the beatification of John Paul II takes place on this first day of the month of Mary, beneath the maternal gaze of the one who by her faith sustained the faith of the Apostles and constantly sustains the faith of their successors, especially those called to occupy the Chair of Peter. Mary does not appear in the accounts of Christ’s resurrection, yet hers is, as it were, a continual, hidden presence: she is the Mother to whom Jesus entrusted each of his disciples and the entire community. In particular we can see how Saint John and Saint Luke record the powerful, maternal presence of Mary in the passages preceding those read in today’s Gospel and first reading. In the account of Jesus’ death, Mary appears at the foot of the cross (Jn 19:25), and at the beginning of the Acts of the Apostles she is seen in the midst of the disciples gathered in prayer in the Upper Room (Acts 1:14).
Today’s second reading also speaks to us of faith. Saint Peter himself, filled with spiritual enthusiasm, points out to the newly-baptized the reason for their hope and their joy. I like to think how in this passage, at the beginning of his First Letter, Peter does not use language of exhortation; instead, he states a fact. He writes: "you rejoice", and he adds: "you love him; and even though you do not see him now, you believe in him and rejoice with an indescribable and glorious joy, for you are receiving the outcome of your faith, the salvation of your souls" (1 Pet 1:6, 8-9). All these verbs are in the indicative, because a new reality has come about in Christ’s resurrection, a reality to which faith opens the door. "This is the Lord’s doing", says the Psalm (118:23), and "it is marvelous in our eyes", the eyes of faith.
Dear brothers and sisters, today our eyes behold, in the full spiritual light of the risen Christ, the beloved and revered figure of John Paul II. Today his name is added to the host of those whom he proclaimed saints and blesseds during the almost twenty-seven years of his pontificate, thereby forcefully emphasizing the universal vocation to the heights of the Christian life, to holiness, taught by the conciliar Constitution on the Church Lumen Gentium. All of us, as members of the people of God – bishops, priests, deacons, laity, men and women religious – are making our pilgrim way to the heavenly homeland where the Virgin Mary has preceded us, associated as she was in a unique and perfect way to the mystery of Christ and the Church. Karol Wojtyła took part in the Second Vatican Council, first as an auxiliary Bishop and then as Archbishop of Kraków. He was fully aware that the Council’s decision to devote the last chapter of its Constitution on the Church to Mary meant that the Mother of the Redeemer is held up as an image and model of holiness for every Christian and for the entire Church. This was the theological vision which Blessed John Paul II discovered as a young man and subsequently maintained and deepened throughout his life. A vision which is expressed in the scriptural image of the crucified Christ with Mary, his Mother, at his side. This icon from the Gospel of John (19:25-27) was taken up in the episcopal and later the papal coat-of-arms of Karol Wojtyła: a golden cross with the letter "M" on the lower right and the motto "Totus tuus", drawn from the well-known words of Saint Louis Marie Grignion de Montfort in which Karol Wojtyła found a guiding light for his life: "Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria – I belong entirely to you, and all that I have is yours. I take you for my all. O Mary, give me your heart" (Treatise on True Devotion to the Blessed Virgin, 266).
In his Testament, the new Blessed wrote: "When, on 16 October 1978, the Conclave of Cardinals chose John Paul II, the Primate of Poland, Cardinal Stefan Wyszyński, said to me: ‘The task of the new Pope will be to lead the Church into the Third Millennium’". And the Pope added: "I would like once again to express my gratitude to the Holy Spirit for the great gift of the Second Vatican Council, to which, together with the whole Church – and especially with the whole episcopate – I feel indebted. I am convinced that it will long be granted to the new generations to draw from the treasures that this Council of the twentieth century has lavished upon us. As a Bishop who took part in the Council from the first to the last day, I desire to entrust this great patrimony to all who are and will be called in the future to put it into practice. For my part, I thank the Eternal Shepherd, who has enabled me to serve this very great cause in the course of all the years of my Pontificate". And what is this "cause"? It is the same one that John Paul II presented during his first solemn Mass in Saint Peter’s Square in the unforgettable words: "Do not be afraid! Open, open wide the doors to Christ!" What the newly-elected Pope asked of everyone, he was himself the first to do: society, culture, political and economic systems he opened up to Christ, turning back with the strength of a titan – a strength which came to him from God – a tide which appeared irreversible. By his witness of faith, love and apostolic courage, accompanied by great human charisma, this exemplary son of Poland helped believers throughout the world not to be afraid to be called Christian, to belong to the Church, to speak of the Gospel. In a word: he helped us not to fear the truth, because truth is the guarantee of liberty. To put it even more succinctly: he gave us the strength to believe in Christ, because Christ is Redemptor hominis, the Redeemer of man. This was the theme of his first encyclical, and the thread which runs though all the others.
When Karol Wojtyła ascended to the throne of Peter, he brought with him a deep understanding of the difference between Marxism and Christianity, based on their respective visions of man. This was his message: man is the way of the Church, and Christ is the way of man. With this message, which is the great legacy of the Second Vatican Council and of its "helmsman", the Servant of God Pope Paul VI, John Paul II led the People of God across the threshold of the Third Millennium, which thanks to Christ he was able to call "the threshold of hope". Throughout the long journey of preparation for the great Jubilee he directed Christianity once again to the future, the future of God, which transcends history while nonetheless directly affecting it. He rightly reclaimed for Christianity that impulse of hope which had in some sense faltered before Marxism and the ideology of progress. He restored to Christianity its true face as a religion of hope, to be lived in history in an "Advent" spirit, in a personal and communitarian existence directed to Christ, the fullness of humanity and the fulfillment of all our longings for justice and peace.
Finally, on a more personal note, I would like to thank God for the gift of having worked for many years with Blessed Pope John Paul II. I had known him earlier and had esteemed him, but for twenty-three years, beginning in 1982 after he called me to Rome to be Prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith, I was at his side and came to revere him all the more. My own service was sustained by his spiritual depth and by the richness of his insights. His example of prayer continually impressed and edified me: he remained deeply united to God even amid the many demands of his ministry. Then too, there was his witness in suffering: the Lord gradually stripped him of everything, yet he remained ever a "rock", as Christ desired. His profound humility, grounded in close union with Christ, enabled him to continue to lead the Church and to give to the world a message which became all the more eloquent as his physical strength declined. In this way he lived out in an extraordinary way the vocation of every priest and bishop to become completely one with Jesus, whom he daily receives and offers in the Church.
Blessed are you, beloved Pope John Paul II, because you believed! Continue, we implore you, to sustain from heaven the faith of God’s people. You often blessed us in this Square from the Apostolic Palace: Bless us, Holy Father! Amen.
[00635-02.02] [Original text: Italian]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
Liebe Brüder und Schwestern!
Vor nunmehr sechs Jahren befanden wir uns auf diesem Platz zur Begräbnisfeier von Papst Johannes Paul II. Groß war der Schmerz über den Verlust, aber noch größer war die Erfahrung einer unendlichen Gnade, die Rom und die ganze Welt umfing: die Gnade, die wie die Frucht des ganzen Lebens meines geliebten Vorgängers und besonders seines Zeugnisses im Leiden war. Schon an jenem Tag spürten wir den Duft seiner Heiligkeit ausströmen, und das Volk Gottes hat auf viele Weisen seine Verehrung für ihn zum Ausdruck gebracht. Daher wollte ich, daß sein Seligsprechungsprozeß unter entsprechender Beachtung der Vorschriften der Kirche ziemlich rasch vorangehen konnte. Und heute ist der erwartete Tag gekommen; er ist schnell gekommen, weil es dem Herrn so gefallen hat: Johannes Paul II. ist selig!
Herzlich möchte ich euch alle grüßen, die ihr zu diesem freudigen Anlaß so zahlreich aus allen Teilen der Welt nach Rom gekommen seid: Kardinäle, Patriarchen der katholischen Ostkirchen, Mitbrüder im Bischofs- und Priesteramt, die offiziellen Delegationen, Botschafter und Vertreter des öffentlichen Lebens, Gottgeweihte und gläubige Laien. Mein Gruß gilt ebenso allen, die über Radio und Fernsehen mit uns verbunden sind.
Dieser Sonntag ist der Zweite Sonntag der Osterzeit, den der selige Johannes Paul II. nach der Göttlichen Barmherzigkeit benannt hat. Daher wurde dieses Datum für die heutige Feier gewählt, weil nach dem Plan der Vorsehung mein Vorgänger genau am Vorabend dieses Festtages Gott seinen Geist übergeben hat. Heute ist außerdem der erste Tag des Marienmonats Mai; und es ist auch der Gedenktag des heiligen Josef des Arbeiters. Diese Elemente treffen zusammen und bereichern so unser Gebet; sie helfen uns, die wir noch Pilger in Raum und Zeit sind. Im Himmel hingegen ist die Feier unter den Engeln und Heiligen ganz anders! Und doch ist Gott einer, und einer ist Christus, der Herr, der wie eine Brücke Erde und Himmel verbindet. Und in diesem Augenblick fühlen wir uns mehr denn je nahe, als nähmen wir gleichsam teil an der himmlischen Liturgie.
„Selig sind, die nicht sehen und doch glauben!" (Joh 20,29). Im heutigen Evangelium spricht Jesus diese Seligpreisung aus, die Seligpreisung des Glaubens. Sie berührt uns auf besondere Weise, da wir versammelt sind, um eben eine Seligsprechung zu feiern, und noch mehr, da heute ein Papst seliggesprochen wird, ein Nachfolger Petri, der dazu berufen war, die Brüder im Glauben zu stärken. Johannes Paul II. ist selig durch seinen starken und großherzigen, seinen apostolischen Glauben. Und sogleich denken wir an jene andere Seligpreisung: „Selig bist du, Simon Barjona; denn nicht Fleisch und Blut haben dir das offenbart, sondern mein Vater im Himmel" (Mt 16,17). Was hat der himmlische Vater dem Simon offenbart? Daß Jesus der Christus ist, der Sohn des lebendigen Gottes. Durch diesen Glauben wird Simon zu „Petrus", zum Fels, auf den Jesus seine Kirche bauen kann. Die ewige Seligkeit Johannes Pauls II., die die Kirche heute freudig verkündet, besteht ganz in diesen Worten Christi: „Selig bist du, Simon", und „Selig sind, die nicht sehen und doch glauben!" Es ist die Seligpreisung des Glaubens, den auch Johannes Paul II. als Gabe von Gott Vater für den Aufbau der Kirche Christi erhalten hat.
Aber unsere Gedanken gehen zu einer anderen Seligpreisung, die im Evangelium allen anderen vorausgeht. Es ist jene der Jungfrau Maria, der Mutter des Erlösers. Ihr, die soeben Jesus in ihrem Schoß empfangen hat, sagt die heilige Elisabeth: „Selig ist die, die geglaubt hat, daß sich erfüllt, was der Herr ihr sagen ließ" (Lk 1,45). Die Seligpreisung des Glaubens hat ihr Vorbild in Maria. Wir alle freuen uns, daß die Seligsprechung von Johannes Paul II. am ersten Tag des Marienmonats stattfindet, unter dem mütterlichen Blick Marias, die durch ihren Glauben den Glauben der Apostel gestützt hat und fortwährend den Glauben ihrer Nachfolger stützt, besonders jener, die auf den Stuhl Petri berufen sind. Maria kommt in den Erzählungen der Auferstehung Christi nicht vor, aber ihre Anwesenheit ist gleichsam überall verborgen: Sie ist die Mutter, der Jesus jeden einzelnen der Jünger und die ganze Gemeinschaft anvertraut hat. Im besonderen stellen wir fest, daß der heilige Johannes und der heilige Lukas Marias wirkliche und mütterliche Gegenwart an jenen Stellen anführen, die dem heutigen Evangelium und der ersten Lesung vorausgehen: im Bericht über den Tod Jesu, wo Maria zu Füßen des Kreuzes erwähnt wird (Joh 19,25); und am Beginn der Apostelgeschichte, die sie in der Mitte der zum Gebet im Abendmahlssaal versammelten Jünger zeigt (Apg 1,14).
Auch die heutige zweite Lesung spricht uns vom Glauben, und es ist genau Petrus, der voller geistlichem Enthusiasmus schreibt und den Neugetauften den Grund ihrer Hoffnung und ihrer Freude angibt. Gerne möchte ich anmerken, daß Petrus in diesem Abschnitt zu Beginn seines ersten Briefes nicht in der Aufforderung, sondern im Indikativ spricht. Er schreibt nämlich: „Ihr seid voll Freude" – und er fügt hinzu: „Ihn habt ihr nicht gesehen, und dennoch liebt ihr ihn; ihr seht ihn auch jetzt nicht; aber ihr glaubt an ihn und jubelt in unsagbarer, von himmlischer Herrlichkeit verklärter Freude, da ihr das Ziel des Glaubens erreichen werdet: euer Heil" (1 Petr 1,6.8-9). Alles steht im Indikativ, weil es eine neue Wirklichkeit gibt, die durch die Auferstehung Christi bewirkt ist, eine Wirklichkeit, die dem Glauben zugänglich ist. „Das hat der Herr vollbracht" – wie es im Psalm heißt –, „vor unseren Augen geschah dieses Wunder" (Ps 118,23), vor den Augen des Glaubens.
Liebe Brüder und Schwestern, heute erstrahlt vor unseren Augen im vollen geistlichen Licht des auferstandenen Christus die Gestalt des geliebten und verehrten Johannes Paul II. Heute wird sein Name der Schar der Heiligen und Seligen hinzugefügt, die er während der fast 27 Jahre seines Pontifikates heilig- und seliggesprochen hatte. Dabei hatte er nachdrücklich an die allgemeine Berufung zum hohen Maß des christlichen Lebens – zur Heiligkeit – erinnert, wie sie die Konzilskonstitution Lumen gentium über die Kirche bekräftigt hatte. Alle Glieder des Volkes Gottes – Bischöfe, Priester, Diakone, Laien, gottgeweihte Männer und Frauen – wir alle sind auf dem Weg zur himmlischen Heimat, in welche uns die Jungfrau Maria vorausgegangen ist, die mit dem Geheimnis Christi und der Kirche auf einzigartige und vollkommene Weise verbunden ist. Karol Wojtyła hat zuerst als Weihbischof und dann als Erzbischof von Krakau am Zweiten Vatikanischen Konzil teilgenommen; er wußte ja, daß das letzte Kapitel des Dokumentes über die Kirche Maria zu widmen bedeutete, die Mutter des Erlösers zum Bild und Vorbild der Heiligkeit für jeden Christen und für die ganze Kirche zu machen. Diese theologische Sicht hat der selige Johannes Paul II. als Jugendlicher entdeckt und dann während seines ganzen Lebens bewahrt und vertieft – eine Sicht, die im biblischen Bild von Christus am Kreuz und seiner Mutter Maria unter dem Kreuz zusammengefaßt ist. Es ist ein Bild, das sich im Johannes-Evangelium findet (Joh 19,25-27) und das in das Bischofs- und dann in das Papstwappen von Karol Wojtyła aufgenommen wurde: ein goldenes Kreuz, ein „M" rechts unten und das Motto „Totus tuus", das vom bekannten Wort des heiligen Ludwig Maria Grignion von Montfort stammt, in dem Karol Wojtyła ein Grundprinzip für sein Leben gefunden hat: „Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio te in mea omnia; præbe mihi cor tuum, Maria." – „Ich bin ganz dein, und alles, was ich habe, ist dein. Dich nehme ich zu mir als mein alles; schenke mir dein Herz, o Maria" (Abhandlung über die wahre Andacht zu Maria, Nr. 266).
In seinem Testament schrieb der neue Selige: „Als das Konklave der Kardinäle am 16. Oktober 1978 Johannes Paul II. wählte, sagte der polnische Primas Kardinal Stefan Wyszyński zu mir: »Die Aufgabe des neuen Papstes wird es sein, die Kirche ins Dritte Jahrtausend zu führen«." Und weiter führte er aus: „[Ich möchte] noch einmal Dankbarkeit gegenüber dem Heiligen Geist für das große Geschenk des Zweiten Vatikanischen Konzils zum Ausdruck bringen, als dessen Schuldner ich mich gemeinsam mit der ganzen Kirche – und vor allem mit dem gesamten Episkopat – fühle. Ich bin überzeugt, daß es den neuen Generationen noch lange aufgegeben sein wird, die Reichtümer auszuschöpfen, die dieses Konzil des 20. Jahrhunderts uns geschenkt hat. Als Bischof, der an dem Konzilsgeschehen vom ersten bis zum letzten Tag teilgenommen hat, möchte ich dieses große Erbe all jenen anvertrauen, die in Zukunft gerufen sein werden, es zu verwirklichen. Ich selbst aber danke dem Ewigen Hirten dafür, daß er mir erlaubt hat, dieser großartigen Sache während all der Jahre meines Pontifikats zu dienen." Und was ist diese „Sache"? Es ist dieselbe, die Johannes Paul II. in seiner ersten feierlichen Messe auf dem Petersplatz mit den denkwürdigen Worten angesprochen hat: „Habt keine Angst! Öffnet, ja reißt die Tore weit auf für Christus!". Was der neugewählte Papst von allen erbat, das hat er selbst als erster vorgemacht: Er hat die Gesellschaft, die Kultur, die Bereiche der Politik und der Wirtschaft für Christus geöffnet. Mit der Kraft eines Riesen – die er von Gott erhalten hat – hat er eine Tendenz umgedreht, die unumkehrbar erscheinen mochte. Mit seinem Zeugnis des Glaubens, der Liebe und des apostolischen Mutes, das von einer großen Menschlichkeit begleitet wurde, hat dieser beispielhafte Sohn der polnischen Nation den Christen auf der ganzen Welt geholfen, keine Angst zu haben, sich Christen zu nennen, zur Kirche zu gehören und vom Evangelium zu sprechen. Mit einem Wort, er hat uns geholfen, keine Angst vor der Wahrheit zu haben, denn die Wahrheit ist Garant der Freiheit. Noch einmal ganz kurz, er hat uns die Kraft wiedergegeben, an Christus zu glauben, weil Christus Redemptor hominis, der Erlöser des Menschen ist – das Thema seiner ersten Enzyklika und der Leitgedanke aller anderen.
Als Karol Wojtyła den Stuhl Petri bestieg, brachte er sein tiefgehendes Nachdenken über die Auseinandersetzung zwischen Marxismus und Christentum mit, in deren Mitte der Menschen steht. Seine Botschaft war diese: Der Mensch ist der Weg der Kirche, und Christus ist der Weg des Menschen. Mit dieser Botschaft, die die große Hinterlassenschaft des Zweiten Vatikanischen Konzils und seines „Steuermanns", des Dieners Gottes Papst Paul VI. ist, hat Johannes Paul II. das Volk Gottes geleitet. So hat es die Schwelle des Dritten Jahrtausends überschritten, die er gerade mit Blick auf Christus die „Schwelle der Hoffnung" genannt hat. Ja, mittels des langen Wegs der Vorbereitung auf das Große Jubiläum hat er den Christen eine neue Orientierung auf die Zukunft hin gegeben, auf eine Zukunft mit Gott, welcher die Geschichte übersteigt, doch ebenso auf die Geschichte einwirkt. Diesen Dienst der Hoffnung, der in gewisser Weise dem Marxismus und der Fortschrittsideologie überlassen worden war, hat er zu Recht wieder für das Christentum beansprucht, indem er ihm das authentische Aussehen der Hoffnung wieder gab, in der Geschichte in einem Geist der „Erwartung" zu leben, in einer persönlichen wie gemeinschaftlichen Existenz zu leben, die sich an Christus orientiert, der die Fülle des Menschen und die Vollendung seiner Suche nach Gerechtigkeit und Frieden ist.
Schließlich möchte ich auch Gott Dank sagen für die persönliche Erfahrung, die er mir gewährt hat, über eine lange Zeit Mitarbeiter des seligen Papstes Johannes Paul II. gewesen zu sein. Schon früher hatte ich Gelegenheit, ihn kennen und schätzen zu lernen. Doch ab 1982, als er mich als Präfekt der Kongregation für die Glaubenslehre nach Rom berief, konnte ich ihn 23 Jahre lang aus der Nähe erleben und habe seine Person immer mehr geschätzt. Mein Dienst wurde durch seine spirituelle Tiefe und den Reichtum seiner Intuition getragen. Sein beispielhaftes Beten hat mich immer berührt und erbaut: Er tauchte ein in die Begegnung mit Gott, auch inmitten der vielfältigen Obliegenheiten seines Dienstes. Und dann sein Zeugnis im Leiden: Der Herr hat ihm allmählich alles genommen, aber er ist stets der „Fels" geblieben, wie Christus es gewollt hat. Seine tiefe Demut, die in der inneren Einheit mit Christus wurzelte, hat es ihm erlaubt, die Kirche weiter zu leiten und der Welt eine noch beredtere Botschaft zu geben – gerade in der Zeit, als seine physischen Kräfte abnahmen. So hat er in einzigartiger Weise die Berufung eines jeden Priesters und Bischofs verwirklicht: ganz eins zu werden mit jenem Jesus, den er täglich in der Kirche empfängt und darbringt.
Selig bist du, geliebter Papst Johannes Paul II., weil du geglaubt hast! Wir bitten dich, stärke vom Himmel her weiter den Glauben des Volkes Gottes. So oft hast du uns auf diesem Platz vom Palast aus gesegnet. Heute bitten wir dich: Heiliger Vater, segne uns! Amen.
[00635-05.02] [Originalsprache: Italienisch]
● TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA
Queridos hermanos y hermanas.
Hace seis años nos encontrábamos en esta Plaza para celebrar los funerales del Papa Juan Pablo II. El dolor por su pérdida era profundo, pero más grande todavía era el sentido de una inmensa gracia que envolvía a Roma y al mundo entero, gracia que era fruto de toda la vida de mi amado Predecesor y, especialmente, de su testimonio en el sufrimiento. Ya en aquel día percibíamos el perfume de su santidad, y el Pueblo de Dios manifestó de muchas maneras su veneración hacia él. Por eso, he querido que, respetando debidamente la normativa de la Iglesia, la causa de su beatificación procediera con razonable rapidez. Y he aquí que el día esperado ha llegado; ha llegado pronto, porque así lo ha querido el Señor: Juan Pablo II es beato.
Deseo dirigir un cordial saludo a todos los que, en número tan grande, desde todo el mundo, habéis venido a Roma, para esta feliz circunstancia, a los señores cardenales, a los patriarcas de las Iglesias católicas orientales, hermanos en el episcopado y el sacerdocio, delegaciones oficiales, embajadores y autoridades, personas consagradas y fieles laicos, y lo extiendo a todos los que se unen a nosotros a través de la radio y la televisión.
Éste es el segundo domingo de Pascua, que el beato Juan Pablo II dedicó a la Divina Misericordia. Por eso se eligió este día para la celebración de hoy, porque mi Predecesor, gracias a un designio providencial, entregó el espíritu a Dios precisamente en la tarde de la vigilia de esta fiesta. Además, hoy es el primer día del mes de mayo, el mes de María; y es también la memoria de san José obrero. Estos elementos contribuyen a enriquecer nuestra oración, nos ayudan a nosotros que todavía peregrinamos en el tiempo y el espacio. En cambio, qué diferente es la fiesta en el Cielo entre los ángeles y santos. Y, sin embargo, hay un solo Dios, y un Cristo Señor que, como un puente une la tierra y el cielo, y nosotros nos sentimos en este momento más cerca que nunca, como participando de la Liturgia celestial.
«Dichosos los que crean sin haber visto» (Jn 20, 29). En el evangelio de hoy, Jesús pronuncia esta bienaventuranza: la bienaventuranza de la fe. Nos concierne de un modo particular, porque estamos reunidos precisamente para celebrar una beatificación, y más aún porque hoy un Papa ha sido proclamado Beato, un Sucesor de Pedro, llamado a confirmar en la fe a los hermanos. Juan Pablo II es beato por su fe, fuerte y generosa, apostólica. E inmediatamente recordamos otra bienaventuranza: «¡Dichoso tú, Simón, hijo de Jonás!, porque eso no te lo ha revelado nadie de carne y hueso, sino mi Padre que está en el cielo» (Mt 16, 17). ¿Qué es lo que el Padre celestial reveló a Simón? Que Jesús es el Cristo, el Hijo del Dios vivo. Por esta fe Simón se convierte en «Pedro», la roca sobre la que Jesús edifica su Iglesia. La bienaventuranza eterna de Juan Pablo II, que la Iglesia tiene el gozo de proclamar hoy, está incluida en estas palabras de Cristo: «Dichoso, tú, Simón» y «Dichosos los que crean sin haber visto». Ésta es la bienaventuranza de la fe, que también Juan Pablo II recibió de Dios Padre, como un don para la edificación de la Iglesia de Cristo.
Pero nuestro pensamiento se dirige a otra bienaventuranza, que en el evangelio precede a todas las demás. Es la de la Virgen María, la Madre del Redentor. A ella, que acababa de concebir a Jesús en su seno, santa Isabel le dice: «Dichosa tú, que has creído, porque lo que te ha dicho el Señor se cumplirá» (Lc 1, 45). La bienaventuranza de la fe tiene su modelo en María, y todos nos alegramos de que la beatificación de Juan Pablo II tenga lugar en el primer día del mes mariano, bajo la mirada maternal de Aquella que, con su fe, sostuvo la fe de los Apóstoles, y sostiene continuamente la fe de sus sucesores, especialmente de los que han sido llamados a ocupar la cátedra de Pedro. María no aparece en las narraciones de la resurrección de Cristo, pero su presencia está como oculta en todas partes: ella es la Madre a la que Jesús confió cada uno de los discípulos y toda la comunidad. De modo particular, notamos que la presencia efectiva y materna de María ha sido registrada por san Juan y san Lucas en los contextos que preceden a los del evangelio de hoy y de la primera lectura: en la narración de la muerte de Jesús, donde María aparece al pie de la cruz (cf. Jn 19, 25); y al comienzo de los Hechos de los Apóstoles, que la presentan en medio de los discípulos reunidos en oración en el cenáculo (cf. Hch. 1, 14).
También la segunda lectura de hoy nos habla de la fe, y es precisamente san Pedro quien escribe, lleno de entusiasmo espiritual, indicando a los nuevos bautizados las razones de su esperanza y su alegría. Me complace observar que en este pasaje, al comienzo de su Primera carta, Pedro no se expresa en un modo exhortativo, sino indicativo; escribe, en efecto: «Por ello os alegráis», y añade: «No habéis visto a Jesucristo, y lo amáis; no lo veis, y creéis en él; y os alegráis con un gozo inefable y transfigurado, alcanzando así la meta de vuestra fe: vuestra propia salvación» (1 P 1, 6.8-9). Todo está en indicativo porque hay una nueva realidad, generada por la resurrección de Cristo, una realidad accesible a la fe. «Es el Señor quien lo ha hecho –dice el Salmo (118, 23)- ha sido un milagro patente», patente a los ojos de la fe.
Queridos hermanos y hermanas, hoy resplandece ante nuestros ojos, bajo la plena luz espiritual de Cristo resucitado, la figura amada y venerada de Juan Pablo II. Hoy, su nombre se añade a la multitud de santos y beatos que él proclamó durante sus casi 27 años de pontificado, recordando con fuerza la vocación universal a la medida alta de la vida cristiana, a la santidad, como afirma la Constitución conciliar sobre la Iglesia Lumen gentium. Todos los miembros del Pueblo de Dios –Obispos, sacerdotes, diáconos, fieles laicos, religiosos, religiosas- estamos en camino hacia la patria celestial, donde nos ha precedido la Virgen María, asociada de modo singular y perfecto al misterio de Cristo y de la Iglesia. Karol Wojtyła, primero como Obispo Auxiliar y después como Arzobispo de Cracovia, participó en el Concilio Vaticano II y sabía que dedicar a María el último capítulo del Documento sobre la Iglesia significaba poner a la Madre del Redentor como imagen y modelo de santidad para todos los cristianos y para la Iglesia entera. Esta visión teológica es la que el beato Juan Pablo II descubrió de joven y que después conservó y profundizó durante toda su vida. Una visión que se resume en el icono bíblico de Cristo en la cruz, y a sus pies María, su madre. Un icono que se encuentra en el evangelio de Juan (19, 25-27) y que quedó sintetizado en el escudo episcopal y posteriormente papal de Karol Wojtyła: una cruz de oro, una «eme» abajo, a la derecha, y el lema: «Totus tuus», que corresponde a la célebre expresión de san Luis María Grignion de Monfort, en la que Karol Wojtyła encontró un principio fundamental para su vida: «Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria -Soy todo tuyo y todo cuanto tengo es tuyo. Tú eres mi todo, oh María; préstame tu corazón». (Tratado de la verdadera devoción a la Santísima Virgen, n. 266).
El nuevo Beato escribió en su testamento: «Cuando, en el día 16 de octubre de 1978, el cónclave de los cardenales escogió a Juan Pablo II, el primado de Polonia, cardenal Stefan Wyszyński, me dijo: "La tarea del nuevo Papa consistirá en introducir a la Iglesia en el tercer milenio"». Y añadía: «Deseo expresar una vez más gratitud al Espíritu Santo por el gran don del Concilio Vaticano II, con respecto al cual, junto con la Iglesia entera, y en especial con todo el Episcopado, me siento en deuda. Estoy convencido de que durante mucho tiempo aún las nuevas generaciones podrán recurrir a las riquezas que este Concilio del siglo XX nos ha regalado. Como obispo que participó en el acontecimiento conciliar desde el primer día hasta el último, deseo confiar este gran patrimonio a todos los que están y estarán llamados a aplicarlo. Por mi parte, doy las gracias al eterno Pastor, que me ha permitido estar al servicio de esta grandísima causa a lo largo de todos los años de mi pontificado». ¿Y cuál es esta «causa»? Es la misma que Juan Pablo II anunció en su primera Misa solemne en la Plaza de San Pedro, con las memorables palabras: «¡No temáis! !Abrid, más todavía, abrid de par en par las puertas a Cristo!». Aquello que el Papa recién elegido pedía a todos, él mismo lo llevó a cabo en primera persona: abrió a Cristo la sociedad, la cultura, los sistemas políticos y económicos, invirtiendo con la fuerza de un gigante, fuerza que le venía de Dios, una tendencia que podía parecer irreversible. Con su testimonio de fe, de amor y de valor apostólico, acompañado de una gran humanidad, este hijo ejemplar de la Nación polaca ayudó a los cristianos de todo el mundo a no tener miedo de llamarse cristianos, de pertenecer a la Iglesia, de hablar del Evangelio. En una palabra: ayudó a no tener miedo de la verdad, porque la verdad es garantía de la libertad. Más en síntesis todavía: nos devolvió la fuerza de creer en Cristo, porque Cristo es Redemptor hominis, Redentor del hombre: el tema de su primera Encíclica e hilo conductor de todas las demás.
Karol Wojtyła subió al Solio de Pedro llevando consigo la profunda reflexión sobre la confrontación entre el marxismo y el cristianismo, centrada en el hombre. Su mensaje fue éste: el hombre es el camino de la Iglesia, y Cristo es el camino del hombre. Con este mensaje, que es la gran herencia del Concilio Vaticano II y de su «timonel», el Siervo de Dios el Papa Pablo VI, Juan Pablo II condujo al Pueblo de Dios a atravesar el umbral del Tercer Milenio, que gracias precisamente a Cristo él pudo llamar «umbral de la esperanza». Sí, él, a través del largo camino de preparación para el Gran Jubileo, dio al Cristianismo una renovada orientación hacia el futuro, el futuro de Dios, trascendente respecto a la historia, pero que incide también en la historia. Aquella carga de esperanza que en cierta manera se le dio al marxismo y a la ideología del progreso, él la reivindicó legítimamente para el Cristianismo, restituyéndole la fisonomía auténtica de la esperanza, de vivir en la historia con un espíritu de «adviento», con una existencia personal y comunitaria orientada a Cristo, plenitud del hombre y cumplimiento de su anhelo de justicia y de paz.
Quisiera finalmente dar gracias también a Dios por la experiencia personal que me concedió, de colaborar durante mucho tiempo con el beato Papa Juan Pablo II. Ya antes había tenido ocasión de conocerlo y de estimarlo, pero desde 1982, cuando me llamó a Roma como Prefecto de la Congregación para la Doctrina de la Fe, durante 23 años pude estar cerca de él y venerar cada vez más su persona. Su profundidad espiritual y la riqueza de sus intuiciones sostenían mi servicio. El ejemplo de su oración siempre me ha impresionado y edificado: él se sumergía en el encuentro con Dios, aun en medio de las múltiples ocupaciones de su ministerio. Y después, su testimonio en el sufrimiento: el Señor lo fue despojando lentamente de todo, sin embargo él permanecía siempre como una «roca», como Cristo quería. Su profunda humildad, arraigada en la íntima unión con Cristo, le permitió seguir guiando a la Iglesia y dar al mundo un mensaje aún más elocuente, precisamente cuando sus fuerzas físicas iban disminuyendo. Así, él realizó de modo extraordinario la vocación de cada sacerdote y obispo: ser uno con aquel Jesús al que cotidianamente recibe y ofrece en la Iglesia.
¡Dichoso tú, amado Papa Juan Pablo, porque has creído! Te rogamos que continúes sosteniendo desde el Cielo la fe del Pueblo de Dios. Desde el Palacio nos has bendecido muchas veces en esta Plaza. Hoy te rogamos: Santo Padre: bendícenos. Amén.
[00635-04.02] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE
Amados irmãos e irmãs,
Passaram já seis anos desde o dia em que nos encontrávamos nesta Praça para celebrar o funeral do Papa João Paulo II. Então, se a tristeza pela sua perda era profunda, maior ainda se revelava a sensação de que uma graça imensa envolvia Roma e o mundo inteiro: graça esta, que era como que o fruto da vida inteira do meu amado Predecessor, especialmente do seu testemunho no sofrimento. Já naquele dia sentíamos pairar o perfume da sua santidade, tendo o Povo de Deus manifestado de muitas maneiras a sua veneração por ele. Por isso, quis que a sua Causa de Beatificação pudesse, no devido respeito pelas normas da Igreja, prosseguir com discreta celeridade. E o dia esperado chegou! Chegou depressa, porque assim aprouve ao Senhor: João Paulo II é Beato!
Desejo dirigir a minha cordial saudação a todos vós que, nesta circunstância feliz, vos reunistes, tão numerosos, aqui em Roma vindos de todos os cantos do mundo: cardeais, patriarcas das Igrejas Católicas Orientais, irmãos no episcopado e no sacerdócio, delegações oficiais, embaixadores e autoridades, pessoas consagradas e fiéis leigos; esta minha saudação estende-se também a quantos estão unidos connosco através do rádio e da televisão.
Estamos no segundo domingo de Páscoa, que o Beato João Paulo II quis intitular Domingo da Divina Misericórdia. Por isso, se escolheu esta data para a presente celebração, porque o meu Predecessor, por um desígnio providencial, entregou o seu espírito a Deus justamente ao anoitecer da vigília de tal ocorrência. Além disso, hoje tem início o mês de Maio, o mês de Maria; e neste dia celebra-se também a memória de São José operário. Todos estes elementos concorrem para enriquecer a nossa oração; servem-nos de ajuda, a nós que ainda peregrinamos no tempo e no espaço; no Céu, a festa entre os Anjos e os Santos é muito diferente! E todavia Deus é um só, e um só é Cristo Senhor que, como uma ponte, une a terra e o Céu, e neste momento sentimo-lo muito perto, sentimo-nos quase participantes da liturgia celeste.
«Felizes os que acreditam sem terem visto» (Jo 20, 29). No Evangelho de hoje, Jesus pronuncia esta bem-aventurança: a bem-aventurança da fé. Ela chama de modo particular a nossa atenção, porque estamos reunidos justamente para celebrar uma Beatificação e, mais ainda, porque o Beato hoje proclamado é um Papa, um Sucessor de Pedro, chamado a confirmar os irmãos na fé. João Paulo II é Beato pela sua forte e generosa fé apostólica. E isto traz imediatamente à memória outra bem-aventurança: «Feliz de ti, Simão, filho de Jonas, porque não foram a carne e o sangue que to revelaram, mas sim meu Pai que está nos Céus» (Mt 16, 17). O que é que o Pai celeste revelou a Simão? Que Jesus é o Cristo, o Filho de Deus vivo. Por esta fé, Simão se torna «Pedro», rocha sobre a qual Jesus pode edificar a sua Igreja. A bem-aventurança eterna de João Paulo II, que a Igreja tem a alegria de proclamar hoje, está inteiramente contida nestas palavras de Cristo: «Feliz de ti, Simão» e «felizes os que acreditam sem terem visto». É a bem-aventurança da fé, cujo dom também João Paulo II recebeu de Deus Pai para a edificação da Igreja de Cristo.
Entretanto perpassa pelo nosso pensamento mais uma bem-aventurança que, no Evangelho, precede todas as outras. É a bem-aventurança da Virgem Maria, a Mãe do Redentor. A Ela, que acabava de conceber Jesus no seu ventre, diz Santa Isabel: «Bem-aventurada aquela que acreditou no cumprimento de tudo quanto lhe foi dito da parte do Senhor» (Lc 1, 45). A bem-aventurança da fé tem o seu modelo em Maria, pelo que a todos nos enche de alegria o facto de a beatificação de João Paulo II ter lugar no primeiro dia deste mês mariano, sob o olhar materno d’Aquela que, com a sua fé, sustentou a fé dos Apóstolos e não cessa de sustentar a fé dos seus sucessores, especialmente de quantos são chamados a sentar-se na cátedra de Pedro. Nas narrações da ressurreição de Cristo, Maria não aparece, mas a sua presença pressente-se em toda a parte: é a Mãe, a quem Jesus confiou cada um dos discípulos e toda a comunidade. De forma particular, notamos que a presença real e materna de Maria aparece assinalada por São João e São Lucas nos contextos que precedem tanto o Evangelho como a primeira Leitura de hoje: na narração da morte de Jesus, onde Maria aparece aos pés da Cruz (Jo 19, 25); e, no começo dos Actos dos Apóstolos, que a apresentam no meio dos discípulos reunidos em oração no Cenáculo (Act 1, 14).
Também a segunda Leitura de hoje nos fala da fé, e é justamente São Pedro que escreve, cheio de entusiasmo espiritual, indicando aos recém-baptizados as razões da sua esperança e da sua alegria. Apraz-me observar que nesta passagem, situada na parte inicial da sua Primeira Carta, Pedro exprime-se não no modo exortativo, mas indicativo. De facto, escreve: «Isto vos enche de alegria»; e acrescenta: «Vós amais Jesus Cristo sem O terdes conhecido, e, como n’Ele acreditais sem O verdes ainda, estais cheios de alegria indescritível e plena de glória, por irdes alcançar o fim da vossa fé: a salvação das vossas almas» (1 Ped 1, 6.8-9). Está tudo no indicativo, porque existe uma nova realidade, gerada pela ressurreição de Cristo, uma realidade que nos é acessível pela fé. «Esta é uma obra admirável – diz o Salmo (118, 23) – que o Senhor realizou aos nossos olhos», os olhos da fé.
Queridos irmãos e irmãs, hoje diante dos nossos olhos brilha, na plena luz de Cristo ressuscitado, a amada e venerada figura de João Paulo II. Hoje, o seu nome junta-se à série dos Santos e Beatos que ele mesmo proclamou durante os seus quase 27 anos de pontificado, lembrando com vigor a vocação universal à medida alta da vida cristã, à santidade, como afirma a Constituição conciliar Lumem gentium sobre a Igreja. Os membros do Povo de Deus – bispos, sacerdotes, diáconos, fiéis leigos, religiosos e religiosas – todos nós estamos a caminho da Pátria celeste, tendo-nos precedido a Virgem Maria, associada de modo singular e perfeito ao mistério de Cristo e da Igreja. Karol Wojtyła, primeiro como Bispo Auxiliar e depois como Arcebispo de Cracóvia, participou no Concílio Vaticano II e bem sabia que dedicar a Maria o último capítulo da Constituição sobre a Igreja significava colocar a Mãe do Redentor como imagem e modelo de santidade para todo o cristão e para a Igreja inteira. Foi esta visão teológica que o Beato João Paulo II descobriu na sua juventude, tendo-a depois conservado e aprofundado durante toda a vida; uma visão, que se resume no ícone bíblico de Cristo crucificado com Maria ao pé da Cruz. Um ícone que se encontra no Evangelho de João (19, 25-27) e está sintetizado nas armas episcopais e, depois, papais de Karol Wojtyła: uma cruz de ouro, um «M» na parte inferior direita e o lema «Totus tuus», que corresponde à conhecida frase de São Luís Maria Grignion de Monfort, na qual Karol Wojtyła encontrou um princípio fundamental para a sua vida: «Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria – Sou todo vosso e tudo o que possuo é vosso. Tomo-vos como toda a minha riqueza. Dai-me o vosso coração, ó Maria» (Tratado da Verdadeira Devoção à Santíssima Virgem, n. 266).
No seu Testamento, o novo Beato deixou escrito: «Quando, no dia 16 de Outubro de 1978, o conclave dos cardeais escolheu João Paulo II, o Card. Stefan Wyszyński, Primaz da Polónia, disse-me: "A missão do novo Papa será a de introduzir a Igreja no Terceiro Milénio"». E acrescenta: «Desejo mais uma vez agradecer ao Espírito Santo pelo grande dom do Concílio Vaticano II, do qual me sinto devedor, juntamente com toda a Igreja e sobretudo o episcopado. Estou convencido de que será concedido ainda por muito tempo, às sucessivas gerações, haurir das riquezas que este Concílio do século XX nos prodigalizou. Como Bispo que participou no evento conciliar, desde o primeiro ao último dia, desejo confiar este grande património a todos aqueles que são, e serão, chamados a realizá-lo. Pela minha parte, agradeço ao Pastor eterno que me permitiu servir esta grandíssima causa ao longo de todos os anos do meu pontificado». E qual é esta causa? É a mesma que João Paulo II enunciou na sua primeira Missa solene, na Praça de São Pedro, com estas palavras memoráveis: «Não tenhais medo! Abri, melhor, escancarai as portas a Cristo!». Aquilo que o Papa recém-eleito pedia a todos, começou, ele mesmo, a fazê-lo: abriu a Cristo a sociedade, a cultura, os sistemas políticos e económicos, invertendo, com a força de um gigante – força que lhe vinha de Deus –, uma tendência que parecia irreversível. Com o seu testemunho de fé, de amor e de coragem apostólica, acompanhado por uma grande sensibilidade humana, este filho exemplar da Nação Polaca ajudou os cristãos de todo o mundo a não ter medo de se dizerem cristãos, de pertencerem à Igreja, de falarem do Evangelho. Numa palavra, ajudou-nos a não ter medo da verdade, porque a verdade é garantia de liberdade. Sintetizando ainda mais: deu-nos novamente a força de crer em Cristo, porque Cristo é o Redentor do homem – Redemptor hominis: foi este o tema da sua primeira Encíclica e o fio condutor de todas as outras.
Karol Wojtyła subiu ao sólio de Pedro trazendo consigo a sua reflexão profunda sobre a confrontação entre o marxismo e o cristianismo, centrada no homem. A sua mensagem foi esta: o homem é o caminho da Igreja, e Cristo é o caminho do homem. Com esta mensagem, que é a grande herança do Concílio Vaticano II e do seu «timoneiro» – o Servo de Deus Papa Paulo VI –, João Paulo II foi o guia do Povo de Deus ao cruzar o limiar do Terceiro Milénio, que ele pôde, justamente graças a Cristo, chamar «limiar da esperança». Na verdade, através do longo caminho de preparação para o Grande Jubileu, ele conferiu ao cristianismo uma renovada orientação para o futuro, o futuro de Deus, que é transcendente relativamente à história, mas incide na história. Aquela carga de esperança que de certo modo fora cedida ao marxismo e à ideologia do progresso, João Paulo II legitimamente reivindicou-a para o cristianismo, restituindo-lhe a fisionomia autêntica da esperança, que se deve viver na história com um espírito de «advento», numa existência pessoal e comunitária orientada para Cristo, plenitude do homem e realização das suas expectativas de justiça e de paz.
Por fim, quero agradecer a Deus também a experiência de colaboração pessoal que me concedeu ter longamente com o Beato Papa João Paulo II. Se antes já tinha tido possibilidades de o conhecer e estimar, desde 1982, quando me chamou a Roma como Prefeito da Congregação para a Doutrina da Fé, pude durante 23 anos permanecer junto dele crescendo sempre mais a minha veneração pela sua pessoa. O meu serviço foi sustentado pela sua profundidade espiritual, pela riqueza das suas intuições. Sempre me impressionou e edificou o exemplo da sua oração: entranhava-se no encontro com Deus, inclusive no meio das mais variadas incumbências do seu ministério. E, depois, impressionou-me o seu testemunho no sofrimento: pouco a pouco o Senhor foi-o despojando de tudo, mas permaneceu sempre uma «rocha», como Cristo o quis. A sua humildade profunda, enraizada na união íntima com Cristo, permitiu-lhe continuar a guiar a Igreja e a dar ao mundo uma mensagem ainda mais eloquente, justamente no período em que as forças físicas definhavam. Assim, realizou de maneira extraordinária a vocação de todo o sacerdote e bispo: tornar-se um só com aquele Jesus que diariamente recebe e oferece na Igreja.
Feliz és tu, amado Papa João Paulo II, porque acreditaste! Continua do Céu – nós te pedimos – a sustentar a fé do Povo de Deus. Muitas vezes, do Palácio, tu nos abençoaste nesta Praça! Hoje nós te pedimos: Santo Padre, abençoa-nos! Amen.
[00635-06.02] [Texto original: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA
Drodzy Bracia i Siostry,
Już sześć lat minęło od dnia, w którym zebraliśmy się na tym Placu, aby celebrować pogrzeb papieża Jana Pawła II. Ból utraty był głęboki, ale jeszcze większe było poczucie jakiejś ogromnej łaski, która otaczała Rzym i cały świat: łaski, która była owocem całego życia mojego ukochanego Poprzednika, a szczególnie jego świadectwa w cierpieniu. Już tamtego dnia czuliśmy unosząca się woń świętości, a Lud Boży na różne sposoby okazywał swoją cześć dla Jana Pawła II. Dlatego chciałem, aby – przy koniecznym poszanowaniu prawa Kościoła – jego proces beatyfikacyjny przebiegał w sposób możliwie najszybszy. I oto nadszedł oczekiwany dzień; przyszedł szybko, ponieważ tak podobało się Bogu: Jan Paweł II jest błogosławiony.
Pragnę skierować serdeczne pozdrowienia do was, którzy tak licznie przybyliście do Rzymu ze wszystkich stron świata dla tej szczególnej okazji: księży kardynałów, patriarchów kościołów wschodnich, braci w biskupstwie i kapłaństwie, oficjalnych delegacji, ambasadorów i władz, osób konsekrowanych i wiernych świeckich.
Tym pozdrowieniem ogarniam także wszystkich, którzy łącza się z nami za pośrednictwem radia i telewizji.
Tę drugą Niedzielę Wielkanocną błogosławiony Jan Paweł II ogłosił Niedzielą Bożego Miłosierdzia. Została ona wybrana na dzisiejszą uroczystość, ponieważ mój Poprzednik – z wyroku Opatrzności – oddał ducha Bogu właśnie w wigilię tej niedzieli. Ponadto dziś jest pierwszy dzień maja, miesiąca maryjnego, jest to również wspomnienie św. Józefa Robotnika. Wszystkie te okoliczności wzbogacają naszą modlitwę, pomagają nam, którzy jesteśmy jeszcze pielgrzymami w czasie i przestrzeni. O ileż bardziej świętują aniołowie i święci w Niebie. Jednak jeden jest Bóg, jeden Chrystus Pan, który niczym most łączy ziemię z niebem, a my czujemy się w tym momencie bardziej niż kiedykolwiek uczestnikami niebieskiej liturgii.
„Błogosławieni, którzy nie widzieli, a uwierzyli!". W dzisiejszej ewangelii Jezus wypowiada to błogosławieństwo, błogosławieństwo wiary. Uderza nas ono w sposób szczególny, gdyż zgromadziliśmy się, by uczestniczyć w beatyfikacji, a jeszcze bardziej dlatego, że został ogłoszony błogosławionym Papież, następca Piotra, którego powołaniem jest umacnianie braci w wierze. Jan Paweł II jest błogosławiony ze względu na swą wiara, mocną i wielkoduszną, wiarę apostolską. Przychodzi nam też na myśl inne błogosławieństwo: „Błogosławiony jesteś Szymonie, synu Jony, albowiem nie objawiły ci tego ciało i krew, lecz Ojciec mój, który jest w niebie" (Mt 16,17). Cóż takiego objawił Ojciec niebieski Szymonowi? To, że Jezus jest Chrystusem, Synem Boga żywego. Na mocy tej wiary Szymon staje się Piotrem, Opoką, na której Jezus może zbudować swój Kościół. Bycie błogosławionym na wieki Jana Pawła II, które Kościół dziś z radością ogłasza, wpisane jest w te właśnie słowa Chrystusa: „Błogosławiony jesteś, Szymonie" i „Błogosławieni, którzy nie widzieli, a uwierzyli". Jest to błogosławieństwo wiary, którą Jan Paweł II otrzymał w darze od Boga Ojca dla budowania Kościoła Chrystusowego.
Nasza myśl biegnie jeszcze ku innemu błogosławieństwu, które w Ewangelii poprzedza wszystkie pozostałe. Chodzi o błogosławieństwo odnoszące się do Dziewicy Maryi, Matki Zbawiciela. Do tej, która dopiero co poczęła Jezusa w swoim łonie, zwraca się św. Elżbieta: „Błogosławiona jesteś, któraś uwierzyła, że spełnią się słowa powiedziane Ci od Pana". Maryja jest wzorem błogosławieństwa wiary. Radujemy się wszyscy, że beatyfikacja Jana Pawła II ma miejsce w pierwszym dniu miesiąca maryjnego, pod matczynym spojrzeniem Tej, która swoją wiarą podtrzymuje wiarę apostołów, i stale podtrzymuje wiarę ich następców, szczególnie tych, którzy są powołani, by zasiąść na katedrze piotrowej. Maryja nie pojawia się w opowiadaniach o zmartwychwstaniu Chrystusa, lecz jest jakby wszędzie obecna w ukryciu: jest ona Matką, której Jezus powierzył każdego z uczniów i całą wspólnotę. Zauważmy szczególnie, że owocna, matczyna obecność Maryi została odnotowana przez ewangelistów Jana i Łukasza w sytuacjach poprzedzających to, co jest opowiedziane w dzisiejszej ewangelii i w pierwszym czytaniu: w relacji o śmierci Jezusa, w której Maryja pojawia się u stóp krzyża; i na początku Dziejów Apostolskich, które ukazują ją pośród uczniów zgromadzonych na modlitwie w wieczerniku.
Również dzisiejsze drugie czytanie mówi nam o wierze. Święty Piotr, pełen duchowego entuzjazmu, wskazuje nowo-ochrzczonym na racje ich nadziei i radości. Lubię podkreślać, że w tym fragmencie początku Pierwszego Listu, Piotr nie nakazuje, lecz wskazuje. Pisze bowiem: „Dlatego radujecie się" – i dodaje: „Wy, choć nie widzieliście, miłujecie Go; wy w Niego teraz, choć nie widzicie, przecież wierzycie, a ucieszycie się radością niewymowną i pełną chwały wtedy, gdy osiągnięcie cel waszej wiary – zbawienie dusz". Wszystko jest w trybie wskazującym, gdyż zaistniała nowa rzeczywistość, zrodzona ze zmartwychwstania Chrystusa, rzeczywistość dostępna w wierze. „Stało się to przez Pana – mówi Psalm – i cudem jest w naszych oczach", w oczach wiary.
Drodzy Bracia i Siostry. Dziś jawi się naszym oczom, w pełnym duchowym świetle Chrystusa zmartwychwstałego, postać umiłowanego i czczonego Jana Pawła II. Dziś jego imię zostaje włączone w poczet świętych i błogosławionych, których on sam takimi ogłosił podczas prawie 27 lat swojego pontyfikatu, przypominając z mocą o powszechnym powołaniu do wyżyn życia chrześcijańskiego, do świętości, jak to stwierdza konstytucja soborowa, Lumen gentium, o Kościele. Wszyscy członkowie Ludu Bożego – biskupi, kapłani, diakoni, wierni świeccy, zakonnicy, zakonnice – jesteśmy w drodze ku ojczyźnie niebieskiej, gdzie nas poprzedziła Dziewica Maryja, złączona w szczególny i doskonały sposób z tajemnicą Chrystusa i Kościoła.
Karol Wojtyła, najpierw jako biskup pomocniczy, a potem jako arcybiskup krakowski, uczestniczył w Soborze Watykańskim II, i zdawał sobie sprawę, że poświęcenie Maryi ostatniego rozdziału dokumentu o Kościele oznaczało wskazanie na Matkę Bożą jako obraz i wzór świętości dla każdego chrześcijanina i całego Kościoła. Tę teologiczną wizję błogosławiony Jan Paweł II odkrył już w młodości, a następnie zachowywał i pogłębiał przez całe życie. Wizja ta streszcza się w biblijnym obrazie Chrystusa na krzyżu z Maryją, Jego Matką u boku. Obraz ten, znajdujący się w ewangelii Jana, został ujęty w biskupim, a potem papieskim herbie Karola Wojtyły: złoty krzyż, litera M po prawej stronie u dołu, i zawołanie Totus Tuus, które odpowiada słynnemu zdaniu św. Luigiego Marii Grignon de Monforta, w którym Karol Wojtyła odnalazł podstawową zasadę swego życia: „Totus tuus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria – Cały jestem twój i wszystko, co moje, Twoim jest. Odnajduję Cię we wszelkim moim dobru. Daj mi Twe serce o Maryjo".
W swoim Testamencie nowy Błogosławiony napisał: „Kiedy w dniu 16-tym października 1978 roku konklawe kardynałów wybrało Jana Pawła II, prymas Polski, kardynał Stefan Wyszyński, powiedział do mnie: „Zadaniem nowego Papieża będzie w prowadzić Kościół w Trzecie Tysiąclecie". Dalej czytamy: „Pragnę raz jeszcze wyrazić wdzięczność Duchowi Świętemu za wielki dar Soboru Watykańskiego II, którego wraz z całym Kościołem – a w szczególności z całym episkopatem – czuję się dłużnikiem. Jestem przekonany, że długo jeszcze dane będzie nowym pokoleniom czerpać z tych bogactw, jakimi Sobór dwudziestego wieku nas obdarował. Jako biskup, który uczestniczył w soborowym wydarzeniu od pierwszego do ostatniego dnia, pragnę powierzyć to wielkie dziedzictwo wszystkim, którzy do jego realizacji są i będą w przyszłości powołani. Sam zaś dziękuję Wiecznemu Pasterzowi za to, że pozwolił mi tej wielkiej sprawie służyć w ciągu wszystkich lat mego pontyfikatu". Ale o jaką sprawę chodzi? Chodzi o to samo, co Jan Paweł II wyraził już podczas swej pierwszej uroczystej Mszy świętej na placu św. Piotra w niezapomnianych słowach: „Nie lękajcie się! Otwórzcie, otwórzcie na oścież drzwi Chrystusowi!". To, o co nowo-wybrany Papież prosił wszystkich, sam wcześniej uczynił: otworzył dla Chrystusa społeczeństwo, kulturę, systemy polityczne i ekonomiczne, odwracając z siłą olbrzyma – siłą, którą czerpał z Boga – tendencję, która wydawała się być nieodwracalna.
[po polsku] Swoim świadectwem wiary, miłości i odwagi apostolskiej, pełnym ludzkiej wrażliwości, ten znakomity Syn Narodu polskiego, pomógł chrześcijanom na całym świecie, by nie lękali się być chrześcijanami, należeć do Kościoła, głosić Ewangelię. Jednym słowem: pomógł nam nie lękać się prawdy, gdyż prawda jest gwarancją wolności.
Jeszcze bardziej dosadnie: przywrócił na siłę wiary w Chrystusa, gdyż jest on Redemptor hominis, odkupicielem człowieka, co stało się tematem jego pierwszej encykliki i nicią przewodnią pozostałych.
Karol Wojtyła zasiadł na Stolicy Piotrowej przynosząc ze sobą głęboką refleksję nad konfrontacją pomiędzy marksizmem i chrześcijaństwem, skupioną na człowieku. Jego przesłanie brzmiało: człowiek jest drogą Kościoła, a Chrystus jest drogą człowieka. Kierując się tym przesłaniem, będącym wielkim dziedzictwem Soboru Watykańskiego II i jego sternika, sługi Bożego, Papieża Pawła VI, Jan Paweł II prowadził Lud Boży do przekroczenia progu trzeciego tysiąclecia, który ze względu na Chrystusa mógł nazwać „progiem nadziei". Tak, poprzez długą drogę przygotowania Wielkiego Jubileuszu, na nowo ukierunkował chrześcijaństwo ku przyszłości, Bożej przyszłości, wykraczającej poza historię, lecz również w niej zakorzenionej. Ten ładunek nadziei, który w pewien sposób został zawłaszczony przez marksizm oraz ideologię postępu, słusznie oddał on chrześcijaństwu. W ten sposób przywrócił nadziei jej autentyczne oblicze, aby móc przeżywać dzieje w duchu „adwentu", osobistej i wspólnotowej egzystencji skierowanej na Chrystusa, w którym wyraża się pełnia człowieka i spełnienie jego oczekiwań sprawiedliwości i pokoju.
Chciałbym na koniec podziękować Bogu za osobiste doświadczenie długoletniej współpracy z Papieżem, Janem Pawłem II. Już wcześniej miałem możliwość poznania i docenienia jego osoby, lecz od 1982 roku, gdy wezwał mnie do Rzymu na Prefekta Kongregacji Nauki Wiary, przez kolejne 23 lata mogłem być przy nim i coraz bardziej go podziwiać. Moja posługa była wspierana jego głęboką duchowością i bogactwem jego intuicji. Zawsze uderzał mnie i budował przykład jego modlitwy: zanurzał się w spotkaniu z Bogiem, pomimo rozlicznych trudności jego posługiwania. A potem świadectwo jego cierpienia: Pan pozbawiał go stopniowo wszystkiego, lecz on pozostawał skałą, zgodnie z wolą Chrystusa. Jego głęboka pokora zakorzeniona w intymnym zjednoczeniu z Chrystusem, pozwoliła mu dalej prowadzić Kościół i dawać światu jeszcze bardziej wymowne przesłanie, i to w czasie, gdy topniały jego siły fizyczne. W ten sposób doskonale zrealizował on powołanie każdego kapłana i biskupa: bycia jednym z Chrystusem, z Tym, którego codziennie przyjmuje i ofiaruje z Tym, którego codziennie przyjmuje i ofiaruje w Kościele.
Błogosławiony jesteś umiłowany Papieżu Janie Pawle II, ponieważ uwierzyłeś. Prosimy, byś nadal umacniał z nieba wiarę Ludu Bożego. Wiele razy z tego Placu i tego Pałacu błogosławiłeś nas! Dziś, prosimy Cię: Ojcze Święty pobłogosław nam! Amen.
[00635-09.02] [Testo originale: Italiano]
[B0253-XX.03]